Presentazione della mostra "Giocavamo alla guerra"

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Giocavamo alla guerra Giochi di percorso, propaganda e conquiste nei primi conflitti del Novecento di Isabella Patti Argomento scottante in tutte le sue forme, la guerra rimane da sempre anche un tema molto attraente: sarà perché è una paura ancestrale del genere umano, sarà perché ci esprimiamo e ci formiamo anche tramite i conflitti con gli altri, resta il fatto che parlare di guerra, e soprattutto giocare alla guerra, è un’attività che è sempre piaciuta e piace a buona parte del genere umano. Il tema centrale di questo articolo e della relativa mostra dal titolo Giocavamo alla guerra - Giochi di percorso, propaganda e conquiste nei primi conflitti del Novecento sono alcuni giochi di percorso realizzati nei primi due decenni del secolo scorso, ma soprattutto l’analisi di una determinata progettualità ludica, quella legata al mettere “la guerra in gioco”, cioè l’attività sottesa alla tematizzazione bellica di alcuni giochi di tracciato a caselle, comunemente definiti giochi di percorso. Per la realizzazione della mostra non sono stati selezionati dei giochi di guerra in quanto tali, cioè dei classici wargames, ma alcuni giochi in cui la guerra ha fatto da tema portante alla simulazione dello scenario del tavoliere. Ciò che si è voluto affrontare, infatti, è il modo in cui la guerra, nel nostro specifico caso la Grande Guerra, è entrata come tematica trainante anche nei giochi, soprattutto in quelli da tavolo e specificatamente in quelli dell’Oca durante il tragico periodo della Prima Guerra Mondiale. Va detto innanzitutto che non tutti i giochi che simulano la guerra sono da considerarsi wargames: esiste una sostanziale differenza tra un qualsiasi gioco da tavola tematizzato con ricostruzioni legate all’attività bellica e i reali giochi di guerra, per i quali le regole, le tattiche e la simulazione stessa, segue una prassi specifica. Uno wargame segue una meccanica di gioco rigida: l’elemento casuale è pressoché assente e più che altro legato all’aspetto statistico, le regole sono tanto più complesse quanto più la ricostruzione storica è realistica, il tempo di gioco è tra i più lunghi della grande famiglia dei giochi da tavola. Un gioco tematizzato con il tema della guerra, invece, pur mantenendo regole e struttura diverse dall’impianto tipico degli wargames, è in grado di trasmutare lo scenario raccontato nel proprio tavoliere in una vera e propria competizione, in una battaglia ricostruita dettagliatamente o puramente inventata: è diventato, perciò, “di guerra” sia il Gioco dell’Oca, sia la maggior parte dei giochi che si basano su un percorso fatto da una successione di caselle numerate. I sei tavolieri che sono stati selezionati per la realizzazione della mostra sono tre Giochi dell’Oca di impianto classico e tre varianti di gioco di percorso, con regole specifiche: nessuno dei sei è uno wargames. Che il gioco sia una delle attività umane tra le più antiche è dato certo, come lo è la consapevolezza che proprio tramite il gioco sia possibile tracciare la storia di una civiltà: i giochi fanno parte di quegli oggetti e di quelle azioni in grado di ricostruire la vita sociale, i desideri, le debolezze e le virtù di un’intera società in un dato momento della sua evoluzione essendo, il giocare, una naturale disposizione umana, talmente radicata nel nostro modo di comportarci che, come sostiene Franco Milanesi, le vicende dell’homo ludens, cioè le sue invenzioni, le sue idee, gli svariati modi che ha scelto per divertirsi, s’intrecciano strettamente e da sempre a quelle dell’homo sapiens. Le funzioni del gioco sono molto evidenti nell’attività dei bambini che tramite la dimensione ludica imparano le dinamiche della vittoria e della sconfitta, dell’accettazione di regole e della competizione. Ma l’uomo non smette mai di giocare, neanche da grande: abbiamo saputo, infatti, tradurre la dimensione ludica anche nella possibilità di svagarci, nella creazione di un luogo “altro” e rilassante in cui distrarsi, ricaricarsi, dove mettere in gioco le nostre capacità, l’intelligenza, la creatività e la spinta agonistica di ciascuno. Abbiamo tracciato, cioè, i limiti spazio-temporali di un mondo delimitato e confinato in una diversa dimensione, quella ludica appunto, in grado di produrre situazioni impreviste e che esercitano un forte richiamo e coinvolgimento emotivo su tutti noi. La forma di un gioco dipende dallo strutturarsi al suo interno di leggi di organizzazione (le regole, per intendersi) che permettono al gioco stesso d’essere riconosciuto all’interno dalla società, proprio per questo suo ben definito bagaglio di distinguibili caratteristiche: nel momento in cui le regole entrano a far parte della natura del gioco, diventandone inscindibili, lo istituzionalizzano e lo rendono un fecondo strumento all’interno della cultura. Il gioco, in pratica, nato dall’attività libera dell’uomo e come esigenza originaria di distrazione e fantasia (paidia), ha permesso di tradurre questa sua potenza primaria nel progetto di un oggetto-gioco, in cui l’incontro tra il gusto per le difficoltà, il lusus, e la creazione delle regole, ne hanno formalizzato la struttura. Grazie a questa sua forma, il gioco acquisisce, quindi, una vera esistenza istituzionale ed in quanto “istituzione”, ha modo di collocarsi nella rete significante della realtà, e di vedersi attribuita una funzione civilizzatrice. È proprio in rapporto a questa sua funzione che il gioco acquista il suo pieno valore culturale: dal momento che la sua utilità è determinata dalla capacità di soddisfare particolari bisogni umani, esso assume un valore d’uso sociale che genera, CENTRO STUDI VALLE IMAGNA DELEGAZIONE DI BERGAMO

