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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 93 (48.417) Città del Vaticano venerdì-sabato 24-25 aprile 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +"!"![!?!,! DIARIO DELLA CRISI/4 Conversione TEMPORE F AMIS Messaggio del vescovo di Pinerolo sopravvissuto al covid-19 Quello che conta veramente Online da domani Donne Chiesa Mondo La cura di anime e della persona è il tema del prossimo numero di Donne Chiesa Mondo, il mensile femminile de «L’Osservatore Ro- mano, dal 26 aprile online sul sito www.osservatoreromano.va. All’interno interviste con il car- dinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, sull’importanza delle donne nella formazione dei sacerdoti e sulla necessità di una loro maggiore presenza; e con Anne-Marie Pelle- tier, membro ordinario della Pon- tificia Accademia per la vita e nel- la nuova commissione di studio sul diaconato femminile istituita da Papa Francesco, autrice del li- bro L'Eglise, des femmes avec des hommes. Tre testimonianze: Guia Sambonet, guida degli Esercizi spirituali ignaziani e responsabile della Scuola di preghiera del cen- tro culturale San Fedele di Mila- no; suor Rita Giaretta, fondatrice di Casa Rut, l’associazione che aiuta le vittime di tratta; e padre Maurizio Botta, prefetto dell’O ra- torio secolare di San Filippo Neri a Roma. In primo piano un saggio della sociologa Chiara Giaccardi su transumanesimo e donne dal tito- lo: «Dittatura del ventre o codice materno?». Il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, è guarito dal coronavirus. E in un messaggio audio registrato dall’ospe- dale, dove era stato ricoverato il 19 marzo, ha voluto esprimere la sua ri- conoscenza a quanti lo hanno accom- pagnato con la preghiera nei giorni drammatici della malattia. Qui di se- guito la trascrizione delle sue parole. di DERIO OLIVERO È stata un’esperienza davvero dura e ho camminato due o tre giorni con la morte, luci- damente con la morte. Però ne so- no fuori e quindi sono grato, felice. Piano piano, con un po’ di riabili- tazione, ritorno alla vita normale. La cosa più bella che voglio dire è che ho sentito un’enorme vicinan- za della gente, di tutta la mia dioce- si e dei miei amici di Fossano. An- che quando non potevo vedere il cellulare l’ho sentita. Quando poi ho aperto il cellulare veramente so- no rimasto commosso da quanta gente mi è stata vicino, mi ha ricor- dato e da quanta gente ha pregato per me. Tutti. Veramente questo mi ha commosso. Ed è una cosa bellis- sima che mi porterò in cuore. In particolare mi ha commosso il fatto che anche la comunità valde- se, la comunità ortodossa e la co- munità musulmana hanno pregato per me: che bella esperienza di ecumenismo, di rapporto interreli- gioso. Davvero molto bella. Quando si è di fronte alla morte mi sono reso conto di questo: sono stato due giorni, non so, due giorni e mezzo lucidamente con la certez- za di poter morire e mi sono reso conto che due cose contano. Due: la fiducia in Dio e le relazioni. La fiducia in Dio non mi ha ab- bandonato. Anzi, grazie a quella, sono stato sereno dal primo giorno fino ad oggi. E le relazioni, gli af- fetti. Tutto il resto crolla. È curioso che quest’anno il tema della diocesi sia «le relazioni». Le ho davvero sperimentate. Le rela- zioni sono vitali, ti tengono su, ti fanno vivere. E io posso proprio dirlo: mi hanno fatto vivere. È gra- zie anche a tutte queste relazioni, questi affetti, alla preghiera di tanti che sono ancora vivo. Nella messa a Santa Marta il Papa prega per il mondo della scuola ed esorta i pastori a non aver paura di essere vicini al popolo di Dio Accanto a insegnanti e studenti E nella memoria liturgica di san Giorgio ricorda la «pandemia sociale» dell’usura Nelle preghiere di Papa Francesco c’è anche il mondo della scuola, con il suo numerosissimo “esercito” di- sarmato di studenti e docenti messo a dura prova dalle misure antiassem- bramento imposte dal covid-19. E ci sono le vittime dell’usura, vera e propria «pandemia sociale» che coinvolge molte famiglie rimaste senza lavoro, proprio a causa del co- ronavirus. Alle istituzioni didattiche e al va- riegato popolo di allievi, maestri professori e personale amministrati- vo che vi fanno riferimento — tra i primi a essere duramente colpiti dai provvedimenti di isolamento volti ad arginare il contagio — il Pontefice ha rivolto il proprio pensiero introdu- cendo la messa del mattino celebrata venerdì 24 aprile nella cappella di Casa Santa Marta. «Preghiamo oggi per gli insegnanti, che devono lavo- rare tanto per fare lezioni via inter- net e altre vie mediatiche» ha esordi- to, estendendo l’intenzione anche per i bambini, i ragazzi e i giovani impegnati nei vari percorsi di istru- zione, in particolare i maturandi e gli universitari «che devono fare gli esami in un modo nel quale non so- no abituati» ha spiegato. All’omelia poi Francesco si è sof- fermato sul Vangelo di Giovanni (6, 1-15) che racconta la moltiplicazione dei pani e dei pesci: «Il Signore cer- cava la vicinanza con la gente e cer- cava di formare il cuore dei pastori alla vicinanza con il popolo di Dio» per poterlo servire, ha rimarcato in proposito, chiedendo perciò preghie- re per i pastori della Chiesa. Il giorno precedente — nella me- moria liturgica di san Giorgio, sua festa onomastica, in cui ha anche donato dispositivi sanitari ad alcuni ospedali europei — il Pontefice ha denunciato la piaga dell’usura, che strangola i nuclei famigliari, anche per colpa della crisi economica pro- vocata dall’emergenza sanitaria. «Tante famiglie — ha detto — hanno bisogno, fanno la fame, e purtroppo le “aiuta” il gruppo degli usurai». Ecco allora che ci si trova di fronte a «un’altra pandemia», una «pande- mia sociale: famiglie di gente che ha un lavoro giornaliero, o purtroppo un lavoro in nero, che non possono lavorare e non hanno da mangiare». Famiglie «con figli», cui «gli usurai prendono il poco che hanno. Pre- ghiamo per la dignità di queste fa- miglie», ha concluso, e «anche per gli usurai» affinché si convertano. PAGINA 10 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza gli Eminentissimi Cardinali: Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; Luis Francisco Ladaria Ferrer, Prefetto della Congre- gazione per la Dottrina della Fede; — Luis Antonio G. Tagle, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Il Consiglio Ue rinvia la decisione al 6 maggio quando verranno esaminate le proposte della Commissione Coronavirus, l’Europa cerca l’accordo sul Recovery Fund Il racconto dell’epidemia nei secoli CHIARA CURTI E GABRIELE NICOLÒ A PAGINA 4 Manoscritti della Biblioteca Vaticana in dialogo con il presente Il manto di Maria che protegge l’umanità CLAUDIA MONTUSCHI A PAGINA 5 Facce belle della Chiesa Il paradiso al 90° minuto ROBERTO CETERA A PAGINA 6 Don Maurizio Chiodi «Ho imparato ad affidarmi» FABIO COLAGRANDE A PAGINA 8 L’associazione «Figli in Cielo» Quella luce in fondo alla strada VALENTINO MAIMONE A PAGINA 8 ALLINTERNO di FEDERICO LOMBARDI M olti di noi hanno fatto nella vita qual- che volta l’esperienza di essere seria- mente ammalati, o anche solo di ave- re la paura fondata di esserlo. Se non ci siamo lasciati prendere dal panico abbiamo vissuto un periodo che ci ha segnati spiritualmente, di solito in modo positivo. Abbiamo capito che le cose e i progetti che ci sembravano tanto im- portanti erano alla fine passeggeri e relativi. Che ci sono cose che passano e cose che invece durano. Soprattutto siamo diventati più consa- pevoli della nostra fragilità. Ci siamo sentiti piccoli davanti al mondo e davanti al grande mistero di Dio. Ci siamo resi conto che il no- stro destino non è se non in parte nelle nostre mani, anche se la medicina e la scienza fanno cose meravigliose. Per riprendere una parola antica, siamo diventati più umili. Abbiamo an- che pregato di più, siamo diventati più sensibi- li e attenti nei rapporti con gli altri, abbiamo apprezzato di più la loro attenzione e vicinan- za umana e spirituale. Poi però, man mano che le forze sono tor- nate e il rischio è stato superato, gradualmente questi atteggiamenti si sono attenuati e siamo tornati più o meno quelli di prima: sicuri di noi, preoccupati anzitutto dei nostri progetti e delle soddisfazioni immediate, meno attenti al- le finezze dei rapporti… e la preghiera è torna- ta ai margini della nostra vita. Per certi aspetti dobbiamo riconoscere che nell’infermità erava- mo diventati migliori e che nella forza siamo presto tornati a dimenticarci di Dio. La pandemia è una malattia diffusa e condi- visa. È un’esperienza comune di grande e ina- spettata fragilità. Mette duramente in questio- ne molti aspetti della nostra vita e del nostro mondo che avevamo dato per acquisiti. Questo costa grandi sofferenze e turbamenti. Ma è so- lo un male o è anche un’occasione? Nella predicazione di Giovanni Battista e nella predicazione di Gesù c’è una parola che ritorna con grande frequenza e forza: “Conver- titevi”. Non è una parola che amiamo. Ci in- terroga e ci fa paura, perché intuiamo che non è innocua. In tutto il tempo di Quaresima — che ha accompagnato questa vicenda della pandemia fin dall’inizio, straordinaria coinci- denza nella nostra vita cristiana! — abbiamo sentito e risentito l’invito alla conversione, ab- biamo riascoltato le grandi preghiere peniten- ziali dell’Antico Testamento (Ester, Azaria…) e i richiami profetici che hanno sempre visto le sventure e le sofferenze del popolo come un ri- chiamo forte alla conversione, al ritorno verso D io… Non dobbiamo vedere le disgrazie del mondo, in cui tanti innocenti sono coinvolti, come un castigo di un Dio vendicativo, ma non dobbiamo neppure essere così ingenui e superficiali da non accorgerci delle responsabi- lità umane intrecciate in ciò che avviene e da non ricordare che la storia dell’umanità è intri- sa fin dall’inizio di conseguenze del peccato. Se no, che bisogno c’era che Gesù morisse per ricondurre noi e la creazione verso Dio? Prima o dopo questa pandemia passerà. A un prezzo durissimo, ma passerà. Tutti abbia- mo già ora una grandissima fretta che passi e lo desideriamo intensamente. Vogliamo rico- minciare, riprendere il cammino. È giusto: la solidarietà ci obbliga a sperare che ulteriori sofferenze siano risparmiate ai deboli. La spe- ranza ci chiede di guardare in avanti e la carità dev’essere operosa. Ma ci saremo convertiti, al- meno un poco, o ricominceremo subito ad an- dare per le stesse strade di prima? Una chiave di lettura cristiana fondamentale dell’Enciclica Laudato si’ è che per rispondere alle grandi domande del futuro dell’umanità dobbiamo riconoscere di essere creature, che il mondo non è nostro ma ci è donato, e non possiamo pensare di dominarlo e sfruttarlo co- me vogliamo, se no lo distruggiamo e noi con esso. Solo sulla base di una maggiore umiltà davanti a Dio la ragione e la scienza potranno costruire e non distruggere. Vogliamo ripartire rapidamente. Diciamo che molte cose cambie- ranno. Forse pensiamo di aver imparato molte lezioni — chissà — sul sistema sanitario e scola- stico, sul digitale e le sue possibilità… Anche la scienza medica farà altri passi avanti… Ma per lo più pensiamo a risposte in termini prin- cipalmente tecnici, di maggiore efficienza e ra- zionalità organizzativa. Bene, ma la pandemia è anche una chiamata alla conversione spirituale, più in profondità. Una chiamata per i fedeli cristiani, non solo, ma anche per tutti gli uomini, che rimangono crea- ture di Dio anche quando non se lo ricordano. Una vita migliore nella nostra casa comune, in pace con le creature, con gli altri, con Dio; una vita ricca di senso, richiede conversione. BRUXELLES, 24. Bisognerà aspettare ancora per capire come l’Europa ri- sponderà alla crisi economica e occu- pazionale innescata dalla pandemia di coronavirus. Il Consiglio europeo tenutosi ieri non ha risolto i princi- pali nodi sul tavolo, rinviando la de- cisione al 6 maggio, quando saranno esaminate le proposte della Commis- sione europea. I capi di Stato e di Governo Ue — riuniti in videoconferenza — si sono accordati per la creazione di una rete di protezione di complessivi 500 mi- liardi derivanti da Mes (Meccanismo europeo di stabilità), Bei (Banca eu- ropea degli investimenti) e Sure (il fondo contro la disoccupazione). È stata decisa anche l’istituzione di un Recovery Fund che dovrebbe mobili- tare almeno 1500 miliardi di euro per garantire la ripresa negli Stati più colpiti dalla pandemia. Ed è questo il punto più delicato: il Consiglio non ha raggiunto un accordo sui meccanismi con i quali i finanzia- menti verranno elargiti (sovvenzioni o prestiti) e sotto quali condizioni. «Nella consapevolezza di dover trovare strade comuni», ha detto il cancelliere tedesco, Angela Merkel, «c’è stata una conversazione molto amichevole». Merkel ha sottolineato in particolare lo «spirito di collabo- razione tra i leader». «C’è un con- senso sulla necessità di una risposta rapida e forte» ha spiegato il presi- dente francese, Emmanuel Macron. «È un passo avanti, nessuno contesta che abbiamo bisogno di una risposta fra i 5 e i 10 punti del nostro Pil. Ci sono disaccordi che restano sui mec- canismi». Servono — ha aggiunto il capo dell’Eliseo — «trasferimenti di risorse verso i Paesi Ue più colpiti da questa crisi, non dei prestiti». Que- sto fondo «dovrà essere di ampiezza adeguata e dovrà consentire soprat- tutto ai Paesi più colpiti di protegge- re il proprio tessuto socio-economi- co». Soddisfazione è stata espressa dall’Italia. Il presidente del Consi- glio dei ministri, Giuseppe Conte, ha parlato di «grandi progressi, impen- sabili fino a poche settimane fa, all’esito del Consiglio europeo». I Paesi Ue «riconoscono la necessità di introdurre uno strumento innovativo, da varare urgentemente, per assicura- re una ripresa europea che non lasci indietro nessuno» ha spiegato Conte parlando del Recovery Fund. Le pre- visioni economiche per l’Italia non sono affatto buone. Secondo una prima bozza del Def (Documento di economia e finanza) del governo ita- liano, nel 2020 il Pil si attesterà a -8 per cento e al +4,7 nel 2021 mentre il deficit arriverà al 10,4 per cento. Sul Recovery Fund, il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha detto: «Il fondo deve essere di una grandezza sufficiente, per questo ab- biamo dato mandato alla Commis- sione Ue di analizzare le necessità e di presentare una proposta commisu- rata alla sfida della risposta economi- ca al coronavirus». Michel ha detto di avere «una valutazione positiva sulla riunione del Consiglio europeo; ci siamo trovati d’accordo su un qua- CONTINUA A PAGINA 2 LABORATORIO DOPO LA PANDEMIA Il futuro sotto la mattonella GIUSEPPE BUFFON A PAGINA 3

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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 93 (48.417) Città del Vaticano v e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020

.

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DIARIO DELLA CRISI/4

Conversione

TEMPORE FAMIS

Messaggio del vescovo di Pinerolo sopravvissuto al covid-19

Quello che contaveramente

Online da domani

D onneChiesa Mondo

La cura di anime e della personaè il tema del prossimo numero diDonne Chiesa Mondo, il mensilefemminile de «L’Osservatore Ro-mano, dal 26 aprile online sul sitow w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a .

All’interno interviste con il car-dinale Marc Ouellet, prefetto dellaCongregazione per i vescovi,sull’importanza delle donne nellaformazione dei sacerdoti e sullanecessità di una loro maggiorepresenza; e con Anne-Marie Pelle-tier, membro ordinario della Pon-tificia Accademia per la vita e nel-la nuova commissione di studiosul diaconato femminile istituitada Papa Francesco, autrice del li-bro L'Eglise, des femmes avec deshommes. Tre testimonianze: GuiaSambonet, guida degli Esercizispirituali ignaziani e responsabiledella Scuola di preghiera del cen-tro culturale San Fedele di Mila-no; suor Rita Giaretta, fondatricedi Casa Rut, l’associazione cheaiuta le vittime di tratta; e padreMaurizio Botta, prefetto dell’O ra-torio secolare di San Filippo Neria Roma.

In primo piano un saggio dellasociologa Chiara Giaccardi sutransumanesimo e donne dal tito-lo: «Dittatura del ventre o codicematerno?».

Il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero,è guarito dal coronavirus. E in unmessaggio audio registrato dall’ospe-dale, dove era stato ricoverato il 19marzo, ha voluto esprimere la sua ri-conoscenza a quanti lo hanno accom-pagnato con la preghiera nei giornidrammatici della malattia. Qui di se-guito la trascrizione delle sue parole.

di DERIO OLIVERO

È stata un’esperienza davverodura e ho camminato due otre giorni con la morte, luci-

damente con la morte. Però ne so-no fuori e quindi sono grato, felice.Piano piano, con un po’ di riabili-tazione, ritorno alla vita normale.

La cosa più bella che voglio direè che ho sentito un’enorme vicinan-za della gente, di tutta la mia dioce-si e dei miei amici di Fossano. An-che quando non potevo vedere ilcellulare l’ho sentita. Quando poiho aperto il cellulare veramente so-no rimasto commosso da quantagente mi è stata vicino, mi ha ricor-dato e da quanta gente ha pregatoper me. Tutti. Veramente questo miha commosso. Ed è una cosa bellis-sima che mi porterò in cuore.

In particolare mi ha commosso ilfatto che anche la comunità valde-se, la comunità ortodossa e la co-munità musulmana hanno pregatoper me: che bella esperienza di

ecumenismo, di rapporto interreli-gioso. Davvero molto bella.

Quando si è di fronte alla mortemi sono reso conto di questo: sonostato due giorni, non so, due giornie mezzo lucidamente con la certez-za di poter morire e mi sono resoconto che due cose contano. Due:la fiducia in Dio e le relazioni.

La fiducia in Dio non mi ha ab-bandonato. Anzi, grazie a quella,sono stato sereno dal primo giornofino ad oggi. E le relazioni, gli af-fetti. Tutto il resto crolla.

È curioso che quest’anno il temadella diocesi sia «le relazioni». Leho davvero sperimentate. Le rela-zioni sono vitali, ti tengono su, tifanno vivere. E io posso propriodirlo: mi hanno fatto vivere. È gra-zie anche a tutte queste relazioni,questi affetti, alla preghiera di tantiche sono ancora vivo.

Nella messa a Santa Marta il Papa prega per il mondo della scuola ed esorta i pastori a non aver paura di essere vicini al popolo di Dio

Accanto a insegnanti e studentiE nella memoria liturgica di san Giorgio ricorda la «pandemia sociale» dell’usura

Nelle preghiere di Papa Francescoc’è anche il mondo della scuola, conil suo numerosissimo “e s e rc i t o ” di-sarmato di studenti e docenti messoa dura prova dalle misure antiassem-bramento imposte dal covid-19. E cisono le vittime dell’usura, vera epropria «pandemia sociale» checoinvolge molte famiglie rimastesenza lavoro, proprio a causa del co-ro n a v i ru s .

Alle istituzioni didattiche e al va-riegato popolo di allievi, maestriprofessori e personale amministrati-vo che vi fanno riferimento — tra iprimi a essere duramente colpiti daiprovvedimenti di isolamento volti adarginare il contagio — il Pontefice harivolto il proprio pensiero introdu-cendo la messa del mattino celebratavenerdì 24 aprile nella cappella diCasa Santa Marta. «Preghiamo oggiper gli insegnanti, che devono lavo-rare tanto per fare lezioni via inter-net e altre vie mediatiche» ha esordi-to, estendendo l’intenzione ancheper i bambini, i ragazzi e i giovaniimpegnati nei vari percorsi di istru-zione, in particolare i maturandi egli universitari «che devono fare gliesami in un modo nel quale non so-no abituati» ha spiegato.

All’omelia poi Francesco si è sof-fermato sul Vangelo di Giovanni (6,1-15) che racconta la moltiplicazionedei pani e dei pesci: «Il Signore cer-cava la vicinanza con la gente e cer-cava di formare il cuore dei pastorialla vicinanza con il popolo di Dio»per poterlo servire, ha rimarcato inproposito, chiedendo perciò preghie-re per i pastori della Chiesa.

Il giorno precedente — nella me-moria liturgica di san Giorgio, suafesta onomastica, in cui ha anchedonato dispositivi sanitari ad alcuniospedali europei — il Pontefice hadenunciato la piaga dell’usura, chestrangola i nuclei famigliari, ancheper colpa della crisi economica pro-vocata dall’emergenza sanitaria.

«Tante famiglie — ha detto — hannobisogno, fanno la fame, e purtroppole “aiuta” il gruppo degli usurai».Ecco allora che ci si trova di fronte a«un’altra pandemia», una «pande-mia sociale: famiglie di gente che haun lavoro giornaliero, o purtroppoun lavoro in nero, che non possono

lavorare e non hanno da mangiare».Famiglie «con figli», cui «gli usuraiprendono il poco che hanno. Pre-ghiamo per la dignità di queste fa-miglie», ha concluso, e «anche pergli usurai» affinché si convertano.

PAGINA 10

NOSTREINFORMAZIONI

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza gliEminentissimi Cardinali:

— Marc Ouellet, Prefettodella Congregazione per iVe s c o v i ;

— Luis Francisco LadariaFerrer, Prefetto della Congre-gazione per la Dottrina dellaFe d e ;

— Luis Antonio G. Tagle,Prefetto della Congregazioneper l’Evangelizzazione deiPop oli.

Il Consiglio Ue rinvia la decisione al 6 maggio quando verranno esaminate le proposte della Commissione

Coronavirus, l’Europa cerca l’accordo sul Recovery Fund

Il raccontodell’epidemia nei secoli

CHIARA CURTI E GABRIELE NICOLÒA PA G I N A 4

Manoscritti della BibliotecaVaticana in dialogo con il presente

Il manto di Mariache protegge l’umanità

CL AU D I A MONTUSCHI A PA G I N A 5

Facce belle della Chiesa

Il paradisoal 90° minuto

ROBERTO CETERA A PA G I N A 6

Don Maurizio Chiodi

«Ho imparatoad affidarmi»

FABIO COLAGRANDE A PA G I N A 8

L’associazione «Figli in Cielo»

Quella lucein fondo alla strada

VALENTINO MAIMONE A PA G I N A 8

ALL’INTERNO

di FEDERICO LOMBARDI

Molti di noi hanno fatto nella vita qual-che volta l’esperienza di essere seria-mente ammalati, o anche solo di ave-

re la paura fondata di esserlo. Se non ci siamolasciati prendere dal panico abbiamo vissutoun periodo che ci ha segnati spiritualmente, disolito in modo positivo. Abbiamo capito che lecose e i progetti che ci sembravano tanto im-portanti erano alla fine passeggeri e relativi.Che ci sono cose che passano e cose che invecedurano. Soprattutto siamo diventati più consa-pevoli della nostra fragilità. Ci siamo sentitipiccoli davanti al mondo e davanti al grandemistero di Dio. Ci siamo resi conto che il no-stro destino non è se non in parte nelle nostremani, anche se la medicina e la scienza fannocose meravigliose. Per riprendere una parolaantica, siamo diventati più umili. Abbiamo an-che pregato di più, siamo diventati più sensibi-li e attenti nei rapporti con gli altri, abbiamoapprezzato di più la loro attenzione e vicinan-za umana e spirituale.

Poi però, man mano che le forze sono tor-nate e il rischio è stato superato, gradualmentequesti atteggiamenti si sono attenuati e siamotornati più o meno quelli di prima: sicuri di

noi, preoccupati anzitutto dei nostri progetti edelle soddisfazioni immediate, meno attenti al-le finezze dei rapporti… e la preghiera è torna-ta ai margini della nostra vita. Per certi aspettidobbiamo riconoscere che nell’infermità erava-mo diventati migliori e che nella forza siamopresto tornati a dimenticarci di Dio.

La pandemia è una malattia diffusa e condi-visa. È un’esperienza comune di grande e ina-spettata fragilità. Mette duramente in questio-ne molti aspetti della nostra vita e del nostromondo che avevamo dato per acquisiti. Questocosta grandi sofferenze e turbamenti. Ma è so-lo un male o è anche un’o ccasione?

