Picaresca song

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Romanzo, picaresco nella firenze degli anni '50.

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Copyright Giancarlo Chesi 2010Progetto grafico e copertina: Matteo Chesi

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PICARESCA SONG

Perché picaresca? Non sono, i picari, creature della grande letteraturaspagnola del “siglo de oro”?Sicuramente, ma soprattutto sono una specie umana che, sotto varieforme, ha continuato a perpetuarsi nei secoli: un’umanità poverache si è liberata della povertà , ladra per la sopravvivenza, libera eindividualista.Così sono anche oggi, picari contemporanei. E così sono i protago-nisti di questa “Picaresca Song”, picari del novecento.In questa storia parlano e interloquiscono in prima persona (che EdgarLee Masters li perdoni!) e raccontano, dai loro punti di vista, i fatti aiquali hanno dato vita. E sono avventure, le loro, di bulli di un quartieredi estrema periferia, storie picaresche dei nostri tempi, sono allegre,trucide, comiche, talvolta anche romantiche...Un immaginario “dominus” poi, il Demiurgo, interviene soltantooccasionalmente per raccordare le varie narrazioni, chiarire atti e fattia cui i protagonisti, narratori di se stessi, talvolta tendono a dareinterpretazioni troppo personali, per la passionalità che le anima.Le storie, suggerisce infine il Demiurgo, non dovrebbero essere lette,ma dovrebbero essere ascoltate, come se nelle orecchie arrivasseproprio la voce del protagonista. E la musica dovrebbe accompagnaree sottolineare i momenti salienti del racconto.

LA VICENDA

Squarci di vita quotidiana di un quartiere.Un quartiere di estrema periferia, confine fra la città che avanza e lacampagna che resiste.Un quartiere in bilico fra antiche abitudini paesane e nuovi modi dicondurre l’esistenza, che convivono non sempre pacificamente, unquartiere che non si è ancora completamente arreso alle nuoveabitudini di vita e mantiene antichi usi e mentalità in molti suoiabitanti, che spesso per questo finiscono per essere preda dei nuovi

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picari, che li taglieggiano, li burlano, li truffano.In questa vita quotidiana, vivace, animata, a volte sanguigna, simuovono storie diverse, che ruotano tutte intorno ad un gruppo dipersonaggi anch’essi diversi, ma tutti con un segno comune, ancoral’antico segno picaresco, di cui sono inconsapevoli portatori.Sono storie ribalde, truffaldine, comiche, violente, drammatiche …Ma anche scurrili e licenziose, raramente generose, talvoltaromantiche…Sono le vicende dei picari di questa storia, narrate da loro stessi, conil loro linguaggio popolano, sboccato e spesso triviale, ma umano erealistico come le storie che raccontano.Non Lazarillo de Tormes, non Buscon , non Guzman de Alfareche,picari del “siglo de oro” della letteratura spagnola, ma Paride,Nazzareno e i loro compari, picari del novecento, ribelli, anarchici,orgogliosi, volgari e signori, ladri e assassini, truffatori, burlatori …Questi sono i protagonisti, e intorno a loro vive e si agita tutta l’altravaria umanità del quartiere, quella che subisce i soprusi dei compari,quella che tenta di ribellarsi, quella che assiste indolente.E le donne fanno la loro parte, spesso con rassegnazione, qualchevolta con scatti di orgoglio.Protagoniste anche loro della vita che scorre nel quartiere, talvoltapersino antagoniste degli stessi uomini, con i quali dividono passionie odi.E nell’arco di vita del piccolo boss del quartiere, Paride, picaro delsuo tempo, tutto avviene secondo i suoi disegni, nel bene e nel male,sotto il segno del suo potere, fino alla sua dissoluzione

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INCIPIT

Al Lector:“fue siempre de todos muy acepto, de cuya causa, aunque estabaprohibido en estos reinos, se leìa y imprimìa de ordinario fuera dellos.Por lo cual, con licencia del Consejo de la Santa Inquisiciòn y de SuMajestad, se emendò de algunas cosas porque se habìa prohibido y sele quitò toda la segunda parte, que por no ser de l’autor de la primera,era muy impertinente y desgraciada”“Lazarillo de Tormes” - edizione “castigada” - 1573

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Sono da ascoltare, queste storie, sono storie che volavano nell’ariachissà da quanto tempo e premevano per trasformarsi in realtà,diventare vive! Allegre, drammatiche, ribalde...Sono state raccolte, una dopo l’altra, come si affacciavano davanti,spinte dai loro protagonisti, quei personaggi che si affollavano suiconfini della realtà e volevano saltarci dentro.Ma chi le ha raccolte è solo il demiurgo…il demiurgo che li ha libe-rati, quei protagonisti, ha dato loro anima e parole.Il demiurgo: niente di filosofico, Platone non c’entra! Solo undemiurgo, un artigiano, un fabbricatore, anzi, un narratore di storiee fatti, con i loro interpreti, che si raccontano e raccontano le lorovite, con i loro sentimenti e le loro passioni. Non uno scrittore, maun “trascrittore”!Ve li affida, il demiurgo, questi personaggi, così come sono apparsie come essi stessi volevano essere: Paride, Virginia, Nazzareno,Costanza, Laura, Claudio, Bacco…Date corpo ai loro spiriti, fatelivivere!E accompagnateli con musiche, quelle che più vi parranno adatte!

PARIDE

Quando m’ammazzarono avevo più di ventotto anni, era il quindicigiugno del sessantatre ed ero nato nel millenovecentotrentacinque,ma nel marzo.Da questo stupido posto dove mi trovo, che non mi piace affatto mada cui non riesco a venire via, vedo tutto quello che succede nel quar-tiere e mi rodo perché non posso partecipare come facevo prima,prima che quell’imbecille m’infilasse il coltello nella pancia.Era una vita non male, quella che facevo: il biliardo nel pomeriggioda Garibaldo, le cene con gli amici, le donne, qualche lavoretto piùo meno pulito per il lesso quotidiano, le sigarette, il cinema…Il quartiere in definitiva era mio, mio perché le cose più importanti sifacevano solo se le volevo io, i miei amici sapevano che ero io il capoe non discutevano nemmeno le mie decisioni, anzi veniva chiesto ilmio parere su tutto e quello che dicevo io diventava legge per tutti

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quelli del quartiere.(cavatina di Figaro: “sono il factotum della città!”La sentite?)Non era un quartiere molto grande e importante, in città, ma c’eratutto quello che ci si aspetta in un quartiere di periferia che si rispetti:due trattorie, “dalla Nella”, diventata di moda per la gente del centro,e “Peking” (per i cinesi che lavoravano la pelle nei laboratori nascostinelle cantine e che uscivano a mangiare solo a buio per non farsiscoprire), qualche pizzeria, e il casino di Madama Saffo.Vicino, ma già in campagna, c’era anche una caserma, il SettimoReggimento “Veltri d’Italia”, da dove tutte le sere si scaricavanoquegli imbranati di fanti, che si infilavano nel cinema “Vittoria” ocorrevano a far la fila da Madama Saffo, non azzardandosi neppurea guardare le nostre ragazze, dopo le scazzottate che li avevanoconvinti a strusciare via rapidamente dopo aver fatto rifornimento disigarette e preservativi all’Appalto del Rizieri.La mia vita era piacevole, allora: mi divertivo, le donne non mimancavano, ma non mi ero mai voluto legare a nessuna, mi piacevanotutte, io piacevo a molte e quindi non volevo perdere nessunaoccasione.Fra tutti gli amici, e ne avevo tanti! uno solo era il vero amico, quellocon cui dividevo tutto, fatti e pensieri. Gli altri li chiamavo amici, main verità non sentivo per loro quello che sentivo per Nazzareno,l’unico che consideravo pari a me.Era bello, Nazzareno, piaceva molto alle ragazze: con gli occhiazzurri e il biondo dei capelli, col suo fare incantato le faceva sognareil paradiso e quasi tutte finivano per cadergli fra le braccia.Confesso che mi faceva anche comodo, per questo, la sua amicizia:fra tutte le donne che gli giravano attorno, anch’io ne pescavo semprequalcuna! E, insieme, eravamo i mattatori del quartiere, pronti aqualunque avventura, senza impegni o legami.Fino a quando non incontrai Virginia.E galeotto fu il tram, il numero 17, quello che andava in centro!Andavo proprio in centro, quella mattina. Avevo preso al volo il 17come facevamo sempre noi, aspettando che rallentasse in curva,correndogli dietro e saltando sul predellino con un balzo.

