Pianificazione strategica e governance urbana nel contesto...

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Pianificazione strategica e governance urbana nel contesto del Mediterraneo a cura di Marcello Balbo Dipartimento di pianificazione, Università Iuav di Venezia La ricerca è stata condotta nel quadro del Progetto Istituzioni pubbliche, economia e società civile nella cooperazione euromediterranea per una governance dello sviluppo sostenibile che valorizzi le risorse ambientali, finanziato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dipartimento per la Programmazione il Coordinamento e gli Affari Economici , Servizio per lo sviluppo e il Potenziamento delle Attività di ricerca (SSPAR), all’interno del FIRB 2003, Programma Strategico “Scienze umane, economiche e sociali”, Progetto Obiettivo “La cooperazione euromediterranea”.

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Pianificazione strategica e governance urbana nel contesto del Mediterraneo

a cura di Marcello Balbo Dipartimento di pianificazione, Università Iuav di Venezia

La ricerca è stata condotta nel quadro del Progetto Istituzioni pubbliche, economia e società

civile nella cooperazione euromediterranea per una governance dello sviluppo sostenibile che valorizzi le risorse ambientali, finanziato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dipartimento per la Programmazione il Coordinamento e gli Affari Economici , Servizio per lo sviluppo e il Potenziamento delle Attività di ricerca (SSPAR), all’interno del FIRB 2003, Programma Strategico “Scienze umane, economiche e sociali”, Progetto Obiettivo “La cooperazione euromediterranea”.

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Indice Pianificazione strategica e governance urbana Marcello Balbo,, Dipartimento di pianificazione, Università Iuav di Venezia 1. Innovazione e dintorni

1.1 Il modello comunicativo 1.2 Il modello multiculturalista 1.3 Il modello redistributivo 1.4 Il modello della “nuova urbanistica”

2. Strategie di pianificazione e pianificazione strategica 3. Il ritorno della pianificazione strategica 4. Pianificazione strategica e governance Bibliografia Pianificazione strategica a Venezia, good urban governance? Federico Sittaro 1. Introduzione 2. Il Piano strategico di Venezia. Impresa eroica e disperata? 3. Esperienze di “carotaggio” a Venezia

3.1 Il parco di San Giuliano a Mestre 3.2 La ‘bataille’ di Punta della Dogana 3.3 L’Arsenale di Venezia

4. Conclusioni Bibliografia

Annessi: materiale Piano Strategico di Venezia Ricognizione attori sociali (Dente et alia 1997) Ricognizione attori costituenti il sistema Venezia Differenze nelle politiche tra prima e seconda versione del piano I materiali del Piano

Pianificazione strategica in Marocco: lo Schéma d’Organisation Fonctionnelle et d’Aménagement (Sofa) dell’Aire Metropolitaine Centrale Mustapha Azaitraoui∗

1. Introduzione 2. La pianificazione del territorio in Marocco 3. Il SOFA : uno schema funzionale della regione urbana 4. L’attuazione del SOFA 5. Rabat-Salé 6. Casablanca: una città in trasformazione 7. Alcune riflessioni conclusive Bibliografia

∗ Dottore di ricerca, Università Ca’ Foscari, IUAV di Venezia e Università Mohamed V di Rabat.

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Pianificazione strategica e governance urbana Marcello Balbo* 1. Innovazioni e dintorni

La pianificazione strategica – nella sua dimensione spaziale† – viene definita come “un

processo sociale attraverso cui attori diversi, con differenti relazioni istituzionali e con ruoli diversi si incontrano per elaborare processi di pianificazione e per sviluppare metodi e strategie per la gestione dei mutamenti spaziali. Tale processo non produce solo risultati formali in termini di proposte di politica e di progetti, ma anche un quadro decisionale che può influenzare gli attori stessi rispetto alle loro attività di investimento e dir regolazione. Può anche produrre nuovi meccanismi di comprensione, di costruzione di accordi, di organizzazione e mobilitazione per influenzare il quadro politico” (Healey et. al., 1997).

La pianificazione strategica si differenzia dunque sostanzialmente dalle impostazioni di tipo normativo-strumentale di governo delle trasformazioni spaziali che contraddistinguono la tradizionale, ma ancora diffusamente utilizzata, pianificazione urbanistica. Riconoscendo la difficoltà di operare in un’ottica a) di tipo sostanzialmente razionalistico fondata sull’idea che i problemi dello sviluppo urbano e territoriale possano essere affrontati identificandone le cause e proponendo i relativi interventi per il loro superamento o attenuazione e b) di tipo tecnocratico, in cui le conoscenze e le formazioni specialistiche sono quelle meglio in grado di analizzare tali cause e di conseguenza proporre le azioni più efficaci, la pianificazione strategica – e i relativi piani strategici – sposta l’attenzione da una razionalità strumentale, appunto, a quella che viene definita una razionalità “comunicativa”, dove le azioni sono il risultato dell’interrelazione tra i diversi attori.

In questo quadro la pianificazione strategica costituisce – o viene considerata come – un orientamento ai problemi del governo del territorio e della città di segno fortemente più democratico rispetto a quello della pianificazione “analitica” o “sinottica”, e molto più consono agli attuali caratteri reticolari delle società urbane e delle loro trasformazioni.

Tuttavia, il dibattito intorno alla maggiore appropriatezza di un approccio strategico al governo delle trasformazioni dello spazio è aperto. Nella letteratura sulle teorie della pianificazione, viene unanimemente riconosciuto (Fainstein, 2000; Healey et al., 1997) che a partire dagli anni settanta l’impostazione razionalista (positivista) che aveva caratterizzato la pianificazione nei decenni precedenti, è stata largamente abbandonata e si sono venuti definendo essenzialmente tre tipi di impostazioni: i) l’impostazione di tipo comunicativo (o collaborativo); ii) l’impostazione multiculturalista; iii) un’impostazione di tipo redistributivo (just city) e iv) un’impostazione di tipo spaziale, più legata alle origini dell’urbanistica tradizionale.

Le diverse impostazioni riflettono la costante e irrisolta dicotomia tra chi guarda alla pianificazione come un insieme di strumenti il cui obiettivo primo è modificare le condizioni dell’organizzazione spaziale (outcome) e chi invece considera la pianificazione come un processo il cui valore primo sta appunto nella sua dimensione processuale, indipendentemente dai risultati che riesce a ottenere. Era questa, d’altra parte, la connotazione anche dell’impostazione razionalista, che teneva in assai poco o nullo conto gli elementi di contesto in cui il processo pianificatorio aveva luogo, in prima istanza i rapporti di forza tra i diversi attori. Come è stato sottolineato (Beauregard, 1987), gli elementi di razionalità scientifica che informavano l’approccio positivista del dopoguerra di fatto lo portavano a non avere né un oggetto né un soggetto, ma a portare l’attenzione esclusivamente, come si è detto, sui caratteri del processo di pianificazione, sulla previsione degli effetti e sulla valutazione dei risultati. Di fatto, in quegli anni, come è noto, le scelte di trasformazione del territorio e della città sono state lasciate in buona misura alla pianificazione urbanistica che, sostanzialmente attraverso gli strumenti dello zoning, ha imposto regole e norme cui tale trasformazione ha dovuto sottostare, per lo meno in certa misura.

Ovviamente le diverse impostazioni non si discostano completamente l’una dall’altra:in particolare, nel loro comune rifiuto dell’approccio positivista, dell’idea che la pianificazione possa essere basata unicamente su un processo razionale di tipo top-down, le tre impostazioni oggi più correnti sono da considerarsi tutte di ispirazione post-positivista. Tuttavia, le differenze

* Dipartimento di pianificazione, Università Iuav di Venezia † Con il termine “pianificazione strategica” nel testo si farà riferimento alla dimensione spaziale di tale impostazione.

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appaiono marcate e permettono di delineare con sufficiente nettezza specificità e differenze di ciascuna.

1.1 - Il modello comunicativo La pianificazione comunicativa, o collaborativa, trova le sue radici nel pensiero

habermasiano sulla razionalità comunicativa (Habermas, 1985, 1986). Nella prospettiva del modello comunicativo, il compito principale del planner non è più quello di condurre analisi scientifiche per arrivare a proporre soluzioni razionali, quanto quello di facilitare l’emergere di esigenze e priorità dei diversi attori, a partire dalle quali aiutare a costruire un consenso su direzioni di intervento (e dunque soluzioni ai problemi identificati) condivise. A partire dalle sue conoscenze e capacità “tecniche”, il pianificatore deve dunque aiutare l’esplicitarsi delle diverse posizioni perché si trovi a un punto di accordo.

Assunzione di fondo di questa impostazione – come in fondo di tutta la riflessione condotta da Habermas – è che, all’interno della gerarchia economica e sociale, vi è un sostanziale equilibrio nei pesi dei diversi attori in campo e/o che la validità di un’argomentazione è sufficiente a convogliare le scelte verso le azioni che ad essa conseguono o dovrebbero conseguire.

Le critiche a tale impostazione si appuntano sulla sua dimensione “morale” e sul fatto di non prendere sufficientemente in considerazione i rapporti di forza reali, quelli che determinano che un’argomentazione abbia di fatto una validità “maggiore” o “minore”. Per questo, secondo alcuni autori (Huxley, Yiftachel, 1999; Fainstein, 2000), quando la pianificazione comunicativa passa dal piano della critica a quello dell’azione, la capacità di guidare i processi di trasformazione spaziale mostra i limiti di un’impostazione non sostenuta da un posizionamento esplicito rispetto ai rapporti politico-economici che di fatto determinano quei processi e quelle trasformazioni.

I teorici della pianificazione comunicativa pongono al centro dell’attenzione il ruolo del pianificatore. Secondo alcuni, il compito di quest’ultimo è quello di “ascoltare” le diverse posizioni, le loro ragioni, le azioni che ogni attore intraprende, in che modo le conduce e sulla base di quali motivazioni (Forester, 1993). In questo modo però la pianificazione comunicativa sposta il centro dell’attenzione da quello che la pianificazione dovrebbe fare per guidare le trasformazioni territoriali e urbane, a quello che il planner dovrebbe essere nel processo di pianificazione, “e la risposta è che dovrebbe essere onesto (good)” (Fainstein, 2000), il che configura il planner come un soggetto “neutrale” all’interno del processo di pianificazione, di fatto in una posizione non particolarmente dissimile da quella che l’impostazione positivista degli anni sessanta assegnava al planner in quanto “esperto” o “tecnico” illuminato e non schierato.

Un secondo elemento di critica porta sull’operatività del modello comunicativo in un contesto territoriale ampio, dove priorità, interessi e capacità sono inevitabilmente fortemente diversificati. Viene sottolineato come la partecipazione degli attori urbani, che deve essere necessariamente ampia perché la prospettiva collaborativi assuma significato, diventa inevitabilmente difficile quando i confini territoriali si ampliano (Fainstein, 2000). Non solo e non tanto per la difficoltà di mobilitare comunità di interessi intorno a questioni di rilievo non diretto rispetto alle loro priorità, quanto perché la cognizione di problemi a queste non immediatamente connessi è largamente connessa al posizionamento all’interno della gerarchia sociale di un territorio. E’ ben noto che la partecipazione come meccanismo per influenzare le scelte di pianificazione, deve esser sostenuta da altri elementi, primi fra tutti l’accesso all’informazione e la capacità di elaborarla, organizzazione e comunicazione. La diversa accessibilità dei diversi attori a questi elementi mette in seria discussione la praticabilità del modello comunicativo.

Le critiche al modello comunicativo non significano ovviamente che esso non contenga elementi utili alla migliore comprensione dei problemi e degli interessi esistenti, o che non possa apportare elementi che aiutano l’identificazione di alternative efficaci e/o equitative. Tuttavia, ciò che viene messo in evidenza è l’indispensabilità di situare l’attività pianificatoria nel contesto ampio dei rapporti di forza esistenti tra attori e tra interessi, e l’inadeguatezza di una visione che confini il ruolo del pianificatore all’interno di un’azione orientata a facilitare la costruzione di soluzioni consensuali tra diversi interessi ipoteticamente ma anche erroneamente ritenuti equipotenziali.

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1.2 - Il modello multiculturalista Benché per certi aspetti si discosti in misura significativa dal modello comunicativo,

l’approccio multiculturalista ne viene considerato sostanzialmente un’estensione. Entrambi gli approcci infatti spostano il fuoco dell’azione pianificatoria dai risultati al processo e dagli effetti alla consapevolezza di condizioni e ruoli. L’ipotesi da cui muove l’approccio multiculturalista è che non esiste una società, ma che ogni società si struttura sulla base delle relazioni che si instaurano tra componenti culturalmente diverse, relazioni determinate da variabili diverse come il genere, la razza o l’appartenenza etnica (Sandercock, 2000). Lo scenario in cui la pianificazione interviene è uno scenario non di universalismo ma di diversità e differenze: diversità e differenze che rappresentano la risorsa su cui basare l’azione. Nel modello multiculturalista, l’azione pianificatoria non ha come obiettivo il superamento delle diversità ma, al contrario, il loro emergere, affermarsi e consolidarsi.

In questo contesto il ruolo del pianificatore diventa allora quello di collegare conoscenza e azione, avendo come obiettivo la costruzione, o il rafforzamento, della capacità di espressione e negoziazione da parte dei gruppi più deboli, sostenendo favorendo il riconoscimento della loro identità specifica. Sotto questo profilo, l’approccio multiculturalista si avvicina al modello redistributivo, nel senso che il rafforzamento delle diversità all’interno della società urbana costituisce lo strumento per far valere le proprie richieste da parte dei gruppi più deboli, aumentandone la capacità negoziale. Ne consegue l’importanza del sapere e delle pratiche locali, di conseguenza, la capacità da parte della pianificazione di capire e valorizzare i modi di funzionare e di organizzarsi dei diversi gruppi che si muovono nello spazio urbano.

Come nel modello comunicativo, anche quello multiculturalista considera la possibilità di costruire il consenso tra diversi attori urbani. Tuttavia l’attenzione è portata non sul consenso collettivo, ma su un consenso “parziale”, cioè tra i gruppi deboli della società, in un’ottica di negoziazione conflittuale con lo stato. Il problema, non piccolo, che si pone con questa impostazione è relativo all’accettabilità delle istanze sollevate e al modo di valutarle, selezionarle e ammetterle al tavolo della negoziazione.

1.3 - Il modello redistributivo Obiettivo esplicito del modello redistributivo è il raggiungimento, attraverso l’intervento

pianificatorio, di una più equa distribuzione delle risorse tra i diversi gruppi di popolazione. Si tratta cioè di un paradigma che guarda al risultato come indicatore della propria efficacia, considerando che un miglioramento del solo processo di pianificazione, come fa invece il modello comunicativo, non sia obiettivo sufficiente.

Anche il modello redistributivo muove dall’assunzione che nella società esistano interessi conflittuali e che quindi la partecipazione serva, e vada ricercata, per far sì che i gruppi sociali più deboli possano far emergere le loro domande. Le differenze e l’azione per affermarle – il conflitto – sono dunque strumento essenziale per ottenere un risultato redistributivo, una visione che fa riferimento agli attori urbani, con ruoli e posizioni ben definite all’interno della gerarchia sociale e dunque portatori di visioni “politiche” diverse. Si tratta di una sostanziale differenza – anche terminologica - rispetto all’impostazione del modello comunicativo che fa riferimento a stakeholders, soggetti cioè portatori di interessi diversi ma che, attraverso la mediazione del processo di pianificazione, possono tendenzialmente essere conciliati all’interno di una qualche idea di interesse collettivo o, quanto meno, di un interesse condiviso.

In questo quadro il modello resdistributivo vede, come principali interlocutori dell’attività pianificatoria, i movimenti sociali urbani e le loro leadership. Soggetti della pianificazione non sono né gli “esperti” né l’amministrazione pubblica, di cui si afferma l’impossibilità di essere “neutrali” se non per qualche individualità che però non può incidere sul funzionamento dell’apparato complessivo. Si guarda dunque alla società civile, ai movimenti sociali urbani, alle associazioni come agli unici interlocutori validi per ottenere modifiche significative nella distribuzione delle risorse.

Ne consegue che uno dei principali elementi che connotano il modello redistributivo è la critica all’idea che la partecipazione sia un valore in sé, al di là del tipo di interessi che vengono presentati e sostenuti dai diversi stakeholders, che invece possono essere del tutto antidemocratici, e al di là delle capacità di espressione che questi hanno, ovviamente diversi in termini di capacità di farsi ascoltare. La partecipazione, dunque, deve essere valutata non solo

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e non tanto nelle sue dimensioni processuali e procedurali, ma per i contenuti che attraverso di essa vengono messi in campo.

In questa logica, secondo il modello redistributivo scopo primario della pianificazione è promuovere la mobilitazione sociale per sostenere le domande, tendenzialmente antagoniste, dei movimenti urbani che si battono per, appunto, una diversa distribuzione delle risorse: l’abitazione, i servizi urbani, i trasporti, l’ambiente ecc. Per i teorici di questa impostazione la priorità è quella di “mobilitare un pubblico, non di prescrivere una metodologia a tecnici e amministratori” (Fainstein, 2000).

Sotto il profilo spaziale, il modello considera che l’organizzazione dello spazio ha significativi ricadute a livello di redistribuzione delle risorse, in particolare in termini di esclusione sociale attraverso la crescente frammentazione del tessuto urbano di, in primo luogo, buona parte delle città dei paesi in via di sviluppo. Tuttavia, su questo aspetto i punti di vista sono molto articolati e la maggior parte degli studiosi (Harvey, 2000; Jenks and Burgess, 2000) rifiuta l’ipotesi che esista una forma urbana capace di offrire elementi redistributivi maggiori di altre, come invece alcuni sembrano proporre (Fainstein, 2000)

1.4 - Il modello della “nuova urbanistica” In realtà, più che di un nuovo modello si tratta della permanenza del pensiero e delle

prospettive alla base stessa dell’urbanistica e del suo affermarsi come disciplina autonoma tanto da farla assurgere, per molti anni, a elemento centrale della pianificazione, e che assegnano valenze sociali alla qualità della costruzione e dell’organizzazione dello spazio. La mixità di funzioni e di gruppi sociali, quartieri urbanisticamente ben disegnati, alloggi progettati intelligentemente in modo da favorire le interrelazioni tra gli abitanti, spazi pubblici accoglienti e sicuri sono visti come strumenti centrali per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione urbana.

La spinta più forte a questo tipo di impostazione è venuta, soprattutto negli ultimi decenni, da studiosi statunitensi, dove il problema dello sprawl si è posto con evidenza come fattore di eccessivo e inefficiente consumo di suolo, generatore di traffico e dunque di effetti negativi sull’ambiente, causa rilevante dell’innalzamento dei livelli di insicurezza e, più in generale, della frammentazione spaziale che sembra caratterizzare sempre più le città nordamericane e che mette in discussione il carattere primario della città come luogo di incontro e di scambio culturale oltre che materiale.

La ”nuova urbanistica” tuttavia sta riacquisendo uno spazio rilevante anche in altri contesti.

Secondo alcuni The design of the built environment, the distribution of urban density, and their impacts on social inclusion and quality of life, are at the forefront of political discussions in cities across the globe. More often than not, traditional models of urban growth and theories of city form fail to explain the dynamics now evident both in the networked global city, which thrives as a new economic centrality in the world system, and in the mega-city, which faces severe pressures generated by its own relentless growth. (…). The development patterns of these cities generate important conceptual and practical questions and should prompt us to rethink basic notions of urbanity and “city-ness” (Urban Age, 2005)

Ancora, tra i molti esempi che si possono offrire, un programma condotto congiuntamente i

tra le Nazioni Unite e un’università europea in tre città secondarie di Marocco, Kenya e Vietnam, ha posto tra i suoi obiettivi (probabilmente il principale)

To contribute significantly to a more grounded capitalisation on the locus – an oft-lacking element of urban policy and strategy – and on the experiences and potentials of the local place, the setting and its people: its natural and built environment and its spatial qualities, built patrimony and heritage, landscapes, vistas, axes, landmarks, nodes and multi-layered urban tissues. In other words, the entire collective memory of its locally as well as built up by generations of people having shaped their places and also having developed their present-day civic reality (UN-Habitat and PGHCS, 2004)

In modo ancora più esplicito

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In the development of the city, strategic urban projects play a key role…Strategic projects have lasting effects that alleviate urban needs, deal with a problematic and are collectively experienced and evaluated. This is what projects do. They realise things – small and large – concretely…(Strategic urban projects) turn the tide, in a lasting way, of a fundamental characteristics of a city…Secondly, strategic projects have the capacity to link, mediate and organise multiple actions and actor(s). Their spatial role in mediation stems from the numerous gaps and anomalies of the built environment, including missing or divided urban functions and the coexistence of contradictory or opposing elements…Strategic urban projects make a difference; they are indicators of future development – producers of identity. They support and strengthen the identity of the city and its inhabitants. This characteristic necessitates considerable design skills and aesthetic sensibilities, qualities that are often neglected in urban development initiative (De Meulder et al., 2004, pp. 190-192).

In alcuni casi la “nuova urbanistica” si spinge fino ad assegnare un ruolo esplicitamente politico alla progettazione urbana, vedendo in essa uno strumento di negoziazione e di composizione tra interessi diversi, una “necessità inevitabile”.

