Pieghevole la Leggenda sol 002 -...

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UMBERTO ORSINI

NOTE DI REGIA

“Quando tantissimi anni fa interpretai il ruolo di Ivan Karamazov in un famoso sceneggiato televisivo ebbi un successo che oggi è inimmaginabile.Dopo molto tempo mi era venuta voglia di tornare ai temi di quel romanzo e di pronunciare parte delle parole che costituiscono la zona più incandescente del racconto che Ivan faceva al fratello Alioscia e che è generalmente citato come “La leggenda del grande Inquisitore”. Assieme a Pietro Babina ed a Leonardo Capuano abbiamo immaginato un Ivan sopravvissuto all’immagine che il romanzo ci offriva e che, in un tempo fuori dal tempo, viene continuamente interrogato e perseguitato da un personag-gio che potrebbe essere anche una proiezione della sua delirante fantasia, dei suoi sensi di colpa, del desiderio di punizione, del radicato disprezzo per l’umanità intera, della sua paura di confrontarsi colla propria giovinezza così faustianamente invocata e respinta.

Ne è uscito uno spettacolo che cerca di staccarsi dai Karamazov toccandone però i temi di fondo che sono il delitto, la perversione, la negazione della fede e la sfiducia che l’uomo di oggi possa gestire la propria libertà così pesantemente minacciata dalla politica e dalla religione. Sono tre anni che porto in giro questo lavoro e sono gratificato dal consenso che attraverso un percorso apparentemente oscuro e poi improvvisamente chiarissimo prende per mano lo spettatore dandogli la sensazione e poi la certezza di aver assistito a qualcosa che solleva la pelle di Dostoieskj fino a farci vedere la sua carne e, per alcuni, addirittura il suo scheletro. Umberto Orsini

Al contrario di quello che ci si aspetterebbe questo spettacolo comincia con un lungo tratto senza che alcuna parola venga pronunciata. Una partitura precisissima di movimenti racconta una relazione che sembra essere sospesa in un tempo e in epoca indefinibili. Un’eco lontana di un vissuto che si mostra in modo enigmatico. Allo stesso tempo ci introduce all’essenza dei personaggi, un’essenza spettrale, inquieta. Il mondo rappresentato assume un valore metafisico, come a mostrare lo scheletro della rappresentazione, a ribadirne lo statuto, fin quando come in un sogno circolare quella stessa parti-tura ricomincia e accanto ad essa, intrisa ad essa, compare la parola mostrandoci un valore altro di ciò che abbiamo già veduto. In questa ripetizione sta la nascita dei personaggi similmente a quando si assiste all’uscita dell’insetto dalla sua larva, come se quella vita intravista muoversi nella semi trasparenza del guscio, solo nell’uscire diventi definitivamente viva. Far nascere un personaggio, qualunque forma esso abbia, è la prima magia che va compiuta in scena.

Come la forma dell’inizio è emblematica, così anche la forma della parte finale sta ad emblema. La scena come una macchina del tempo muta radicalmente catapultandoci nel contemporaneo, propo-nendo allo spettatore un’altra convenzione, quella dello speech della Ted conference in cui ciascuno può raccontare una sua idea, una sua visione del mondo purché politically correct. Qui in modo lette-ralmente ironico il format della conference democratica viene adoperato per contenuti tutt’altro che corretti, come a voler mostrare che il discorso e la sua retorica sono strettamente connessi e che i significati sono spesso mistificati dall’estetica. L’esposizione dei pensieri del Grande inquisitore, detti da un pulpito della democrazia, risultano perciò più banali, meno aggressivi, quasi scontati e proprio per questo più pericolosi, poiché appaiono tollerabili. Resta, alla fine, la domanda: “Se tutto ciò che questo discorso esprime lo conosciamo a memoria, perché non siamo riusciti a porvi un rimedio?”. E con questa domanda la rappresentazione ripiomba nel buio da cui e venuta.

Pietro Babina

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GUSTAVO ZAGREBELSKY“Brani di una presentazione di Gustavo Zagrebelsky tratti dal programma di sala”.

“Questa rappresentazione teatrale della Leggenda del Grande Inquisitore tratta la materia dosto-evskijana con la fedele libertà d’ogni autentica interpretazione. Inter e praestatio: attività intermedia-ria tra la fonte, che è all’origine, e il destinatario, che è alla fine. L’interprete sta in mezzo: fedele per non tradire la fonte e, al tempo stesso, libero per non deludere le attese legittime di comprensione di senso, proprie del destinatario - il pubblico. L’interpretazione non è la filologia(...). La Leggenda, nella versione dostoevskijana, si conclude con un enigmatico bacio. Il Cristo e l’Inqui-sitore sono rappresentati come nemici mortali. Nell’odierna versione teatrale della leggenda non c’è posto per il bacio e il suo seguito.