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Affannato per la corsa perché il tranviere quella volta non avevarallentato, ero saltato dentro la vettura a occhi chiusi…Un gridospaventato mi accolse: mi trovai fra le braccia di una ragazza che eraferma sulla piattaforma, in piedi, davanti all’ingresso!“Perché stai davanti all’ingresso? Lo sai che potevo ammazzarmi?”mi arrabbiai con lei, urlandole in faccia. Non rispose subito, ancheperché le ero rimasto incollato addosso mentre pensavo solo adinveire. Sentii invece il suo corpo morbido che tremava sotto laleggera veste estiva e solo allora mi staccai, guardandola, mentre,pallida in volto per lo spavento improvviso, confusamente tentava diparlare.………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

VIRGINIA

Mi era piombato addosso come dal nulla, mentre aspettavo che il tramarrivasse alla fermata e stavo al limite della piattaforma, pronta ascendere. Sul momento non mi ero neppure resa conto di cosa stavasuccedendo, travolta da quel qualcosa che improvvisamente mi si erapresentato davanti.Poi lo vidi, vidi la sua figura e cominciai a distinguere le sue fattezze,mentre venivo investita da imprecazioni che subito non compresi mache intesi come violento rimprovero: era un giovanotto, una specie dibisonte, per le dimensioni e per l’impeto, spalle larghe, testa fiera ericciuta, voce forte e arrogante…Mi fece un po’ paura, aveva l’ariasprezzante, da prepotente e mi guardava in un modo che mi misesubito in soggezione, come se volesse impormi la sua superiorità.Non mi piacque.Sentivo il suo sguardo pesarmi addosso e questo mi rendeva nervosa,perché non potevo liberarmene. Allora mi feci forza e alzai anch’ioil mio sguardo su di lui, osservandolo con una sfrontatezza che nonmi conoscevo. Incontrai i suoi occhi che mi fissavano adesso conironia. Mi imposi di non abbassare i miei, di occhi, e resistetti. Furono

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i suoi occhi che si abbassarono, ma fu un solo attimo, subito ripresel’aria spavalda e prepotente e fui io ad abbassare definitivamente latesta arrossendo di vergogna e di rabbia. Poi mi riscossi e gli porsi lamano, per fare pace.Dopo non lo guardai più, finché, liberatoria, giunse la fermata e scesi.Ma mentre mi allontanavo, sentivo sulle spalle il peso del suo sguardoche mi seguiva ancora, mentre il tram correva via.

BRANI SPARSI

BACCO

Mi ero fatto anche il vestito, appositamente. Non un vestito giàconfezionato, ma un vestito di sartoria, fatto su misura, da uno deimigliori sarti della città, l’Orlandini, quello della gente bene: ungessato grigio, lana inglese, taglio classico…Un occhio della testa!Ma doveva essere una cosa di classe, che mi facesse invidiare da tutti,anche dalle ragazze che mi prendevano sempre in giro, soprattutto laClaudia, che qualche volta si faceva pagare il cinema ma non sifaceva mai toccare.Avevo risparmiato ferocemente, da quando avevo saputo di quelladecisione: interrotte le visite settimanali da Madama Saffo, nientepranzi quotidiani in trattoria ma panini portati da casa e mangiati dinascosto in ufficio, durante la pausa, col terrore di essere sorpresodell’avvocato, ridotte le uscita serali al bar, poche sigarette e bicchierini(scroccandone il più possibile agli amici).La paga che mi passava l’avvocato Prosdocimi per tenergli in ordinelo studio e per fargli le commissioni mi bastava appena per vivere,con l’affitto che se ne portava via quasi la metà, eppure dovevo a tuttii costi mettere da parte i soldi per quel vestito!Alla fine ce l’avevo fatta, avevo versato un grosso anticipo al sarto emi ero impegnato a pagare il resto a rate mensili, caricandomi dipreoccupazioni.Ma non potevo farne a meno, Nazzareno era il mio migliore amico,l’unico vero amico, quello per il quale avrei fatto qualunque cosa…

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Finalmente una sera andai a ritirarlo, il Vestito!Erano occorse diverse prove, l’Orlandini non era mai soddisfatto:“Mi scusi, sa! Ma lei ha un corpo così immenso che sembra gonfiarsiogni giorno di più! Ad ogni nuova prova il suo corpo ha cambiatomisure e devo fare nuove correzioni!”Mi ero quasi offeso, a quelle parole, ma poi pensai che era un artista,voleva la perfezione, così lo lasciai dire. Anche perché mi sembravadi vedere un piacere particolare che gli animava lo sguardo a mano amano che, prova dopo prova, l’abito prendeva forma; mi pareva chequasi lo considerasse una cosa sua, più che una sua creatura.Adesso però il Vestito era pronto, era mio!Arrivai a casa affannato, avevo corso per tutto il tragitto, tenendodavanti a me la gruccia con il vestito, protetta dal sacco di carta conl’etichetta bene in vista, “Premiata Sartoria Orlandini”Solo in cima alle scale ripresi fiato e quasi gridai dalla gioia.Non era un vestito, era il Vestito! Me lo provai davanti allo specchio,mi guardavo e mi riempivo di orgoglio: ero un signore, un verosignore, tutti mi avrebbero ammirato, gli amici, i conoscenti, leragazze…Ogni sera, tornando a casa, aprivo l’armadio e lo guardavo, il Vestito,accarezzavo la stoffa, sentivo la morbidezza…Mi sembrava cheanche il Vestito fosse contento che lo accarezzassi, mi pareva chefremesse mentre le mie dita scorrevano lungo le maniche, scivola-vano lungo i risvolti…Me lo provai per l’ultima volta, la sera prima, e mi vestii di tuttopunto: allo specchio il Vestito mi sembrò magico, un abito da re! Eanche il Vestito mi parve che gioisse nel vedersi riflesso, perché sentiicome un fremito venirmi addosso dalla stoffa.No, quella cosa non me la dovevano fare! Per gli altri fu solo unacosa buffa, per me fu un tradimento!………………………………………………………………………………………………………………………………………………

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PARIDE

Ormai tutto il quartiere sapeva del guaio capitato a Nazzareno, cheaveva messo incinta una ragazza del suo paese, in montagna. Giàprima si diceva che al paese, dove tornava ogni tanto, avesse unaragazza, forse una fidanzata, ma nessuno sapeva qualcosa di certo.Ma ero stato io, quello che tutti conoscevano come il suo il suomigliore amico e il suo compare di avventure, che avevo dato il viaalla cosa: con mezze parole, frasi accennate di sfuggita, allusioni,avevo cominciato a poco a poco a far girare questa voce.Poi nel quartiere si vide un nuovo Nazzareno, sempre più taciturno edi umore malinconico: tutti vedevano la tristezza che adesso avevapreso in lui il posto dell’allegria e spensieratezza di prima.Avevo allora cominciato a raccontare a qualcuno, prima con mezzefrasi poi sempre più chiaramente, che al paese gli era successo unguaio, aveva messo incinta una ragazza, quella con la quale si dicevafosse fidanzato. E la voce girò rapidamente, fino a diventare il fattodel giorno.Non ci fu scandalo, però, qui da noi.Solo qualche ragazza, che forse aveva nutrito delle speranze e si erafatta delle illusioni, si lasciò andare a commenti un po’ acidi, mentretutto il resto del quartiere fu quasi contento per lui.Anzi, per molti quella novità fu una liberazione: i giovani perchéadesso ci sarebbe stato un concorrente di meno in circolazione, imariti perché spariva un pericolo costante per la loro tranquillitàconiugale.Fu la vedova Merli quella che mi stupì: lei, l’unica che potevarecriminare, fu la prima a preoccuparsi del futuro di Nazzareno!Non chiedevo di meglio! Cominciai così a costruire quel clima disolidarietà attorno a Nazzareno, il povero Nazzareno che dovevaimprovvisamente sposarsi e affrontare i problemi soprattutto economiciche la sua nuova situazione gli creava.Ci fu una gara collettiva nel quartiere, cominciarono ad arrivare iregali di nozze, dalle provenienze più inaspettate e nelle forme piùimprevedibili oltre quelle consuete: elettrodomestici, oggetti per la

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casa, ma anche abiti e cose personali…Le due stanze in cui Nazarenoviveva in affitto cominciarono a riempirsi della solidarietà deicompaesani, quasi una psicosi collettiva aveva colto tutti, anche quelliche poco avevano avuto a che fare con lui, che quasi non lo conoscevano:si doveva aiutare quello sfortunato ragazzo!Ebbi allora una folgorante idea!

LA SIGNORA MERLI

Ero contenta che tanta solidarietà si riversasse su Nazzareno, il miocaro Nazzareno! Ma ero anche preoccupata perché pensavo al dopo,a quando avrebbe dovuto mantenere una moglie ed un figlio, con lasola paga che aveva per il suo lavoro a bottega.Fu Paride che mi suggerì l’idea di raccogliere, fra gli abitanti delquartiere, una somma per costituire un fondo che aiutasse Nazzarenoad affrontare i primi difficili momenti.Molti parteciparono e la somma raccolta fu assai elevata.Era imbarazzato, Nazzareno, la sera in cui gli dissi del fondo e glieloconsegnai; commosso ma imbarazzato. Non voleva accettare, sischermiva, era confuso.Lo abbracciai, anch’io commossa, e sentii allora crescere in me queldesiderio di lui che pensavo di avere ormai allontanato; ma mi accorsiche anche in lui si risvegliava quel desiderio.“Non è riconoscenza” mi disse mentre salivamo in casa “E’desiderio,ancora desiderio.”Dopo pensai che era stato mio per l’ultima volta, prima che fossedell’altra per sempre.