Negotiation by design allows for multiple dialogues between urbanists, policy-makers, inhabitants and special interest groups, investors and stakeholders. Design as a medium of reflection and negotiation is not passive, but serves as an active and evolving instrument through which suggestions are absorbed, processed and incorporated, alternatives generated, and conflicts resolved (ibid., p. 194).

Del resto, anche se in modo contraddittorio rispetto ad alcuni degli obiettivi della “nuova

urbanistica”, un sostegno a questo tipo di impostazione viene da molte città di paesi in via dei paesi in via di sviluppo. A San Paolo, Buenos Aires e Bogotà, come a Nairobi e Lagos, ma anche e in misura crescente a Delhi e Karachi, l’acuirsi della polarizzazione sociale a seguito dei programmi di aggiustamento strutturale prima, e delle politiche di liberalizzazione poi, ha portato a un marcato aumento della violenza urbana. A fronte dell’impossibilità – o della non volontà – di contenere la spinta alle disuguaglianze, una parte della popolazione a reddito alto e medio-alto si è rifugiata in spazi fisicamente chiusi (barrios cerrados, condominios fechados, closed colonies) e accessibili solo a chi vi abita. La “nuova urbanistica” in questi casi propone quartieri disegnati con l’obiettivo esplicito di essere altro dal contesto urbano in cui si collocano, spesso del tutto autosufficienti (dai servizi commerciali alle scuole alle strutture per il tempo libero) all’interno dei quali ci si può muovere in assoluta sicurezza in mezzo a una popolazione socialmente omogenea, dunque uguale e non pericolosa‡. In questo sta poi la contraddizione di questo tipo di nuova urbanistica, che di fatto nega uno degli assunti degli elementi per così dire teorici del modello, cioè la diversità sociale – ancor prima che il mix funzionale – come elemento indispensabile per un’organizzazione spaziale e sociale più equilibrata, solidale e sostenibile.

Il contributo del modello della “nuova urbanistica” viene visto principalmente nella sua dimensione normativa, nel fatto cioè di (ri)asserire la validità di un determinismo spaziale tipico della tradizione dell’urbanistica “disegnata”, in cui il pianificatore svolge un ruolo centrale che trova giustificazione nelle sue conoscenze specialistiche. In questo modo, la “nuova urbanistica” si differenzia sostanzialmente dalla pianificazione comunicativa e dalla sua ricerca di una governance urbana basata su, e che porti a, il consenso tra gli attori in campo. 2. – Strategie di pianificazione e pianificazione strategica

La pianificazione strategica è stata Introdotta intorno alla metà degli anni sessanta in diversi paesi europei come la Francia, la Gran Bretagna e l’Olanda, attraverso piani di inquadramento (Structure Plans, Schémas Directeurs) che, in misura molto più marcata del Master plan o del Plan d’urbanisme tradizionale, associavano alla dimensione spaziale quella socio-economica. Pur avendo come obiettivo il controllo e la normazione delle trasformazioni spaziali, quella che è stata definita “l’illusione razionalistica della pianificazione sistemica” (Gibelli, 1996 fondava le proprie opzioni su analisi e valutazioni di carattere complessivo, estese su un orizzonte sempre

‡ In realtà il livello di suicidi tra i giovani cresciuti a Alphaville – uno dei più noti insediamenti di questo tipo realizzato in diverse città del Brasile – risulta essere particolarmente elevato

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non breve e sempre con chiare dimensioni di intersettorialità e, appunto, sistemiche. In questo modo i piani di uso del suolo di quegli anni rappresentavano elementi di riferimento per gli investimenti urbani, ma anche impostanti strumenti per la definizione di vere e proprie “strategie” di sviluppo per la città e il territorio.

Sulla spinta delle pressioni neoliberistiche e deregolamentative degli anni ottanta, la pianificazione strategica è stata sostituita da modalità di pianificazione largamente se non totalmente diverse. I cambiamenti che cominciavano a prodursi, dalle dismissioni di grandi aree industriali, alle modificazioni profonde delle basi delle economie urbane op alla formazione di vere e proprie regioni urbane, per citarne solo alcuni, richiedevano strumenti ben diversi da quelli di cui disponevano le amministrazioni locali. Attori sempre più centrali nel governo delle trasformazioni urbane, in quegli anni i governi locali passarono a politiche molto meno “di piano” e molto più “di progetto”. L’obiettivo era da un lato di rispondere alle trasformazioni che si stavano realizzando, si potrebbe dire “colpo su colpo”, dato che quasi ovunque esse si presentavano sotto le vesti di elementi di una crisi urbana i cui contorni non erano definibili, quelli relativi agli elementi spaziali della e nella città ma soprattutto quelli economici e sociali; dall’altro lato occorreva approfittare di tutte le opportunità che si potevano offrire, anche là dove risultavano poco o per nulla congruenti con visioni complessive e di lungo periodo messe a punto in eventuali piani di struttura o schemi direttori.

La sostituzione della pianificazione per progetti alla pianificazione di piano è derivata largamente dalla necessità da parte delle amministrazioni locali di contare sulle risorse private per la realizzazione dei progetti attraverso forme di partenariato, dunque di negoziazione, maggiore flessibilità normativa e rapidità procedurale, viste come ostacoli che occorreva superare rispetto ai piani di stile tradizionale,.

La pianificazione per progetti, di fatto, ha abbandonato una visione strategica intesa come processo attraverso cui si delineano orizzonti e strumentazioni per la gestione dei mutamenti spaziali giustificati sulla base di un “interesse generale”. Anche se non vi è dubbio che l’operare per progetti si fonda sull’incontro tra attori “con differenti relazioni istituzionali e con ruoli diversi… per sviluppare metodi e strategie per la gestione dei mutamenti spaziali” – come si è sottolineato precedentemente una delle caratteristiche della pianificazione strategica - l’incontro e la negoziazione hanno però come obiettivo la trasformazione di luoghi limitati e delimitati, nella maggior parte dei casi da condizioni e contingenze determinate dal mercato immobiliare e che poco hanno dunque a che vedere con una strategia di sviluppo urbano o territoriale.

Paradossalmente però, proprio l’apertura dei mercati e l’affermarsi della globalizzazione, ha imposto un’ulteriore revisione dei caratteri della pianificazione.(Salet, Faludi, 2000). L’operare secondo una prospettiva “progettuale”, dunque quasi inevitabilmente puntuale e frammentata, ha fatto emergere, a fronte proprio dell’incertezza e dell’oscillazione dei mutamenti, l’urgenza di costruire quadri di riferimento quanto meno di medio periodo all’interno dei quali situare – o quanto meno tentare di collocare – decisioni prese sulla spinta di necessità o di opportunità che si presentavano nell’immediato: dal punto di vista dell’organizzazione urbana, i progetti appunto. Le ragioni della ripresa di interesse per un approccio strategico sono da ricercarsi dunque nel fatto che le esperienze degli anni ottanta hanno mostrato i limiti di un metodo che, certamente più flessibile e malleabile rispetto a approcci e strumenti di piano più generali, apriva però nuovi conflitti con i soggetti non inclusi nei “progetti di piano”. Soprattutto, la pianificazione per progetti si è rivelata inadeguata a fronte del nuovo scenario che si è delineato in quegli anni, caratterizzato non solo dai processi di globalizzazione, ma anche dal conseguente complessificarsi degli attori che operavano sulla scena urbana.

“…pur mantenedo saldo l’approccio performativo e flessibile del modello [di pianificazione per progetti]…[l’approccio strategico corrente] sembra segnalare una presa di distanza dall’approccio utilitarista, in cui gli attori sono soltanto detentori di interessi, a favore di un approccio contratualistya, in cui gli attori possono ridefinire nel tempo gli interessi; di qui la maggiore attenzione per la valorizzazione di processi di auto-organizzazione e aggregazione locale che si traduce in un modello di pianificazione ‘eclettico’, che tenta di cpmbimnare e integrare politiche ‘dall’alto’ e ‘dal basso’” (Gibelli, 1996).. Come ormai diffusamente rilevato, con i processi di globalizzazione il ruolo delle città si è

modificato sostanzialmente, e con esso quello dei soggetti deputati a governarne le trasformazioni e le capacità l’impatto degli attori che vi operano. La crescente internazionalizzazione degli scambi legata allo sviluppo delle reti di comunicazione ha portato all’inevitabile riduzione delle capacità e del ruolo di regolazione che gli stati nazionali avevano

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accumulato durante il secolo scorso. Se ancora fino alla fine degli anni ottanta si poteva ritenere che i governi centrali disponessero di capacità per orientare localizzazione e allocazione degli investimenti privati, l’abbattimento dei confini geografici e delle frontiere normative conseguente alla nuova mobilità di beni e capitali ha messo in evidenza come i loro margini di azione siano sempre minori.

A questo si aggiungono le tendenze alla polarizzazione che caratterizzano in maniera sempre più marcata i territori locali. La mobilità resa possibile dallo sviluppo dei sistemi di comunicazione di trasporto ha determinato una “nuova divaricazione tra potere e obblighi sociali” (Bauman, 1999). La principale conseguenza di questa divaricazione sta nel fatto che chi ha accesso a tale mobilità - una minoranza in termini numerici, ma che si colloca nella parte alta della gerarchia economica e sociale – si trova in una condizione di non-territorialità, non sente più alcun legame di appartenenza con un territorio, una località, considerandosi dunque libero “dal dovere di contribuire alla vita quotidiana e al perpetuarsi della comunità civile”.

In questi anni è emerso con evidenza che i soggetti che con le loro decisioni contribuiscono a modificare l’organizzazione spaziale sono sempre più numerosi e sempre più complesse le loro relazioni. Si sottolinea la “frammentazione” del sistema degli attori che intervengono nella città nel territorio e la conseguente frammentazione dello spazio a livello urbano e regionale, in particolare nelle economie più deboli (Balbo, 1993; Navez-Bouchanine, 2002), ma non solo. Con la riduzione delle politiche welfaristiche e del ruolo dello stato, sempre più rilevante è diventato il ruolo degli attori locali, al centro del sistema dei quali sta spesso – anche se non sempre – l’amministrazione locale.

Le politiche di decentramento assunte a partire dalla fine degli anni ottanta praticamente da tutti i paesi, sia nel Nord economicamente forte che nel Sud del mondo, anche quelli da sempre marcatamente centralistici, sono stati prima di tutto l’inevitabile risposta alle conseguenze che le spinte liberistiche e deregolamentative hanno avuto sulle fasce più deboli della popolazione urbana. Con il decentramento delle responsabilità della gestione urbana, i governi locali sono chiamati a rispondere ai problemi posti dalla privatizzazione dei servizi con le relative crescenti difficoltà di accesso da parte della popolazione a reddito più basso, dalla sempre più marcata flessibilizzazione del mercato del lavoro e dunque l’esclusione di quote crescenti della popolazione dai settori “formali” dell’economia, nelle città dei paesi in via di sviluppo dalla continua espansione di insediamenti e di attività informali.

Le politiche di decentramento si accompagnano però anche a un cambiamento di ruolo cui sono chiamati i governi locali. Globalizzazione – con il corollario della liberalizzazione dei mercati - significa infatti competizione tra città e territori, in particolare ma non solo dei paesi in via di sviluppo, per cercare di attirare capitali e investimenti. I governi locali, ormai sempre più centro delle politiche di sviluppo locale, hanno dunque visto modificarsi il proprio ruolo da “amministrazione locale” a quello di effettivi policy makers, le cui decisioni concorrono in maniera determinante allo sviluppo dei loro territori. In questo contesto la pianificazione spaziale è stata obbligata a riacquisire le dimensioni strategiche che l’azione locale “per progetti” lòe aveva fatto perdere.

Un secondo elemento di mutamento è dato dal passaggio da una società e da politiche fondate su una concezione welfaristica dello stato, dove è appunto lo stato il principale o addirittura unico produttore e erogatore di servizi delle quali, a uno scenario in cui il mercato è diventato il meccanismo o principale per l’erogazione dei servizi alle persone, al più supportato, o a volte sostituito dalla famiglia. Gli insufficienti risultati, o i veri e propri fallimenti, che in molti casi l’intervento pubblico ha fatto registrare nelle politiche dei servizi, ma anche in quelle di controllo e promozione dello sviluppo urbano, hanno prodotto – come noto – una spinta a limitare il ruolo del settore pubblico e a promuovere la presenza privata per la fornitura di servizi e infrastrutture. In questa evoluzione lo stato è passato dunque da un ruolo di fornitore diretto, a uno di “facilitatore”, il cui compito è diventato cioè definire il quadro generale – livelli quantitativi e qualitativi, procedure, controlli, ecc. – all’interno del quale i servizi devono essere forniti, ma da imprese, aziende, società, associazioni, sempre meno da enti pubblici.

Un terzo fattore è costituito dall’attenzione portata alle questioni ambientali e, in concomitanza, della sostenibilità. Crescita e sviluppo economico vengono misurati ormai inevitabilmente sullo sfondo di valutazioni più o meno esplicite e più o meno solide circa le loro ricadute sull’ambiente e sull’impatto che si ritiene possano avere sulle generazioni future. Questo allargamento degli orizzonti valutativi ha come correlato un ampliamento degli interessi in campo e dei soggetti di cui tener conto. Come si è segnalato più sopra, una delle ragioni per cui la prospettiva normativo-strumentale che caratterizzava la pianificazione urbanistica degli anni sessanta e settanta è risultata inefficace, sta proprio nel fatto che la relazione lineare tra

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problemi (analisi) e soluzioni (interventi) su cui essa fondava la propria azione si è dimostrata sostanzialmente inadeguata rispetto alla complessità degli attori, degli interessi e del sistema di relazioni tra gli uni e gli altri a partire dai quali si generano le trasformazioni nella città e nel territorio.

Questi cambiamenti hanno avuto inevitabili ricadute sugli assetti economici e sociali delle società urbane, come sulle scelte di organizzazione dello spazio. Le complesse reti di relazioni che si sono venute costruendo come risultato della ristrutturazione postindustriale, si sono andate sviluppando sia a livello locale (tipicamente i distretti industriali italiani) che a livello nazionale o internazionale (attraverso la delocalizzazione ma non solo). In questo contesto, dal punto di vista delle scelte localizzative lo spazio diventa una risorsa o un ostacolo, essenzialmente per le sue qualità, non più per il tipo di risorse materiali che esso può offrire. Il carattere ormai sostanzialmente foot-loose della maggior parte delle produzioni fa sì che ciò che conta nelle scelte di localizzazione sono sostanzialmente il costo e la qualità della manod’opera, l’accesso a - e la disponibilità di - servizi specializzati, il livello possibile di mobilità e, in molti casi, qualità “ambientali” attrattive per i knowledge-workers da cui dipendono in misura crescente le sorti di società e imprese.

Per questo, benché “l’unità spaziale, costruita sulla base di preferenze collettive, continui a essere vista come il livello più elevato dell’azione strategica” si sottolinea come “la pianificazione strategica deve configurarsi come un comprehensive approach to planning, piuttosto che un qualcosa che porta a costruire una generale zonizzazione e un’organizzazione spaziale” (Salet, 2000). 3 –La pianificazione strategica

La pianificazione strategica viene definita come “uno sforzo ordinato teso a produrre decisioni e azioni fondamentali che definiscono e guidano i caratteri di un’organizzazione, che cosa essa fa e le ragioni per cui lo fa” (Bryson, 1988). Come noto, la pianificazione strategica è stata pensata per organizzazioni di tipo economico con l’obiettivo di migliorarne le performance. Tuttavia, gli elementi portanti su cui si fonda una prospettiva strategica in quanto corporate strategic planning possono essere utilmente trasferiti, e con utilità, al funzionamento di contesti sociali locali. In particolare, per quanto riguarda l’organizzazione dello spazio a livello locale e le sue trasformazioni, mano a mano che ci si rendeva conto della complessità dei fenomeni che intervenivano a determinarle, ci si è resi conto in misura crescente che occorreva fondare l’azione di governo su alcuni elementi: a) un’idea sufficientemente chiara e condivisa degli obiettivi di lungo periodo che si intendono

raggiungere (visione) b) delle politiche, strumenti e modalità di intervento effettivamente attivabili per realizzarli

(strategie) c) una valutazione dell’ammontare delle risorse realmente disponibili (bilanci) d) dei meccanismi per verificare che ci si sta muovendo nella direzione desiderata

(monitoraggio e valutazione) Il carattere strategico di questo tipo di pianificazione deriva dall’impostazione che viene dato

all’intero processo e che ne determina i tratti distintivo rispetto ad altre impostazioni. L’obiettivo cui essa si colloca è quella di un disegno complessivo che permetta di delineare efficaci modalità di intervento, identificando con sufficiente precisione le azioni che occorre mettere in atto e il percorso che si intende seguire. Un ulteriore obiettivo è che le decisioni vengano adottate in piena consapevolezza di ciò che esse comportano – o quanto meno possono comportare – in futuro, un modo di porsi che richiede la costruzione di uno scenario di riferimento solido su cui far poggiare il sistema di decisioni che vengono assunte.

Un’impostazione di questo tipo richiede un approccio multisettoriale sia a livello analitico che decisionale, favorendo dunque una maggiore integrazione tra settori e servizi dell’amministrazione e di questi con i diversi soggetti pubblici e privati che operano nel territorio. A sua volta, questo tipo di impostazione facilita la costruzione di reti di informazione e di scambio, molto più reattive ai cambiamenti di quanto siano, normalmente, organizzazioni che operano secondo schemi tendenzialmente verticali e di tipo gerarchico (Bryson, Einsweiler, 1988).

Come si può rilevare, la pianificazione strategia è dunque principalmente un insieme di concetti, procedure e strumenti che di per sé non garantiscono che gli obiettivi vengano

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raggiunti. La loro realizzazione, anche parziale, richiede l’esistenza di un certo numero di condizioni: − un soggetto con sufficiente autorevolezza e autorità per garantire legittimità all’intero

processo di panificazione; − almeno un leader capace di fornire la necessaria dinamica al processo; − un insieme di istanze accompagnamento (commissioni, comitati, consulenti) con il compito

di seguire lo svolgersi del processo, fornendo il supporto, anche operativo, necessario; − l’abilità e l’intelligenza richieste per superare ostacoli, scostamenti, ritardi con cui una

impostazione di tipo strategico si trova inevitabilmente a confrontarsi; − sufficiente flessibilità rispetto all’idea di cosa un piano strategico effettivamente sia o

dovrebbe essere; − la capacità di mettere insieme le persone e le informazioni rilevanti nei momenti critici del

processo, quando occorre prendere decisioni che possono avere conseguenze cruciali sul percorso successivo;

− la disponibilità a usare criteri di valutazione molto diversi, capaci di tenere conto della grande varietà di temi e priorità che i molti e variegati attori coinvolti nel processo sostengono all’interno del processo.

Un processo di pianificazione strategica deve fondarsi su conoscenze e informazioni che

servono esplicitamente alla messa a fuoco degli obiettivi e delle condizioni e dei fattori che eventualmente si oppongono alla loro realizzazione. Per definizione una strategia si traduce nell’identificazione di direzioni strutturanti e di linee guida, non di azioni specifiche. Ne consegue che le informazioni che servono alla costruzione di una strategia devono servire a mettere a fuoco se e in che misura le condizioni sopraindicate esistono e, eventualmente, gli ostacoli che occorre superare per far sì che esse possano sussistere. Questo comporta l’istituzione di efficaci sistemi di relazione e dunque di comunicazione tra i soggetti che più di altri partecipano a definire il processo di piano, in primo luogo chi ha responsabilità e/o potere decisionali, i rappresentanti dei gruppi e degli interessi sociali riconosciuti, ma anche i portatori di istanze non sempre esplicitate ma che possono contribuire in maniera decisiva alla riuscita del processo, o al suo insuccesso.

Come si è sottolineato, la pianificazione strategica appare una strada quasi obbligata in un quadro di crescente complessità di attori, interessi, valori e priorità, ovviamente in un sistema di relazioni all’interno del quale ogni attore e interesse pesa in misura diversa. Un piano strategico è il risultato della costruzione e selezione dell’alternativa che offre il più alto livello di soddisfazione per il maggior numero di interessi e attori, inevitabilmente ponderati secondo il peso di ciascuno.

Tuttavia, ciò che distingue un piano strategico da altri strumenti di pianificazione spaziale è l’attenzione agli impatti di lungo periodo delle opzioni e degli interventi proposti. Il livello di soddisfazione dei diversi attori non viene determinato più solo dalle conseguenze immediate delle scelte contenute nel piano, ma anche da quelle che appaiono essere i loro probabili esiti futuri e le conseguenze che essi possono avere su ciascuno degli attori e sulla comunità degli stakeholders.

Per questo si assume che un processo di pianificazione strategica si fonda sulla coerenza, razionalità e trasparenza dei meccanismi e percorsi decisionali, al fine di assicurarne la legittimità e quindi di ottenere il consenso di tutti gli attori sul processo che ha portato a individuare quelle specifiche priorità e azioni, se non sulle priorità stesse.

