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TVDI MEDIEVALISERIE TERZA

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CENTRO ITALIANO DI STUDI SULL'ALTO MEDIOEVO

SPOLETO

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ANDRE, GU1LLOU P L . X X V I

B ro n z e b as i n : p h o t o Gab i n e t t o F o t o gra f i co N az i o n a l e , R o rn e .

Dai possessori dell'età carolíngíaagli esercítalí dell'età longobarda

I . — I LONGOBARDI DI LIUTPRANDO. II. — Exercita les E l iberi homirtes.

I I I . — L'ESERCITO DEI vir i devo t i . IV. — LA NOZIONE DI ARIMANNO.

V. — PREFEUDALISMO LONGOBARDO?

L'analisi di capitolari, diplomi e carte, redatti in Italia nelDc secolo, ci ha consentito di stabilire un nesso insieme robusto eflessibile fra il normale servizio dovuto ai re carolingi e alle chieseda una gran parte dei liberi, la tradizione militare del popolo lon-gobardo, persistente nella forma di una consuetudo non rigida, ela presenza di un ceto di possessori per 19 più modesti, indicati spes-so dalle fonti come pauperes, ma sempre forniti di una qualche baseeconomica in quanto allodierí o livellari (i). Di questa classè sociale,definita luogo per luogo - entro il più vasto ceto degli uomini giu-ridicamente liberi - da una convergenza di condizioni economi-che e di obblighi pubblici e di tradizioni di popolo e di famiglia (2) ,abbiamo indicato, sulla scorta del nome arimannico che la contrad-distinse in età carolingia, le successive vicende: la disgregazionee la trasformazione, secondo le zone e gli ambienti, in gruppi citta-dini egemonici, in nuclei militari di castello, in comunità rurali in-traprendenti, in consorzi aggravati da oneri quasi servili verso glieredi del potere comitale (3) . Ma il nome arimannico è in pari "tem-po un chiarissimo invito a risalire dall'età carolingia alle origini diuna tale classe sociale in età longobarda. Le fonti longobarde con-sentono di rispondere all'invito ?

) 0. TABACCO, i liberi del re nell'Italia carolingia e postcarolingia, Spoleto, 1966 (Bi-bl ioteca degl i . Studi Medieval i , Il ), pp. 85-87, 103-106, 139-140.

(2) ID. , Il regno italico nel secoli IX-XI, In Ordinamenti militari in Occidente nell'alto me-dioevo (XV Settimana di studio del Centro di studi sul l 'al to medioevo), Spoleto, 1968, pp.766-771.

(3 ) ID . , / liberi di . , pp. 144-165.

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222 GIOVANNI TABACCO

Si consideri il quinto capitolo della Notitia de actoribus regis,emanata nel 733 da Liutprando per proteggere l'incolumità dellecorti regie dalle usurpazioni degli estranei e dalla negligenza e dal-la corruzione degli actores ( 4 ) . Il re ordina « ut nullus presumat necda servo nec da aldione nostro aliquid emere »: chi abbia fatto unsimile acquisto « de servo aut de aldionem vel a pertinente de curtenostra », dovrà restituirlo, perdendo il prezzo pagato, e Factor cheabbia a ciò consentito o ne sia stato consapevole vedrà confiscatii suoi beni. Poi il discorso si allarga in una ragionata protesta diLiutprando contro l'ingratitudine degli arimanni, dimentichi dellasua generosa giustizia nel rinunziare a quelle norme dell'editto diRotari, che riservavano al regno una parte notevole dell'ereditàlasciata da un Longobardo, quando mancassero eredi maschi le-gittimi (6) : « quia debet omnis homo considerare propter Deumet animam suam, quoniam nos illum relaxavimus a livero eremma-nos, quod nobis in curtes nostras secundum antiquo edicto legi-bus pertinebat ». A ciascuno deve bastare la sostanza sua. Ciò valenei rapporti fra i Longobardi e deve valere anche nei loro rapporticol re: « quia hoc statutum est in edictum, ut, qui de serbo aut al-dionem conparaverit, perdat pretium; et quale legem unus quisLangobardus sibi habere vult, talem debet curtem nostram con-servare » (6) . Tanto più ciò deve valere nei rapporti col re, in quan-to l'arimanno ha pur giurato di essere fedele al suo re, ed è reodi spergiuro quando non ne rispetti le cose ed intrighi a danno delre con gli ufficiali o coi servi di lui: « insuper in periurii reatum no-bis conparuit pertinere, eo quod nobis iuratum habet quod nobisfidelis sit; et qualis fidelitas est, dum ille cum iudicis aut actoremaut aldionem vel servo conludium facit et res nostra contra no-stram voluntatem invadit ? ».

Questo il significato limpidissimo del capitolo di Liutprando:e non vi è « tortuosità i) del faticoso discorso, messo in carta dalrozzo redattore, che possa minimamente scalfire la coerenza e lo

(4) F. BEVERLE, Leges Langobardorum, Witzenhausen, 1962 (Germanenrechte, neue Fol-ge, Westgermanisches Recht), pp. 181-182.

(5) Per il calcolo che Liutprando fa del vantaggi procurati agii arimannl dalle norme dalui emanate sulle successioni (Liutpr., 1-1, con riferimento costante al Langobardus) a corre-zione di Roth., 158-160, si veda l'accurata indagine compiuta in proposito da O. BERTOLINI,Ordinamenti militari e strutture sociali dei Longobardi in Italia, In Ordinamenti militari in Occi-dente cit., pp. 536-537.

(6) Cfr. Roth., 233-235.

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sviluppo del pensiero del re ( 7) . È vero che il richiamo alla fedeltàarimannica interrompe, nel testo della Notitia, l'ordinata esposi-zione dei rapporti di mutua giustizia che devono intercorrere frail re e gli arimanni nel quadro del rispetto reciproco fra tutti i Lon-gobardi (9) : e turba in tal modo quello che dovrebbe essere l'ordinelogico di un crescendo di ammonimenti, dall'invito a corrispondere'con lealtà alla lealtà di Liutprando e dall'esortazione a rispettarele norme di convivenza fra i Longobardi fino all'accusa di spergiuro.Ma l'interruzione risponde ad uno spontaneo movimento di idee,emergendo d'un tratto a porre in piena luce l'incoerenza di un atto,commesso contra rationem, mediante il riferimento al reato di infe-deltà: finché, esaurito lo sdegno suscitato dal conludium di fideles,di actores e di servi contro il proprio re e signore, il discorso riprendeil tema della lex infranta, dell'editto antico e della giustizia, cheesigono la restituzione del mal tolto e la compositio, il risarcimentodei danni (9) .

In tutto questo discorso del re il fatto per noi di maggiore rilievoè lo spontaneo trapasso di pensiero dalla condanna di un'usurpa-zione di beni fiscali, compiuta da acquirenti ovviamente già posses-sori fondiari — soprattutto, è lecito pensare, allodieri desiderosidi arrotondare i propri possessi —, all'idea di un libero popolo diLongobardi, a cui Liutprando ha reso giustizia con una generosa

(7) Il giudizio sulle tortuosità del testo è del BERTOLINI, op. cit., p. 537, ma con specificoriferimento a quella che egli chiama (pp. 535, 539) e anche noi diremo seconda parte del capi-tolo, costituita dalla protesta del re contro l'ingratitudine degli arimanni (cfr. qui sopra nel te-sto, dopo nota 5: • Quia debet - pertinebat .), dal calcolo dei vantaggi procurati agli ari-manni nelle successioni e da queste ulteriori considerazioni: • Et ecce nos modo omnia de tali-bus causi(' propter Deum et mercedem anime mee relaxavimus. Proinde unlculque debet suf-cere sua substantiam et non debet cuplditatem habere contra rationem conparandum da servoaut de aldionem vel a pertinente nostro,. Più che di tortuosità parlerei di ripetizioni, in que-sta seconda parte: essa infatti riprende verso la fine 11 tema della relazatio, da cui ha presoinizio, e gli fa seguire, dopo l'ammonimento contro la cupiditas e il richiamo alla ratto, la ri-petizione del divieto, già espresso due volte nella prima parte del capitolo, di acquistare benifiscali da uomini addetti ad essi. Per le difficoltà che il Bertolini solleva a p. 538 intornoal termine di liberi arimanni, si noti come egli le faccia espressamente derivare dall'interpre-tazione di arimannus da lui stesso proposta per altri capitoli: sui quali si veda più avanti, § IV,

(8) In quella che diremo, col Bertolini, terza parte del capitolo li richiamo alla fedeltàarimannica (cfr. qui sopra nel testo, dopo nota 6: . I nsuper - invada .) è preceduto da unafrase di collegamento con la seconda parte (. Unde, qui hoc facere presumpserit, conponerehabet, sicut scriptum est .) ed è seguito dal riferimento a Roth., 233-235 (cfr, qui sopra nel te-sto, prima della nota 6:' Quia - conservare .) e dall'Indicazione delle pene: • Et quis modo con-paravit aut infiduclabit, perdat pretium suum secundum edIcti tinore; qui vero hoc modo fa-cere presumpserit, et pretium perdat et, sicut qui ree aliena malo ordine invada nescientedomino, conponat. Actor vero admittat substantlam suam, qui hoc consenserIt, sicut supe-rius !egli« Il capitolo si chiude con la previsione di eccezioni: • Narn si nos relaxavimus,unusquisque habere debeat, cui preceptum fecimus aut fecerimus • (Il nam è avversativo).

(9) Riguardo al risarcimento del danno cfr. BERTOLINI, op. cit., p. 539 sg.

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rinunzia, e all'ulteriore nozione di un giuramento personalmenteprestato dagli arimanni al re. Il ceto dei possessori, la gens Lango-bardorum e la fedeltà degli arimanni convergono, nel pensiero delre, come tre aspetti diversi di una stessa realtà. Che usurpazionipossano essere compiute a danno del fisco da possessori diversi da-gli arimanni, non sfiora la mente del re: segno indubbio che gli ari-marmi sono il nerbo del ceto dei possessori, i soli capaci di tanta in-traprendenza da minacciare il patrimonio stesso fiscale. Che poisiano appunto possessori siffatti il nerbo pure del regno e del popoloconquistatore, appare dal giuramento che li lega a Liutprando edall'uso indistinto di arimanno e di Longobardo nel linguaggiodel re.

Con ciò non si intende suggerire affatto l'idea di un'identitàassoluta fra i concetti di arimanno, di Longobardo e di possessorenell'età di Liutprando. Non vi è ragione di supporre l'incompati-bilità del possesso fondiario con la qualità di Romano. Né vi è in-dizio nella legislazione longobarda di un giuramento imposto adogni singolo membro del popolo dominatore, per sola ragione distirpe. Chi non ricorda, nel racconto di Paolo Diacono, l'aiuto chea re Cuniperto contro il pretendente Alahis il Foroiulanorum exer-citus prestò « iuxta fidelitatem suam », e la preoccupazione di Ala-his, via via che venne a contatto con loro, di costringerli a fare alui sacramenta, e la confusione che ne conseguì in quel medesimoexercitus (") ? « Cum invitus Alahis iurasset » — racconta Paolodell'esercito friulano « propter hoc nec regi Cuniperto nec Alahisauxilium tulit, sed cum illi bellum commisissent, ipsi ad propriasunt reversi ». Non sappiamo se l'anteriore fidelitas degli esercitalifriulani a Cuniperto già avesse implicato giuramento. Può darsianche di no: ma è ovvio supporre che Alahis, atteggiantesi a re, lopretendesse da ciascun Friulano in quanto exercitalis, a garanzia diquella fedeltà naturale con cui ogni Longobardo armato dovevaoperare nei riguardi del proprio popolo e del re. Ciò avveniva quasimezzo secolo prima del tempo in cui la Notitia de actoribus regisfu redatta. Liutprando, quel medesimo re che nei prologhi delleleggi fin dal 713 inaugurò l'uso di presentarsi in concordia di vo-lontà « cum omnibus iudicibus... vel cum reliquis f edelibusmeis Langobardis et cuncto populo adsistente » (11), proseguiva

(10) PAULI historia Langobardorum, L V, cc. 39, 41, In M.G.H., Scriptores rerum Ger-manicarum In usum scholarum, XLVIII , a cura di G. WAITZ, Hannover, 1878, pp. 204, 207.

(Il) BEYERLE, op.cit. (sopra,n.4), p. 99sg.,cfr.pp.101, 110, 124, 139, 145, 149, 171.

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dunque, esigendo dagli arimanni — gli esercitali (12)! — il giuramentoattestato dalla Notitia, la tradizione di un legame formale fra il po-tere regio e l'exercitus: quando non sia stato lui stesso per primo aconferire carattere sistematico al giuramento che i suoi predeces-sori avevano forse richiesto in modo più occasionale a singoli rag-gruppamenti di Longobardi chiamati all'esercito.

Eventuali singoli raggruppamenti: ma non nel senso di miliziespeciali, istituzionalmente distinte per il loro carattere permanenteo clientelistico dagli altri reparti del popolo armato. La lettura diPaolo Diacono è illuminante in proposito. Quando il duca di Be-nevento Grimoaldo, morto nel 661 re Ariperto I, si sollevò controi figli dì lui, si avviò verso Pavia con una « electa manu» di Bene-ventani « ac per om nes civi t a t es, per quas viam habuit,sibi amicos et adiutores ad regnum percipiendum adscivit, Transe-mundum vero comitem Capuarum per Spoletium et Tusciam di-r exi t , ut eius r e g i o n i s La n g oba r d os s u o con s or t i ocoaptaret » (13). Le ribellioni ducali avvenivano per defezione diparti integranti dell'unico exercitus longobardo: del popolo armato.Certo vi furono spunti di orientamento verso la creazione dimilizie particolarmente sicure e fedeli: ma niente più. Il mede-simo Grimoaldo, divenuto re, « Beneventanum vero exercitum,cuius auxilio regnum adeptus erat, multis dotatum muneribusremisit ad propr ia, ali q u ant o s tamen ex eis secum ha-bi t at or es retenuit, largissimas ei tribuens possessiones n (14).Ecco una clientela militare in embrione, ma ben esigua, quando siconsideri che era parte modesta di una schiera, la quale a sua voltaera soltanto una parte scelta dei Longobardi armati, insediati nelducato di Benevento: se Grimoaldo aveva lasciato il ducato « cumelecta manu »! Il grosso del reparto portato da Benevento rientrò« ad propria », reintegrandosi dunque nel popolo armato. I pochirimasti ad habitare col re, ricevendone larghi possessi, assunseroil carattere di un gruppo aristocratico ben localizzato a Pavia.

Altrettanto ben localizzato, pur se in modo affatto diverso,appare il gruppo di Bulgari che re Grimoaldo mandò al figlio Ro-mualdo, fatto duca di Benevento: « quos Romualdus gratanter exci-piens, eisdem spatiosa ad habitandum loca, quae usque ad illud

(12) Cfr. più avanti, § IV.(13) PAULI historia clt., I. IV, c. 51, p. 175.(14) Ibid., I. V, c. 1, p. 180.

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tempus deserta erant, contribuit » (9. Non elargizione, qui, di ric-chi beni fiscali, bensì insediamentò in terre forse di nessuno e per ciòstesso destinabili secondo il volere regio o ducale (19) . È quel gruppodi Bulgari, notissimo a storici e a linguisti, del quale Paolo dichia-ra che « usque hodie in his ut diximus locis habitantes, quamquamet Latine loquantur, linguae tamen propriae usum minime amise-runt ». Un gruppo rimasto dunque topograficamente e linguistica-mente distinto dal popolo longobardo: un'isola etnica del tutto ec-cezionale, anche se incorporata negli ordinamenti del regno fin dalsuo stanziamento nei loca deserta, attraverso la trasformazione del

suo condottiero in un gastaldius regio (17) . Non vi è per altro ragionealcuna di escludere che l'associazione dei Bulgari alla gens Lango-bardorum nella difesa del ducato beneventano li abbia agevolmenteinseriti nella tradizione di popolo armato e politicamente domina-tore, propria dei fideles Langobardi dei prologhi di Liutprando:

dei « livero eremmanos » della Notitia.Ma il racconto di Paolo si fa soprattutto istruttivo là dove rie-

voca la ribellione di Alahis a Cuniperto: « per Placentiam ad Au-str iam rediit singulasque civitates partim blanditiis partimviribus sibi socios adscivit » (19. 0 dove narra di re Ariperto II che,per sottomettere il ribelle duca di Bergamo, « expugnata primumet capta Laude, Bergamum obsedit eamque cum arietibus et di-versis belli machinis sine aliqua difficultate expugnans mox ce-

pit » (19) .0 dove, nell'età di re Liutprando, il popu/us beneventano,

« qui suis ductoribus semper fidelis extitit ›>, insorge a difesa del suoduca contro alcuni ribelli (20). Non vi è spazio per una distinzione,nelle varie regioni del regno, fra popolo armato e milizie perma-

nenti. Protagonisti sono civitates e populi,armati accanto o di fron-te a duchi e a re. Sottomettere un duca ribelle significa sottrarglii cives che combattono al suo fianco, i ~biles Langobardi, significa

assediare ed espugnare città.« Brexiana denique civitas magnam semper nobilium Lango-

bardorum multitudinem habuit, quorum auxilio metuebat Perc-

(15) Ibid., 1. V, c. 29, p. 196 sg.(16) Cfr. F. Ltt.roc, Geschichte der deutschen Agrarverfassung vom frUhen Mittelalter bis zum19. Jahrhunderl, Stuttgart, 1963, p. 31 con nota 11, per il diritto regio nell'alto medioevo,aut Einziehung namenlosen Landes k, • ott missverstAndlich als Bodenregal bezeichnet

(17) PAULI historia cit., I. V, c. 29, p. 197.(18) Ibid., 1. V, c. 39, p. 204.(19) Ibid., I. VI, c. 20, p. 220 sg.(20) Ibld., I. VI, c. 55, p. 238.

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tarit Alahis potentiorem fore »: così Paolo Diacono ricorda i ti-mori di re Pertanto — figlio di Ariperto I e padre del futuro reCuniperto — di fronte ad Alahis (21) . La nobiltà dei Longobardidi Brescia era virtù combattiva di esercitali, e rispondeva esatta-mente alla nobilitas dei Longobardi insieme coi quali Liutprando,

secondo il prologo delle leggi del 7 2 0 , legiferò: « una cum inlustri-bus veris obtimatibus meis Neustriae, Austriae et Tusciae parti-bus, vel universis nobilibus Langobardis, . asistente omni po-

pulo » (29. Gli optimages e gli universi nobiles del 7 2 0 corrispondonorispettivamente agli iudices e ai reliqui fideles del prologo del 7 1 7 .

Racconto di Paolo e legislazione di Liutprando in vario modo dun-que convergono, e si integrano, nel suggerire la struttura sociale epolitica del regno longobardo. Inquadrato ovunque da un'aristo-crazia militare, ma in pari tempo in rapporto diretto col regno,l'exercitus costituiva simultaneamente la massima parte del popololongobardo e della classe dei possessori, per lo meno degli allodieri.Non coincideva esattamente con essi: ma ciò che dell'esercito nonfosse etnicamente longobardo, costituiva certo in esso qualcosa dimarginale, di acquisito, di più o meno assimilato ai Longobardi,così come marginale nel popolo dei Longobardi era sicuramentequanto non fosse incorporato all'esercito; e, ancora, chi dell'eser-cito fosse estraneo alla classe dei possessori, era, fra vii secolo evili, più o meno rara eccezione, così come largamente preponde-rante nella classe dei possessori, per lo meno degli allodieri di molteregioni del regno, doveva essere la presenza degli esercitali. Intimaconnessione, anche se non puntuale coincidenza dunque, di tradizio-ne etnica, di apparato militare, di costruzione politica, di egemoniasociale ed economica: ancora nell'età di Liutprando. Bene allorasi intende quale fosse la forza e la debolezza insieme di quella domi-nazione. Tutto riposava sulla solidarietà dei Longobardi, entrol'exercitus. La legislazione ebbe tutta uno scopo: garantire la pacefra i Longobardi come popolo armato e dominatore.