PARIDEEra giunto il momento finale.Con Nazzareno fissammo il giorno delle nozze, che sarebbero statefatte al paese della ragazza, in montagna. Invitammo tutti quelli chevolevano venire, il ritrovo era fissato davanti alla casa della sposa. Efurono tanti a venire, come per una festa paesana: allegri e chiassosi,si ritrovarono tutti davanti al portone chiuso dell’abitazione della

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sposa, aspettando che si aprisse e ne uscissero i promessi sposi.Bacco, col suo magnifico gessato di lana inglese, si aggirava fra lagente, gonfio come un pavone, finalmente oggetto di stupore eammirazione da parte di tutti, invece dei soliti sarcasmi.Dalle finestre delle altre case della strada, intanto, gli abitanti osservavanostupiti e incuriositi quella novità.

IL DEMIURGO

Erano arrivati con tutti i mezzi: in macchina, con la corriera, con iltrenino locale che, fumoso, si arrampicava attraverso i monti…E si erano appostati davanti a quella villetta in fondo alla strada,scherzando e ridendo, in attesa che la porta si aprisse. Ma l’attesa siprolungava e qualcuno, impaziente, cominciava a rumoreggiare.Un coro si alzò: “Nazzareno, Nazzareno, affacciati almeno!”Ma le finestre della villetta, anch’esse tutte chiuse, non si aprivano!Si aprì invece, finalmente, il grande portone: una ossuta donna, vestitadi nero, lo spalancò completamente dileguandosi in silenzio come insilenzio era apparsa e un ohh di soddisfazione si levò dagli invitati,che si accalcarono per entrare e guardare.Un ampio salone li accolse, lustro di marmi e di specchi; alle paretifaceva circolo una fila di divani di velluto rosso e in fondo unamaestosa scala si avviava verso il piano superiore. All’inizio dellascala una schiera di amorini, colti nella fissità del marmo, si affollavafestante ai piedi di una procace e nudaVeneremarmorea in atteggiamentodi lascivo invito.Un vago profumo indefinito, un misto di acqua di colonia, cipria,borotalco, aleggiava nell’aria e si insinuava nelle narici di tutti maparticolarmente in quelle di chi lo sentiva familiare.Un brivido di sospetto cominciò allora a correre lungo la schiena deipiù avveduti fra i maschi presenti, quelli avvezzi a certe frequentazioni,ma tacquero.Tacquero perché non ebbero il tempo di aprire bocca: in cima allascala erano apparsi gli sposi, lui, e lo riconobbero subito, un eleganteNazzareno in tight, lei una indefinita sposa bionda in lungo abito

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bianco, velata in volto da una cascata di bianco tulle. Due attempatedamigelle d’onore, dietro di loro, sorreggevano i lembi del lungostrascico e scendendo le scale ondeggiavano i fianchi in un modo chea tutti parve subito poco virginale.L’abbigliamento delle due damigelle, poi, quello sì che stupì gliinvitati: vaporosi veli fasciavano i loro corpi lasciando intravedereforme e carni un po’ ridondanti, mentre dalle generose scollaturetraboccavano seni incontenibili.I sospetti erano ormai diventati certezze, per i più, che cominciaronoa guardarsi con rapide occhiate interrogative…Ma intanto gli sposierano giunti in fondo alla scala e si avvicinavano sorridenti, seguitidalle damigelle e da altre festanti accompagnatrici della stessa guisa.Tutti allora poterono ammirare la sposa, alta ed aitante, con il voltocoperto dal velo, che lasciava però trasparire una lunga e morbidachioma bionda. Ma agli occhi più attenti e indagatori non sfuggì unparticolare: da sotto la chioma bionda spuntavano, rivelatori, alcunineri ricci ribelli.Poi quando, con gesto teatrale, la sposa sollevò il velo, un coro disorpresa unanime si levò: “Paride! E’ Paride!”Era lui! La sposa era lui!La confusione fu allora assoluta: mentre le damigelle e le altreaccompagnatrici (perché ormai risultò chiaro a tutti, le damigelle e lealtre generose fanciulle altre non erano che le pensionanti della casadella sposa!) si accalcavano intorno alla sposa disvelata, gli invitatirumoreggiavano, molti ridevano sguaiatamente, altri erano offesi perlo scherzo…

PARIDE

Faticai non poco a calmare tutti, soprattutto gli offesi.Raccontai dell’idea che avevo avuto di inventare tutta la storia: lamisteriosa fidanzata, l’incidente di percorso, la necessità delle nozzeriparatrici… Ma dissi che ci aveva animato, me e Nazzareno, solo lavoglia di fare un simpatico scherzo a tutto il quartiere, niente altro.Non accennai ai regali ricevuti, alla colletta…Furono gli invitati a

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parlarne: molti, quelli che si ritenevano offesi e si mostravanosdegnati, pretesero la restituzione dei regali e se ne andarono infuriati,ma la maggior parte sembrò aver accettato bene la burla e non disseniente.Così io e Nazzareno ci tenemmo i soldi e i regali, che era la cosa chevolevamo!

NAZZARENO

Io in verità ero un po’ dispiaciuto per quelli che se ne erano andatisdegnati: pensavo di meritare anche la loro simpatia, visto l’impegnoche avevo messo nel simulare per qualche settimana tutta la storia!L’unico per il quale provavo veramente rimorso era Bacco: ero per luiil faro, il modello di vita, il confidente e l’avevo ingannato!Lo cercai fra la gente, per scusarmi, ma non riuscii a trovarlo,sembrava sparito.

BACCO

No, non dovevano farmela, quella cosa! Proprio Nazzareno, poi, ilmio grande amico! Quello a cui raccontavo tutti i miei segreti, tuttala mia solitudine, tutte le mie angosce! Mi aveva tradito!No, non potevo più stare fra quella gente, mi sembrava che tutti miguardassero con ironia e compassione, me e il mio gessato di lanainglese dentro il quale mi sentivo ormai una marionetta!Allora lo odiai, quel vestito, volevo quasi strapparmelo di dosso!Poi sono scappato, ho preso il primo treno e sono tornato a casa,dimentico di tutto, come un sonnambulo.

IL DEMIURGO

“Madama, Madama!” le pensionanti si erano intanto affollate attornoad una signora improvvisamente apparsa scendendo dalla scala,vestita con ricercatezza, carica di vistosi anelli, braccialetti e collaneche tintinnavano accompagnando il suo incedere.

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Madama abbracciò gli sposi, gioiosa, e con un ampio gesto generoso,in un abbraccio generale, esclamò “Su ragazze, datevi da fare!” poi,rivolta agli invitati “Approfittatene, stamani è tutto gratis!”Le ragazze sciamarono fra il pubblico e furono in molti a risalire lascala, verso il piano superiore.In sala intanto il clamore era sempre al massimo e gli sposi faticavanoancora a raccontare, a spiegare, a calmare gli offesi…

PARIDE

Finalmente nella sala cominciò a scendere un po’di quiete, le ragazzedi Madama avevano contribuito generosamente a ben predisporre glianimi e i sensi, l’allegria aveva preso il sopravvento e, a poco a poco,tutti gli invitati ci lasciarono, prendendo la via del ritorno.Era finita! Era andata bene, potevamo rallegrarci, noi due! Avevamoi soldi e buona parte dei regali!

IL DEMIURGO

Restò a lungo fra i fatti storici del quartiere, quella colossale burla, ese ne continuò a parlare per tanto tempo.Solo Bacco non sapeva darsi pace. Il tradimento di Nazzareno loaveva irrimediabilmente offeso e dal quel momento la sua già solitariavita fu ancora più disperata.Aveva convinto l’Orlandini a riprendersi il vestito (del resto l’avevaindossato una volta sola, quella sola volta!) e il sarto, impietosito,glielo aveva ripreso, naturalmente tenendosi l’anticipo e le rate giàversate, rinunciando alle altre.Però non fu più lui, non fu più il Bacco di prima: si intristì sempre piùa poco a poco, smise di andare al bar, diradò le visite a MadamaSaffo…Finché un giorno non lo si vide più in giro e Nazzareno, che eraandato a cercarlo allo studio dell’avvocato Prosdocimi, seppe cheaveva lasciato il lavoro, si era trasferito in un altro quartiere dellacittà. Continuò ancora a cercarlo per molto tempo e con lui lo cercarono

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tutti gli amici, ma inutilmente: Bacco, Alceste Raveggi per l’anagrafe,detto Bacco per le dimensioni del suo corpaccione mitologico, erascomparso per sempre. Di lui restò, nel quartiere, solo il ricordo diquel magnifico gessato di lana inglese che aveva vissuto un sologiorno di gloria e che adesso dormiva in un armadio della PremiataSartoria Orlandini.Poi il velo della storia calò su tutto e la vita di sempre riprese,nel quartiere, il suo andare: amori, odi, miserie, drammi, episodiboccacceschi………………………………………............................……………………………………………………………………….Fu Contessa che si mosse, scavalcando il Cristini ancora disteso:“Imbecille, cosa credevi? Contessa non è per te, per te ci sono solo lezoccole del quartiere. Solo con quelle puoi fare il gradasso! E voi..”si rivolse a tutti, fulminandoli con un giro dello sguardo “… anche voilasciate stare Contessa e accontentatevi della merce locale!”Con gesto imperioso indicò a qualcuno di raccoglierle i suoi abitisparsi per terra, li prese, non li indossò, uscì, nuda e maestosa, fra ilsilenzio di tutti.…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….....