Nella predicazione di Giovanni Battista enella predicazione di Gesù c’è una parola cheritorna con grande frequenza e forza: “Conver-titevi”. Non è una parola che amiamo. Ci in-terroga e ci fa paura, perché intuiamo che nonè innocua. In tutto il tempo di Quaresima —che ha accompagnato questa vicenda dellapandemia fin dall’inizio, straordinaria coinci-denza nella nostra vita cristiana! — abbiamosentito e risentito l’invito alla conversione, ab-

biamo riascoltato le grandi preghiere peniten-ziali dell’Antico Testamento (Ester, Azaria…) ei richiami profetici che hanno sempre visto lesventure e le sofferenze del popolo come un ri-chiamo forte alla conversione, al ritorno versoD io… Non dobbiamo vedere le disgrazie delmondo, in cui tanti innocenti sono coinvolti,come un castigo di un Dio vendicativo, manon dobbiamo neppure essere così ingenui esuperficiali da non accorgerci delle responsabi-lità umane intrecciate in ciò che avviene e danon ricordare che la storia dell’umanità è intri-sa fin dall’inizio di conseguenze del peccato.Se no, che bisogno c’era che Gesù morisse perricondurre noi e la creazione verso Dio?

Prima o dopo questa pandemia passerà. Aun prezzo durissimo, ma passerà. Tutti abbia-mo già ora una grandissima fretta che passi elo desideriamo intensamente. Vogliamo rico-minciare, riprendere il cammino. È giusto: lasolidarietà ci obbliga a sperare che ulteriorisofferenze siano risparmiate ai deboli. La spe-ranza ci chiede di guardare in avanti e la caritàdev’essere operosa. Ma ci saremo convertiti, al-

meno un poco, o ricominceremo subito ad an-dare per le stesse strade di prima?

Una chiave di lettura cristiana fondamentaledell’Enciclica Laudato si’ è che per risponderealle grandi domande del futuro dell’umanitàdobbiamo riconoscere di essere creature, che ilmondo non è nostro ma ci è donato, e nonpossiamo pensare di dominarlo e sfruttarlo co-me vogliamo, se no lo distruggiamo e noi conesso. Solo sulla base di una maggiore umiltàdavanti a Dio la ragione e la scienza potrannocostruire e non distruggere. Vogliamo ripartirerapidamente. Diciamo che molte cose cambie-ranno. Forse pensiamo di aver imparato moltelezioni — chissà — sul sistema sanitario e scola-stico, sul digitale e le sue possibilità… Anchela scienza medica farà altri passi avanti… Maper lo più pensiamo a risposte in termini prin-cipalmente tecnici, di maggiore efficienza e ra-zionalità organizzativa.

Bene, ma la pandemia è anche una chiamataalla conversione spirituale, più in profondità.Una chiamata per i fedeli cristiani, non solo, maanche per tutti gli uomini, che rimangono crea-ture di Dio anche quando non se lo ricordano.Una vita migliore nella nostra casa comune, inpace con le creature, con gli altri, con Dio; unavita ricca di senso, richiede conversione.

BRUXELLES, 24. Bisognerà aspettareancora per capire come l’Europa ri-sponderà alla crisi economica e occu-pazionale innescata dalla pandemiadi coronavirus. Il Consiglio europeotenutosi ieri non ha risolto i princi-pali nodi sul tavolo, rinviando la de-cisione al 6 maggio, quando sarannoesaminate le proposte della Commis-sione europea.

I capi di Stato e di Governo Ue —riuniti in videoconferenza — si sonoaccordati per la creazione di una retedi protezione di complessivi 500 mi-liardi derivanti da Mes (Meccanismoeuropeo di stabilità), Bei (Banca eu-ropea degli investimenti) e Sure (ilfondo contro la disoccupazione). Èstata decisa anche l’istituzione di unRecovery Fund che dovrebbe mobili-tare almeno 1500 miliardi di euro per

garantire la ripresa negli Stati piùcolpiti dalla pandemia. Ed è questoil punto più delicato: il Consiglionon ha raggiunto un accordo suimeccanismi con i quali i finanzia-menti verranno elargiti (sovvenzionio prestiti) e sotto quali condizioni.

«Nella consapevolezza di dovertrovare strade comuni», ha detto ilcancelliere tedesco, Angela Merkel,«c’è stata una conversazione moltoamichevole». Merkel ha sottolineatoin particolare lo «spirito di collabo-razione tra i leader». «C’è un con-senso sulla necessità di una rispostarapida e forte» ha spiegato il presi-dente francese, Emmanuel Macron.«È un passo avanti, nessuno contestache abbiamo bisogno di una rispostafra i 5 e i 10 punti del nostro Pil. Cisono disaccordi che restano sui mec-

canismi». Servono — ha aggiunto ilcapo dell’Eliseo — «trasferimenti dirisorse verso i Paesi Ue più colpiti daquesta crisi, non dei prestiti». Que-sto fondo «dovrà essere di ampiezzaadeguata e dovrà consentire soprat-tutto ai Paesi più colpiti di protegge-re il proprio tessuto socio-economi-co».

Soddisfazione è stata espressadall’Italia. Il presidente del Consi-glio dei ministri, Giuseppe Conte, haparlato di «grandi progressi, impen-sabili fino a poche settimane fa,all’esito del Consiglio europeo». IPaesi Ue «riconoscono la necessità diintrodurre uno strumento innovativo,da varare urgentemente, per assicura-re una ripresa europea che non lasciindietro nessuno» ha spiegato Conteparlando del Recovery Fund. Le pre-

visioni economiche per l’Italia nonsono affatto buone. Secondo unaprima bozza del Def (Documento dieconomia e finanza) del governo ita-liano, nel 2020 il Pil si attesterà a -8per cento e al +4,7 nel 2021 mentre ildeficit arriverà al 10,4 per cento.

Sul Recovery Fund, il presidentedel Consiglio Ue, Charles Michel, hadetto: «Il fondo deve essere di unagrandezza sufficiente, per questo ab-biamo dato mandato alla Commis-sione Ue di analizzare le necessità edi presentare una proposta commisu-rata alla sfida della risposta economi-ca al coronavirus». Michel ha dettodi avere «una valutazione positivasulla riunione del Consiglio europeo;ci siamo trovati d’accordo su un qua-

CO N T I N UA A PA G I N A 2

LABORATORIODOPO LA PA N D E M I A

Il futurosotto la mattonella

GIUSEPPE BUFFON A PA G I N A 3

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 v e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020

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Città del Vaticano

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Singolare proposta di Trump ai suoi connazionali di farsi iniettare disinfettante e di prendere il sole

Negli Stati Uniti cinquantamila vittimee un terzo dei contagi mondiali

Povertà, fame e violazioni dei diritti

In Nigeria a rischiomigliaia di bambini

Un tecnico di laboratorio a bordo di una nave ospedale militare (Epa)

ABUJA, 24. In Nigeria — dove con-tinuano a crescere in modo inces-sante i casi di covid-19 — la vita dicentinaia di migliaia di bambini èmessa duramente a repentaglio. Lapandemia rischia di trasformarsi inuna grave crisi dei diritti dei mi-nori, soprattutto di quelli più vul-nerabili. Lo denunciano alcuni or-ganismi internazionali, mettendoin guardia sulle conseguenze

dell’impatto socio-economico dellacrisi.

I bambini — avvertono — p otreb-bero essere esposti a una pericolosacombinazione di estrema povertà,malnutrizione e fame a causa delvirus, con conseguente aumentodel lavoro minorile, dello sfrutta-mento sessuale o dei matrimoniprecoci per aiutare a sfamare leproprie famiglie. Nel Paese, intan-to, sono stati registrati 91 nuovi ca-si, portando a 873 il numero totaledelle vittime.

In Sud Africa il numero dei con-tagi è salito a quasi 4.000. Si trattadel più grande aumento in un sologiorno registrato fino ad oggi. Lorivelano i dati del ministero dellasalute, confermando un totale di318 nuovi casi, mentre il numero divittime è aumentato da 10 a 75.

Per combattere la pandemia, inEgitto è stato indetto il coprifuoconotturno durante tutto il mese diRamadan. Lo ha annunciato il pre-mier Mostafa Madbouly.

Intanto oltre 1.300 detenuti sonostati liberati nelle due principalicittà del Camerun — Douala e Ya-oundé — per evitare la sovrappopo-lazione carceraria e limitare i rischidi contagio. A metà aprile il presi-dente, Paul Biya, aveva decretato lacommutazione di pena e l’indultoper alcuni prigionieri. Finora nelPaese — il secondo più colpitodell’Africa sub-sahariana, dopo ilSud Africa — sono stati dichiarati1.163 casi di contagio e 42 morti.

America latina:ventimila contagi

in solidue giorni

BRASÍLIA, 24. Nelle ultime 48 ore èscattato l’allarme in tutta la regionelatinoamericana. È stato registratoinfatti un forte incremento dei con-tagi, circa ventimila casi, così comedei decessi, circa mille in più, chehanno fatto salire il bilancio totale,rispettivamente, a oltre 121 mila per-sone infettate e circa 6.700 morti. Lapandemia è concentrata, al momen-to, in soli 10 dei 34 paesi della regio-ne: Brasile, Perú, Cile, Ecuador,Messico, Panama, Repubblica Do-minicana, Colombia e Argentina.

In Brasile si sono superati i50.000 casi di contagio da coronavi-rus. Lo riporta questa mattina l’uni-versità Usa Johns Hopkins, secondocui i decessi riconducibili al covid-19sarebbero 3.331, di cui 407 solo nelleultime 24 ore. Oltre questi, secondoil ministero della Salute brasiliano cisarebbero altre 2.771 morti causateda malattie respiratorie classificatecome “non identificate”, che non so-no state legate al covid-19 a causa diproblemi con i test. Il ministero haperò spiegato che il numero di virusrespiratori non identificati c’era an-che in passato. Ciò che impressionadei dati del ministero è il volumedelle persone finite in ospedale nel2020 a causa di problemi respiratori.Al 20 aprile, sono stati 55.980 i rico-veri per problemi respiratori, controi 12.019 nello stesso periodo dell’an-no scorso, un aumento del 366%.

Per l’Oms si tratta di una tragedia inimmaginabile

Nelle case di cura la metà dei morti nell’Ue

Una casa di cura a Pozuelo de Alarcon, Spagna (Reuters)

Coronavirus, l’Europa cerca l’accordo sul Recovery Fund

La guerra proseguenello Yemen

nonostante il virusSANA’A, 24. La guerra continua amietere vittime nello Yemen, nono-stante il primo caso accertato dicovid-19 e le due settimane di ces-sate il fuoco, dichiarato unilateral-mente dalla coalizione a guida sau-dita. Negli ultimi quindici giornialmeno 38 civili, tra cui 11 bambini,hanno perso la vita o sono rimastiferiti. Lo denunciano le organizza-zioni internazionali, rimarcando legravi difficoltà a cui deve far fronteuna popolazione già stremata. Vi èil rischio di una nuova tragediaumanitaria, hanno affermato. Solola metà delle strutture sanitarie so-no pienamente funzionanti. In to-tale sono disponibili 700 posti lettoin terapia intensiva e 500 ventilato-ri.

Nello scacchiere centro-asiatico ilKazakhstan ha deciso di fornire as-sistenza e supporto economico aKyrgyzstan e a Tadjikistan per so-stenerli nella lotta contro la pande-mia. Gli aiuti saranno devoluti sot-to forma di derrate alimentari perun totale di 5 mila tonnellate a cia-scun Paese, pari ad un valore di ol-tre 3 milioni di dollari. La decisio-ne è stata presa in considerazionedegli appelli ufficiali da parte kir-ghisa e tagika, al fine di garantireuna fornitura ininterrotta di ciboalla popolazione.

BRUXELLES, 24. Quasi metà dellepersone morte per coronavirus inEuropa erano anziani residenti nel-le case di cura. Lo ha detto ieri ildirettore regionale dell’O rganizza-zione mondiale della sanità (Oms)Europa, Hans Kluge, in una confe-renza stampa.

«Il quadro su queste strutture èprofondamente preoccupante», hasottolineato. «È una tragedia uma-na inimmaginabile», ha aggiunto ildirettore dell’Oms Europa. «C’è unurgente ed immediato bisogno diripensare il modo in cui operano lecase di cura oggi e nei mesi a veni-re», ha precisato, sottolineando che«le persone compassionevoli e de-dicate che lavorano in quelle strut-ture — spesso sovraccaricate di la-voro, sotto pagate e prive di prote-zione adeguata — sono gli eroi diquesta pandemia».

Che gli anziani — e con lorospesso anche le persone chiamate aprendersene cura — fossero le vitti-me più colpite del covid-19 lo si eracapito fin da subito, quando sonocominciate ad arrivare le notizie deiprimi decessi e i primi dati sullamortalità. Ora i numeri sembranocertificarlo una volta per tutte.

Tra i paesi dove il fenomeno è ri-sultato più eclatante figura la Fran-cia, dove al 15 aprile il 49,4 percento dei morti erano residenti incase di riposo, secondo dati comu-nicati dall’Oms alla France Presse.In Irlanda il numero dei decessi in

queste strutture — dati aggiornati al13 aprile — risultava addirittura il55,2 per cento del totale.

Intanto, l’Europa procede a velo-cità alterne verso la cosiddetta fase2 del graduale ritorno a una par-venza di normalità. Da Berlino, il

cancelliere tedesco, Angela Merkel,ha tirato il freno, criticando la fret-ta di riaprire degli Stati federati.Nell’allentare le restrizioni, alcuniLänder «sono stati molto decisi,per non dire troppo decisi», ha sot-tolineato. Merkel ha precisato che

la situazione è «ingannevole e fra-gile» e ha messo in guardia dal ri-schio che la Germania possa perde-re i buoni risultati ottenuti finoranella gestione dell’e m e rg e n z a .

In Germania, il tasso di contagiodel coronavirus è lievemente salitonegli ultimi giorni, e anche il tassodi mortalità è aumentato.

Nel Regno Unito il lockdowngenerale, introdotto dal premierBoris Johnson il 23 marzo e poirinnovato, sarà soggetto a una se-conda verifica il 3 maggio. Ma almomento il governo considera pre-maturo anche solo parlare di pianifuturi di exit strategy, dati i numerituttora elevati di contagi e morti.Dopo la malattia, Johnson sta co-munque pianificando di rientrare aDowning Street lunedì prossimo.

La Francia, come già altri paesieuropei, si avvia invece verso la ria-pertura delle scuole l’11 maggio, an-che se dall’Eliseo è arrivata unaprecisazione: il ritorno degli alunnisui banchi sarà su base volontariadei genitori e senza obblighi. Laprossima settimana si dovrebbe co-noscere il piano complessivo di Pa-rigi per entrare nella fase 2.

Potranno invece tirare finalmenteun sospiro di sollievo i bambini inSpagna. A partire da domenica iminori di 14 anni saranno autoriz-zati a uscire un’ora al giorno fra le9 del mattino e le 21, sempre ac-compagnati da un adulto e a massi-mo un chilometro da casa.

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

dro chiaro: di fronte a questa crisienorme bisogna prendere delle fortidecisioni». Come accennato, l’iterper l’accordo sul Recovery Fund ela sua attuazione sarà lungo: dopo il6 maggio, una volta annunciate leproposte della Commissione, segui-ranno le trattative tra gli Stati mem-bri. Questo significa che ci sarà unnuovo Eurogruppo, un nuovo verti-ce dei leader e quindi — se tutto vabene — la decisione finale con unsummit a Bruxelles. La divisione tragli Stati che chiedono più sovven-

zioni a fondo perduto (Italia, Fran-cia, Spagna, Portogallo e i paesi fir-matari della lettera a Michel per ilburrascoso Consiglio del 26 marzoscorso in cui si chiedevano «stru-menti di debito comune») e quelliche invece spingono per i prestiti(Paesi Bassi e Germania) è ancoranetta. Il premier dei Paesi BassiMark Rutte ha ribadito che per lui«il fondo europeo di ripresa dovreb-be erogare prestiti», mentre «le sov-venzioni dovrebbero rimanere prero-gativa del bilancio»; tuttavia, ancheRutte promette «un approccio co-s t ru t t i v o » .

A richiamare l’importanza dellasolidarietà in questa difficile fase èstato anche il presidente del Parla-mento Ue, David Sassoli, che ieri èintervenuto al Consiglio dicendo:«Questo è il momento dell’unità. Ilmercato europeo è unico, se non ri-partiremo insieme nessuno potràpensare di rilanciare economie pro-fondamente interconnesse e forte-mente interdipendenti tra di loro».Le istituzioni dell’Ue «hanno giàcostruito una rete di sicurezza perfornire la liquidità necessaria perfronteggiare la crisi nell’immediatocon il Mes per le necessità sanitarie,

con il meccanismo Sure, per farfronte alla disoccupazione e con laBei che darà ossigeno alle piccole emedie imprese». Tutto questo «èfondamentale come intervento d’ur-genza ma sappiamo benissimo chela sfida vera che abbiamo davanti eche oggi sta sulle vostre spalle èpensare all’uscita dalla crisi e alla ri-presa» ha aggiunto Sassoli.

Un forte appello alla pace e al ri-spetto dei diritti nonostante la pan-demia è giunto anche dal segretariogenerale delle Nazioni Unite, Antó-nio Guterres. «I diritti umani nonpossono essere ripensati in tempi di

crisi, e ora affrontiamo la più grandecrisi internazionale da generazioni»ha spiegato. I diritti umani possonoe debbono guidare la risposta al co-ronavirus. «Il messaggio è chiaro: lepersone e i loro diritti devono essereal centro» ha detto il leader del pa-lazzo di Vetro, affermando che «bi-sogna garantire che nessuno vengalasciato indietro». Guterres ha riba-dito che il virus non discrimina, mail suo impatto sì, «esponendo pro-fonde debolezze nella fornitura diservizi pubblici e disuguaglianzestrutturali che ne impediscono l’ac-cesso».

WASHINGTON, 24. L’ultimo rileva-mento della Johns Hopkins Univer-sity certifica 49.963 decessi per co-vid-19 negli Stati Uniti in poco piùdi cinquanta giorni. Nuovo picco divittime nelle ultime 24 ore, 3.176,ben 1.500 in più del giorno prece-dente. Con circa 870 mila contagida coronavirus gli Usa detengonoquasi un terzo dei casi mondiali. Unterzo delle morti legate al covid-19sono state registrate nello stato diNew York, dove un monitoraggiopreliminare sui residenti, eseguitonei giorni scorsi, ha rilevato chequasi il 14 per cento della popola-zione testata presenta anticorpi dacoronavirus, il che significa che è in-fetta o lo è stata.

Ieri il presidente Trump dalla Ca-sa Bianca, nel corso del consuetobriefing della task force contro il vi-rus, ha affermato che nel paese sonostati fatti molti progressi nella lottaal covid-19, non escludendo comun-que la possibilità di estendere le li-nee guida sul distanziamento socialefino all’estate, o fino a quando «nonci sentiremo sicuri».

Particolare stupore, nonché forticritiche da parte degli esperti, ha ge-nerato la proposta avanzata dal pre-sidente Usa ai suoi connazionali difarsi iniettare disinfettante e prende-re il sole per uccidere il coronavirus.Invitando gli americani a esporsi al-

la luce del sole, Trump ha quindisuggerito l’uso di raggi ultravioletti,facendo riferimento a uno studio se-condo cui il covid-19 sparirebbe più

velocemente all’esposizione del solee ad alte temperature. «Sono quiper illustrare delle idee» ha dettoTrump nel corso della conferenza,

aggiungendo che «il disinfettante lodistrugge in un minuto. Non c’è unmodo di fare qualcosa di simile,iniettandolo? Sarebbe interessanteverificarlo».

Intanto ieri dalla Camera Usa èarrivato il via libera al disegno dilegge che prevede lo stanziamentodi nuovi 484 miliardi di dollari diaiuti per le piccole e medie impresestatunitensi fortemente colpite dallacrisi economica portata dal corona-v i ru s .

I fondi — riferisce la stampa — an-dranno a implementare il PayckekProtection Program, approvato inprecedenza e che ha registrato inpochi giorni l’esaurimento dei 350miliardi inizialmente stanziati. Ilpiano è stato già approvato dal Se-nato; ora spetta al presidente Do-nald Trump firmare il provvedimen-to per renderlo esecutivo.

Dal punto di vista economico ildato più allarmante è quello relativoall’occupazione. Oltre 26 milioni distatunitensi nelle ultime cinque setti-mane, in cui sono scattate le misuredi lockdown nei vari stati, sono ri-masti senza lavoro e hanno richiestoi sussidi statali. Il timore è quello diun tasso disoccupazione superiore al20 per cento, un livello mai vistodal 1929, quello della “Grande de-p re s s i o n e ”.

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L’OSSERVATORE ROMANOv e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020 pagina 3

LABORATORIOD OPO LA PA N D E M I A

«Per chi è responsabile la domanda ultima non è:

come me la cavo eroicamente in quest’affare, ma: quale potrà essere

la vita della generazione che viene» (D. Bonhoeffer)

Potrebbe darsi che per costruire un nuovo mondo non si debba andare troppo lontano

Il futurosotto la mattonella

di GIUSEPPE BUFFON

La preoccupazione per la salu-te, per la stessa vita si va, apoco, a poco stemperando. Al

suo posto, però, emerge l’assillo peril lavoro, per il mondo dell’i m p re s a ,che apre ad un dopo. Salute e lavo-ro, binomio già drammaticamentenoto a causa del dibattito tarantinosull’ex Ilva, subisce ora una nuovaaccelerazione, evidenziando, ancorauna volta, la necessità di superareun falso dilemma. Come è possibileimmaginare un dopo dell’i m p re s amentre ci troviamo ancora bloccatidentro le mura domestiche, a causadella salute? Come è possibile ripar-lare di lavoro, impresa, circolazionedei beni e delle persone, necessarialla riattivazione dei mercati, quan-do il clima di segregazione sembraaver contaminato l’inventiva, la pro-gettualità, la stessa voglia di futuro?Si può ripartire da dentro casa, dal-le relazioni domestiche, dagli scam-bi telefonici e telematici con perso-ne con cui in questi giorni abbiamocondiviso preoccupazioni ordinariee interrogativi fondamentali sulla vi-ta, sul tempo, sul significato degliavvenimenti, sul futuro?

Cristoforo Colombo immagina lapossibilità che possano esistere nuo-ve rotte marine, nuovi mondi, anziun mondo sferico e non piatto,mentre si trova ospite degli eremitidella Rabida. Questi francescanispirituali, a l u b ra d o s , come venivanochiamati, cioè illuminati, dal chiusodella cella, prolungavano il lorosguardo verso orizzonti nuovi, cul-ture e civiltà alternative. In diversiincontri organizzati in vista del Si-nodo per l’Amazzonia, spesso miveniva chiesto che cosa avrebbe po-tuto insegnare all’Europa e all’O cci-dente quell’iniziativa ecclesiale a fa-vore di una regione così remota. Trale possibili risposte, riguardanti, adesempio, la conversione ecologica eil cambiamento degli stili di vita perattenuare lo sfruttamento rapacedella foresta, quella più semplice,ma forse meno scontata di altre, miera sembrata quella di un sinodoche proponeva un capovolgimentodello sguardo, una inversione dellapolarità dal centro alla periferia.Non più il: “Think globally, act lo-cally”, ma il “Think localy, act glo-bally”!

Ripartire dal locale, da un localefragile, sì, ma determinante perl’equilibrio del pianeta; assumere laprospettiva del locale per riconside-rare l’assetto planetario, per rivederelo stesso paradigma della globaliz-zazione, non solo sul piano com-merciale, ma anche su quello cultu-rale. Cogliere nel periferico il corret-tivo per una visione eccessivamentecentralistica, standardizzata e omo-geneizzante. Ricominciare dallosguardo delle comunità indigene lo-cali sulla natura, sulla persona, sullerelazioni, sul lavoro e sulla stessatrascendenza. Assumere la loro pro-spettiva per una verifica del nostrorapporto con le medesime dimensio-ni, da noi spesso sbrigativamente re-legate ad un mondo arcaico e pre-moderno, perché inadeguate agliodierni standard di efficienza.

Quando negli anni Sessanta ilprogetto di industrializzazione na-zionale stravolgeva il nostro territo-rio e la stessa famiglia, recidendo leradici culturali, sociali e domestichetipiche della migliore tradizione ita-liana, Ettore Guatelli fondava aCollecchio in provincia di Parma unmuseo dell’usato agricolo, a testimo-nianza critica di una civiltà condan-nata all’oblio. Una delle ultime col-lezioni inserite nei padiglioni par-mensi è una raccolta di scarpe ritro-vate nelle spiagge degli sbarchi de-gli immigrati, nuova periferia con-dannata all’oblio.