Questa interpretazione del mondo longobardo, ancorata allaanalisi di una norma di Liutprando di eccezionale chiarezza e ric-chezza di informazioni, e al confronto di essa con espressioni de-sunte dai prologhi del medesimo re e con le vicende narrate daPaolo, quale conforto o quale correzione, e quale precisazioneulteriore eventuale, può trovare in altre fonti di informazione ?

(21) Ibld., i. V, c. 30, p. 200.(22) BEYERLE, op. cit. (sopra, n. 4), p. 106.

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Vi è un documento dell'età di Liutprando, molte volte citatoe utilizzato, il quale esige ancora un'analisi che ne tragga iSuggerimenti impliciti sulla società longobarda: il breve de inqui-sitione redatto a Siena dal notaio Gunteram il 20 giugno 715 perordine del re nella vertenza sorta fra i vescovi di Arezzo e di Sienaintorno all'appartenenza di pievi e altre chiese del territorio seneseorientale alla diocesi aretina I testi, che nell'unica copia alto-medievale del documento a noi pervenuta e conservata nell'Archi-vio Capitolare di Arezzo testimoniano quasi tutti a favore dellatesi aretina (9, sono 79, di cui 2 vescovi, di Fiesole e di Roselle, 2(:)preti (28) , i diacono, 9 chierici, 14 exercitales, 2 centenarii, 2 decani,I scario regis, 14 liberi homines ( 28 ) , 12 senza titolo (27) e 2 neppurdesignati col nome ma solo come figli di uno dei due decani: 32 ec-clesiastici dunque e 47 laici. Quasi tutti risiedono nel Senese orien-tale e sono in numero bastevole per suggerire qualche idea sullacomposizione del ceto medio e superiore di quel mondo rurale: ilceto da cui è presumibile fossero tratti in massima parte i testimonidell'inquisitio (28) . Ma a tal fine occorre qualche osservazione ulte-riore.

(23) L. SCHIAPARELLI, Codice diplomatico longobardo, I, Roma, 1929 (Fonti per la storiad'Italia, LXII), pp. 61-77.

(24) Testimoniano a favore della tesi senese soltanto il vecchio prete Rodoald della pietredei Santi Quirico e Giovanni, il prete Tanigis della pieve di S. Andrea, il prete Firmolusdella pieve di S. Felice. Il prete Malurianus della pieve di S. Maria in Pacina e della chiesadi S. Simpliciano in Sestano testimonia a favore di Arezzo riguardo alla pieve e a favore diSiena riguardo a S. Simpliciano; egli è chiamato due volte a testimoniare, prima per S. Sim-pliciano e poi per la pieve, ed ogni volta fa riferimento, oltre che alla chiesa per cui è chia-mato, anche all'altra da lui posseduta.

(25) Tengo conto del fatto che il Maiurianus di S. SImpliclano è identico col Maiurianusdi S. Maria in PacIna (cfr. nota precedente).

(26) Pongo fra i liberi homines anche un Dominicus semplicemente indicato come liber(p. 74). Non tengo conto invece di un lohannes indicato come liber homo exercitalis (p. 75),che pongo fra gli esercitali. Su quest'ultimo Or. O. P. Ben:INETTI, Longobardi e Romani, in G.P. BOONETTI, L'età longobarda, 1, Milano, 1966, p. 138 (già in Studi di storia e diritto in onoredi Enrico Besfa, IV, Milano, 1939).

(27) 12 in quanto si supponga il nome di un testimone al posto di un guasto di otto onove lettere che precede il nome dell'ultimo testimone segnalato dal notaio (p. 77). Cfr. BER-

op. cit. (sopra, n. 5), p. 460, n. 59.(28) Llutpr., 8 :• De testibus. Si qualiscumque causa inter conlibertus aut parentis con-

venerit aut acta fuerit, et homines bon i tres aut quattuor interfuerent, non repro-vetur postea ipsa causa, nisi eorum testimonium ambo partis credant, qui fuerent Inter;pro cuius autem causa testis ille testimonium reddederent, ipse homo causatori suo per sa-cramentum satisfachtt. Testls vero ipsi tales sint, quorum opinio in bonis precellat operlbus,et quibus fides amittitur, vel quibus princeps aut due ludices credere possent.....

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Poiché si tratta di testimoniare su consuetudini da accertareper un tempo quanto più ampio possibile, il notaio ha cura di se-gnalare quali fra i testi sono di età piuttosto avanzata. Fra i pretiquattro sono indicati come senes, uno come iam senior, un altroancora come sessantenne o quasi: 6 vecchi dunque su 20 . Fra ichierici due sono senes, uno iam senex, due altri hanno rispettiva-mente « annos pene cento » e « pene annos quinquaginta »: 5 vec-chi, o quasi vecchi, su 9. Dei 14 esercitali uno è iam senex. Dei duedecani uno è senex. L'unico scario regis è senex. Dei 14 liberi homi-nes 6 sono detti senes. Quanto ai testi qua e là nominati senza titolo,due sono detti senes ed uno iam senex : 3 su 12 , ma in verità vaimeglio dire 3 su 6, dovendosi prescindere dai sei di essi che sonoenumerati rapidamente tutt'insieme alla fine del documento, senzadunque possibilità di speciali informazioni. Complessivamente 23vecchi su 73 testi, prescindendo dai nomi messi in fila in ultimo.Una proporAone generale approssimativamente rispondente a quel-la interna a ciascun gruppo: con la sola e ben vistosa eccezionedegli esercitali. Come spiegare il fatto ?

Che degli esercitali anziani il notaio preferisse tacere l'età or-mai avanzata, non si può dire, perché egli ebbe cura di rilevarlain un caso: sia pure in un solo caso su ben quattordici esercitali.Quando si prescinda dunque dall'ipotesi — non certo, a rigore, im-possibile, ma in verità altamente improbabile — che per puro ac-cidente nella scelta dei testimoni la proporzione di vecchi sia risul-tata fra gli esercitali così lontana da quella manifesta in ogni altrogruppo, ci sembra di poter supporre che i membri dell'exercitus, in-vecchiando e conseguentemente cessando dall'essere chiamati al ser-vizio d'armi, via via tendessero ad abbandonare una designazione,troppo palesemente connessa con un'attività ormai ad essi preclusa.Il fatto che di un vecchio, o senescente — iam senex —, sia tuttaviaricordata la qualifica di exercitalis, dimostrerebbe allora che l'appar-tenenza all'exercitus conferiva un prestigio sociale abbastanza altoda indurre eccezionalmente taluno a designarsi, in età già alquantoavanzata, con un nome che non bene ormai gli si addiceva (22). Pertale via si toglie la possibilità di una contrapposizione netta fra iquattordici liberi homines e i quattordici exercitales, la possibilità

(29) Il BERTOLINI, op. cit. (sopra, n. 5), p.479 ha isolato la sua osservazione sun'. eser-citalis iam senex . dai contesto del vecchi segnalati dal notaio e ne ha Inferito senz'altro chel'attribuzione della qualifica di esercitale * persisteva anche quando l'avanzare degli anni avevamenomato le capacità del combattente effettivo

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cioè di interpretare, nel documento, le due denominazioni come de-signazioni di categorie o ceti rigorosamente distinti. Qualche vec-chio già esercitale ben poteva trovarsi fra i sei liberi homines indi-cati come senes. La prevalenza degli esercitali, legati al regno congiuramento, fra i liberi possessori longobardi — secondo l'attesta-zione del quinto capitolo della Notitia de actoribus regis — già find'ora appare dunque in armonia coi dati offerti dall'inquisito del715 ("). Ma qui vale una considerazione ulteriore, quanto ovviaaltrettanto spesso trascurata (31): una considerazione necessariaper conferire al discorso la medesima ampiezza di quello suggeritodalla Notitia. Perché infatti dimenticare la probabile presenza diRomani fra i liberi homines chiamati a testimoniare ? L'analisi deldocumento dev'essere dunque condotta anche su questo piano.

A ciò soccorre soltanto l'onomastica: un elemento infido. Chinon sa quanto facile sia la recezione di usi onomastici di un popolodall 'altro, quando non vi sia barriera religiosa? Ma nel 715 laconvivenza di Longobardi e Romani nelle medesime chiese non dataancora da un tempo immemorabile, e si può difficilmente supporreche la distribuzione dei nomi peculiari delle due tradizioni sia ormaieguale fra i due popoli. Mette conto di cercare come la distribuzionesi presenti nei gruppi di testimoni che ci interessano. Ebbene fragli esercitali quattro soltanto hanno nome di tradizione romana ocristiana: Decoratus, Castorinus, Candidus, Iohannes. Gli altri diecihanno nome germanico: Manechis (32), Teudo, Audoin, Gundoald,Tiso (33), Gisulful, Troctoald, Landoari, Theodoald, Gaido. Fra iliberi homines sette hanno nome di tradizione certamente o proba-bilmente romana o cristiana: Dominicus, « Marcus senex liber ho-

(30) Dobbiamo infatti supporre che i testimoni espressamente indicati nell'Inquisifiocome liberi homines siano allodieri o livellali. Rimane il dubbio sui sei testimoni elencati-nelcorpo del documento (prescindiamo da quelli della rapida chiusa): presumibilmente liberi an-ch'essi, ma forse massari non garantiti da un contratto scritto e perciò dipendenti in modoconi stretto dal padrone, da non potersi considerare come parte della classe del possessori. Oc-corre prospettare anche la possibilità che 11 notalo non sempre sia stato rigoroso nell'attribuireo rifiutare qualificazioni ai testimoni. Oli indizi che andiamo raccogliendo dal documento de-vono essere Inquadrati pertanto in una considerazione cauta di probabilità. li loro valoreèsussidiario rispetto all'esame del quinto capitolo della Nonna de actoribus regia.

(31) Non è tuttavia trascurata dal BOGNETTI, op. cit. (sopra, n. 26), p. 100, anche se alfine di proporre un'interpetazione troppo estesa del termine di e:rimar:tu (cfr. più avanti, nota

114).(32) Cfr. E. Fól2STEMANN, Altdeutsches Nameribuch, I, Manchen, 1966 (ristampa della

2. ed.), col. 1088 sgg.(33) Op. cit., col. 411; cfr. col. 1416.

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mo » (34), « Bonefatius senex liber homo », Iuvenalis, « Gaudiosusliber homo senex », Fuscolus ("), « Vitalianus iam senex homo li-ber ». Gli altri sette hanno nome di tradizione certamente o proba-bilmente germanica: « Poto, liber homo senex » (36), Cunoald, « Au-tari liber homo senex » (37), Gaosoald, Tanoald, Pitto (38), Manulful.Dunque l'onomastica degli esercitali per oltre due terzi è germanica,mentre quella dei liberi homines è metà germanica e metà romana.Può essere un fatto accidentale, senza dubbio: ma, nella povertàdelle fonti, non è lecito ignorare ciò che può essere un indizio dinon trascurabile presenza di Romani fra i liberi homines. Supponia-mo infatti che le cose stiano, nella società longobarda dell'età diLiutprando, nel modo che abbiamo dedotto dalla Notitia. Ebbeneil calcolo delle probabilità vorrebbe, per l'onomastica dei testi sceltifra gli esercitali e gli altri liberi homines in una fase di appena inci-piente fusione degli usi delle due stirpi, il risultato appunto riscon-trato nel documento di inquisiti° : una larga prevalenza cioè di no-mi germanici fra gli esercitali, ben pochi ancora essendo i Romanientrati nell'exercitus e pochi i Longobardi attratti all'uso di nomiromani, e una maggiore mescolanza di nomi germanici e di nomiromani fra i liberi di qualche considerazione sociale e tuttavia nonappartenenti all'exercitus.

Interessante è il confronto con l'onomastica degli exercitalesche compaiono nelle sottoscrizioni o, assai raramente, nel testo del-le altre carte longobarde dell 'vm secolo. Limitandoci alle cartepubblicate dallo Schiaparelli, troviamo 12 o 13 esercitali di nomecertamente o quasi certamente di tradizione romana o cristiana su36 (39). Un terzo! Sarebbe difficile trovare una migliore conferma

(34) Ma il FUST EMANN, op. cit., col. 1095 ritiene che Marcus sia nome da considerarespesso germanico.

(35) Ma il PSIISTEMANN, op. cit., col. 562 non esclude talvolta l'origine da una radice ger-manica ignota.

(36) Op. cit., col. 320.' (37) • Abeo annos septuaginta egli precisa: SCHIAPARELLI, op. cit. (sopra, n. 23), I, p.

75 sg.(38) FteRSTEMANN, op. cit., col. 301.(39) SCHIAPARELLI, op. cit. (sopra, n. 23), I, pp. 175, 178, 186, 188, 190, 203, 233; II ,

Roma, 1933 (Fonti per la storia d'Italia, I.X1 I I), pp. 13, 48, 92, 123 sg., 328, 333, 363(un esercitale che ricompare a p. 366), 427. Cfr., Bearouto, op. cit., pp. 461-463. Ecco I12 esercitali di nome dl origine romana o cristiana: • Paschall * del fu Valentino, Faustinianodel fu lustiniano, Paulinus, i Vitali s figlio di Tacolonus, • lohanni* del fu Paulonus, • Vi-tali de Vintiliaca r, Adriano, Firmino del fu Domnino, loventinus del fu Valentinus, Donatusdel fu Baronclo, • Domenatori . lohannis Ed ecco i 23 esercitali di nome germanico: Alte-glano (cfr. FÒRSTEMANN, op. cit., coll. 55, 56, 59) dei fu Waitarenus; Eldoionus (cfr. Aida eAldo In op. clt., col. 55 sg.) del fu Williarenus; Theodonus (cfr. Theothun in op. cit., col. 1437)del fu Magiolonus (Magio in op. cit., col. 1067); i Bertoni del fu Antonino; Ansuald; Gai-

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del carattere probabilmente non accidentale della proporzione ri-scontrata nel 715. Si potrebbe anzi osservare che una proporzionecosì stabilmente favorevole all'onomastica longobarda non bene sispiega, dovendosi presumere un'ulteriore lenta penetrazione dinomi romani e cristiani fra i Longobardi e una penetrazione diRomani nell'esercito. Ma occorre considerare la simultanea proba-bile penetrazione di nomi longobardi fra i Romani, soprattuttofra quelli appartenenti a famiglie innalzatesi a livello dei Longo-bardi con la partecipazione appunto all'exercitus. Quanto ai liberihomines, purtroppo nelle sottoscrizioni una simile designazionenon è usata e un confronto dell'onomastica su un numero non'troppo esiguo di nomi riesce pertanto impossibile.

Nel concludere sui vari indizi offerti dall'inquisiti° del 715,possiamo rilevare che l'analisi delle informazioni sull'età dei testi-moni e l'analisi dell'onomastica, considerate l'una e l'altra simulta-neamente, suggeriscono la presenza di ben pochi Longobardi, chefossero di età ancor valida per il servizio d'arme, fra i liberi hominesnon appartenenti all'esercito. Si tolgano infatti dal novero dei liberihomines sia qualche senex presumibilmente già esercitale sia gliallodieri o livellari romani, e si ridurranno i quattordici liberi ho-mines a un numero notevolmente inferiore a quello dei quattor-dici exercitales. Se poi si considera che tra i residui liberi homines distirpe longobarda taluno poteva certo risiedere su terra allodial-mente di altri ("), ben si può dire che gli indizi dell'inquisiti°convergono col r isul ta to del l 'anal is i di Notitia, 5 : nell'età

dilapo; • Munoaldi Oudoionus; Baruttolus; Rodoaldus; Williarenus del fu WIllimo; • Mar-coaldi del fu lullano; Radoaldi • figlio di • Munoaldi t; Rodeberti dei fu W ilichenus;Regebat (cfr. Ragan, Raginbrat, Regimbert, Reginboto In op. cit., coli. 1221, 1225, 1228)del fu Alfrit; Troctovus (cfr. Drog, Droco, Trogo, Truocho in op. cit., col. 420) figlio di Oildl-ris; Sintarinus; s Oondoaldi t; W aldonus del fu • Audoaldi t; Oarlmundl t; • Raginaldi t;

Ountifridl • del fu Tatuo; Olsoni L'esercitale dal nome di origine incerta è • Staveleni(SCHIAPARELLI, op. cit., Il, p. 427); cfr. Stabilius In W. SCHULZE, Zur Geschichte lateinischezEigennamen, 2. ed., Dublin, 1966, pp. 163, 444; e cfr. Stau e derivati in F(IRSTEMANN, op.cit., col. 1363. SI noti quanto spesso, là dove dell'esercitale sia indicato anche li padre, i duenomi risultino entrambi di origine germanica o di origine romana o cristiana. Cfr. a questoproposito N. TAMASSIA, P. S. LEICHT, Le carte longobarde dell'Archivio Capitolare di Piacenza,In Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, LXVI II, 2 (1908-1909), p. 874, ma sitenga conto in pari tempo — a limitazione e precisazione della probabilità che Il nome romanodi un possessore e del padre riveli, almeno nell'età di Desiderio, stirpe romana — del • Bene-natus Mins Stephani, qui hanc cartula donationis fieri rogavit, qui luxta lege sua Langobar-dorum recepit launechit manetta par uno .,come si legge in una carta del 767 (SCHIAPARELLI,op. cit., il, p. 234), illustrata dal BUCHETTI, op. cit. (sopra, n. 26), p. 127 sg.

(40) Liutpr., 83 dimostra che persino gli esercitali — gli uomini chiamati all'esercito,•quando In exercito ambolare necessitas fuerit — possono essere t minim(I) homln(es), qulnec casas nec terras suas habent i. Cfr. anche la minima persona qui exercitalis homo esse

Invenitur di Liutpr., 62.

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di Liutprando 'exercitus, considerato come classe sociale, come ilcomplesso cioè delle famiglie da cui provenivano gli exercitales,costituiva simultaneamente la massima parte del popolo longo-bardo e del ceto dei possessori, per lo meno degli allodieri.