E’ questo uno dei principali elementi su cui deve portare la riflessione relativa all’utilità e applicabilità della pianificazione strategica in contesti in cui la razionalità si muove lungo linee diverse da quelle attese o da quelle prefigurabili in astratto. Può essere il caso della presenza di una leadership forte (legittimata o meno) privilegia processi decisionali mirati a soddisfare le priorità definite da tale leadership piuttosto che derivanti da analisi, valutazioni e costruzione partecipata di alternative; una seconda condizione si presenta quando la società utilizza forme di rappresentanza diverse da quelle elettive o associative su cui si basa l’assunto razionalista-partecipativo della pianificazione strategica, per cui il processo decisionale segue percorsi diversi pur potendo arrivare peraltro alla costruzione di strategie altrettanto se non più solide e condivise: in certi contesti sociali può essere che una certa opacità del processo decisionale sia indispensabile per raggiungere il consenso necessario (Bryson, 1988).

Inoltre, poiché la legittimazione di un processo lungo e complesso come quello richiesto inevitabilmente da una prospettiva strategica di pianificazione si lega strettamente alla rapida attuazione di almeno alcune delle scelte in essa contenute, occorre valutare con cura la

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disponibilità delle capacità, decisionali e tecniche, e dell’effettiva volontà politica di sostenere un processo di questa natura. Se queste non sono sufficienti, e dunque le probabilità di successo di un approccio strategico sono limitate, occorre prenderne atto per non trasformarlo in un esercizio time-consuming e costoso, sostanzialmente privo di qualsiasi capacità operativa.

Per questa serie di considerazioni, la pianificazione strategica richiede un contesto in cui vi sia sufficiente chiarezza sugli obiettivi da perseguire, una convergenza ampia sul come raggiungerli e dove si possa disporre di indicatori adeguati per seguire l’andamento del processo. Condizioni queste non sempre presenti, dato che la maggior parte delle organizzazioni pubbliche basano il proprio operato su processi decisionali fortemente determinati dai rapporti politici e i cui interventi hanno esiti che subiscono le influenze di una molteplicità di soggetti decisionali. Ne deriva che, la pianificazione strategica ha maggiori possibilità di successo in contesti caratterizzati da capacità di operare su orizzonti ampi, processi decisionali fondati su sistemi di razionalità formale e adeguati meccanismi di controllo. 4. - Pianificazione strategica e governance

Benché non radicata esclusivamente all’interno della cultura occidentale, come invece la

pianificazione analitica, non vi è dubbio però che il corpo scientifico e intellettuale della pianificazione strategica trova le sue radici nel pensiero e nelle pratiche urbanistiche dell’occidente sviluppato, in un mondo dove per contro urbanizzazione e crescita urbana sono ormai appannaggio quasi esclusivo dei paesi in via di sviluppo.

L’organizzazione dello spazio e la costruzione di un approccio strategico per orientarne le trasformazioni sono parte costitutiva della governance di qualsiasi regione urbana (Healey, 1997). Si può affermare che, anche là dove i governi centrali continuano a mantenere margini di decisione a volte anche importanti (come ad esempio in Gran Bretagna), il controllo sulle trasformazioni dello spazio rappresenta uno dei principali elementi su cui si fonda il “potere” delle amministrazioni locali. Di conseguenza è largamente intorno alle decisioni che hanno a che vedere con le trasformazioni del territorio – urbano o regionale – che si costruisce e svolge il processo di governance, che si costruiscono le relazioni e alleanze tra i diversi attori attraverso cui la società locale – intesa come complesso dei soggetti che in tale territorio operano - giunge a definire priorità e modi delle trasformazioni.

Dopo essere stato utilizzato per spiegare i vantaggi che derivavano, in termini di riduzione dei costi di transazione generati dal mercato, dai meccanismi di funzionamento interni a un’impresa (corporate governance), il termine governance è stato appropriato dalle scienze politiche per dare conto di come, sulla scia degli effetti delle politiche centralistiche della Thatcher i modi di governo della società locale si andassero ricomponendo attraverso meccanismi differenti, quelli appunto della urban governance (Lorrain, 1998). Successivamente, gli organismi internazionali, in particolare il Fondo Monetario Internazionale e soprattutto la Banca Mondiale, hanno cominciato a fare riferimento alla good urban governance per mettere l’accento sull’importanza del quadro istituzionale nell’applicazione dei programmi di aggiustamento strutturale che in quegli anni cominciarono a essere avviati in un gran numero di paesi in via di sviluppo,.

Nel tempo la nozione di governance ha dunque conosciuto uno scostamento sostanziale, passando dal campo dell’impresa a quello delle istituzioni e del modo di governare la società. Che l’attenzione si sia andata concentrando mano a mano sulla urban governance è quasi scontato, dato il ruolo crescente che società e economie urbane hanno acquisito negli ultimi anni, sulla spinta della crescita urbana da un lato – in particolare nei paesi in sviluppo – e degli effetti della globalizzazione, con la relativa riduzione delle funzioni dello stato centrale, dall’altro. Nel corso degli ultimi due decenni le questioni dell’urbano si sono collocate sempre più spesso all’interno delle politiche di decentramento, della privatizzazione, della finanza locale, e della pianificazione strategica come strumento per promuovere la governance delle trasformazioni urbane e territoriali.

Lo spostamento dal mondo dell’impresa, della corporate governance, a quello delle istituzioni e delle società locali e quindi della politica, l’urban governance, solleva rilevanti problemi definitori. In primo luogo la diversità tra il concetto di stakeholders, ormai correntemente utilizzato dagli organismi internazionali in riferimento alla società civile e ai suoi componenti, e quello di attori sociali. La nozione sottesa nel primo caso è quella, come per l’impresa, di un insieme di portatori di interessi, tra cui la società civile, che per quanto diversificati hanno comunque un obiettivo comune sostanzialmente riconosciuto e condiviso. Di fatto. in questa impostazione – i termini governance e democrazia sono diventati sostanzialmente

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intercambiabili, mettendo spesso in secondo piano i contenuti “tecnici” su cui era stata costruita la nozione di corporate governance.

Questa sovrapposizione dei due termini si scontra tuttavia con le condizioni che, a seguito della globalizzazione e delle politiche di liberalizzazione e privatizzazione che ne sono conseguite, si sono determinate in molto paesi, In particolare nei paesi in via di sviluppo e nelle economie in transizione, governi locali e società civile nelle sue diverse articolazioni, sono state obbligate a cercare forme di governance a partire dalle relazioni sociali e i rapporti di forza esistenti tra i diversi attori, e che si discostano sensibilmente da quelle che in teoria dovrebbero accompagnare appunto liberalizzazione dei mercati e privatizzazione dei servizi.

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Pianificazione strategica a Venezia, good urban governance? Federico Sittaro 1. - Introduzione

In questi anni un numero crescente di pubbliche amministrazioni, di grandi ma anche piccoli centri urbani ha guardato alla Pianificazione Strategica (Steinberg 2005) come la prospettiva da adottare per il governo delle trasformazioni all’interno del proprio territorio. Una metodologia, applicata alla gestione della città, che, pur con approcci diversi, risponde al tentativo di soddisfare la crescente domanda di legittimità e efficacia di chi è preposto alla pianificazione urbana (Salet and Faludi 2000).

Pur se in modo schematico, ma sufficiente a dar conto degli aspetti che la caratterizzano, la Pianificazione Strategica può essere definita sostanzialmente come: 1. un set di principi teorici, con cui si giustifica l’idoneità e l’opportunità di tale strumento nella

gestione di organizzazioni sia private che pubbliche (Bryson 1995); 2. un processo attraverso il quale gli attori sociali, tra cui i decisori, i portatori di interesse, gli

esperti e in taluni casi i singoli cittadini, collaborano per il raggiungimento di un’idea condivisa di città (Salet 2000);

3. una serie di risultati, di azioni specifiche di intervento, tesi al raggiungimento di una determinata visione della città.

L’accezione che appare maggiormente accreditata è che la pianificazione strategica rappresenti un insieme di teorie e prassi tese al raggiungimento di una visione condivisa della città, piuttosto che uno strumento finalizzato ad un determinato obbiettivo progettuale o normativo (Fischer 2000). Si tende quindi a sottolineare la componente di processo più che di prodotto, concetto che portato all’estremo definisce la Pianificazione Strategica non un’attività di progettazione, bensì di institution building.

La Pianificazione Strategica è quindi vista come lo strumento per una diversa Impostazione della gestione della città, conseguente al venir meno di un’idea di gestione della città imperniata sull’azione di un singolo attore di governo in grado di definire e mettere in atto un disegno di sviluppo urbano (Blotevogel 2000).

La Pianificazione Strategica ha tra le sue motivazioni ridurre la distanza tra l’ideazione di interventi urbani e la loro realizzazione. In particolare può essere considerata una risposta al deficit di consenso e di capacità di intervento (decision-announce-defence trap) (CEC 1998). Si tratta di una rappresentazione della oggettiva difficoltà di seguire un percorso lineare in cui la decisione di un intervento viene annunciata al pubblico e quindi difesa di fronte ai dissensi che la contrastano. Il mantenimento di un certo grado di “consenso sociale” non è più solo appannaggio di un pensiero ideologico, ma anche di una dimensione gestionale e operativa.

In tale filone certamente si inserisce il dibattito che coinvolge l’autorità del pensiero scientifico e in generale del metodo scientifico (Funtowicz and Ravetz 1993). La possibilità di individuare nuovi sistemi di governance di sistemi complessi, come sono quelli metropolitani, richiede la conoscenza di nuove e diverse interazioni tra soggetti operanti in un sistema di cui è estremamente difficile stabilire i confini, sia geografici, che tematici. Allo stesso tempo però, le decisioni di politica e di indirizzo devono essere prese con sempre maggiore urgenza. La competizione economica mondiale vede le città riconosciute come soggetti coinvolti in maniera sempre più indipendentemente dai livelli statali o regionali cui appartengono (Thornley 2000; CEC 2005) .

In questa sfida globale, non è considerato accettabile aspettare che gli “esperti” producano la “risposta definitiva” ai problemi. La perfetta, e quindi completa, analisi del problema con la logica e conseguente risposta.

Al contrario se si accetta l’ipotesi che il sistema urbano sia descritto compiutamente solo se vengono considerate allo stesso tempo una pluralità di visioni distinte, allora può cambiare radicalmente non solo l’interpretazione del problema, ma anche la soluzione proposta.

Venendo meno l’esistenza di punto di vista privilegiato, la legittimità delle soluzioni proposte è direttamente connessa alla qualità del processo attraverso cui vi si è arrivati, distinguedo tra un processo decisionale considerato indipendentemente dal modo in cui lo si porta a termine e uno dove invece prevale una razionalità procedurale, ossia funzione del processo decisionale in sé e del contesto in cui tale decisione è stata presa (Simon 1976).

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Si apre quindi il problema di cosa, se non l’autorità di un metodo scientifico, possa effettuare il “controllo di qualità” sulle decisioni prese. Anche per questa ragione sia il concetto di governance che quello di partecipazione sono ormai saldamente inclusi nel dibattito sulla definizione delle politiche della città (CEC 2001; Guimarães Pereira and Funtowicz 2003; CEC 2006): concetti che incentivano l’inclusione e l’allargamento a soggetti sociali “nuovi” fin dalle prime fasi del processo, durante la generazione delle idee, e non solo nella fase finale in cui la decisione viene comunicata (De Marchi, Funtowicz et al. 2001).

Portando fino in fondo queste considerazioni, il concetto di “processi allargati” alla risoluzione di problemi complessi, come quelli della pianificazione territoriale, assume un duplice ruolo: un bacino di “creatività” nell’individuazione dei problemi e delle loro possibili soluzioni - creatività di cui i soli esperti non potrebbero disporre - e garanzia della “bontà” del processo, la qualità del processo, considerato a partire dalle assunzioni scientifiche fino alle implicazioni di tipo politico e di equità sociale (Funtowicz, Martinez Alier et al. 1999).

Conditio sine qua non perché questo possa accadere è che il processo sia intrinsecamente trasparente, tale per cui siano comunicate ad ogni livello ipotesi, procedure e deduzioni (Munda 2004). La trasparenza risulta inoltre condizione necessaria alla realizzazione del concetto di accountability, intesa soprattutto come sforzo verso un approccio pluralistico al processo di presa delle decisioni. L’accountability risulta quindi rilevante perché rappresenta il requisito con cui informazioni e strumenti sono condivisi tra i diversi attori del processo.

Esiste però la necessità che tali concetti siano esplicitati in ogni fase, proprio perché, essendo carichi di valori, possono essere interpretati in maniera non univoca (Sittaro 2006). Ogni attore sociale vede in “governance”, “accountability e trasparenza, spazi in cui, legittimamente, inserire i metodi del proprio partecipare al processo di pianificazione, a prescindere dall’effettiva condivisione di una prassi o di un obbiettivo (Blotevogel 2000).

Si può quindi sostenere che la pianificazione strategica è una delle possibili risposte a questo tipo di esigenze: un quadro di riferimento sia concettuale che operativo capace, almeno in potenza, di legare sia le esigenze di consenso su una visione condivisa di città, che la necessità di uno strumento sufficientemente snello ed efficace (Bryson 1995).

In particolare ciò che appare stimolante, è che la Pianificazione Strategica può essere considerata in perfetta sintonia con la prospettiva secondo cui la città viene percepita non più come “nucleo generatore di problemi”, inquinamento, rifiuti, emarginazione, ma, al contrario, come il motore per lo sviluppo regionale e centro di innovazione economica e culturale (Rotmans and Van Asselt 2000). La Pianificazione Strategica evidentemente sposa questa percezione, andando a cercare le soluzioni dei problemi della pianificazione proprio nel tessuto metropolitano riconosciuto come portatore e catalizzatore di soluzioni.

La notevole produzione di piani strategici in Italia§ mostra però una certa variabilità dei risultati, .con differenze sia nella forma che, soprattutto, nell’ideazione, gestione, e attuazione delle linee emerse dal processo di pianificazione. Ciononostrante, la gran parte delle esperienze condotte sino ad oggi ha in comune una forte dimensione comunicativa, in contrasto con la – o forse proprio, come spesso sottolineato, a causa della - natura non cogente del piano strategico capace quindi al massimo di produrre un esercizio di stile di “bella pianificazione” piuttosto che costituire una effettiva priorizzazione di interventi sulla base di precise linee di indirizzo.

Il ricorso alla Pianificazione strategica è ormai molto diffuso tra le amministrazioni pubbliche italiane. Sempre secondo il dossier Censis, le amministrazioni che stavano conducendo esperienze di pianificazione strategica riguardavano, nel 2006, quasi 20 milioni di italiani,.Ciò che sembra emerge tuttavia è che, pur nella diffusione del fenomeno, non è dato individuare una metrica con cui interpretare tale tendenza: si tratta di un processo effettivamente capace di dispiegare sinergie, nuove forme di ingegno, di creatività per l’approccio a problemi complessi? È vero che tali filoni di innovazione altrimenti rimarrebbero imbrigliati in meccanismi di pianificazioni non opportuni per affrontare la complessità della post-modernità? Oppure si è di fronte solo ad un elegante strumento di comunicazione di intenti?

La riflessione proposta nelle pagine successive offre una “meta-valutazione” che ha come oggetto il processo di pianificazione strategica in sé. Di qui “meta“ perché valutazione di un metodo, che a sua volta è stato utilizzato per operare una valutazione di priorità e strategie.

Non si tratta di un monitoraggio, inteso nel senso abituale, dove l’obbiettivo è misurare il grado di realizzazione di ciò che è stato concordato e quindi chiudere il ciclo iniziato con la fase

§ Tra quelle più note si possono ricordare: Firenze (www.firenze2010.org), Torino (www.torino-internazionale.org) e Venezia (www.comune.venezia.it/ piano strategico). Percorsi seguiti poi da un gran numero di città di dimensioni inferiori, fino ad arrivare alle attuali 73 esperienze (Censis/RUR 2006).

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di definizione di una attività. Questa sarebbe un’ottica secondo la quale l’attenzione non può che concentrarsi sui prodotti: i dati raccolti, il livello di approfondimento delle strategie realizzate, il numero e il grado di dettaglio delle proposte individuate.

Il ragionamento che si propone si focalizza invece su quelli che potrebbero apparire come side effects, ma che in realtà vanno considerati risultati a sé stanti. Si tratta quindi di individuare una metrica che permetta di soffermarsi su quegli aspetti del processo che sono, da un lato, intrinseci al metodo, ma che risultano, anche, profondamente e indissolubilmente legati al contesto e alle condizioni in cui tale percorso si compie. Si intende costituire uno schema il più possibile astratto, capace cioè di descrivere il percorso di “approccio al problema” che si è sviluppato durante il processo di pianificazione., obiettivo raggiungibile iattraverso l’ individuazione dei fenomeni che agiscono trasversalmente nel processo pur senza avere uno status di deliverables, ma che è lecito ritenere abbiano un ruolo “funzionale” nello svolgersi del processo e nell’infondervi una “vitalità” propria, soprattutto in termini di interazioni tra soggetti e istituzioni.

Se lo schema di meta-valutazione proposto dà esito positivo nel comunicare la natura e il manifestarsi di questo tipo di variabili, diventa allora possibile una riflessione sulla replicabilità di tali esperienze, in quano si disporrebbe di una conoscenza degli aspetti della pianificazione strategica che interagiscano meglio con i diversi contesti in cui si opera.

Si tratta di un’astrazione che può condurre all’identificazione dei “semi” del processo e costituire le fondamenta per un suo trasferimento ad altre realtà territoriali e culturali: operazione tanto più appropriata, quanto più sono corrisposte le condizioni al contorno emerse come cruciali. In assenza di tale corrispondenza l’analisi può indicare le misure correttive necessarie affinché la pianificazione strategica possa effettivamente innescarsi.

Il lavoro di ricerca si articola nella risposta alle seguenti dimensioni: 1. Può essere misurata la complessità e la densità della rete sociale creatasi durante i lavori

del PS? Il processo di Pianificazione Strategica ha creato relazioni e connessioni. È possibile ricostruire la numerosità delle relazioni instaurate tra gli attori sociali coinvolti, da una parte, e dall’altra risalire ai risultati che queste interazioni hanno generato queste relazioni nel documento di Piano.

2. Che forma di progettualità è stata innescata durante i lavori del Piano, quanti e quali progetti sono stati ideati? Tema connesso anche alle priorità espresse dai soggetti, sia promotori che coinvolti, e come si siano trasferite nei vari passaggi sino ad essere riportate nel documento finale.

3. I grandi progetti che animano il presente di Venezia, come ed in che modo sono stati influenzati dai lavori del piano strategico? Una volta stabilito il quadro generale, l’obiettivo è verificare attraverso dei “carotaggi” su situazioni di grande notorietà, come si sia innescata la progettualità che ha condotto alle soluzioni adottate. Come terreno di confronto è stato scelto quello delle politiche culturali, un tema per sua natura multi-scalare, ma sopratutto di sicura rilevanza strategica per la vita veneziana. Una materia certamente trasversale, che può essere tracciata nei vari assi strategici individuati all’interno del piano strategico veneziano.

Punto di partenza inevitabile è stato individuare i principali soggetti attivi nel processo: le loro caratteristiche, risorse e aspirazioni. In particolare si è ritenuto che il punto nodale fosse proprio l’analisi della rete sociale che si è creata durante la pianificazione. Si è trattato quindi di disarticolare il concetto di network sociale e di tentare di ricostruire il modello attraverso il quale si è operato durante il processo, descrivendone le dimensioni salienti e i risultati espressi (Dente, Griggio et al. 1997; Dente and Melloni 2005).

In questo quadro si sono esaminati i documenti interni al gruppo di lavoro che ha curato il processo di Pianificazione Strategica a Venezia, formalizzando il percorso con il quale si è progressivamente strutturato il modello di piano che è stato prospettato e mettendo a fuoco. come le varie proposte e i vari contributi del processo multi-attoriale creatosi siano arrivate nella versione finale del documento di piano.

Infine attraverso interviste semistrutturate ad alcuni protagonisti della vita culturale veneziana sono stati indagati tre casi specifici con cui comprendere nella maniera meno mediata la reale dinamica della genesi di progetti e proposte.

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2. - Il Piano strategico di Venezia. Impresa eroica e disperata**? Le ragioni

La volontà di realizzare il piano strategico di Venezia si è concretizzata nella prima metà del 2001, quando è stato costituito un gruppo di lavoro che integrava personale dell’ufficio dell’Assessorato alla pianificazione strategica e ricercatori del COSES††.

I lavori per la stesura del documento di piano sono stati condotti in due fasi: la prima, tesa alla costituzione di un patrimonio analitico relativo allo stato della città, ed una seconda attraverso la quale si è proceduto alla stesura vera è propria delle varie versioni del documento di Piano.

Possiamo delimitare i documenti della prima fase alla seconda metà del 2001. Nel periodo tra il 2002 e fine 2003, invece, viene progressivamente alla luce la prima versione del Piano Strategico proposta alla città. Versione che verrà progressivamente rielaborata fino alla versione ufficialmente approvata dal consiglio comunale il 1 ottobre 2004‡‡.