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Giocavamo alla guerra Giochi di percorso, propaganda e conquiste nei primi conflitti del Novecento

di Isabella Patti

Argomento scottante in tutte le sue forme, la guerra rimane da sempre anche un tema molto attraente: sarà perché è una paura ancestrale del genere umano, sarà perché ci esprimiamo e ci formiamo anche tramite i conflitti con gli altri, resta il fatto che parlare di guerra, e soprattutto giocare alla guerra, è un’attività che è sempre piaciuta e piace a buona parte del genere umano. Il tema centrale di questo articolo e della relativa mostra dal titolo Giocavamo alla guerra - Giochi di percorso, propaganda e conquiste nei primi conflitti del Novecento sono alcuni giochi di percorso realizzati nei primi due decenni del secolo scorso, ma soprattutto l’analisi di una determinata progettualità ludica, quella legata al mettere “la guerra in gioco”, cioè l’attività sottesa alla tematizzazione bellica di alcuni giochi di tracciato a caselle, comunemente definiti giochi di percorso. Per la realizzazione della mostra non sono stati selezionati dei giochi di guerra in quanto tali, cioè dei classici wargames, ma alcuni giochi in cui la guerra ha fatto da tema portante alla simulazione dello scenario del tavoliere. Ciò che si è voluto affrontare, infatti, è il modo in cui la guerra, nel nostro specifico caso la Grande Guerra, è entrata come tematica trainante anche nei giochi, soprattutto in quelli da tavolo e specificatamente in quelli dell’Oca durante il tragico periodo della Prima Guerra Mondiale. Va detto innanzitutto che non tutti i giochi che simulano la guerra sono da considerarsi wargames: esiste una sostanziale differenza tra un qualsiasi gioco da tavola tematizzato con ricostruzioni legate all’attività bellica e i reali giochi di guerra, per i quali le regole, le tattiche e la simulazione stessa, segue una prassi specifica. Uno wargame segue una meccanica di gioco rigida: l’elemento casuale è pressoché assente e più che altro legato all’aspetto statistico, le regole sono tanto più complesse quanto più la ricostruzione storica è realistica, il tempo di gioco è tra i più lunghi della grande famiglia dei giochi da tavola. Un gioco tematizzato con il tema della guerra, invece, pur mantenendo regole e struttura diverse dall’impianto tipico degli wargames, è in grado di trasmutare lo scenario raccontato nel proprio tavoliere in una vera e propria competizione, in una battaglia ricostruita dettagliatamente o puramente inventata: è diventato, perciò, “di guerra” sia il Gioco dell’Oca, sia la maggior parte dei giochi che si basano su un percorso fatto da una successione di caselle numerate. I sei tavolieri che sono stati selezionati per la realizzazione della mostra sono tre Giochi dell’Oca di impianto classico e tre varianti di gioco di percorso, con regole specifiche: nessuno dei sei è uno wargames.Che il gioco sia una delle attività umane tra le più antiche è dato certo, come lo è la consapevolezza che proprio tramite il gioco sia possibile tracciare la storia di una civiltà: i giochi fanno parte di quegli oggetti e di quelle azioni in grado di ricostruire la vita sociale, i desideri, le debolezze e le virtù di un’intera società in un dato momento della sua evoluzione essendo, il giocare, una naturale disposizione umana, talmente radicata nel nostro modo di comportarci che, come sostiene Franco Milanesi, le vicende dell’homo ludens, cioè le sue invenzioni, le sue idee, gli svariati modi che ha scelto per divertirsi, s’intrecciano strettamente e da sempre a quelle dell’homo sapiens. Le funzioni del gioco sono molto evidenti nell’attività dei bambini che tramite la dimensione ludica imparano le dinamiche della vittoria e della sconfitta, dell’accettazione di regole e della competizione. Ma l’uomo non smette mai di giocare, neanche da grande: abbiamo saputo, infatti, tradurre la dimensione ludica anche nella possibilità di svagarci, nella creazione di un luogo “altro” e rilassante in cui distrarsi, ricaricarsi, dove mettere in gioco le nostre capacità, l’intelligenza, la creatività e la spinta agonistica di ciascuno. Abbiamo tracciato, cioè, i limiti spazio-temporali di un mondo delimitato e confinato in una diversa dimensione, quella ludica appunto, in grado di produrre situazioni impreviste e che esercitano un forte richiamo e coinvolgimento emotivo su tutti noi. La forma di un gioco dipende dallo strutturarsi al suo interno di leggi di organizzazione (le regole, per intendersi) che permettono al gioco stesso d’essere riconosciuto all’interno dalla società, proprio per questo suo ben definito bagaglio di distinguibili caratteristiche: nel momento in cui le regole entrano a far parte della natura del gioco, diventandone inscindibili, lo istituzionalizzano e lo rendono un fecondo strumento all’interno della cultura. Il gioco, in pratica, nato dall’attività libera dell’uomo e come esigenza originaria di distrazione e fantasia (paidia), ha permesso di tradurre questa sua potenza primaria nel progetto di un oggetto-gioco, in cui l’incontro tra il gusto per le difficoltà, il lusus, e la creazione delle regole, ne hanno formalizzato la struttura. Grazie a questa sua forma, il gioco acquisisce, quindi, una vera esistenza istituzionale ed in quanto “istituzione”, ha modo di collocarsi nella rete significante della realtà, e di vedersi attribuita una funzione civilizzatrice. È proprio in rapporto a questa sua funzione che il gioco acquista il suo pieno valore culturale: dal momento che la sua utilità è determinata dalla capacità di soddisfare particolari bisogni umani, esso assume un valore d’uso sociale che genera,