Chi fossero i pochi Longobardi di età valida per il serviziod'arme e tuttavia non esercitali, si può dire soltanto in via di ipo-tesi: oltre a qualche uomo fisicamente minorato, doveva trattarsidi qualche allodiero, o più spesso livellario, di condizioni economi-che così precarie da non potersi provvedere di armi. È vero infattiche in un capitolo di Liutprando del 724 (Liutpr., 62) si prevedeuna « minima persona qui exercitalis homo esse invenitur », e se neindica il guidrigildo in una misura pari a metà di quella di chi « pri-mus est »: centocinquanta e trecento soldi rispettivamente; ed èvero parimenti che Liutprando nel 726 (Liutpr., 83), parlando « deminimis hominibus qui nec casas nec terras suas habent », diuomini dunque residenti in terra allodialmente di altri, li includefra i chiamati all'esercito, « quando in exercito ambolare necessi-tas fuerit ». Ma se grande era dunque il divario di qualitas — di di-gnità sociale e di condizioni economiche — fra gli esercitali, daiminimi ai primi, vi era d'altra parte un livello di condizioni econo-miche al di sotto del quale si tollerava che il Longobardo non fos-se armato. Questo in verità non è propriamente accertato per l'etàdi Liutprando, ma risulta dalla legislazione di poco posteriore. « Deminoribus hominibus principi placuit », si legge nel famoso capi-tolo emanato da Astolfo nel 750 (Ahist., 2), « ut, si possunt ha-bere scutum, habeant coccora cum sagittas et arcum ». C'è unalimitazione: « si possunt habere scutum ». Dunque chi non ha que-sta possibilità è esonerato da ogni armamento (u). Si noti che leprescrizioni di Astolfo nascono dall'esigenza di migliorare l'arma-mento e si oppongono alla negligenza di chi non si provvede di ar-mi adeguate pur avendone la possibilità economica. Dobbiamodunque supporre che anteriormente alle norme emanate nel 750,nell'età cioè di Liutprando e dei brevi regni di Ildeprando e di Ra-chis, la tolleranza di fatto verso i Longobardi non armati fosse mag-giore di quella ufficialmente manifestata da Astolfo.

Si può tener conto anche di un'altra informazione. Liutprandonel 726 concede agli iudices, agli sculdasci e ai saltari, Che si re-chino all'exercitus con gli uomini a ciò destinati, di lasciare a casa

(41) Cfr. BERTOLINI, O. cit. (sopra, n. 5), p. 501.

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un esiguo numero di essi, sia per far uso dei loro cavalli, se di ca-vallo questi uomini siano forniti, sia per adibirli durante la propriaassenza a prestazioni agricole (Liutpr., 83). Si prospetta qui dun-que il caso di esoneri dall'esercito, pur se in misura assai limitata ea profitto degli ufficiali pubblici. Il principio del servizio generaledei Longobardi nell'esercito soffre cioè eccezioni anche a prescin-dere dalle condizioni economiche dei singoli. Quando un simileesonero si ripeta abitualmente per la medesima persona, vien fattodi pensare che la qualifica di exercitalis non le si addica: un altroesempio possibile, entro la gens Langobardorum, di un divario frai concetti di liber homo e di exercitalis.

III

A questo punto nasce un dubbio, suggerito dal modo assainetto con cui le carte longobarde dell'vm secolo indicano rexer-citalis. Il divario concettuale fra exercitalis e liber homo riposavasoltanto sul f atto della partecipazione del primo a un serviziopubblico armato? Non vi era forse un atto f or m ale, con cuiun simile fatto si collegava in modo da offrire una linea precisadi distinzione — fra i liberi homines nel pieno vigore dell'età — del-l'esercitale dagli altri ? La Notitia, 5 già ci suggerisce una risposta:il giuramento di fedeltà al re. Un giuramento che probabilmenteera richiesto al Longobardo — o, in genere, al liber homo destinatoall'esercito — in occasione della prima prestazione di servizio diarmi.

Questa ipotesi, già in sé plausibile, di una connessione fra ilgiuramento attestato da Liutprando e l'uso ufficiale della qualificadi exercitalis sembra trovare conferma in un titolo spesso testimo-niato per gli esercitali dell'età longobarda: quello di vir devotus.Lo studio che Pier Maria Conti sta conducendo su Devotio' e 'viridevoti' in Italia da Diocleziano ai Carolingi (42) toglie infatti ogni dub-bio sul significato del vecchio titolo, romano e bizantino, anchepresso i Longobardi: esprimeva un collegamento formale col poterepolitico, una fedeltà connessa con l'assunzione più o meno so-

(42) Il giovane autore ha usato la cortesia di procurarmi una prima redazione provvisoriadel suo studio. In attesa dell'ulteriore sviluppo e della definitiva redazione dell'ampio lavorodel Conti, mi assumo l'esclusiva responsabilità delle considerazioni e delle elaborazioni di dati,che sono qui sopra nel testo.

DAI POSSESSORI DELL'ETÀ CAROLINGIA AGLI ESERCITALI 2 3 5

lenne di una speciale funzione. Chi applichi questo risultato gene-rale della ricerca del Conti al caso specifico degli esercitali, potràindursi a supporre che un atto formale accompagnasse l'entratanelrexercitus longobardo dell'vni secolo, exercitus concepito comefunzione pubblica, propria del popolo dominatore. Chi poi consi-deri l'informazione di Notitia, 5, dovrà identificare l'atto formalecompiuto dai viri devoti exercitales col giuramento prestato al re.

Il risultato dell'argomentazione è importante. Se nel costruir-la non abbiamo commesso errore, la massima parte del popolo lon-gobardo, integrato militarmente da eventuali elementi romani,appare come un esercito di viri devoti. Ma l'argomentazione siregge sul presupposto che la frequente attribuzione del titolo agliesercitali sia prova sufficiente della sua connessione con tutti i mem-bri appunto dell'exercitus. In verità quella frequenza ha i suoi li-miti: nelle carte longobarde edite dallo Schiaparelli gli esercitaliqualificati come viri devoti sono 16 su so (43), e in quelle farfensisono 4 su 37 o 38 ("). Procediamo all'analisi.

Le singole carte normalmente non presentano, nelle enumera-zioni dei testi, mescolanza di esercitali viri devoti con esercitali for-niti di altro titolo di onore o sprovvisti di tali titoli. I quattordiciesercitali che il notaio Gunteram cita come testimoni nell'inquisi-/io senese del 715, sono sempre indicati semplicemente come exer-citales, né del resto alcun altro testimone, sia centenario o decano,sia laico od ecclesiastico — neppure il vescovo di Fiesole, neppureil vescovo di Roselle —, è presentato, in quel documento, con unospeciale titolo di riguardo. Dobbiamo dunque prescindere, per ilnostro problema, dall'inquisiti° ed esaminare le carte dello Schia-

(43) i 36 di cui sopra, nota 39, e 1 14 dell'inquisitio del 715.(44) Cfr. BERTOLINI, op. cit. (sopra, n. 5), p. 470 sg. Occorre aggiungere un esercitale

al cinque segnalati dal Bertolini • in valle Tybae e cioè tener conto anche dell'autore deldoc. 50, e cosi si ottiene il numero complessivo di 46 anziché di 45 indicazioni di esercitalinelle carte farfensi. D'altra parte occorre detrarre, in base alle identificazioni compiute dallostesso Bertolini, sette e non sei esercitali. Le due inavvertenze si elidono e si ottiene lo stessonumero di 39 indicato dal Bertolini riguardo alle persone qualificate come esercitali nelle cartefarfensi. Se poi si ammette un'ulteriore identificazione — credo Infatti che l'esercitale Scattu-lus del fu 'I heoderadus (cfr. C. MANARESI, Culusdam o quondam? Nota paleografica sui docu-menti di Farla, In Rendiconti dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, LXXV, 1941-1942, pp.229-237), presente a Farfa come teste nel doc. 55 insieme con Godefredus del fu Candoifus econ altri, sia identico con l'esercitale Scapto del fu Theoderadus, presente a Farfa come testenel doc. 57 insieme con Oodefrldus del fu Candoifus e con altri —, si riduce il numero a 38.Segnalo infine la semplice possibilità che • Aifrid exercitalis noster, habitator territorii Sa-binensis di cui parla il duca di Spoleto °isoli° nel placito reatino del febbraio 761 (doc, 46,cfr. BERTOLINI, op. cit., p. 475), sia Identico con l'esercitale Alfredus del fu Halanus, pre-sente nell'ottobre 762 *In valle Tybae s come teste (doc. 50).

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parelli nelle quali appaiono gli altri 36 esercitali. Di questi, ben 35hanno un titolo di onore (46), che è quello di vir devotus per 16 eser-citali (46), di vir honestus per 18 (47), di vir magnificus per uno (48).Ma il titolo di vir honestus è applicato agli esercitali esclusivamentenelle sottoscrizioni di testi delle carte redatte dal notaio Maurace,nel territorio piacentino e parmense, mentre i viri devoti exercitatessono nelle sottoscrizioni di testi delle carte redatte dai più vari no-tai — un Ciacio che redige un documento del 736 a Sovana, un Au-ropald nel 760 nel Piacentino, un Ermenfret nel 770 in diocesi diPiacenza, un Walpert nel 771 probabilmente in territorio di Varese,un Audoald nel 774 in diocesi di Piacenza e lo stesso Maurace nel753 e nel 758 in diocesi di Piacenza — ed un vir devotus exercitalisdi Chiusi è anche l'autore di due carte redatte a Roselle nel 772 dalnotaio Trasimundo. È di tutta evidenza il pes6 determinante chele preferenze e le abitudini dei singoli notai ebbero nella scelta frapiù qualifiche e titoli spettanti ad autori e testi dei documenti. Nellamassima parte dei casi il notaio non sentiva il bisogno di indicareespressamente il carattere di exercitalis : donde il ristretto numerodi carte che tale indicazione presentano, 18 cioè su quasi 300 pub-blicate dallo Schiaparelli (48). E quei pochi — quasi tutti della dio-cesi di Piacenza e della Tuscia meridionale — che dai documentidello Schiaparelli risultano avere una tale abitudine si differen-ziavano ancora fra loro nell'aggiungere ad exercitalis l'uno o l'altro

titolo di onore.Ciò significa forse che è vana ogni speranza di trarre da usitanto arbitrari una qualsiasi informazione? Niente affatto! Manon la statistica pura e semplice, bensì l'analisi delle singole carte,comparativamente condotta, può riuscire altamente fruttuosa. Siosservi anzitutto come, là dove il notaio ha l'abitudine di segna-lare la qualifica di exercitalis, esercitali appaiono nelle sottoscrizionitutti o quasi tutti i testi M: come dubitare che appunto quello era

(45) Ne è privo soltanto l'esercitale Sintarinus, che appare come teste in una carta di Ce-

neda del 762: tutti gli altri testi sono ecclesiastici (SCHIAPARELLI, op. ci t., 11, p. 124).

(46) SCHIAPARELLI,op. cit., 1, pp. 186, 314; l i , pp. 13, 48, 328, 333, 363 (cfr. p. 366),

427. Cfr. BERT OLINI, op. c i t . , p. 477, n. 118.

(47) SCHIAPARELLI,op. c l t . , I, pp. 175, 178, 188, 190, 203, 233; II, pp. 13, 92. Sono

19 indicazioni di esercitai! , ma due si rifesiscono alla stessa persona, s Munoaldi de Prata

(I, pp. 188,190). Cfr. BERT OLINI,op. clt., p. 478, n. 119, avvertendo che le carte di Vianino

segnalano otto esercital i , non nove.

(48) SCHIAPARELLI, op. c i t . , i l , p . 123.(49) Sono le 18 carte in cui compaiono i 50 esercitali. Cfr. sopra, nota 43.

(50) L'osservazione é già in BERT OLINI, op. c i t . , p. 468.

D A I P O S S E S S O R I DELL'ETÀ CAROLINGIA AGLI ESERCITALI 2 3 7

il ceto da cui si traevano abitualmente i testimoni laici destinati acorroborare la carta mediante la sottoscrizione ? Anche se nellamassima parte dei casi il notaio, diversamente da Maurace o daCiacio, da Auropald o da Ermenfret, trascurava di indicarli espres-samente come exercitales. Si osservi poi come il notaio, là dove ag-giunge un titolo di onore alla qualifica di esercitale, sceglie normal-mente per tutti il medesimo titolo, Maurace quasi sempre quello divir honestus, gli altri sempre il titolo di vir devotus (9: come dubi-tare che sia l 'una sia l 'altra segnalazione rispondevano appuntoalla condizione normale degli esercitali ? Erano dei possessori diqualche considerazione sociale, e perciò viri honesti (62); ed eranolegati al potere politico con giuramento militare, e perciò viri de-voti.Simultaneamente I Eccetto che si pensi l'assurdo: che proprioa Maurace, e solo a Maurace, sia accaduto di incontrare sempre,quasi senza eccezione, esercitali di buona condizione economico-sociale; e che proprio a Maurace, e solo a Maurace, sia accaduto dinon incontrare mai, o quasi mai, esercitali formalmente legati al

potere politico (58).

(Si) Sola eccezione è il vir magnificus di cui sopra, nota 48.

(52) Così opportunamente già i l BERT OLINI, op. c i t . , p . 477: i Honestus, honesta si so-leva dire diechl, uomo o donna, apparteneva a famiglie di ceti medi, che traevano mezzi pervivere con un certo decoro dal provento di beni, e dalla professione di arti e mestieri Non

persuasivo invece quello che RIlegge a p. 474, dove si rileva che, fra gli esercitali, pochissimi

risultano essere proprietari terrieri — cosi nelle carte farfensi come nel documenti pubblicatidallo Schiaparelli per la Tuscia e per la pianura padano -veneta inferendone qualche consi-derazione sulle condizioni economico -sociali degli esercitali in genere. Certo, gli esercitali dicui è possibile accertare la condizione economica sono pochissimi, ma, ogni volta che l'accer-tamento è possibile, la loro condizione economica appare indubitabilmente — dall'analisi ap-punto attentissima che ne fa i l Bertolini — quella di proprietari terrieri: tale dunque, pur sea vari l ivel l i , è da presumere fosse la condizione normale degl i eserc i tal i . Si noti comequesta il lazione risulti in perfetta armonia sia con l'informazione desunta dal quinto capitolodella Notino de actoribus regia, sia con le considerazioni fatte qui sopra nel testo sui v i ri ho-

nesti di Maurace.(53) Si consideri che non solo i notai di altre regioni, ma anche quelli stessi del Piacen-

tino, dove Maurace svolge la sua attività, qualificano gli esercitali come viri devoti e non comevi ri honesti: sono i notai Auropald del 760, Ermenfret dei 770, Audoald del 774 (ScfriAPA-acuì, op. cit., i l, pp. 48, 328, 427). SI può dunque supporre un'efficacia dell'uso generale an-che su Maurace, là dove, In una carta del 753 (op. cit., l, p. 314), egli qualifica come viri de-voti i due testi laici, gli esercitali Marcoaldo e Vitale. L'unica carta che sembra fare difficoltàè quel la del 758 (op. c i t., l i , p. 13), dove Maurace indica tre testi , tutt i eserci tal i , qual i f i -cando I primi due, Adriano e Firmino, come viri honesti e il terzo, Radoaido, come vir devotus(ho verificato personalmente nell 'Archivio Capitolare di Piacenza il divario fra i titoli di onoreapposti da Maurace in questa carta). Si può supporre che Radoaldo fosse un possessore di con-dizione troppo modesta, in quanto piccolo livellarlo ad esempio, perché Maurace si sentissedi attribuirgl i l i t i tolo dl vir honestus, nonostante la sua preferenza nel qualificare gli esercitaliin tal modo: donde la sostituzione del titolo con l'altro, di comune uso notarne per gli eserci-tali, di vie devotus. Ma ciò non sembra ben conciliarsi col fatto che Radoaido appare figlio diMunoaldo de Pratas », il quale dallo stesso Maurace è qualificato, fra i testi di due carte del736 e del 737, come vir honestus exercitalis (op. cit., 1, pp. 188, 190): anche se, in verità, non

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D e l r e s t o , c h e i d u e t i t o l i n o n s i e s c l u d a n o a f f a t t o , è d i m o -

s t r a t o d a l f a m o s o d o c u m e n t o p i s a n o d e l 7 3 0 , i n c u i i f r a t e l l i P i n -

c u l o e M a c c i u l o , i n d i c a t i n e l t e s t o c o m e viri honesti e n e l l ' e s c a -

t o c o l l o c o m e viri devoti, v e n d o n o l a l o r o sors n e l l a fiuwadia d i

A r e n a ( " ) . M a q u i s i p r e s e n t a l ' o p p o r t u n i t à d i u n ' a l t r a s e r i e d i c o n -

s i d e r a z i o n i : n o n p i ù s u i t i t o l i u n i t i a l l a d e s i g n a z i o n e d i exercitalis,b e n s ì s u q u e l l i c h e d a e s s a p r e s c i n d o n o .

H o c o n t a t o n e l l e c a r t e d e l l o S c h i a p a r e l l i , d a l l ' e t à d i L i u t p r a n -

d o f i n o a l l a c o n q u i s t a f r a n c a , c i r c a 5 9 0 s o t t o s c r i z i o n i d i t e s t i l a i -

c i , f r a c u i c i r c a 2 1 0 a p p a i o n o c o m e viri devoti e 3 0 c o m e viri hone-

sti : c o m p r e s i g l i e s e r c i t a l i ( 55) . A n c h e q u i è c h i a r a l ' i n f l u e n z a p r e -

p o n d e r a n t e d e g l i u s i n o t a r i l i . I l n o t a i o T e u t p e r t n e l l e c i n q u e c a r t e

d a l u i r e d a t t e f r a i l 7 4 0 e i l 7 5 9 p e r l o p i ù a L u c c a e a n o i p e r v e -

n u t e i n o r i g i n a l e d e s i g n a c o m e viri devoti 1 5 t e s t i l a i c i s u 1 6 ( 58) .

I l n o t a i o A u t e l m u n e l l e t r e c a r t e r e d a t t e n e l t e r r i t o r i o d i P o p u l o -

n i a t r a i l 7 6 0 e i l 7 7 2 e a n o i p e r v e n u t e i n o r i g i n a l e n o n d e s i g n a m a i

i t e s t i l a i c i — u n d i c i c o m p l e s s i v a m e n t e — c o m e viri devoti (57) . I n

a l c u n i c a s i s i p u ò r i s c o n t r a r e c h e u n a v a r i a z i o n e n e l m o d o d i i n t i -

t o l a r e i t e s t i n e l l ' e s c a t o c o l l o d i u n d o c u m e n t o c o i n c i d e c o n l ' i n t e r -

v e n t o d e l t e s t e m e d e s i m o i n u n a s o t t o s c r i z i o n e a u t o g r a f a . C o s ì i n

u n a c a r t a l u c c h e s e d e l 7 4 7 , p e r v e n u t a i n o r i g i n a l e e r e d a t t a d a l n o -

t a i o C h i s e r a t d i c u i n o n s o n o g i u n t e a n o i a l t r e c a r t e , d o p o i l signum

manus d i t r e t e s t i , n o m i n a t i d a l n o t a i o s e n z ' a l c u n t i t o l o d i o n o r e ,•

u n q u a r t o t e s t e s c r i v e : « e g o A l t i p e r t v i r d e v o t u s r o g a t u s a

T e u t p e r t i n a n c c a r t u l a v e n d i t i o n i s f a c t a a m e i n A n o c a r d o p r e -

s b i t e r o , s i c u t s u p r a l e g i t u r , t e s t i s s u s C r i p s i » (58) . I l c a s o i n v e r s o

5 ipotrebbe del tutto escludere un divario di condizione economica fra Munoaldo nel 736-737

e il figlio Radoaldo nel 758. 2 lecito allora proporre anche una spiegazione diversa, quella diuna momentanea incoerenza del notalo, tanto più facile, in quanto i titoli di onore sono abbre-viati mediante le sole lettere Iniziali: v.d., v.h. Si pensi, come esempio di incoerenza, alla cartadel 730 di cui alla prossima nota.

(54) SCHIAPARELLI, op. cit., I, p. 162 sg.(55) I viri honesti non segnalati come esercitali sono, nelle sottoscrizioni dei testi, appena

undici, op. cit., I, pp. 91, 128, 190, 203, 208, 231, 283. Per le 19 sottoscrizioni di 18 eserci-tali cfr. sopra, n. 47.