IL DEMIURGO

Un poveraccio, proprio un poveraccio era il Dreoni, un poveraccio dicontadino, l’ultimo rimasto ai limiti del quartiere, nella campagnaormai quasi tutta inurbata, con un piccolo podere ancora non cacciatovia dalle case che gli si venivano a costruire intorno, giorno dopogiorno, inesorabili.Pochi campi, coltivati a granturco e grano, un orto, un pollaio, unacasa cadente…Un poveraccio con una sola ricchezza, due figliegemelle, Tecla e Cleofe, belle more procaci e vispe, regalategli dauna moglie, l’Argìa, ormai sfatta ma in gioventù una gran bellezzaanche lei.Lui, il Dreoni, era un orso peloso e sanguigno, animalesco

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nell’aspetto e nel carattere, con una forza incredibile, capace diattaccarsi all’aratro e all’erpice e tirarseli dietro per rivoltare la terrae prepararla per le semine: non aveva né bovi né trattori, per questosi caricava il giogo sul collo e soffiando dalle narici proprio come unbove (lui, però, ci metteva qualcosa in più: sacramentava) faceva dabestia e da trattore, seguito dalla moglie che gli arrancava dietroguidando gli attrezzi.Dopo una giornata di lavoro, la sera, scaricava le residue energie aletto, sull’Argìa, che lo accoglieva sempre volentieri col suo ormaiimmenso corpo, vogliosa ancora come in gioventù quando, belladonna che accendeva i desideri di tutti i maschi solo col muoversi,riusciva a sfiancarlo, lui, il toro inesauribile, prima di esseresoddisfatta.E le figlie avevano ereditato da loro tutta la carica di sensualità, chestraripava naturalmente dai loro corpi sconvolgendo chi aveval’occasione di vederle mentre passavano dalla piazza.Perché solo queste erano le occasioni di vederle: il padre, gelosissimo,con una gelosia più da amante che da padre, non le lasciava andaremai sole in città e le portava con se’ quando, una volta alla settimana,andava a fare il rifornimento all’appalto (sale, fiammiferi, sigari etabacco da pipa…): moglie e figlie in fila davanti e il Dreoni dietro asorvegliarle, come un mandriano.Quando passavano davanti ai tavoli del bar, gli sguardi degliavventori le accarezzavano con desiderio, ma nessuno, mai, aveva ilcoraggio di dire una parola, una di quelle oscenità che normalmenteaccompagnavano tutte le altre donne che per avventura passavano:lo sguardo del Dreoni si incupiva, pronto a fulminare il malcapitatoche, ignaro, avesse osato dire qualcosa. Solo una volta era accadutoe ancora tutti ricordavano l’incauto ragazzo steso a terra da unapoderosa manata del Dreoni, che aveva sentito il suo pittorescoapprezzamento sulle forme delle ragazze.Le ragazze invece, consapevoli della scia di desideri maschili che illoro passaggio provocava, maliziosamente, con una malizia chenasceva naturale in loro, rendevano ancora più provocante quel loroincedere in processione.

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Due avventori, però, avevano compreso che quel gioco ingenuamenteseduttivo nascondeva una voglia repressa di maschio e si eranoimpegnati a concluderlo, quel gioco.E ogni venerdì, questo era il giorno della processione familiare,aspettavano il passaggio delle ragazze e caricavano ogni volta di piùsu di esse gli sguardi allusivi, silenziosi ma sempre più penetranti.Le ragazze sulle prime forse non avevano fatto caso, abituate comeerano a subire quelle attenzioni, alla particolare intensità di queiquattro occhi che si posavano su di loro accompagnandole con unsilenzio eloquente durante tutta la traversata, poi però se ne reseropresto conto e altrettanto silenziosamente ed eloquentementerisposero con furtivi sorrisi che esprimevano gradimento.Tutto in barba al cerbero Dreoni che, da dietro, impettito e autoritario,continuava sorvegliare la mandria. Qualcosa poi avvenne, ma seguitelodalle voci dei protagonisti.Un consiglio però: ascoltateli con Mozart in sottofondo “…là cidarem la mano, là mi dirai di si… vorrei e non vorrei…”TECLATutte le volte che si passava dalla piazza per andare a fare la spesa,al tavolino del bar c’erano sempre quei due: passavamo e sentivamoi loro sguardi addosso, li sentivamo frugarci con gli occhi sul corpocome se ci spogliassero con le mani.Non ci azzardavamo nemmeno a voltarci per guardarli, perché babboe mamma dietro di noi ci avrebbero fulminato se l’avessimo fatto,ma sentivamo scorrere addosso il calore dei loro sguardi e almeno iosentivo dei brividi di piacere salirmi da dentro, dal basso ventre finoalla gola.Io sentivo questo, la Cleofe non so, ma vedevo i suoi occhi brillare equindi penso che qualcosa sentisse anche lei.Li avevo guardati bene, quei due, giorno dopo giorno, a mano a manoche, attraversando la piazza, ci si avvicinava al bar: da lontano, poisempre più da vicino, finché li avevo di fronte, potevo guardarli senzache da dietro babbo e mamma se ne accorgessero.Dei due, uno in particolare attirava il mio sguardo: quello biondo, daicapelli lisci che gli ricadevano sulle spalle; aveva degli occhi azzurri

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che quando mi guardavano sembravano farsi liquidi, e le labbra,sempre socchiuse, facevano vedere una fila di denti bianchissimi cheilluminavano il viso scurito dal sole.Lui mi piaceva e forse da come lo guardavo l’aveva anche capito.L’altro, un moro tutto ricciuto, grosse spalle da lottatore, aveva dueocchi neri e freddi, che facevano un po’ paura da tanto sembravanoautoritari. Li avevamo visti sempre seduti al tavolino del bar, ma mierano sembrati ben fatti anche fisicamente. Insomma, belli entrambicome due attori del cinema! Io li sognavo la notte e credo anche laCleofe.Morivo dalla voglia di parlarci, ero curiosa di conoscerli, soprattuttoquello biondo che mi piaceva tanto…Quel giorno decisi che l’avrei fatto: con una scusa (un sasso nellascarpa!), mentre attraversavamo la piazza, mi fermai con Cleofefacendo segno a babbo e mamma di proseguire, ché noi li avremmoseguiti subito.Passammo così da sole davanti al bar e costrinsi la Cleofe a rallentare,mentre passavamo. “Ehi, bella mora, quando me la dai?” il miobiondo mi aveva sussurrato, strizzandomi l’occhio. Colta di sorpresa,mi arrestai un attimo, poi, non so cosa mi prese, gli risposi di getto“Vientela a prendere!” “Anche la tua sorella, per lui?” disse quelloaccennando al moro, che osservava incuriosito.Cleofe e io ci guardammo e scoppiammo a ridere, senza imbarazzo,poi sempre ridendo raggiungemmo di corsa babbo e mamma.“Io e Paride veniamo domani notte, lasciate una luce accesa allafinestra…” la voce del biondo ci raggiunse alle spalle, mentrecorrevamo.A casa la Cleofe mi rimproverò: “Ma cosa t’è preso? E se quellivengono?” “Vedrai che non verranno, sono solo degli sbruffoni! Epoi se vengono, staremo a vedere…”

CLEOFE

Tecla aveva perso la testa, l’avevo capito!Avevo capito che le piacevaquel biondo, mi parlava sempre di lui, quando tornavamo a casa dopo

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la spesa dal Rizieri:“Hai visto come è bello? Con quei lunghi capelli biondi sembra undio! Chissà chi é…” mi diceva, rossa dall’eccitazione.Quest’ultima volta invece era rimasta calma e fredda.Chiuse nella nostra stanza, dopo cena, quando babbo e mamma eranogià addormentati, parlammo di quell’appuntamento.“Bisogna lasciare la lampada accesa alla finestra…” disse Tecla emise un lume sul davanzale.“Ma sei pazza, cosa fai? E se babbo se ne accorge?”“Diremo che l’abbiamo messo per tener lontani i pipistrelli chevolavano intorno alla finestra.”Poi, distese sul letto, continuammo a parlare, sottovoce, per nonsvegliare il babbo, che già si sentiva russare dalla sua stanza, schiantatonel solito suo sonno profondo dopo aver fatto gridare l’Argìa, comeal solito, sotto le spinte del suo corpo.“Chissà se verranno…”“Forse non verranno, volevano solo scherzare…”“Io dico che invece verranno…”All’improvviso la Tecla “Santo cielo, che scema!” balzò giù dal letto,si mise il camicione che non aveva ancora indossato e sgusciò,silenziosamente ma di corsa, fuori della stanza.Tornò affannata “Come facevano a salire fin qui!”Era uscita e aveva appoggiato una scala al muro, accanto alla finestra.“Adesso sono tranquilla. Se verranno non avranno problemi a salire!”“Ma non verranno, ci puoi giurare…”Verranno… non verranno…Passava il tempo, il sonno si facevasentire, ma ci tenevano sveglie la curiosità, l’eccitazione, la speranzae il timore di quello che sarebbe accaduto se fossero arrivati…Alla fine ci addormentammo.Ma a metà nottata arrivarono.