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a sua volta, effetti appartenenti sia alla sfera intellettuale, sia alla sfera sensibile ed emotiva. Le origini dei giochi di percorso sono antichissime: già nel 2.650 a.C. i Sumeri giocavano al Gioco Reale di Ur, e esempi di tavolieri su cui si facevano muovere delle pedine mosse in base al lancio di dadi ci sono arrivati dalla tradizione sumera, cretese, egizia, greca e romana. I Greci, per esempio, usavano già una specifica parola che indicava tutti i giochi che si facevano con le pedine, i petteia (da sassolino) per i quali occorreva bravura e arguzia che si opponevano ai kubeia, i giochi da tavolo con i dadi, basati sull’azzardo. Tutti questi giochi si giocavano su un plinthion, un generico tavolo che faceva da base d’appoggio. Dopo l’esplosione di popolarità che i giochi da tavolo ebbero nel periodo romano, grazie al fatto che l’otium latino era inteso generalmente come attività ludica e come svago, sia individuale che pubblico, assistiamo a una vera e propria eclissi del gioco che durerà moltissimi anni, almeno dalla fine dell’Impero Romano fino a tutto il XII secolo. Di tutto questo lungo periodo ci sono pervenuti pochissimi reperti e testimonianze che sembrerebbero provarci come, tutto ad un tratto, la società abbia smesso di considerare il gioco, almeno come attività culturalmente condivisa, e di giocare.Sarà nel successivo periodo basso-medioevale che il gioco, in forme del tutto nuove e soprattutto nella sua veste legata all’azzardo, si diffonde di nuovo e in maniera straordinaria: dai giochi con i dadi a quelli con le carte, sembra che l’homo ludens basso-medievale abbia dominato, invece, la società in cui ha vissuto giocando e scommettendo. All’universo ludico medievale, che era circoscritto, però, alle bische e ai luoghi nascosti dei sobborghi cittadini, si sostituisce, a partire dal XIV secolo, il “giocare” delle corti rinascimentali, un universo popolare e trionfale che attirò sostenitori ovunque e che aprì le porte della ribalta sociale al gioco, permettendo di tracciarne una vera e propria identità universalmente condivisa.Le tracce documentate dei primi tavolieri con percorsi a spirale, suddivisi e numerati, risalgono, quindi, non prima del XVII secolo: la loro rapida e ampia diffusione in tutti i paesi europei è stata certamente favorita dalla semplicità delle regole di alcuni giochi (quello dell’Oca soprattutto), ma anche dalle possibilità, quasi infinite, di realizzare varianti legate al tema, e quindi alla funzione simbolica del percorso stesso, quasi sempre inteso come una chiara metafora della vita. In questa specifica categoria di giochi, è impossibile (o quantomeno, poco conveniente) separare “la forma dalla funzione”, dato che sia l’una che l’altra tendono spesso a sovrapporsi o a condizionarsi: la forma, cioè l’aspetto grafico, strutturale ed estetico del gioco si innesta sui suoi significati simbolici, andando a creare un unicum che, spesso, proprio nella fortunata commistione di questi elementi, ha trovato il suo successo. Esattamente come un oggetto progettato in base all’uso che ne sarà fatto, un oggetto di Design diremo, i giochi di percorso più longevi, cioè quelli che hanno riscosso nei secoli maggior successo, sono dipesi dal grado di riuscita della coesione dei contenuti in essi confluiti. I sei tavolieri selezionati per la mostra Giocavamo alla Guerra sono esempi molto interessanti se inseriti in questa chiave di lettura: il gioco dell’Aquila su tutti ha una straordinaria potenza comunicativa, frutto della riuscita progettuale del gioco stesso che coniuga il valore delle immagini, il loro significato, la forma, i colori stessi e la struttura, in maniera eccelsa. La lettura di questi tavolieri ha preso avvio dal metodo di Roger Caillois, uno dei massimi esponenti della Storia dei giochi, e dalle quattro categorie che egli ha teorizzato alla metà del secolo scorso per dare una generale regolamentazione ai giochi: imitazione, vertigine, competizione e caso. Secondo tali classificazioni, i giochi di percorso andrebbero collocati nella categoria del caso, detta alea: tale definizione, però, che prende in esame solo la casualità come motivo fondante dei giochi di percorso, tralascia dati fondamentali alla loro lettura. Nei giochi di alea di Callois, in f a t t i , il giocatore non può, e non vuole, decidere nulla ma lascia che sia il caso a guidarlo: la sorte resta l’unica a decidere le avversità o le fortune dei giocatori che altro non devono fare se non aspettarne, trepidanti, il verdetto. Nei giochi di alea si tende a creare, perciò, un mondo assolutamente artificiale, dove la regola del non “esserci niente di regolato” ma tutto lasciato al caso, sembra un tentativo di voler sostituire alla normale confusione dell’esistenza umana una condizione di assoluta uguaglianza, pur se di fronte al caso. I nostri giochi di percorso, quindi, alla stregua della roulette e delle lotterie, altro non sarebbero che un sistema regolato per evadere dal mondo, “facendolo” altro. La lettura iconografica dei giochi della mostra, quindi, ha inteso superare l’idea iniziale di Caillois per ricondurre i giochi di percorso non solo al loro essere legati alla fortuna, ma a quel mondo artificiale, instancabilmente rappresentato sul tavoliere del gioco e oggettivato, tramite un inesausto sforzo espressivo e comunicativo, nell’estrema varietà di dei differenti disegni, percorsi e premi adottati. La funzione dei giochi di percorso in genere, infatti, appare estremamente legata alla loro rappresentazione figurata: è innegabile che si debba tenerne conto in maniera predominante in una lettura significativa come ci siamo premessi di fare. Ecco allora che una seconda categoria approntata da Caillois, la mimicry, tradotta comunemente con il termine di imitazione, ci porta direttamente al significato più avvicinabile a quello di finzione: la mimicry è un esclusivo procedimento di mimetismo, proprio di coloro che giocano “credendo di essere un altro”. Lo storico stesso fa riferimento ai giochi illusionistici, dove finge il prestigiatore e dove finge lo spettatore nel credere a ciò che sta vedendo. Questa categoria, quindi, ha uno specifico significato d’illusione, in quanto rappresentazione simulata di una realtà che tale non è. Nel contesto dei giochi di percorso, quindi, è necessario parlare di imitazione e non di finzione, riferendosi a tutta quella serie di convenzioni e di norme culturali che regolano la percezione dell’immagine relativa alla rappresentazione figurata del gioco. In pratica, la mimicry di cui si serve Caillois serviva a designare esclusivamente l’azione e l’atto del giocare fingendo, mentre il concetto di imitazione a cui ci riferiamo per i giochi di percorso, definisce la scelta della figurazione stessa del gioco: è l’imitazione del reale che decide il tema trattato e le immagini adottate diventano l’illustrazione stessa del gioco, intesa, quest’ultima, come modello che in base a tipici segni grafici riproduce al suo interno uno schema di forme comuni. Il gioco assume in tal modo anche una convenzione figurativa il cui carattere non è mai una semplice replica del modello reale, ma piuttosto una sua equivalente trasfigurazione. L’intento del gioco, la sua funzione, il suo compito sociale, risiedono, perciò, in questo suo comunicare un messaggio che, intessuto nella forma propria del gioco stesso, permette al giocatore un’attività intellettiva, ed al contempo sensibile, collegata al divertimento. D’altra parte il fine conoscitivo e didascalico delle immagini è legato al fatto che esse si prestano ad essere un veicolo eccezionale di comunicazione per cui, come dice l’astronomo Josif Sklovskij, esse sono “un modo di conoscere e non solo di riflettere un fenomeno”. Si può dire, perciò, che i giochi di percorso trovano la loro caratteristica principale nella pratica ludica dell’imitazione e