E se oggi cogliessimo l’opp ortuni-tà di questa imposta clausura eremi-tica e della forzata paralisi tempora-nea dell’efficienza moderna, per ri-partire dal locale, dalle tradizionilocali, dalla cultura locale, dalla cul-tura della famiglia, e da quella delterritorio? Non sarà forse possibiletrovare risorse di pensiero, di creati-vità, di relazioni, di imprenditoriali-tà e di lavoro, in un contesto a noiprossimo, che abbiamo troppo infretta relegato tra i vecchi cimeli peraffidarci all’esotismo della delocaliz-

zazione, al miraggio di una globa-lizzazione funzionale a un benesserea prezzo scontato? Non possono al-lora tornare utili certi esperimenti,tentati da imprenditori italiani lun-gimiranti, che sulla scorta di Olivet-ti e Mattei, già in tempi non sospet-ti si sono affidati alle potenzialitàdel contesto locale e famigliare?Non sarà questa imprenditoria ita-liana, che può offrire il segreto perla ripartenza, grazie alla riscopertadi una tradizione del passato prossi-mo, ancora solo vagamente cono-sciuta e quindi poco o niente valo-rizzata? E se le riflessioni in fami-glia di questi giorni potessero far ri-considerare non solo il modello de-gli indigeni dell’Amazzonia, maquanto dichiarava solo lo scorso an-no Giuseppe Corti, fondatore nel1971 di Elmec Spa, realtà all’avan-guardia nell’ambito dell’informatica,con i suoi 700 dipendenti in Italia eall’estero: «Può sembrare strano perchi guarda l’impresa da fuori e si fafuorviare da alcuni stereotipi, maforse questa idea di un “sistema fa-migliare allargato” mi sembra quellache più si adatta alla nostra storia».Anche per Pina Amarelli, la memo-ria dell’imprenditoria domestica ri-veste un valore determinante per ilsuccesso dell’impresa, che sa far affi-damento nelle risorse locali: «Restaviva in noi la cultura contadina, ti-pica di questo territorio, che insegnal’accettazione dell’imprevisto, maanche la resilienza e la perseveranzanecessarie per arrivare ad un nuovoraccolto». E precisando ulteriormen-te: «La pianta della liquirizia ci aiu-ta a coltivare questi valori, perchénascendo spontanea sottoterra, qua-si nascostamente, ha un suo ciclonegli anni da dover rispettare perpoter essere trasformata e divenirequel prodotto particolarissimo checonosciamo».

E se guardando al di là delle fine-stre, in questa sosta prolungata, po-tessimo tornare a guardare il pano-rama del territorio che l’eccessiva fa-migliarità ci ha fatto dimenticare,cercando di riscoprirne le parzialità?Potremmo forse trovare confermaalle parole profetiche di Claudio Va-vassori, di Cascina Clarabella, chenel 1992 entra in azienda come ope-raio e oggi è alla guida di questoconsorzio che fa della cooperazioneil suo segreto strategico: «Così cisiamo posti al servizio del nostrobellissimo territorio e abbiamo coo-perato con chiunque vedesse nel“bene comune” il vero obiettivo perraggiungere contestualmente il pro-prio bene».

E se il mondo delle relazioni chestiamo scoprendo in questi giornicome dimensione fondamentale del-la vita, ragione per continuare aguardare al futuro e motivo di grati-tudine di quanto seminato in passa-to, ci prospettasse una riflessionesulla fragilità feconda, come quelladell’Amazzonia e del nostro stessocontesto locale. E se allora, non so-lo la persona, la famiglia, la relazio-ne e il territorio, ma proprio la fra-gilità divenisse opportunità per un

nuovo inizio. Paradossale!, qualcu-no penserà. Paradossale non lo è si-curamente per Claudio Rimoldi,che con la sua azienda Solidarietà eServizi crea opportunità di lavoroper un gruppo di giovani disabilipsichici, assicurando che non si trat-ta di filantropia, né di elemosina:«C’è gratitudine, aiuto reciproco econvivere fianco a fianco in una si-tuazione che ha dei limiti oggettiviaiuta tutti a comprendere e ad ac-cettare i propri e a superarli». E peri più scettici precisa: «La sfida è sta-ta proprio questa: mantenere quellaqualità che ci ha sempre contraddi-stinto ma riuscire a farlo con perso-ne diversamente abili. Agli inizi nonè stato semplice, ma grazie ad unlavoro di miglioramento continuo ea delle partnership con l’Universitàabbiamo costruito delle macchineapposite, rivisto alcuni processi, la-vorato sulla formazione. I “nostriragazzi” sono stati bravissimi e inpoco tempo abbiamo raggiuntostandard elevatissimi che oggi per-mettono alla Cooperativa di ottene-re dei premi di fine anno legati allaqualità e alla quantità della produ-zione».

E se in questo tempo di confron-to serrato con noi stessi, con la no-stra solitudine, con i dubbi e i per-ché, potessimo infrangere il dia-framma che ci separa dall’anima,potremmo forse vedere affiorare nelnostro intimo una nuova concezionedel lavoro, dell’impresa e diquell’economia, che vorremmo ri-partisse.

Le riflessioni lungimiranti di Eu-sebio Gualino, amministratore dele-gato di Gessi Spa, azienda situata inuna splendida Val Sesia, si dimo-strano assai incoraggianti e ispiratri-ci: «Credo fermamente che i pro-dotti abbiano un’anima, così comel’azienda, e che tutto ciò sia il rifles-so della nostra dimensione interioree spirituale. Credere in qualcosa dipiù alto e di più bello ci aiuta a tra-sformarci e a trasformare positiva-mente il contesto in cui viviamo,quasi fossimo delle sentinelle dellabellezza, perché davanti a certi pae-saggi naturali o ad un lavoro fattoad arte nessuno può rimanere indif-ferente. Ecco, forse fare impresavuol dire essere questo» (citazionitratte da interviste, realizzate daMassimo Folador per «Avvenire»).

Che il silenzio e la segregazioneeremitica di questi giorni, similmen-te a quanto sperimentato da Colom-bo nell’eremo degli illuminati dellaRabida, possa generare anche in noipensieri, idee e progetti per un futu-ro davvero nuovo, vero, felice. Siavveri l’auspicio di quella antica fa-vola, che narra di un tale che cerca-va il tesoro lontano, mentre esso sitrovava nascosto sotto la mattonelladella propria casa. Fuori metafora,che una riscoperta vitale della di-mensione locale, famigliare, territo-riale permetta di ridisegnare unaglobalizzazione deviata, causa remo-ta della pandemia e vero virus dellanostra civiltà Occidentale.

Una testimonianza dalla frontiera tra Eritrea ed Etiopia

Prevenire e curare la malariadi MARINA PICCONE

«S ono tornato da poco dal-la frontiera eritreo-etiopi-ca. Quando si attraversa

il confine tra nord e sud del mondosi osserva la realtà che ci circondacon un’altra ottica. La nascita, l’in-fanzia, l’adolescenza, i primi amori,la procreazione, l’età adulta e la vec-chiaia sono eventi universali ma lìassumono un significato completa-mente diverso. Una delle principalicause di morte dei bambini entro i 5anni, dopo la denutrizione, le infe-zioni polmonari e la diarrea, è lamalaria. In quei posti il 25 aprilenon si celebra alcuna festa ma èun’opportunità per comunicare alnord del mondo il dramma di que-sta malattia». Il professor AldoMorrone, direttore scientifico del-l’Irccs S. Gallicano di Roma, parladella Giornata mondiale contro lamalaria che si celebra il 25 aprile, lostesso giorno in cui l’Italia festeggiala liberazione dalla dittatura fascistae dall’occupazione nazista. Unacoincidenza sfortunata che non con-sente di dare la giusta rilevanza auna patologia che provoca centinaiadi migliaia di morti in tutto il mon-do.

Secondo il rapporto dell’O rganiz-zazione mondiale della sanità(Oms) del 2019, nel 2018 ci sonostati 228 milioni di casi e 435 milamorti, di cui il 67 per cento è rap-presentato da bambini di età infe-riore ai 5 anni. Numeri che fannoimpallidire quelli del coronavirusma che hanno il torto di riguardarepaesi lontani dal nostro e, perciò,poco interessanti.

Di malaria, infatti, si muore so-prattutto in Africa e in India, l’85per cento delle morti globali. Seipaesi, tutti africani, rappresentanooltre la metà dei casi di tutto ilmondo: Nigeria (25 per cento), Re-pubblica Democratica del Congo(12 per cento), Uganda e Costad’Avorio (5 per cento ognuno), Mo-zambico e Niger (4 per cento).

La malaria, provocata dalla zan-zara Anopheles, è particolarmentegrave per le donne in gravidanza e ibambini. Secondo i dati Oms lamalattia ha interessato oltre 11 milio-ni di donne incinte nell’Africa sub-sahariana provocando decessi siadelle madri sia dei bambini, un mi-lione dei quali è nato con un bassopeso e affetto da anemia.

Il professor Morrone, specializza-to in dermatologia, venereologia emalattie tropicali, lavora da trentaanni in Africa ed è consulente scien-tifico di tre ospedali in Etiopia, natitutti con finanziamenti italiani e ge-stiti da personale locale. L’ultimo,inaugurato nel 2014, ha sede a She-raro che, come gli altri due, si trovain Tigray, una regione rurale nelnord del paese africano. Il centrosanitario, il secondo per importanzanella regione, è stato costruito gra-zie alla generosità di un medico ve-terinario italiano, Mario Maiani, acui è intitolato.

Del contrasto alla malaria, oltreche alle altre patologie che toccanoprincipalmente donne e bambini,Morrone ha fatto la sua personalebattaglia. Per molti anni, dal 2005 al2016, in collaborazione con le auto-rità del Tigray, ha condotto un pro-getto per combattere la diffusione

della malattia che ha coinvolto piùdi duemila operatori locali e rag-giunto oltre 200 mila abitanti.

Il progetto ha facilitato la diagno-si di malaria attraverso l’esecuzionedel Rapid Diagnostic Test, un esa-me che, utilizzando una sola gocciadi sangue prelevata dal polpastrello,consente in pochi minuti di stabilirela diagnosi di malaria da Plasmo-dium falciparum e di somministrarecosì, da subito, una terapia specificache permette di salvare la vita dellepersone. Il Plasmodium falciparumè il parassita della malaria più peri-coloso e più diffuso in Africa, doverappresenta il 99,7 per cento dei casistimati nel 2018.

Accogliendo l’invito dell’Oms del2004 volto a promuovere strategieper migliorare l’accesso alle cure at-traverso la gestione domiciliare dellamalaria, l’équipe medica del SanGallicano ha coinvolto in un esperi-mento pilota la comunità della re-gione etiope. Sono state individuatepopolazioni disperse, povere, preva-lentemente rurali, con scarso accessoai servizi sanitari che si sono dimo-strate disponibili a sottoporsi a dia-gnosi gratuite e a trattamenti anti-malarici vicino alle loro case.

Contemporaneamente, sono statiformati operatori sanitari volontariin grado di effettuare i test diagno-stici e di somministrare i farmaci. Ilprogetto si è rivelato utile non soloper diminuire la morbilità e la mor-talità ma anche per ridurre conside-revolmente l’onere per le strutturesanitarie. Il lavoro è proseguito perdiversi anni e tutt’ora l’imp egnonella lotta contro la malaria e altremalattie mortali non conosce sosta.

Un impegno che è valso all’osp e-dale romano un diploma di ringra-ziamento da parte delle Nazioni

Unite per l’opera profusa in quellaparte di mondo. «Ricordo che l’Isti-tuto San Gallicano fu fondato nel1725 da Papa Benedetto XIII p ro p r i ocon l’intenzione di prendersi curadelle popolazioni più povere e piùfragili», racconta Morrone, non sen-za una punta d’o rg o g l i o .

Zanzariere impregnate di insettici-da, farmaci molto efficaci come l’ar-temisinina, diagnosi rapide, sensibi-lizzazione delle comunità sono tuttielementi utili per combattere la ma-laria. Ma manca ancora una cosaper completare il puzzle: un vacci-no.

A questo strumento è stato datoun ruolo fondamentale per il rag-giungimento degli obiettivi del-l’Agenda Onu 2030, ridurre, cioè,del 90 per cento la mortalità e il nu-mero di casi e arrivare all’elimina-zione della malaria in almeno 35paesi. La prima sperimentazione diun vaccino è partita ad aprile delloscorso anno in tre paesi africanisub-sahariani, Malawi, Ghana e Ke-nya, su bambini sotto i 2 anni. Adoggi il farmaco Mosquiriz ha dimo-strato un’efficacia che va dal 35 al45 per cento.

«Certo vorremmo avere un vacci-no che abbia un’efficacia del 95/98per cento, come quello contro ilmorbillo, ma mi sembra comunqueun risultato significativo», commen-ta Morrone. «Bisogna andare avan-ti. Se il progresso si ferma, rischia-mo di sprecare anni di fatica, inve-stimenti e successi. In attesa di unvaccino risolutivo il nostro impegnodeve essere basato sul principio chenessuno deve morire per una pato-logia che può essere prevenuta e cheè curabile con i trattamenti disponi-bili».

Accordo con la Danimarca

Un consolato Usain Groenlandia

Bimba di sei annirapita e stuprata

in India

NEW DELHI, 24. La polizia indianaè alla ricerca di un uomo che ha ra-pito e stuprato ieri una bambina disei anni nel villaggio di Damoh, nelMadhya Pradesh. La bambina, cheè in condizioni critiche all’osp edaledi Jabalpur, ha subito anche gravilesioni agli occhi da parte del suoaggressore, probabilmente perchénon potesse riconoscerlo. Lo riportala Bbc, ricordando che le protestecontro la violenza sessuale in variecittà dell’India non si arrestano.

Il governatore Madhya Pradesh,Shivraj Singh Chouhan ha definitol’aggressione «vergognosa». Labambina stava giocando con i suoiamichetti quando è stata rapita. Èstata ritrovata dopo diverse ore sve-nuta e con le mani legate, in un edi-ficio abbandonato. All’ospedale èstata sottoposta a un delicato inter-vento agli occhi nel tentativo di sal-varle la vista.

Contrastisul nuovo governo

del Kosovo

PRISTINA, 24. Il presidente delKosovo, Hashim Thaçi, ha det-to che conferirà l’incarico diformare un nuovo governo alrappresentante di un qualsiasipartito in grado di garantireuna maggioranza in parlamen-to. Per questo ha avviato unanuova serie di consultazioni conle varie forze politiche. In pre-cedenza, il presidente aveva in-viato una lettera al premier adinterim, Albin Kurti, constatan-do che, nonostante le ripetuterichieste, lo stesso Kurti non hausufruito del suo diritto a indi-care il nome di un componentedel suo partito, Autodetermina-zione, vincitore delle elezioni diottobre, al quale affidare l’inca-rico. L’Alleanza democratica,giunta seconda al voto, ha indi-cato Avdullah Hoti per il confe-rimento dell’incarico.

WASHINGTON, 24. Gli Stati Unitiapriranno un consolato in Groen-landia e invieranno 12 milioni diaiuti allo sviluppo all’isola articache lo scorso anno il presidenteDonald Trump aveva detto di vo-ler comprare. L’accordo finanziarioe diplomatico è stato annunciatoieri dagli Stati Uniti e dalla Dani-marca, di cui l’isola è un territorioautonomo. I due Paesi ricucionocosì i rapporti dopo un periodo di

tensioni proprio legate alla que-stione della Groenlandia.

L’amministrazione Trump hadetto che questo accordo «rappre-senta la rinascita del nostro impe-gno in Groenlandia» nell’ambitodi un’azione tesa a contrastare icrescenti interessi russi e cinesinell’Artico. La partita fondamenta-le riguarda infatti il controllo dellefuture rotte dell’Artico e chi mette-rà le mani su grandi giacimenti dimaterie prime. Una battaglia incui compare — secondo gli analisti— soprattutto lo spettro della Cina,decisa ad estendere la sua influen-za nella regione.

Va inoltre sottolineato che, congli effetti del cambiamento climati-co e il ritiro dei ghiacciai, laGro enlandia sta diventando unterritorio di grandi potenzialità perrisorse minerarie ed energetiche.

Come detto, lo scorso agostoavevano fatto discutere le dichiara-zioni di Trump che aveva propostodi comprare la Groenlandia. Acausa del rifiuto del premier dane-se Mette Frederiksen, Trump avevacancellato la visita in Danimarca.Anche la casa reale danese si eradetta «sorpresa» della decisione diWashington. «L’invito per una piùforte cooperazione strategica congli Usa nell’Artico è ancora aper-to» ha dichiarato di recente Frede-riksen sottolineando che «gli StatiUniti sono uno dei nostri piùstretti alleati». La Groenlandia èdal 2009 uno Stato federato. Alcontrario della Danimarca, di cuiera una colonia fino al 1953, non faparte dell’Unione europea. Perquanto dunque goda di una forteautonomia, sulla politica estera esulla sicurezza resta sotto la giuri-sdizione danese.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 v e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020

Il tempio espiatorio di Barcellona è nato mentre in città il tifo mieteva vittime

La Sagrada Famíliaal tempo della febbre gialla

Da Tiziano a Caravaggio la bellezza dell’arte opposta alle brutture della peste

Le piaghee il sublime

Particolare dell’interno della Sagrada Família

Albrecht Dürer«I cavalieri

dell’Ap o c a l i s s e »(1498)

Caravaggio, «Sette opere di Misericordia» (1607, particolare)

IL RACCONTO DELL’EPIDEMIA NEI SECOLI

Nel 1870 la capitale della Catalognavive la sua massima espansionegrazie alla secondarivoluzione industrialeLa popolazione salea un milione di abitantiMolti sono immigrati che vivonoin condizioni di miseria estrema

Tiziano, «La Pietà» (1575-1576, particolare)

di GABRIELE NICOLÒ

Anche il mondo dell’arte è stato se-gnato nei secoli dall’infuriare delleepidemie, costringendo gli artisti arinchiudersi nella propria dimoraper evitare il peggio. Ma il genio di

alcuni artisti ha saputo tradurre in somma bel-lezza una realtà deturpante, fatta di pustole epiaghe. Da Rembrandt a Tiziano, da Caravag-gio a Dürer, si è sviluppata una narrativa cherappresenta la testimonianza della strenua vo-lontà dello spirito umano a non soccombere almale e, nello stesso tempo, dell’intima forzache innerva e anima la cultura se minacciatadalla natura e dalle sue perniciose manifesta-zioni. Nei Cavalieri dell’Ap o c a l i s s e (1498) Albre-cht Dürer, attraverso un disegno dal ritmo cao-tico e incalzante, rappresenta la Morte e i tresuoi sicari: la guerra, la carestia e la pestilenza.Il cavaliere con l’arco viene generalmente con-cepito dalla critica come il simbolo della pesti-lenza: la sua freccia, raffigurata nell’atto di es-sere scoccata, è espressione di un male che an-drà a conficcarsi nel cuore di un’umanità prote-sa verso una fuga che viene resa vanadall’avanzare, impetuoso e inclemente, dei ca-valli, sotto i cui zoccoli giacciono uomini edonne spaventati e prostrati. Nel mondo diDürer, come scrive il critico d’arte Jonathan Jo-nes, il sicario della morte più pericoloso e piùtemuto era proprio la pestilenza, perché subdo-la: non la vedi arrivare e non sai quando dipreciso se ne andrà.

Nel 1575-1576 Tiziano compose La Pietà, incui un anziano è colto mentre prega affinchésuo figlio sopravviva all’epidemia. L’artista raf-figura magistralmente quest’uomo in preda alladisperazione. Egli sa che solo l’aiuto divino po-trà esaudire la sua accorata richiesta: gli uomi-ni, che pur si credono potenti e onnipotenti,non ne sarebbero capaci. Il quadro fu realizza-to quando Venezia venne devastata dalla peste.Una particolarità della tela è data dal fatto cheTiziano dipinge se stesso, nella figura mezzanuda posta ai piedi dell’immagine di Maria chetiene tra le sue braccia il Cristo morto. La figu-ra malvestita e trasandata, in cui si identifical’artista, sta a rappresentare la condizionedell’uomo gravato da un destino ostile, che neinficia l’aspetto. Lui e l’anziano sono la sintesidel dolore di un’umanità che si dibatte tra iflutti della tempesta e annaspa nel tentativo dinon affogare. Il Cristo morto veglia su di loro.Tiziano e suo figlio Orazio furono tra le vitti-me di quel terribile morbo.

La peste bubbonica che infuriò ad Amster-dam nel 1663 uccise Hendrickje Staffels, lacompagna di Rembrandt, da lui profondamen-te amata. L’artista ne fece un ritratto in cui labellezza della donna è soffusa di malinconia,rivelando un tratto crepuscolare che sta a espri-mere il dolore di Rembrandt. Quel dolore, co-stante e straziante, che pervade le tele successi-

ve alla morte della donna: alcuni autoritratti diRembrandt, infatti, con il loro carattere spentoe dimesso, sono l’esemplare espressione di unasofferenza per una perdita inflitta all’artista daquella peste che cambiò per sempre la sua vita,gravandola di un incolmabile senso di vuoto.

Nel XVII secolo si verificarono in Italia pesti-lenze che colpirono numerose città, tra cui Fi-renze e Napoli. Tra gli aspetti drammatici diquesta realtà figura la difficoltà, che spesso sitraduceva in impossibilità, di dare alle vittimedegna e dignitosa sepoltura. È lo stesso Boc-

caccio nel D e c a m e ro n e a denunciare questo fat-to: di notte i cadaveri venivano scaricati per lestrade, durante la pestilenza abbattutasi su Fi-renze, e le prime luci dell’alba puntualmentemostravano i loro corpi, così da creare unospettacolo triste e raccapricciante. Nelle Setteopere della misericordia (1607) Caravaggio rap-presenta un uomo — all’interno di un’atmosferacupa, quasi claustrofobica, e appena rischiaratadalla torcia tenuta da un prete — imp egnatonell’atto pio e generoso di portare a sepolturaun cadavere. Il realismo caravaggesco anche inquesto caso colpisce con la sua icastica eviden-za e con la sua penetrante efficacia: da unaspecie di sudario fuoriescono i piedi della vitti-ma. Si tratta di un particolare che dice tutto: faintuire e al contempo chiarisce allo spettatore,che cerca di orientarsi nel buio del quadro,qual è il tema della tela e il dramma che in es-sa è rappresentato.

di CHIARA CURTI

C’è un modo di dire inspagnolo: quandoqualcosa sembra nonfinire mai si comparaalla costruzione della

Sagrada Familía. Dentro l’ironia tipicadei modi di dire c’è sempre una veritàpiù profonda e un desiderio: quello direlazionare l’opera probabilmente piùsignificativa dell’epoca modernaall’eternità. Nonostante tutto, l’anda-mento dei lavori aveva aperto la spe-ranza ai costruttori che il 2026, cente-nario della morte di Gaudí, sarebbestato l’anno di conclusione del cantie-re. Lo scenario mondiale attuale, chemette a confronto la vita con la mortequotidianamente, mette anche in di-scussione molti aspetti su come sarà il

avuto la prima. Sono ricercatrice estudio la vita e le opere di Gaudí; unaspecializzazione che ha trasceso la vitaprofessionale e che si è fatta compa-gnia in tante situazioni. Ho letto e ri-letto le origini della Sagrada Famíliaogni volta che ho dovuto prepararequalche ciclo di lezioni alla FacultatAntoni Gaudí, qualche seminario oconferenza. Doveva toccarmi vivere inprima persona un’epidemia per fissar-mi in un dettaglio sul quale non miero mai soffermata: la Sagrada Famí-lia nasce proprio durante una epide-mia che colpisce particolarmente Bar-cellona, la febbre gialla, il tifo, total-mente sconosciuto in Europa.

È il 1870, la città di Barcellona vivela sua massima espansione grazie allaseconda rivoluzione industriale. Lacittà passa da una popolazione

campamenti preparati fuori dalla cittàe le famiglie benestanti si trasferisco-no nelle residenze estive.

Josep Maria Bocabella è un libraio,attento alla società in continuo muta-mento. È l’editore papale, ossia coluiche, in diretto contatto con la SantaSede, pubblica sia i testi promulgatidal Papa che quelli relativi ai temi chepiù lo preoccupano. Certamente PioIX è stato un Papa molto preoccupatoper la questione sociale e molto devo-to a san Giuseppe, che dichiara patro-no della Chiesa universale. Quanteanalogie con il nostro tempo!

Davanti al vuoto che si crea duran-te l’epidemia, sorge nell’editore bar-cellonese l’intuizione di creare un’as-sociazione spirituale: spirituale cosìche almeno spiritualmente si possastare insieme, superando le distanzeprovocate dall’epidemia e della situa-zione politica.