Un’ulteriore fase è quella tuttora in corso che ha avuto il suo culmine nella costituzione dell’“Associazione Piano Strategico” nell’estate 2006, entità che ha lo scopo di portare avanti gli obbiettivi elaborati nel Piano.

Le diverse fasi del lavoro hanno necessariamente richiesto il contributo, e di volta in volta il coinvolgimento, di un numero di soggetti estremamente diverso. Se nella prima parte, la natura prevalentemente tecnica dei contributi, ha visto attivarsi in maniera quasi esclusiva il gruppo di lavoro costituito dallo staff dell’ufficio dell’Assessorato alla pianificazione strategica e dai membri del COSES, è nella seconda parte che il processo si è allargato includendo una molteplicità di soggetti rappresentativi delle varie voci della città. Percorso che, idealmente, si può far culminare con il “Progetto Commissioni” che nella seconda parte del 2004 ha esteso il dibattito sino a coinvolgere quasi 500 soggetti convocati a discutere i diversi assi del piano.

Il percorso di stesura del documento di piano, è stato dunque lungo e comprensibilmente influenzato da fattori che in corso d’opera ne hanno modificato impostazioni e linee guida.

Vale la pena sottolineare che al momento in cui l’iniziativa è partita, poche erano le esperienze a cui far riferimento§§, risulta quindi facile comprendere come le attività svolte dal gruppo di lavoro abbiano conosciuto successive approssimazioni, in cui, di volta in volta, nuovi contributi e nuove riflessioni venivano proposti ed interiorizzati.

D’altra parte, dato che la pianificazione strategica si contraddistingue come iniziativa autonoma delle amministrazioni locali, mancando vincoli procedurali e contenutistici, il percorso può assumere una natura declinabile in numerose varianti. La lettura che si propone nelle pagine che seguono dei documenti*** interni al gruppo di lavoro di Venezia costituisce il tentativo di ricostruire la razionalità utilizzata: le premesse, i principi di metodo e le informazioni a disposizione. Per questo l’interesse principale si concentra su come i lavori si siano evoluti e quali contributi siano stati inclusi.

Certamente non si intende fornire una valutazione di merito sulla qualità del Piano quanto una riflessione sulla procedura utilizzata, tesa alla comprensione del risultato finale della sua funzionalità ed eventualmente sulla sua replicabilità. La ricostruzione non segue un ordine cronologico, ma si concentra su alcuni punti ritenuti cardine della razionalità adottata: - i precedenti, sia teorici che esperienziali, di costruzione di una visione condivisa per

Venezia; - le metodologie, i casi, i principi di Pianificazione Strategica assunti a riferimento; - il grado di allargamento del processo, il coinvolgimento di attori esterni all’amministrazione

comunale. Le ragioni per la scelta di queste chiavi di lettura sono funzionali al tentativo di comprendere

gli aspetti più formali della pianificazione strategica, intesa come processo di costruzione di una idea e della sua articolazione in un progetto per la città.

Per questi motivi le conclusioni riguardano non le soluzioni proposte dal piano, quanto se si sia effettivamente definita una visione condivisa e chi e come abbia contribuito alla sua costruzione.

** Il titolo cita un commento di F. Indovina durante una delle riunioni per la redazione del documento di piano. †† Centro di ricerca su tematiche di economia regionale e sviluppo locale. ‡‡ Atto di indirizzo della giunta comunale N. 84. §§ In Italia solo Torino, La Spezia e Pesaro avevano già realizzato un Piano Strategico. Si sono poi aggiunte Firenze e, successivamente, Roma. *** Il materiale documentario è stato messo a disposizione da M. Dragotto del COSES.

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Comprendere le cause per cui si è deciso di intraprendere l’esperienza di pianificazione strategica non è operazione scontata, in quanto non sono disponibili documenti specifici. Si sono quindi realizzate una serie di interviste ai protagonisti dell’esperienza di pianificazione, che hanno arricchito e attualizzato l’analisi delle fonti secondarie.

Primo aspetto che ci si è proposti di esplorare è stato capire se il caso di Venezia rappresentasse la risposta dell’amministrazione comunale a problematiche specifiche o l’accettazione di una prassi in voga.

La premessa al documento finale del piano recita il mantra della bontà della pianificazione strategica: individuare e condividere scenari evolutivi del sistema città; facilitare, promuovere, definire progetti, far cooperare pubblico e privato; valutare coerenza e sostenibilità progetti; individuare priorità interventi, promuovere uso efficace risorse ed infine monitorare e valutare risultati.

Aspettative valide in generale, rimane da comprendere quali argomentazioni abbiano portato a ritenere la pianificazione strategica appropriata al contesto veneziano. Il ragionamento addotto††† si basa su caratterizzazioni sia culturali che più propriamente strumentali.

Alla base della bontà del modello “strategico” viene posta la consapevolezza di una ormai conclamata crisi del modello tradizionale di gestione urbanistica. Si riconosce la sfasatura, temporale e di contenuti, tra le domande del mercato e le risposte dell’amministrazione, ma sopratutto si riconosce con forza la perdita del controllo pubblico sulla pianificazione urbanistica, che diventa quindi sempre più un’“urbanistica contrattata‡‡‡”.

Passaggio successivo è il riconoscimento dei fenomeni che caratterizzano le città nell’attuale fase storica: diminuzione dei fenomeni di crescita puramente quantitativa, perdita di funzioni e quindi il generarsi di vistosi fenomeni di abbandono e degrado di vaste aree all’interno degli organismi urbani§§§. L’ex assessore R. D’Agostino individua nell’assimilazione di questi due fenomeni la ragione della nascita di politiche innovative di promozione e finanziamento di programmi complessi****.

Se si accettano queste premesse si comprende, di nuovo secondo D’Agostino, che certamente Venezia è una realtà in cui tali fenomeni sono visibili, se non dirompenti, come nel caso di Marghera, e che la Pianificazione strategica rappresenta uno strumento intrinsecamente capace di operare in questo tipo di contesto.

Queste indicazioni, inoltre, vengono ricondotte ad un percorso che l’amministrazione veneziana ha fatto proprio, dai primi anni ‘90. In particolare è la capacità di gestire la complessità del territorio nella sua interezza ad essere dichiarata asset ormai assimilato con continuità dall’amministrazione comunale. Lo testimoniano “il ricorso ad una molteplicità di procedure innovative definite e sperimentate nel corso degli anni ’90 (accordi di programma, progetti di riqualificazione, progetti integrati, ecc.)††††”

Accanto alle motivazioni alte, spesso si affiancano anche ragioni più pragmatiche. In un’intervista con il responsabile del gruppo di lavoro, infatti, è stata attribuita grande importanza alla partecipazione del Comune ad un progetto europeo di interscambio di buone pratiche, in cui trainati dal montante entusiasmo nei confronti dell’esperienza di Barcellona, si è proceduto ad adattare le pratiche ai diversi contesti. L’adesione veneziana alla “Rete delle città strategiche” ha ulteriormente contribuito a strutturare nell’amministrazione la volontà di far parte di un gruppo di “virtuosi” e quindi intraprendere la strada della pianificazione strategica‡‡‡‡.

Sono molte le citazioni nei documenti analizzati che fanno riferimento a precedenti lavori di riflessione sui possibili sviluppi della città di Venezia.

††† Intervista realizzata nell’ambito del lavoro di ricerca. ‡‡‡ Tale incapacità non riesce a “porre la realtà prima delle regole. È necessario realizzare politiche di governo, non regole. Non più zonizzazione, i retini per intendersi, ma è imprescindibile la necessità di confrontarsi con tutti gli aspetti di un progetto, se si decide che in una certa parte si fanno alberghi, allora bisogna cercare gli operatori, fare un’analisi dei mercati …”, “è necessario passare dalla gestione del territorio alla gestione della città” oppure ancora “puntare ad un governo processuale ed a una programmazione non emergenziale”. §§§ Temi contenuti anche nell’introduzione al volume a cura di di T. Pugliese e A. Spaziante (2003). Pianificazione Strategica per le città: riflessioni dalle pratiche. Scienze regionali. Milano, FrancoAngeli. **** Illustreremo più avanti il dettaglio degli strumenti normativi citati. †††† Di nuovo si fa riferimento alla Introduzione al documento di Piano, versione definitiva 2004. ‡‡‡‡In questo senso è interessante l’osservazione di Pugliese per cui la mancanza di una normativa di riferimento non ha costituito un problema perché, di fatto, esisteva già un vocabolario comune dovuto “alla fitta rete di relazione e sopratutto all’accedere agli stessi testi”. Osservazione interessante perché attribuisce alla pianificazione strategica la caratteristica di essere uno spazio di estrema collaborazione orizzontale tra amministrazioni. Fatto questo che può essere considerato nella duplice veste di utile piattaforma di interscambio di conoscenze, ma anche come foriero di una tendenza alla omogeneizzazione e al conformismo delle pratiche.

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Primo, più volte richiamato nei testi ed anche nella presentazione del documento finale§§§§, è il dibattito promosso dall’istituto Gramsci veneto, nato dall’acquisizione della consapevolezza che esisteva l’urgenza di un cambiamento radicale delle prospettive di sviluppo della città, conseguente in primo luogo al declino del ruolo di polo industriale di Porto Marghera o, come venne detto, “una nuova idea di Venezia, che sapesse […] combinare in sé, proprio secondo il senso e la forza della sua tradizione, memoria e innovazione, conservazione dei propri valori culturali e artistici e sviluppo delle proprie risorse, delle proprie vocazioni”*****.

In parte sovrapposto, ma affrancato nella finalizzazione ad un evento specifico, è il dibattito degli anni ‘80 intorno all’idea di svolgere l’Expo 2000. Benché senza un seguito concreto, il dibattito ebbe certamente il merito di porre all’attenzione il potenziale che l’organizzazione di grandi eventi può avere per lo sviluppo urbano†††††.

Sono sostanzialmente questi due episodi che hanno segnato il dibattito sulla visione della città con riflessioni che ancora pesano, come indicano i documenti del piano strategico‡‡‡‡‡.

Altri contributi§§§§§ hanno avuto un‘eco ed una rilevanza certamente più ristretta, prevalentemente accademica, ma dimostrano quanto fosse sentita l’esigenza di lavorare in una direzione capace di stimolare un nuovo orizzonte progettuale per la città.

La struttura di questi contributi, classificabili come esercizi di scenario building, è simile: si descrive uno scenario inerziale, non governato, e successivamente una lista di opzioni rappresentanti percorsi potenzialmente divergenti dallo scenario immaginato in condizioni di laissez faire.

Tali contributi sono: 1. Fondazione Venezia 2000******, in cui si prospetta Venezia come centro strategico di una

regione che sia funzionale piattaforma del Nordest. 2. COSES††††††, in cui ancora la tendenza inerziale è dominata dal turismo e le prospettive

prospettate sono: “ambientale radicale”, “integrazione metropolitana” e “transizione accelerata verso il post-fordismo”

3. CORILA-Progetto METIS‡‡‡‡‡‡, dove come scenario tendenziale si ipotizza la monocultura turistica e come scenari possibili: “città turismo sostenibile”, “centro amministrativo”, “città universitaria, della cultura”. “Città come risorsa: città scienza e tecnologia”, “città metropolitana”.

I documenti convengono sulla valutazione che la prospettiva inerziale sia caratterizzata da un’inarrestabile crescita del turismo, con una progressiva semplificazione delle funzioni urbane del centro storico ed una separazione crescente tra centro storico e terraferma. Anche le prospettive immaginate sono in realtà declinazione dei medesimi concetti portanti: - ruolo della laguna e del suo valore ecosistemico, - dotazione infrastrutturale della città - transizione al post-fordismo.

Fattori che con diverse sfumature vengono di volta in volta messi al centro dello scenario in

esame. L’analisi del dibattito sul futuro della città considera anche contributi non accademici. Infatti si

analizzano alcune esperienze di concertazione§§§§§§, in particolare: - tavolo concertazione Porto Marghera*******; - forum per la laguna†††††††; - agenda 21 locale per Venezia; - Venezia laboratorio cultura‡‡‡‡‡‡‡; - accordo programma chimica di Porto Marghera§§§§§§§;

§§§§ http://www2.comune.venezia.it/pianostrategico/documento_PS/pp_1.asp ***** Fondazione Istituto Gramsci Veneto (1990), "Idea di Venezia", atti del convegno L'Idea di Venezia, 17-18 giugno 1988. Arsenale, Venezia. ††††† Per fare un esempio la grande rilevanza data all’esperienza catalana di pianificazione strategica di Barcellona funzionale alla riorganizzazione della città per i giochi olimpici del 1992 doveva ancora realizzarsi. ‡‡‡‡‡ In particolare nei verbali relative agli incontri di revisione della prima versione del piano. Documento 11. §§§§§ Citati nel documento L e poi in Documento M ****** Benevolo F., (1996), "Venezia, nord-est ed Europa orientale: occasioni o strategie?", Fondazione Venezia 2000 - Cultura e impresa †††††† Zanon G., (2001), "Progetto Piano Strategico Comune di Venezia. La struttura e le funzioni del sistema urbano veneziano: linee di tendenza", Documento Coses n. 343. ‡‡‡‡‡‡ Indovina F., (2003), "Sui possibili scenari futuri di Venezia e della sua Laguna", Progetto Metis - Corila, Venezia. §§§§§§ Si veda il documento M, maggio 2003. ******* http://www.regione.veneto.it/Notizie/Comunicati+Stampa/Ottobre+2003/1770.htm ††††††† http://www.forumlagunavenezia.org/ ‡‡‡‡‡‡‡ http://marciana.venezia.sbn.it/news4/4-09.html

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- le consulte, in particolare quella relativa ai problemi dell’economia e del lavoro********. Il bilancio che viene fatto è positivo, anche se viene dichiarata una sensibile mancanza di

tradizione nell’approccio partecipativo ai problemi del territorio, un ritardo imputato, alla forma specifica del tessuto decisionale della città, particolarmente frammentato e costituito da nodi auto-referenziali.

Si guarda anche†††††††† alle sperimentazioni di altre città, in particolare all’esperienza del Eurocities/EDURC‡‡‡‡‡‡‡‡ Working Party. Schede specifiche per alcune città, tra cui Monaco, Utrecht, Amsterdam e Barcellona, vengono presentate e ciò che viene sottolineato sono le modalità di coordinamento delle forme di partecipazione: gli organismi, formali e non, creati per offrire spazi per l’interazione tra i diversi attori coinvolti§§§§§§§§.

Altra finestra di osservazione è aperta********* esaminando i piani strategici di Torino, Birgmingham e Lione con riferimento in particolare a:

- la legislazione di supporto per la pianificazione strategica, - la forma giuridica delle strutture nate per la gestione e la promozione del piano

strategico, - i fondi necessari al mantenimento di tali organizzazioni, - i cosiddetti “organi vitali” dell’esperienza di piano, cioè le istituzioni definite nel testo, in

maniera estremamente pragmatica: “il vero centro di potere: chi porta avanti il lavoro di network tra i portatori di interesse e i cittadini coinvolti nelle organizzazioni”.

L’analisi comparata dei tre casi studio ha condotto a delle raccomandazioni specifiche per Venezia, in cui si fa ancora una volta esplicito riferimento all’istituzione veneziana delle consulte come luogo naturalmente deputato a svolgere tale coordinamento.

Si fa inoltre notare come, tra i punti di forza della realtà veneziana, ci sia l’esistenza, di quelle che, in maniera suggestiva, vengono definite “tecnostrutture”, ossia organismi e istituzioni aventi scopo e funzioni specifiche ma tutte naturalmente afferenti alla mission che dovrebbe avere la costituenda associazione/istituzione che il piano vorrebbe promuovere. Nel testo del documento non si fa riferimento a soggetti precisi, ma si elencano invece i settori di attività: salvaguardia della laguna, esecuzione di interventi previsti dalla legge speciale, recupero di aree industriali dismesse, promozione di impresa, ricerca e sviluppo ed altre.

La strumentazione

L’assessore alla Pianificazione Strategica††††††††† dedica particolare attenzione alle partnership tra pubblico-privato, considerate vera e propria occasione d’innesco del processo di pianificazione strategica.

L’avvio di una legislazione nazionale tesa alla realizzazione di una concertazione istituzionale per l’intervento nel territorio amministrato viene percepito come occasione per il consolidamento di una pratica di intervento tra amministrazione pubblica e soggetti privati.

Particolare risalto‡‡‡‡‡‡‡‡‡ è dato alla legislazione che durante il corso degli anni ‘90, in seguito alla riforma Bassanini, ha dato sempre maggior risalto alla concertazione istituzionale. Nello specifico il documento sottolinea l’importanza degli accordi di programma, L.n. 142/1990, i programmi di recupero urbano istituiti con la legge 241/1993, i Patti territoriali e i Contratti d’Area, D. Cipe 10.5.1995, gli interventi di trasformazione urbana realizzati con la creazione di apposite S.p.A. di scopo, l.n. 127/1997.

Attenzione viene prestata anche a programmi di finanziamento europei, che ovviamente per loro natura, hanno come aree di riferimento tematiche generali quali l’energia (SAVE II, Altener), l’ambiente (LIFE), la cultura (Cultura 2000). Interessante è l’osservazione riguardo l’opportunità o meno di partecipare a tali programmi§§§§§§§§§, che promuovono indirizzi prioritari a

§§§§§§§ http://politicheambientali.provincia.venezia.it/rifiuti/integrativo/accordo.html ******** http://www2.comune.venezia.it/archivioconsiglio/2000_2005/consiglio/consulte.asp †††††††† Nel documento D, maggio 2003. ‡‡‡‡‡‡‡‡ EDURC è l’acronimo per Eurocities Economic Development and Urban Renewal Committee. Esperienza che nel 1998 ha dato luogo ad un lavoro di riflessione su 16 città europee tra cui Barcellona, Nantes, Torino, Lille, Lyon, ed altre. §§§§§§§§ In questo quadro particolare rilevanza è data ad uno schema proposto da Camagni (Camagni R. (1996) (a cura di) Economia e pianificazione della città sostenibile, Il Mulino, Bologna) il cui modello di interazione tra i soggetti costituenti il tessuto urbano della città viene esplicitamente suggerito per la realtà veneziana. ********* Documento P maggio 2003. ††††††††† Tema menzionato anche nel contributo che D’Agostino ha realizzato in Pugliese, T. A. Spaziante, Eds. (2003). Pianificazione Strategica per le città: riflessioni dalle pratiche. Scienze regionali. Milano, FrancoAngeli. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Documento C novembre 2002 §§§§§§§§§ Documento 3, febbraio 2003

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livello europeo ma non necessariamente tali a livello locale. Viene sottolineato come l’esercizio di pianificazione strategica potrebbe essere, in un’ottica di medio-lungo termine, non tanto il luogo dove recepire nell’immediato tali indicazioni, ma l’occasione per favorire la creazione del substrato sistemico per favorire l’integrazione del sistema economico e sociale locale con quello europeo.

Altro tema cruciale è certamente quello del meccanismo di finanziamento predisposto per il piano. Viene esplicitata********** l’assenza di una previsione finanziaria, ma viene fatto diretto riferimento al Piano urbanistico Comunale, al Piano di Bilancio, al programma Triennale delle Opere, come strumenti con cui l’amministrazione comunale può agire per la realizzazione dei progetti del piano.

Inoltre, viene specificato che l’amministrazione deve avere la consapevolezza di essere il motore del processo, ma che i vari soggetti coinvolti nel processo di pianificazione strategica debbano attivarsi singolarmente per la realizzazione delle proposte. Si ipotizza infatti che “il piano strategico sarà composto da un insieme di proposte e idee-progetto. Ognuna di esse andrà tradotta in un vero e proprio progetto costituito da una combinazione di interventi regolativi e di interventi pubblici o un partenariato pubblico-privato nei vari campi (urbano, culturale, economico, sociale)”.

Discorso a parte, ma evidentemente di notevole importanza, se non altro dal punto di vista comunicativo, è quello attribuito ai principi ispiratori alla base della stesura del piano. Tali riferimenti vengono citati sia nei documenti preparatori che nella pagina ufficiale del sito.

Si dà particolare risalto alla Carta dei diritti dell’uomo nella Città††††††††††. Il documento contiene una dettagliata analisi di coerenza tra gli obbiettivi emersi nelle varie linee strategiche del piano e gli articoli della Carta, facendo emergere una concordanza di principi particolarmente forte.

Anche altri riferimenti di indirizzo generale vengono citati come ispiratori e coerenti con le linee del piano, anche se non esiste traccia di una verifica di concordanza, così esplicita come nel caso della Carta.

Vale comunque la pena sottolineare il grande risalto che viene attribuito alle radici su cui si basa il Piano. Nel sito ufficiale un’intera sezione, delle sette predisposte, è dedicata all’elenco dei patti e degli accordi da cui il Piano strategico trae ispirazione, tra gli altri sono elencati: il Progetto Aalborg+10‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡, la Carta della Terra§§§§§§§§§§, il Contratto mondiale sull’Acqua***********, Verso una strategia tematica sull’ambiente urbano†††††††††††, Comunità Europea - Libro bianco: La governance europea, Strategia di Lisbona (2000), Libro verde "Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese" (2001).