nella coniugazione di un atto “fortunato” speculare al reale. La segmentazione iconografica, inoltre, appare più seducente quanto più le immagini visualizzano precisi valori culturali e sociali, privilegiando quindi anche quegli elementi che possono assumere un’immediata capacità informativa del giocatore. In questa rappresentazione della realtà il comportamento irreale (cioè ludico) viene rappresentato in un comportamento reale (la tavola), il divertimento del giocatore consiste nello spostarsi continuamente “nel regno dell’appartenenza e dell’irrealtà”. La successiva funzione sociale di questo divertimento, risiede nell’apprendimento, per mezzo dell’atto ludico, di valori morali ed intellettuali di una data cultura, ed al contributo che il gioco stesso può apportare alla loro successiva definizione e al loro sviluppo.Queste le premesse per analizzare più da vicino i giochi selezionati per la mostra Giocavamo alla Guerra per i quali il primo spunto riflessivo è stata ricondotto alle finalità propagandistiche proprie delle tavole ad argomento politico e militare. A partire dalla fine dell’Ottocento, infatti, l’utilizzo dei giochi di percorso, e soprattutto del gioco dell’Oca, soggiace al bisogno della classe dominante di ottenere l’appoggio del popolo all’attività bellica promossa. Con il nuovo secolo alle porte, infatti, si rinforzano le idee nazionalistiche dei paesi europei ed i giochi diventarono chiari messaggi di una forte propaganda politica, ideologica e militare. Non più le tavole sontuose di celebrazione dei fasti della nazione, tipiche della Francia napoleonica e ottocentesca, e neanche i giochi aggraziati dove l’intento pedagogico traspariva dalle caselle figurate, ma tavole aggressive e militaristiche, fautrici dei movimenti ideologici che poi sfociarono nella prima Guerra Mondiale. Il Fascismo, soprattutto, sfruttò l’attrattiva di questi giochi, producendo tavole di indubbio valore artistico: in esse, il messaggio di propaganda si miscelava ad una calibrata scelta di immagini e didascalie. Un continuo rimando all’ideologia fascista, tramite un utilizzo inesausto delle immagini del Duce, delle imprese del ventennio, dell’eroe-balilla, della figura del milite indomito. Grande è stato, infatti, il valore dato ai giochi come strumento di propaganda indirizzata, soprattutto, ai bambini e agli adolescenti: a partire dal primo dopoguerra, essi furono realizzati in numero sempre maggiore tanto che, ormai un po’ come dei veri e propri messaggi scritti, diventano manifesti di ideali politici e sociali. A volte in maniera evidentissima, altre in maniera poco più che sommessa, gli ideali, i motti politici, gli slogan prendono campo nel tavoliere del gioco. A partire dal Secondo Dopoguerra i giochi di percorso a tema militare avranno, però, una brusca battuta d’arresto ed iniziano a diminuire drasticamente, venendo stampati sempre meno; troviamo qualche tavola realizzata in epoca recente dai partiti politici durante la propaganda elettorale o a scopo puramente pubblicitario.

IL GIOCO DELL’AQUILA Autore: non indicato Anno: 1917 Luogo: Milano, Italia Gioco di percorso: 63 caselle numerate Materiale: carta Dimensioni: 620 x 484 Dimensioni confezione: 250x165 Stampa: Tricromia Categoria: giochi militari e di propaganda Editore: a cura del Comitato delle Patronesse dell’Assistenza Pubblica Milanese, Milano via Laura Mantegazza, Stampatore: non indicato Proprietario: P. Castellani

DescrizioneIl gioco è rilegato a libro: ripiegato su sé stesso in otto parti e contenuto da una copertina di cartoncino. Sulla prima pagina di copertina troviamo scritto in alto il titolo del gioco, Il Gioco dell’Aquila, con disegnate sul lato destro un’oca a due teste e sul sinistro un’aquila a due teste, entrambe appollaiate su un ramo che funge da trespolo, e immerse in uno scenario campestre. Al centro della pagina vi è un breve componimento di otto distici in rima baciata dove è narrato con sagace ironia il perché della scelta di contrapporre l’oca e l’aquila. In fondo alla pagina troviamo il riferimento alla stampa del gioco: edito per cura dell’Assistenza pubblica milanese - Milano via Mantegazza, 3. Nell’ultima pagina di copertina, sul retro, vi è stampato il costo, prezzo lire una, ed in basso a destra il luogo della casa editrice, cioè Varese – Arti Grafiche Varesine. Il gioco è fra i più belli rinvenuti nella collezione Castellani: la struttura del gioco è quella classica del gioco dell’oca, cioè 63 caselle poste a spirale ellittica, al centro della quale, sopra una vittoria alata ed il tricolore, troviamo le regole del percorso; ogni casella è composta da un’immagine che sormonta un breve pensiero scritto. Ai lati della spirale compaiono quattro raffigurazioni, tra le quali la più arguta è sicuramente quella posta in alto a sinistra che rappresenta un soldato italiano con in braccio una baionetta, sopra il quale campeggia la scritta i soldi che nel giuoco hai guadagnati, versali per la lana dei soldati e non a caso il soldato appare ben coperto da una divisa d’ordinanza completa di guanti e cappello. Sempre in alto a destra vi è lo stemma della Pubblica Assistenza Milanese, in basso a destra l’Oca con due teste, a sinistra l’Aquila ed entrambe reggono un vessillo con scritto: Questo è il gioco dell’aquila sotto mentita veste, resta il gioco dell’oca, l’oca con due teste. Le caselle del gioco sono tutte realizzate con raffigurazioni legate alla guerra ed alla realtà politica della Prima guerra mondiale. La casella 2, per esempio, mostra un soldato che parte per il fronte e lascia i figli a casa per difendere la Grande M adre Italia: è questo il giusto incipit del gioco che propone ai figli che restano a casa a giocare, come essi possono

contribuire affinché quel soldato torni vittorioso dalla battaglia. Le caselle 5, 9, 14, 18, 23, 27, 32, 36, 41, 45, 50, 59, tradizionalmente dedicate alle oche, raffigurano, invece, sempre l’aquila a due teste che viene derisa per essere un animale stolto, debole e pauroso. Singolare la scritta della casella 46 ogn’altra veste par frivola e vana: questa si ch’è la moda italiana con raffigurata una volontaria della pubblica assistenza che, insieme alle caselle dove troviamo l’alpino, il bersagliere, il milite volontario ed il prete, restituiscono un piccolo ma riassuntivo spaccato della moda della realtà italiana in guerra.