Vanno da Pio IX con un obolo einiziano una peregrinazione che toccaprima il Santuario di Loreto e poiquello di Montserrat dove maturano ilproposito di una nuova iniziativa: co-struire una chiesa, una chiesa espiato-ria, ossia che si finanzi unicamentecon l’elemosina.

I devoti di san Giuseppe sono nu-merosissimi, ma l’associazione trovadifficoltà anche per le cose più sem-plici: inizialmente non ha iscritti e i

nostro futuro e anche riannoda la sto-ria della Sagrada Família a un tempoindeterminato.

Ma se l’indeterminato trasmette alcuore umano l’incertezza, l’eternitàapre alla speranza. E così, mentre lapandemia che affligge il mondo ci fatemere per il futuro, la storia del tem-

nell’ordine dei trecentomila abitantiad averne un milione: sono immigran-ti, necessari alle nuove industrie e bi-sognosi di lavorare. Sono persone po-vere che da una parte trovano un la-voro e dall’altra vivono in condizionidi miseria estrema. Trovano in sanGiuseppe il santo che con loro condi-

A chi domandava ad Antoni Gaudí quando sarebbe terminata la costruzione della chiesa lui rispondevasempre «il mio padrone non ha fretta»Non solo si riferiva all’irregolarità delle elemosineunica entrata per finanziare i lavorima anche a una storia dove l’uomo non aveva l’ultima parolaEsattamente come non aveva avuto la prima

pio espiatorio può farci riflettere suuna positività che s’impone dentro ledisgrazie e forse ci può aiutare ad af-frontare le circostanze con coraggioed affidamento.

A chi domandava a Gaudí quandosarebbe terminata la costruzione dellachiesa, rispondeva «il mio padronenon ha fretta». Non solo si riferivaall’irregolarità delle elemosine, unicaentrata del cantiere, ma anche a unastoria dove l’uomo non aveva l’ultimaparola, esattamente come non aveva

vide il lavoro, la povertà e l’e m i g r a re .La sua devozione si diffonde neiquartieri più umili. La rivoluzione in-dustriale e la ricchezza che introducenei poli industriali porta con sé ancheun senso di onnipotenza dove final-mente sembra potersi realizzare qual-siasi impresa.

Ma arriva il tifo, che s’insedia neiquartieri più poveri, ma uccide anchemolti giovani della borghesia. La cittàdi Barcellona si desertifica: i poverisenza lavoro muoiono in casa o in ac-

più stretti collaboratori non credononelle iniziative proposte. Tornano dalPapa che, dopo essersi iscritto lui stes-so all’associazione per darle nuovoslancio regala loro un suo vestito pervenderlo e così poter raccogliere fon-di: cosa che non porta a nessun risul-tato, come le altre iniziative.

Ecco allora la sorpresa: Josep MariaBocabella non si scoraggia, ma anzipubblica un articolo dove scrive«Questo va molto bene!» — sì, diceproprio così — «se le nostre gestionifossero state immediatamente determi-nate per il successo, avremmo potutocredere che la chiesa dei nostri sognifosse cosa nostra. La Provvidenza ciha appena detto che vuole che siaopera sua; opera di Dio, non di uomi-ni, e che si farà quando Dio vorrà.Continuiamo quindi con fede. Co-struiamo la casa di Dio e non unachiesa qualsiasi, e un tempio che siaun gran tempio». Solo quattro annidopo la Provvidenza inizierà a opera-re in favore del progetto.

Da un’intervista degli anni Cin-quanta fatta a una coppia di anziani,allora novantenni, testimoni della col-locazione della prima pietra della Sa-grada Família, emerge tutta la “tra-scendenza” di questo gesto: il terrenosi trovava in aperta campagna e la ce-rimonia fu particolarmente solenne.Tre alti mastili sostenevano la bandie-ra nazionale e quella papale, dandoun aspetto di festa e solennità, in con-trasto con l’umilissimo insediamentoconosciuto come El Poblet.

Nell’intervista i due anziani raccon-tano che nei giorni dell’epidemia dellafebbre gialla non ci fu neanche un ca-so nel Poblet «per le preghiere direttea san Rocco» che è il protettore dalleepidemie. Così nasce la speranza chele circostanze non siano l’unico fatto-re determinante, per chi chiede, e nonteme un “indeterminato” che ancoranon conosce, ma fa risiedere la suasperanza nell’eternità.

Ricordo che una volta, tornando acasa un po’ in ritardo dal lavoro, misono scusata con le mie figlie spiegan-do che mi ero fermata a pregare sullatomba di Gaudí. Mia figlia minore,Francesca, di sei anni, scoppia a pian-gere dicendo «ma quando è morto?».Sentendone tanto parlare, pensavafosse ancora vivo.

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L’OSSERVATORE ROMANOv e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020 pagina 5

Manoscritti della Biblioteca Vaticana in dialogo con il presente

Il manto di Mariache protegge l’umanità

Libertà e sentimentoTradotto in italiano «Della religione» di Benjamin Constant curato da Roberto Celada Ballanti

Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 123, sec. X V, Missalis excerpta, f. 3r: Mater Misericordiae

Diventata presto simbolo delle confraternitel’iconografia viene riprodotta negli stendardie si diffonde proprio nei periodi di peste a partire dal 1347Questa associazione dà origine alla variante delle freccenella quale il mantello diventa uno scudo

Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 413,Speculum humanae salvationis, sec. X V, f. 41v: Mater Misericordiae

di CL AU D I A MONTUSCHI

«I nsieme» è la parolache risuona in modonuovo in ciascuno,in questo tempo dicrisi: ne riscopriamo

il significato, avvertendo quanto vi-vere, lavorare, pregare insieme possapacificare il senso di smarrimentopresente e donare speranza per iprogetti futuri. La leggiamo neglispot informativi trasmessi in tv, neivideo e nelle immagini che circolanosui social network, negli articoli digiornalisti, storici, psicologi e intel-lettuali che riflettono su ciò che stia-mo vivendo.

Ancora più «insieme» siamo statiin tante occasioni in questi giorni,nei quali Papa Francesco con discor-si, gesti e liturgie straordinarie, haunito tutto il mondo tramite i canalidi comunicazione, affollando di par-tecipazione viva gli spazi vuoti, fa-cendo parlare il silenzio, raggiun-gendo in modi diversi ogni personaanche nella lontananza fisica. Tra leoccasioni che hanno scritto la storiadi questi giorni, ricorderemo persempre il suo invito a recitare il Pa-dre nostro con i cristiani di ogniChiesa: «In questo momento voglia-mo implorare misericordia perl’umanità duramente provata dallapandemia di coronavirus. E lo fac-ciamo insieme» (25 marzo 2020), e ilmessaggio in occasione della benedi-zione Urbi et Orbi: «Ci siamo resiconto di trovarci sulla stessa barca,tutti fragili e disorientati, ma nellostesso tempo importanti e necessari,tutti chiamati a remare insieme, tuttibisognosi di confortarci a vicenda.Su questa barca ci siamo tutti. Comequei discepoli, che parlano a una so-la voce e nell’angoscia dicono: “Sia-mo perduti”, così anche noi ci siamoaccorti che non possiamo andareavanti ciascuno per conto suo, masolo insieme» (27 marzo 2020).

Non è scontato attraversare unasituazione drammatica rimanendoinsieme, ma guidati e sostenuti daqueste parole lo abbiamo fatto econtinuiamo a farlo, nello spiritooperoso e solidale che unisce l’uma-nità, da un continente all’altro. Que-sta dimensione umana, psicologica espirituale, verificatasi nelle varie epo-che per motivi simili, ovvero nei pe-riodi di epidemia, o diversi, è statatalora tradotta in immagini: una diqueste è l’iconografia potente e tene-ra allo stesso tempo della Ma d o n n acon il mantello. Un’iconografia atte-stata a partire dal Trecento nell’Italiacentro-settentrionale, poi diffusa an-che altrove successivamente.

La Madonna è al centro, in posi-zione frontale, rasserenante, sicuradel suo amore per l’umanità e delbene che attende ogni persona, conle braccia aperte in un immenso ab-braccio che ricorda quello del Figliosulla croce. Al riparo, sotto il mantobicolore, tra cielo e terra si troval’umanità, talvolta una famiglia, altrevolte i membri di un ordine religio-so, spesso numerose persone di ogniceto sociale, laici e religiosi, umili epotenti, simbolo dell’umanità intera.Su ogni differenza prevale il sentirsi

figli, sentimento che induce a rivol-gere lo sguardo alla Madre che pro-tegge da ogni male.

Su questa immagine abbiamo me-ditato anche in occasione del Giubi-leo della Misericordia. È nota infatticome Madonna della Misericordia oMadonna dell’aiuto (o della Consola-zione); le varianti linguistiche riporta-te da repertori e lessici iconograficiaccentuano ora l’elemento iconogra-fico ora il suo significato simbolico

il suo mantello come metaforadell’umiltà, unica vera protezionedalle intemperie del mondo. Unsimbolo dalle molteplici sfumature:dall’originario valore legale del rico-noscimento di un figlio, al segno diappartenenza, della chiamata (Elianei confronti di Eliseo: 1 Re 19, 19),poi di protezione a bisognosi e per-seguitati, riparo inviolabile.

I Cistercensi fanno propria l’im-magine, la usano nei loro sigilli,

Siamo abituati a vederla raffigura-ta nelle grandi opere pittoriche deinoti maestri del Trecento e delQuattrocento, da Simone Martini(Siena, Pinacoteca Nazionale) a Bar-tolo di Fredi (Pienza, Museo Dioce-sano), al polittico di Piero dellaFrancesca (Sansepolcro, PinacotecaComunale), commissionato dallaConfraternita della Misericordia, aDomenico Ghirlandaio (Firenze,chiesa di Ognissanti), fino alle operecontemporanee, come quella diTrento Longaretti (Bergamo, Basilicadi Santa Maria Maggiore).

Ma è stata realizzata anche in for-me meno note, “nascoste” tra i foglidi manoscritti, dove l’immaginedialoga con un testo piuttosto checon uno spazio architettonico, di-ventando oggetto della meditazionepersonale e silenziosa piuttosto chedella contemplazione della platea difedeli.

È il caso di un manoscritto di pic-colo formato (213 x 168 millimetri),costituito da 34 fogli, contenenteparti di un messale, della metà delXV secolo: il Ross. 123 della Bibliote-ca Vaticana. Nei pochi fogli che locompongono troviamo notizie preci-se che lo collocano inequivocabil-mente nel contesto dell’ordine car-melitano, a cui appartengono sia ilcopista, Iohannis Löwestein (f. 6r)sia il committente, tale Conradus /Cunradus (ff. 3v e 34v). L’ornamen-tazione è stata attribuita a un minia-tore austriaco attivo attorno alla me-

nocchiati personaggi di diverse età eappartenenti a tutte le classi sociali,compresi alcuni membri dell’o rd i n ecarmelitano. Nel margine inferioredel foglio interamente occupato dal-la miniatura, le due righe dedicateall’invocazione presentano la tripliceripetizione di venia ponendo l’accen-to sulla richiesta di perdono: Ad v o c a -trix reorum, impetra veniam peccato-rum, et venia data, reseretur celorumporta. Supplicamus a te instanter, cumtu sis omnis venie mater.

Il testo si apre con la benedizionedell’acqua de sancto Alberto che gua-risce dalla febbre, e contiene altrebenedizioni, tra cui quella per ledonne in attesa, oltre alle messe perle principali festività e alle messe vo-tive. L’iniziale istoriata «T» di Te igi-tur del Canone della Messa (f. 6v) ècontraddistinta non dalla Crocifis-sione, come di consueto, ma da unascena che raffigura la vittoria dellavita sulla morte e la Trinità allo stes-so tempo: Cristo fuori dal sepolcroriceve la colomba dello Spirito San-to da Dio Padre.

Un altro tipo di testo in cui sipuò trovare la medesima iconografiamariana è lo Speculum humanae sal-vationis, opera di tipo didattico mol-to diffusa nel tardo medioevo che,tra testo e immagini e confronti traepisodi dell’Antico e del Nuovo Te-stamento, illustra la storia della re-denzione dell’uomo. Tra i numerosimanoscritti che la tramandano, è ilPal. lat. 413 della Biblioteca Vatica-na, dell’inizio del secolo X V, di areatedesca. Nell’incipit del capitoloXXXVIII dell’opera (f. 41v), si trova laraffigurazione di Maria che proteggeuomini e donne inginocchiati, in po-sizione leggermente ruotata versodestra, con una conseguente asim-metria tra il lembo di sinistra e quel-lo di destra del mantello. I soli colo-ri del disegno sono il verde del pra-to, il giallo pallido dell’aureola e ilrosa dei volti. Al di sopra, in rosso,l’indicazione Maria est nostra defen-satrix et protectrix; sotto il disegno iltesto spiega che, mentre il capitolo

precedente illustra il ruolo di Ma r i amediatrix, che protegge gli uominidalle frecce divine, qui si tratta delladefensatrix dell’umanità dalla tenta-zione, dal diavolo.

La Mater omnium non potevamancare nei testi in cui l’Ufficio del-la Vergine costituisce la parte princi-pale, i libri d’Ore, diffusi soprattuttotra XIV e XVI secolo (per es. NewYork, Morgan Library, G.14, f. 88r;M.3, f. 90r; M.63, f. 60v; M.196, f.162v; M.1175, f. 201v): qui i miniatoril’hanno raffigurata spesso in corri-spondenza di invocazioni mariane(Obsecro te, O intemerata, suffragi) odel Kyrie eleison, collocazione checonferma la duplice valenza di pro-tettrice e mediatrice.

La Ma t e r con il manto aperto perincludere tutti, uomini e donne, gio-vani e anziani, regnanti e semplicicittadini, vescovi e monaci, e il testodi invocazione a lei rivolto ci richia-mano alla misericordia del Padre pertutti i suoi figli e che sotto il mantodi Maria diventa contagiosa: chi silascia accogliere sotto quel mantonon può che sentirsi unito ai fratellie riprodurre a sua volta gesti di mi-sericordia. Così facevano i membridegli Ordini religiosi, delle famigliee delle confraternite, protagonisti diopere caritatevoli e assistenziali, chein questa iconografia e in questi sim-boli si riconoscevano e trovavanoispirazione.

Nello studio dei testi e nella con-templazione delle miniature che imanoscritti veicolano, ciascuno puòimmergersi anche a distanza graziealla versione digitalizzata degli origi-nali. Da anni la Biblioteca Vaticanaè impegnata nel progetto di digita-lizzazione delle sue collezioni. Ed èattraverso questo e altri servizi per laricerca che anche durante la chiusu-ra la Biblioteca rimane aperta aglistudiosi o a chi volesse anche solosemplicemente avvicinarsi a tali bel-lezze, con le quali si può compren-dere la storia, ma anche leggere ilpresente, per progettare il futuro.

o li comprendono entrambi: Virgendel manto, Notre-Dame de laConsolation, Vierge au manteau ode la Misericorde, Virgin of Mercy,Schutzmantelmadonna. Chi legge«L’Osservatore romano» l’avrà rico-nosciuta, in forma stilizzata, nel sim-bolo che contraddistingue, in modosignificativo, la rubrica «Ospedaleda campo».

L’iconografia è stata preceduta daun’elaborazione dottrinale che affon-da le radici nei testi dei Padri, attra-versa la preghiera della Salve Regina,Mater Misericordiae (secolo XI), per

contribuendo — in particolare sanBernardo — allo sviluppo della devo-zione alla Madre della Misericordia,seguiti poi da altri ordini (domenica-ni, francescani, carmelitani, gesuiti).L’iconografia diventa presto simbolodelle confraternite — per esempioquella dei Raccomandati o del Gon-falone, sorta a Roma, in Santa Ma-ria Maggiore nel secolo XIII —, ripro-dotta negli stendardi, e si diffondeproprio nei periodi di peste, a co-minciare da quella del 1347. L’asso-ciazione della peste e delle calamitàalle colpe dell’umanità dà origine a

di MARCO VANNINI

Teorico della democrazialiberale — uno dei padrifondatori, com’è noto,del liberalismo politicomoderno — scienziato

politico e giuridico, letterato e ro-manziere, politico impegnato chedebutta nella Rivoluzione francese,matura sotto il regime napoleonico,invecchia durante la monarchia dellaRestaurazione, meno noto è cheBenjamin Constant, nato a Losannanel 1767, sia stato un importante teo-rico e storico delle religioni. Si salu-ta perciò con interesse il suo Dellare l i g i o n e , considerata nella sua sor-gente, nelle sue forme e nei suoi svi-luppi, traduzione e saggio introdut-tivo di Roberto Celada Ballanti (Ro-ma, Edizioni di Storia e Letteratura,2019, pagine 204, euro 18) che costi-tuisce la prima traduzione italianadella prefazione e del L i b ro I

dell’opera De la Religion, considéréedans sa source, ses formes et ses déve-loppements, apparsa in cinque tomitra il 1824 e il 1831.

In realtà, a quest’opera sui politei-smi antichi, scandita in quindici Li-bri, Constant attese tutta la vita. Trail giovanile audace pamphlet anti-re-

ligioso pensato nello spirito did’Holbach e Helvétius del 1785, dicui non è rimasta traccia, e il vec-chio Constant che nel dicembre del1830 muore intento a correggere ilquinto volume della Religion, cheuscirà postumo insieme al quartonell’aprile del 1831 — come postumiusciranno, nel 1833, i due volumi checomp ongono Du Polythéisme romain— trascorrono quarantacinque anninel corso dei quali, tra lunghe pau-se, mille incertezze e ripensamenticirca il piano del lavoro, si dipana la«lunga fedeltà» di Constant allapropria opera religiosa, fatta di untravaglio analitico che conosce,nell’iter euristico, alcuni snodi cru-ciali, tutti segnati significativamentedalle città tedesche in cui Constantdimorò, nel corso delle sue infiniteperegrinazioni europee: Brun-schwick, Weimar, Göttingen.

Ne è risultata un’opera di immen-sa erudizione, che nel Libro I, quitradotto, contiene una sorta di intro-duzione generale, nella quale si deli-

nea un’autentica teoria della religio-ne nella sua sorgente trascendentalee nel suo sviluppo storico. Nel lun-go e articolato studio introduttivo, ilcuratore mette in luce, oltre alla ge-nesi dell’opera nella biografiadell’autore, i pilastri costitutivi dellateoria della religione constantiana,ricondotti opportunamente a quella

linea del «pensiero religioso libera-le», oltre che dello «storicismo criti-co-problematico», non hegeliano,non assoluto, di cui il testo di Con-stant rappresenta uno dei vertici illu-ministi, insieme alle opere religiosedi Kant, di Lessing, di Schleierma-cher: tutti autori studiati da Con-stant, in particolare l’ultimo, di cui illosannese legge nel novembre del1804 i Discorsi sulla religione ricavan-done una grande impressione e fi-nendo per ricalcarne da vicino ladottrina.

Quali dunque i pilastri della teo-ria della religione constantiana? An-zitutto, la distinzione tra «sentimen-to religioso» e «forme religiose».Questa è davvero la struttura fonda-mentale dell’intera opera, al puntoche Constant definisce la Religionuna «storia del sentimento religio-so». Per lui, in realtà, ciò che neldominio delle religioni merita l’attri-buto di «religioso», prima delle reli-gioni storiche, è il «sentimento», ilnome che assume la religiosità onni-

pervasiva presente a priori nella co-scienza, la determinazione costitutivae trascendentale che, per la sua am-piezza, filtra di sé tutte le altre, tuttigli ambiti dell’umano, dall’etica allapolitica. Struttura kantianamentetrascendentale, ma non priva di na-tura mistica, tanto che Constant usal’espressione «fondo dell’anima» perdefinirla.

Ma in questo processo si introdu-ce un secondo pilastro teorico: la di-stinzione che Constant pone tra «re-ligioni libere» e «religioni sacerdota-li». Si avverte in questa critica allacomponente sacerdotale la radiceprotestantica del pensiero religiosodi Constant, che pensa alla storiadelle religioni come lotta tra libertàreligiosa e potere autoritario del cetos a c e rd o t a l e .

C’è poi un terzo pilastro della teo-ria constantiana, dopo la dialetticatra sentimento e forme e la dicoto-mia tra religioni libere e sacerdotali,a formare un disegno complesso,problematico, su più piani: l’idea te-

leologica, finalistica, che intrama lastoria delle religioni. La religione re-ca in sé, nel suo originarsi dal senti-mento religioso, l’idea di perfezione.Compiuto in sé, ritagliandosi nellafigura storica, il sentimento ne rie-merge in termini di desiderio di per-fezione che nessuna forma può con-tenere in sé, perciò come tendenzaalla perfettibilità che non lascia tran-quilla nessuna forma, inoculando inessa una inquietudine che solo ilculto sacerdotale stazionario puòtemporaneamente atrofizzare.

Tuttavia, come spiega Celada Bal-lanti, la teleologia constantiana nullaha a che fare con l’hegelismo, né se-gna una reintroduzione della metafi-sica nella teoria della religione. In-fatti, si tratta di una «teleologia sen-za telos», ossia di un infinito tende-re perfettivo senza termine finale. Ladottrina religiosa di Constant conge-da, in realtà, a rc h a i e telos, archeolo-gia ed escatologia, e concepisce lareligione, in sintonia coi presuppostikantiano-schleiermacheriani che lainformano, come invocazione di sen-so che non riceve mai certezza e si-cura destinazione. Non a caso, comescrive il curatore, è il lamento deglieroi tragici greci come di Giobbe ameglio rappresentarla.

Constant fu uno dei padri fondatoridel liberalismo politico moderno

giungere all’immaginedel manto, che si trova inun passo del Dialogusm i ra c u l o r u m di Cesario diHeisterbach (VII, 59),opera scritta attorno aglianni Venti del XIII seco-lo. Il passo descrive la vi-sione di un monaco ci-stercense che, rattristatoper non aver visto in Pa-radiso nessuno dei suoiconfratelli, chiede spiega-zione. Maria rispondeprontamente con le paro-le e con la gestualità: essile sono talmente cari uteos etiam sub ulnis meisfoveam. Aperiensque pal-lium suum quo amicta vi-debatur, quod mirae eratlatitudinis, innumerabilemmultitudinem monachorum(...) illi ostendit. ‘Fo v e o ’indica molto di più dellamera protezione: l’a u t o renon poteva scegliere unverbo più efficace di que-sto che letteralmente si-gnifica «scaldare», «co-vare», «stringere a sé» e,in senso figurato, in par-ticolare riferito alla prole,«prendersi cura», e poi«ristorare», «sostenere».Dopo queste parole Ma-

tà del secolo X V, cheavrebbe realizzato i capi-lettera e le due miniaturea tutta pagina preposte altesto (Corso, in Catalogodei codici miniati della Bi-blioteca Vaticana, I, I ma-noscritti Rossiani, a curadi Silvia Maddalo, EvaPonzi, Città del Vaticano2014, I), come a suggerirel’ispirazione per la pre-ghiera a chi apre il volu-me. Queste raffigurano laMadonna della Miseri-cordia (f. 3r) e sant’Al-berto degli Abati da Tra-pani (f. 3v), protettoredell’ordine carmelitanoinvocato in particolareper le guarigioni degliammalati. È raffiguratocon i simboli consueti, ilcrocifisso, il libro e il gi-glio; davanti a lui è ingi-nocchiato il monacocommittente. Nella mi-niatura mariana di questomanoscritto colpisce inparticolare la differenzadal modello iconograficopiù frequente: sotto ilmantello bicolore di Ma-ria incoronata, accompa-gnata da due angeli involo, uomini e donne

ria fa il gesto di aprire il grande pal-lium: dunque in Paradiso il manto èchiuso in uno stretto abbraccio.L’immagine ricorre in diverse altrevisioni, tra cui quella di santa Brigi-da (Rivelazioni, II, 23), in cui la Ma -ter Misericordiae rivela di aver ricevu-to la misericordia dal Figlio e indica

una variante, diffusa nel XV secoloanche in Emilia Romagna, della Ma-donna delle frecce: il manto diventauno scudo che arresta le frecce sca-gliate da Cristo Giudice o dagli an-geli della giustizia (Tommaso Castal-di, La Madonna della Misericordia,La Mandragora, 2011).

non sono rigidamente separati a de-stra e a sinistra, ma sono insieme,mescolati e in circolo piuttosto cheripartiti in due schiere, uniti sotto laprotezione materna. Maria dominala scena sullo sfondo dell’azzurro delcielo, ma poggia i piedi sulla terra,su un prato verde dove sono ingi-

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 v e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020

Storia di giovani rom, di calcio e di riscatto

Il paradiso al 90° minutodi ROBERTO CETERA

«L o sport mi ha sempre ap-passionato: più farlo cheseguirlo. Ero un discreto

mezzofondista. Avevo 25 anni, anda-vo due o tre giorni a settimana adallenarmi nella zona di Ponte Mil-vio, intorno allo stadio della Farne-sina. Tra i runner nascono spessoamicizie complici, fatte di poche pa-role e molto fiato. Così mi trovai acorrere e fare amicizia con un signo-re dai capelli già grigi ma moltoatletico, un fondista, appassionato dimaratona. Malgrado la diversa etàmi dava filo da torcere a stargli die-tro. Un giorno, rientrati negli spo-gliatoi, cambiandoci e rivestendociin abiti civili rimasi a bocca aperta.L’atletico runner aveva indossato in-fatti sotto una giacca elegante scura,il colletto inamidato da prete». Sal-vatore Paddeu, che racconta questabella storia, oggi di anni ne ha 39 equel prete runner che gli ha cambia-to la vita, allora impiegato presso laSegreteria di Stato vaticana, è oggiil vescovo di Ascoli Piceno, donGiovanni D’E rc o l e .