Altro capitolo è quello relativo alle premesse di metodo, citate dal gruppo di lavoro del Piano. È presentata un’ampia rassegna di considerazioni teoriche e di esperienze concrete sul tema

della governance urbana‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡. La rassegna include sia considerazioni “introduttive” (la genesi del concetto di governance, la ridistribuzione di poteri e relazioni sia formali, che informali) che analisi di casi specifici, facendo riferimento ad una serie di autori§§§§§§§§§§§ riconoscendo una particolare attenzione agli estremi, ossia da un lato ai riferimenti alti come “pianificazione aperta”, “geometria variabile”, “modalità di project financing”, e dall’altro a

********** Documento M maggio 2003 †††††††††† Carta che secondo quanto si legge nel preambolo integra la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo, la Convenzione Europea e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. L’adesione alla carta comporta alcune conseguenze concrete sulla vita amministrativa delle città firmatarie e la sua “considerazione” in ogni atto comunale. Si veda http://www.comune.venezia.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2198. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ http://www.aalborgplus10.dk/ §§§§§§§§§§ http://www.cartadellaterra.it/ *********** www.contrattoacqua.it ††††††††††† Commissione Comunità Europee 2004 Verso una strategia tematica sull’ambiente urbano ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Documento D, maggio 2003 §§§§§§§§§§§ Urbani (2000) L’urbanistica consensuale: la disciplina degli usi del territorio tra liberalizzazione, programmazione negoziata e tutele differenziate. Bollati Boringhieri Torino; Torino internazionale. Verso il piano VERSO IL PIANO. Informazioni di base e primi indirizzi strategici Torino Internazionale, 1998; Dino Borri in J.Forester 1998, Pianificazione e potere: pratiche e teorie interattive del progetto urbano, Dedalo. Bari; Paganetto L., Prezioso M. e Mundula L. (2001), Verso una nuova governance urbana e metropolitana, in Camagni R. e mazzonis D. (a cura di), Verso un Piano Strategico per Roma, Firenze, Alinea; Giovanni Soda 1997, Il governo delle regioni urbane come costruzione locale: tesi dottorato IUAV Venezia; Corazza A., Processi di integrazione urbana e nuove forme di governo della città, in Rosini Rino (cur), L'urbanistica delle aree metropolitane, Firenze, Alinea, 1992; Patrick le Gàles 1998 La nuova political economy delle città e delle regioni, Stato e Mercato, n.1; Pierluigi Crosta “Qualche (rilevante) implicazione ‘pratica’ del modo di ragionare intorno alla pianificazione strategica”, non pubblicato.

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tecniche e pratiche più quotidiane e di servizio, come modalità specifiche di brainstorming o l’utilizzo di mappe concettuali piuttosto che giochi di ruolo************.

Speciale considerazione viene attribuita all’ipotesi che un efficace sistema di governance urbana a Venezia è ostacolato dalla natura stessa del sistema di relazioni tra i soggetti aventi potere decisionale nella città††††††††††††, data la loro numerosità e frammentazione territoriale e tipologica‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡. Relazioni e legami si concentrano sugli attori istituzionali, l’amministrazione comunale in primis, ma questa posizione di hub relazionale non si traduce in una effettiva capacità di indirizzo, “il network che governa Venezia è frammentato, affollato, a bassissima densità (nel senso che i rapporti di collaborazione costante tra attori sono molto meno di quanto sarebbe potenzialmente possibile) ed ad alta complessità (nel senso che in ogni specifico caso gli attori appartengono a molti diversi livelli territoriali ed a molte diverse categorie)”.

Almeno dal punto di vista teorico viene attribuito un ruolo molto importante alle modalità con cui è stato impostato, con la definizione di un network§§§§§§§§§§§§ per negoziare la gestazione del piano strategico, attraverso due reti di contatti, una interna ed una esterna.

Nelle intenzioni tali reti avrebbero dovuto sviluppare due livelli di approfondimento: il primo “generale”, rivolto all’individuazione dei soggetti interessati al processo, alla schematizzazione delle loro aspettative e capacità di intervento; il secondo “specifico”, ottenuto coinvolgendo attori a cui veniva richiesto di essere protagonisti del processo*************.

La definizione di un network ristretto sembra essere percepita come una potenziale debolezza del processo di lavoro, ma la sua strutturazione viene difesa come una scelta obbligata. Viene sottolineato infatti come i soggetti scelti per partecipare a questa cerchia ristretta siano “attori organizzati, capaci di una visione progettuale dello sviluppo della città, interessati al processo di pianificazione strategica, dotati di proprie strategie di lungo periodo”.

La modalità operativa prevedeva la condivisione della visione e delle strategie specifiche all’interno del network ristretto, per poi allargare la riflessione attraverso incontri a tema con altri soggetti del “sistema città”.

I risultati raggiunti sino a quel momento sono ritenuti soddisfacente soprattutto perché, si sostiene, questa procedura ha permesso l’allargamento ad altri soggetti solo dopo aver ottenuto un consenso ed una legittimazione politica di base su specifiche linee di indirizzo.

Viene però osservato come la mancanza di una cultura della pianificazione abbia rallentato il percorso e che il mancato coinvolgimento di soggetti non organizzati sin dalle prime fasi, sia stato certamente un limite, comunque accettato per non correre il rischio di trasformare gli incontri in momenti di risoluzione di conflitto pregressi tra soggetti individuali e amministrazione pubblica.

Ulteriore, ed interessante, riflessione viene proposta riguardo la gestione dei rapporti tra il gruppo di lavoro e il resto dell’amministrazione comunale. Viene infatti sottolineata l’importanza del Comune come “iniziatore del gioco e facilitatore”, ma rilevato anche come a livello interno sia stato richiesto un continuo e oneroso lavoro di informazione sulla natura e finalità della pianificazione, teso alla comprensione e alla definizione dei rispettivi ruoli tra i vari comparti dell’amministrazione comunale.

Inoltre la mancata assunzione da parte del Sindaco della delega alla pianificazione costituisca una anomalia ritenuta causa di “problemi di legittimità sia verso l’interno stesso dell’amministrazione che verso gli attori esterni”.

La seconda fase: allargamento degli attori coinvolti

Una lettura parallela della stesura può essere condotta attraverso l’analisi dei verbali degli incontri avvenuti tra il dicembre 2001 e il marzo 2003, che rappresentano il cosiddetto “network esterno”†††††††††††††.

************ L’importanza e l’interesse per forme di lavoro collaborativo e metodi per il problem solving viene ulteriormente sottolineata anche nel documento D, anche se poi i riferimenti a tali pratiche non vengono più richiamati in altre fasi del lavoro. †††††††††††† Dente, B., C. Griggio, et al. (1997). Governare lo sviluppo sostenibile di Venezia: elementi per un percorso di progettazione istituzionale. Progetto Venezia: un contributo all'Agenda 21 locale, Fondazione Eni Enrico Mattei. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ La tabella contenente la ricognizione degli attori sociali proposta è riportata in annesso. §§§§§§§§§§§§ Vengono espressamente citati come riferimento i lavori di Cicciotti, Florio, Perulli. ************* Gli interlocutori coinvolti nel network ristretto, sono: Università (IUAV, Cà Foscari), Organizzazioni del lavoro (Camera Commercio Industria e Artigianato, Unindustria, Associazione artigiani), Organizzazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL), Fondazioni bancarie (CARIVE). ††††††††††††† Per quanto riguarda la prima fase, prima metà del 2002, i verbali a nostra disposizione sono relativi a 7 incontri. Per la seconda fase, di verifica della vision proposta, l’allegato riportato nel documento 11, “Incontri promossi per una verifica di coerenza della vision” permette di valutare a 37 gli incontri realizzati, di essi 12 hanno riguardato soggetti

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I documenti a disposizione permettono una ricostruzione solo parziale degli incontri avvenuti‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡, che tuttavia permette di condurre un’analisi di due tipi: uno di sintesi, per cercare di quantificare lo sforzo realizzato per la costruzione del network, il secondo, orientato alla comprensione delle suggestioni suscitate dal processo di concertazione.

La disponibilità solo parziale dei verbali pone certamente dei limiti al tentativo di definire la forma di interazione raggiunta tra il gruppo promotore del piano strategico e gli attori sociali, ma riguardano approssimativamente il 50% degli incontri, esso appare comunque significativo.

Basandosi sulla lista dei partecipanti, si possono avanzare delle ipotesi sulle effettive interazioni tra le diverse istituzioni. L’ipotesi è che se è vero che, sia in termini generali, che nel caso specifico veneziano, la pianificazione strategica ha come mezzo e fine la creazione di reti tra gli attori del territorio, tali reti saranno tanto più efficaci quanto più frequenti saranno le potenzialità di relazione, sia dirette, incontrando direttamente altri soggetti e istituzioni, che mediate, ossia venendo in contatto con soggetti aventi a disposizione fitte reti di contatti.

Gli incontri hanno coinvolto un totale di 234 interlocutori§§§§§§§§§§§§§, in rappresentanza di 47 istituzioni.

Un primo elemento che emerge è il livello di partecipazione delle diverse istituzioni.

Tab. 1- Numero partecipanti agli incontri preliminari la prima stesura del Piano, secondo l’istituzione di appartenenza

Istituzione Presenze 1 Comune VE************** 63 2 CGIL 22 3 CISL 20 4 CENSIS 11 5 Comitato Scientifico FEEM 11 6 UIL 9 7 IUAV 8 8 Unindustria 8 9 CORILA 7 10 Fondazione Venezia 2000 7 11 COSES36 6 12 Camera commercio Venezia 4 13 Fondazione Nord-est 4 14 Provincia VE 4 15 UNIVE 4 16 Fondazione CARIVE 3 17 Parco Scientifico VEGA 3 18 Regione Veneto 3 19 Aeroporto Nicelli 2 20 CGIA Mestre 2 21 CNR 2 22 PromoMarghera 2 23 Stazione Sperimentale del Vetro 2 24 Venezia Tecnologie 2

interni all’amministrazione comunale: Sviluppo del territorio e Mobilità, Beni e attività Culturali, Ambiente e Sicurezza del Territorio, Politiche Sociali, Educative e Sportive. 25 sono stati gli incontri con soggetti esterni, secondo una mappa degli attori sociali più articolata: “Centri studi” (CORILA, Fondazione Venezia 2000, Fondazione Eni Enrico Mattei, Fondazione Nord Est), “Portatori di interessi economici e di categoria” (CCIAA, CGIL, CISL, UIL, Unindustria, Artigiani, Università), “Portatori di interessi settoriali” (Aeroporti, Autorità portuali, Consorzio Venezia Nuova, Magistrato delle Acque, Tavolo dell’innovazione) ed infine “Altri” (Sindaco e dirigenti Comune di Mogliano, Associazione Culturale Vortice, Centro Internazionale Città d’Acqua, Centro Civiltà d’Acqua, CARITAS, Associazioni Senegalesi della Provincia di Venezia, Biennale di Venezia, Facoltà Arte e Design Venezia). ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Sono infatti disponibili i verbali di 22 incontri, 7 della prima fase preparatoria, e i restanti della seconda fase di verifica di coerenza. §§§§§§§§§§§§§ Con il termine interlocutore facciamo riferimento a un partecipante ad un incontro, per cui è possibile anche che la stessa persona compaia più volte avendo partecipato a più di un incontro o che ad un singolo incontro più membri di una stessa istituzione siano contemporaneamente presenti. ************** I rappresentati del Comune di Venezia e del COSES sono da intendersi come esterni al gruppo di lavoro relativo al Piano Strategico.

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25 Accademia Belle arti 1 26 Area Park Trieste 1 27 Associazione Adriatica Porti

Terminal 1

28 Autorità portuale 1 29 CCIAA 1 30 Chorus 1 31 Consorzio Venezia Ricerche 1 32 Ente Veneto Lavoro 1 33 Immobiliare Veneziana 1 34 Interporto VE 1 35 Istituto Venezia Scienze Lettere Arti 1 36 La Biennale 1 37 Le carte di VE 1 38 Manifesto Turismo qualità

Ambientale 1

39 MART Rovereto 1 40 Pegghy Gugghenaim 1 41 S.A.V.E. 1 42 Serenissima Infracom 1 43 Ve Terminal 1 44 Venezia fiere 1 45 Fondazione Cini 1 46 Piano Strategico Barcelona 1 47 Piano Strategico Alta Vesuviana 1

Elaborazione dell’autore La tabella può essere considerata una indicazione del grado di interesse rispetto al progetto

di pianificazione. Pur essendo difficile stabilire quale sia la direzione di interesse predominante, se del gruppo di lavoro verso la determinata istituzione oppure il contrario, la presenza iterata agli incontri rileva il grado di coinvolgimento nel progetto.

Il Comune appare di gran lunga come la presenza più rilevante††††††††††††††, la cui centralità relazionale del resto era stata ampliamente dimostrata nello studio di Dente, già citato.

Estremamente rilevante appare anche la presenza dei rappresentanti del mondo del lavoro: sindacati e imprenditori‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡. Disponibilità reciproca testimoniata anche dall’aver dato grande risalto, sino alla estensione del documento finale, ai temi cari ai rappresentanti degli industriali: costruzione di reti (reti lunghe) tra Venezia e realtà nazionali, e sopratutto il tema della produzione materiale, vetro in particolare, come asse che la città non può permettersi di tralasciare§§§§§§§§§§§§§§.

†††††††††††††† Partecipazione che va però declinata nella duplice veste di interlocutore privilegiato e di soggetto di riferimento. Nel computo riportato in tabella sono stati considerati anche 3 riunioni in cui il dialogo era unicamente tra direzioni centrali, confronti quindi endogeni all’amministrazione comunale, riservati esclusivamente a funzionari interni all’amministrazione. Sebbene epurato da queste riunioni interne, il valore della partecipazione comunale verrebbe dimezzato nel numero di presenze, ma rimarrebbe comunque il primo soggetto interlocutore. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Anche in questo caso nel numero di presenze dei i due sindacati principali vanno considerati due incontri esclusivi con il gruppo di lavoro, ma quello che emerge è certamente un clima di forte collaborazione tra le parti. §§§§§§§§§§§§§§ Tema che ci è stato confermato anche da un’intervista avuta con Paolo Politeo di Unindustria il quale sosteneva con passione la posizione della Associazione Industriali riguardo la necessità di immaginare una linea di sviluppo basata su un “principio di gradualità”, ossia di coniugare la materializzazione dell’economia veneziana (turismo e servizi) con la difesa, da una parte, dell’identità manifatturiera di Porto Marghera e dall’altra, di alcune eccellenze tradizionali quali la filiera del vetro a Murano. Tradizioni che, sosteneva, sono da salvaguardare come valore aggiunto, proprio a livello di sistema, perché se cessassero, scatenerebbero un effetto domino che andrebbe a coinvolgere tutti i comparti della città. Proprio nell’ottica di difendere questa tipologia di argomentazioni Politeo sosteneva in maniera convinta la partecipazione dell’Associazione Industriali alla iniziativa del Piano Strategico, definendolo un momento in cui “per una volta gli stakeholders hanno avuto la possibilità di incontrarsi” , “uno stimolo per incrociare le idee” , “un valore aggiunto: tavoli permanenti periodici per conoscere le eccellenze del territorio.”

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I contatti con rappresentati del mondo sindacale sottolineano invece come certamente la partecipazione ai lavori del piano sia stata, da parte loro, prima resa possibile e poi incentivata dal clima di dialogo di quegli anni***************.

Infine è da notare il coinvolgimento dato/cercato da istituti di ricerca e centri studio. La partecipazione e il numero di esponenti di questi soggetti è certamente tale da dare un’impronta al processo.

Un secondo tipo di valutazione riguarda le “occasioni di contatto” che queste riunioni hanno innescato. In questo caso ci si è concentrati sulle istituzione e non sui rappresentanti.

Ai 6 incontri plenari a cui hanno preso parte in complesso 43 istituzioni e la partecipazione è stata investigata attraverso tre parametri: − il numero di contatti, ossia il numero complessivo di possibilità avute per avvicinare un’altra

istituzione presente ad una delle riunioni, − il numero di distinte istituzioni con cui si è venuti in contatto, in questo caso non contano le

ripetizioni, − il numero di istituzioni con cui si è venuti in contatto per almeno due volte.

Gli indici illustrati, indipendenti tra di loro, perché funzione della propria partecipazione, ma anche della composizione dei tavoli a cui si è preso parte, vorrebbero dare una misura dell’ampiezza ma anche della profondità delle relazioni che durante i lavori del piano si sono potenzialmente innescate o, se già in atto, consolidate.

L’ampiezza è misurata dalle possibilità complessive di incontro con soggetti altri e dal numero di istituzioni con cui si è venuti in contatto. La possibilità poi, di reiterare un incontro, permette, almeno in potenza, di approfondire tali relazioni.

Fig. 1 - Consistenza del network esterno configuratosi durante la fase di allargamento

dei contenuti

0

10

20

30

40

50

60

70

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Consistenza del network esterno

Contatti

istituzioni

>2 volte

Elaborazione dell’autore

*************** In un incontro avuto con Franco Scantamburlo, rappresentate della CGIL, presente ai lavori della Commissione Cultura, è stato sottolineato come fosse proprio il clima di concordia e fiducia costruito in altri momenti della vita politica veneziana a rendere possibile la partecipazione costruttiva ai lavori del piano strategico.

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Sulla base di questi indici è stato costruito un semplice indicatore che li aggrega mediando e normalizzando tra zero e il massimo valore ottenuto.

L’indicazione che sembra emergere è che il processo ha effettivamente innescato le condizioni per una più fitta aggregazione tra attori del tessuto veneziano.

Nella tabella successiva vengono riportate solo le 14 istituzioni aventi una presenza di maggior spicco, e per questo campione, un terzo rispetto al totale dei partecipanti in esame, si può affermare che attraverso gli incontri avuti si è certamente presentata loro la possibilità di estendere il patrimonio relazionale in possesso.

In termini assoluti, i soggetti maggiormente presenti hanno incontrato almeno 30 istituzioni diverse di cui quasi la metà per almeno due volte†††††††††††††††.

In termini relativi è ancora una volta da segnalare la importante presenza dei rappresentanti del mondo del lavoro, a sottolineare quale sia l’imprinting principale di questo progetto.

Di tutt’altra natura è comprendere se le potenzialità di tali incontri si siano effettivamente avviate, ma da questa analisi sembra che, effettivamente, il processo abbia avuto successo nel porre le necessarie premesse perché questo fosse possibile.

Tab 2 - Le 14 istituzioni di maggior presenza Contatti Istituzioni >2

volte Indice di relazione

CGIL 66 32 13 1.00 Unindustria 66 32 13 1.00 COSES 58 35 12 0.95 UNIVE 57 34 12 0.93 Camera commercio Venezia

55 33 13 0.91

IUAV 48 32 7 0.78 Fondazione CARIVE 43 29 8 0.72 CISL 36 20 10 0.59 Parco Scientifico VEGA 34 20 11 0.59 UIL 27 19 6 0.47 Regione Veneto 25 19 7 0.46 Fondazione Venezia 2000

27 26 2 0.50

CNR 19 13 7 0.35 Stazione Sperimentale del Vetro

19 13 7 0.35

Elaborazione dell’autore Una lettura dei contenuti specifici dei vari incontri offre un ulteriore livello di riflessione. L’analisi dei singoli temi specifici affrontati nel dibattito è certamente un compito al di fuori

dell’ambito di questo studio. Per completezza, però, riportiamo i titoli dei temi maggiormente discussi: il porto, la laguna, il Mose, la dotazione infrastrutturale, stradale, ferroviaria, aeroportuale, l’idrovia, la sub lagunare, Porto Marghera. Tra i temi soft tra i più citati sono: il ruolo dell’università, la creazione di un centro di ricerca regionale sulle nano-tecnologie, il turismo (in particolare il governo di un fenomeno altrimenti esplosivo), la necessità di incubatori per l’innovazione e ultimo ma forse primo per trasversalità, la necessità di costituire reti di coordinamento capaci di catalizzare masse critiche sufficienti a superare la frammentazione delle varie realtà territoriali.

Aspetto rilevante è la modalità con la quale è stato impostato il dibattito dei tavoli e come i contributi emersi sono stati recepiti.

La dinamica, l’interazione, che affiora dalla lettura dei verbali‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ delle varie riunioni, ha una struttura sostanzialmente fissa: presentazione da parte dei responsabili del gruppo di lavoro sui contenuti del Piano sin lì elaborati e quindi dibattito.

††††††††††††††† Un quadro quantitativo che, pur senza anticipare le conclusioni, sembra confermare quanto espresso da Roberto Pugliese “nella fase di costruzione tutto è positivo, è facile convincere tutti a partecipare; sia la parte privata, che quella pubblica, gente che non si è mai parlata trova il modo di sviluppare sinergie.” ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Va ovviamente ribadito che questa analisi non vuole e non è in nessuno modo una valutazione dei documenti elaborati dal gruppo di lavoro, in particolare i verbali delle riunioni sono elaborati unicamente a fine interno per cui per lo più in forma di bozza e pro memoria. È quindi con lo stesso approccio che vengono letti in questa sede, come memorie e appunti dei lavori svolti.

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La prima parte dell’incontro è necessariamente dedicata alle modalità della pianificazione strategica e dei risultati parziali ottenuti. Segue la fase di presentazione delle attività del soggetto interlocutore e quindi il confronto vero e proprio.