ContenutoQui non s’intende l’aquila che, con superba penna, sale fin quasi al sole, ma l’aquila di Vienna, troviamo scritto nel breve componimento in copertina; questa aquila di Vienna sotto mentita veste altro non è che il simbolo dell’impero austro-ungarico contro il quale l’Italia era scesa in guerra nel maggio del 1915.Dopo due anni, nel 1917 (data di edizione del gioco) la battaglia, destinata ormai a non risolversi più in un “lampo” come il governo italiano aveva predetto ai suoi cittadini (tutti a casa per Natale era lo slogan), mette a dura prova le casse dello stato che, per di più, si era trovato a doversi organizzare in maniera del tutto nuova per adeguare il proprio esercito alle esigenze dello sforzo bellico. Per questo lo Stato aveva cominciato a chiedere agli italiani di sottoscrivere alcuni prestiti obbligazionari per sostenere la guerra, la cosiddetta propaganda del Prestito, e rastrellava i risparmi del pubblico, mobilitando l’economia nella continua ricerca di fondi anche tramite raccolte di denaro, d’oro e d’argento, ma anche vestiario, utensili e tabacco da impiegare nella costosissima macchina bellica. Come accaduto alla fine dell’Ottocento, si sceglie il gioco con la funzione di essere un manifesto, come un messaggio di forte propaganda politica e culturale. Il Ministero del Tesoro italiano ne comincia a fare largo uso per propagandare la campagna del prestito allo stato unitamente alla campagna del patriottismo: si chiedeva ai cittadini di donare soldi e quant’altro di utile ai soldati, ed in cambio dell’eroico gesto venivano regalati loro bandierine, gagliardetti ed anche, appunto, giochi dell’Oca. Questo gioco rientra proprio nelle iniziative promozionali per la guerra: promosso ed edito a cura della Pubblica Assistenza milanese, era rivolto alle famiglie ed ai bambini perché contribuissero alla causa bellica, donando le somme raccolte al gioco. La situazione dei soldati italiani al fronte, infatti, era difficile, ma assai più lo era quella dei nostri prigionieri di guerra in Austria: l’Italia, infatti, al contrario dell’Inghilterra e della Francia, non aveva firmato il concordato con l’Austria, cosa che avrebbe consentito anche ai prigionieri di guerra italiani, di avere garantita una, se pur minima, assistenza. Non avendo accettato di firmare, l’Italia si trovava con migliaia di prigionieri in terra austriaca che morivano di fame e di freddo ed in una situazione disperata. La Pubblica Assistenza milanese si occupava proprio di reperire fondi per mandare aiuti, coperte e viveri ai prigionieri. Il paragone con i giochi del secolo precedente, soprattutto editi in Italia, è sorprendente: tutto ad un tratto, anche nei tavolieri dell’Oca italiani si “respira” un’aria che va ben aldilà delle ludiche ochette ottocentesche che si rincorrevano di casella in casella, spesso immerse in paesaggi di corse campestri o gare d’equitazione. In questa tavola non vi è violenza né una forzata drammaticità forzata, ma una rapida occhiata all’oca, così impettita ed irritata, altro non può trasmettere se non la disperazione italiana di fronte al danno bellico. Le immagini raccontano una guerra con toni non tragici e con semplicità: la viltà è punita, l’eroismo patriottico premiato, il nemico sconfitto; l’Austria è ridicolizzata nel suo atteggiamento pauroso e sciocco, quello di un’aquila che vanta due teste e non ha un solo cervello e che bestia grifagna, stolida, che squarta, sgozza, scuoia, che ha la forca per gruccia, ed ha per cuoco il boia: persa ogni maestosità, il povero volatile subisce terribile torture.

GIUOCO DELL’OCA GEOGRAFICA

Autore: non indicato Anno: 1916 Luogo: Como, Italia Gioco di percorso: 58 caselle numerate Materiale: carta Dimensioni: 500x340 Stampa: cromolitografia Categoria: giochi militari Editore: ditta Succ. L. Perego&Comp. Stampatore: S.L.P.&C. Proprietario: P. Castellani

Descrizione Il gioco è della tipologia dell’oca e conta in tutto 58 caselle. Se si cade nelle caselle 6, 26 e 37 si contano altrettante caselle come l’ultimo tiro dei dadi, regola consona alle caselle contraddistinte con l’oca nei giochi tradizionali. Al numero 13, la casella del naufragio, si sta fermi finché un altro giocatore non arriva nella stessa casella. Al 20 si attende che tutti gli altri abbiano fatto un turno di gioco, dal 30 si va direttamente alla casella di Trieste, la 42 e così via secondo. Le istruzioni sono a stampa nella parte alta del tavoliere: “Si giuoca con due dadi comuni. Il numero dei giuocatori è illimitato. Per turno ogni giuocatore getta i dadi e segna sulla presente carta, con un piccolo oggetto, il numero corrispondente. Capitando la fermata sui numeri 6, 26, e 37, ricontare altrettanti numeri quanti se ne sono contati nell’ultimo getto. Toccando la fermata sopra un

numero già occupato da un altro, mandare questo ad occupare il posto testé abbandonato. Toccando la fermata al numero 13 si naufraga e vi si resta sino a che un altro venga a darne il cambio. Toccando la fermata al numero 20 si ferma a far colazione fino a che tutti abbiano fatto un turno. Toccando la fermata al numero 30 si viaggia in ferrovia e si va direttamente a Trieste (numero 42). Se arrivando a Roma avvanzano (sic) dei numeri contarli nel retrocedere. Toccando la fermata al numero 33 (Precipizio) ricominciare da capo il gioco. Vince la partita il primo che entra in Roma con un numero preciso.”

CommentoPur essendo un’interpretazione libera del gioco dell’oca, questo tavoliere rispetta il tradizionale impianto del gioco soprattutto nella scelta della tematizione relativa all’Oca che troviamo nella parte inferiore del tavoliere, quella dedicata al “Giardino dell’Oca” la casella 0 dove si posizionano le pedine prima dell’inizio del gioco. Il gioco è stato edito poco dopo la liberazione di Trento e di Trieste del 4 novembre 1918: l’ultima casella del gioco dell’oca, infatti, la numero 42 inizia a ricondurre il giocatore verso Roma, in Italia, passando città per città, nel cuore della nostra nazione. La propaganda politica, in questo splendido gioco, è limpida e sommessa, quasi sussurrata diremmo: il braccio monco del Trentino che termina con la città di Trieste, dalla quale il giocatore spicca il volo verso Roma, la città dove chi prima arriva vince.

LE GLORIE ITALIANE

Autore: G. Gallizioli Anno: 1915 Luogo: Milano, Italia Gioco di percorso: 79 caselle numerate Materiale: carta Dimensioni: 460x630 (con cornice 470x640) Stampa: cromolitografia Categoria: giochi militari Editore: ditta Banfi Stampatore: non indicato Proprietario: P. Castellani