TECLA

Fui io che li sentii arrivare. Mi svegliarono piccoli rumori sotto lafinestra, un parlottare sottovoce, poi il leggero urto della scala

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appoggiata al davanzale e lo scricchiolio dei pioli sotto il peso di unoche saliva.Mi mancò il fiato, il cuore mi salì in gola battendo all’impazzata.Trattenni anche il respiro, mentre con gli occhi socchiusi, fingendo didormire, inquadravo con ansia il vano della finestra.Una testa bionda si affacciò, cercando di guardare dentro e facendosischermo con la mano perché era accecato dalla lampada che avevadavanti agli occhi.Era lui, era il mio biondo! Cominciai a tremare: eccitazione, paura?Non so, ma tremavo tutta.Scostò la lampada e saltò dentro.Vide il letto, vide noi due e si avvicinò in silenzio, mentre anche ilmoro era salito e stava dietro a lui.Allora feci finta di svegliarmi e di essere spaventata, sperando che siavvicinasse a me e non alla Tecla: era mio, l’avevo scelto io!Mi afferrò subito e mi si gettò addosso, cercando di togliermi lacamicia…“No, no, che fai! Non voglio!”gli sussurrai. Ma invecevolevo e mi lasciai togliere la camicia senza resistere molto, poi milasciai baciare su tutto il corpo, senza pensare ad altro.

CLEOFE

Anch’io ero stata svegliata dai rumori che sentivo accanto a me:guardai e vidi la Tecla fra le braccia di quel biondo…Allora eranoarrivati davvero!Girai gli occhi dall’altra parte e vidi l’altro, il moro, in piedi accantoa me. Mi sentii mancare, avevo paura eppure dentro di me quasidesideravo che succedesse qualcosa! Non avevo neppure la forza dialzarmi e lo guardavo, aspettando: forse passarono pochi istanti, maa me parvero un’eternità, poi lo vidi sbottonarsi i pantaloni e avvici-narsi, la testa cominciò a girarmi per l’emozione…Rimase nudo dallavita in giù, con i pantaloni alle caviglie, e mi offriva il bacino: io nonavevo mai visto quella parte dell’uomo, se non nelle statue, ma maidi quelle dimensioni…Una voglia mi prese, improvvisa, e lo toccai…Adesso non ricordo bene cosa successe nei pochi minuti successivi,

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l’eccitazione mi aveva stordito, solo che all’improvviso sentii ungrande frastuono, voci che gridavano, gente che correva, poi uncolpo, mi sembrò un colpo di fucile. Terrorizzata, avevo messo latesta sotto il cuscino e non volli vedere quello che succedeva.Non ricordo altro: mi è rimasto il rammarico di non aver potuto ve-dere il seguito dell’avventura, a causa di quell’improvvisa interru-zione. Chissà cosa sarebbe successo!

PARIDE

Gliel’avevo detto, a Nazzareno, di non fare tanto chiasso! Inveceaveva disteso la ragazza sul letto e le aveva tolto la camicia.Quellamugolava e si agitava tutta mentre lui l’accarezzava e la baciava: male foglie di pannocchia del materasso crocchiavano sotto i guizzi diquel corpo nudo su cui lui disegnava una carta geografica con lalingua e quel crocchiare, ingigantito dal silenzio della notte, sembravaun fragore di tamburi.Io almeno me ne stavo in piedi, fuori del letto, in silenzio, e la sorellaera scesa davanti a me, un po’ tremante e un po’ eccitata.Me la trovai di fronte, con gli occhi accesi di curiosità, mentre micalavo i pantaloni, mostrandole quello che forse non aveva mai vistodal vivo.Lo guardava infatti con uno sguardo che veramente mi sembrò, piùche curioso, avido: tremava ancora, ma compresi allora che non erapaura, era desiderio, anzi proprio voglia…Sporsi il bacino ancora di più verso di lei e la vidi allungare unamano, poi tutte e due. Aveva afferrato l’oggetto della propria vogliae lo strapazzava, facendomi volare in cielo dal piacere.Non ebbe il tempo di fare altro: un boato improvviso, la porta dellastanza si era schiantata sotto l’urto di una massa nera, mi sembrò lacarica di un toro infuriato…Poi lo riconobbi…“Bastardi! Vi stronco!” il Dreoni era precipitato dentro a valanga, inmutande, e come un toro soffiava dalle froge, mescolando parole ebestemmie…Lo seguiva la moglie, in camicia, affannando per la corsa, e per

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l’affanno le enormi poppe uscite dalla camicia che le era scivolataalla vita ballonzolavano libere da un lato all’altro, come impazzite.“Figlie mie, che vi hanno fatto!” gridava lei cercando di fermare conle mani quel frenetico ballare. “Puttane, sono delle puttane!” strillavainvece il toro inferocito tenendosi con le mani le mutande, per nonperderle!Nonostante il trambusto, ero rimasto lucido: vidi la porta aperta, nonguardai altro e mi precipitai fuori; trovai le scale, saltai gli scalini aquattro per volta, e urtando e rovesciando tutto quello che trovavosul cammino arrivai nell’aia, mettendomi a correre.Inciampai, caddi, mi rialzai con un ginocchio dolorante e stavoriprendendo a scappare, zoppicando…“Vieni qua, delinquente! Fermati o ti sparo!” L’ombra del Dreoni eraapparsa in fondo all’aia, gridando e agitando qualcosa.Lo seguiva, arrancando, l’Argia, che si era tirata su la camicia pernon inciampare e mostrava così adesso anche l’altra parte del corpo“No Faliero, lascialo stare, non fare pazzie!”Riuscì ad abbrancarlo con un bel placcaggio e in quel momento,mentre lo teneva fermo, vidi il fucile… la cosa che agitava! E vidi lacanna puntata nella mia direzione…Il ginocchio improvvisamente non mi fece più male, ripresi la corsa,a zig-zag per non fargli da bersaglio fisso, poi vidi il lampo e sentiiil botto.Ce l’ho fatta, pensai, sentendo la rosa dei pallini che si disperdevasul muro del pollaio. Avvertii leggero bruciore alla natica sinistra econtinuai a correre come un pazzo, inseguito dai pallini della secondafucilata.Mi fermai solo quando il cuore stava per uscirmi dalla gola e mi gettaia terra, acquattandomi in un fossatello.Sentivo parole indistinte di voci lontane, quella stridula dell’Argia equella, roca per il gran gridare, del Dreoni, voci che si allontanavanoa poco a poco, poi silenzio. Solo i grilli, indifferenti alla tragedia,continuavano tranquilli il concerto notturno.Respirai fitto per qualche istante, riempiendo i polmoni dell’ariafresca della notte.

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“Paride…Paride.. Sono io, sono qui”Era la voce di Nazzareno, che sibilava a pochi metri da me.“Dove sei, non ti vedo…” lo cercavo nel buio.“Ti ho visto arrivare, sono dietro di te, a sinistra.”Aguzzando lo sguardo, roteando gli occhi in fuori come un camaleonte,vidi un’ombra.“Vieni qui, non posso muovermi!” dall’ombra giunse subito dopoquesta invocazione.Schioccando piano le dita, mi segnalò dov’era e lo raggiunsi.Era seduto, appoggiato ad un albero, e si massaggiava una caviglia.“Devo essermela storta, non sto in piedi…”“Come hai fatto?” e aspettai la risposta.NAZZARENOEro arrivato prima di Paride al letto delle ragazze, ricordo bene. Lamia, quella che mi piaceva di più, era proprio la più vicina e mi ci get-tai. Avevo capito che fingeva di dormire, avevo visto gli occhisocchiusi che mi guardavano fra la fessura delle palpebre e non persitempo.Faceva un po’ di moine, giusto per salvare le apparenze, ma quandola distesi e le tolsi la camicia mi parve che gradisse assai. E ancora dipiù quando passai e ripassai con le labbra su tutta quella carne sodae vellutata.La sentivo uggiolare come una cagnolina e le feci cenno di zittirsi,temevo che il Dreoni o la moglie si svegliassero. Poi si scuotevatroppo, come colpita da scosse elettriche, quando le labbra e lecarezze le scivolavano su certe parti: sotto il suo agitarsi le foglie dipannocchia del materasso scricchiolavano e anche questo rumore mipreoccupava.Ma ormai ero troppo eccitato per fermarmi e continuai: avevo comin-ciato a strimpellarle la chitarrina (avevo visto che anche Paridealla sorella stava regalando un bel duro di menta!) quando sentiiscatenarsi un fragore come di tuoni di un improvviso temporale e vidiil Dreoni mezzo nudo piombare verso di noi come un elefanteinferocito. Pensai solo a fuggire, ma da quale parte?La porta era occupata dall’orchessa del Dreoni, mezza nuda anche