«La sorpresa si tramutò in curiosi-tà: non immaginavo che un sacerdo-te potesse essere così coinvoltodall’attività sportiva. E quindi cor-rendo correndo, cominciammo aparlare e conoscerci meglio. Lui eramolto più bravo di me, aveva parte-cipato alle maratone di mezzo mon-do: Roma, Londra, New York. Eroammirato non solo dalle sue perfor-mance sportive ma anche dalle pillo-le di saggezza che mi dispensavacorrendo su e giù lungo il Tevere.Mi ero ormai affezionato a questonuovo strano amico. Un giorno,correndo lungo le anse del fiume aTor di Quinto, ci trovammo la stra-da sbarrata da un gruppo di ragaz-zini rom. Seduti per terra, malvesti-ti, sporchi, ci guardavano fissi negliocchi, con uno sguardo a metà stra-da tra l’ammirazione e la derisione.“Don Giovanni, non è possibile chequei ragazzini, invece di andare ascuola, vivano in mezzo alla strada achiedere l’elemosina, così malridotti.E che nessuno faccia nulla per loro.Perché non facciamo qualcosa perl o ro ? ”. Lui fermò per un attimo lasua corsa, mi guardò e mi disse:“Certo. Pensaci tu”. Io non capii.Anzi ci rimasi male. Non capii chenon era un tirarsi indietro, ma il lan-cio di una sfida. Una sfida della ca-rità. Voleva mettermi alla prova. Ilgiorno dopo ritornai da solo lungoquella banchina del fiume. Con loscopo di rincontrarli. E loro eranodi nuovo lì. Li salutai. Non sembra-vano molto socievoli all’inizio. Era-no solo affascinati dalle mie snea-kers che non si sarebbero mai potutipermettere. Ci avevo pensato a lun-go su come approcciarli ma non sa-pevo veramente cosa dirgli. Per que-sto avevo portato con me un pallo-ne. “Giochiamo a calcio? Se vi va iofaccio le squadre e poi vi arbitro”».

La cosa piacque subito, eranoabituati a dare calci solo a scatole dilatta, non a un vero pallone dicuoio. «Fare le squadre placando ri-valità e litigi — racconta Salvatore —fu un’impresa, ma alla fine ci riu-scimmo. E si divertirono tanto. Per-ciò tornai anche il giorno dopo. Equello dopo ancora. Loro mi aspet-tavano. Divenne un appuntamento.Dopo la seconda volta cominciaro-no a chiamarmi “mister”. Avevo

M’era venuto fuori di getto. Un po’per ridere della non proprio pos-sente struttura fisica dei piccoli gio-catori e un p0’ in omaggio a donGiovanni, sul retro della maglia erascritto gli “E rc o l i n i ”. Lo stesso gior-no iscrissi la squadra al torneo re-gionale US Acli e li tesserai tutti alConi. La voce si sparse anche neglialtri campi rom, e alla fine avemmosessanta tesserati».

Il problema era che il mister eraun allenatore dai criteri tecnici unp o’ particolari. Come fare a selezio-nare la prima squadra? Il criterioera semplice ma non propriamentein linea con le aspettative di vitto-ria. Entravano nella rosa della parti-ta di campionato del sabato quelliche potevano provare di essere an-dati a scuola tutti i sei giorni prece-denti. «Il fatto era però che quelliche andavano a scuola, diciamo chenon erano proprio i più bravi a gio-care a pallone» — confessa Salvato-re — per cui in classifica all’inizionon eravamo certo tra i migliori.Dopo qualche settimana, però, co-minciammo a raggiungere i risultatiche mi ero proposto: qualche vitto-ria sul campo, ma soprattutto tanti

vinto la diffidenza e conquistato laloro fiducia. Senza dire una parola,semplicemente con una palla. Dopoqualche giorno chiamai don Gio-vanni, orgoglioso di aver raccolto lasfida e rilanciai “Adesso tocca ate”». L’idea: creare una scuola cal-cio e formare una vera squadra disoli ragazzi rom, rivela Salvatore.

«”Mi serve una mano”. Dopo so-lo mezz’ora don Giovanni mi richia-mò: avevamo uno sponsor. Nonpuoi capire cosa successe quando mipresentai al campo di via del Baiar-do, dove l’Aniene si tuffa nel Tevere,con il corredo di calzoncini, magliet-ta, scarpini, tuta e borsa per ciascunpiccolo giocatore. Sulle maglietteera stampato il nome della squadra.

gno ai giovani, si è sposato e ha trebambini piccoli. Sua moglie lo aiu-ta nell’impresa degli Ercolini, chein più di quindici anni si è estesa inpiù aree di Roma. «Attualmentegrazie a una decina di volontari sia-mo riusciti ad aprire sedi degli Er-colini alla Magliana, a Prima Porta,sulla Nomentana, nelle parrocchiedi San Gregorio Magno e dei SantiElisabetta e Zaccaria. Sono centi-naia i ragazzi rom che in questi an-ni hanno calciato il pallone degliErcolini. I primi ormai sono grandi,hanno già famiglia, alcuni vivonoall’estero, molti si sono integratinella società grazie a quell’esp erien-za. Con molti sono ancora in con-tatto e mi scrivono regolarmente»,aggiunge. Don Giovanni D’E rc o l enel frattempo è diventato vescovo,vive ad Ascoli Piceno, ma rimane ilnume tutelare di questa straordina-ria esperienza.

Quali sono state le difficoltà diquest’avventura? «Da parte dei ra-gazzi molto poche. Tra gli adultinei campi all’inizio registrai qualcheostilità, principalmente da coloroche temevano, e facevano bene a te-merlo, che con questa iniziativa si

ragazzi in più che cominciavano adandare a scuola regolarmente».

Don Giovanni andava regolar-mente, quando non era in viaggio, avedere e tifare per gli Ercolini, sia incasa che in trasferta. «Io andavo or-mai tutti i giorni da un campo romall’altro della città — sottolinea ilfondatore del team — e li conoscevotutti ormai. Questa storia mi pren-deva totalmente. Per cui decisi di la-sciare il mio lavoro di fotoreporter emi iscrissi all’università. Sentivo chequella era la mia vocazione e chedovevo essere più strutturato nel se-guirla, per cui scelsi Scienze dellaformazione».

Oggi Salvatore lavora come edu-catore presso una comunità di soste-

Iniziative dei parroci in Terra Santa nel periodo di isolamento

Luce che non si spegne

f acce belle della Chiesa

L’aiuto del Signorecontro la pandemia

Preghiera interreligiosa a Gerusalemme

di GI O VA N N I ZAVAT TA

«M eraviglioso e triste» al-lo stesso tempo: mera-viglioso perché anche

coloro che «di solito non sono cosìaperti al dialogo interreligioso» han-no partecipato alla preghiera; tristeperché l’occasione è stata «la trage-dia, il dolore, la sofferenza» provo-cati dal coronavirus che tuttavia «ciha uniti nonostante le differenzeteologiche». Il rabbino David Ro-sen, noto per il suo impegno neldialogo tra le fedi, ha commentatocosì alle agenzie di stampa quantosuccesso nel pomeriggio di mercole-dì 22 aprile a Gerusalemme: setteleader religiosi ebrei, cristiani e mu-sulmani si sono incontrati nello spa-zio antistante un hotel e, lontanidue metri l’uno dall’altro, hannopregato insieme per chiedere a Diola fine della pandemia. C’erano idue rabbini capo d’Israele, l’ashke -nazita David Baruch Lau e il sefar-dita Yitzhak Yosef, l’a m m i n i s t r a t o reapostolico di Gerusalemme dei Lati-ni, arcivescovo Pierbattista Pizzabal-la, il patriarca ortodosso di Gerusa-lemme Theophilos III, l’imam Shei-kh Gamal el-Ubra, l’imam SheikhAgel al-Atrash e il leader spiritualedruso Sheikh Mowafaq Tarif.

«Alzo gli occhi verso i monti: dadove mi verrà l’aiuto? Il mio aiutoviene dal Signore: egli ha fatto cieloe terra. Non lascerà vacillare il tuopiede, non si addormenterà il tuocustode. Non si addormenterà, nonprenderà sonno il custode d’Israe -le». C’era il salmo 121, lode a Diocustode d’Israele, al centro di questainedita preghiera collettiva che haavuto milioni di partecipanti onlinein tutto il mondo. «Il coronavirusha abbattuto molte barriere — ha di-chiarato alla Kna monsignor Pizza-balla — perché non conosce confinipolitici, di razze e di religioni ed èriuscito a fare una cosa molto raraspecialmente qui a Gerusalemme,vale a dire far recitare insieme lastessa preghiera a persone di fedi di-verse, ebrei, cristiani, musulmani,drusi. È una barriera che il virus haabbattuto e speriamo che si possacontinuare in questa direzione peressere più uniti fra noi».

In Israele il salmo 121, che mise ipellegrini di Gerusalemme sotto laprotezione di Dio chiedendo la suabenedizione, è recitato anche nelgiorno del ricordo dei soldati israe-liani morti e delle vittime del terro-rismo (Yom HaZikaron) — una del-le ricorrenze più sentite dalla popo-lazione — che si celebra quest’annodalla sera del 27 aprile alla sera delgiorno seguente.

Rosen, fra gli organizzatoridell’incontro, ha sottolineato lastraordinarietà dell’evento: «I lea-der religiosi del paese si sono riuni-ti per la prima volta in assoluto perinvocare la misericordia e la com-passione divina nel momento in cuisiamo sfidati da una pandemia».Una piaga, si legge nel comunicato

che ha accompagnato l’iniziativa,che «ha colpito tutta l’umanità, in-dipendentemente dalla religione,dal genere, dalla razza. Sinceramen-te convinti nella solidarietà, orachiediamo a tutti i cittadini delmondo di congiungersi e pregareinsieme per la salute e l’unità».

I sette rappresentanti ebrei, cri-stiani e musulmani hanno ricordatole centinaia di migliaia di morti, imilioni di ammalati, pregando Diodi salvare il mondo, «Tu che ci hainutrito e ci hai fornito l’abb ondanzain carestia, che ci hai liberato dallapeste e da malattie gravi e di lungadurata». E poi, ancora, il salmo 121:«Il Signore è il tuo custode, il Si-gnore è la tua ombra e sta alla tuadestra. Di giorno non ti colpirà ilsole, né la luna di notte. Il Signoreti custodirà da ogni male: egli custo-dirà la tua vita. Il Signore ti custo-dirà quando esci e quando entri, daora e per sempre».

sottraessero i ragazzini alla praticaignobile dell’accattonaggio. Resi-stenze che si acquietarono definitiva-mente quando decisi di trasferirmi avivere in una baracca del camporom. Ci rimasi qualche mese, fino aquando dovetti lasciarla a una fami-glia migrante arrivata nel campo. Fuun’esperienza esaltante. Per me eper loro. Avevo deciso questa “fol-lia” sulle parole di don Milani:“Nessuno può conoscere ed amare ipoveri se mangia solo pane bianco”.Avevano visto molti volontari catto-lici e non cattolici varcare i cancellidel campo, ma non avevano mai vi-sto un “gagè”, cioè un “non rom”,condividere con loro l’esp erienzadella vita nomade».

Molto belle sono state anche leoccasioni di incontro tra ragazzi rome quelli italiani. Sui campi di calcio,ma non solo. Ricordo un bellissimoincontro che facemmo in un liceo diRoma. Il professore di religione chelo aveva organizzato non aveva anti-cipato nulla ai suoi ragazzi. Quandofece entrare gli Ercolini in classe isuoi studenti rimasero stupiti e spa-ventati. Per loro erano gli “zingari”,quelli che rubano, che fanno accat-tonaggio, quelli che fin da bambinole mamme ti dicono “attento, lì cisono gli zingari”. Ma nessuno di lo-ro aveva mai in realtà conosciuto eparlato a un rom in vita sua. I primicinque minuti furono di silenzio e disguardi indagatori da entrambe leparti. Poi si cominciò a parlare dellaRoma e della Lazio e tutto si sciol-se. I ragazzi hanno meno precom-prensioni degli adulti. Alla finedell’ora tutti scherzavano con tutti esi davano gran pacche sulle spalle.Io e il professore li guardavamocommossi.

Neanche gli aiuti economici sonostati un problema. «Come ama diredon Giovanni — puntualizza Salva-tore — il nostro sponsor si chiamaProvvidenza. Con ciò non voglio di-re che siano state tutte rose e fiori.Problemi ne abbiamo avuti. Qual-che ragazzo sicuramente più turbo-lento e aggressivo degli altri peresempio. Ma ci sono sempre statechiare le ragioni di quei comporta-menti: chi cresce e vive nell’isola-mento cova inevitabilmente tantarabbia dentro. E con molta pazienzasiamo riusciti a recuperare anche ipiù difficili».

Proprio per rompere la logicadell’isolamento negli ultimi tempi èstato deciso di non confinare l’esp e-rienza degli Ercolini ai soli ragazzidi provenienza rom ma di estenderlaanche a ragazzi italiani e stranieriche soffrono comunque povertà edisagio sociale. Oggi, a quasi qua-ranta anni, Salvatore coltiva un suonuovo sogno: diventare un inse-gnante di religione nella scuola pub-blica così da poter creare nuove viedi comunicazione tra due mondi ap-parentemente lontani ma che hannobisogno l’uno dell’altro. «Sono alsecondo anno di studio per la laureain Scienze religiose. È un po’ duraperò: metti insieme gli Ercolini, illavoro impegnativo, una famigliacon tre bambini sotto i quattro anni,lo studio di notte. Ma ce la farò. Èla mia vita e il Signore me l’ha fattascoprire così per caso: se non avessicorso insieme a don Giovanni e sequel giorno non fossimo quasi in-ciampati in quei ragazzini a Tor diQuinto».

†La Segreteria di Stato comunica che èdeceduta la

Signora

PAT R I Z I A GALLAGHERmadre di S.E.R. Mons. Paul RichardGallagher, Segretario per i Rapporticon gli Stati della Segreteria di Stato.

Nell’esprimere a Sua Eccellenza e aifamiliari tutti, sentimento di profondocordoglio, i Superiori, gli Officiali e ilpersonale della Segreteria di Stato edel Servizio Diplomatico della SantaSede, elevano preghiere di suffragioaffidando alla misericordia del Padrel’anima della cara defunta.

†Il Decano, Ambasciatore George Pou-lides, unitamente a tutto il Corpo Di-plomatico accreditato presso la SantaSede esprime le più sentite condo-glianze per la recente scomparsa della

Signora

PAT R I Z I A GALLAGHERIl Corpo Diplomatico si stringe at-

torno a S.E.R. Mons. Paul RichardGallagher e alla sua famiglia in questomomento di grande lutto.

†Mons. Peter Brian Wells si associa aldolore di S.E. Mons. Paul RichardGallagher, per la scomparsa della Ma-d re

Signora

PAT R I Z I A GALLAGHERNel partecipare al grave lutto dei

familiari tutti assicura la sua preghieradi suffragio nella speranza che nascedalla Pasqua di Gesù.

†Mons. José Avelino Bettencourt sistringe nel cordoglio a S.E. Mons.Paul Richard Gallagher per la scom-parsa della Madre

Signora

PAT R I Z I A GALLAGHERIl Signore Misericordioso consoli i

suoi cari e le doni il premio promessoai servi buoni e fedeli.

†George e Monica Poulides certi dellaMisericordia del Padre si stringono aS.E.R. Mons. Paul Gallagher e a tuttala sua famiglia in questo momento diprofondo dolore per la recente scom-parsa dell’amata mamma

Signora

PAT R I Z I A GALLAGHER

GERUSALEMME, 24. Una video catechesi, unabenedizione al suono della campana, un paccodi generi alimentari di sussistenza: sono soloalcune delle iniziative attuate dai parroci diTerra santa per non lasciare soli i propri fedelinel difficile periodo delle restrizioni impostedalla pandemia. Un raggio di luce che, riferi-sce il sito della Custodia di Terra Santa, si ètradotto in realtà a Gerusalemme. Infatti, «do-po la Veglia pasquale che al Santo Sepolcro sisvolge il sabato mattina — ha raccontato padreAmjad Sabbara, che guida la parrocchia latinadi San Salvatore — abbiamo incaricato alcuniscout di portare la Luce santa nelle case dellaCittà vecchia». La luce della Resurrezione hacosì bussato alle porte dei cristiani che, colmidi gioia per l’evento inaspettato, hanno accesouna candela con il fuoco santo. L’impegno deifrati di San Salvatore non si è però esauritoqui ma si è anzi tradotto nella creazione di un

piccolo comitato di religiosi che hanno realiz-zato dei video per la catechesi ai ragazzi dellacresima e fissato appuntamenti spirituali on li-ne con gli oltre tremila parrocchiani, cui si ag-giungono altri duemila della chiesa di BeitHanina. «Con l’aiuto di otto giovani della par-rocchia, del nostro comitato d’emergenza edella nostra responsabile del centro della fami-glia — ha aggiunto padre Amjad — stiamo assi-stendo tante famiglie in difficoltà grazie ancheal contributo della Franciscan Foundation forthe Holy Land». Non è facile, infatti, per mol-ti l’isolamento in casa, in spazi spesso inade-guati e in situazioni di incertezza economica.

Anche a Betlemme gli interventi di sostegnoalla popolazione non mancano grazie all’op eradella comunità francescana di Santa Caterina

alla Natività. «Avremo momenti difficili anchequando finirà la pandemia — ha spiegato ilparroco, padre Rami Asakrieh — perché qui lagente dipende dal turismo e molti lavorano agiornata. Tutto adesso è fermo e lo sarà proba-bilmente per mesi: il problema principale chesi affronterà è quello del lavoro». In collabora-zione con le varie autorità, padre Rami ha se-lezionato le famiglie e gli anziani più bisogno-si a cui distribuire pacchi di sussistenza, in ba-se a progetti approvati dal consiglio parroc-chiale e con l’aiuto di scout e movimenti gio-vanili.

Sono invece circa 120 i fedeli seguiti da pa-dre Toufic Bou Merhi, parroco della chiesa la-tina di San Giovanni ad Acri, il quale, privo dicollaboratori, è assorbito da una pastorale a

trecentosessanta gradi. «Sono a servizio inquesta parrocchia da solo — ha dichiarato il re-ligioso — e quindi faccio il fotografo, il canto-re, il celebrante. Durante la Quaresima ho fat-to la via Crucis ogni venerdì e celebrato il tri-duo pasquale, anche se senza parrocchiani».Con un pensiero speciale agli oltre venti bam-bini da lui seguiti per la preparazione alla pri-ma comunione e alla confermazione, in colle-gamento dalle loro case tramite computer persvolgere le catechesi settimanali. L’imp ortanzadi internet in questo periodo è stata rimarcataanche da padre Agustin Pelayo Fregoso, a ca-po della parrocchia di Sant’Antonio a Giaffa,città con oltre millecinquecento cristiani di lin-gua araba e numerose comunità di migranti fi-lippini, africani e indiani. «La domenica di Pa-squa — ha precisato — abbiamo impartito lorouna speciale benedizione on line al suono del-le campane, una grande emozione».

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L’OSSERVATORE ROMANOv e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020 pagina 7

Parole e gesti ecumenici e interreligiosi

Alzare la voce contro le ingiustizieL’episcopato di Inghilterra e Galles in difesa degli anziani

Pari accesso alle cure per tuttiLONDRA, 24. «La scelta di interrom-pere gli aiuti vitali a una personamalata di covid-19 non sia mai basa-ta sul criterio dell’età o di altre ca-ratteristiche sociali come misure divalore di quell’essere umano». L’ap-pello è stato formulato dalla Confe-renza episcopale di Inghilterra eGalles (Cbcew), mentre nel paese,che si trova nel pieno della pande-mia da coronavirus, è cominciato ildibattito su chi abbia il “diritto” adessere assistito, quando mancano irespiratori, e a che punto sia giustointerrompere gli aiuti vitali. In uncomunicato, i responsabili del setto-re bioetica e salute mentale dellaCbcew, monsignor Charles PhillipRichard Moth, vescovo di Arundeland Brighton, monsignor JohnSherrington, vescovo ausiliare diWestminster, e monsignor Paul Ma-son, vicario episcopale di Sou-thwark, ricordano che «come catto-lici il nostro punto di partenza è chesiamo tutti fatti a immagine diDio». «Il nostro valore umano —proseguono — non è una misuradella nostra capacità fisica o menta-le, della nostra funzione all’internodella società, della nostra età, dellanostra salute o di qualunque altravalutazione qualitativa. Dio ha datoa tutti uguale dignità e valore». Ladecisione di sospendere gli aiuti vi-tali a un individuo, scrivono ancorai vescovi inglesi, «deve essere unascelta pragmatica sulla probabilitàche quell’individuo possa trarre be-neficio dall’intervento medico. Sitratta di un principio rispettato dal-la legislazione e anche dalla costitu-zione del servizio sanitario britanni-co e dobbiamo garantire cure in unmodo che promuova la dignità e lacompassione per ciascuna persona».«Questo principio è stato ribaditoripetutamente nella giurisprudenzae la stessa Costituzione del National

Health Service ribadisce che dob-biamo fornire cure e sostegno inmodo da garantire dignità e com-passione per ogni persona che ser-viamo», ricordano monsignor Moth,del dipartimento per la giustizia so-ciale, monsignor Mason, espertodelle questioni di salute, e monsi-gnor Sherrington, specializzato nellequestioni attinenti alla vita.

Da quando è cominciata la pan-demia, si legge ancora nel comuni-cato della Conferenza episcopale diInghilterra e Galles, «le risorse sonostate collocate secondo i bisognimedici e il beneficio per i pazienti.Oggi questo approccio deve esserecompletato dalla necessità di massi-mizzare risorse scarse per il bene co-mune e, quindi, la prognosi e laprobabilità di un esito positivo di-ventano i criteri più importanti».

Lo speciale fondo della Giornataper la vita (Day for life) della

Cbcew ha donato 15 mila sterlineper gli hospice che si trovano inparticolari difficoltà in questo pe-riodo di emergenza coronavirus.Un appello alla solidarietà è statolanciato da “Hospice UK”, orga-nizzazione caritativa britannica cheriunisce diverse realtà impegnatesul fronte delle cure palliative aimalati terminali. L’o rg a n i z z a z i o n esta raccogliendo fondi per garanti-re che gli infermieri e il personalein prima linea in queste strutturedispongano delle attrezzature edegli strumenti necessari per lavo-rare in sicurezza, ma anche per of-frire supporto psicologico al perso-nale, ai pazienti e alle famiglie col-pite in questi giorni difficili.L’obiettivo della campagna è anchedi permettere al sistema ospedalie-ro britannico di reggere l’impattodell’emergenza sanitaria nel lungotermine.

di CHARLES DE PECHPEYROU

«M arie, che è aspirantesuora nel nostro con-vento, ha in passato

lavorato in sala operatoria, quindi lasua esperienza è fondamentale perl’assemblaggio dei pezzi di tessuto»:a Chabeuil, cittadina situata nel suddella Francia, lungo il fiume Roda-no, le suore Cooperatrici parrocchia-li di Cristo Re hanno subito rispo-sto con entusiasmo alla richiestadell’ospedale di Valenza, rilanciatapoi dalla diocesi, di confezionaremascherine per arginare la propaga-zione del covid-19 nel paese. «Nonha nulla a che fare con la vocazioneprimaria della nostra ComunitàSaint-Joseph, che è quella di pro-porre ritiri ignaziani, ma abbiamo ri-cevuto la chiamata dal vicario gene-rale come un invito a sostenere lapopolazione proprio mentre stava-mo riflettendo su come aiutare»,racconta suor Marie-Cécile. Le ma-schere sanitarie prodotte a Chabeuilsono tra le più complesse da pro-durre perché sono destinate a essereindossate dal personale medico.All’inizio non è stato molto sempli-ce: le suore hanno studiato il model-lo con cura prima di dividere il la-voro tra dieci di loro per realizzare idispositivi medici di protezione. Neiprimi giorni, in mancanza di mate-riale, le suore di Chabeuil — che tra-mite i video diffusi sul loro canaleYouTube e la loro pagina Facebooksostengono i fedeli nella preghiera ead affrontare la situazione con otti-mismo — hanno iniziato a raccoglie-re tessuti, filo e soprattutto macchi-ne da cucire. Grazie all’appello con-diviso non meno di 3000 volte inneanche un giorno su Facebook, nehanno ricevuto otto esemplarinell’arco di poche ore.