(56) SCHIAPARELLI, op. cit., i, pp. 223, 235, 264 sg., 302 sg.; II, p. 25. Prescindo da unacarta del 768 del notaio Teutpertu, a noi giunta in copia deli'vni secolo (Il, pp. 238-243): laidentità del notaio coi redattori delle cinque carte di Teutpert non si può dimostrare. In essa

S010il primo teste è indicato come v.d. Ma si noti che un guasto nella copia non permette di

leggere il nome del secondo teste, e che il terzo e il quarto teste sono notai, la cui sottoscri-zione - considerata la formula usata, *ego... me testis subscripsi i - era presumibilmente au-tografa. Il quinto teste è un chierico.

(57) Op. cit., II, pp. 52, 300, 374 sg.(58) I, p. 260. Ciò si riscontra, per una delle due sottoscrizioni autografe, anche In Il, p.

177 (a. 765).

DAI POSSESSORI DELL'ETÀ CAROLINGIA AGLI ESERCITALI 239

s i p r e s e n t a i n u n d o c u m e n t o o r i g i n a l e d e l t e r r i t o r i o d i V i t e r b o , r e -

d a t t o n e l 7 6 5 d a l n o t a i o W a l d i p e r t u s , d i c u i n o n s i c o n o s c o n o a l t r e

c a r t e : d o p o i signa manus d i t r e t e s t i i n d i c a t i d a l n o t a i o c o m e viridevoti e p r i m a d e l signum d i u n u l t i m o t e s t e , vir devotus l u i p u r e ,

u n t e s t e s c r i v e : « e g o E r m i t e u s r o g a t u s a V i l i m o n d u i n a n c a r t u l a m

v i n d i t i o n i s m e t e s t e s s u b s c r i p s i » ( 59) .

C h e c o s a d e d u r n e ? N o n c e r t o c h e t u t t i i t e s t i , s e n z a e c c e z i o n e ,

f o s s e r o viri devoti, m a c h e i l n u m e r o d i q u e s t i e r a , f r a i t e s t i , d i g r a n

l u n g a s u p e r i o r e a q u e l l o , g i à p u r m o l t o c o n s i d e r e v o l e , d e i viri de-voti e s p r e s s a m e n t e c o s ì i n d i c a t i n e l l e c a r t e : n o n c i o è n e l l a p r o p o r -

z i o n e s o l t a n t o d i o l t r e u n t e r z o d e l l a t o t a l i t à d e i t e s t i s e g n a t i n e l l e

c a r t e , c o m e d a u n a s t a t i s t i c a m e c c a n i c a m e n t e u s a t a r i s u l t e r e b b e ,

b e n s ì i n u n a p r o p o r z i o n e a l t i s s i m a , s i m i l e a q u e l l a c h e c i è s t a t a s u g -

g e r i t a p e r g l i e s e r c i t a l i d a l l ' e s a m e d e l l e l o r o s o t t o s c r i z i o n i . S i r i -

p e t e i n f a t t i p e r i l vir devotus l a c o n s t a t a z i o n e r e l a t i v a all'exercitalis:q u a n d o i l n o t a i o a m i u s a r e u n a t a l e d e s i g n a z i o n e , e g l i l a p u ò a p p l i -

c a r e a g e v o l m e n t e a t u t t i o a q u a s i t u t t i i t e s t i . N o n s o l o d u n q u e è

v e r o c h e n e l l ' v m s e c o l o g l i e s e r c i t a l i d e l l ' I t a l i a s e t t e n t r i o n a l e e d e l l a

T u s c i a , d e l l e r e g i o n i c i o è a c u i s i r i f e r i s c o n o l e c a r t e d e l l o S c h i a -

p a r e l l i , n e l l a t o t a l i t à o a l m e n o n o r m a l i t à d e i c a s i f u r o n o viri devoti,c o m e i n e q u i v o c a b i l m e n t e d i m o s t r a n o l e l o r o s o t t o s c r i z i o n i , m a è

a l t r e t t a n t o v e r o l ' i n v e r s o — c o n q u a l c h e m a r g i n e m a g g i o r e p e r l e

e c c e z i o n i , c o s t i t u i t e d a i viri devoti l e g a t i a l r e g n o f u o r i d e i r a p p o r t i

d i c a r a t t e r e m i l i t a r e — , c h e c i o è i viri devoti n e l l a n o r m a l i t à d e i c a s i

e r a n o e s e r c i t a l i , c h e i l n o t a i o p r e f e r i v a b r e v e m e n t e i n d i c a r e c o n l a

s i g l a vd, a b i t u a l m e n t e u s a t a p e r i viri devoti (80) . G l i u n i e g l i a l t r i ,

i n m a s s i m a p a r t e c o i n c i d e n d o , e r a n o i l c e t o d a c u i n o r m a l m e n t e ,

i n v i r t ù d i u n c e r t o l o r o d e c o r o s o c i a l e , s i a s s u m e v a n o i t e s t i m o n i .

C ' è t u t t a v i a u n f a t t o c h e p u ò d e s t a r e p e r p l e s s i t à . I l t i t o l o d i

vir honestus, c h e p e r s u a n a t u r a i n d i c a i n m o d o a n c o r p i ù i m m e -

d i a t o u n t a l e d e c o r o s o c i a l e , è r a r i s s i m o n e l l e s o t t o s c r i z i o n i d e i

t e s t i m o n i , s p e c i e q u a n d o s i p r e s c i n d a d a l c o n s i d e r a r e i l c a s o d e l

(59) il, p. 164. Un caso identico in II, p. 231 (a. 767). Ciò si riscontra anche in 1, p. 280sg. (a. 748), e in ti, p. 243 (a. 768), in quanto si presumano autografe le sottoscrizioni redattein forma soggettiva: questi documenti ci sono pervenuti in copia.

(60) Che gli esercitali nelle sottoscrizioni potessero essere chiamati genericamente e sem-plicemente viri devoti, risulta con tutta chiarezza da una carta del 772, in cui l'autore è indi-cato nel testo come i Ountlfridi v.d, fino quondam Tati exercitalls Clusine civitatis (SCHHA-PARELLI, op. cit., II, p. 363) e nell'escatocollo come i Ountifri v. d. firmaturi et conserba-turi, qui hanc chartulam fieri rogavet i (p. 365). Per II riferimento di eexercitalls i a i Oun-titridi e non a . Tati * cfr. BERTOLINI, op. cit. (sopra, n. 5), p. 462, n. 66.

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240 GIOVANNI TABACCO

tutto singolare delle carte redatte dal notaio Maurace (81), ed è ap-plicato invece con frequenza notevole agli autori delle carte, iquali ovviamente sono quasi sempre dei possessori. Ho contato— leggendo sia il testo sia l'escatocollo dei documenti editi dalloSchiaparelli — una trentina di carte che dall'età di Liutprando aquella di Desiderio hanno come autori dei viri honesti, e un qua-ranta carte i cui autori sono indicati come viri devoti (82), a non con-siderare qualche vir magnificus e oltre cinquanta carte di autore pos-sidente e laico non designato con titoli. Dobbiamo concluderne cheil ceto dei possessori è lungi dal coincidere in massima parte con

quello degli esercitali ?Ancora una volta esaminiamo gli usi notarili. Si noti che or-

mai, dopo le osservazioni suggerite dal confronto delle sottoscri-zioni dei testimoni, non fa problema che un notaio applichi il titolodi vir devotus, un altro il titolo di vir honestus e un altro ancora neprescinda affatto: normalmente sono libere scelte del notaio. Ilproblema è diverso: perché in molte carte dove i testi sono indicaticome viri devoti, gli autori appaiono come viri honesti ? Non sareb-be questo un indizio che, pur nella libertà di scelta, l'uso del notaioin parte rifletta la realtà di un ceto di possidenti, i viri honesti, mol-to più vasto di quello, in gran parte interno ad esso, degli eserci-tali, dai quali, come viri devoti, legati al potere politico e perciòforniti di speciale responsabilità nelle attestazioni pubbliche, ilnotaio trarrebbe abitualmente i testi ? Un indizio di questo generevi sarebbe di certo, se dovesse risultare che abitualmente i singolinotai variano dall'una all'altra carta il modo di denominare l'autore,come vir honestus o come vir devotus, ferma invece restando la loropreferenza per uno dei due titoli riguardo ai testi. L'indagine devedunque soprattutto rivolgersi a quei notai di cui più di una cartaci è pervenuta.

Il già ricordato Teutpert di Lucca, che indica i testi come viridevoti, come intitola gli autori ? In quattro delle sue cinque carteli dichiara viri honesti nell'escatocollo, mentre nel testo ora li chiamaviri honesti (), ora tralascia ogni titolo (84). Nell'altra invece dellecinque carte l'autore, figlio di duca, appare vir magnificus così

(61) Cfr. sopra, nota 55.(62) Ho tenuto conto anche del doc. 30, dove l'autore appare vir devotus solo nella sotto-

scrizione di un teste: . Ego... troni vir laudabills, rogatus a Ursone viro devoto, uhic cartuledotallum (...) testis subscripsl * (SCHIAPARELLI, op. cit., I, p. 112).

(63) SCHIAPARELLI, op. cit., 1, pp. 222, 264.(64) 1, p. 234; II, p. 24.

DAI POSSESSORI DELL'ETÀ CAROLINGIA AGLI ESERCITALI 2 4 1

nel testo come nell'escatocollo ("). Si noti ancora che Teutpert de-signa quasi sempre se stesso come vir devotus (66). Si direbbe cheegli abbia una spiccata sensibilità per la natura pubblica della fun-zione del notaio e dei testi, e perciò nel designare i testi e se stessoscelga il titolo che, esprimendo un rapporto di fedeltà verso il po-tere politico, meglio si addice a quella funzione. Per l'autore in-vece sceglie il titolo puramente adeguato alla posizione sociale (9.Il medesimo schema è seguito dal notaio Altipert in due carte del744 o 745 e del 746, redatte l'una nel territorio volterrano, l'altraa Massa Marittima: nella prima l'autore è dichiarato vir honestuscosì nel testo come nell'escatocollo — nel quale è « viro onesta ven-ditricis et tradetricis » anche la moglie —, e i sette testimoni, le cuisottoscrizioni, salvo le croci, sono tutte di mano del notaio, appaio-no tutti come viri devoti ; nella seconda l'autore è vir honestus cosìnel testo come nell'escatocollo, i cinque testimoni sono dichiarativiri devoti per mano del notaio e il notaio stesso nella comp/etio sisottoscrive come vir devotus (88). Di speciale interesse, fra i testi diquesta seconda carta, è la sottoscrizione anche del suocero dell'au-tore nella qualità di vir devotus e soprattutto la successiva sotto-scrizione di « Gairipert viri devoti filius quondam Arochis testis n,il quale è certamente la stessa persona che in una carta del 754 —redatta nel territorio probabilmente di Populonia da un Teutpertdiverso dall'omonimo notaio più volte sopra ricordato — si sotto-scrive come autore, per mano del notaio, così: « signum manusGairipert viri honesti venditoris et conserbatoris filio quondamAruchis » (08). Supporre che Gairipert fra il 746 e il 754 abbia per-duto la qualità di vir devotus per effetto di un eventuale sciogli-mento del vincolo formale col potere pubblico, sarebbe ipotesi com-pletamente gratuita rispetto alla spiegazione ovvia: Gairipert ap-pare via via col titolo conforme alla sua posizione nel documento,interpretata da notai che seguono riguardo ai titoli un medesimoschema.

(65) 1, p. 301 sg.(66) I, pp. 223, 235 (non nella sottoscrizione), 264 sg., 302 (non nella sottoscrizione).(67) Già il Boonierrt, op. cit. (sopra, n. 26), p. 138, n. 94 rilevò una diversità di uso nel

designare l'autore di certi documenti rispetto al testimoni, ma solo riguardo alla qualifica diesercitale. Egli ne inferi che i notai del Piacentino . ritenevano la qualità di exercitalls comerilevante solo agli effetti della funzione di testimonio Il ragionamento vale anche per quelnotai che riservavano il titolo di vir devotus ai testimoni.

(68) SCHIAPARELLI, op. cit., I, pp. 249 sg., 255 sg.(69) Op. oli, I, p. 320.

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242 GIOVANNI TABACCO

È lo schema che viene seguito approssimativamente anche dalnotaio Ansolf in tre carte pisane, una del 720, due del 730 (70).Nella prima l'autore, Sunduald, è vir honestus nel testo e nella sotto-scrizione, e i testimoni, scritti di mano del notaio, si succedono così:Pertuald v.d., Audolf v.d., Veglantis v. d., Coliutulo v.h., Gundualdv.d. e il chierico Reparato vir religiosus. Il notaio dunque assegnaun titolo di onore a tutti, chierici e laici, e fra questi ultimi distin-gue Coliutulo dagli altri come vir honestus. Constatazione interes-sante, perché sembra confermare che l'applicazione del titolo div.d., almeno al tempo di Liutprando, rispondeva alla realtà di unlegame formale. Occorre non troppo insistere su un tale indizio,i n s é s o l o con s i d e r a t o , p e r ch é v i è s em p r e l a p os s i b i -

lità di un'incoerenza notarile (71) , ma è pur ovvio pensare che dif-ficilmente Ansolf avrebbe sostituito il titolo di v.d. solo per un te-stimone, nominato in mezzo agli altri, infrangendo così il suo sche-ma, se non fosse stato a ciò indotto da una diversità di Coliutulo

dagli altri.Nella seconda carta l'autore è un chierico, indicato dal notaio

come vir religiosus, e i testi sono un vescovo e un diacono, che sisottoscrivono per mano propria senza titoli di onore, un notaio chesi sottoscrive per mano propria come vir clarissimus, un quartotestimone che si sottoscrive per mano propria senz'alcun titolo einfine un o Ansprand vir devotus », scritto da Ansolf. Il quale dun-que, là dove scrive lui stesso, segue lo schema già usato nel 720.Nella terza carta l'autore è v.h., sia nel testo sia nell'escatocollo, ei nomi dei testimoni, scritti di mano del notaio, sono tre e tuttiaccompagnati da v.d. Qui lo schema è usato con perfetto rigore.

Parecchi altri notai - Vitalis a Piacenza nel 721, Tachinolfua Toscanella nel 736, Gausualdu a Toscanella nel 739, Teutfrid aLucca nel 746, Peredeo a Piacenza nel 758, Waldipertus in terri-torio di Viterbo nel 765, Iordanis in territorio di Viterbo nel 766 -usano anch'essi lo schema descritto, ma di ciascuno è giunta unasola carta, donde l'impossibilità di accertare se, mutando l'autore,lo schema del notaio permane. Molti altri notai invece (72) appli-

(70) Op. cit., 1, pp. 90 sg., 150 sgg., 153 sg.(71) Cfr. sopra, nota 53.(72) Sicherad a Lucca nel 723, Leonacis a Lucca nel 728 o 729, Lautchls a Novara nel

729, Roduald a Pisa nel 730, Lazarius in territorio di Corno nel 735, dado a Sovana nel736, Autarl a Lucca nel 737, Gaudentius a Lucca nel 738 (se si assimila all'autore II consen-ziente), Teuderado in territorio dl Lucca nel 739, Garloald probabilmente in territorio di Ber-gamo nel 740, Lamipert a Lucca nel 747, Avondus a Pistola nel 748, Rasper a Lucca nel

DAI POSSESSORI DELL'ETÀ CAROLINGIA AGLI ESERCITALI 2 4 3

cano il titolo di vir devotus sia all'autore sia ai testimoni: all'au-tore ora solo nel testo, ora solo nella sottoscrizione, più spesso sianel testo sia nella sottoscrizione. Ma, salvo un caso, si tratta di no-tai di cui non si può controllare la fedeltà a questo secondo schema,essendoci pervenuta di essi una sola carta che abbia come autoreun laico (73) . Soltanto del notaio Tanipertu, redattore di due cartein territorio di Lucca nel 757 e nel 759, un controllo è possibile:ed è significativo che in tutt'e due le carte così il nome dell'au-tore - nel testo e nella sottoscrizione - come i nomi dei sette,complessivamente, testimoni laici, tutti scritti di mano del notaio,siano accompagnati dal titolo di vir devotus, senza eccezione (74) .

I notai di Chiusi fanno gruppo a sé. Quasi tutti, e solo essi,seguono un terzo schema: vir honestus è detto - qualche volta solonel testo o solo nella sottoscrizione - l'autore, nessun titolo di onoreè dato ai testimoni. Sono Gaidilapu che scrive nel 746 o 747, Dom-nulinus nel 760 e nel 765, Aboald nel 763 e nel 774, Bonifrid nel765, Maurinu nel 774. I notai che fanno eccezione sono Warne-gausu, che nel 738 segue uno schema tutto suo, intitolando v.d.l'autore e v.h. ciascuno dei cinque testi, e Firmo, che scrive nel 765,nel 770, nel 771 e non applica titoli di onore a nessuno. Quest'ul-timo uso, l'eliminazione dei titoli di onore, è proprio anche di moltinotai fuori di Chiusi. Che non sia per essi un fatto accidentale sipuò accertare nel caso di notai di cui abbiamo più di una carta: Fra-tellus in territorio di Populonia negli anni 759, 760, 762, Autel-mu in territorio lucchese negli anni 760, 769, 772, Tanoaldus aBrescia in due carte del 761, Maccio a Pisa nel 765 e nel 769, Au-stripertus a Lucca nel 768 e nel 772, Rachiprandus in due cartelucchesi del 773. C'è quanto basta per dimostrare che l'elimina-zione dei titoli di onore dalle carte dipende, non meno che la sceltafra di essi, soprattutto dal notaio, e ciò conforta a interpretarecerti titoli come applicabili - per il loro significato sociale o per illoro specifico riferimento al legame politico - alla massima partedella classe dei possessori.

Si può in verità osservare, a questo proposito, una chiara

752, Sichipert In territorio di Lucca nel 755, Galduin In territorio di Lucca nel 755, DeusdonaIn territorio di Lucca nel 757, Tanipertu in territorio di Lucca nel 757 e nel 759, Gunpert InGarfagnana nel 761, Ohisprand a Lucca nel 767, Ghispertu in territorio di Lucca nel 767,Ermenfret In diocesi di Piacenza nel 770, Walpert nel 771 forse in territorio di Varese, Trasi-mundus In due carte di Rosene nel 772, Gaff in territorio di Bergamo nei 773.

(73) Di Trasimundus in Roselle abbiamo in verità due carte, ma del medesimo autore.(74) SCHIAPARELLI, °p. cit., 11, pp. 6, 23.