DescrizioneE’ un gioco di percorso che ha per tema la Guerra di Libia (1911-1912). Negli angoli troviamo: in basso a sinistra, una carta dell’Italia del Sud con i ritratti del Ten. Gen. L. Caneva, del Pres. del C. G. Giolitti, e di Sua M. Re V.E.III°”; la pubblicità “Sapone Banfi, il migliore del mondo” e la dicitura dell’editore “Prodotti Banfi, Stabilimenti Riuniti”. In alto a sinistra le regole; al centro l’immagine di un gallo che cammina sui morti Turco-Arabi e su scritta “Le glorie italiane”. All’interno del percorso i ritratti di 11 Ufficiali: Ten. Paolo Solaroli G. Lodi; Ten. Ugo Granatei Lan. Aosta + S.S.; Ten. Adolfo Corti 11° Bers. + 23 ott. Sciaras; Ten. Giuseppe Bertasso 11° Bers. + 23 ott. Sciaras.; Cap. Pietro Verri Stato Magg. + 23 ottobre a Sciaras.; Magg. Eugenio Gregori 1° reg. gran. + Tripoli; Cap. Giuseppe Bruchi + Sciarasciat; Cap. Vittorio Faitini 84° fant. + Sciaras.; Ten. Pietro Ravera + Sciaras.; Ten. Giuseppe Orsi 84° fant. + 26 ott.; Ten. Aldo Osti 1° Gran. + T. Le regole del gioco sono così descritte: “Si può giocare in qualunque numero di persone. Uno dei giuocatori farà da cassiere ricevendo una quota fissata da ognun giuocatore. Si giuoca con due dadi. Ogni giuocatore per turno getta i dadi e si mette con una pedina al posto del numero che corrisponde a questi. Chi fa 5, ritratto Aubry, salta all’ 11, Amm. Faravelli, e se alla seconda gettata si trova allo stesso posto e fa 10 con due 5 salta al 59, ritratto Amm. Viale. Chi fa 9, Polis Banfi, salta al 26, Chinina Banfi (Anticariol Banfi) . Chi va sul 13, Monumento ai Caduti, paga una posta e vi sta fermo un giro. Al 17, Cannone che spara, salta 4 numeri e se questo posto è impedito da altro giocatore ne salta altri 4 e così finchè trova il posto libero. Al 21, Gen. Ameglio, prende una posta o resta già pagato per la seguente partita. Al 31, Gen.Fara, prende il diritto di tirare un’ altra volta. Chi va sul 33 Aereoplano, salta all’altro rombo, Corazzata, e ad ogni rombo seguente si mette sul numero avanti guadagnando un numero. Al 43, Colon. Pastorelli, sta fermo un giro dei giuocatori. Al 57, Scatola Amido Banfi, paga una posta e al 58, morti Turco-Arabi, paga una posta e ricomincia in principio la partita. Chi va sul 76, Aereoplano in angolo, ritorna 3 numeri e si mette sul 73, bomba che scoppia. Al 78, Bottiglia Chinina, prende il diritto di giuocare con un sol dado per tentare di raggiungere il 79 ultimo numero e vincita del giuoco. Oltrepassando il 79 si ritorna indietro tanti numeri quanti se ne sono sorpassati”. Ritratti e raffigurazioni delle caselle: 5 - Amm. A. Aubry; 9 - Polis Banfi; 21 - (Bengasi) Gen. Ameglio (Rodi); 11 - Ammiraglio Luigi Faravelli; 26 - Anticariol Banfi; Cas. 13 - Monumento ai caduti; 31 - Gen. G.Fara; Cas. 17 - Cannone che spara; 33 - Aereoplano; 37 - Corazzata; 69 - Faro; 43 - Col. Giov. Pastorelli ferito; 73 - Bomba che esplode; p. Ainzara, m. a Tripoli 6 Dic.12; 46 - Personaggio; 74 -Carta d’Italia con ritratti di S.M. Re V.(ittorio) E.(manuele) III, Ten. Gen. L. Caneva, P.(residente) del C.(onsiglio) G. Giolitti; 51 - Soldato; 75 - Sapone Banfi il migliore de mondo; 53 - Gen. Clemente Lequio; 76 - Bombardamento aereo; 57 - Amido Banfi-Meraviglioso; 77 - Dentifricio Banfi; 58 - Morti Turco-Arabi; Cas. 78 - Chinina Banfi; 59 - Ammiraglio Viale; 79 - Corona. 62 - Soldato; 65 - Gen. Luigi Rainaldi.

CommentoLa Guerra Italo-Turca o Guerra di Libia si riferisce ai combattimenti tra le forze dell’Italia e dell’Impero ottomano tra il 28 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, per la conquista della Tripolitania e la Cirenaica. Le ambizioni imperialiste dell’Italia spinsero il Paese ad impadronirsi delle province ottomane di Tripolitania e Cirenaica, oggigiorno con il Fezzan

note con il nome di Libia, nonché dell’isola di Rodi e dell’arcipelago del Dodecaneso, di lingua greca, situato nei pressi dell’Anatolia. Nel corso di questa guerra, l’Impero ottomano si trovò gravemente svantaggiato poiché poteva rifornire il suo piccolo contingente presente in Libia solo attraverso il Mediterraneo, e nonostante possedesse una flotta moderna, anche se non numerosa, non era certo in grado di competere con la regia marina italiana e Istanbul non fu pertanto in grado di inviare rinforzi alle province d’oltremare invase. Sebbene di minore entità, la guerra costituì un passo cruciale verso la Prima guerra mondiale, poiché risvegliò un feroce nazionalismo negli stati balcanici: vedendo la facilità con cui gli Italiani avevano sconfitto i disorganizzati Turchi ottomani, i membri della Lega balcanica attaccarono l’Impero ottomano prima che la guerra con l’Italia fosse finita. La guerra Italo-Turca fu teatro di numerosi progressi tecnologici usati durante le operazioni militari, in particolare l’aeroplano. Il 23 ottobre 1911, un pilota italiano (capitano Carlo Maria Piazza) sorvolò le linee turche in missione di ricognizione, e il 1 novembre la prima bomba (grande come un’arancia) sganciata dall’aria cadde sulle truppe turche in Libia. Il gioco unisce con notevole sforzo di sintesi elementi assai eterogenei: pubblicitari, ludici, storico-didattici, patriottici. L’esito è quasi surreale, con scatole di lucido da scarpe che esplodono sui monti africani conquistati dalle truppe italiane; Giolitti, il Re e il Generale Caneva circondati da confezione di amidi; un gigantesco gallo che cammina impettito tra i cadaveri dei soldati sotto la scritta “le glorie italiane”. La mal articolazione del linguaggio simbolico del gioco rispecchia una consuetudine diffusa nell’Italia della prima Guerra Mondiale e del primo dopoguerra: quella della forzatura nel coniugare la propaganda politica a quella prettamente commerciale. La necessità di comprendere uno sponsor nei giochi di percorso, regalati o venduti che fossero, non era stata ancora sufficientemente digerita e la realizzazione dei tavolieri dei giochi di percorso, soprattutto in quelli a tema bellico, risultava spesso, e come in questo caso, caotica e alle volte ridicola.