La molteplicità di soggetti, diversi sia per missione che per costituzione, non aiuta una lettura sinottica, ma quello che filtra dai verbali è che allo slancio positivo del gruppo di lavoro sembra seguire, quasi sempre, una serie di interventi di tono decisamente più dimesso.

Se, necessariamente, l’introduzione al Piano e ai temi di volta in volta proposti è realizzata in maniera propositiva e ottimistica, a tali dichiarazioni di buona volontà vengono contrapposti, quasi subito, interventi di diverso tenore tesi sopratutto a evidenziare come i temi siano nel dibattito cittadino da molto tempo, e soprattutto la difficoltà di coordinamento tra i vari soggetti.

Affiora spessissimo nel dibattito come Venezia sia ritenuta ostaggio di lobby, di un frazionamento dei poteri che ne paralizza il governo§§§§§§§§§§§§§§§.

Interessante è, in questa ottica, un intervento del responsabile del gruppo di lavoro del Piano Strategico sulla modalità di coinvolgimento alla stesura del Piano: “è fatto con chi ci sta”, ossia con chi ha volontariamente accettato di partecipare. Dichiarazione che si presta a una duplice interpretazione, da una parte assegnando carattere positivo al coinvolgimento volontaristico che caratterizza la pianificazione strategica, ma non potendo sfuggire dall’altra agli evidenti limiti che questa elemento comporta.

Il coinvolgimento volontario, in linea di principio, tratteggia una garanzia della determinazione con cui si è parte del processo, ma allo stesso tempo non fornisce nessuna garanzia di completezza. Le assenze, in particolare di coloro in possesso di un qualche potere di veto****************, minano, l’efficacia dell’operazione e ne rendono più difficoltosa l’appropriazione.

Stupisce anche la scarsità di suggerimenti prettamente procedurali su come convogliare i risultati di questi lavori††††††††††††††††.

Emerge inoltre la mancanza di operatività degli ordini del giorno delle riunioni. Si tratta di incontri interlocutori, di presentazione delle reciproche attività e posizioni, ma non strutturati per il raggiungimento di specifici risultati. Non appaiono con chiarezza o le conclusioni degli incontri, aspetto evidente sopratutto in quelli singoli, realizzati con alcuni dei soggetti coinvolti: si ha l’impressione che la natura dell’incontro sia quella di una comunicazione più che di una tappa di costruzione di un percorso.

Questa tendenza è rappresentata in maniera paradigmatica nel secondo incontro sull’innovazione‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡, durante il quale venne formulata la proposta§§§§§§§§§§§§§§§§ che il VEGA facesse da soggetto coordinatore per le attività sull’innovazione: dai documenti a disposizione si direbbe trattarsi dell’unico caso in cui una soluzione di un tema dibattuto è stata proposta all’interno del tavolo stesso.

Approccio che in realtà non è affatto celato, anzi esplicitamente dichiarato. Gli incontri vengono spesso chiusi ricordando che delle “vere e proprie conclusioni non sono previste, ma che lo scopo degli incontri è aprire la strada alla focalizzazione dei problemi individuati per una successiva elaborazione”*****************.

La struttura base del documento

Forti di queste premesse, risulta forse più facile comprendere, la struttura data al documento di piano†††††††††††††††††.

Sin dalla prima bozza, si comprende la struttura generale del documento: una prima parte introduttiva, funzionale alla spiegazione delle motivazioni e dei vantaggi della pianificazione strategica; una seconda parte, più propriamente propositiva, in cui dalla enunciazione di una

§§§§§§§§§§§§§§§ Situazione accettata, persino istituzionalizzata, a tal punto che viene citato anche un libro dell’attuale sindaco (Cacciari, Arcipelago, Milano, 1979) in cui si sostiene che c’è una rete di poteri a Venezia talmente atomizzata che è impossibile dirigerla in una specifica direzione, ma che bisogna accontentarsi di gestirla, di conviverci. **************** In particolare Regione e Provincia di fatto non particolarmente presenti. †††††††††††††††† Uniche eccezioni: un intervento del sindacalista della Cisl, Danieluzzi, in cui si sosteneva che un seminario non significava concertazione in quanto non è la sede in cui vengono prese le decisioni, comunque anche se riteneva interessante parteciparvi al fine di evidenziare problemi per trovare soluzioni il più possibile condivise; il professor Carlo Carraro, durante l’incontro bilaterale tra lo staff del piano e la Fondazione Enrico Mattei, suggerì che il modo di procedere avrebbe potuto passare attraverso la definizione di una serie di punti: direzione verso cui si muove il processo spontaneo, dove sono i punti di svolta, individuare la direzione di sviluppo, stabilire fonti finanziarie necessarie ed infine definire alleanze strategiche. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Documento 11, aprile 2002, §§§§§§§§§§§§§§§§ Proposta poi, nel corso della stessa riunione, rifiutata. ***************** Incontro: Valorizzazione sistema turismo, 28/5/02. ††††††††††††††††† Prima in forma di bozza nel documento 7 del settembre 2002 e poi, organicamente strutturata, nel documento 10 del gennaio 2003.

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vision, capace di comunicare il senso di tutto il progetto, si passa poi all’articolazione delle politiche proposte.

Punto fermo, è il taglio fortemente orizzontale: vengono portate avanti molteplici linee tematiche, in parallelo, che coprono un ampio spettro di problematiche.

Questi gli assi principali e una sintesi dei loro contenuti‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡.

Pre-condizioni strutturali 1. Città fisica e funzionale. L’organizzazione territoriale: sviluppo, messa in evidenza e verifica

delle strategie qualificanti la politica urbanistica del comune, loro raccordo con le politiche di area vasta. Le condizioni poste dagli attuali limiti dell’assetto infrastrutturale. Condizioni, risorse e obbiettivi da considerarsi sono: integrazione del ruolo di diverse parti della città, riqualificazione dell’ambiente naturale, qualificazione dei servizi e degli standard urbanistici, soddisfacimento della domanda di residenza, delle diverse domande di mobilità dei residenti e dei city users, ricostruzione della base economica della città, integrazioni tra politiche locali e politiche di area vasta.

2. Città metropolitana. Gli assetti amministrativi: riorganizzazione del sistema territoriale veneziano in chiave metropolitana, innovazione della struttura istituzionale, riferimento all’istituzione dell’Ente territoriale Città Metropolitana di Venezia§§§§§§§§§§§§§§§§§. Architettura istituzionale da realizzarsi attraverso: organizzazione metropolitana dei servizi, innovazione della struttura istituzionale, riassetto poteri di programmazione funzioni area vasta, posizionamento ottimale nella competizione internazionale tra sistemi urbani.

3. Città degli abitanti: plurale, sostenibile e solidale. Questa linea si basa sulla centralità della qualità del quotidiano, la qualità dei servizi offerti alla persona, partecipazione e pluralità, miglioramento della qualità ambientale******************.

Le specificità del sistema Venezia 4. Città della cultura: valorizzazione risorse esistenti, produzione di nuovi beni culturali, nuove

figure professionali. Visione attiva del settore che non deve limitarsi a “vendere” beni storici ma stimolare la produzione di beni e professioni nuove. Cultura come valore aggiunto per gli abitanti dell’area metropolitana. Offerta formativa funzionale al sistema cultura.

5. Città Internazionale. Marchio Venezia per la crescita del sistema produttivo reale. Insediamento di nuovi organismi e attività internazionali. Promozione del marchio Venezia e promozione della internazionalizzazione delle sue produzioni reali. Si vuole esprimere attraverso l’attrazione di investimenti diretti esteri, creazione di network delle attività internazionali di operatori pubblici e privati, rafforzamento del ruolo istituzionale di Venezia a livello europeo e mondiale.

6. Città delle Acque. Riconoscimento della relazione della città con l’acqua e potenziarne il valore aggiunto. Superare la percezione acqua come fattore di disturbo, ma valorizzarla come risorsa al centro delle politiche di sviluppo. Ruolo dell’acqua come elemento di progettazione, della pianificazione e del paesaggio, fattore unificante del sistema metropolitano, mezzo delle relazioni commerciali internazionali: porto commerciale e turistico. Elemento e ambiente di ricerca avanzata.

Gli obbiettivi specifici 7. Città dell’Innovazione††††††††††††††††††: reti di connessione, attività innovative, produzione ad

alta sostenibilità sociale ed ambientale di beni e servizi. Rinnovamento delle imprese consolidate, insediamento nuove imprese ad alta tecnologia, innovazione dagli interventi di salvaguardia.

8. Città della produzione materiale‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡: mantenimento complessità del sistema, riconversione industriale e risanamento di porto Marghera. Risanamento ambientale come opportunità di sviluppo, definizione di politiche per luogo e tipo di produzioni che caratterizzano il sistema.

9. Città del turismo: ottimizzazione ricadute sul sistema città, governo del sistma turismo, interventi sulla catena della produzione turistica agendo sul prodotto (alberghi, musei,

‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ La descrizione delle linee non era ancora presente nella bozza esposta nel documento 7, ma per maggiore chiarezza espositiva si è ritenuto di fornire i contenuti delle linee citando il documento 7 bis, dicembre 2002, in cui tali contenuti sono stati esposti durante il workshop per la realizzazione delle matrici ad impatto incrociato. §§§§§§§§§§§§§§§§§ Tit. V costituzione, Lc 18/10/01 ****************** Da notare come il tema ambientale sia più o meno uniformante spalmato lungo tutti i vari assi. †††††††††††††††††† Titolo poi cambiato in: Città della formazione superiore, della ricerca e dell’innovazione. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Titolo poi cambiato in Città della produzione materiale e dei servizi.

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spettacoli) e sulla domanda (promozione) e sulla filiera (connessioni con il sistema città). Ottimizzazione delle ricadute del turismo sul sistema città.

10. Città della Logistica§§§§§§§§§§§§§§§§§§: efficacia e efficienza della mobilità delle merci. Potenziamento dei fattori localizzativi e delle infrastrutture d’eccellenza. Creazione di una vera e propria piattaforma della logistica “il nord est verso l’est”, eco-logistica: città accessibile e funzionale.

Tuttavia il gruppo di lavoro era consapevole della mancanza di una chiara gerarchizzazione

delle linee strategiche*******************. Per risolvere tale criticità è stato organizzato un workshop, di 4 giornate, per la “realizzazione

di una matrice di impatto incrociato††††††††††††††††††† tra i fattori determinanti la strategia di sviluppo del sistema locale”, con l’obbiettivo di individuare gli effetti incrociati, e quindi il relativo posizionamento delle diverse linee strategiche sotto il profilo della capacità di condizionamento reciproco.

Al workshop parteciparono una sezione trasversale dei vari attori sociali coinvolti nei tavoli precedenti, rappresentanti dell’amministrazione comunale, ben 7 direttori centrali e il direttore generale dell’amministrazione e 18 rappresentanti del sistema Venezia‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡.

Il confronto ha portato a classificare “quanto ciascuna linea strategica condiziona l’esistenza e/o la realizzazione di ciascuna linea considerata passiva”, classificando le diverse linee in termini di fattori condizionanti, ambivalenti, condizionate ed infine ininfluenti§§§§§§§§§§§§§§§§§§§.

A seguito del workshop il gruppo di lavoro del piano ha individuato il movente culturale, la mobilità e l’internazionalizzazione come assi privilegiati capaci di innescare una ricaduta di effetti massima.

La relazione finale del workshop conclude invitando a presentare le linee corrispondenti, assieme a quella del turismo, che potenzialmente le riassume, come priorità del piano.

Un risultato raggiunto con regolarità è stato l’allargamento del patrimonio di competenze a disposizione del gruppo di lavoro, in particolare attraverso un articolato rapporto con le istituzioni di ricerca che hanno garantito una sorta di external peer review alla prima bozza del documento.

Processo di revisione che si è effettivamente messo in pratica nel periodo tra gennaio e marzo 2003, prima con una riflessione tutta interna al gruppo di lavoro e poi con il contributo di un gruppo ristretto di interlocutori privilegiati********************.

Sono stati organizzati tre incontri al COSES,uno a Roma nella sede del CENSIS†††††††††††††††††††† e un quinto alla Fondazione Venezia 2000‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡, caratterizzate dal confronto con personalità esterne all’ambito veneziano.

Si tratta di confronti distintisi per un contraddittorio estremamente franco e aperto. Le personalità coinvolte, tutte a vario titolo portatori di esperienze di pianificazione strategica, hanno prodotto un ampio ventaglio di osservazioni, confrontandosi sia con il contesto veneziano che con altre esperienze nazionali e internazionali.

I principali rilievi scaturiti sono stati aggregati per temi simili. Si è ritenuto inoltre che la migliore forma per riportare tali commenti fosse di citarli nella loro integrità, per riportare correttamente il contenuto ma anche per cogliere qualche frammento dei toni con cui sono stati fatti.

§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Titolo poi cambiato in: Città nodo di eccellenza della logistica. ******************* Come vedremo meglio successivamente, questo aspetto verrà sottolineato con estrema forza dai revisori esterni del documento di piano. ††††††††††††††††††† La metodologia è stata mediata da Antonio Martelli, Analisi strategica mediante scenari, ETAS libri 1992 ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Sono state invitate le seguenti istituzioni: Censis, Urban-Lab, Unindustria, Università Cà Foscari, Magistrato delle acque, Veneto Innovazione, Università di Trieste, Caritas veneziana, Biennale di Venezia, Autorità portuale di Venezia, Società sistema, Associazione veneziana albergatori, Venice card spa, Coses e due imprenditori privati. §§§§§§§§§§§§§§§§§§§ In dettaglio, il risultato mediato, ossia espressione di tutto il gruppo coinvolto, individua le linne “Città della cultura, della mobilità, del turismo” come condizionanti. La linea “Città Internazionale” come ambivalente o critica. La linea “Città Plurale Solidale Sostenibile” come prevalentemente condizionata ed infine classificano come relativamente ininfluente sulle altre linee “Città della ricerca e Innovazione e città della Produzione materiale”. ******************** Componenti interni all’amministrazione comunale: Ilaria Tramezza, Ambra Dina. Esterni: Isabella Scaramuzzi, Enzo Rullani, Francesco Indovina, Roberto Camagni, Agata Spaziante, Francesco Sbetti. †††††††††††††††††††† Questa seduta in particolar modo è stata caratterizzata da un dibattito estremamente ricco e articolato ed impostato all’insegna dell’estrema franchezza. I partecipanti sono stati: Giuseppe De Rita, Fabio Taiti , G. Lombardi, N. De Lai, G. Roma, A. Armellini, M. Preite, C. Carminucci, S. Santapaolo, M. Baldi, C. Collicelli. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Struttura di ricerca da tempo impegnata nell’approfondimento analitico delle tematiche più rilevanti dell’area veneziana e nella proposizione di strategie di intervento.

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Prima osservazione, sia per l’enfasi con la quale viene menzionata che per la frequenza con cui compare, è che “Il documento si presenta come una semplice sommatoria di interventi”. La rilevanza è tale che sostanzialmente tutti gli interlocutori coinvolti nella fase di revisione richiamano questa osservazione. Viene dichiarato che il documento di bozza§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§, è troppo aperto, troppo ampio, e che dieci linee strategiche sono difficili da comprendere contemporaneamente.

I piani interpretativi, con cui giustificare questa obbiezione, sono due: uno tecnico, relativo alla leggibilità e comprensibilità del documento, ed uno più propriamente politico, che tende a sottolineare come la mancanza di una selezione dei i temi sia testimonianza della latitanza di una linea politica di indirizzo.

I richiami tecnici esplicitati possono essere rappresentati dalle seguenti dichiarazioni: “Manca sia una gerarchizzazione per importanza, che la trasmissioni di quali siano le idee forti”, “Sembra un inventario ben articolato.*********************” “Non emergono né quali siano i canali né i condizionamenti degli aspetti finanziari che comportano la fattibilità degli interventi.†††††††††††††††††††††” “Manca gerarchizzazione. Forse necessario definire un indice di fattibilità ed assumerlo come metodo per la gerarchizzazione.‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡“

I richiami politici: “Va apprezzato lo sforzo per un riordino dei progetti in campo, bisogna però introdurre i criteri di selezione, forse occorre richiamare alla responsabilità dei promotori.§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§” “Vanno annunciate le scelte possibili, anche se il farlo comporta il rischio dell’esposizione. Limitarsi all’annunciazione di possibili azioni vuol dire non scegliere**********************“ “Si presenta o è interpretabile come una sommatoria di interventi già programmati††††††††††††††††††††††“ “È necessaria una priorizzazione per: interventi in corso di attuazione, interventi programmati, interventi solo immaginati‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡“ “Se il piano si spalma troppo diventa facile perdersi, se gli interventi inclusi sono troppi non è possibile orientarsi. Il processo di pianificazione strategica entra in crisi. Il rischio è di procedere con il listening.§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§” “L’identità di una città non può essere la sommatoria di una molteplicità di identità. Venezia non è 20 cose diverse. Ognuna delle quali necessita di una sua strategia specifica.***********************“ “Il documento è troppo generico. Di notevole orizzontalità. Sembra voler parlare poco di Venezia.†††††††††††††††††††††††”

Altro aspetto richiamato è la mancanza di chiarezza del documento, intesa proprio in termini

lessicografici: “Manca un glossario, elenchi troppo lunghi e poco chiari.‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡” “Limiti lessicali. Troppo distanziato dai temi che coinvolgono la città. Troppo astratto. Ci si domanda inoltre il perché di tanto poco coraggio. Non si capisce a chi sia indirizzato, quale sia l’utenza”§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§. “Poca chiarezza sugli orizzonti temporali e le dimensioni territoriale delle aree di impatto degli interventi”************************. “Il caso della città metropolitana: si parla di area vasta ma si rimanda unicamente ad azioni la cui attuazione è responsabilità dell’amministrazione comunale”††††††††††††††††††††††††. “Distinzione tra piano tattico e piano strategico, questo è più il primo.‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡” “Non risulta chiaro perché si fa pianificazione strategica, non emerge la forza del piano non si capiscono quali siano le “invarianti del sistema”§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§.

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Il documento 10, dicembre 2002. ********************* F.Indovina 25/2/07 ††††††††††††††††††††† F. Sbetti 25/2/03 ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ G. Roma 27/2/03 §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Preiti 27/2/03 ********************** E. Rullani 26/2/03 †††††††††††††††††††††† Taiti 27/2/03 ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ E. Rullani 26/2/03 §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ De Lai 27/2/03 *********************** De Lai 27/2/03 ††††††††††††††††††††††† Carminucci 27/2/03 ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ I. Scaramuzzi 25/2/03 §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ I. Scaramuzzi 25/2/03 ************************ F.Indovina 25/2/07 †††††††††††††††††††††††† F.Indovina 25/2/07 ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Taiti 27/2/03

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Un’ulteriore osservazione è relativa alla genesi dei risultati, in particolare viene denunciata la difficoltà di ricollegare le linee strategiche presentate, alle analisi socio economiche e territoriali fatte.

“Le linee strategiche non presentano rimandi allo stato di fatto, mancano i riferimenti a progetti o dibattiti in corso. Nel documento non si trova traccia di parole come: Mose, tangenziale, metropolitana di superficie”************************* .

“Non si capisce bene da dove vengano ripresi i progetti esposti, chi li abbia proposti. Non compare il rapporto continuo, modello di governance con interlocutori privilegiati ed esterni.†††††††††††††††††††††††††”

“Nè in positivo, non emerge il lungo lavoro preparatorio alla stesura del documento,né in negativo vengono menzionate le difficoltà tra le relazioni tra i livelli di governo sovra ordinati (comune, provincia e regione).‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡”

Di ancora maggiore interesse sono le repliche dei rappresentati del gruppo di lavoro. La “grande questione” dell’assenza di una gerarchizzazione degli interventi previsti è affrontata sostenendo che questo è frutto di una precisa scelta metodologica secondo la quale:

“Non si opera per decidere cosa fare ma piuttosto per decidere come fare e con chi.§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§”

“Il piano deve contribuire alla cultura della pianificazione strategica.**************************” “Il piano strategico dovrebbe modificare un sistema di valori, portare a modificare l’approccio,

relazioni tra i soggetti, non a realizzare solo un documento ma generare un metodo.††††††††††††††††††††††††††”

“A livello di azione è meglio astenersi da considerarla strategica e di pensare piuttosto al livello superiore, altrimenti si rischia di rimanere impigliati nelle polemiche che portano il nome del progetto e non quello del problema.‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡”

“Obbiezione sulla scala geografica: scelte del comune, ma sono contattatati anche i soggetti su cui ricadranno gli impatti di tali scelte.§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§”

“Il piano non è e non può essere solo un metodo deve essere assunto anche come obbiettivo politico di una amministrazione. Il documento deve esprimere pre-condizioni e strategie: La pre-condizione imprescindibile è che ‘nessuna azione deve andare contro gli obbiettivi della città degli abitanti che deve essere sostenibile e plurale.***************************”

Di altrettanto interesse è ripercorrere l’evoluzione dello slogan scelto per rappresentare in sintesi il piano, anch’esso soggetto di attente considerazioni durante tutto il percorso di stesura del documento.