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tendenza alla semplificazione nel corso dell'vm secolo: il primo e ilsecondo schema dei titoli prevalgono nell 'età di Liutprando, diRachis, di Astolfo, ma nettamente declinano nell'età di Desiderio.Vi è anzi il caso di un notaio, Osprand di Lucca, che muta abitu-dine nel corso della sua attività. Mentre in carte del 753, del 754e del 755 indica i testi, persino i chierici, come viri devoti, nellenumerose carte successive, a cominciare dal 759 fino al 769, eli-mina il titolo: salvo eccezionalmente, quasi ritorno improvviso auna vecchia abitudine, per il primo teste di una carta del 761 (76).Che ciò dipenda da una rapida diminuzione di uomini formalmentelegati al potere pubblico come viri devoti, non si può ammettere,perché anche nell'età di Desiderio vi sono notai che così continuanoa intitolare i testi in genere (76): assurdo supporre che a questi no-tai sia avvenuto di scegliere tutti o quasi tutti i testi fra i viri de-voti, mentre a tanti altri sarebbe avvenuto di non trovare neppureun vir devotus fra i testi. Due sono invece le spiegazioni possibili.Può darsi che lo speciale giuramento, che sappiamo richiesto agliesercitali nell 'età di Liutprando, sia caduto più tardi in disuso:senza tuttavia che fra i notai si perdesse interamente l'uso di chia-mare viri devoti gli esercitali, i quali, giurassero o no, erano pursempre manifestamente impegnati in una funzione di carattere pub-blico. O, più semplicemente, può darsi che, pur rimanendo im-mutati gli atti formali in uso nell'esercito, il loro rilievo, e il rilievotradizionalmente conferito alla funzione dell'esercitale via via siattenuassero nella considerazione sociale e nella coscienza dei notai.Significativo ad esempio è che il notaio Thomas, redigendo a Pavianel 769 l'unica sua carta a noi pervenuta, di tutti i testi abbia in-dicato non il titolo di onore ma la professione: « Vitalis negotiens »,« Teoperti negotiens », « Nazarii monetario », « Andreas medicus »,« Theoderaces aurifex » (77). Un probabile segno di mutamento dimentalità. Non decadenza dunque del ceto degli esercitali, ma unorientamento diverso nel considerarlo entro il tessuto sociale: unaaccentuazione, soprattutto forse nelle città, del suo carattere diceto attivo di possessori, per una più profonda convergenza, nel-l'exercitus e più ancora nella vita sociale, del popolo dei Longobardicon le tradizioni locali.

(75) ID., op. cit., Il, p. 63.(76) Cfr. sopra, nota 72.(77) SCHIAPARELLI, op. cit., Il, p. 292.

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Le carte farfensi, in gran parte del territorio di Rieti, non mo-dificano il quadro disegnato. Ogni notaio segue un proprio uso.Nel 764 una carta redatta dal notaio Marchambertus nel mona-stero di Farfa elenca sei testi laici, dei quali uno, e proprio quelloche, come figlio dell'autore, partecipa all'atto dichiarando il pro-prio consenso, non ha titoli, mentre gli altri cinque sono qualificaticome exercitales e quattro di essi, gli ultimi quattro, sono pure in-dicati come viri devoti mediante la solita sigla (m). Nello stesso annoe nello stesso monastero lo scriptor Stefano elenca sette testi laici:Gundualdo « actionarius », Gundiperto figlio di Gundualdo, figlio cioèforse del teste precedente, poi quattro esercitali e infine un Anasta-sio che si sottoscrive di mano propria senza qualificarsi in alcunmodo (79). Nessuno di questi quattro esercitali ha il titolo di vir de-votus e tuttavia due di essi, Goclefrid del fu Candolfus e Scapto delfu Theoderadus, sono manifestamente gli stessi esercitali, Gode-fredus del fu Candolfus e Scattulus del fu Theoderadus, che il no-taio Marchambertus inserisce, nella carta del medesimo anno, fragli esercitali viri devoti. C'è di più. Godifredus di Candolfus com-pare come teste anche nel 767, ma privo sia del titolo di onore siadella qualifica di esercitale, in una carta redatta nel monastero diFarfa dal notaio Gudepertus: un .notaio di cui abbiamo, nell'etàlongobarda, una dozzina di carte, dal 745 al 767, nelle quali nes-sun teste è qualificato mai come esercitale o come vir devotus (80).

Si ripete dunque per le carte farfensi relative al ducato di Spoletoquanto abbiamo osservato per la Tuscia e per l'Italia del nord, conla possibilità anzi di una dimostrazione ancora più agevole: nel de-signare la maggioranza dei testi i notai scelgono liberamente se at-tribuire o no ad essi la qualifica di exercitalis e se applicare o no iltitolo di vir devotus (81). È vero che quest'ultimo titolo si trova in

(78) I. GIOR01, U. BALZANI, 11 regesto di Farfa compilato da GREGORIO DI CATINO, II, Ro-ma, 1879, p. 58. L'assenza della sigla vd nella designazione del primo teste può dipendere danegligenza del redattore del regesto farfense o da involontaria omissione nel documento origi-nario. Se la sostituzione di un titolo con un altro fa problema (cfr. sopra, n. 53), non si puòInvece attribuire lo stesso peso a una semplice omissione. Naturalmente è lecito proporre an-che spiegazioni diverse. Si può ad esempio supporre che il primo teste non avesse ancora pre-stato li giuramento proprio degli esercitali: posto che un tale giuramento, attestato dalla No-lilla de actoribus regls per l'età di Liutprando, fosSe ancora in vigore.

(79) 010130I, BALZANI, op. cit., Il, p. 59 sg.(80) Op. cit., 11, p. 70; cfr. pp. 28, 35, 36, 40, 42, 43 sg., 45, 46 sg., 54, 63 sg.(81) Riguardo alla fedeltà dei notai del ducato beneventano ai propri schemi aggiungo

qualche informazione a quelle date nel testo. Il notaio • Raganfredus indignus monachus inelle sue prime tre carte, dal marzo 761 all'ottobre 762, qualifica quasi tutti i testi come eser-citali (op. clt., Il, pp. 51, 53, 55), mentre nelle quattro successive, dal 764 al 767, abban-dona tale uso interamente (II, 60 sgg., 68). Lo scriptor Stefano, che nel documento del 764

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una sola carta redatta nel ducato, quella sopra ricordata del notaioMarchambertus, ma il confronto con la carta presso che contem-poranea di Stefano è sufficiente per dimostrare che solo il diversoorientamento degli altri notai, non la condizione obiettiva dei testi,impedì un uso più largo di quel titolo di onore. Né del resto i notaidel ducato preferirono astenersi soltanto dal segnalare i viri devoti:ignorarono in modo ancor più radicale il titolo di vir honestus.

IV

I « livero eremmanos » della Notitia de actoribus regis hannotrovato così nei documenti una conferma e un chiarimento, chedavvero, considerata la scarsezza dei dati a nostra disposizione,non si potrebbero desiderare migliori. A una condizione: che dubbinon sorgano sulla normale coincidenza dei concetti di arimanno edi esercitale, l'uno e l'altro esprimenti la realtà di una tradizionemilitare e politica longobarda, incorporata in un popolo etnica-mente ormai — nell'vin secolo — non interamente omogeneo, maben distinto dalla restante popolazione come classe politico-socialeegemonica, stretta formalmente intorno all'apparato del regno equasi in esso confusa. Se non che il dubbio, su quella coincidenza, ènato. O meglio vai dire oggi rinato, in quanto sorto dagli scrupolidi un maestro di studi longobardi proprio in concomitanza col tra-monto dell'avventurosa teoria degli arimanni fedeli al re nellearimannie, l'immaginosa teoria di un vasto sistema regio di coloniemilitari, insediate su terra fiscale in contrapposizione alla genera-lità del liber et exercitalis populus inquadrato dai duchi (82): quasi

ricordato sopra nel testo qualifica come esercitali la maggioranza del testimoni ex dicto Hi-semundi scuidahis nelle carte che redige come notaio dal 766 al 773 (i l, pp. 65, 70 sg., 73sg., 75 sg., 77 sg., 80 sg., 83) non ne segnala più nessuno. Il notaio Tacipertus, di cui ab-biamo dt.e carte del 764 e una del 768 (I l, pp. 58 sg., 61, 68 sg.), non qualifica nessuno comeesercitale. Qualche anno dopo la caduta del regno longobardo, il diacono lustulphus invece,scrivendo nel monastero di Parta, procede in piena libertà: nello stesso anno e nello stesso mese,gennaio 777, in due carte strettamente fra loro connesse per il contenuto, qualifica il teste Her-femarinus una volta come esercitale e una volta no (Il, p. 91 sg.). Sembra oscillare negli usi,da una carta all'altra, anche Oulderado, scrittore nel monastero, ma ad un esame più attentorisulta che, tolte le sottoscrizioni del testi redatte in forma soggettiva, egli normalmente se-gnala la qualifica di esercitale (II, pp. 64 sg., 81, 110).

(82) Si noti l'adesione del BERTOLINI, op. cit. (sopra, n. 5), pp. 547-550, alla demoli-zione della teoria. Interessanti le esitazioni che affiorano ormai persino in CARLO GUIDO MOR(cfr. l'Epilogo di Ordinamenti militari in Occidente nell'alto medioevo, Spoleto, 1968, p. 1260),fino a ieri fedelissimo al pensiero di Fedor SchneIder, Egli sembra ora voler risalire alle ideedel primo Lelcht (cfr. la discussione stilla lezione del Bertol ini in Ordinamenti cit., p. 624

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che, nell'atto di scomparire dalla storiografia come denominazionedi una specifica colonizzazione militare, il termine di arimanno tentiancora disperatamente di resistere, per altra via, alla sua definitivarisoluzione semantica nei concetti di longobardo e di esercitale I

Il dubbio invero procede dalla difficoltà di noi storici (83) diconcepire che un intero popolo, dopo due secoli dal suo ingresso inItalia, e nel corso di un'evidente fusione con elementi tratti dallaclasse dei possessori latini (84), si presenti ancora come investito diuna precisa funzione politica oltre che militare: assommi in sé l'ideae la realtà del dominio e dell'ordinamento pubblico. L'occasionepoi di esprimere il dubbio è offerta da una lettura pazientissima dellalegislazione longobarda, che ha suggerito l'idea dell'arimanno comefunzionario pubblico legato con vincolo personale al iudex — ducao gastaldo regio — o al re (22).

Il termine appare per la prima volta in Liutpr., 44, un capi-tolo emanato nel 723: de servo fugace et advena homine. Il regnoappare tutto diviso in iudiciariae : in ogni iudiciaria il iudex disponedi sculdasci ed ogni sculdascio di decani o saltarii, i quali vigilanosu ciascun /ocus del territorio. Tocca al decano o al saltano, « quiin loco est », di arrestare il servo fuggitivo o il forestiero, per con-durlo al funzionario superiore, lo sculdascio, che a sua volta lo con-segna al giudice. Questi interroga l'arrestato: « et si inventus fuèritquod servus sit aut far, mox mandet ad iudicem aut ad dominumeius, unde ipse fuerit, et habeat pro presura de ipso servo per caputsolidos duos ». Mandet, ciò vuol dire: « comunichi » (86) l'arresto algiudice della iudiciaria di provenienza, o anche direttamente al pa-drone del servo, quando di servo si tratti. Il giudice del territorioda cui l'uomo proviene deve a sua volta recolligere l'arrestato; op-

sg.), che sono In verità diverse dall'ulteriore teoria: cfr. TABACCO, I liberi cit. (sopra, n. 1), p.3, n. 6; p. 14, n. 42; p. 25. Quanto alla domanda che egli rivolge intorno alle origini delletarde arimannie . (Ordinamenti cit., p. 624), si veda la risposta nei Liberi cit., pp. 200-205,dove si riassumono alcuni risultati dell'indagine esposta nel volume.

(83) Per la mia personale esperienza in proposito cfr. più avanti, nota 97.(84) MI richiamo alle disposizioni di Astolfo sull'armamento (cfr. BERTOLINI, op. cit., p.

501), e alle osservazioni sull'onornastica di TAMASSIA, LEICHT, I. cit., coi temperamenti so-pra (nota 39) suggeriti.

(85) BERTOLINI, op. cit., p. 543.(86) Rotti., 264: . Si liber aut servus vellIt foris provinciae fugire et iudex aut quicum-

que, qui in finibus provinciae resedit, eum praeserit, teneat eum, et res, quas secum detu-lerit, salvas faciat; et mox mandet ad iudicem de locum, unde fugire coepit, quatinuseum reclpiat e. Cfr. J. F. NIERMEYER, Mediae latinitatis lexicon minus, fasc. VII, Leiden,1959, p. 634 sg., v. mandare, o 4, 5; mandatum n° 5; Novum glossarium mediae latinitatisab anno DCCC usque ad annum MCC, fase. Ma, liafniae, 1959, col. 108, v. mando, n . 3 ; c o l .109, v. mandatum, no 3.

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;

;

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pure trasmettere la comunicazione ricevuta sull'arresto dell'uomoall'o arimanno suo », con la formula: « in tali loco homo tuus com-prehensus est ». La cattura del servo fuggitivo dà luogo dunque auna duplice possibilità: il giudice che lo ha interrogato ne informa oil proprio collega o il padrone: nel primo caso il collega ne informaa sua volta il padrone, l'arimanno cioè a cui il servo appartiene.Il possessivo o suo », che accompagna « arimanno o, può considerarsicome un riferimento al servo, che dall'arimanno dipende, od anche,se si vuole, come un riferimento al giudice della circoscrizione diprovenienza, dal quale il padrone, in quanto arimanno, dipende.Chi tenga presente il capitolo 5 della Notitia de actoribus regis, dacui risulta la sostanziale coincidenza, nel linguaggio di Liutprandoo di chi scriveva per lui, fra il ceto dei possessori e quello dei liberiarimanni, legati al regno da giuramento di fedeltà, ed abbia seguitol'argomentazione volta a mostrare il generico fondamento militaredella devoti° della massima parte dei viri devoti, troverà perfetta-mente accettabile così l'una come l'altra interpretazione, né sentiràdifficile ammettere che la medesima persona, padrona di un servo,appaia ora come dominus, ora come arimannus di un giudice, cioèdi un capo militare attraverso il quale l'arimanno è inquadratonell'exercitus del re.

Questa è la nostra lettura di Liutpr., 44. C'è chi non legge così.L'arimanno non sarebbe il padrone del servo, ma un « pubblico uf-ficiale », e la formula della comunicazione vorrebbe significare: unuomo domiciliato in un luogo compreso nella tua competenza èstato arrestato (87). Non si è pensato alle conseguenze di questa in-terpretazione. Non soltanto il regno sarebbe articolato in iudicia-riae, la iudiciaria in distretti affidati a sculdasci, la sculdascia indistretti minori affidati a decani o a saltari — che è un'articola-zione già di per sé sorprendente per la sua capillarità —, ma il di-stretto del decano dovrebbe supporsi a sua volta distinto in sfereminime di competenza, proprie di ciascun « arimanno ». Che se nonsi accetta questa conseguenza e si vuol piuttosto pensare che nel/ocus affidato al decano vi sia un piccolo numero di funzionari, de-nominati arimanni, in servizio permanente di polizia, non si ca-pisce perché il iudex mandi la sua comunicazionae a un poliziottoanziché al decano, titolare del distretto, e a questo poliziottodica, riferendosi a un uomo ivi domiciliato: « homo tuus ». È pos-

(87) BERTOLINI, op. clt., p. 515, n. 204.

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sibile che l'interprete del passo in discussione abbia momentanea-mente dimenticato, nell'atto di spiegare arimanno come pubblicoufficiale, la precisa gerarchia di funzionari, dal giudice al decano,attestata proprio in Liutpr., 44: funzionari, si badi, ai quali è chia-ramente attribuita una responsabilità di polizia. Mi pare difficilespiegare altrimenti la sua affermazione: « L'arimannus di cui il ca-pitolo parla espletava dunque, nel luogo dove risiedeva, e agli or-dini diretti dell'iudex che reggeva la circoscrizione territoriale incui quel luogo era compreso, funzioni di polizia » (88). Eccetto chesi voglia pensare a due polizie concomitanti, l'una a scala gerarchica,l'altra personalmente legata al giudice e tuttavia anch'essa distri-buita s t ab ilmen t e luogo per luogo. Una duplicazione dicui davvero non si vede lo scopo. Oppure l'interprete vuole identifi-care l'arimanno col decano ? Si direbbe di no, poiché lo pone agliordini diretti del giudice, a cui sarebbe personalmente legato.

Quali sono del resto gli argomenti volti a contestare l'ovviosignificato di arimanno e di homo come padrone e servo rispettiva-mente ? « Non si capirebbe perché » — è avvenuto all'interprete didichiarare in una risposta orale (89) — « nel caso si trattasse ancoradel servo fuggiasco, non si parli più di servus fugax, di servus suus,ma di homo in genere; e perché, invece di ripetere dominus, si dicearimannus ». Ma poiché sappiamo che homo può significare servo,non c'è ragione di costringere il redattore del capitolo alla fedeltàverbale a un determinato termine: tanto più che non è neppureda escludersi, nell'ultima parte del capitolo, una sfumatura concet-tuale di qualche maggiore ampiezza, un riferimento, anziché sol-tanto al servus strettamente inteso, a qualsiasi dipendente, anchealdio o massaro, dell'arimanno (90). Quanto poi ad arimannus,questo è il punto da porre in rilievo. Se il termine è carico di quelsignificato sociale e politico, che in Notitia, 5 appare con tuttaevidenza, il passaggio da dominus ad arimannus non fa problema:allo stesso modo che non fa problema, nel corso di un documentofamoso, il passaggio da Romani a massarii per indicare le stessepersone e un concetto sostanzialmente — non rigorosamente — iden-tico (91).

(88) Op. cit., p. 514 sg.(89) Ordinamenti mildarl cit. (sopra, n. 5), p. 611.(90) NIERMEYER, op. cit., fasc. VI, Leiden, 1960, p. 493, v. homo, n' 4, 5.(91) SCHIAPARELLI, op. cit. (sopra, n. 39), Il, p. 219. Cfr. BOGNETTI, op. clt. (sopra,

n. 26), p. 140; Io., Storia, archeologia e diritto nel problema dei Longobardi, in Atti del I Con-gresso internazionale di studi longobardi, Spoleto, 1952, p. 93 sg.

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Ma c'è, nell'interpretazione che stiamo esaminando, un altroargomento. L'interprete non crede che la restituzione dell'arresta-to alla iudiciaria di provenienza debba avvenire soltanto nel casodel servo o del ladro (92): evidentemente egli pensa che i liberi homi-nes ancora al tempo di Liutprando siano vincolati al loro domicilioe non possano trasferirsi in altro territorio senza licenza dell'auto-rità pubblica (99. E poiché il riferimento all'arimanno è nella partedel capitolo nella quale si prevedono multe per i giudici negligenti,e di queste multe, diversamente da quanto poco prima si precisaper quelle destinate a punire i funzionari inferiori, non si prevedela parziale utilizzazione a favore di chi risulti danneggiato dalla ne-gligenza dei giudici (94), egli ritiene che qui ormai il legislatore nonpensi più al servo - come infatti dimenticherebbe il risarcimentoal padrone ? bensì più generalmente al trasferimento dell'homo,chiunque egli sia, alla iudiciaria da cui proviene: donde l'impossi-bilità di interpretare l'arimanno - da cui quell'uomo dipende -come persona diversa da un ufficiale pubblico. In verità la premes-sa, da cui l'argomentazione procede, è in netto contrasto con laprecisa limitazione che già conosciamo: « si inventus fuerit quodservus sit aut fur ». E non solo non si prevede il trasferimento coat-tivo dell'advena alla sede di provenienza, ma subito il legislatoreesprime la preoccupazione di dichiarare incolpevoli i funzionari che,arrestato e interrogato il forestiero, si avvedano che non si tratta diun servo, ma di un libero: un libero, dobbiamo integrare, che nonsia reo di furto (95). Dunque al tempo di Liutprando i liberi hominesgodono ormai di una certa libertà di movimento nel regno. Cadutala premessa, perde ogni valore, ai nostri fini, l'osservazione sullamancanza di riferimenti al danneggiato nelle prescrizioni relativealle multe inflitte alla negligenza dei giudici: un valore del resto

(92) BERTOLINI, op. cit., p. 515, n. 204, e p. 610.(93) Roth., 177: De homine libero, ut lIceat eum migrare. Si quis liber homo, potesta-

tem habeat intra dominium regni nostri cum tara sua megrare ubI voluerit, sic tamen sl el arege data tuerit licentia; et si allquas res el dux aut quicumque liber homo donavit et cumeo noluerit permanere vel cum heredes ipsius, res ad donatorem vel heredes elus revertan-tur I.