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lei, lui stava girando intorno al letto per agguantarmi, strepitandocome un ossesso…Mi guardai intorno…La finestra! Era l’unica via di fuga!Non stetti a pensare, la attraversai a capofitto e piombai nell’aia.Una fitta fortissima mi colse ad una caviglia: ero caduto male dall’altodei due o tre metri della finestra e adesso il dolore mi faceva gridare,non riuscivo a muovermi…Ma le mie grida erano coperte dalle bestemmie e dagli urlacci delDreoni “La doppietta, la doppietta!” e dal pianto strascicato dellamoglie “Le mie bambine!”“Altro che bambine! Troiacce, troiacce sono! Ci stavano!” Sentii unforte tramestio nella casa, poi la voce dell’Argia “No, Faliero lasciastare il fucile, che vuoi fare? Faliero, posalo!”No, il fucile no! Non volevo essere impallinato! Misi le ali ai piedi ecorsi a perdifiato, non sentivo nemmeno il dolore alla caviglia…Quando fui nei campi, dopo aver scavalcato il filo spinato dell’ortosu cui lasciai pelle e stoffa, sentii due spari, voci che un po’ alla voltasi smorzavano e alla fine il silenzio.Forse ero salvo! Solo allora mi sono fermato, seduto appoggiato adun albero, pregando che la luna, che gironzolava fra le nuvole,decidesse di starsene un po’ nascosta, mimetizzandomi nell’ombra.IL DEMIURGOFu una notte da tregenda, quella. I due mancati amanti notturni,doloranti nel corpo e nello spirito, rimasero un bel po’di tempo infrattatinei campi, non riuscendo a raccapezzarsi dove fossero: avevano persol’orientamento e vagavano zoppicando, cercando la strada pertornarsene a casa…“Di là!” indicò Paride che stava davanti “Ho vistoil bagliore di un lampione, laggiù in fondo!” La luna si nascose dietrouna grossa nuvola, proprio nel momento in cui si dirigevano verso ilsupposto lampione, e si trovarono all’improvviso nella pece nera,invischiati nella notte più scura! “Andiamo, forza!” lo spinse Nazzareno,proprio quando scompariva la luna e si faceva più buio…Pochipassi…Caddero in un borro pieno d’acqua, svegliando una famigliadi anatre, fortunatamente mute, che si dispersero in tutte le direzioni

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accecandoli con spruzzi di acqua e fango negli occhi. Rotolarono piùvolte nella melma della pozza, viscida per l’acqua che ristagnavafetida (da secoli abbeveratoio di vacche e porci), poi a tentoni riusci-rono a risalire l’argine, sgusciarono fra due siepi di rovi lasciandociil biglietto da visita e finalmente si trovarono sotto il lampione, sullastrada.E allora…come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago ala riva, si volge all’acqua perigliosa e guata.. così anch’essi si volseroindietro, respirarono per lo scampato pericolo, si guardarono, grondantiacqua e fango, ristettero un po’ attoniti, poi risero.Il resto della notte li vide, a casa, impegnati a ripulirsi di tutto la crostadi fango maleodorante che si era rappreso sui loro corpi.Poi, inginocchiato sul letto, Paride espose il suo martoriato deretanoall’occhio attento del suo compagno di avventura e sventura, che, conprecisione chirurgica, riuscì a estrarre tre pallini da caccia, omaggiodel fucile del Dreoni, un pallino per la Tecla, uno per la Cleofe el’ultimo… per l’Argia!Per alcuni giorni il bar in piazza non li ebbe più suoi ospiti, temendoessi di essere stati riconosciuti, poi si fecero coraggio; ma quandoripresero posizione al solito tavolino, il venerdì, i due amici atteseroinvano il passaggio delle gemelle.La loro curiosità rimase inappagata: il Dreoni apparve dal fondo dellapiazza da solo, senza figlie e moglie, passando a petto in fuori efulminando con uno sguardo arroventato tutti, indistintamente tutti,gli avventori che assistevano al passaggio e che lo guardavano concuriosità.E così fu per tutti i venerdì che seguirono.Il postino, che uno di quei venerdì ebbe occasione di passare, pernecessità professionale dovendo consegnare la posta, dalla casa delDreoni, riferì che le tre donne erano chiuse a chiave in casa e la letteradovette metterla in un cesto che l’Argia gli aveva calato da una finestra.Da un’altra finestra le due ragazze, timorosamente, si erano affacciatea sbirciare, subito richiamate dalla madre che aveva chiuso rumorosa-mente le imposte, mettendole al buio, lontane dagli occhi indiscreti diquel maschio sia pure occasionale.

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Un venerdì, ma pochi poterono assistere all’evento perché pioveva,il Dreoni non comparve: l’Argia, baldanzosa e pettoruta, con il vestitodella domenica, guidava da sola le due ragazze attraverso la piazza esembrava, dal piglio, una maitresse che portava a prendere aria le suepensionanti.Si seppe poi, il giorno dopo, che il Dreoni era all’ospedale, chiusofino al collo in un’armatura di gesso essendo caduto, avventuratosi suirami più leggeri per cogliere gli ultimi frutti, dall’alto del fico infondo all’aia e si era rotto tutto.Ci dovette rimanere un buon mese, all’ospedale.Lo seppero Nazzareno e Paride e gli antichi ardori verso le dueragazze, non sopiti ma vieppiù accresciuti dallo scorno subito e daldesiderio di vendetta covato silenziosamente nell’animo, si riaffacciaronoprepotenti.Questa volta però la strada era libera, non era più necessario il favoredelle tenebre: si presentarono una mattina, sfacciatamente impavidi,nell’orto dove le due ragazze stavano raccogliendo i pomodori e,senza tanti convenevoli, le abbrancarono e le stesero nei solchi fra ifilari delle piante.Tecla e Cleofe scalciarono un po’, più per sorpresa che per difesa,poi si adattarono piacevolmente alla bisogna e, soddisfatte, promiseroaltri incontri, ma li vollero più comodi.Nella loro stanza, sul materasso di foglie di pannocchia che adessopotevano crocchiare in libertà, i due conquistatori sfogarono final-mente i desideri tanto a lungo repressi, scambiandosi ripetutamentele due ragazze, che dettero a vedere di gradire assai entrambe lesoluzioni.(c’è un perfetto sottofondo musicale da farsi affiorare nelle orecchiementre i quattro agonisti sono in scena: la celebre ouverture dell’operetta“Cavalleria leggera”, di Franz von Suppé. Il ritmo è quello giusto, nonvi pare ?)Per Nazzareno e Paride fu un mese di baldoria, quello, prima delritorno del Dreoni e della normalità. Unico scotto da pagare, e lopagarono con iniziale riluttanza, ricredendosi poi per l’esito, fu lasoddisfazione che dovettero dare anche all’Argia, che li aveva

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sorpresi tutti e quattro impegnati in quel torneo collettivo: a turno,prima l’uno poi l’altro, dovettero affondare fra le ridondanti graziedella matrona, che seppe spremerli forse anche meglio delle figlie.Poi tornò il padrone e riprese il suo ruolo. Ma ogni venerdì, passandoin piazza, gli pareva adesso di notare che gli sguardi del pubblico,ora un vero pubblico che si dava appuntamento proprio per lospettacolo, si facevano sempre più curiosi, sembrandogli persino divedere negli occhi di alcuni, un sorriso ironico. E le tre donne avantia lui, in testa la Tecla e la Cleofe, seguite dall’Argia, avanzavano conuna baldanza che prima non avevano mai avuto, movendosi ciascunacome su una passerella d’avanspettacolo, avanti le due subrettine, poila matura sciantosa.(naturalmente avrete accompagnato la passerella con il “Can-can”dall’”Orfeo all’inferno” di Offenbach -atto 2°, scena 2^, no? Civoleva!)……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….

La sagra di Costamagna, un misto fra sacra rappresentazione emistero medievale, era un evento la cui nascita si perdeva nel tempo:secondo la leggenda che parlava di un fatto accaduto in pienomedioevo, un giovane, Pasquatius, poi volgarizzato in Pasquazio, daCespàda, arrivato nel borgo di Costamagna da quel lontano paese delsud, si era ribellato al Signore del castello, empio e ateo.Questi, saputolo fervente cristiano, sobillato anche dalla Castellanalussuriosa che del giovane si era invaghita ma che era stata respinta(è un copione che si ripete spesso nella storia dell’uomo, talvoltaingenuo, popolaresco, altre volte tra leggenda e realtà, Fedra eIppolito, Salomè e Jokanaann…), gli aveva imposto di abbandonarela fede.Ma il giovane si era rifiutato ed era stato per questo condannato allafustigazione pubblica, nel cortile del castello, alla presenza deiSignori e di tutto il popolo.La fustigazione era stata così lunga e violenta che il giovane ne era

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uscito morente.La tradizione popolare lo voleva beatificato, per questo, ma l’autoritàecclesiastica non l’aveva riconosciuto tale e quindi per la agiografiaufficiale non esisteva un Beato Pasquatius (o Pasquazio). Ma ilpopolo di Costamagna non poteva rinunciare ad un suo Beato, cosìCostamagna, contro l’autorità ecclesiastica, venerò il suo beato, ilbeato Pasquazio da Cespàda, con la b minuscola, ma sempre beato!E per venerarlo faceva tutti gli anni una sagra, che culminava nellarievocazione storica del martirio, diventata poi un richiamo turistico.

PARIDEChe fatica, portare in fondo l’impresa!Il Bocca, Artemio Belli che era impiegato in comune a Costamagnama era uno del quartiere, mi aveva detto che la pro-loco cercava,come tutti gli anni, le comparse per la festa del beato.Quest’anno però erano nati dei problemi: in città gli americanigiravano un film e le solite comparse, quelle che gli altri anni, perpaghe abbastanza misere, correvano alla chiamata, questa volta,attratte dalle paghe assai più consistenti dei cinematografari americani,avevano risposto picche. Gli organizzatori, diceva il Bocca, erano neiguai: se non riuscivano a trovare subito una sessantina di personedisposte a fare da comparse, la rievocazione rischiava di saltare.Per vie traverse, le mie vie traverse, quelli della pro-loco vennero asapere che in città c’era un buon gruppo di figuranti, già esperti comecomparse di film e spettacoli varii, che avrebbero potuto mettersi adisposizione, se ben pagati.