ASSALTO AL CASTELLO DI TRENTO

Autore: Anonimo Anno: 1920-‘30 Luogo: Milano, Italia Gioco di percorso con i dadi Materiale: carta Dimensioni: 342x240 (con cornice 470x640) Stampa: cromolitografia Categoria: giochi militari Editore: Marca Aquila Stampatore: Marca Aquila Proprietario: P. Castellani

Descrizione“Spiegazione. Questo giuoco è diviso in cinque parti; la parte superiore ove sono i punti numerizzati rappresenta la Fortezza la quale contiene due difensori solamente, contro 24 assedianti che occupano le quattro parti inferiori. I due soldati assediati si pongono a loro piacimento su qualunque dei 9 punti numerizzati e gli assedianti sui 25 punti bianchi; questi non possono avanzare che sulle linee rosse diritte ed oblique e non devono retrocedere nè percorrere le linee nere. I due assediati possono non solamente percorrere le linee nere e rosse, diritte ed oblique, ma anche retrocedere e prendere come nel gioco della dama ciascun soldato assediante dietro il quale trovasi un punto vuoto, gli assedianti invece non possono prendere alcuno degli assediati ma li possono nel caso di loro negligenza nel prendere, soffiarli come nella dama. I due soldati assediati dovranno avere l’avvertenza di fare sempre ritorno nella loro fortezza perché la combinazione di questo gioco consiste nel far uscire i difensori dalla fortezza ed occupare tutti i suoi posti numerizzati.”

CommentoLe regole di questo gioco lo assimilano a un vero e proprio gioco di guerra: a metà tra le regole della dama e quelle degli scacchi, i giocatori si dividono in assediati (difensori) e assedianti e per ciascuno dei due schieramenti vi sono specifiche possibilità di mossa. Il chiaro riferimento al Castello del Buon Consiglio di Trento, uno degli edifici più conosciuti della città e tra i maggiori complessi monumentali del Trentino Alto Adige, innesta il gioco nei tragici fatti accaduti nel 1916. Cesare Battisti, cittadino austriaco di nascita, allo scoppio della prima Guerra mondiale decise di combattere per la parte italiana. Fatto prigioniero dagli Austriaci insieme a Fabio Filzi, sul monte Corno il 10 luglio 1916 fu riconosciuto, processato e, in quanto cittadino austriaco, condannato all’impiccagione per tradimento come disertore. L’esecuzione ebbe luogo il 12 luglio 1916 nel castello del Buon Consiglio a Trento. Il gioco è una trasfigurazione di un assalto da parte delle truppe austriache al baluardo difensivo dell’Italia in Guerra: non vi sono specifiche sui personaggi o ritratti di militari che realmente hanno partecipato ai fatti di sangue di Trento nel 1916, ma un dispiego di truppe assedianti che con cannoni, baionette e spade accerchiano il Castello.

GIUOCO DELLA VITTORIOSA GUERRA ITALO-AUSTRIACA 1915-1916

Autore: anonimo Anno: 1916 ca. Luogo: Milano, Italia Gioco di percorso con i dadi Materiale: carta Dimensioni: 450X700 Stampa: cromolitografia Categoria: giochi militari Editore: Gallizioli G. Proprietario: P. Castellani

DescrizioneIl gioco è di percorso con le regole simili a quelle dell’Oca ma con il tavoliere molto diverso: si segue una tracciato rosso dove sono disposte delle caselle numerate. Dal numero 76 in poi, sparisce il percorso rosso e le ultime 5 caselle sono dispo-ste da sinistra a destra del gioco, in alto e terminano nelle città di Vienna. Regola del giuoco: “A questo giuoco non è fissato il numero delle persone, e si giuoca con due dadi e una pedina per ciascun giocatore. Prima di incominciare ogni giuocatore pagherà una quota da convenirsi. Uno comincia a gettar i dadi e così gli altri, e chi fa il maggior numero incomincia pel primo. Il primo quindi getta i dadi e mette la pedina al posto corrispondente al numero ottenuto da questi, proseguendo poi anche gli altri così successivamente. Chi fa due Bergamo parte subito per S. Pellegrino e guadagnando un numero si mette sul 3 S. Pellegrino. Chi fa 10 Gardone parte per il confine e si mette sul 12 Tirano e chi 12 Tirano esplora il confine e si mette sul 15 Edolo, protetto dal soldato alpino con la baionetta; sempre però sottinteso nella prima gettata. Nel giro del giuoco che è segnata la strada con riga rossa, chi capita sul 18 Peschiera sta fermo un giro, gettata giuocatori, per esaminare la fortezza. Chi va sul 46 Cervignano, primo paese conquistato prende diritto di gettare i dadi un’altra volta, chi va invece sul 47 Grado salpa per Trieste e si mette sul 45 detta città. Chi va sul 58 Orsera vicino a Pola, torna in principio del giuoco e chi va sul 59 Pola salta al 77 bersaglieri ciclisti in marcia alla volta di Vienna. Arrivati al 61 Fiume ultima città del litorale si prosegue pel Trentino col 62 Riva. Chi va sul 76 alpini alla baionetta paga una quota come in principio del giuoco per le spese dell’assalto. Chi va a Lubiana penultimo numero prende il diritto di giuocare con un dado solo per fare 1 e arrivare a Vienna 81 vincita del giuoco ritirando la somma del banco”.

Commento “Fronte italiano” (talienfront o Gebirgskrieg, “guerra di montagna”) è il nome dato all’insieme delle operazioni belliche com-battute tra il Regio esercito Italiano e i suoi Alleatti contro le armate di Austria-Ungheria e Germania durante la prima Guerra Mondiale. Queste operazioni si svolsero nell’Italia nord orientale, lungo le frontiere alpine, e lungo il fronte del fiume Isonzo a partire dal 23 maggio 1915, giorno di dichiarazione di guerra italiana all’Austria-Ungheria. Questo conflitto, conosciuto in Italia anche con il nome di “guerra italo-austriaca”, o “quarta guerra di indipendenza”, vide l’Italia impegna-ta a fianco alle forze della Triplice Intesa contro gli Imperi centrali e in particolare contro l’Austria-Ungheria, dalla quale avrebbe potuto acquisire il Welschtirol (l’attuale Trentino), Trieste e altri territori quali il Sud Tirolo, l’Istria e la Dalmazia. Nonostante l’Italia intendesse sfruttare l’effetto sorpresa per condurre una veloce offensiva, volta ad occupare le principali città austriache, il conflitto si trasformò ben presto in una sanguinosa guerra di posizione simile a quella che si stava com-battendo sul fronte occidentale. Con la vittoria italiana nella battaglia di Vittorio Veneto il 30 ottobre 1918 l’Impero Austro-Ungarico chiese l’armistizio, che entrò in vigore il 4 novembre. Il gioco è disseminato di immagini militari: un drappello di alpini e bersaglieri, cannoni puntati verso l’Austria, militari posizionati nelle città italiane strategiche, stemmi e bandiere, tut-to a creare lo scenario di guerra del fronte italiano, il più veritiero possibile. Come una sorta di antenato del Risiko!, il Giuoco della Vittoriosa Guerra Italo-Austriaca è una scenografia perfetta per immaginare gli schieramenti e le posizioni di difesa dei militari italiani. Il risultato è ottimo: la propaganda politica è chiara e forte, ma il “nemico” pressoché assente (se non nell’immagine del soldato che scappa abbandonando la baionetta in terra, che compare nella casella a destra delle regole).