Inizialmente, settembre 2002, questo era: “Da città passiva A città produttiva, A città creativa, A città delle opportunità. Da città passiva,

non creativa, che tende alla disgregazione, a città creativa, riconoscibile. Da città che consuma le sue “risorse” a città delle opportunità, a città che vive solo di entropia ma che avvia processi per una sua rigenerazione, a città competitiva”

Questa prima proposta però è stata rivista†††††††††††††††††††††††††††. Si sosteneva che l’immagine trasmessa fosse negativa mentre “bisogna comunicare positivo, gettare il cuore oltre l’ostacolo”.

Nella medesima occasione viene proposta la successiva versione dello slogan della vision: “Metropoli venezia: Persone, lavoro, cultura”

Anche questo messaggio verrà poi ulteriormente modificato in “Venezia città metropolitana: Persone, lavoro, cultura” Variazione proposta proprio nelle riunioni di revisione esterne, in ragione della necessità di sottolineare il ruolo della città nel suo contesto senza volontà accentratici. È stato detto “Città piccola dentro una metropoli più ampia”. Messaggio quindi prettamente politico come sostenuto dall’assessore D’Agostino‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ perché pienamente in linea con la linea politica dell’amministrazione.

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ F. Sbetti 25/2/03 ************************* G. Lombardi 27/2/03 ††††††††††††††††††††††††† M. Preiti 27/2/03 ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ F. Sbetti 25/2/03 §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ M. Dragotto 25/2/03 ************************** M. Dragotto 25/2/03 †††††††††††††††††††††††††† Pugliese 25/2/03 ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Marina Dragotto 25/2/03 §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Pugliese 25/2/03 *************************** D’Agostino 25/2/03 ††††††††††††††††††††††††††† Sin dalla riunione con CORILA 20-11-02 ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Riunione COSES 26/2/03

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L’analisi della progettualità I contenuti progettuali si sono evoluti nel corso del processo. In questo testo si propone una

sintesi completa di quali progetti, azioni nella terminologia proposta nel piano, siano già in atto, quali in fase progettuale e quali siano invece le nuove azioni proposte dal piano.

Di seguito si riporta l’elenco di quelli che vengono definiti “gli elementi caratterizzanti il Piano”: - “piano di medio lungo periodo (altrove verrà specificato 5-10 anni)”, - “città di 300 000 residenti che opera in un sistema metropolitano di circa 600 000 abitanti”, - “piano come complessa e articolata strategia di sviluppo (non sommatoria ed ordinamento

di progetti già decisi)”, - “piano capace di risponder alle esigenze della molteplicità di referenti della città, non per i

soli residenti”, - “piano che punta a ridefinire i rapporti della città con:

il suo intorno (sistema casa/lavoro) con il Veneto con il resto del mondo”

- “piano risultato di un continuo confronto con i soggetti, pubblici e privati che contribuiscono a definire il sistema locale (processo di costruzione del capitale relazionale)”.

A dire il vero, il documento non dettaglia il percorso con il quale queste dichiarazioni siano dimostrate, ma sembra volerle fissare una volta per tutte a mo di conclusione delle obbiezioni sorte nella fase di revisione esterna§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§.

Per ognuna di queste viene proposta una classificazione in base all’orizzonte temporale di sviluppo (breve 2002-05, medio 2005-10, lungo 2010-15), al loro impatto territoriale, ed infine rispetto alla natura del promotore degli interventi attuativi (ente pubblico istituzionale, ente pubblico economico/ Società partecipate, privati).

Il risultato è un censimento di estremo dettaglio di attività e progetti: ognuna delle 10 politiche principali viene disaggregata in sub strategie. Ad esempio, Venezia città della cultura viene disaggregata in 3 strategie principali: - Produrre nuovi beni culturali e nuove figure professionali - Valorizzare le strutture esistenti affinché Venezia si affermi come centro di produzione

culturale - Sviluppare il sistema formativo legato ai beni culturali

Sulla base di tale censimento si è costruita una tabella di sintesi del numero di progetti censiti per ognuna delle singole linee classificate in base al rispettivo stadio di sviluppo: in atto, in progetto, proposte durante i lavori di piano. a partire dalla quale si sono estrapolate alcune indicazioni sull’attività progettuale proposta.

Tab. 3 - Azioni proposte nella prima versione del documento di piano Azioni in

atto Azioni in progetto

Azioni proposte

TOTALE

DETTAGLIO LINEE STRATEGICHE 223 110 109 442 Città degli abitanti Migliorare accessibilità urbana 3 2 3 Diritto lavoro e istruzione 5 0 3 Politiche residenza 2 2 2 Diritto salute 3 1 1 Governo conflitti e differenze 3 1 0 Politiche giovanili 12 1 2 Qualità offerta culturale e formativa 7 2 2 Sviluppo Tempo libero 4 2 2 Cittadini vulnerabili 12 0 0 Città sicura 1 0 4 Energie alternative e consumi 2 2 0 Riduzione carico inquinante 11 1 0 Educazione ambientale 1 0 3 Raccolta, riciclaggio, smaltimento rifiuti 2 0 2 Patrimonio naturalistico 3 3 0

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Una revisione che sposa in pieno le obbiezioni fatte da Rullani nel corso dell’incontro di revisione interno al COSES de 26/2/03.

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Cittadinanza pluralità popolazioni 2 0 1 Città delle comunità 1 1 1 Partecipazione processi decisionali 9 3 1 Immagine condivisa città 3 1 2 Inserimento migranti 6 0 3 92 22 32 146 Città Metropolitana Percorso istituzionale Città metropolitana

1 3 0

Statuto città metropolitana 0 2 0 Competitività territorio 1 4 0 Accordi metropolitani area veneta 1 3 0 3 12 0 15 Assetti fisici e funzionali Città bipolare 5 7 0 Riqualificazione urbana 3 5 0 Condizioni urbane 2 2 0 Coordinamento area vasta 0 0 1 Connessioni interne territorio comunale 2 5 0 Laguna 2 4 1 Strutture area vasta 1 2 0 Aree verdi area vasta 2 0 0 Urbanistica armoniosa 1 1 3 18 26 5 49 Città internazionale Insediamento organismo internazionale 1 0 1 Visibilità internazionale 4 0 0 Delocalizzazione imprese nord est 0 0 4 Network Nord est 1 0 0 Concertazione comuni 0 0 3 Economia immateriale 1 1 2 7 1 10 18 Città della cultura Fondaci cultura 0 0 5 Spazi ricettivi e foresterie 0 0 1 Sostegno fondazioni 0 0 2 Coordinamento pubblici privati 3 0 1 Nuove strutture 6 2 1 Comunicazione e marketing 2 0 2 Mantenimento patrimonio esistente 4 0 1 Offerta formativa specializzata 3 0 1 Logistica dedicata 1 0 0 Marketing offerta 3 0 0 Placement prodotti e figure professionali

0 0 1

22 2 15 39 Città delle acque Attività produttive legate acqua 3 0 0 Progetti mediterranei 1 0 1 Ricadute ricerca interventi salvaguardia 0 0 3 Rete mobilità merci persone 0 2 2 Organismi internazionali cultura acqua 0 2 0 Relazioni internazionali 0 0 1 Offerta turistica specializzata 3 2 0 Identità culturale legata acqua 5 4 5 Acqua coerenza pianificazione 0 0 2 Ripristino funzionalità 2 0 2

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Coordinare iniziative 0 0 2 Funzioni tradizionali 0 0 1 Tutela sistema acque 3 1 1 17 11 20 48 Città turismo Turismo culturale 8 1 1 Soggiorni studio 2 0 0 Congressi 6 0 0 Turismo sportivo 5 3 0 Entertainment 3 0 1 Crocieristica 3 0 0 Nautica 3 0 0 Itinerari lagunari 0 4 0 Turismo balneare 1 1 0 Mercati folcloristici 2 0 0 Gestione flussi 3 0 0 Qualità servizi 0 0 5 Ottimizzare ricadute sulla città 1 0 1 Terminal turistici 0 3 0 Trasporti dedicati 1 4 0 38 16 8 62 Città ricerca e dell'innovazione Coordinamento attori 0 0 1 Innovazione salvaguardia beni culturali 2 0 1 Spazio Europeo Ricerca 0 2 4 Innovare sistema città 2 0 0 Incentivare imprese consolidate 1 1 0 Fasi di avvio nuove imprese 2 0 0 Ricerca e finanza 1 0 1 8 3 7 18 Città produzione materiale Presenza grande impresa 5 1 2 Ricerca applicata 0 0 2 Risanamento Siti interesse nazionale 2 0 3 Vetro Murano 2 1 1 Economia marittima 0 0 4 Economia trasporti aerei 1 0 0 10 2 12 24 Città della mobilità: nodo eccellenza logistica

Potenziamento strutture 1 2 0 Utilizzo vettore ferroviario 1 1 0 Separazioni flussi merci persone 0 3 0 Specializzazione ambiti2 2 0 0 Riduzione danni inquinamento 1 0 0 Capacità trasporto 1 2 0 Logistica città 1 4 0 Integrazione reti 0 2 0 Innovare tecnologia servizi 1 1 0 8 15 0 23 Elaborazione dell’autore

L’analisi aggregata delle azioni proposte offre spunti interessanti. La prima osservazione è

che tale esercizio realizza una vera e propria tassonomia delle attività messe in essere sul territorio dall’amministrazione. Emerge quindi un primo, concreto sforzo di armonizzazione degli interventi e di conoscenza di chi è attivo sul territorio e come.

Da un punto di vista della progettualità, le azioni, accreditate ai lavori del piano e quindi le uniche attribuibili al processo, sono circa un quarto del totale delle azioni citate.

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La ripartizione tra azioni già in essere (in atto o in progetto) e quelle concepite durante il piano, può essere un indicatore da cui desumere dove, di fatto, siano stati concentrati gli sforzi.

Se la prima linea, la Città degli abitanti, sembra essere la ricognizione delle azioni su cui l’amministrazione stava investendo al momento della stesura del Piano, la linea Città metropolitana sembra rappresentare l’immediato futuro su cui si è già deciso di puntare.

Invece sono cinque le linee su cui sembra che il processo di pianificazione strategico abbia mirato in maggior misura: Città internazionale, Città della cultura, Città delle acque, Città della Innovazione e Città della produzione materiale.

Ben 64 dei 109 progetti sono racchiusi in queste linee. Di questi circa 50 contengono nel titolo lemmi dal significato semantico molto prossimo: coordinamento, organizzazione, integrazione, network o rete. Se si aggiunge anche il termine formazione si arriva a coprire quasi il totale delle azioni previste. Emerge quindi con chiarezza la natura prevalente degli interventi proposti.

Da una parte questo sembra soddisfare le richieste dei soggetti maggiormente coinvolti, sindacati e industriali, che, come si descriverà meglio nella successiva analisi dei verbali a disposizione, sono andate proprio verso la pressante richiesta di attivare reti, ossia che l’amministrazione comunale svolgesse in prima persona la funzione di coordinamento, percepita come una mancanza gravissima per il governo del tessuto sociale ed economico della città.

D’altra parte però, non si può fare a meno di osservare, una certa modestia progettuale, una volontà di non osare, solo attività “soft”, che in qualche modo appartengono già alla mission istituzionale dell’amministrazione del territorio. Attività che, con occhio smaliziato, sono, almeno

Fig. 2 – Distribuzione delle tipologie di progetto lungo le linee strategiche

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Azioni proposte da PS 32 0 5 10 15 20 8 7 12 0

Azioni in progetto 22 12 26 1 2 11 16 3 2 15

Azioni in atto 92 3 18 7 22 17 38 8 10 8

Città degli

abitanti

Città

Metropolit

ana

Assetti

fis ic i e

funzionali

Città

internazio

nale

Città della

cultura

Città delle

acque

Città

turismo

Città

ricerca e

dell'innova

Città

produzion

e

Città della

mobilità :

nodo

Elaborazione propria. formalmente, di relativamente facile attivazione, ma la cui reale efficacia è più difficile da

catturare. Il primo documento prodotto è una presentazione delle strategie appena analizzate. La parte iniziale del documento introduce le finalità del piano strategico e ne riassume il

percorso ed infine le ipotesi principali. Riportiamo per completezza sia i punti citati come caratterizzanti l’approccio strategico che le ipotesi di base con cui gli estensori del documento hanno inteso “caratterizzare il piano strategico veneziano”.

Caratteristiche dell’approccio strategico: - “individuare gli scenari evolutivi possibili del sistema; - facilitare la condivisione dello scenario di sviluppo da parte dei soggetti che compongono il

sistema locale e promuovere un agire collettivo per la definizione di progetti e per una valutazione comparativa del loro impatto;

- facilitare accordi di cooperazione tra pubblico e privato;

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- valutare i progetti sulla base della loro coerenza con la strategia generale e i principi di compatibilità urbanistica e di sostenibilità;

- individuare una scala di priorità degli interventi necessari per il conseguimento degli obiettivi;

- promuovere un uso efficace delle risorse disponibili; - monitorare lo stato di attuazione dei progetti proposti”

Sintesi delle ipotesi dichiarate come caratterizzanti il piano veneziano sono: - piano di medio-lungo periodo, orizzonte 2010, per una città di circa 300.000 residenti (circa

430.000 abitanti “quotidiani” il cui contesto di riferimento è un sistema metropolitano di circa 640.000 abitanti (25 comuni);

- piano promosso dall’Amministrazione comunale ma rapportato ad un contesto metropolitano;

- complessa ed articolata strategia di sviluppo del sistema locale e da leggere non solo come sommatoria ed ordinamento di progetti già decisi e/o in corso di realizzazione;

- strumento che propone linee d’indirizzo che devono rispondere alle esigenze di sviluppo della molteplicità di referenti della città; strumento d’intervento che punta a ridefinire i rapporti della città: con il suo intorno (sistema casa/lavoro), con l’area metropolitana vasta (la cosiddetta PATREVE, l’agglomerato urbano Padova, Treviso e Venezia), con il Veneto, con il resto del mondo,

- documento i cui contenuti sono il risultato di un continuo confronto con i soggetti, pubblici e privati, che contribuiscono a definire il sistema locale;

- documento che considera le politiche attivabili e i relativi possibili interventi attuativi in ragione dei tempi brevi, medi e lunghi di loro realizzazione e in ragione delle diverse componenti della popolazione quotidiana sulle quali si riversano gli effetti.

- documento che assume come riferimenti fondamentali i principi di sostenibilità, di pluralità e di partecipazione così come definiti nell’ambito della Comunità europea (Agenda 21, Carta Europea dei Diritti degli Uomini, Libro bianco sulla Governance, …).

Lo schema prevede una disposizione degli elementi ad albero in cui, dall’alto verso il basso,

si procede dall’enunciazione della “vision complessiva” legata alla realizzazione delle “condizioni strutturali” e delle “linee strategiche”. A loro volta queste sono ulteriormente disarticolate in “strategie”, costituite da “politiche”, che infine, come ultimo livello costitutivo, si strutturano in “azioni”.

L’articolazione delle varie linee strategiche può essere interpretata come risposta alla mancanza di priorizzazione. Già dal documento 7 queste venivano organizzate attraverso quattro livelli: organizzazione territoriale (Città fisica e funzionale), GLI assetti amministrativi (Città metropolitana), le specificità del sistema Venezia (Città Cultura, Città Internazionale, Città delle Acque) ed infine gli obbiettivi specifici (Città dell’innovazione, della Produzione Materiale. del turismo, della logistica).Ecco che dopo i vari passaggi di revisione viene attribuito un implicito ordine di importanza alle linee strategiche. Città degli abitanti: plurale, solidale e sostenibile, Città metropolitana e città fisica e funzionale vengono definite condizioni strutturale, ossia pre-condizioni essenziali per la realizzazione delle altre linee****************************.

Il Progetto Commissioni

Successivamente all’approvazione della prima versione del Piano Strategico da parte della giunta comunale††††††††††††††††††††††††††††, la giunta stessa ha manifestato l’intenzione di “promuovere momenti di discussione e di confronto con la molteplicità degli attori che compongono il sistema locale al fine di: pervenire ad un ordinamento delle strategie e delle politiche proposte per la scala di priorità e di conseguire il consenso più ampio e l’adesione al progetto di sviluppo dei soggetti e delle categorie che operano nel sistema locale”.

Tra il febbraio e il giugno 2004, per rispondere a tali indicazioni, è stato messo in atto il “Progetto Commissioni”.

Un processo che ha coinvolto le diverse componenti locali a cui il piano sottende. È sicuramente il momento di maggiore ampliamento dei contenuti del piano al tessuto della città, che, come è stato definito in un documento di riflessione interno al

**************************** Aspetto sottolineato più volte, come visto nelle riunioni di revisione del documento, proprio dall’assessore D’Agostino. Punto che quindi può essere legittimamente attribuito alla sponda politica degli estensori del piano e quindi utile alla definizione dell’effettiva linea politica alla base del documento. †††††††††††††††††††††††††††† 5 dicembre 2003

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COSES‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡, rappresenta “un vero affresco balzachiano della nostra città metropolitana”.

Gli obbiettivi dichiarati nella introduzione ai verbali delle commissioni sono: - “l’adesione ai contenuti del piano del numero maggiore di attori del sistema locale e la

definizione di un documento finale da proporre per la sottoscrizione - la conferma o la modifica dei contenuti delle strategie e delle politiche proposte - il consenso sul loro ordinamento per scala di priorità - lo schema delle relazioni tra linee strategiche - le priorità dell’intero progetto di sviluppo”. Appare chiaro, almeno dalle dichiarazioni di principio, che tale progetto vuole andare a

colmare proprio i vuoti emersi come le maggiori criticità del processo di stesura del documento: la definizione delle priorità di intervento.

I lavori sono stati organizzati suddividendo gli attori in otto commissioni, ciascuna delle quali costituita da un presidente§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§, l’assessore alla pianificazione strategica, i membri del gruppo di lavoro del Piano strategico e i “componenti” della commissione. I componenti della commissione sono definiti come “i rappresentanti del sistema città con competenza sui temi trattati e i rappresentanti dei Promotori del piano” L’impegno richiesto ai partecipanti è di tre incontri nell’arco di tre mesi.

Il flusso di lavoro prevedeva che durante il primo incontro fosse presentato il Piano e che quindi fosse dato avvio al dibattito sulle tematiche specifiche della commissione in oggetto. Al termine di ogni incontro era prevista la consegna di un questionario in cui verificare e sviluppare ulteriormente i temi trattati.

Il secondo ed il terzo incontro prevedevano rispettivamente di approfondire le tematiche ed infine di condividere i contributi emersi.

Ai lavori delle commissioni è stato dato grande risalto, i verbali sono stati pubblicati nel sito ufficiale dell’ufficio di piano e la versione finale del piano ha come motivo ufficiale di revisione proprio l’inserimento dei lavori delle commissioni.

I lavori delle otto commissioni, riportati in 500 pagine di verbali, sono stati sintetizzati nel già citato lavoro59. L’approccio su cui si basa lo studio di Scaramuzzi è mediato dall’analisi semantica: infatti sono state estratte dai verbali, e successivamente commentate, le key word utilizzate con più frequenza durante i lavori delle diverse commissioni.

Benché nel documento non siano disponibili i dati statistici su cui si appoggia lo studio alcune delle conclusioni sono comunque di interesse. Due i principali parametri di riferimento: la frequenza con cui una singola parola è stata utilizzata, e il numero complessivo di catch word utilizzate in una singola commissione.

Lo sguardo su tutte le commissioni indica che le parole maggiormente utilizzate sono: “cultura”, “sistema”, “logistica”, “progetti”, “turismo”, “identità”, “Mestre”, “metropoli” ed infine “risorse”.

Dal punto di vista della quantità, ossia dove il dibattito è stato maggiormente articolato, l’analisi offre questa graduatoria: la commissione cultura è quella che ha utilizzato uno ventaglio superiore di lemmi (ha usato quasi un quinto di tutte le parole contate, poco più di 500 su 2 600). Venezia “città della produzione materiale” (oltre 400 citazioni di catchword), leggermente avanti alla “Venezia di formazione, ricerca, innovazione”. Seguono le commissioni relative alla logistica e al turismo. Le linee meno “loquaci” sono la “città degli abitanti” e quella “internazionale”.

Internamente alla commissione cultura, “turismo” è la parola più citata dopo “sistema” e “progetti”. Interessante è l’emergere della catchword “identità” seguita dalla più elevata citazione del lemma “Mestre”, stupisce che sia proprio nella commissione cultura, e da quella “metropoli”. Anche la parola “risorse” è molto citata nel discorso culturale: sistema, progetti e risorse, un messaggio molto concreto per l’economia dell’immateriale.

Al contrario, il discorso della commissione formazione, ricerca, innovazione usa abbastanza la catch word “cultura”, almeno quanto “formazione” e “Università” e più di “innovazione”. Forte è il riferimento alle “reti lunghe” (internazionalizzazione) e ai siti deputati: “Marghera” che

‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ I. Scaramuzzi, “Ascolto il tuo cuore, città”, COSES settembre 2004 §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ I presidenti delle commissioni sono stati scelti tra esponenti dei maggiorenti veneziani, gran parte di loro aveva già preso parte ai lavori del piano, sopratutto nella fase di revisione esterna. Giuseppe De Rita, Città Internazionale; Ezio Rullani, Città della Cultura; Armando Peres, Città del turismo; Pier Francesco Ghetti, Città della formazione; Claudio Bonicciolli, Città della logistica; Tiziano Treu, Città della produzione materiale; Giuseppe Caccia, Città degli abitanti plurale e solidale; Francesco Indovina, Città degli abitanti.