NAZZARENO

Feci io da intermediario, mentre Paride reclutava ed istruiva ungruppo di sfaccendati del quartiere (c’erano tutti, da Gualtiero alCristini, il Cianca, Bubi, persino Masticabrodo che sperava di aggan-ciare qualche ragazzotta del paese, diceva sbavando) che non dovevanofare altro che stare ai suoi ordini, qualsiasi cosa dicesse, senza parlare.Trattammo la paga: quelli della pro-loco tiravano sul prezzo, ma non

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sapevano che noi sapevamo! Erano nei guai eppure non volevanomollare! Arrivò il regista, un tedesco mingherlino e sudaticcio, Axelsi presentò, dandomi la mano e stringendo la mia con un calore chemi mise un po’ in allarme.Fu lui che convinse gli organizzatori, così alla fine ci accordammo perun’ottima paga. E Axel mi strinse l’occhio con complicità “Esserecontento, no? Io tuo amico, fero?”mentre all’improvvisomi abbracciava,contento di avere risolto tutto, rosso ed eccitato per l’emozionedell’abbraccio che gli era scappato.

IL REGISTA AXEL

Bello quel giovanotto biondo, Nazzareno! Pare un Normanno!Sarebbe proprio giusto per fare il comandante della scorta di mercenari.Si, lo metto a cavallo, in testa al corteo: sarà una magnifica comparsa!Trovatemi un cavallo, subito un cavallo! Un cavallo bianco per ilNormanno, per la sfilata!

IL CIANCA

Eravamo arrivati tutti insieme, con il tram che veniva dalla città: loavevamo riempito, urlando e accalcandoci per salire.Il bigliettaio pretendeva di farci pagare: “Biglietto,signori!” cominciòe continuò sempre più sommessamente nell’indifferenza di tutti.“Paga la pro-loco” gli ha gridato qualcuno con un tono poco confi-denziale che lo ha convinto a desistere.Appena arrivati ci hanno messo tutti, noi figuranti, nella palestra dellascuola elementare e ci hanno dato i costumi.Ci siamo leticati un po’fra di noi perché ciascuno voleva sceglierequelli considerati i più belli e rappresentativi..Sono volate anche delle manate, poi è arrivato il regista, un tedescacciosudato che a tutti è parso un po’ dall’altra parte (“E’ arrivato occhiofino!” ha urlato Bubi quando l’ha visto), e con un po’ di mossettineha cominciato a spiegarci cosa dovevamo fare: “io afere bisogno…io folere…” ci diceva, e noi ridevamo al sentirlo parlare in quel modo.

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Gli avevano detto che eravamo dei professionisti, già addestrati,quindi non si è dilungato tanto.Abbiamo capito che dovevamo fare il popolo minuto, quello cheseguiva il corteo dei nobili e delle pie donne, eravamo la plebe,insomma, come disse il Cristini.

AXEL IL REGISTA

( Beh, vi do un consiglio: immaginate, in sottofondo, un po’di musicacircense!)Beato, tu defi fare così, come io dico…Defi respingere qvestadonna…non fuoi neppure federla…essa fuole te, ma te nonessa…”….

IL DEMIURGO…………………………………………………………………………Axel von Richter, il regista tedesco, era stato invitato dagli orga-nizzatori per dare una spolverata di internazionalità alla manifesta-zione e un taglio un po’ più intellettuale “Bisogna cambiare” avevadetto il nuovo presidente della Pro Loco “E’ l’ora di migliorare l’im-magine della nostra manifestazione: da sagra paesana deve diventareevento artistico!” E Von Richter ci metteva tutta la sua esperienza diregista internazionale, noto per realizzazioni antiaccademichee d’avanguardia: era o non era il rivoluzionario del palcosce-nico?....................................................................................................

PARIDE

Io fino a quel momento mi ero tenuto fuori da tutto, non volevoespormi. Avevo però notato che il “mangiapatate”, il regista Axel,aveva manifestato una certa inclinazione per Nazzareno…mandai luia trattare, e fu una buona idea: Axel, con grandi sorrisi e abbracci, loaccolse con gioia e convinse il consiglio direttivo a seguire i suoiconsigli, per evitare il naufragio della manifestazione: fu così decisodi ordinare alle uniche due trattorie del paese di fornire tutto quello

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che potevano immediatamente approntare per nutrire adeguatamentequella cinquantina di comparse infuriate. Un vibrante abbraccio finaledel tedesco a Nazzareno sancì l’accordo raggiunto!

IL CIANCA

Avevamo vinto! Dopo nemmeno mezz’ora arrivarono cinque o seicamerieri (“solo uomini”aveva raccomandato Nazzareno), con vassoi,teglie e panieri: mezzi polli, braciole fritte, patate arrosto…e soprat-tutto vino, fiaschi di vino, rosso e nero! Fu una battaglia fra noi permangiare e bere quanto più possibile e alla fine, sazi e trasudanti vinodalla pelle, ci apprestammo a dar corso alla nostra interpretazione delpopolaccio minuto, fra rutti e altre emissioni sonore.

PARIDE

Ero salito, come accompagnatore ufficiale della troupe dellecomparse, sulla jeep del regista, che in piedi, dava gli ordini a quelliche aveva scelto come capi dei vari gruppi: le guardie (a capo c’eraNazzareno, a cavallo: faceva un figurone, sembrava un’autorità,anche se non era mai stato a cavallo prima di allora!), i signori delcastello, il Beato, legato al palo e trasportato a spalle dai portatori, le“pie donne”, il popolo lazzarone…Il Cianca aveva ormai assunto ilruolo di guida delle comparse e a lui si rivolgeva il regista per cercaredi calmare il popolo che ormai, sordo ad ogni richiamo, schiamazzavaoscenamente, agitando i fiaschi di vino come se fossero trofei diguerra. Alla fine il corteo si mosse: era un bell’effetto coreografico,come l’aveva volutoAxel il tedesco, ma in coda il popolaccio più chegli ordini del Cianca seguiva ormai gli istinti scatenati dal vino … IlregistaAxel, d’altra parte, pareva contento che tutti quei contrattempiavessero innervosito le comparse: il realismo che voleva dalla loropresenza nel corteo sarebbe risultato ancora più forte! Povero lui!

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IL CIANCA

Non mi danno più retta! Vanno avanti come un branco di caproni,eccitati dal vino e dalla presenza delle donne, la “pie donne” delBeato, che avanzano nel corteo davanti a loro, pregando e invocandoil Beato. Alcuni, i più briachi e eccitati, hanno già abbrancato alcunedi queste…………………Ho sentito delle grida, ho visto Mastica-brodo che correva avanti, e dietro di lui una delle Pie Donne sisbracciava a chiamarlo….“E’ l’Argia, tutt’ossi e nasuta, in paese lachiamano la Pinocchia, sempre affamata di maschi, ma tutti lascansano come la peste! Dopo tante sagre a vuoto questa volta creded’essere riuscita a catturarsi un maschio… e non se lo vuol farscappare!” diceva un paesano accanto a me. E sembrava invece cheanche Masticabrodo, che dice sempre “Basta che respirino!”, questavolta cercasse proprio di scappare!

IL DEMIURGO

Il corteo intanto attraversava il paese medievale, avanzando verso ilcastello, là in cima al colle, nel luogo approntato per la fustigazione,davanti alle tribune del pubblico. Fra gli strilli delle Pie Donne assa-lite, le preghiere e le invocazioni di quelle ignorate, gli urlacci e le im-precazioni dei popolani ubriachi di vino e di voglia di sesso, gliabitanti del paese, assiepati lungo la strada, assistevano stupiti al piùinverecondo dei cortei che la Sagra avesse mai presentato: mai plebefu più plebe di quella che si stava sbracando lungo le strade del paese!Lo spettacolo era però così nuovo e sconvolgente che applaudivanocon entusiasmo e si scalmanavano per mostrare il loro apprezzamentoper le novità introdotte da quel famoso regista venuto apposta dallaGermania. Il quale regista, pur comprendendo che la direzione dellospettacolo gli stava scappando di mano, aveva fatto buon viso a cat-tivo gioco e anzi dava a vedere a tutti come fosse lui l’ideatore diquelle invenzioni registiche così nuove e realistiche. Adesso cercavadi spiegare all’uomo, un paesano che da sempre aveva impersonatoil Beato alla sua maniera casereccia, come doveva interpretare la parte

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dandogli un taglio un po’ più intellettuale. E pensava e gli suggerivale parole di Jokanaan: Chi è questa donna che mi guarda? Io nonvoglio che mi guardi. Perché mi guarda con quegli occhi d’oro sottole ciglia dorate? Non so chi ella sia. Non voglio saperlo. Ditele chese ne vada. Non è a lei che io voglio parlare.Il malcapitato, Nello, il fornaio del paese, non capiva, lo guardavaspaventato “Quelle cose devo dire?” gli si leggeva negli occhi. D’altraparte, poveretto, che ne sapeva lui della Salomé di OscarWilde? E diJokanaan il profeta?