Come le cooperatrici parrocchialidi Cristo Re, diverse comunità reli-

giose in Francia hanno avviato laproduzione di maschere sanitarieper far fronte alle carenze di mate-riale di protezione nell’attuale epide-mia di coronavirus. Dalle suore dellaConsolazione di Draguignan, inProvenza, le macchine da cucirefunzionano senza tregua. Perfino didomenica, il giorno del Signore. «Il17 marzo il sindaco ci ha contattatoperché sapeva che nel monasteroesisteva un laboratorio di cucito e ciha detto: dato che avete delle mac-chine da cucire, è possibile per voiconfezionare delle mascherine?» rac-conta a «L’Osservatore Romano»madre Agnès, la superiora di questacomunità di “monache-missionarie”creata nel 1989. «Per una bella coin-

cidenza, lo stesso giorno, il vescovodi Fréjus-Toulon, monsignor Domi-nique Rey, ci ha chiesto di filmare eanimare l’adorazione perpetua delSantissimo Sacramento. È statocreato un canale YouTube dedicato aquesta funzione religiosa», rileva. Lavita si svolge dunque tra la cappellae il laboratorio. Da metà marzo finoa oggi, le 25 suore hanno confezio-nato ben 7000 mascherine, interrom-pendo tutte le altre attività manuali.All’inizio era soltanto la città diDraguignan a richiedere il materialesanitario per le infermiere, poi si èaggiunta la città di Tolone, a uncentinaio di chilometri, da dove lerichieste provengono sia da privati eche da operatori sanitari. Sotto ilcontrollo dello stesso sindaco, que-ste maschere sanitarie lavabili, il cuimodello è stato progettato da unepidemiologo dell’ospedale universi-tario di Grenoble, vengono quindiridistribuite in priorità a farmacie,panetterie, vigili del fuoco e altriservizi alla popolazione, dopo esserestate benedette dal cappellano delconvento. «Preghiamo tanto NostraSignora del popolo, la Vergine cheha salvato Draguignan della pestenera che aveva decimato gli abitantidella città all’inizio del 16° secolo»,aggiunge madre Agnès. Ciascunadelle maschere di protezioneconfezionate è affidata alla sua pro-tezione.

Anche nella diocesi di Tarbes etLourdes la richiesta di aiuto è arri-

vata dalle autorità locali. Vedendoche le loro scorte stavano diminuen-do a vista d’occhio, la prefettura el’ospedale hanno fatto appello a tut-te le persone di buona volontà, e inparticolare alle molte comunità reli-giose sul posto, per raccogliere len-zuola da utilizzare per la confezionedi camici e mascherine. «In questaparticolare situazione di sofferenzalegata all’epidemia, ho pensato chepotevamo, oltre alla nostra preghie-ra, offrire il nostro lavoro. Findall’inizio del confinamento, voleva-mo offrire un aiuto più concreto, madove?», racconta suor Marie Stella,del Carmelo di Lourdes. «Il 2 apri-le, abbiamo ricevuto una chiamatadall’ospedale per chiederci se aveva-mo delle lenzuola per confezionare icamici del personale. Cercavano an-che persone che sanno cucire — p ro -segue la carmelitana — e dato cheabbiamo alcune sorelle sarte, abbia-mo accettato e finora sono stati rea-lizzati cinquanta camici». Pochigiorni dopo, il sindaco di Lourdesha contattato a sua volta la comuni-tà per chiedere alle monache di rea-lizzare anche le mascherine con itessuti che le vengono forniti. Si so-no dunque attivate con entusiasmo,con la sola differenza che il loro la-voro non è più accompagnato dalsuono delle voci dei pellegrini diLourdes che abitualmente percepi-scono all’interno delle mura del mo-nastero, visto che il Santuario è at-tualmente chiuso al pubblico.

In Francia alcune comunità sono impegnate nella confezione delle mascherine

Così nei monasterisi combatte la pandemia

I vescovi del Belgio sul coronavirus

La crisiè anche opportunità

BRUXELLES, 24. Di fronte al diffon-dersi della pandemia da coronavirusin Belgio — in questi ultimi giorni ilPaese ha registrato un tasso di mor-talità da covid-19 tra i più elevatiall’interno dell’Unione europea — laChiesa ha invitato i fedeli a consi-derare questa crisi anche «comeun’opportunità e non solo comeuna calamità». «Ogni battuta d’ar-resto ci invita a riflettere, ci ponenuove sfide e fa appello alla nostracreatività», afferma la Conferenzaepiscopale in un comunicato.

Nella loro dichiarazione i vescovibelgi prendono atto della decisionedel Consiglio nazionale di sicurezzadi prorogare fino al 3 maggio le mi-sure in merito alle celebrazioni reli-giose o le attività ecclesiali. Sacra-menti, celebrazioni di preghiera, ca-techesi, iniziative diaconali, iniziati-ve di formazione, visite a domicilio,riunioni e incontri non possonoaver luogo fino a ulteriore comuni-cazione o solo in forma estrema-mente ridotta, nel rispetto dellenorme di sicurezza. Sono autorizza-ti invece i funerali religiosi in chie-sa, ma solo in presenza di un mas-simo di 15 persone (tranne in Vallo-nia), nel rispetto di una distanza di1,5 metri tra loro, e i matrimoni reli-giosi soltanto in presenza degli spo-si, dei loro testimoni e del sacerdotecelebrante.

I vescovi chiedono a tutti i colla-boratori ecclesiali «di rispettarescrupolosamente le regole impo-ste», ma allo stesso tempo li invita-no «a mantenere i contatti con lapropria comunità attraverso glistrumenti tecnologici privi di rischi,in particolare con le persone mala-te, vulnerabili o isolate». Inoltre,sottolineano i presuli, «rimane es-senziale e possibile sostenere le“persone bisognose”». «A causadell’estensione delle misure di sicu-rezza, un certo numero di attivitàpastorali generalmente programma-te per la primavera o maggio nonpotranno svolgersi», indicano inol-tre i vescovi, che avevano già decisoche le prime comunioni e le cresimesarebbero state rinviate al prossimoanno scolastico. Consigliano infineagli organizzatori di cancellare ipellegrinaggi, gli incontri marianidei giovani e le attività pastoralinormalmente programmate durantele vacanze estive alle quali di solito

«partecipano anche molti anziani,malati o affetti da disabilità».

Paese di 11,5 milioni di abitanti, ilBelgio ha registrato uno dei più altitassi di mortalità in Europa per ilcoronavirus, anche perché, per esse-re il più possibile aderente alla real-tà, include nel conteggio l’insiemedei dati delle case di cura e di ripo-so dove c’è stato un aumento ano-malo dei decessi. Mantenendo ilnumero di decessi per milione diabitanti, il Belgio ha ampiamentesuperato i vicini britannici e france-si nella classifica dei paesi europeipiù colpiti. L’esposizione del paeseè ora tale che il primo ministro So-phie Wilmes ha dovuto spiegare idati dopo una nuova riunione dicrisi dedicata alla pandemia. Il Bel-gio, ha affermato, «ha fatto la scel-ta di essere totalmente trasparentenel comunicare le morti legate a co-vid-19», anche se questo ha com-portato una sovrastima dei decessi.Concretamente, le autorità sanitarieaggiungono ai decessi in ospedalequelli che si verificano nelle case diriposo dove il virus sta causandomolti decessi. In queste case di curae di riposo (circa 1500 nel paese), ilconteggio è ampio poiché includele morti probabilmente legate al vi-rus, anche in assenza di test perconfermare la sua presenza, un cri-terio che non è seguito in altri paesieuropei. Tuttavia, il numero dei ri-coverati è in costante calo da alcunigiorni.

di RICCARD O BURIGANA

«A lziamo le nostre voci insieme per sottolinea-re la necessità di una maggiore attenzione aibisogni dei senzatetto, dei carcerati, degli

anziani e di coloro che già soffrono di isolamento socia-le»: così si legge in una lettera pubblicata in questigiorni in Canada per indicare la strada di un comuneimpegno ecumenico e interreligioso nei tempi di pande-mia. La missiva è stata firmata da numerosi leader delleChiese cristiane, come monsignor Richard Joseph Ga-gnon, arcivescovo di Winnipeg, presidente della Confe-renza dei vescovi cattolici, di Linda Carol Nicholls, ar-civescovo e primate della Chiesa anglicana in Canada edal pastore David R. Wells, soprintendente generaledelle assemblee pentecostali del Canada, di organismiper il dialogo, come Adriana Bara, direttore del Centrocanadese per l’ecumenismo, e di comunità religiose, co-me Pandit Roopnauth Sharma, presidente della Federa-zione Indù del Canada, il rabbino David Seed, presi-dente del Consiglio rabbinico di Toronto e l’imam IlyasSidyot della grande moschea di Saskatoon. La letteravuole essere un invito a tutti i canadesi a trovare nuoveforme per vivere la cultura dell’accoglienza dell’a l t ro ,fondata sulla condivisione di un patrimonio spirituale,da scoprire giorno per giorno, in un tempo nel quale icontatti personali sono così fortemente limitati da farcorrere il rischio di perdere di vista la dimensione uni-versale, che si manifesta anche nell’appello a non di-menticare gli ultimi, coloro che non hanno voce, tantopiù nel tempo del coronavirus.

Nella prospettiva di un’attenzione del tutto particola-re nei confronti di coloro che sono reclusi, nelle carcericome nei campi per migranti, si è mosso anche il Natio-nal Council of Churches (Ncc) degli Stati Uniti, per ilquale è fondamentale un’azione caritativa di assistenzamateriale e spirituale. Si tratta, come è stato detto an-che nel periodo di Pasqua, di portare conforto a tutti,senza alcuna distinzione, per alimentare una speranzaper il domani proseguendo quella testimonianza ecume-nica che, negli Stati Uniti, come in altri Paesi, ha visto icristiani insieme vivere la misericordia di Dio come tem-po privilegiato dell’unità visibile della Chiesa.

Nei tempi della pandemia, accanto al rafforzare que-sta testimonianza ecumenica, che ora si realizza con laricerca di risorse economiche per l’acquisto di materialeigienico-sanitario, per il Ncc si deve chiedere un inter-vento delle istituzioni politiche per ripensare le regoledi detenzione così da scongiurare la strage che sembrainevitabile alla luce delle precarie condizioni nelle quali

si trovano gli oltre due milioni di reclusi negli StatiUniti. Gli appelli lanciati dal Ncc, anche attraverso lemeditazioni bibliche e le preghiere ecumeniche, chequotidianamente vengono messe in rete dal NationalCouncil of Churches nel tempo della pandemia per raf-forzare la comunione nella luce di Cristo che ha sconfit-to la morte, ricordano quanto prioritaria nella vita deicristiani deve essere l’attenzione per gli ultimi.

Questi appelli si collocano in un orizzonte di gesti eparole ecumeniche, che in tanti casi si propongono, riu-scendovi, di coinvolgere anche le altre religioni, nellapreoccupazione di offrire un’assistenza sanitaria a tutti,soprattutto a coloro che, per motivi economici, ne sonoesclusi. In questo modo i cristiani sono chiamati a de-nunciare l’emarginazione che nasce dalle sperequazionieconomiche, come ha ricordato anche il World Councilof Churches, in prima fila nel sostenere una testimo-nianza ecumenica che rompa le catene della povertà, inprofonda sintonia con le parole di Papa Francesco perun ecumenismo quotidiano. Dalla luce della notte diPasqua, di fronte al diffondersi della pandemia, che se-mina dolore, morte e solitudine, i cristiani devono quin-di trovare la forza «per non dimenticare coloro che vi-vono per strada come tutti i migranti nei nostri Paesi ealle porte dell’Europa», come hanno scritto, proprio inoccasione della Pasqua, monsignor Éric Marie de Mou-lins d’Amieu de Beaufort, presidente della Conferenzaepiscopale francese e arcivescovo di Reims, il pastoreFrançois Clavairoly, e il metropolita ortodosso Emma-nuel, in quanto co-presidenti del Consiglio delle Chiesecristiane di Francia.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 v e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020

Una sorprendenteriscop erta

L’idea della “Bibbia Corona” partita in Svizzera

La parola d’ordine è rallentare,il compito apparentementemolto semplice: ricopiare in

bella calligrafia, come novelli ama-nuensi, un capitolo a propria sceltadelle sacre Scritture. Il progetto,partito quasi per gioco, sta avendosuccesso e dalla Svizzera si è diffu-so in altre nazioni, fino ad arrivarenegli Stati Uniti. A oggi circa l’80per cento dei 1189 capitoli è statoassegnato e, alla luce dei contributiricevuti, il risultato sarà pubblicatoin formato cartaceo e digitalizzato,disponibile su internet. L’idea della“Bibbia Corona” — come riferisce ilsito in rete Cath.ch — è venuta aUwe Habenicht, pastore dellaChiesa evangelica riformata di SanGallo, nell’omonimo cantone elveti-co, convinto che in un periodo, co-me questo, di isolamento, inattivitàe incertezza, la possibilità di dedi-carsi a tale mansione sarebbe stataben accolta riempiendo le ore deltempo libero. E così, originaria-mente pensato per i residenti dellacittà e della regione di San Gallo, ilprogetto ha rapidamente guadagna-to terreno, prima in altri cantoni(Berna, Zurigo) e poi in Germania,Austria, Liechtenstein, Stati Unitiappunto.

«L’unica condizione è che si scri-va a mano», sottolinea il pastoreprotestante, la cui squadra com-prende anche membri della Chiesacattolica di San Gallo. L’obiettivo èproprio quello di rallentare: abituatigeneralmente, nello studio, nel la-voro, all’efficienza e alla rapidità at-traverso il copia-incolla, la digitaliz-zazione, la trascrizione audio, la“Bibbia Corona” persegue un’altrafinalità ovvero «trovare un nuovoritmo nella nuova e straordinaria si-tuazione che stiamo vivendo». Ha-benicht spiega che i partecipantipossono aggiungere qualcosa della

loro individualità, a esempio attra-verso la propria calligrafia. È im-portante che ognuno si senta partedi un insieme che lo includa e losuperi al tempo stesso. I diversi ca-pitoli sono piccole porzioni di untutto più grande, che collega i par-tecipanti al passato e al futuro: iltesto della Bibbia così copiato saràalla fine ufficialmente consegnatoalla biblioteca dell’abbazia di SanGallo. «La vedevo come attività so-litaria nei monasteri del Medioe-vo», afferma, «poi, a un esame piùattento, mi sono reso conto che gliamanuensi spesso agivano in colla-borazione. Anche lì il lavoro indivi-duale e collettivo era combinato».

In cinque settimane, grazie anchea un sito web dedicato e a videoesplicativi, sono più di mille i capi-toli della Bibbia già distribuiti aipartecipanti. I “p re f e r i t i ” sono ilsalmo 23, il Cantico dei cantici, lastoria della creazione e il raccontodella nascita di Gesù, «scomparsiincredibilmente in fretta». Ma forseil risultato più sorprendente è vede-re i fedeli, e non, riscoprire le sacreScritture: «Le persone partono dav-vero alla loro scoperta. L’altro gior-no una giovane donna a cui è statodato un libro di Mosè ci ha scrittodicendo che era stupita del raccon-to. Non lo ricordava in quei termi-ni. All’improvviso la gente ha ini-ziato a vedere cosa vi era scritto, edemergono percezioni diverse e do-mande appassionanti». Molti han-no arricchito il testo con propricommenti e illustrazioni, alcuni nel-la propria lingua madre. Coronavi-rus permettendo, il trasferimentodell’intera opera, digitalizzata, nellabiblioteca dell’abbazia dovrebbe av-venire in autunno, al più tardi nellaprossima primavera. (giovanni za-vatta)

L’esperienza come malato di coronavirus nel racconto di don Maurizio Chiodi

«Ho imparato ad affidarmi»di FABIO COLAGRANDE

Lasciarsi istruire da ciò che si èpatito, ripartire dalla consape-volezza della fallibilità della

scienza, dell’imprescindibilità dei le-gami di fraternità e delle contraddi-zioni della globalizzazione. Neigiorni di un’attesa, a volte insperataconvalescenza, don Maurizio Chio-di, teologo morale, membro dellaPontificia accademia per la vita, ri-flette con noi sulla sua esperienza dimalato di covid-19. Una sensazionedi solitudine radicale, la gratitudineper gli operatori sanitari e la fedecome compagna per attraversare ildolore, non per evitarlo. Risponden-do al telefono da Bergamo, dove vi-ve, don Maurizio racconta prima ditutto cosa significhi per un religiosola prova di una malattia sconosciutae potenzialmente mortale. «L’esp e-rienza della malattia del covid-19 èquella di un tempo indimenticabile,innanzitutto per i luoghi dove vienicurato. Ricordo lo Spallanzani, ilprimario, il dottor Petrosillo, contutti gli infermieri e gli operatori so-cio-sanitari, il personale della puli-zia, anche se incontrati solo attraver-so la mascherina. È un tempo indi-menticabile perché è un tempo diffi-cile, un tempo di prova e di solitu-dine radicale. Questa malattia ti co-stringe subito all’isolamento: sei solocon te stesso, con l’accompagnamen-to di chi si prende cura di te. È unamalattia che ti espone al rischio dimorte: non sai mai quando guariraie se guarirai. La prova credo consi-sta soprattutto in questa sensazionedi alternanza, di alti e bassi, dioscurità e di luce, un po’ un sensodi intermittenza. E la domanda piùradicale riguarda proprio la fede inDio. Dove sono i suoi benefici? Lamalattia ti costringe a fare i conticon la morte e ti mette di fronte allegrandi domande della vita».

Quindi un’esperienza che mette in crisila fede?

La mette in crisi non nel sensoche provoca delle domande teoricheriguardo a Dio, ma nel senso etimo-logico. La parola crisi in greco de-scrive quel momento in cui sei co-stretto a deciderti, a giudicare. Equesta è una malattia che come tuttele altre — ma forse in modo partico-lare — ti chiede ancora una volta difidarti. L’affidamento al Signorenon è mai scontato. Anche perché lafede non è che risolva tutti i proble-mi, tutte le questioni teoriche. La fe-de è una scelta che ti introduce inun cammino e ti sostiene nell’attra-versamento delle fatiche e delle pro-ve. In questo senso ti consente di at-traversare la crisi non di evitarla, difuggirla.

È possibile rileggere questa sua espe-rienza personale in chiave pasquale?

Mi limito a un solo aspetto deitanti che si potrebbero toccare. Ge-sù, nella Lettera agli Ebrei, al capi-tolo 5, versetto 8, dice che «Pur es-sendo Figlio, imparò l’obb edienzada ciò che patì». Credo che il covid-19 in chiave pasquale sia una speciedi invito a lasciarsi istruire da ciòche patiamo. Per chi è stato malatoè importante lasciarsi istruire daquesto patire: non dimenticarlo, nonmetterlo via come se non fosse avve-nuto, come se avessimo chiuso unaparentesi per poi ripartire a fare lecose di prima. E che cosa vuol direquesto? Ricordare il bene ricevuto eil male attraversato, sofferto. In fon-do questa è la Pasqua di Gesù chemuore lasciandosi istruire da ciò chepatisce e a quel punto si apre la spe-ranza di un oltre che nasce dal donodi Dio: l’oltre della Pasqua.

Dopo Auschwitz l’uomo si è chiestodov’era Dio. Oggi, di fronte a questapandemia, verrebbe spontaneo porsi lastessa domanda.

Direi che è importante domandar-si di quale Dio parliamo. Dio non ècolui che risolve i tuoi guai, tappan-do i tuoi buchi, evitandoti le diffi-coltà. In fondo questa è la domandadella moglie di Giobbe a Giobbe:«D ov’è il tuo Dio? Tu che ti sei tan-to fidato di lui adesso guarda un po’come sei ridotto». Giobbe ingaggiacon Dio una lotta, un dialogo dovenon gli risparmia proteste, doman-de. Arriva ad accusare Dio, a chia-marlo in causa. È come se Giobbe cidicesse che il dolore, il covid-19 nelnostro caso, ponga davvero la do-manda radicale: perché il dolore? Equesta domanda fa nascere la que-stione della fede: questo Dio è affi-

dabile? Alla fine Dio risponde aGiobbe ponendogli lui delle doman-de. Gli chiede di alzare gli occhi edi guardare il mondo: le sue bellez-ze affascinanti e anche ciò che pro-voca inquietudine. Giobbe si mettela mano sulla bocca, capisce cioèche avrebbe dovuto tacere. Credoche la sorprendente risposta di Dioa Giobbe sia la risposta di Gesù. Larisposta di Dio al dolore e alla mor-te è quel corpo lì sulla croce, il cor-po di Gesù che è Dio. Un Dio chesoffre con noi e per noi, ama sinoalla fine e apre una luce di speranzanella Pasqua.

Papa Francesco ha affermato che nellaprova che stiamo attraversando cisiamo ritrovati fragili. Questa consape-volezza può essere un punto di ripar-tenza?

Credo che questa pandemia abbiamesso in crisi tre miti della societàoccidentale e della nostra cultura inparticolare. Prima di tutto quellodella potenza invincibile della tecni-ca e della scienza, perché la scienzanon ci ha salvaguardato da questapandemia e non poteva farlo. Il mi-to dell’incrollabilità del sapere tecni-co-scientifico è stato sicuramentemesso alla prova. Ma ha messo incrisi un’altra idea facilmente diffusanella nostra cultura: quella che l’io,l’ego, basti a se stesso. Questa ma-lattia mostra invece in modo efficaceil nostro legame con gli altri: quan-do prendiamo il contagio o quandosono gli altri che si prendono curadi noi, quando patiamo la solitudi-ne. Infine questa malattia ha messoun po’ in rilievo le ambiguità dellaglobalizzazione. Ciò che ci sembra-va così lontano — un virus partitodalla Cina — lo abbiamo scopertotra di noi solo quando già da tempo

si era infiltrato come un nemico in-visibile. Credo che proprio da quipossiamo ripartire: dal non dimenti-care questa fragilità, dal lasciarciistruire, proprio come Gesù, da ciòche abbiamo patito.

Anche la Chiesa può uscire rinnovatada questa crisi?

Il principio della carità direi che èla testimonianza che noi cristianipossiamo dare in questo tempo cosìdifficile di fragilità. Mostrare cioè co-me la forza dei legami tra di noi, lacapacità di perdonarci, andare al dilà dei conflitti, la cura reciproca, siala strada sulla quale camminare comeChiesa e anche come società civile. Ilsuperamento di una visione moltoautocentrata, in cui ciascuno pensadi risolvere le cose da solo. Ritrovarela forza dei legami è in fondo quelloche Gesù chiede alla comunità cri-stiana: amatevi gli uni gli altri come,e perché, io ho amato voi.

L’impegno dell’associazione «Figli in Cielo» ancora più intenso in tempo di pandemia

Quella luce in fondo alla stradadi VALENTINO MAIMONE

La morte di un figlio è la pena più grandeper un genitore. Ed è qualcosa che puòsconvolgere l’anima, fino a creare danni

irreparabili. Quando però c’è qualcuno capacedi tenderti la mano per mostrarti il camminodella speranza e farti capire che si può tornarea vivere anche quando ci si sente morti dentroper il dolore, tutto diventa più facile. È conquesto spirito che è nata l’associazione Figli inCielo, una grande comunità di genitori acco-munati dalla stessa tragedia, che desideranotrovare conforto nel confronto con gli altri. Emai come in questi difficili giorni in cui il co-ronavirus semina lutti, il suo compito si fa an-cora più importante. Domenica 26 aprile, alle11, presso la basilica dell’Incoronata Madre delBuon Consiglio di Napoli, l’associazione hapromosso una messa per le vittime del covid-19, le loro famiglie e chi in questo periodo havisto il proprio figlio andare in cielo.