(94) « Si vero deganus aut saltarius hoc tacere distulerit, conponat solidos 4, medleta-tem sculdahis suo et medietatem culus causa est. Et si sculdahls neciectum posuerit, conpo-nat solidos 8, medietatem ludIci suo et medietatem cuius causa est. Si vero iudex ad euminquirendum vel mandatum taciendum, unde Ipse homo est, distuierit, conponat in palati°solidos 12. Et si ille iudex, cui mandatum venerit, neciecturn tecerlt ad Ipsum homlnem recol-legendum, aut arimanno suo mandatum 'radendo: quia in tali ioco homo tuus con-prehensus est ', et hoc neclexerit, conponat In paiatio solldos 12 «.

(95) « SI autem post InquIsitam causam Ipse homo qui conprehensus aut InquIeltue fue-rlt Ilber aparuerlt, nulla slt culpa el qui eum preelt aut inquisivit 5 .

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già di per sé assai debole - si mantenesse pur la premessa -, per-ché l'incompletezza delle norme, che venivano certo integrate me-diante analogia con altre o mediante decisioni ulteriori, è troppofrequente nella legislazione altómedievale, ed è anzi palese nellostesso Liutpr., 44, là dove ad esempio - or ora si è visto - si vuolcoprire l'operato dei funzionari zelanti.

Abbiamo condotto con tutta l'ampiezza, necessaria al rigoredell'argomentare, l'esame di Liutpr., 44, perché è bello - intellet-tualmente - trovare anche qui una precisa conferma di quel cetodi possessori e di dominatori, pur se distribuito a molto vari livellidi potere e di prestigio sociale, che abbiamo visto emergere con tantanettezza da altre fonti. Ma - ci perdoni il lettore - l'argomenta-zione non è strettamente necessaria ai nostri fini. Si vuol credereche l'arimanno di Liu/pr., 44 non sia il danneggiato, bensì dipen-da per una sua qualche funzione dal iudex? Ebbene, supponiamopure che sia così. Gli esercitali, tutti gli esercitali, sono a disposi-zione del re e dei giudici, in pace ed in guerra, per ogni forma di coer-cizione pubblica da esercitare nel regno. Non vi è ragione alcunadi supporre - dato e non concesso che l'arimanno di Liutpr., 44sia considerato nell'esercizio di una funzione di polizia - un corpodi funzionari caratterizzato dal nome arimannico e distinto dallageneralità dell'esercito e dalle varie sue articolazioni territoriali.

Il termine di arimanno compare ulteriormente due volte inLiutprando: nel secondo capitolo della Notitia de actoribus regis enel quinto capitolo, già largamente illustrato. Nel secondo si in-giunge all'actor, che abbia notizia di certe usurpazioni di beni fiscali,di informarne il re, ma gli si vieta di procedere di sua iniziativa alloro sequestro, volendosi il re riservare la cognizione della causa:« quia iudices nostri » - Liutprando spiega - « nec arimannos necactoris nostri possunt sic disciplina distringere sicut nos ». Qualeil soggetto e quale l'oggetto di questa proposizione ? Giustamenteè stato osservato che dalle desinenze usate nella redazione della nor-ma nulla si può ricavare (96). Due possibilità grammaticali si pre-sentano: che « iudices nostri «sia il soggetto di « distringere », da cuidipenderebbero come oggetto sia « arimannos », sia « actoris nostri »;che iudices, arimanni, actores siano tutti soggetto di distringere, eche l'oggetto - gli usurpatori - sia sottinteso. La prima possibi-

(96) BERT01 INI, op. cit., p. 532.

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lità conduce a questa interpretazione: il re vuol prevenire le esu-beranze dell'actor e le conseguenti controversie fra Factor e Fariman-nus — il possessore sospetto di usurpazione — di fronte al iudex or-dinario, e giudica in ogni caso troppo delicata la causa, che mettein conflitto il potere pubblico con membri dell'exercitus, per abban-donarla alle decisioni del iudex, non che dell'actor ; ma nell'espri-mere compendiosamente questa sua duplice preoccupazione, eglitrapassa dal divieto fatto all'actor, di unfare aut pignerare arbitra-riamente, all'affermazione di principio che il re ha un potere di di-strictio superiore a quello del iudex, donde il diritto di avocare a séogni causa. La seconda possibilità grammaticale conduce a inter-pretare così: il re vuole evitare l'arbitrio dell'actor e, consideratala delicatezza della causa, decide di avocarla a sé, enunciando ilprincipio generale che il potere regio di districtio è superiore a quel-lo di ogni altro; e nell'enumerare compendiosamente coloro a cuipuò avvenire di esercitare la districtio, ricorda anzitutto i giudici,che sono al sommo della gerarchia così dei funzionari come dei liberi,poi i liberi arimanni, che costituiscon£L4Lpopolo dominatore e chein ogni occasione possono essere chiamati a distringere i ribelli allapace e all'ordine longobardo, e infine gli actores regis, non necessa-riamente di nascita libera o incorporati all'exercitus, ma investitianch'essi di responsabilità pubbliche e di funzioni esecutive. C'èalternativa fra due interpretazioni, dunque: la prima in armoniacon la convergenza dei concetti di arimanno e di libero possessore,la seconda in armonia con l'identità di arimanno e di esercitale. Nonvi è la minima necessità di postulare un corpo specifico di fun-zionari qualificati arimanni (97).

Forse ciò è suggerito dall'ulteriore legislazione di Racliis, chedi arimanni parla assai di frequente? Ma basta aprire il primo ca-pitolo per rendersi conto che l'arimanno di Rachis è l'esercitale,l'erede della tradizione longobarda, il libero per eccellenza — distin-

(97) La seconda possibilità grammaticale potrebbe, a rigore, dar luogo anche a una di-versa interpretazione, la sola che, per il caso di una tale scelta grammaticale, mi venne allamente In altra occasione (Studi medievali, 3. serie, VIII,1967, p. 928, n. 5); che cioè vi fos-sero arimanni collegati con le corti regie e Muniti di poteri; e *neppure in *questo caso — di-cevo allora e tuttora ritengo — ne verrebbe un buon argomento per escludere che vi sianoaltri Longobardi denominati arimanni Ora invece, pur ammettendo teoricamente o margi-nalmente la possibilità di una tale interpretazione, non credo più che essa sia necessaria perchi preferisca porre i arimannos * e .actoris nostri • come soggetto grammaticale, coordinatoal giudici. Ovvia diventa — dopo l'analisi sopra compiuta del quinto capitolo della Notitta deactoribut regis, e dopo i successivi confronti con Paolo Diacono e con le fonti documentarie —PIntepretazione data qui sopra, In questa pagina del testo. A spiegare come questa soluzionenon mi si fosse presentata alla mente, vale quanto ho scritto in corrispondenza della nota 83.

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to da un qualsiasi libero massaro o da un qualsiasi Romano di con-dizione non rigorosamente servile —, a cui le leggi rivolgono la pri-ma sollecitudine: « Sed si quis iudex amodo neglexerit arimannosuo, diviti aut pauperi, vel cuicumque homini iustitiam iudicare,amittere debeat honorem suum et conponat in palatio regis wi-drigild suum ». Similmente nel secondo capitolo, dove alla solleci-tudine per l'arimanno succede la preoccupazione per la sua intra-prendenza: « Si quis vero arimannus aut quislibet homo ad iudi-cem suum prius non ambulaverit et iudicium de iudice suo non su-sceperit et post iustitiam suam receptam sic venerit ad nos pro-clamare, conponat ad ipsum iudicem suum solidos quinquaginta ».Certo, il vel e l'aut inseriti fra arimannus e quiscumque homoo quis-libet homo u provano con ogni evidenza che l'arimanno era qui con-siderato un libero non qualunque, ma caratterizzato da una pro-pria figura, che non consentiva al legislatore di lasciarlo confusonella grande massa dei liberi comuni » (99). Ma in Italia la « massa »dei liberi più umili — della quale, si badi, non conosciamo la den-sità — non era quella dei Longobardi, o dei Romani incorporatiall'esercito, non era il ceto dei possesàori, ma erano quei massariche non fossero ridotti giuridicamente in schiavitù, tutti i massaricollegati, ai fini della giustiiia, col potere pubblico: come appareancora nella tarda età carolingia dalle formule di immunità dei di-plomi imperiali (99) . Da questa massa di dominati, pur se formal-mente liberi, gli arimanni emergevano, non dal popolo dei domi-natori, con cui anzi si identificavano.

Con questa identificazione è in perfetta armonia il quarto ca-pitolo di Rachis, che vede l'arimanno cavalcare a fianco del iudex:« unusquisque arimannus, quando cum iudicem suum caballicave-rit, unusquisque per semetipsum debeat portare scutum et lan-cearn, et sic post ipsum caballicet; et si ad palatium cum iudicemsuum venerit, similiter faciat ». Perfettamente intelligibile, in unordinamento che fa del popolo dominatore la struttura stessa dello

(98) BERTOLINI, op, cit., p. 519.(99) M.O.H., Dipkmata regum Germaniae ex stirpe Karolinorum, 11, pp. 82, 84, 86, 88.

Tralascio di discutere l'interpretazione che il BERTOLINI, op. cit., pp. 516-520 propone di Ratch.,10, perché essa rinvia a Ratch., 2 e quindi non porta nuovi argomenti alla sua ipotesi. Non mifermo neppure su Rateh., 14, perché neppure da esso il BERTOI.INI, op. cit., pp. 520-521 traenuovi argomenti. Quanto ad Ahtst., 4, è da segnalare il rilievo che li BERTOLINI, op. cit., p.528 conferisce all'eius unito ad arimannus con riferimento al iudex; ma per spiegare elus nonè necessario supporre che l'arimanno rivesta pubbliche funzioni specifiche al servizio del giu-dice; basta pensare al rapporto di qualsiasi esercitale col capo militare della circoscrizione acui egli appartiene.

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stato, il ricorso normale dei poteri pubblici a nuclei armati costi-tuiti da comuni esercitali: da quegli esercitali soprattutto che, peruna migliore condizione economica, possono disporre di cavallo earmarsi in modo completo. Chi voglia rendersi conto di quel chefosse politicamente e socialmente il mondo longobardo a metà del-l'ottavo secolo, dovrà far convergere nella propria attenzione pochenorme di Liutprando, di Rachis e di Astolfo, Nolitia, 5, Ratch., 4,A hist., 2-3 — i due capitoli in cui Astolfo prescrive l'armamento de-gli uomini maiores et potentes e dei due ceti ad essi economicamenteinferiori — ed arrendersi all'evidenza: in mezzo alle popolazionidi coltivatori liberi e servi, dominati dai possessori del suolo, vi èil popolo del re, non sempre docile e non sempre zelante, distribuitoa gradi diversi di libertà effettiva e di potere, ma privo di un inqua-dramento che non sia l' exercitus, e con tutte le responsabilità di unaforza armata permanente. Due dei tre ceti armati, previsti da Astol-fo, devono militare a cavallo e provvedersi di scudo e lancia almeno.È esonerato dal cavallo e tenuto ad avere semplicemente arco, fa-retra e saette chi possegga meno di quaranta iugeri di terra o appar-tenga ai minores fra i negotiantes. Si può dunque calcolare che nor-malmente chi militava a piedi era un piccolo allodiero o un livella-rio (1oo,) che doveva personalmente contribuire alla coltivazionedelle terre sue proprie o a lui affidate da un signore fondiario. Do-veva esserci approssimativa coincidenza, entro l'exercitus e pre-scindendo dai mercanti, fra l'armato a cavallo e il possessore ingrado di assentarsi dai propri poderi senza danno, in quanto per-sonalmente non coltivatore. Ogni servizio armato — di scorta aliudex ad esempio, come appare in Ratch., 4 —, che esigesse rapidamobilità e dunque implicasse una caballicatio, cadeva sui due cetiarmati superiori, a richiesta del giudice o del re: il ricorso a chi eraarmato solo di frecce doveva essere, del resto, assai raro, in tempodi pace 4:5 di turbamenti non gravi. Se dunque il libero per eccel-lenza — non quislibet uomo libero — era l'arimanno, l'arimanno pereccellenza — non qualsiasi arimanno, non l'esercitale minima per-sona di Liutpr., 62 — era il cavaliere. Donde Ratch., 4: « unusquisquearimannus, quando cum iudicem suum caballicaverit ». Maquell'unusquisque ha impressionato più d'uno (101). Gli arimanni

(ioo) BERTOLINI, op. cit., p. 498: • minores homines, e cioè, io credo, quanti od avevanobeni terrieri di una superficie complessiva inferiore al quaranta iugeri, o non avevano beni ter-rieri propri e traevano mezzi di vita da terre di altrui proprietà o da arti e mestieri

(101) A. CAVANNA, Fara, sala, arimannia nella storia di un viro longobardo, Milano, 1966,pp. 345-349; BERTOLINI, op. cit., p. 525.

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erano tutti a cavallo, si è detto! Ho già rilevato in altra occasioneil significato di quell'unusquisque (109: che è ripetuto dopo la propo-sizione temporale e rafforzato da « per semetipsum » a indicare lapreoccupazione del re che nessuno del gruppo dei cavalieri di scortasi affidi alle armi dei propri compagni, « quia incertus est homoquid ei superveniat aut quale mandatum suscipiat de nos aut deterra istius ubi oportet fieri caballicatio ». Anche oggi del resto,quando dovessimo esprimere un pensiero di struttura simile, ciserviremmo della sintassi di Rachis: « ogni Italiano, quando si spo-sa... »: non già per dire che ogni Italiano si sposa!

I dubbi accumulati sulla normale coincidenza di arimanno e diesercitale si vanno così dileguando senza residui. È giunto il momentoormai di segnalare che la normale equivalenza è dichiarata in modoesplicito e con sufficiente nettezza nella documentazione stessa lon-gobarda. Occorre tornare all'inquisiti° senese del

2 0 giugno 715,condotta dal notaio Gunteram (19, e confrontarla anzitutto conun giudicato che alcuni vescovi toscani emanarono il 5 luglio suc-cessivo sulla questione, là dove si legge che nel corso del giudizio ilvescovo di Arezzo Luperziano si è richiamato alla missione affidatada re Liutprando a Gunteram, « qui per ipsius Tagipert gastaldiusSenensis et per ipsos presbiteros et per aremannos veritatemcognovit » (10 ). Ed occorre allargare il confronto al precetto emanatoa Pavia da Liutprando il 14 ottobre 715 per dirimere definitiva-mente la controversia, nel quale si legge che il vescovo Luperzianodinanzi al re si è richiamato alla missione di Gunteram, « qui et cau-sas e merito tam per ipsos presbiteros et diaconos, qui sacrationema nostra ecclesia susceperunt, seu et per singulos arimannosipsius Senensis civitatis inquisivit, et rei veritatem conpertus•us-que in concilium episcoporum deduxit, id est » in presenza deivescovi giudicanti il 5 luglio anteriore (105). Non vi ha dubbio: gliarimanni rammentati il 5 luglio e il 14 ottobre sono gli exercitalesdell'inquisitio.

Eppure l'ombra del dubbio è stata gettata anche su questo ov-vio confronto. Si è osservato che nel giudicato del 5 luglio si fa ri-

(102) Studi medievali, 3. serie, VIII (1967), p. 928, n. 5.(103) Cfr. sopra, n. 23.(104) SCHIAPARELLI, Op. cit., I, p. 81.(105) U. PASQUI, Documenti per la storia della città di Arezzo nel medioevo, I, Firenze, 1899,

p. 23. Per l'autenticità del diploma cfr. C. Einem., Fodrum, gistum, servitium regia, I, Miti-Oraz, 1968, p. 352, n. 9a.

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ferimento all'interrogatorio del gastaldo Tagipert, che non comparenell'inquisitio di Gunteram del 2o giugno, dove invece è più voltemenzionato come gastaldo di Siena Warnefrit (79 . Se ne è inferitoche i vescovi chiamati a giudicare la controversia n8n si richiama-rono all'inquisitio di quindici giorni prima, ma a una precedenteinquisiti° del medesimo Gunteram, a noi non pervenuta: in que-sta dunque i testimoni laici sarebbero stati arimanni, mentre inquella, come dal relativo documento appare, essi sono esercitalie centenari e decani, quando non semplici liberi homines. Ora sipensi alla stranezza di due interrogatori distinti, nell'uno dei qualivi sarebbero stati, oltre che dei sacerdoti, gli arimanni, e cioè irappresentanti di uno specifico corpo di funzionari, e nell'altro visarebbero stati, oltre che dei sacerdoti, gli esercitali, insieme consemplici liberi homines e con indubitabili funzionari del regno, co-m'erano centenari e decani. Ma perché una simile duplicazione?Perché Gunteram, che il 20 giugno mescola insieme, nel chiamarei laici a testimoniare, le categorie più varie, dai liberi non apparte-nenti all'esercito fino ai centenari, non senza uno « scario regis decurte qui dicitur Sexiano (107) , in una precedente inquisiti° avrebbeconvocato separatamente quei misteriosi arimanhi ? E perché Lu-perziano in luglio avrebbe completamente trascurato l'inquisiti°degli esercitali, nonostante che gli fosse stata interamente favore-vole (m), e in ottobre l'avrebbe parimenti dimenticata, nonostantela sua preoccupazione di segnalare lo sviluppo della missione diGunteram dall'interrogatorio di preti, diaconi e atimanni « usquein concilium episcoporum »? E molto più semplice e razionale sup-porre che anteriormente all'ampio interrogatorio di cui ci è perve-nuto il documento, il notaio Gunteram, « missus excellentissimodomno Liutprando regis » (709) , si sia preoccupato di parlare anzi-tutto, nel giungere a Siena, col gastaldo di Siena. Un colloquio,si badi, di cui è possibile che non sia stato neppur redatto il docu-mento, tanto che, se in luglio Luperziano sente il bisogno di rife-rirvisi prima di richiamarsi all'inquisiti° documentata, in ottobre

(106) BERTOLINI, Op. CU., p. 545, n. 257.(107) SCHIAPARELLI, op. c i t . (sopra, n. 23), I, p. 75.(108) Soltanto fra i preti vi è qualche testimonianza favorevole al vescovo di Siena (cfr.

sopra, nota 24). possibile certo che il testo sia incompleto, ma si badi che prove o seri indizidi ciò non vi sono, salvo l'assenza dell'interrogatorio del gastaldo Tagipert (ci r. l'osservazionedello SCHIAPARELLI, op. ci t., 1, p. 81), che potrebbe anche non essere stato verbal izzato.

Cfr. le considerazioni ul teriori nel testo.(109) SCHIAPARELLI, op. c i t . , l , p . S i .