NELLO IL FORNAIO (IL BEATO)

O non andava bene come facevo prima?Mi hanno sempre applaudito!“No Castellana, no! Non ti voglio” gridavo, facendo gli occhi inorri-diti “Sei una puttana, vattene lontana da me, peccatrice! Puniscimipure, non mi avrai mai!” E la gente, gli spettatori, mi gridavano“Bravo! Fai bene, è proprio una puttana!” e si alzavano in piedi ebattevano le mani. Ero così contento che non sentivo neppure le primefrustate che Palmiro, preso dall’interpretazione, mi aveva allungatopiù forti di quelle leggere che gli avevo raccomandato. E adesso,invece…gli occhi d’oro sotto le ciglia dorate! Ma se è la Vanessa, lafigliola del Bechi carrettiere! E’ mora, con un bel paio di poppe chesuscitano libidine solo a guardarle…E gli occhi? Neri e profondi, duetizzoni di carbone infiammati, quando si accendono e ti guardanovogliosi, altro che occhi d’oro e ciglia dorate! E poi perché non devoparlare con lei? E con chi sennò? Io alla castellana degli anni scorsi,la Gisella del Baldi (quest’anno non ha potuto recitare perché s’eradistratta e s’era fatta mettere incinta dal fidanzato) gliene dicevo ditutti i colori e il pubblico si entusiasmava! E di nascosto, poi, sotto-voce le sussurravo, come cerco di fare ora con la Vanessa, cosa leavrei fatto se fosse venuta con me nel bosco, dopo la rappresenta-zione, facendola arrossire dall’eccitazione, con le labbra checominciavano a tremare dal piacere, facendo saltare dalle sedie glispettatori per quella interpretazione così realistica della Castellanavogliosa del Beato!

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LA CASTELLANA (VANESSA DEL BECHI CARRETTIERE)

Veramente più del Beato mi piace quel biondo a cavallo, il coman-dante delle guardie: non l’ho mai visto prima, non è del paese. Diconoche sia un attore del cinema americano…Vedo che mi guarda incontinuazione, forse gli interesso! E questo crucco di regista che miurla di guardare solo il beato, di parlargli con lussuria…eccolo che misuggerisce cosa dire “Perché non mi hai guardata, Iokanaan? (ma chiè questo Iokanaan? Ma non è il Beato?)…tu l’hai visto il tuo Dio,Iokanaan (e dai con Iokanaan! E’ il Beato!) ma me, me…non mi haivisto mai (invece Nello il fornaio mi ha visto, eccòme se mi ha visto!Mi fa certi versi ammiccanti...) Se tu mi avessi vista mi avresti amato.Io ti ho veduto, Iokanaan (no, è il Beato!), e ti ho amato. Se tu miavessi guardato, mi avresti amato…” Io, a questo punto comincio anon capire più niente: sono frastornata! Nascosto dietro la siepe, ilregista continua a sussurrare, chiamandomi Salomè (ma è quella deisette veli? Io non ho sette veli, ho solo questa veste pesante da castel-lana, non posso mica togliermela!), il Beato continua a blateraredandomi di troia e dicendo che non mi vuole, mentre di nascosto miammicca come un vecchio porco… Ma gli spettatori hanno capitosolo gli insulti e applaudono. Io ho ripetuto, un po’ balbettandoconfusa, un po’ gridando, a caso, alcune delle parole del crucco chemi arrivavano alle orecchie da dietro la siepe. Mentre Nello il fornaio,il Beato, legato al palo a ricevere le frustate di Palmiro, strillava daldolore e mescolava lamenti e insulti a me come Castellana, macontinuava ad ammiccare a me come Vanessa sussurrandomi porcate,io invece, con lo sguardo, di sbieco, lanciavo occhiate al biondo acavallo, il capo delle guardie, e vedevo che anche lui mi guardava eleggevo nei suoi occhi quello che mi pareva un richiamo…

NELLO IL FORNAIO (IL BEATO)

“…chi è questa donna che mi guarda? Io non voglio che mi guardi.Perché mi guarda con quegli occhi d’oro sotto le ciglia dorate? Nonso chi ella sia. Non voglio saperlo. Ditele che se ne vada. Non è a lei

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che io voglio parlare” Ecco che mi arriva, da dietro un cespuglio, lavoce del registaAncora lui, il cartoffel, con questa lagna! Porco cane,Palmiro! Frusta più piano, cosa ti è preso? Gli altri anni ci andavileggero, quest’anno hai la mano pesante. Se continui così, quandoscendo ti riempio di cazzotti…

PALMIRO

E’ inutile che tu mi faccia gli occhiacci, Nello, ho capito! Ma hoanche capito che stai facendo il filo alla Vanessa. Ma la Vanessalasciala stare, la Vanessa è mia…Nessuno la deve toccare!

NELLO IL FORNAIO (IL BEATO)

L’hanno toccata, altroché se l’hanno toccata! Che ci faceva al Boscodi Sopra, all’ora di notte, insieme a Nanni del Mulino? L’hanno vistainfrattarsi e l’hanno anche sentita mugolare mugolii di soddisfazione,mentre il Nanni ululava, anche lui!

PALMIRO

Allora non ci ho visto più, la rabbiami èmontata furiosa: ho raddoppiatola forza delle sferzate sul corpo di Nello, che si è messo a gridarecome non aveva mai fatto, contorcendosi tutto sotto le corde che lostringevano legato al palo. Lui gridava e io più gridava più picchiavo!Sul corpo apparivano le prime strisciate di sangue, gli spettatoriapplaudivano come pazzi, il sangue cominciava a colare lungo ilcorpo e la folla si alzava in piedi per l’interpretazione del Beato cosìdrammatica e nuova…

IL DEMIURGO

Finì, come si dice, con un crescendo rossiniano, la rappresentazione:il Beato, sotto le frustate che gli aveva scaricato addosso un Palmiroinferocito, era svenuto e, tutto coperto dal sangue che sgorgava dalle

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ferite (questa volta non si trattava della solita scatola di succo dipomodoro!), veniva tirato giù dal supplizio, fra le lamentazioni dellePie Donne (non tutte però, molte erano state convinte ad altre lamen-tazioni da alcuni popolani e si erano disperse nei vigneti dietro ilcastello), le imprecazioni dei popolani rimasti, la soddisfazioneghignante della Castellana, e veniva trasportato a braccia fuori discena, mentre, ripresosi dallo svenimento, fra un lamento di dolore euna maledizione, cercava di veder dove fosse l’infame Palmiro, a cuigiurava vendetta. (Aproposito: sarebbe opportuno che accompagnasteil finale con la musica dell’ultima scena della “Salomè” di RichardStrauss! Sarebbe il degno coronamento) Fu, quella, la più esaltanteedizione della Sagra di Costamagna, con il supplizio del BeatoPasquazio che passò alla storia per la magnifica e realistica interpre-tazione di Nello, un semplice paesano, fornaio di mestiere ma Beatoper vocazione, e per il contorno di figuranti, così professionisti daparere presi dalla vita reale, come un tempo nel cinema neorealista.Ne parlarono i giornali, le televisioni, non solo quelle nazionali, fe-cero dei lunghi servizi sull’avvenimento, definito importante eventoculturale, fioccarono le interviste…L’architetto Nelli venne confer-mato all’unanimità Presidente della Pro Loco, sull’insegna del fornodi Nello fu aggiunta la dicitura “interprete del Beato Pasquazio nellaSagra di Costamagna” Il famoso e osannato regista internazionaleAxel von Richter poté infine aggiungere al suo già carico “palmarès”il trionfo ottenuto con uno spettacolo innovativo, con cui avevaelevato alla dignità d’arte una sagra paesana, povera e modesta, maautentica.

NAZZARENO

Avevamo guadagnato tutti, con la Sagra! Soldi, notorietà, potere …Io però avevo raccattato qualcosa in più! Bella, la castellana! Conquel magnifico davanzale su cui mi ero arrampicato! E con tutte lealtre dotazioni fuori serie che avevo potuto sperimentare abbondan-temente! Non credevo che fosse così facile. Durante la recita speravoche il cavallo su cui mi avevano legato stesse un po’ fermo e non mi

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facesse temere di essere disarcionato, per mormorarle qualcosa chel’avrebbe eccitata molto più di quanto non facesse vedere con l’inter-pretazione della Castellana: con quella faccia e quel corpo che sudavasesso da tutti i pori, chissà che festa! Le avevo fatto un cenno mentreavevo visto che mi guardava: il lampo che le aveva illuminato gliocchi mi era parso una risposta piena di promesse. Era così, anzi èstato più di quello che mi era parso di leggerle negli occhi: in mezzoalle frasche che delimitavano il palcoscenico, quando lo spettacoloera finito da un pezzo e tutti se ne stavano andando dopo aver festeg-giato, l’avevo presa per la mano e me l’ero trascinata dietro silenzio-samente. Le ultime voci di quelli che ancora rimanevano acommentare il successo e a brindare con le ultime bottiglie diprosecco, coprirono le nostre, di voci, che erano però solo grida egemiti di piacere.

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