Fondatrice e presidente è la dottoressa An-dreana Bassanetti, psicologa clinica e psicote-rapeuta, che perse la figlia il 27 giugno 1991.«Credo che tutto ebbe origine proprio daquel giorno, ma mi sento di dire che l’ideanon fu mia. Io raccolsi semplicemente tutti isegnali che qualcuno di infinitamente piùgrande di me aveva deciso per la mia perso-na», racconta.

«Subito dopo la tragedia che mi colpì, nonvolevo più vivere, passavo tutto il giorno aletto, mi stavo lasciando andare. Poi il miomedico mi convinse a uscire anche solo perfare il giro del palazzo: “È per il suo bene”,mi aveva spiegato. Ricordo che una sera cam-minavo nella nebbia, decisi di allungare il so-lito giro, mi ritrovai in una stradina che nean-

che conoscevo bene. Non si vedeva nulla in-torno, solo una lucina lontana, non so come,ma sentii che era l’unico luogo dove potessiessere accolta e confortata. Avvicinandomi, miresi conto che era una chiesa. In realtà inquel periodo, nonostante la mia formazionecattolica, mi ero allontanata dal Signore edalla fede. Ma quella chiesa rappresentò perme un segnale. Sulla porta, aperta, era appe-so un foglio su cui era scritto: “Venite in di-sparte voi soli in un luogo deserto, e riposate-vi un po’”. Quelle parole, che ricordai in se-guito appartenere al Vangelo, mi trapassaronoil cuore, le percepii come un altro segnale, eracome se qualcuno mi stesse aspettando.All’interno la chiesa era praticamente vuota,c’era solo un gruppo di ragazze in adorazionedel Santissimo. Nei loro volti vidi una luce, ilBene. Fu così che quel luogo, scoperto percaso, divenne per me un punto di riferimentofondamentale. Era la chiesa dello Spirito San-to di Parma, la città in cui vivo».

Da quel momento, la vita di Andreana Bas-sanetti cambia radicalmente. «I segnali conti-nuavano ad arrivarmi, un parroco nelle cui pa-role trovavo respiro e vita, mi fece vincere ladiffidenza che, da psicologa, avevo maturatoverso ciò che credevo volesse darmi solo con-solazioni e non la verità. Più passavano i gior-ni e più mi rendevo conto che i segnali au-mentavano. Sempre più pazienti che avevanoperduto un figlio, cercavano di entrare in con-tatto con me per condividere la mia esperienzae allo stesso tempo chiedermi aiuto. Capii al-lora che dovevo fare qualcosa di concreto».

Quel qualcosa prese forma in una settimanadi preghiera presso il monastero benedettinodi Torrechiara, vicino a Parma: «Fu importan-tissimo, perché padre Danilo, un missionariosaveriano, ci spalancò la via del cielo, ci fece

capire la sacralità della morte pur nella suaspaventosità». E così, Andreana finì per rinun-ciare a un suo iniziale progetto, quello di apri-re un centro per il disagio giovanile per il qua-le aveva già individuato i locali e che era pron-ta a ristrutturare: «Mi resi conto che il Signoreaveva un altro piano per me e decisi di lasciar-mi trasportare da Dio».

Il resto è storia recente. L’associazione Figliin Cielo conta circa sessantamila iscritti, pre-senti in centinaia di diocesi su tutto il territo-rio nazionale e anche all’estero: ci sono fami-glie di riferimento in Svezia, Spagna e addirit-tura in Brasile. «Ogni comunità è accompa-gnata da un assistente spirituale, in accordocon l’ordinario del luogo» — continua la dot-toressa — e tre anni fa il Consiglio permanentedella Conferenza episcopale italiana ha appro-vato lo Statuto della nostra associazione, sce-gliendo il cardinale Camillo Ruini come nostroassistente ecclesiastico nazionale. È una perso-na straordinaria, durante l’incontro nazionaleche abbiamo ogni anno si mette a disposizionedelle famiglie infondendo loro serenità e con-forto, sempre parlando con massima chiarezzae semplicità. E proprio in queste settimane diemergenza da coronavirus, ci ha fatto dono diuna sua bellissima preghiera per portare vici-nanza e un po’ di luce alle famiglie colpite dallutto».

L’attività di Figli in Cielo consiste in in-contri tra famiglie che sentono il bisogno diconfrontare il proprio lutto: «Di solito è pre-vista una messa ogni terza domenica pomerig-gio del mese, a margine della quale viene pre-so un versetto del Vangelo e utilizzato comestimolo per la riflessione sull’argomento», ag-giunge Bassanetti. «Da un lato è un modoper non reprimere il comprensibile lamentarsi,dall’altro serve a dialogare con Dio ed elabo-

rare il lutto nella vita attraverso la sua Parola.Anche chi se la prende con Dio, infatti, apreuno spiraglio su di Lui, non escludendolo apriori. Partiamo sempre dal presupposto che,nelle nostre comunità, l’uno aiuta l’altro, ungenitore dirà sempre delle cose che sono unpiccolo grande contributo per chi ha vissutola sua stessa esperienza. Poi il Signore farà ilre s t o » .

Le restrizioni imposte dalla pandemia han-no inevitabilmente modificato l’attivitàdell’associazione, ma senza fermarla: «Ci sia-mo adattati all’emergenza, attivando una retequotidiana di fede e preghiera per tutte le fa-miglie», precisa la presidente. «I nostri ap-puntamenti cominciano alle 7, per seguire viastreaming la messa che il Papa celebra a San-ta Marta. Alle 15 facciamo una coroncina del-la Divina Misericordia, alle 17 il santo Rosa-rio, più i vari appuntamenti dettati dal calen-dario della Chiesa. Al mattino, subito primadella messa del Pontefice, invio personalmen-te a tutti gli associati un messaggio tramiteWhatsapp con le indicazioni per la giornata egli appuntamenti da seguire. Verso le 8.30spedisco anche un estratto in video della fun-zione, più alcune parti dell’omelia, in modoche durante la giornata i nostri associati ab-biano spunti su cui meditare».

Ma non è tutto: «Per ovviare all’i n t e r ru z i o -ne forzata dei nostri incontri mensili, abbiamoanche previsto la possibilità di seguire ognidomenica la diretta di una messa per tutte levittime del coronavirus, e ovviamente ancheper quelle delle nostre famiglie. Sul nostro sito(www.figlincielo.it) si trovano tutte le informa-zioni per restare costantemente aggiornati suogni nostra iniziativa».

Lutti nell’episcopato

L’arcivescovo Raphael S. NdingiMwana’a Nzeki, emerito di Nai-robi, è morto il 31 marzo scorso,nella casa del clero della capitaledel Kenya, dove risiedeva. Erauno dei dodici vescovi d’Africache avevano ricevuto l’o rd i n a z i o -ne episcopale da Paolo VI cin-quant’anni fa a Kampala, duranteil viaggio apostolico in Uganda.

Era nato a Mwaala, diocesi diMachakos, il 25 dicembre 1931 eaveva ricevuto l’ordinazione sa-cerdotale il 1° gennaio 1961. Il 29maggio 1969, con l’erezione dellanuova diocesi di Machakos, neera stato eletto primo vescovo.Aveva ricevuto l’ordinazione epi-scopale il 1° agosto successivo. Il30 agosto 1971 era stato trasferitoalla Chiesa residenziale di Naku-ru. Dopo venticinque anni di mi-nistero in quest’ultima sede, il 14giugno 1996 era stato promossoarcivescovo coadiutore di Nairo-bi, sulla cui cattedra era succedu-to il 21 aprile 1997. Il 6 ottobre2007 aveva rinunciato al governopastorale dell’arcidiocesi. Le ese-quie sono state celebrate martedì7 aprile dal cardinale John Njue,arcivescovo di Nairobi, nella Ho-ly Family, basilica della capitalekenyana, dove il compianto pre-sule è stato sepolto.

Il vescovo Aldo Mongiano,emerito di Roraima, in Brasile, èmorto mercoledì 15 aprile all’etàdi 100 anni, nella residenza VillaSerena di Moncalvo, ad Asti, do-ve era stato ricoverato lo stessogiorno, dopo una breve degenzain ospedale.

Era il più anziano presule ita-liano, essendo nato a Pontestura,provincia di Alessandria e diocesidi Casale Monferrato, il 1° no-vembre 1919. Ordinato sacerdoteper l’istituto Missioni della Con-solata il 3 giugno 1943, avevasvolto il ministero in Africa e inBrasile, presso i popoli indigeniYanomami. Era stato eletto allaChiesa titolare di Nasai e, al con-tempo, nominato vescovo prelatodi Roraima il 14 maggio 1975.Aveva ricevuto l’ordinazione epi-scopale il 5 ottobre dello stessoanno e il 26 maggio 1978 avevarinunciato alla sede titolare diNasai, in vista dell’erezione adiocesi della prelatura brasilianadi Roraima, avvenuta il 16 otto-bre 1979. Il 4 dicembre dello stes-so anno era stato nominato pri-mo vescovo della nuova Chiesaresidenziale. Il 26 giugno 1996aveva rinunciato al governo pa-storale ed era rientrato in Italia,ritirandosi presso i familiari aPontestura. Le esequie sono statecelebrate sabato 18 aprile dal ve-scovo di Casale Monferrato,monsignor Gianni Sacchi, nel ci-mitero del comune alessandrino,dove il compianto presule missio-nario è stato sepolto.

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L’OSSERVATORE ROMANOv e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020 pagina 9

Le Università pontificieal tempo del coronavirus

Inviati ad alcuni ospedali nel giorno del suo onomastico

Respiratori e materiale sanitarioin regalo dal Papa

Inizio della missionedel nunzio apostolico in Etiopia

Aveva diretto l’agenzia Fides dal 2002 al 2009

In ricordodi Luca De Mata

San Marco evangelista

Il “s e g re t a r i o ” di Pietro

di ANDREA PIERSANTI

Luca De Mata, direttore di Fides dal 2002 al 2009, è morto al po-liclinico Gemelli di Roma nella serata di martedì 21 aprile, dopouna penosa malattia. Amministratore delegato della Fondazione

Besso, è stato uno dei grandi protagonisti della comunicazione in Ita-lia.

Teatro, televisione, letteratura e web sono stati gli ambiti nei qualitrovò modo di esprimere la sua irrequieta e indomita creatività. Nel2000 ideò e realizzò il sito ufficiale del Grande giubileo dell’anno2000, in 11 lingue (un progetto del Vaticano con la Telecom). Per laRai diresse grandi inchieste con reportage da tutto il mondo. Fra letante, sono da ricordare: Cristo nel freddo dell’Est (2003, Prix Italia:Premio del presidente della Repubblica e Premio “Tertio Millen-nium”); I Dieci Comandamenti – Il coraggio di amare (2004, Prix Italia:Premio della Comunità europea); La storia del Cattolicesimo, un docu-mentario di dieci ore che recentemente è stato ripubblicato dal «Cor-riere della sera» per il Giubileo della misericordia indetto da PapaFrancesco; Dio, pace o dominio che fu presentato nell’aula del Senatoitaliano; La valigia con lo spago, un viaggio con i migranti di tutto ilmondo; infine Musulmani europei, l’ultima sua fatica televisiva. Ha la-vorato, fra gli altri, con Luca Ronconi, Lina Wertmuller, Giorgio Fer-rara, Michele Placido, Susanna e Gianni Agnelli, Achille Bonito Oliva,Alberto Abbruzzese e molti altri.

Lascia la figlia Caterina, produttrice e autrice di cartoni animati perl’infanzia. A lei dedicò un passaggio chiave della sua autobiografia:«Dico sempre a mia figlia: Il tuo papà è solo una scala perché tu pos-sa salirci sopra, e così vedere orizzonti più grandi di quelli che io hopotuto guardare grazie a chi mi ha chiamato alla vita».

Respiratori e altro materiale sanitario,mascherine e occhiali protettivi per me-dici e infermieri, e tute per le terapieintensive: questi i doni che Papa Fran-cesco ha fatto ad alcuni ospedali euro-pei giovedì 23 aprile, in occasione dellamemoria liturgica di san Giorgio marti-re, sua festa onomastica. Beneficiari, ilnosocomio della città di Suceava, foco-laio del coronavirus in Romania, quelloitaliano di Lecce e la capitale spagnolaMadrid.

«Un segno bellissimo che cade inquesto giorno particolare nel quale ilSanto Padre non riceve un regalo ma lodona agli altri»: così il cardinale elemo-siniere Konrad Krajewski ha commen-tato la decisione del Pontefice, definen-dola «un abbraccio del Papa in una si-tuazione difficile per tutto il mondo».

Nella piccola città romena — che sitrova a nord est, nella regione più po-vera del Paese e dell’Unione europea —si conta quasi il 25 per cento del totaledei contagi a livello nazionale. In Ro-mania le vittime sono più di cinquecen-to e i positivi circa diecimila. I cinquerespiratori polmonari di ultima genera-zione e tutti i materiali donati da Fran-cesco vengono trasportati con un volosul quale viaggia anche l’èquipe di un-dici medici e di sei operatori sanitariche il 7 aprile scorso erano stati inviatidal governo di Bucarest all’ospedale diLecco per lavorare accanto all’Italia nelmomento più duro della battaglia con-tro il covid-19. Il dono assume un par-ticolare significato per il Paese, nel cen-tenario delle relazioni diplomatiche traSanta Sede e Romania e nel ricordo delviaggio compiuto dal Pontefice dal 31maggio al 2 giugno 2019.

Dei tre respiratori destinati a Madridsi occupa la nunziatura apostolica inSpagna, insieme con il cardinale CarlosOsoro Sierra, arcivescovo della capitale.Il Paese è in lockdown fino al 9 mag-gio e il numero dei contagiati supera i208.000, con oltre 21.ooo morti.

Due infine i ventilatori polmonari re-capitati nel capoluogo salentino di per-sona dal cardinale Krajewski il 23 aprileall’arcivescovo Michele Seccia. Nelviaggio di ritorno in Vaticano, l’elemo-siniere pontificio ha fatto tappa a Na-poli per ricevere farmaci destinati aipoveri di Roma. «Come il “caffè sospe-so” — ha spiegato il porporato — l’a rc i -

diocesi ha promosso il “farmaco sospe-so”; e per ringraziare della vicinanzadel Papa, durante l’emergenza corona-virus, sono stati preparati i medicinali»per gli indigenti dell’Urbe. Pochi gior-ni prima di Pasqua, all’ospedale parte-nopeo Cotugno erano arrivati diretta-mente dal Vaticano due ventilatori pol-monari, dispositivi sanitari per medici einfermieri e anche uova pasquali.

di GILFRED O MARENGO*

Le Università pontificie roma-ne condividono con tutti gliatenei di tutto il mondo le

grandi difficoltà e il repentino in-terrompersi delle loro normali atti-vità a seguito della pandemia dac o ro n a v i ru s .

Opportunamente ogni istituzio-ne ha cercato di rispondere a que-sto radicale cambio di scenario inmaniera attenta, senza lesinareenergie e con indubbi buoni risul-tati; nonostante i repentini cam-biamenti accaduti è prevedibileche il presente anno accademico siconcluda in modo abbastanza or-dinato, senza danni irreparabili:non sarà un anno “p erso” né pergli studenti né per i docenti.

Lo sguardo si fa più preoccupa-to e incerto se si guarda al futuroprossimo: l’anno accademico cheinizierà con l’autunno.

Due ordini di grandezze sonoprobabilmente destinati a ridursiin maniera molto significativa: ladisponibilità di mezzi economici eil numero degli studenti. È preve-dibile che un numero rilevante digià iscritti non prosegua gli studi,mentre una vera incognita è quan-ti saranno i nuovi, tenendo contoche le limitazioni agli spostamentipotranno rimanere in vigore per

un periodo non breve, senza di-menticare che un generale impove-rimento peserà anche sulle diocesie sugli ordini religiosi. Farsi caricodi come tutti questi fattori incide-ranno sulla vita delle Universitàpontificie di Roma non è sempli-ce, ma conviene da subito impe-gnarsi in riflessioni e progetti, perevitare di prendere decisioni affret-tate, dettate da urgenze contingen-

ti. Bisogna fare di tutto per nonlasciarsi travolgere dalle circostan-ze e provare per quanto possibilea governarle e non subirle.

L’atteggiamento più miope sa-rebbe preoccuparsi solamente deiproblemi economici — di sicuro danon sottostimare — e procedere a“tagli lineari”, orientati semplice-mente a fare sopravvivere perquanto possibile una configurazio-

ne ridotta dell’esistente prima delcoronavirus. Muoversi in questadirezione vorrebbe dire non ren-dersi conto del cambio di passocui la pandemia sollecita inequivo-cabilmente, ma non nella direzio-ne di un lento e triste declino delservizio alla Chiesa e al mondo,peculiare delle comunità accade-miche. Se l’attuale circostanza puòessere interpretata come un fattorescatenante di un complesso pas-saggio d’epoca, sarebbe mortifi-cante registrare l’assenza del con-tributo di un sapere teologico e,più ampiamente, ecclesiale.

Al contrario: questo è il tempodi un rinnovato, forte investimen-to sulla qualità della ricerca e delladidattica, usufruendo di tutte lepotenzialità offerte dalle nuovetecnologie, ma senza dimenticareche — in presenza o online — laproposta accademica di un’univer-sità dipende dal profilo del corpodocente e dalla sua capacità dielaborare e trasmettere sistematica-mente un sapere.

Questo richiede che si appro-fondisca bene il profilo e il meto-do peculiari del cosiddetto distancelearning che non può essere ridot-to a un puro strumento di sup-plenza all’impossibilità di una di-dattica in presenza (cfr. D.E. Viga-nò, La scuola a distanza ai tempidel coronavirus, «L’O sservatoreRomano», 27 marzo 2020, 4).Inoltre è indispensabile che, purfacendo attenzione a un impiegooculato delle risorse, si continui apromuovere la formazione di nuo-vi docenti secondo le procedureconsuete di reclutamento attraver-so forme di collaborazione, anchea tempo determinato.

In una prospettiva più ampia lesfide del presente possono essereun’occasione propizia per recepireadeguatamente le indicazione pre-ziose offerte da Veritatis gaudium,soprattutto quando viene sottoli-neato lo stretto collegamento delsistema degli studi ecclesiastici allamissione evangelizzatrice dellaChiesa. Il tempo della pandemiasta documentando quanto può es-sere feconda e autorevole la parolache la comunità ecclesiale, alimen-tata dalla testimonianza di PapaFrancesco, può rivolgere agli uo-mini, provati e tante volte smarritidavanti a quanto sta accadendo.Sviluppare criticamente un percor-so riflessivo su i temi e i problemioggi al centro dell’attenzione è uncompito che l’accademia non puòeludere, pena la sua irrilevanza ec-clesiale e sociale.

Si potrebbe dire che si affacciaun “tempo favorevole” in cui lenostre Università sono sfidate amettersi in piena sintonia con il ri-chiamo a una «conversione pasto-rale» e alla «trasformazione mis-sionaria» (Evangelii gaudium) dellaloro identità. A questo proposito ilprevedibile ridursi del numero de-gli studenti tra preti e seminaristipuò diventare un’occasione perimmaginare proposte accademichesempre meno “clericali”, capaci diintercettare interessi ed esigenze diuna platea molto più ampia e va-riegata: sarà necessario immagina-re percorsi di studio attenti a que-sti nuovi possibili interlocutori.

Da ultimo non si dovrà dimen-ticare un tratto peculiare delleUniversità pontificie romane: esseoffrono una possibilità unica di«imparare Roma», come amavadire san Giovanni Paolo II. La di-mensione comunitaria è un trattopeculiare dello studio accademicoe lo è in modo affatto speciale perquello offerto dalla Chiesa. Lenuove tecnologie che supplisconoall’impossibilità di un insegnamen-to in presenza sono una grandeopportunità, ma non possono es-sere usate in modo superficiale,senza mantenere viva e operante latensione a custodire e alimentareuna comunità di docenti e studen-ti così come le circostanze rendo-no possibile.

«Imparare Roma» è un’o ccasio-ne unica che conduce a una soddi-sfacente formazione accademica,curata al meglio della qualità, par-te integrante dell’opera della Chie-sa nel mondo, circostanza partico-larmente favorevole a «imprimereagli studi ecclesiastici quel rinno-vamento sapiente e coraggioso cheè richiesto dalla trasformazionemissionaria di una Chiesa “in usci-ta”» (Veritatis gaudium, 3).

*Vice preside del Pontificio istitutoteologico Giovanni Paolo II

per le Scienze del matrimonioe della famiglia

Giunto al Bole International Airportdi Addis Abeba il 18 dicembre 2019,l’arcivescovo Antoine Camilleri è sta-to ricevuto da Yednekachew Tekle,responsabile della sezione Protocollovip del ministero degli Affari esteri,dal cardinale lazzarista BerhaneyesusSouraphiel, arcivescovo di AddisAbeba e presidente della Conferenzaepiscopale di Etiopia; dai vescovi Ro-berto Bergamaschi, salesiano, vicarioapostolico di Hawassa e vicepresiden-te della medesima Conferenza, Mar-kos Gebremedhin, vicario Apostolicodi Jimma-Bonga, Musie Ghebregior-ghis, eparca di Emdeber, SeyoumFransua Noel, vicario apostolico diHosanna, Angelo Pagano, cappucci-no, vicario apostolico di Harar; dalcappuccino Angelo Antolini, prefettoapostolico di Robe; dai reverendi Te-shome Fikre, segretario generaledell’Ethiopian Catholic Secretariat(Ecs), e Tesfaye Weldemariam, vica-rio generale di Addis Abeba; e damonsignor John Paul Zenollito G.Pedrera, segretario della nunziaturaap ostolica.

Il 23 dicembre, il rappresentantepontificio ha presentato le copie dellelettere credenziali all’a m b a s c i a t o re

Markos Rike, state minister nel mini-stero degli Affari esteri. Lo state mini-ster ha espresso gratitudine per lapresenza della nunziatura in Etiopiae per il notevole contributo dellaChiesa cattolica allo sviluppo delPaese. Da parte sua monsignor Ca-milleri ha manifestato il desiderio divedere rafforzati i rapporti tra la San-ta Sede e l’Etiopia. Il 3 gennaio scor-so, durante la riunione festiva pressol’Ethiopian Catholic Secretariat inpreparazione del Natale (che si cele-bra il 7 gennaio), il rappresentantepontificio ha presentato la letteracommendatizia a firma del cardinalesegretario di Stato al cardinale Be-rhaneyesus.

Il 9 gennaio, invitato alla celebra-zione del Natale organizzata nella re-sidenza patriarcale ad Arat Kilo (Ad-dis Abeba), il nunzio apostolico hacolto l’occasione per consegnare lalettera di auguri del Santo Padre perle festività natalizie al patriarca dellaChiesa ortodossa Tewahedo di Etio-pia, sua Santità Mathias.

Dal 6 al 10 febbraio, il nunzio apo-stolico ha partecipato alle seduteaperte della trentaseiesima sessioneordinaria del Consiglio esecutivo

dell’Unione africana e della trenta-treesima sessione ordinaria dell’As-semblea dei capi di Stato e di Gover-no della medesima organizzazione re-gionale, dove ha potuto salutareMoussa Faki Mahamat, presidentedella Commissione dell’Unione afri-cana. Il 10 marzo, nel Palazzo nazio-nale, residenza ufficiale del capo del-lo Stato, ha avuto luogo la solennecerimonia della presentazione dellelettere credenziali alla signora Sahle-Work Zewde, presidente della Re-pubblica Federale Democratica diEtiopia. Nel cordiale dialogo, il nun-zio apostolico, dopo aver trasmesso ilsaluto, la benedizione e l’augurio diprosperità del Santo Padre per il po-polo etiope, ha ribadito il suo impe-gno in favore del rafforzamento dellerelazioni tra Etiopia e Santa Sede,che risalgono a diversi secoli primadell’allacciamento ufficiale dei rap-porti diplomatici, avvenuti il 20 mar-zo 1957. Da parte sua, il capo delloStato ha espresso ammirazione per ilmagistero del Santo Padre, nonchégrande apprezzamento per l’op eratodella Chiesa cattolica a beneficio del-la popolazione etiope.

Un giovane discepolo, quasi un“figlio ccio” di Pietro — consideratoil suo segretario e da lui battezzato— ma anche uno dei collaboratoridi Paolo. Un grande privilegioquello che ha avuto Marco, l’auto-re dell’omonimo Vangelo.