DAI POSSESSORI DELL'ETÀ CAROLINGIA AGLI ESERCITALI 2 5 7

egli lo ignora. In ottobre il nome di Warnefrit compare soltantoverso la fine del precetto regio, là dove Liutprando segnala « quali-ter ipse Adeodatus episcopus Senensis ecclesie, Warnifrit et Agipertcastaldii eiusdem civitatis nobis professi sunt quod vestra » — delvescovo Luperziano di Arezzo — « semper mansisset possessio » (19 .Si ponga mente a questa informazione di Liutprando: i. gastaldidi Siena erano due (111), Warnefrit e Agipert o Tagipert (112). Cadecosì l'argomento primo di dubbio, l'apparente contraddizione frai documenti del 20 giugno e del 5 luglio nell'indicare il gastaldo.Che se poi alcuno si domandasse come mai nel giudicato del 5 lu-glio si faccia menzione dell'interrogatorio di Tagipert e non di quellodi Warnefrit, basterebbe ricordare che la menzione di Tagipert èfatta da Luperziano in funzione della tesi aretina. Evidentementefra i due gastaldi vi era stata diversità di condotta di fronte a Gun-teram, forse perché Tagipert non era così compromesso come War-nefrit, quel Warnefrit che, stando a un teste loquace del 2 0 giugno,il chierico Romanus, aveva intimato al chierico stesso, prima del-l'arrivo del messo regio: «taci tu viro qui est missus domni regi!» (113).

Altro, se mai, è il dubbio che può legittimamente nascere dalconfronto fra i tre documenti del 715: non che arimanni significhiun ceto più specifico rispetto a quello degli exercitales, bensì cheabbia anzi un significato più vasto di esso, cosi da comprendereanche i liberi homines. Il dubbio è stato espresso dal Bognetti (114)

ed è stato corretto dal Cavanna: il quale ha rilevato che l'uso diarimanni per indicare, nel giudicato del 5 luglio, tutti i testi laicidel 2 0 giugno corrisponde all'uso di presbyteri per indicare compen-diosamente i testi ecclesiastici, che risultano essere preti, diaconi,chierici (115). Una buona osservazione. Ma altrettanto buona è l'os-servazione del Bertolini che, se di arimannus si trova usato in più

(110) PASQUI, op. c i t . (sopra, n. 105), I, p. 24.(I I I) Cfr. C. O. -MOR, I gastaldi con potere durale nell'ordinamento pubblico longobardo, i n

Atti del I Congresso internazionale di studi longobardi, Spoleto, 1952, p. 412.(112) Certamente una variante grafica per confusione fra due nomi diversi ma di suono

simile.(113) SCHIAPARELLI, op. c i t . , I, p . 74.(114) BOONETTI, Longobardi e Romani cit. (sopra, n. 26), pp. 100, 138. •(115) CAPANNA, op. cit. (sopra, n. 101), p. 324. Ma è inesatto dire che nell'inquisitio • la

quasi assoluta totalità del testi laici era composta da exercitales .: gl i exercitales erano 14 su47 laic i . E quando si comprendano fra gl i eserci tal i anche i centenari e i decani ed even-tualmente anche lo scario regis, e si prescinda dal testi più frettolosamente ricordati — i duefigli di un decano e gli ultimi sei —, si giunge a 19 su 39. Invece i preti erano 20 su 32 eccle-siastici. Diviene dunque opportuno riflettere sulle sfumature di significato dei termine di ari-manni, sulla sua tendenza ad assumere anche un significato etnico, come diremo nel testo.

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diplomi e in norme di legge il femminile, non altrettanto è datotrovare per exercitalis (9. Con ciò non si intende certo consentireche l'arimanna femina della chiusa di Ratch., 6 sia diversa dalleliberis feminis con cui il capitolo comincia, in quanto si debba con-nettere ad « un particolare ceto sociale » (19: il ceto, già sappiamo,di certi funzionari pubblici. Troppo singolare sarebbe l'emergeredi ima prescrizione specifica per i servi che si siano uniti a siffattearimannae, a conclusione di una norma riguardante tutte le donnelibere di stirpe longobarda, unitesi a servi e da ridurre a servitù aprofitto del re: poiché la chiusa non esprime una variazione dellanorma generale per un caso specifico, bensì la necessaria integra-zione della norma medesima con un riferimento al destino del servo,in armonia del resto con una norma generale anteriore di Liutpran-do (119). Né si intende accettare l'interpretazione di arimanna, pro-posta per alcuni diplomi dell'vtii secolo: interpretazione dipen-dente da quella data all'arimanna di Rachis (119). Anzi: intendiamosottolineare l'equivalenza di arimanna e di longobarda, e segnalarecosi la sfumatura e l'oscillazione di significato che secolodistinguono arinzannus da exercitalis, consentendogli di assumereil femminile (110). I due termini abitualmente sono equivalenti, mal'uno è fedele con rigore al significato militare, ed è il termine diexercitalis, che piace a più di un notaio per la sua chiarezza; l'al-tro, pur significando originariamente il medesimo, è troppo ricco

(116) BERTOLINI, op. cit., p. 568.(117) Op. cit., p. 556.(118) Ecco fa chiusa di Ratch., 6: . Si autem amodo presumpserit cuitiscumque servus ari-

manna ducere uxorem, sic exinde detur ludlcium, sicut anterior pagina edictus contineturs.Cfr. 'dall'e., 24 (... et ipse servus ad puplicum repiecetur .), Illustrato dal Bwrourri, op.

cit., p. 554. SI noti che Liutprando non usa il termine arimanna, ma soltanto l'espressionemulier libera.

(119) BERTOLINI, op. cit., p. 557 sgg. Quanto alla manomissione del 752 (op. cit., p.568 sgg.), vi faremo riferimento fra breve.

(120) Il Boorrerri, Longobardi e Romani cit. (sopra, n. 26), p. 101, n. 44, cerca di di-mostrare che l'arlmanna di Ratch., 68 una donna libera di qualsiasi nazionalità, ma i suoi argo-menti non persuadono. à manifesta infatti la connessione di Ratch., 6 con Liutpr., 24, dovesoltanto di Longobarda si può trattare, per li riferimento alla vindicta, legittima se compiutaintra spatil annum Supporre, come fa II Bognetti, che in Liutpr., 24 s1 possa sottintendere

l'applicazione della norma anche alla donna romana — considerando Implicito che In questocaso, nonostante li riferimento a Roth., 221 e l'insistenza del legislatore sull'. Ipsum anni spa-tium ., si prescinda dall'ipotesi della vincilaa e si proceda senz'altro all'asservimento della donnaafavoredelfisco regio—, significa attribuire a Liutprando il proposito dimodificare in un puntoassai grave la consuetudine giuridica del Romani, e in pari tempo ritenere che il re tuttavianon si curi di dichiarare espressamente l'estensione nuova della norma. Eccetto che si pensi aa un'estensione graduale e spontanea di Roth., 221 al Romani già prima di Liutprando: machi crederà a una simile spontaneità di sviluppo per una norma cosi contrastante In ogni suoaspetto con la tradizione romana?

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di risonanza longobarda per non oscillare fra la corretta idea diun uomo libero incorporato all'exercitus e la nozione più confusadi Longobardo, che è il libero per eccellenza, in quanto longobardoo in quanto esercitale, ed è in pari tempo un membro del popolo do-minatore, in virtù di un'appartenenza etnica o di un'incorpora-zione alla tradizione di tale stirpe (121). L'osservazione esposta dalCavanna a proposito degli arimanni menzionati nel giudicato del5 luglio 715, a correzione dell'interpretazione del Bognetti, deveessere a sua volta sfumata cosi: il termine di arimanno era il piùadatto a comprendere il complesso dei testi laici del zo giugno, per-ché applicabile alla maggior parte di essi, agli esercitali in quantoesercitali, a una parte dei liberi homines in quanto Longobardi ec-cezionalmente non entrati nell'esercito o, per vecchiezza, menoagevolmente inquadrabili nell'idea di exercitus (122).

V

La dispersione dei dubbi suscitati da una riflessione metico-losa non deve tradursi nel disconoscimento della ricchezza dinotazioni puntuali, scaturite da un eccezionale impegno di letturadei documenti. La segnalazione larga e ordinata di fonti e di pro-blemi di esegesi e la necessità stessa di una revisione critica di « in-certezze, dubbi, perplessità » generosamente espressi (19 diven -gono sollecitazioni a un ripensamento sistematico. Ma è pur beneaggiungere che l'energico richiamo di un maestro alla pazienza del-l'analisi e l'ampiezza esemplare dell'indagine documentaria in tantopossono riuscire positivamente efficaci in quanto non si crei fra

(121) La risonanza longobarda e la consonanza con l'uso parlato spiegano come il termineaffiori nell'inquisiti° del 715 non nelle qualificazioni attribuite dal notaio agli esercitali, main una delle deposizioni. li prete Mattichis de monasterio Sancti Peregrini in ioco Passeno D,presso la pieve dl S. Stefano In Cennano, «Interrogatus Monasteriolo isto Ursus ari-ma n (fundavit) et eum dedicavit Bonushomo episcopus Aredine ecciesiae (...); nam inista basellca ordinavit me Ursus fundator . (SCHIAPARELLI, op. Cit., 1, p. 70 sg.). Eccezional-mente il termine appare anche in una sottoscrizione del 752, in una carta dl Sovana (op. cit.,I, p. 299 sg.), in cui II notaio si compiace di precisare sia l'autore sia i testimoni nel modopiù vario, ora indicando il soprannome (. Arnifridus qui supernornen vocatur Arnuccloiu.Wineghildi qui supernomen vocatur I nquIrcio s), ora la funzione pubblica Orasoni ublscari

domni regi .), ora la paternità Cluntarfnl fillus quondam Atrualdl .), ora la residenza (« Pa-scado de vico Turillano .). Fra i testimoni c'è anche un « Possoni aremanno .; cosi designatopresumibilmente in armonia col modo in cui Possone doveva essere abitualmente chiamato dalrustici.

(122) Cfr. sopra, testo corrispondente alle note 29-40.(123) BERTOLINI, op. cit., p. 550; cfr. p. 580 ('incertezze, dubbi, interrogativi i).

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260 GIOVANNI TABACCO

gli studiosi, senza ragione, un nuovo tipo di pirronismo storiografi-co, pericoloso soprattutto per le sorti degli studi altomedievali.Quando la ridda di dubbi e di ipotesi raggiunge una certa intensità,il lettore se ne allontana come da un giuoco sterile. Molti dubbi,certo, si affollano in noi alla prima lettura di un testo antico: maperché affezionarsi ad essi ed avvalorarli con ipotesi ardite su en-tità non mai postulate finora, né postulabili senza grosse difficoltà,prima di aver cercato spiegazioni più semplici e più razionalinella fluidità dei concetti, nelle imprecisioni dei termini, in unacerta incostanza degli uomini in genere e di quei nostri antichi ins p e c i e ? G l i e n t i n o n d e v o n o e s s e r e m o l t i p l i -c a t i s e n z a n e c e s s i t à .

In realtà sotto tanti dubbi e tante perplessità stanno gli scru-poli del filologo esigente, sì, ma anche determinati orientamenti dipensiero. Si ponga mente come a proposito delle arimannae di Ra-chis e di certi diplomi viene affrontato il testo di un precetto ema-nato nel 752 dal duca di Benevento Liutprando e dalla duchessaScauniperga per affrancare una donna (184). Essi effettuano la tra-diti° in quarta manu, prevista da Roth., 224, ma, trattandosi didonna longobarda, che non può vivere dunque se non sotto la po-testà di qualcuno, la costituiscono « iuxta ritus gentis Langobar-dorum libera fulfreal », non anche « amund a se, id est extraneum »,come si legge in Rotari, e il rito non si conchiude con l'adductio adquadrubium né con la formula, prescritta da Rotari, « de quattuorvias, ubi volueris ambulare, liberam habeas potestatem », bensìcon la dichiarazione che essa sarà « libera inter libertes aremannedomnorum nostrorum ». Tutto ciò è perfetto. Ma ecco il dubbio:era una serva e le viene conferita la qualità di arimanna nell'attodi introdurla fra le liberte ducali, in una posizione cioè di direttorapporto personale con un signore. L'osservazione confluisce conle altre sugli arimanni,. « pubblici ufficiali » a immediata disposi-zione del re o del iudex. A questo punto un'audacia etimologicasalda insieme le osservazioni e crea — anche al di là di intenzioniesplicite — la teoria, la concezione che il Bognetti direbbe prefeu-dale o protofeudale dell'arimanno: ché non significherebbe etimo-logicamente uomo dell'esercito, bensì uomo di un signore, secondola spiegazione, in verità non chiarissima, di un glossatore del XIISecolo — « arimannus est homo sine alterius condicione et dicitur

(124) Il testo è pubblicato dal BEturoutti, op. cit., p. 605; cfr. p. 568 sgg.

DAI POSSESSORI DELL'ETÀ CAROLINGIA AGLI ESERCITALI261

quasi herusmannus, quod est herilis homo, Teutonica quidem lin-gua mannus homo, her herus » —, una spiegazione che viene a suavolta equiparata ad altre anteriori, già alquanto forzate dal Bo-gnetti, su a arimanus, id est qui scutum dominicum sequitur * (125).

Quel pullulare di dubbi non è dunque accidentale. Vi sottostàuna persuasione di fondo — nata certo come intuizione suggestivadg, un primo trascorrere fra le fonti —, che incoraggia perplessitàe interrogativi, sorprendenti talvolta per chi legga candidamente.Che il precetto ducale di Benevento apponga « arima' nne » a<« li-bertes », non deve apparire « sconcertante » (no,) quando si pensiall'ovvio significato di arimanna come libera longobarda: la donnaliberata è una liberta, evidentemente, ed è longobarda per il ritousato nella manomissione (1" ) . In Ratch., 2 2 4 si legge che, se unservo è fatto « fulcfree » e non « amund », « talem legem patronuscum ipso vivat, tamquam si cum fratrem aut cum alio parente suolibero langobardo »: il paragone col Longobardo è possibile ancheper il liberto non fatto extraneus al padrone che lo ha liberato. Iltermine di arimanno è usato in certe formule di manomissione nonaltro che per insistere sul concetto di libertà, tanto che si pliò tro-vare frammischiato coi termini più diversi, tutti volti a quel si-gnificato. In un testamento redatto a Bergamo nell'anno 800, nontroppo tempo dunque dopo la conquista franca, un prete e un chie-rico liberano i propri servi così: « familias nostras ad nos pertinen-tes, servos et ancillas, aldiones et aldianes de personas suas omnesl i b e r i s a r i m a n n i s amundis absolu t is permaneant abomni conditione servitutis et eius patronatis sint ad eos concessocívemque Romanis n (125). Si noti come qui arimanno si accompagnisenza difficoltà ad « amundis », il che dimostra, se ve ne fosse biso-gno, che nel precetto beneventano « arimanne » sottolinea la li-bertà delle liberte, non la loro dipendenza, per altro indubbia. Siaccumulano insomma le formule per indicare la condizione libera,

•(125) 0. P. BOONETTI, in Caratteri del secolo VII in Occidente (V Settimana di studio delCentro di studi sull'alto medioevo), Spoleto, 1958, p. 344.

(126) BERTOLINI, op. cit., pp. 562 ex., 576.(127) Cfr. P. S. LEICHT, La formula dei . cives romani nella manumissione medievale, In

ID., Scritti vari di storia del diritto italiano, II, 2, Milano, 1948, p. 379 (già in Roma, XVI,1938).

(128) 0. PORRO LAMBERTENGIII, Codex diplomaticus Langobardiae, Torino, 1873 (Mo-numenta historine patrlae, XIII), col. 132. Non ci sembra dunque da accogliere, sia dettoper incidenza, ciò che si legge in LEICHT, La formula cit., p. 382: «Soltanto dopo 11 mille co-minciò, nell'Italia del Nord, quella contaminazione delle formule che, come vedemmo, s'eraavuta in Franchi sino dal secolo IX

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;n modo non dissimile da quello che cent'anni dopo induce Beren-gario I ad usare la formula: « libere- incedant quocumque voluerintt a m q u a m m i l es p u b l i c u s civesque Romanus » (129). L'ari-manno, come Longobardo e come esercitale, vale in età longobardaa indicare la piena libertà: la massima libertà compatibile, nel casodell'arimanna, con la sua condizione di donna. Come esercitale,si badi, oltre che come Longobardo: se è lecita una comparazionecol miles publicus di Berengario I.

Quanto alle etimologie e alle interpretazioni dei glossatori me-dievali, esse rispecchiano non l'origine del nome, ma la vanità eru-dita del glossatore e il significato proprio del nome in certi ambienticulturali o sociali in età tarda. Del resto, che « herilis homo » dellaglossa apposta nel xn secolo sul codice Vaticano del cartulariodi S. Sofia di Benevento significhi homo di un dominus, non è pernulla certo, se si pone mente che l'espressione è fatta equivalere a« herusmannus », non ad « heri mannus », e che vale a giustificarela spiegazione anteriore: « arimannus est homo sine alterius condi-cione ». Arimanno per il tardo annotatore beneventano sembra es-sere l'uomo pienamente libero, di una libertà comparabile a quelladi un signore; ed herilis non significa forse, in certe accezioni alto-medievali, signore e nobile, anziché appartenente a un signore (130)?Diverso è il caso della glossa apposta nell'xi o nel xrr secolo a uncodice londinese del Liber Papiensis : « Omnis liber homo diciturerimannus, qui manui id est potestati domini suppositus est » (121).È chiara la volontà di esprimere la subordinazione di un libero aun signore mediante un giuoco etimologico, ed è perfettamentepossibile che il dominus della glossa esprima l'idea di una dominati°personale, non una fedeltà di carattere pubblico e militare: maquesta interpretazione è possibile proprio perché già sappiamo qualesviluppo la rete dei rapporti personali fra liberi assunse fra xr e x11secolo, e nulla è in grado di suggerire sull'arimanno di Ratch., 6,a cui la glossa è apposta. Simile osservazione è opportuna per lavoce arimannus del glossario contenuto nel codex Cavensis, scrittonel Beneventano al principio dell'm secolo: qui arimanno, senzaalcun riferimento etimologico, è condotto a significare « qui scutum

(129) L. SCHIAPARELLI, I diplomi di Berengario 1, Roma, 1903 (Fonti per la storia d'Ita-lia, XXXV), p. 231 (a. 912).

(130) N1ERMEYER, op. cit. (sopra, n. 86), fasc. VI, Leiden, 1960, p. 487, v. herilis,comesostantivo; Du CANOE, Glossarium medlae e! infimae latinitatis , 1V, Ora; 1954, p. 197,v, heriles.

(131) MAIN., Leges, In -101., IV, p. 476; cfr. p. LV; BERTOLINI, op. cit., p, 577.

DAI POSSESSORI DELL'ETÀ CAROLINGIA AGLI ESERCITALI263

dominicum sequitur » (132). Non c'è indizio che il glossario siastato composto prima del x secolo. Dunque non può dare unaspiegazione preferibile a quelle suggerite dalle fonti dell'vur se-colo, a cominciare dal giudicato toscano del 5 luglio 715 e dalprecetto regio del 1 4 ottobre 715, confrontati con l'inquisiti°senese, come sopra si è fatto. D'altra parte l'esercitale dell'età lon-gobarda e immediatamente postlongobarda, nell'Italia del nordcome nell'Italia del sud, non è forse un fedele « qui scutum domi-nicum sequitur »? Sempre che non si attribuisca, già allora, un si-gnificato clientelistico alla dipendenza degli arimanni dal propriosignore, che ad essi comanda come re longobardo o re carolingioo come duca di Benevento, in nome di un'autorità generale e pub-blica. Nel x secolo poi l'autorità pubblica e la signoria personaleaccentuano l'imitati° reciproca e certe distinzioni si attenuano:donde ad esempio gli arimanni rivendicati dalla chiesa ravennatenel Ferrarese come propri uomini, o gli exercitales ecclesie del vesco-vato di Genova (133). Un'evoluzione politica che è stata recente-mente bene illuminata anche per i principati e le signorie nati dalducato di Benevento (134).