GIOCO DELLA CORSA IN TRIPOLITANIA

Autore: Anonimo Anno: 1920 Luogo: Milano, Italia Gioco di percorso con i dadi Materiale: carta Dimensioni: 630X420 Stampa: cromolitografia Categoria: giochi militari Editore: Tip. Lit. Cesari & Bossi, viale Magenta, 62 Costo: 0,60 lire Proprietario: P. Castellani

DescrizioneE’ un gioco di percorso che si distribuisce dall’alto verso il basso tramite una sorta di raggio solare (una “pista” come definita nelle regole) che parte dalla città di Bergamo e arriva, allargandosi man mano su tutta l’Italia, fino a Bengasi e a illuminare la bandiera italiana, che è la casella finale, la numero 53. In alto a destra ci sono le regole del gioco, a sinistra il simbolo della tipografia Cesari & Bossi, in basso immagini del porto di Tripoli e di quello di Bengasi. Sui lati compare la leggenda delle caselle numerate con la descrizione degli oggetti, animali e città presenti nel gioco. Regole del giuoco: “al gioco possono prender parte qualunque numero di giocatori, fra questi, uno farà da cassiere, prendendo da ognuno una quota da convenirsi che formerà il premio del primo arrivato. Si gioca con due dadi e si può fare in due modi, e cioè: chi prima arriva alla bandiera in Tripolitania N. 53 a tutto correre, o che fa il N. 53 e retrocedendo altrettanti numeri quanto ne ha sorpassati fino a fare il numero preciso. Quindi s’incomincia, gettando però prima da ognun giocatore i dadi e chi farà più comincerà per primo. I concorrenti portano tutti un numero, bestie, uomini, cose, ed un numero pure lo portano le principali città d’Italia. La partenza è da Bergamo, prima bandiera in cima all’Italia, col N. 1, Gambero, e ogni giocatore per turno getta i dadi e mette la sua pedina al numero corrispondente da questi, proseguendo poi successivamente”. Dei casi e degli accidenti: “Chi fa 2 - Milano - salta al 6 - Genova -, chi fa 6 - Genova - salta all’8 - Pulcino, mettendosi in pista cioè sulla luce. Chi fa 7 Rana salta al 10 Firenze e chi fa 10 suddetta, parte subito per Roma e si mette, al 19. Trovando i numeri oc-cupati gli altri tornano al posto dell’occupante. Chi va sul 13 Gallina, paga una posta come in principio del gioco e chi va al 19 - Roma Capitale - ritira una posta o resta già pagato per la partita seguente. - Chi va in barca, N. 18 si ferma un giro dei giocatorie chi va al 26, Carrozza, altrettanto. Chi arriva al N. 52, - Bengasi ha diritto di giuocare con un solo dado per arrivare al 53 Bandiera Italiana e vincita del giuoco giuocando come si è detto sopra al secondo modo”.

CommentoIl gioco, nelle sue regole, assomiglia molto a un comune gioco dell’oca, se non fosse per l’insolita disposizione delle ca-selle: è una sorta di “illuminazione” della colonia Tripolitania, una delle due colonie italiane in terra libica. Creata dopo la guerra italo-turca, nel 1934 confluì nella Libia italiana. Il primo ministro italiano Giovanni Giolitti iniziò la conquista della Tripolitania e della Cirenaica il 4 ottobre 1911, inviando a Tripoli contro l’Impero Ottomano 1.732 marinai al comando del capitano Umberto Cagni. Oltre 100.000 soldati italiani riuscirono a ottenere dalla Turchia quelle regioni attualmente definibili libiche nel Trattato di Losanna del 18 ottobre 1912, ma solo la Tripolitania fu effettivamente controllata dal Re-gio esercito italiano, sotto la ferrea guida del governatore Giovanni Ameglio. Nell’interno dell’attuale Libia, principalmente nel Fezzan, la guerriglia indigena continuò per anni, a opera dei turchi e degli arabi di Enver Pascià e di Aziz Bey. In questa zona, negli anni successivi alla fine della Prima Guerra Mondiale, la Francia e la Gran Bretagna cedettero alla sovranità Italiana ampi territori desertici, nel tentativo di spegnere le polemiche di Roma sulla cosiddetta vittoria mutilata.Il gioco gode di un tavoliere insolito e indovinato per lo scopo propagandistico che lo sottende: il raggio di luce che arriva ad illuminare i territori libici sembra portare con se, insieme all’esercito italiano di cui nel gioco non vi è, però, traccia, la modernità. Le caselle dedicate al treno, all’autovettura, ai piroscafi, alla motocicletta, al tramway, sembrano realizzate per significare il lento, ma inesorabile, scorrere del progresso italiano verso i territori da colonizzare. La scelta di riportare anche caselle con immagini di cose e di animali potrebbe essere stata fatta per mascherare l’intento propagandistico ed espan-sionistico del gioco, e in effetti l’insieme delle caselle risulta “ammorbidito” dalle immagini che esulano da quelle legate all’attività bellica. Nel gioco non compare volutamente nessun militare, né cannoni o baionette.

Si ringraziano inoltre

GIOCAVAMO ALLA GUERRA

Giochi di percorso, propaganda e conquiste nei primi conflitti del Novecento

Galleria Santa Marta n. 1, angolo via Crispi - Bergamo

4 febbraio - 4 marzo 2015Da martedì a venerdì:15.30-18.30; sabato e domenica: 10.30-13.00; 15.30-18.30

Al mattino su prenotazione: tel. 035247490 - E.mail: [email protected]

L’iniziativa, proposta dal Centro Studi Valle Imagna, si inserisce nel programma Sembrava tutto grigioverde. Bergamo e il suo territorio negli anni della Grande Guerra predisposto dall’Ateneo di Scienze, Lettere a Arti di Bergamo.

Si ringraziano la dr.ssa Isabella Patti per lo studio Venti di guerra nei giochi popolari di percorso in uso nei primi lustri del Novecento e il signor Castellani, collezionista e detentore del prezioso patrimonio documentario esposto in copia.