Nato da un’agiata famigliaebrea, di lui si sa solamente quelloche c’è negli Atti degli apostoli e inqualche lettera scritta da Pietro ePaolo. Marco è legato ai due apo-stoli che conobbe a Gerusalemme.Non fu quindi uno dei primi disce-poli di Gesù, ma lo divenne suc-cessivamente a seguito della predi-cazione dei dodici. Qualcuno loidentifica con il figlio della vedovaMaria, che indossando un semplicelenzuolo seguì Gesù dopo il suoarresto nel giardino degli Ulivi. Èproprio Marco a narrarlo nel suoVangelo. Per questo alcuni studiosiritengono che quel giovane sia pro-prio lui, parente del proprietariodel Cenacolo. Egli fu costretto afuggire perché le guardie del Sine-drio volevano arrestarlo. Quandoprovarono ad afferrarlo, riuscì asvincolarsi ma rimase nudo, la-sciando nelle mani dei suoi inse-guitori il lenzuolo che lo avvolge-va.

Nel 44, quando Paolo e Barna-ba, parente del giovane, rientraro-no a Gerusalemme da Antiochia,

dove erano stati mandati dagliapostoli, vennero ospitati in casa diMarco, il cui vero nome era Gio-vanni. Così lo chiamavano i suoiconcittadini ebrei. Marco era il no-me scelto per presentarsi nel mon-do greco-romano. Fu un testimonedi quanto Paolo e Barnaba raccon-tavano sulla diffusione del Vangeload Antiochia e quando vi ritorna-rono, Marco andò con loro. Ac-compagnò Paolo anche nel suoviaggio a Cipro. Nell’anno 66,quando Paolo scrisse a Timoteodalla prigione romana, troviamo unriferimento a lui: «Solo Luca è conme. Prendi Marco e portalo con te,perché mi sarà utile per il ministe-ro» (2 Tm 4, 11). Non sappiamo seMarco riuscì ad arrivare in tempoa Roma, però lo troviamo nell’Ur-be in compagnia di Pietro, cheaveva seguito anche nei suoi viaggiin Oriente.

La basilica romana a lui dedica-ta, a due passi da piazza Venezia, èstata eretta proprio dove l’evangeli-sta aveva la sua casa e dove viveva.Essa è la testimonianza della suapresenza a Roma. Negli Atti degliapostoli troviamo il riferimento aquesta abitazione, quando Pietro,liberato miracolosamente dalla pri-gione, vi si rifugiò: «Dopo aver ri-flettuto, si recò alla casa di Maria,madre di Giovanni detto anche

Marco, dove si trovava un buonnumero di persone raccolte in pre-ghiera». Pietro cita Marco anchenella sua prima lettera, quandoscrive: «Vi saluta la comunità che èstata eletta come voi e dimora inBabilonia; e anche Marco, mio fi-glio» (1 Pt 5, 13).

Durante la predicazione di Pie-tro nella capitale dell’impero, Mar-co divenne il suo “stenografo”, co-lui che raccolse le sue catechesi,che divennero la fonte preziosa perscrivere il suo Vangelo. Siamo ne-gli anni tra il 50 e il 60. Marco tra-scrisse le predicazioni di Pietro de-stinate al popolo di Roma, senzaelaborarle o interpretarle. Per que-sto conservano la brillantezza diun racconto destinato alla gente.Marco scrisse in greco, la linguapiù diffusa al tempo. D’a l t ro n d e ,l’obiettivo era raggiungere quantepiù persone possibile per conqui-starle a Cristo.

Il suo Vangelo è schematico e li-neare. In esso proclama che Gesùè il Figlio di Dio e annuncia la suaCrocifissione e Risurrezione. Gesùviene riconosciuto come Signoreanche dai demoni, viene rifiutato efrainteso dalle folle, dai capi, daidiscep oli.

Dopo la morte di Pietro non ab-biamo più notizie di Marco. Unatradizione vuole che si sia recato in

Egitto, dove fondò la Chiesad’Alessandria. Un’altra dice che,prima di rientrare in Egitto, passòper Aquileia, dove convertì Erma-gora, che divenne il primo vescovodella città. Partendo da Aquileia,una tempesta lo spinse sulle isolerealtine, il primo nucleo di Vene-zia, e nel sonno vide un angelo chegli annunciò che avrebbe dormitoin quella terra nell’attesa della ri-s u r re z i o n e .

La tradizione colloca la sua mor-te ad Alessandria d’Egitto, forseper martirio, sotto l’imp eratoreTraiano. Le sue reliquie venneroportate a Venezia nell’828 da duemercanti, Rustico da Torcello eBuono da Malamacco, e collocatein una cappella in attesa della co-struzione della basilica a lui dedi-cata, terminata nell’832 e consacra-ta il 25 aprile 1094. Nel 1071 fuproclamato patrono principale diVe n e z i a .

Il suo culto intrise talmente gliorganismi della Serenissima che ilsimbolo di Marco, un leone alatoche porta tra gli artigli un libro incui è scritta la frase: Pax tibi marceevangelista meus, è diventato anchelo stemma della città lagunare. SanMarco è venerato dalle Chiese cat-toliche e ortodosse orientali e, inparticolare, dalla Chiesa copta, chelo considera il suo apostolo.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 10 v e n e rd ì - sabato 24-25 aprile 2020

Nella messa a Santa Marta il Papa prega per il mondo della scuola ed esorta i pastori a non aver paura di essere vicini al popolo di Dio

Accanto agli insegnantie agli studenti

«Preghiamo oggi per gli insegnantiche devono lavorare tanto per farelezioni via internet e altre vie media-tiche e preghiamo anche per gli stu-denti che devono fare gli esami inun modo nel quale non sono abitua-ti». Con un invito ad «accompagna-re con la preghiera» la grande co-munità scolastica, che sta vivendol’emergenza della pandemia, PapaFrancesco ha iniziato venerdì matti-na, 24 aprile, la celebrazione dellamessa — trasmessa in diretta strea-ming — nella cappella di Casa SantaMarta.

Per la meditazione dell’omelia ilvescovo di Roma ha preso spuntodal brano del Vangelo di Giovanni(6, 1-15) proposto dalla liturgia, cheracconta la moltiplicazione dei panie dei pesci. E, ha subito confidato,una «frase di questo passo del Van-gelo ci fa pensare: “Diceva così permetterlo alla prova; egli infatti sape-va quello che stava per compiere”»(cfr. 6, 6). Ed è proprio «quello cheaveva in mente Gesù quando disse aFilippo: “Dove potremmo comprareil pane perché costoro abbiano dam a n g i a re ? ”» (cfr. 6, 5). Ma, appun-to, «lo diceva “per metterlo alla pro-va”: Lui sapeva».

«Qui si vede — ha fatto notare ilPapa — l’atteggiamento di Gesù congli apostoli: continuamente li mette-va alla prova per insegnare loro e,quando loro erano fuori dalla fun-zione che dovevano svolgere, li fer-mava e insegnava loro». Del resto,ha aggiunto Francesco, «il Vangelo èpieno di questi gesti di Gesù per farcrescere i suoi discepoli e farli diven-tare pastori del popolo di Dio, inquesto caso vescovi: pastori del po-polo di Dio».

«Una delle cose che Gesù amavadi più era essere con la folla — ha af-fermato il Pontefice — perché anchequesto è un simbolo dell’universalitàdella redenzione». Invece, ha prose-guito Francesco, «una delle cose chepiù non piaceva agli apostoli era lafolla, perché a loro piaceva stare vi-cino al Signore, sentire il Signore,sentire tutto quello che il Signore di-ceva».

Facendo sempre riferimento alpasso liturgico del Vangelo, il Papaha ricordato che, quel giorno «sonoandati lì a fare una giornata di ripo-so — dicono le altre versioni negli al-tri Vangeli, perché tutti e quattro neparlano, forse ci sono state due mol-tiplicazioni dei pani».

Perciò «venivano da una missionee il Signore ha detto: “Andiamo a ri-posarci un po'”» (cfr. Marco 6, 31).Così, ha detto ancora il Pontefice,«sono andati lì e la gente si accorsedi dove andavano per il mare, hapercorso la riva e li hanno aspettatilì».

Ma «i discepoli non erano felici —ha affermato Francesco — perché lafolla aveva rovinato la “pasquetta”:non potevano fare questa festa con ilSignore». Malgrado ciò, «Gesù in-cominciava a insegnare, loro ascolta-vano, poi parlavano fra loro e passa-vano le ore, le ore, le ore: Gesù par-lava e la gente era felice». Però gliapostoli «dicevano: “la nostra festa èrovinata, il nostro riposo è rovina-to”».

«Il Signore cercava la vicinanzacon la gente — ha spiegato il Papa —e cercava di formare il cuore dei pa-stori alla vicinanza con il popolo diDio per servirli». Ma gli apostoli, daparte loro, «si capisce questo, si sen-tono eletti, si sentivano un po’ unacerchia privilegiata, un ceto privile-giato, “un’aristo crazia”, diciamo così,vicini al Signore».

Proprio per questo, ha proseguitoil Pontefice, «tante volte il Signorefaceva gesti per correggerli. Peresempio, pensiamo con i bambini».I discepoli «custodivano il Signore:“No, no, no, non avvicinare i bambi-ni che molestano, disturbano. No, i

bambini con i genitori”. E Gesù?“Che vengano i bambini”» (cfr.Marco 10, 13-16). Ma i discepoli«non capivano. Poi hanno capito».

Sempre a questo proposito, il Pa-pa ha ricordato un altro episodioevangelico, quando, sulla «stradaverso Gerico, quell’altro che gridava:“Gesù, figlio di Davide, abbi pietàdi me!”» (cfr. Luca 18, 38). E i disce-poli gli rispondono: «Ma sta’ zitto,sta’ zitto che passa il Signore, nondisturbarlo”». Invece Gesù dice:«Ma chi è quello? Fatelo venire”»(cfr. Luca 18, 35-43). Ecco che«un’altra volta il Signore» li correg-ge, «e così insegnava loro la vicinan-za al popolo di Dio».

«È vero — ha riconosciuto France-sco — che il popolo di Dio stanca ilpastore, stanca: quando c’è un buonpastore si moltiplicano le cose, per-ché la gente va sempre dal buon pa-store per un motivo, per l’altro» Eha confidato: «Una volta, un grandeparroco di un quartiere semplice,umile, della mia diocesi, aveva la ca-nonica come una casa normale, co-me le altre, e la gente bussava allaporta o bussava alla finestra, a ogniora, e una volta mi disse: “Ma ioavrei voglia di murare la porta e lafinestra perché mi lascino riposare”.Ma lui se ne accorgeva che era pa-store e doveva essere con la gente!».

Ecco dunque, ha spiegato il Pon-tefice, che «Gesù forma, insegna aidiscepoli, agli apostoli questo atteg-giamento pastorale che è la vicinan-za al popolo di Dio». Ma «il popo-lo di Dio stanca, perché sempre cichiede cose concrete; sempre ti chie-de qualche cosa concreta, forse sba-gliata, ma ti chiede cose concrete».E «il pastore deve accudire a questecose».

Il vescovo di Roma ha quindi fat-to presente che «le versioni degli al-tri evangelisti di questo episodiofanno vedere che sono passate le oree la gente doveva andarsene perchécominciava il buio». E gli apostoli a

Gesù «dicono così: “Congeda lagente perché vadano a comprare perm a n g i a re ”». E lo dicono proprio«nel momento del buio, quando in-cominciava il buio» (cfr. Luca 9, 12-13).

Ma gli apostoli, è la questionesuggerita dal Papa, «cosa avevano inmente? Almeno di fare un po’ di fe-sta fra loro, quell’egoismo non catti-vo, ma si capisce, di stare col pasto-re, stare con Gesù che è il gran pa-store». Invece «Gesù risponde permetterli alla prova: “Dategli voi dam a n g i a re ”» (cfr. versetto 13).

In realtà, ha detto Francesco,«questo è quello che Gesù dice oggia tutti i pastori: “Dategli voi dam a n g i a re ”» In sostanza: «Sono an-gosciati? Dategli voi la consolazione.Sono smarriti? Dategli voi una viadi uscita. Si sono sbagliati? Dateglivoi aiuto per risolvere i problemi.Dategli voi, dategli voi...».

«Il povero apostolo — ha afferma-to il Pontefice — sente che deve da-re, dare, dare... Ma da chi riceve?Gesù ci insegna» che il pastore rice-ve «dallo stesso da cui riceveva Ge-sù». Il Vangelo dice che «dopo que-sto» fatto, Gesù «congeda gli apo-stoli e va a pregare: dal Padre, dallap re g h i e r a » .

«Questa “doppia vicinanza” delpastore — ha insistito il Papa — èquella che Gesù cerca di far capireagli apostoli perché diventino grandipastori». Ma «tante volte la follasbaglia, e qui ha sbagliato, no?: “Al-lora la gente, visto il segno che egliaveva compiuto, diceva: ‘Questi èdavvero il profeta, colui che vienenel mondo!’. Ma Gesù, sapendo chevenivano a prenderlo per farlo re, siritirò di nuovo”» (cfr. Giovanni 6,14-15).

Francesco ha anche aggiunto che«forse, forse — ma non lo dice ilVangelo — qualcuno degli apostoligli avrebbe detto: “Ma Signore, ap-profittiamo di questo e prendiamo ilp otere”». Dunque, «un’altra tenta-zione». Ma «Gesù fa loro vedereche quella non è la strada». Perché«il potere del pastore è il servizio,non ha un altro potere, e quandosbaglia prendendo un altro potere sirovina la vocazione e diventa, nonso, gestore di “imprese pastorali” manon pastore».

In realtà, ha rilanciato il Pontefi-ce, «“la struttura” non fa pastorale:il cuore del pastore è ciò che fa lapastorale». E «il cuore del pastore èquello che Gesù ci insegna adesso».

Concludendo la sua meditazione,Francesco ha invitato a pregare «og-

gi per i pastori della Chiesa, perchéil Signore parli sempre a loro, per-ché li ama tanto: ci parli sempre, cidica come sono le cose, ci spieghi esoprattutto ci insegni a non averepaura del popolo di Dio, a non ave-re paura di essere vicini».

È poi con la preghiera di sant’Al-fonso Maria de’ Liguori che France-sco ha invitato «le persone che nonpossono fare la comunione» a fare«adesso» la comunione spirituale.Concludendo la celebrazione conl’adorazione e la benedizione eucari-stica. Per affidare quindi — accompa-gnato dal canto dell’antifona ReginaCaeli — la sua preghiera alla Madredi Dio, sostando davanti all’immagi-ne mariana della cappella di CasaSanta Marta.

La preghiera del vescovo di Romaè stata rilanciata a mezzogiorno, nel-la basilica Vaticana, dal cardinale ar-ciprete Angelo Comastri che ha gui-dato la recita del Regina Caeli e delrosario. Questo momento quotidianodi preghiera mariana si svolge difronte all’altare della Cattedra, da-vanti al quale sono state collocateuna statua della Madre di Dio el’immagine di Gesù Misericordiosodipinta secondo la spiritualità disanta Faustina Kowalska.

Nella memoria liturgica di san Giorgio il Pontefice ricorda la «pandemia sociale» che coinvolge molte famiglie rimaste senza lavoro e soprattutto i bambini

Per la conversione degli usuraiC’è una «pandemia sociale» che staportando tante famiglie alla fame,soprattutto le persone con lavoriprecari che non hanno neppure piùda mangiare e rischiano di finirenelle mani degli usurai perdendotutto, dignità compresa. È proprioper queste donne e questi uomini ingrandi difficoltà, in particolare per iloro bambini, e anche per la conver-sione di quanti praticano l’usura,che il vescovo di Roma giovedìmattina, 23 aprile — nella memorialiturgica di san Giorgio, suo giornoonomastico — ha offerto la messacelebrata nella cappella di CasaSanta Marta.

«In tante parti — ha detto, abraccio, all’inizio della celebrazionetrasmessa in diretta streaming — sisente uno degli effetti di questapandemia: tante famiglie che hannobisogno, fanno la fame e purtroppoli “aiuta” il gruppo degli usurai.Questa è un’altra pandemia. Lapandemia sociale: famiglie di genteche ha un lavoro giornaliero, o pur-troppo un lavoro in nero, che nonpossono lavorare e non hanno damangiare... con figli. E poi gli usu-rai gli prendono il poco che han-no». A fronte di questa realtà PapaFrancesco ha invitato a unirsi allasua intenzione spirituale: «Preghia-mo per queste famiglie, per queitanti bambini di queste famiglie,per la dignità di queste famiglie epreghiamo anche per gli usurai: cheil Signore tocchi il loro cuore e siconvertano».

Quindi Francesco ha iniziato lasua meditazione nell’omelia, facen-do subito notare che nella «primalettura continua la storia che era in-cominciata con la guarigione dellostorpio presso la Porta Bella deltempio» (cfr. Atti degli apostoli 5, 27-33). «Gli apostoli sono stati portatidavanti al sinedrio, poi sono statiinviati in carcere, poi un angelo liha liberati — ha spiegato il Papa — eproprio quella mattina dovevanouscire dal carcere per essere giudica-ti, ma erano stati liberati dall’angeloe predicavano nel tempio» (cfr. 5,17-25).

«In quei giorni, il comandante egli inservienti condussero gli apo-stoli e li presentarono nel sinedrio»(cfr. versetto 27) si legge negli Attidegli apostoli. E così «sono andatia prenderli nel tempio e li hannoportati nel sinedrio e lì il sommo sa-cerdote li rimproverò: “Non vi ave-vamo espressamente proibito di in-segnare in questo nome?” (cfr. ver-setto 28) — cioè nel nome di Gesù— “ed ecco, avete riempito Gerusa-lemme del vostro insegnamento e

anche volete far ricadere su di noi ilsangue di quest’uomo”» (cfr. verset-to 28). Infatti «gli apostoli, Pietrosoprattutto e Giovanni — ha fattopresente il Pontefice per spiegare leparole del sommo sacerdote — rim-proveravano i dirigenti, i sacerdotidi aver ucciso Gesù».

Riproponendo il passo degli Attidegli apostoli, Francesco ha rilan-ciato i contenuti della risposta —una «bella storia» — data, si leggenel testo, da «“Pietro insieme agliapostoli: Bisogna obbedire a Dio”,noi siamo obbedienti a Dio e voisiete i colpevoli di questo» (cfr. 5,29-31). E poi Pietro «accusa, macon un coraggio, con una franchez-za che uno si domanda: “Ma questoè il Pietro che ha rinnegato Gesù?Quel Pietro che aveva tanta paura,quel Pietro che era pure un codar-do? Come mai è arrivato qui?”».Quindi Pietro «finisce» il suo di-scorso «dicendo anche: “E di questifatti siamo testimoni noi e lo SpiritoSanto”, che è con noi, “che Dio hadato a quelli che gli obbediscono”»(cfr. versetto 32).

Ma — è la questione proposta dalPontefice — «qual è stata la stradadi questo Pietro per arrivare a que-sto punto, a questo coraggio, a que-sta franchezza, a esporsi?». In findei conti «lui poteva arrivare a deicompromessi e dire ai sacerdoti:“ma state tranquilli, noi andremo,parleremo un po’ con un tono piùbasso, non vi accuseremo mai inpubblico, ma voi lasciateci in pa-ce”». Insomma, «arrivare a dei com-p ro m e s s i » .

«Nella storia — ha affermato ilPapa — la Chiesa ha dovuto farequesto tante volte per salvare il po-polo di Dio». E «tante volte lo haanche fatto per salvare se stessa —

non la santa Chiesa ma i dirigenti».Tuttavia, ha aggiunto, «i compro-messi possono essere buoni e posso-no essere cattivi». Tornando all’epi-sodio raccontato dagli Atti, gli apo-stoli «potevano uscire attraverso ilcompromesso? No, Pietro ha detto:niente compromesso, voi siete i col-pevoli» (cfr. versetto 30). E lo ha af-fermato «con coraggio».

Ma «Pietro come è arrivato aquesto punto?», si è chiesto France-sco, facendo notare che l’ap ostolo«era un uomo entusiasta, un uomoche amava con forza, anche un uo-mo timoroso, un uomo che eraaperto a Dio al punto che Dio glirivela che Gesù è il Cristo, il Figliodi Dio; ma poco dopo — subito — silascia cadere nella tentazione di direa Gesù: “No, Signore, per questastrada no: andiamo per l’altra”: laredenzione senza croce». Tanto che«Gesù gli dice “Satana”» (cfr. Ma r -co 8, 31-33).

È «un Pietro — ha proseguito ilPontefice — che passava dalla tenta-zione alla grazia, un Pietro che è ca-pace di inginocchiarsi davanti a Ge-sù» e dire: «“Allontànati da me chesono peccatore” (cfr. Luca 5, 8); epoi un Pietro che cerca di passarlasenza farsi vedere e per non finirein carcere rinnega Gesù» (cfr. Luca22, 54-62). In sostanza «è un Pietroinstabile — ha detto il Papa — p er-ché era molto generoso e anchemolto debole».

Tenendo conto di questo ritrattotratteggiato da Francesco, la do-manda è: «Qual è il segreto, qual èla forza che ha avuto Pietro per ar-rivare qui?». In realtà, ha spiegato ilPapa, «c’è un versetto che ci aiuteràa capire questo. Prima della Passio-ne, Gesù disse agli apostoli: “Satanavi ha cercato per vagliarvi come il

grano” (cfr. Luca 22, 31). È il mo-mento della tentazione: “Sarete così,come il grano”. E a Pietro dice: “Eio pregherò per te, perché la tua fe-de non venga meno”» (cfr. versetto32). Proprio «questo — ha affermatoil Pontefice — è il segreto di Pietro:la preghiera di Gesù. Gesù pregaper Pietro, perché la sua fede nonvenga meno e possa, dice Gesù,confermare nella fede i fratelli».Dunque «Gesù prega per Pietro».Ma, ha assicurato Francesco, «que-sto che ha fatto Gesù con Pietro lofa con tutti noi: Gesù prega per noi,prega davanti al Padre». La questio-ne, ha affermato il Papa, è che «noisiamo abituati a pregare Gesù per-ché ci dia questa grazia, quell’altra,ci aiuti; ma non siamo abituati acontemplare Gesù che fa vedere alPadre le piaghe: a Gesù l’i n t e rc e s s o -re, a Gesù che prega per noi». Ec-co, allora, che «Pietro è stato capa-

ce di fare tutta questa strada, da co-dardo a coraggioso, con il dono del-lo Spirito Santo grazie alla preghie-ra di Gesù».

«Pensiamo un po’ a questo» hasuggerito il Pontefice, proponendo:«Rivolgiamoci a Gesù, ringraziandoche Lui prega per noi: per ognunodi noi Gesù prega. Gesù è l’inter-cessore. Gesù ha voluto portare consé le piaghe per farle vedere al Pa-dre. È il prezzo della nostra salvez-za». Con questa consapevolezza, haaggiunto il Papa, «dobbiamo averepiù fiducia, più che nelle nostre pre-ghiere, nella preghiera di Gesù: “Si-gnore, prega per me” — “Ma io so-no Dio, io posso darti...” — “Sì, maprega per me, perché Tu sei l’inter-c e s s o re ”». E proprio «questo è il se-greto di Pietro: “Pietro, io pregheròper te perché la tua fede non vengameno”» (cfr. Luca 22, 32). E «che ilSignore — è stato l’invito di France-sco a conclusione della sua medita-zione — ci insegni a chiedergli lagrazia di pregare per ognuno dinoi».

Con la preghiera del cardinaleRafael Merry del Val, il Ponteficeha invitato quindi «le persone chenon possono comunicarsi» a fare lacomunione spirituale. Concludendopoi la celebrazione con l’adorazionee la benedizione eucaristica. E affi-dando — accompagnato dal cantodell’antifona Regina Caeli — la suapreghiera alla Madre di Dio davantiall’immagine mariana della cappelladi Casa Santa Marta.

Successivamente, a mezzogiorno,nella basilica Vaticana, il cardinalearciprete Angelo Comastri ha pre-sieduto il quotidiano momento dipreghiera recitando il Regina Caeli eil rosario.

Il Congresso eucaristico internazionaledi Budapest

si terrà a settembre 2021

Posticipato di un anno anche il 52° Congresso eucaristico internazionale:in programma a Budapest a settembre 2020, sarà celebrato nello stessomese del 2021. Lo ha dichiarato giovedì 23 aprile il direttore della Salastampa della Santa Sede, Matteo Bruni, spiegando che la decisione èstata presa dal «Santo Padre, insieme con il Pontificio comitato per iCongressi eucaristici internazionali e con l’episcopato ungherese, a causadell’attuale situazione sanitaria e delle sue conseguenze sullo spostamen-to e l’aggregazione di fedeli e pellegrini». Per lo stesso motivo sono statiposposti di un anno anche l’Incontro mondiale delle famiglie a Roma,che perciò si terrà nel giugno 2022, e la Giornata mondiale della gioven-tù a Lisbona, con appuntamento ad agosto 2023.