Entriamo così nel vivo del dibattito storiografico sulla crisipolitica del medioevo: il cosiddetto feudalesimo. In altra sede hotracciato la vicenda di due deformazioni « feudali » dell'età post-carolingia nella storiografia italiana (135). A cominciare dal Pertilesi è anticipata al x secolo la funzione del contratto feudale comenormale strumento di coordinazione fra le più disparate giurisdi-zioni signorili, supponendo la sostituzione dell'ordinamento pub-bl ico con un s is t em a f euda le d i dominazioni variamenteautonome, là dov'era invece soltanto un disordinato processo dipotenziamento signorile all'interno di un regno in fluida trasfor-mazione. Si è reagito, a cominciare dal Besta, a questa defor-mazione storiografica con un'altra forma di anticipazione feu-dale, supponendo in pieno x secolo un ordinamento pubblico per-

(132) M.O.H., Leges, in-fol., IV, p. 653, n. 6; cfr. p. XXX. Si noti che nel medesimoglossario al n. 22 (Leges cit., p. 653) si legge: I Arimanno. Id homo mundus Ilber .. La de-finizione dell'arimanno come colui che segue scutum dominicum . si ritrova In un glossariodi un codice Vaticano del XIII secolo, simile al glossario cavense: Leges cit., p. 653, n. 7;cfr. p. XLIII.

(133) TABACCO, 1 liberi cit. (sopra, n. I), pp. 145 sg., 162.(134) N. CILENTO, Le origini della signoria capuana nella Longobardia minore, Roma, 1966

(Istituto storico Italiano per li medio evo, Studi storici, LX1X-LXX).(135) 0. TABACCO, 1214 ci seigneurie dans l'Italia comunale, In Le moyen dge, LXXV

(1969), P. 5 MB.

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sistente senza gravi incertezze mediante l'ausilio degli istituti vas-sallatico-beneficiari, sistematicamente applicati ad ogni livello didelegazione di poteri, dal re fino ai domini

plebi:14m. Con le sintesistoriche del Leicht e del Mor si è operata una contaminati° fra

—"Tula e l 'altra concezione, mantenendo lo schema di uno s t a -t o f eudale dell 'età postcarolingia, pur nell 'ambiguità delladescrizione degli ordinamenti. In questa varia presentazione dellavicenda storica è rimasto costante il motivo di un'età feudale in-termedia fra mondo longobardo -carolingio e mondo comunale.Di qui una duplice conseguenza: da un lato la difficoltà di capirelo sviluppo feudale avvenuto fra i nuclei di potere nell'età dei co-muni, quasi fosse invece una semplice sopravvivenza di residui diun sistema anteriore; d'altro lato la tentazione di anticipare finoall'età longobarda l'ampiezza del ricorso alle clientele personali,quale ovvia premessa ad uno sviluppo delle istituzioni, culmi-nante già nel x secolo in un vero « stato feudale ». Questa tenta-zione è soprattutto evidente nel Besta e, per efficacia del Besta,nel Bognetti. Lambardi toscani e arimanni lombardi dell'xi e delxn secolo, di un'età cioè di intenso sviluppo signorile e di cre-scente applicazione del nesso vassallatico-feudale ai centri dipotere politico, sono diventati residua testimonianza di un pro-tofeudalesimo antico, di un assetto clientelistico che sarebbe statoproprio del regno già nell'ultima età longobarda ('").

Finché non ci saremo liberati da un simile anacronismo e nonavremo nuovamente ridotto le clientele longobarde alle proporzioniattestate dalle fonti, al gasindiato e all'obsequium in via di diffusioneintorno al re e ai potenti, secondo l'insegnamento di alcune inda-gini prudenti del Léicht (137), noi saremo tentati dalla discussionedi pseudoproblemi. I re f aziosi del Bognetti , l '« exercitus che

(136) E. BeszA, Nuove vedute sul diritto pubblico, In Rivista italiana per le scienze giuridi-che, LI (1912), p. 34 sg.; O. P. BOGNETTI, Sulle origini del comuni rurali del medioevo, Pa-via, 1927, p. 164 sg. (già in Studi nelle scienze 'giuridiche e sociali pubblicati dall'Istituto diesercitazioni presso la Facoltd di giurisprudenza, Universitd di Paola, XI, 1927, p. 126 sg.);ID., Milano longobarda, In Storia di Milano, Il, Milano 1954, pp. 250 ('struttura protofeudalelongobarda 284; ID., In Caratteri cit. (sopra, n. 125), p. 344 sgg.; ID., La costituzione e l'or-dinamento dei primi stati barbarici nell'Europa occidentale e dopo le invasioni nella Romania, inAtti del Convegno internazionale sul tema: Dalla tribù allo stato, Roma, 1962 (Accademia nazio-nale del Lince', quaderno L1V), p. 74 sgg.

(137) P. S. LEICHT, riasindii e vassalli, in ID., Scritti vari di storia del diritto italiano, I,Milano, 1943, p. 183 sgg. (già in Rendiconti dell'Accademia dei Lince!, 6. serie, III, 1927, p.291 sgg.); ID., L'introduzione del feudo nell'Italia franca e normanna, in Scritti vari cit., i , p.495 sgg. (già in Rivista di storia del diritto italiano, XII, 1939, p. 421 sgg.); ID., Il feudo inItalia nell'etd carolingia, In I problemi della clviltd carolingia (I Settimana di studio del Centroitaliano di studi sull'alto medioevo), Spoleto, 1954, p. 80 sgg.

D A I POSSESSORI DELL ' ETÀ CAROLINGIA AGLI ESERCITALI 265

era il frutto di una discriminazione e di un favore del re pei suoifideles »(188) non sono, è vero, i concetti medesimi che emergonodalle ipotesi del Bertolini. Ma gli orientamenti sono affini. L'ipo-tesi, espressa a conclusione delle pagine sugli arimanni, che conl'avvento di Liutprando al trono si richiedesse « l'azione di uominipersonalmente legati da un particolare vincolo di fedeltà al nuovore a o ai suoi più alti « organi esecutivi », uomini non destinati a

salire in alto nella gerarchia dei pubblici ufficiali », bensì da uti-lizzare come <t strumento subordinato, facilmente maneggevole,dei poteri di governo », è tutt'uno con l'idea di una grande clientela- pur concepita come strumento squisitamente politico anzichécome seguito militare - dell'uomo nuovo: di un uomo di cui si ri-leva la provenienza « da una famiglia che non era di sangue realee non aveva nemmeno tradizioni ducali »

Dalla legislazione regia, dalle carte notarili, dal racconto diPaolo Diacono emerge tutt'altra realtà. Non è caso che gli storicidel diritto si siano trovati di fronte a difficoltà pressoché insupe-rabili nel tentativo di accertare l'evoluzione degli editti longobardidalla nazionalità alla territorialità. L'evoluzione avvenne in con-comitanza con l'immissione di possessori romani nell'esercito, macon tutte le remore e le ambiguità procedenti dalla volontà di con-servare, nonostante tutto, la continuità dell'ordinamento giuridicolongobardo, come ordinamento di un popolo dominatore. L'immis-sione di Romani era assunzione di nuovi elementi, pur se fedeli allapropria legge, nella natura longobarda del regno e dell'esercito.Una dominazione prevalentemente di popolo, dunque, ancora nel-l'vni secolo, pur se complicata da una marginale presenza romananell'assetto politico -militare, e pur se attenuata da un indubbiosviluppo monarchico e dall'influenza ecclesiastica. Per questo, Carlodivenne rex Langobardorum. Il regno longobardo non poteva essereannientato, perché non riposava su una grande clientela, bensìera in gran parte una gerarchia militare capillarmente distribuitasul territorio e coincidente in tutti i suoi gradi e in tutte le sue fun-zioni con un popolo. Le debolezze del regno erano tutt'uno con ledebolezze di questo esercito, non sempre internamente concorde eda tempo in via di trasformazione in una classe di possidenti a mol-to vari livelli. Con questo esercito territoriale, un popolo in pari

(138) Booniarri In Caratteri cit. (sopra, n. 125), p. 347 sg.(139) BERTOLINI, op. cit., p. 579, n. 337.

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tempo organizzato e diviso, i Carolingi ebbero a che fare in Italia,sovrapponendovi la rete delle proprie clientele. Il vecchio exerci-tus ne riuscì certo scompaginato e il suo carattere di classe econo-mico -sociale, legata al potere pubblico ormai soltanto da una con-suetudine antica, si accentuò. Ma il nome arimannico, emergentecon insistenza nell'editto di Rachis e riemergente con pari insistenzaalla fine del ix secolo nei capitolari della dinastia spoletina, signifi-cava la continuità di un ordinamento politico-sociale, imperniatosulle prestazioni pubbliche di un popolo: i liberi del re, f uori dio g n i s i g n i f i c a t o s p e c i f i c o d i g r u p p i c o l l e -g a t i a l r e c o n v i n c o l o p e r s o n a l e .

L'individuazione di questa classe di liberi è stata possibile,per l'età carolingia, mediante il simultaneo riferimento alla condi-zione economica e alla tradizione sociale, come duplice fondamentodegli oneri pubblici che caratterizzavano la classe medesima: ser-vizio militare, custodia del placito, manutenzione di ponti e distrade. Il principio che presiedeva all'imposizione degli oneri con-temperava di fatto la presenza di una certa base economica con laconsuetudine delle famiglie di tradizione arimannica. Per quantovario possa essere stato il peso di questa consuetudine da luogo aluogo, e per quanto efficace, nel corso delle generazioni, il variaredella condizione economica di ogni singola famiglia sulla consuetu-dine stessa, è lecito pensare, in armonia con la forza che la consue-tudo ebbe in età carolingia e coi probabili limiti della mobilità so-ciale, a una robusta persistenza della tradizione arimannica in unvasto complesso di famiglie dall'ultima età longobarda fino all'etàdei re spoletini. È possibile che nelle antiche regioni longobardedel regno italico l'immissione di nuovi elementi romani non sia statafrequente, considerata la riluttanza di molti in età carolingia a ri-spondere alle convocazioni militari. Il crollo dell'ultima dinastialongobarda e l'ovvia gravissima crisi di prestigio del popolo degliarimanni possono avere annullato quella spontanea forza di attra-zione che fino allora, nel corso clell'vni secolo, l'exercitus si devepresumere abbia esercitata sui possidenti romani. Ma ciò che è piùdifficile congetturare è in quale misura questa anteriore attrazionepossa essersi manifestata, quale accrescimento numerico dell'eser-cito ne sia conseguito. Nulla infatti sappiamo della consistenza nu-merica dei possidenti romani, né della reale volontà e possibilitàdei re longobardi di imporre ai Romani di armarsi. Si può dire sol-tanto, considerato da un lato il linguaggio che Liutprando usa an-

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cora verso i suoi « livero eremmanos », e considerate dall'altro lenorme generali di Astolfo sull'armamento, che la prima formazionedi una classe arimannica su base schiettamente composita, consue-tudinaria cioè ed economica insieme, deve risalire press'a poco aitempi in cui le sollecitazioni regie verso un armamento generale deipossessori — presumibilmente, accanto ai mercanti e agli allodieri,anche i concessionari di terre di qualche rilievo (140) — si andavanocontemperando con la tradizione militare propria della gens Lango-bardorum. Credere che le norme di Astolfo abbiano potuto trasfor-mare d'un tratto il numero senza dubbio non indifferente — per lomeno nei patrimoni ecclesiastici — di livellari romani in una gentearmata di arco e saette, come il re prescriveva per i minores ho-mines , sarebbe ingenuità somma. L'esercitale minima persona diLiutpr., 62, che presumibilmente, come i minimi hominesdi Liutpr.,83, non aveva di proprio « nec casas nec terras » (141), non era certoscomparso al tempo di Astolfo, ma doveva essere un Longobardo,fedele a una tradizione militare, o più facilmente riconducibile adessa, nonostante la sua paupertas. Per i Romani, se non erano pos-sidenti o mercanti annoverabili fra i maiores et potentes, o se nonsubivano spontaneamente l'attrazione del popolo dominatore, do-veva riuscire ben difficile l'attuazione delle norme generali sull'ar-mamento.

Tutto ciò vale a concludere che l'esame delle fonti longobarde,confrontate con quelle carolinge e postcarolinge, suggerisce un im-portante sviluppo dei risultati conseguiti dalla precedente indaginesui liberi del re. L'« imponente problema etnico », che in altra sedeabbiamo posto deliberatamente e provvisoriamente in parentesi (142),emerge qui in tutta la sua difficoltà, ma con una chiarissima indica-zione: gli arimanni delle tarde fonti carolinge e postcarolinge di-scendono in gran parte — in Langobardia, non in Romania o nellavalle d'Aosta — dagli arimanni di Liutprando e dunque dai Lon-gobardi. I tardi arimanni rinviano alla classe carolingia dei posses-sori, in quanto collegata col potere pubblico, e questa direttamenteprosegue, nelle vecchie regioni longobarde del regno, le vicendedi un ceto anteriore palesemente affine, individuabile al tempo diLiutprando come una classe di possessori che ufficialmente coinci-deva col popolò militarmente dominatore. Ne risulta di riflesso

(140) Cfr. Io., op. cit. (sopra, n. 5), p. 498.(141) L'accostamento fra l due capitoli di Llutprando è già ibid., p. 458.(142) 1 liberi cit. (sopra, n. 1), p. 212.

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confortata, contro il Volpe, anche l'interpretazione longobarda deitardi lambardi toscani (145), l 'ir requieta classe di possessori dell'mseco lo . L 'a f f init à c ioè f r a a r imanni d i Lombard ia e lambardi diToscana, gi& postulata in affatto diverse e mutevoli prospett ive diinterpre taz ione dal Bognet t i, e g ià evidente per a lcuni aspet t i sulpiano sociale (10) , acquis ta il s ignif ica to d i un comune r invio a llevicende dell 'ant ica c lasse di eserc ita li de ll 'e tà d i Liutprando: purse in un contesto polit ico profondamente diverso e in un ambientesociale divenuto assai più complesso.

Ne r iesce a llora anche confor ta ta , in Langobardia, la r icercadegli insediament i longobardi sulla base delle tarde t racce di ar i-marmi (145) ? Con prudenza e nei limit i d i una r icerca di indiz i, s ì .

Non certo nel senso del reperimento di gruppi specifici di supposti« arimanni del re » o « arimanni del duca », diversi dagli altr i eser-c i t a l i lo ng o ba r d i , ma c o me s e g ni p o s s ib i l i d e l l 'a nt ic a p r e s e n-za de l popo lo domina to re : i qua li e s igono la conve rgenza d i in-d iz i d i a lt r a na tura a l f ine de ll 'acce r tamento . Senza dunque illa -zioni impazient i: poiché di gruppi ar imannici è possibile il reperi-mento ovunque vi siano stati nuclei di possidenti soggetti ai doverid i p lac i t o , e se rc i t o e ponte in e t à ca ro ling ia . Sopra t tut t o s enzatroppe illusioni di ricostruire la strategia militare dei re longobardi:pot rebbe accadere d i a t t r ibuire a que i re la s t ra tegia s ignor ile d ie tà precomunale e comunale , quando gruppi de lla vecchia c lassear ima,nnica in gran par te d issolta appaiono ut ilizza t i s tabilmenteper la difesa dei nuovi nucle i di potere , ta lvolta accanto a miliz iefeudali, in collegamento con vecchie e nuove fort if icazioni (140).

GIOVANNI TABACCO

(143) Cfr. TABACCO, Fief et seigneurie cit. (sopra, p. 135), p. 20 sgg.(144) 1 liberi cit., pp. 16, 21-24, 26 sg., 212.(145) Cfr. a questo proposito ciò che ebbi a scrivere in altra occasione in Studi medie-

vali, 3. serie, VIII (1967), p. 924.(146) 1 liberi cit., p. 162 sg. — Mi si consenta di dire qui la mia gratitudine al profes-

sor Ottorino Bertollni, che sollecitandomi un giorno a risalire dall'età carolingia all'età longo-barda e dichiarandosi lieto, più recentemente, se avessi discusso ed eventualmente sciolto Isuoi dubbi, mi ha indotto a ritrovare, sulla scorta di una documentazione da lui stesso in granparte sistematicamente segnalata, un raccordo storico di importanza centrale nello sviluppopolitico-sociale della Langobardia.

Codici agiografici riminesi

Il Passionarío della Biblioteca Gambalunghíana

PREMESSA. — IL PASSIONARIO DELLA BIBLIOTECA GAMBALIINGHIA-NA. — I. DESCRIZIONE ESTERNA.

— a ) L a l e ga t u r a e l e t r e n u m e r a z i o n i . —b) La s t ru t t u r a . — c) I l cop i s t a , i l rub r i ca t o re , i l m i n i a t o re . — d) I n t e gr a -z ioni e correz ioni de l t e s to; mani di revi sori . — e) N o t e m a r gi n a l i d i l e t t o r i .— f ) o Probat iones * e al t r i inte rvent i occas ional i . — 2. DATAZI ONE E LOCA-LIZZAZIONE. — 3. VICENDE STORICHE. — 4. STORIA DEGLI STUDI. — 5. TAVO-LA DEL CONTENUTO. — 6. CARATTERISTICHE E IMPORTANZA.

PREMESSA

Del Passionario della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini (1)(segnatura a t tua le 4 .A.I. i: g ià ms. 40; D.I1 .44; DQ.1.43) s i sonooccupat i dalla f ine del 'soo f ino ai nostr i giorni agiografi, s tor ic i,bibliotecar i. Non ci sarebbe s ta to molto a lt ro da aggiungere, datala molteplic ità delle categorie ad esso interessate , se qualcuno diq ue s t i a ut o r i — t a luni a nc h e d i mo lt a a ut o r i t à — a ve s s e a vut o

modo di impegnarvisi a fondo. Le notizie e i giudizi che essi ci hannolasciato, descrizioni (o tentativi di descrizione), dati storici, accen-ni pur d iligent i (non sempre) , sono ta lmente succ int i o parz ia li eper lo più così divergenti tra loro, che chi non abbia il modo di esa-minare d ire t tamente il codice d if f ic ilmente pot rebbe fa rsene unaidea , s e non p re c is a , a lmeno non e r r a t a . Manca insomma pe r

ilmanosc r i t t o , pur ch iama to no to e f amoso , uno s tud io d 'ins iemeche, rilevandone la specifica fisionomia, possa assegnargli il postoche gli compete.

(1) Per informazioni generali su questa Biblioteca, una delle più antiche biblioteche pub-bliche civiche, cfr. L. TONINI, Del ritninese Alessandro Gambalunga, della Gambalunghianae dei suoi bibliotecari brevi memorie, In Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patriaper le provincie di Romagna, a. VIII, Bologna, 1869, pp. 1-38; A. CAMPANA, Biblioteche dellaProvincia di Forti, in Tesori delle Biblioteche d'Italia, Emilia e Romagna, a

cura di D. Fava,Milano, 1932, pp, 116-123;C . LUCCHESL La Gambalurighiana di Rimini e la sua vita attraversosecoli, in L'Archiginnasio, X L V I-XLV1 ( 1951-1952), pp. 169-188.

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