Il discorso dell’Inquisitore è fine a se stesso; è un messaggio universale e astratto. Si conclude con il DIXI che suggella la condanna a morte del Cristo. Ma, inopinatamente, cambia la scena e si compie un gesto. Non è un bacio, ma la mano di quell’alter ego di Ivan dall’aspetto borghese che, all’inizio dell’azione, aveva preso per primo la parola, e che, questa volta, appare abbigliato da gerarca eccle-siastico. La sua mano copre la bocca all’Inquisitore che ha appena terminato il disvelamento della sua verità. (...)È stato detto che Dostoevskij nella sua Leggenda scrisse profeticamente la storia dell’umanità nei due secoli a venire. L’azione teatrale e l’interpretazione dell’Inquisitore qui messa in scena è una certificazione d’attendibilità di quella profezia.

Gustavo Zagrebelsky

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PIETRO BABINA

LEONARDO CAPUANO

Fonda nel 2010 Mesmer an Artistic Association dopo un lungo percorso artistico di oltre vennt’an-ni durante i quali ha prodotto, ideato e diretto 37 tra spettacoli e applicazioni prodotte e circuitate in collaborazione con importanti strutture teatrali sia nazionali che estere. Per le sue opere ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti tra cui in più occa-sioni il premio Ubu. Ha in oltre creato 9 tra films e video come regista ed autore ed ha anche portato avanti un discorso musicale in qualità di autore ed esecutore. Nel suo percorso vi sono anche espe-rienze nel campo delle arti visive in collaborazione con altri artisti di questa disciplina, tra questi in particolare il progetto aperto Manifesto.Nel 2009 è tra i fondatori della rivista di riflessione sull’arte dal nome ontologico “Rivista”. Pietro Ba-bina è stato co-fondatore e co-direttore dall’89 al 2010 della compagnia Teatrino Clandestino.

Nato a Cagliari il 30 settembre 1967.1987 Pratica a livello agonistico la disciplina della lotta greco-romana.1991 Partecipa al film Compagno che stai in cielo di Giuseppe Ferlito.1993 Si diploma presso la Scuola di formazione teatrale Laboratorio Nove. Viene scelto da Barbara Nativi per il ruolo di Buddy in Immagina di annegare di Terry Johnson, Festival Intercity London.1995 Interpreta Cabaret, di e con Orvelio Scotti, al teatro Il Boschetto di Firenze. Partecipa alla realiz-zazione de La favola di Orfeo e Romance per la regia di Rodolfo Tommasi.1997 In aprile propone al Container, Centro di cultura contemporanea di Firenze, uno studio ispirato a Delitto e Castigo di Dostoevskij. Interpreta il ruolo di Bordure in Ubu Re per la regia di Alfonso San-tagata, in prima nazionale al Festival di Santarcangelo. Presenta uno studio ispirato a Dostoevskij al Terzo incontro dei Teatri Invisibili a San Benedetto del Tronto con il titolo Sa vida mia perdia po nudda. In ottobre svolge un’attività teatrale all’interno dell’Istituto penale per minori G.P. Meucci di Firenze, utilizzando tecniche legate alla lotta greco-romana.1998 In marzo presenta lo studio ispirato a Delitto e Castigo di F. Dostoevskij al Centro sociale Cpa di Firenze Sud e successivamente al Festival di Volterra1999. In febbraio debutta a Milano con la versione definitiva di Sa vida mia perdia po nudda, nella rassegna Teatri 90. Comincia a lavorare al tema dell’ansia e nasce il primo studio del nuovo spettacolo dal titolo La Cura, che debutterà in luglio al Festival di Volterra. Veste i panni di Otello nel riallestimento dello spettacolo Terra sventrata per la regia di Alfonso Santagata, inserito nel programma giubilare Per Antiche Vie.2001 Debutta con lo spettacolo Le Sante al Festival di Santarcangelo, dove presenta una personale con gli spettacoli La cura e Sa vida mia perdia po nudda.2003 Zero Spaccato e il primo studio di Due con Renata Palminiello dopo essere stati presentati

al Festival Inequilibrio 2002, sono inseriti nei pro-grammi del Festival di Volterra, del Festival Intea-tro Polverigi, del Festival di Santarcangelo, e nel festival di Armunia.2004 Debutta a Castiglioncello nel Festival Ine-quilibrio con lo spettacolo Pasticceri in coppia con Roberto Abbiati. Lavora come attore all’alle-stimento dello spettacolo Gli Uccelli di Aristofane con la compagnia Lombardi Tiezzi, per la regia di Federico Tiezzi. Lo spettacolo Gli Uccelli riceve due premi Ubu: miglior spettacolo e miglior regia.2007 Lavora come attore nello spettacolo Molly Sweeney con Umberto Orsini e Valentina Sperlì per la regia di Andrea De Rosa.2008 Debutta con L’albero della cuccagna, con Renata Palminiello e Roberto Abbiati.2012 Debutta al festival Inequilibrio con La sof-ferenza inutile, monologo tratto da La rivolta di Dostoevskij. Debutta insieme ad Umberto Orsini con lo spettacolo La Leggenda del Grande In-quisitore di Dostoevskij, al teatro Eliseo di Roma. Regia Pietro Babina.2013 Debutta al festival Inequilibrio con Elettro-cardiodramma, di cui è autore e interprete.

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UMBERTO ORSINILa Leggenda del Grande Inquisitore dai Fratelli Karamazov di Feder Dostoevskij

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“Un quarto d’ora iniziale integralmente muto. Spiazza, ipnotizza e cattura gesto dopo gesto La Leggenda del Grande Inquisitore che è una ricompo-sizione, a teatro del lancinante e dibattuto capitolo dei “Fratelli Karama-zov”. C’è la somma dei silenzi di Harold Pinter, dei drammi solo geometrici di Bob Wilson, e delle laconiche ricerche del linguaggio d’immagine, e anche la slow motion di molto teatro danza, nel preparare il campo al lavo-ro voluto, prodotto e interpretato, nei panni di un Ivan maturo, da Umberto Orsini. Enorme la sua performance, attraverso stili ed espressioni, di un Orsini prima ragionatore e poi scatenato. Il bravo Leonardo Capuano è un preciso, speculare Mefisto. La regia di Babina smonta Dostoevskij ma ce lo ridà come un incubo d’adesso.”

Rodolfo di Giammarco (LA REPUBBLICA)

“Chapeau. A Umberto Orsini. Per il coraggio di rimettersi sempre in gio-co. Per quella curiosità d’artista, e di uomo, di sperimentarsi con nuove forme. Per l’affidarsi a mani giovani. Come quelle di Pietro Babina (...) la messinscena è una sorta di beckettiano “Nastro di Krapp”, riavvolgimen-to della memoria, e di un “Atto senza parole”. Inizia, infatti, nell’assenza di queste...s’odono rumori da fuori, musichette da una radio alla parete, lamenti, echi di passi che si materializzeranno in un uomo fantasmatico (un magnetico Leonardo Capuano), che appare e scompare minaccioso e seducente...Con un faustiano recupero della giovinezza Orsini-Ivan rive-drà la sua immagine, nello stesso ruolo dello storico “Karamazov” televi-sivo del 1969, flash della memoria e, in ultimo, un’auto-interrogazione sul punto limite tra vita morte e resurrezione, che non sono quelle di un uomo ma di un personaggio e del suo racconto. Che apre a più livelli narrativi e di significati, carichi di tensione.”

Renato Palazzi (IL SOLE 24ORE )

“In tutta evidenza, ricorre, così, il continuo scambio che sempre si de-termina, sul palcoscenico, fra l’attore e il personaggio, ossia fra il corpo e l’immagine. Finché, nella sequenza conclusiva, Umberto Orsini - fino a quel momento affiancato dal bravo Leonardo Capuano nel ruolo di Me-fisto - «esce» dallo spettacolo e, rimasto solo al proscenio, ci regala la vertiginosa fusione di se stesso col Grande Inquisitore. Non perdetevelo.”

Enrico Fiore (IL MATTINO)

“Per i primi due terzi lo spettacolo procede in una sorta di marcia di av-vicinamento, di raduno di materiali, di evocazioni di situazioni abissali, quasi una preparazione quaresimale (ma vitale e frastagliata) alla vera invettiva dell’Inquisitore che manda a morte il Cristo, fastidioso elemento di disturbo di tutta l’organizzazione sociale. Orsini è magistrale e l’intenso lavorio precedente sembra acquistare ragione e necessità.”

Gianfranco Capitta (IL MANIFESTO)