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raggiunge qui una buona citazione. Infine un legame importante con la città materiale, concentrato sul lemma “vetro”.

Il turismo, da parte sua, ricambia la “cultura”, primo lemma. Poi, stupisce, citando abbastanza frequentemente “Mestre” e anche “Laguna”.

La commissione logistica utilizza molto la parola con cui si definisce. I suoi altri collegamenti sono con “Marghera”, “imprese”, con l’”acqua”, con il lemma”sistema”. Interessante è l’emergere della catchword “Regione (Veneto)” che raccoglie pochissime citazioni nelle altre commissioni.

Il primato assoluto di citazioni per “Marghera” si registra, come atteso, nella “Città della produzione materiale”. Altrettanto prevalente la citazione frequente del lemma “imprese”.

La commissione città materiale insiste sulla parola “priorità”. Colpisce senz’altro che ‘etichette’ del Piano come “plurale” e “solidale” siano praticamente escluse dal discorso delle commissioni. “Sostenibile”, la terza parola per definire la condizione strutturale città degli abitanti, ha invece il record di autoreferenzialità (40 su 50 citazioni avvengono nella commissione città sostenibile). Anche ”innovazione”, è fortemente autoreferente (citata solo nella commissione che ha questa etichetta) ma compare in misura significativa anche nel discorso sulla città materiale.

Alcune catchword come “partecipazione”, “condivisione”, “priorità” sono state introdotte per misurare se il metodo fosse apprezzato e condiviso ed il loro utilizzo sembra confermarlo. Anche la richiesta di “coordinamento*****************************” (particolarmente forte nelle commissioni cultura e Formazione e ricerca) può entrare a far parte di questo set di parole, che indicano il metodo per il Piano. Pochissime invece le citazioni di “Provincia” (10) e “Regione” (35), anche se presenti, talvolta, come partecipanti alle commissioni.

Gli spunti, qui sintetizzati, sui contenuti dei lavori delle commissioni hanno prodotto all’interno del gruppo un momento di riflessione††††††††††††††††††††††††††††† importante conclusosi con uno schema di priorizzazione degli interventi, che qui riportiamo, ma che non è stato ripreso in nessun documento ufficiale successivo.

Lo schema proposto‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ prevedeva una disposizione delle varie tematiche nel seguente ordine di priorità: 1. Strutture basiche

- metropoli che c’è già (provincia e comuni) - accessibilità e massa critica ( connettivo metropolitano e soglia critica)

2. Politiche trasversali - branding Venice (marketing territoriale) - sostenibilità - formazione

3. Strategie - Ospitale. Città del turismo che paga la qualità - Materiale e logistica - Patrimonio città, real estate - Economia della cultura - Welfare - Città della responsabilità sociale d’impresa.

La versione finale del documento di Piano Interessante è il riscontro dei cambiamenti occorsi nella seconda, e definitiva, versione del

documento di piano. Infatti, come detto, sin dalla prima stesura era stata dichiarata la natura progressiva del documento, tappa di un percorso aperto, pensato per essere sottoposto a successive variazioni e soprattutto ad includere i contributi del processo di revisione allargata dei contenuti. Discussione effettivamente concretizzatasi, come abbiamo visto, nel “Progetto Commissioni”.

Certamente la seconda versione si distacca per una maggiore cura redazionale sia grafica che dei testi, in particolare per quelli esplicativi della struttura logica del piano. Lavoro che ha portato ad una migliore comunicazione anche delle premesse contenutistiche delle linee strategiche, come delle politiche specifiche, che sono spesso approfondite ed emendate da termini troppo specifici e acronimi tecnici.

***************************** Parola che anche in questa sede era stata notata per frequenza con cui è comparsa nel dibattito previo alla stesura del documento. ††††††††††††††††††††††††††††† Isabella Scaramuzzi, I risultati del progetto commissioni, Settembre 2004, COSES Doc. 582 ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ ibidem

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Ma è il confronto sulle variazioni dei contenuti che dovrebbe rivelare i risultati emersi durante il percorso di allargamento al tessuto sociale veneziano.

Il primo cambiamento lo si individua sin dalla premessa introduttiva a firma del sindaco Costa. Il testo rimane lo stesso parola per parola tranne che per una cifra, l’orizzonte temporale su cui tarare le politiche, gli interventi e quindi la progettualità proposta nel piano, passa dal 2010 al 2015.

È nella “Premessa” che si registrano i più numerosi cambiamenti, a tal punto che questa parte diventa una vera e propria legenda di merito con cui interpretare la parte successiva.

Prima di tutto si registra un aggiornamento dato proprio dalla spiegazione del Progetto Commissioni e dalla revisione dei contenuti che è stato effettuata. Si sottolinea inoltre la partecipazione al Progetto INTERACT che ha messo in rete l’esperienza di pianificazione di Venezia con quella di altre città europee. Altro punto, preesistente, ma cui viene dato maggiore risalto è proprio quello dei riferimenti programmatici, principi di cui si è già trattato precedentemente, e che assurgono a principi ispiratori di tutta l’operazione.

Sempre nell’introduzione viene aggiunto un paragrafo che affronta la questione dell’impegno che i sottoscrittori del piano si assumono. “Quanti sottoscrivono il Piano strategico di Venezia, esplicitano così la loro condivisione dei suoi contenuti: riferimenti, caratterizzazione, visione, l’articolazione in condizioni strutturali e linee strategiche, si impegnano a riferire il loro programma d’attività di medio lungo periodo alle strategie e alle politiche che il piano si propone di attivare. Va sottolineato che la condivisione del piano non comporta necessariamente anche l’adesione alle azioni alle quali rimanda per il conseguimento degli obiettivi”. Si tratta dell’unica occasione in cui viene affrontata la questione della cogenza degli impegni assunti dai sottoscrittori.

Viene inoltre trattata la questione della “complessità del Piano” intesa come necessità di affrontare un gran numero di temi contemporaneamente, ed è in questa sede che viene ribadita con ulteriore convinzione la separazione tra precondizioni e linee strategiche. Inoltre, viene citato il lavoro delle matrici di impatto incrociate, contributo che nella prima versione era sparito, riportandone anche il risultato grafico, ma stranamente, non se ne riportano le conclusioni sulle priorizzazione ottenute.

L’introduzione presenta un’altra importante differenza rispetto alla prima versione, si dichiara infatti che l’elenco delle azioni progettuali è stato aggiornato alla luce dei lavori del progetto commissioni, ma ancora una vola si sottolinea la non cogenza delle azioni individuate, ma anzi si sottolinea con forza che queste siano soltanto un elenco indicativo.

Altro inserimento di rilevo è la parte in cui si presenta e si difende il metodo con cui si è realizzato il processo. Il paragrafo intitolato “La costruzione di processi di partnership per l’implementazione del piano” sottolinea come il metodo sia ispirato ad altre esperienze nazionali ed internazionali e ancora una volta si cita “l’evolversi di una legislazione – sia nazionale che regionale – sempre più indirizzata alla promozione di progetti integrati la cui attuazione richiede esplicitamente il coinvolgimento dei privati fin dalla fase della progettazione (Urban, Pru, Prusst)”.

Si affronta in maniera esplicita il ruolo del Comune come facilitatore di processi relazionali, tema in precedenza dato per scontato, andando a sottolineare che proprio il processo di piano sia un possibile catalizzatore, addirittura legando a doppio filo il successo del piano con la sua capacità di creare legami: “Il piano ha successo se, alla sua scadenza, è rilevabile una maggior volontà di cooperazione tra gli attori del sistema locale; sono più significative e più frequenti le relazioni tra attori; è più facile realizzare progetti complessi che richiedono la cooperazione tra più attori forti”.

È però nella seconda parte del documento, dove vengono descritte in dettaglio le linee strategiche, che la progettualità specifica dei partecipanti al Progetto Commissioni dovrebbe aver lasciato maggiore traccia.

Anche in questa parte è stato fatto un importante lavoro redazionale per dare una maggiore comprensibilità al testo attraverso la veste grafica, ad esempio con l’aggiunta di quadri sinottici per aumentare il grado di leggibilità dei contenuti specifici delle linee strategiche.

Un’analisi di dettaglio tra le varie linee strategiche vede però emergere ben poche differenze tra le due versioni del piano§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§. Di fatto vengono rilevate l’aggiunta di 3 strategie, un incremento di 17 politiche* e l’inversione di priorità tra strategie di una linea.

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ In annesso si riporta una tabella con la lista completa delle strategie, articolate in politiche, presenti nella seconda versione del piano e le notazioni rispetto alla precedente versione.

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I punti irrisolti

La lettura dei materiali di lavoro del Piano Strategico è stata impostata alla ricerca di un processo decisionale, un metodo con cui costruire alternative tra cui scegliere. Quello che si evidenzia è in realtà un progetto ambizioso, di grande impegno e coinvolgimento, ma con una natura non pienamente definita, in cui si riscontrano una serie di ambiguità: − il significato del termine strategico, − l’effettività progettualità espressa, − la gerarchizzazione degli interventi, − la dicotomia tra l’anima politica e quella tecnica, − la collocazione temporale del processo, − le caratteristiche specifiche di gestione del processo multi-attoriale, − la gestione del lascito nelle successive esperienze di partecipazione pubblica. Il significato del termine strategico

Problematica è la corretta interpretazione del termine strategico, a volte nel corso dei dibattiti declinato con il termine “sistemico”, ossia la necessità di occuparsi di un fenomeno nel suo complesso e non soltanto di una sua particolare fenomenologia.

L’impressione è che la fase di analisi e di coinvolgimento multi-attoriale non sia andata oltre le dichiarazioni dei problemi e delle legittime aspirazioni di ognuno per la soluzione di questi ultimi. Un confronto realizzato senza mettere in discussione un intervento rispetto ad un altro. Situazione che spesso sfocia naturalmente in dichiarazioni di principio, supportate da un grande apparato metaforico (la parola strategico evoca facilmente atmosfere belligeranti), più raramente in precise indicazioni su come contribuire effettivamente alle proposte sul tavolo.

La non completa definizione del termine genera due tipi di problemi: la corretta definizione del sistema di riferimento e la scala di riferimento del problema in esame.

Ad esempio, il problema della mobilità aveva già un sistema di riferimento, condiviso: la gestione dei quattro nodi principali, porto, aeroporto, autostrade e ferrovie, deve essere congiunta. Là dove però una visione comune di quale fosse la corretta scala di azione a cui riferirsi non era disponibile, il Piano Strategico non è arrivato ad indicarla. Esempio ne è, in primo luogo, la scala di intervento del piano stesso: centro storico, terra ferma, laguna, la gronda, Padova e Treviso o l’intero Veneto? La stessa osservazione può essere applicata all’intera tematica relativa a Porto Marghera, manca la visione che indichi quale sia il ganglio strategico attraverso il quale affrontare il problema, che innegabilmente ha molteplici componenti: sviluppo industriale, occupazionale, ambientale e quanto altro, ma di queste, sarà solo una che plausibilmente offrirà la sponda per un primo intervento.

Il punto non è forzare la riduzione, a schemi eccessivamente semplificati, di problemi di enorme complessità, afferenti a molteplici sfere della pianificazione, ma individuare un spazio concreto di azione su cui definire possibilità di intervento, magari estremamente parziali ma necessarie a non interpretare il Piano come uno spazio libero, come momento di grandi esternazioni di principio o enunciazioni di slogan†.

A questo contribuisce molto il tipo di soggetto che viene coinvolto‡. L’essere più o meno avvezzi, per formazione o professione alle modalità della pianificazione, è una variabile importante, presente in tutti i processi partecipativi per gestire la quale esistono diverse modalità e tecniche per convogliare i soggetti attivi in forma strutturata e operativa. Tecniche e prassi citate nei documenti tecnici, ma, da quanto risulta, non applicate.

L’effettività progettualità espressa

Rimane irrisolta la questione dell’effettivo valore da attribuire ai progetti proposti nel documento di piano, se cioè siano indicazioni concrete o solo stimoli di riflessione.

Utilizzando un altro punto di vista, si potrebbe riformulare la domanda: qual è il principale obbiettivo del piano? Uno strumento per il governo della tessuto urbano, oppure qualcos’altro,

* Purtroppo non è disponibile un documento di dettaglio simile al doc. 16 con cui classificare le diverse politiche in base alla loro genesi, ma proprio in virtù delle dichiarazioni nella premessa di questa seconda versione, riteniamo che queste 17 siano tutte attribuibili ai lavori di pianificazione. † Citiamo a titolo esemplificativo il seguente intervento emerso in una delle riunioni preparatorie: “per Venezia, fare innovazione vuol dire sopratutto smettere di decadere”. Dove in un mirabile sforzo di sintesi sembrano raccogliersi vecchi e nuovi slogan. ‡ Viene certamente meglio compresa l’osservazione fatta nel documento M sull’onere che ha avuto la comunicazione ai vari attori coinvolti sulle modalità ed il significato della pianificazione strategica.

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ad esempio una leva per incrementare la visibilità reciproca dei vari attori coinvolti; una vetrina quindi, più che un laboratorio.

Il focus sul valore dei progetti è certamente legittimo, è come si è visto nelle reazioni successive alle revisioni esterne alla prima bozza del documento, è un quesito che è stato sollevato con estrema forza.

Esiste una forte ed irrisolta ambiguità. Nella versione definitiva del Piano è detto esplicitamente e ripetutamente che i progetti sono da considerarsi indicativi, ma è altrettanto vero che, nei documenti interni, grande attenzione è stata spesa nella valutazione di fattibilità e in quella economica§.

Per cui il messaggio che traspare è che all’interno del gruppo di lavoro si è creduto alle proposte fatte, ma che non sia voluti arrivare sino in fondo, ossia a definirle concretamene come passi di una precisa politica di sviluppo.

Ambiguità che, sembra legittimo afermare, non può essere risolta attribuendo al processo di pianificazione strategica un ruolo di metodo, di modalità di governo**. Se quindi quello che conta è il processo, l’intesa su i livelli alti, sui problemi e non sulle soluzioni, ci si chiede come questa possa concretizzarsi in una forma di governo del territorio se non attraverso progetti specifici e puntuali.

Infine, come già indicato, occorre anche ridimensionare il dato quantitativo del piano come laboratorio di progetti: la gran parte dei progetti era in realtà preesistente al processo di piano. Forse sarebbe più corretto parlare, come già osservato, di armonizzazione dei programmi, più che di una vera e propria progettualità.

La gerarchizzazione degli interventi

Sempre connesso al tema della progettualità espressa è la questione della mancanza di una esplicita gerarchia degli assi tematici, come delle proposte di progetto.

Ancora una volta ci si trova di fronte ad una generale ambiguità, supportata da messaggi contradditori. Il piano, nella sua versione definitiva, si presenta, nella introduzione, come strumento per la gerarchizzazione delle priorità, ma di fatto queste priorità non sono formulate.

Fatto che stupisce ancora di più dopo la lettura dei commenti interni ai lavori: benché sia stata sollecitata con unanime intensità da molti attori coinvolti nel piano la gerarchizzazione degli interventi, di fatto non è stata prodotta. Soprattutto nel momento di confronto con i revisori esterni, la richiesta è quasi assordante, ciò nonostante, l’unica soluzione proposta é stata la distinzione tra condizioni strutturali e linee strategiche e forse con una revisione dell’ordine con cui le strategie e azioni afferenti ad una specifica linea generale sono state disposte††.

Di difficile comprensione è anche il perché, pur essendo stati realizzati, non siano stati valorizzati i contributi tecnici che pur avevano affrontato la questione. Paradigmatico è il caso delle matrici di impatto incrociato, citato nell’introduzione‡‡, ma senza riportarne le conclusioni. Il documento relativo alle matrici è inserito per intero negli annessi, ma da un punto di vista politico questa collocazione nell’ambito delle appendici tecniche ne dà un valore ed una visibilità enormemente inferiore, privandolo della vidimazione politica.

Il perché si sia voluto rimanere in una situazione aperta, senza aver imboccato direzioni specifiche non può non essere di natura politica§§. Colpisce in questo senso l’osservazione di R. D’Agostino sulla filosofia operativa di tradizione francese dei “nuclei operativi temporanei”, apparato legislativo realizzato esplicitamente per le città di medie dimensioni in cui si forniscono gli strumenti per affrontare un singolo problema per volta. Si concentrano gli sforzi su di una singola priorità, sino a quando non la si risolve: un approccio di fatto opposto al generalismo proposto per il piano veneziano.

§ Basti citare il documento 640 Federico Della Puppa e Daniele Rallo, Valutazione e stima degli investimenti necessari per la sua implementazione, COSES 2005, doc. 640. Dove tutte le azione previste sono analizzate in un estensivo, e sommamente voluminoso, lavoro di analisi di fattibilità. ** Assunto ripetuto anche nelle interviste a D’agostino e Pugliese che rispettivamente hanno dichiarato “Il documento da solo non serve a niente, è un modo di governare. Uno strumento per instaurare un processo di concertazione permanente”. Pugliese invece interrogato sul livello di cogenza delle azioni del piano risponde “Chi ha firmato si impegna alla adesione delle politiche a livello alto. Questo è l’unico livello di cogenza, non le azioni specifiche. Le azioni finali sono aperte e modificabili nel tempo ed in funzione delle mutate condizioni e del contesto”. †† Pur non essendo specificato in nessun punto del documento si deduce che l’ordine delle azioni nel documento finale abbia una certa importanza in quanto è stato soggetto di cambiamenti, come descritto nella tabella di confronto, tra la prima e l’ultima versione. ‡‡ Introduzione citata spesso, questo perchè nella architettura del documento, assume innegabilmente il ruolo di una vera e propria legenda interpretativa di tutto il Piano. §§ A maggior ragione se consideriamo la definizione fornitaci dall’assessore D’Agostino sulla vera natura della pianificazione “In realtà la visione dietro un Piano Strategico dovrebbe essere quella di un tavolo dei decisori e non di una piattaforma per la democrazia partecipativa”.

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La dicotomia tra l’anima politica e quella tecnica L’analisi dei documenti di lavoro e quella delle versioni ufficiali del piano fanno emergere una

separazione troppo netta tra la fase tecnica di analisi, svolta internamente al gruppo di lavoro, nel primo periodo di lavoro, e la fase più propriamente politica di mediazione e di coordinamento tra soggetti.

Se nella prima fase dei lavori, l’aspetto tecnico ha indubbiamente prevalso, forse inevitabilmente visto che il processo era sostanzialmente interno al gruppo di lavoro, quando il percorso si è allargato le necessità mediazione, di visibilità piuttosto che di progettazione sembrano aver prevalso: - “emerge l’assenza di una copertura politica adeguata all’agire dei proponenti del Piano,

indipendenza dei progetti, non solo dai lavori, ma anche dalle analisi preliminari dei documenti elaborati dal gruppo. C'è stata una presa in mano politica totale nella parte finale. per accontentare tutti***”

- “Con l’analisi delle singole azioni di è cercato di creare consenso e si sa più in dettaglio si entra e più si perde consenso, perché iniziano ad operarsi le differenziazioni”†††.

Aspetto questo, che non può non condurre ad una generale impressione di di debolezza e di contraddittorietà della struttura complessiva.

La collocazione temporale del processo

La mancanza di una scadenza catalizzatrice, come sono stati ad esempio i giochi olimpici nel caso di Barcellona, surrogata invece‡‡‡ dalla volontà di realizzare un momento di riflessione programmatica di fine mandato, è certamente una debolezza contestuale con cui i promotori del Piano si sono dovuti necessariamente confrontare.

Scelta che poi inevitabilmente ha aperto un ulteriore questione nella gestione dell’eredità del Piano lasciata alla nuova compagine amministrativa. L’esigenza di un’ulteriore verifica di congruità con il programma politico della nuova giunta§§§, anche se conclusasi positivamente, non può non apparire come una dissonanza. In teoria, se strategico, il piano dovrebbe essere naturalmente capace di costruire un orizzonte temporale condiviso almeno superiore ad una legislatura.

Le caratteristiche specifiche di gestione del processo multi-attoriale

A questo si aggiunge un ulteriore tassello: ciò che viene messo in esame è anche la modalità procedurale utilizzata. Il metodo con cui si sono chiamati e gestiti gli attori al tavolo strategico.

Esistono prove che la pianificazione strategica sia un metodo migliore del tradizionale? Esistono paletti che stabiliscano meccanismi altri dalla fiducia reciproca tra i soggetti in gioco? Quali sono i meccanismi di incentivazione attivati, sia formali che informali, affinché un soggetto decida di aderire ad uno schema puramente volontaristico****? Chi e come vengono selezionati i partecipanti al processo?

Sono queste domande che esplicitamente o implicitamente vengono sollevate, a cui la razionalità procedurale messa in campo è chiamata a dare una risposta.†††† In questo senso la procedura messa in atto a Venezia è stata realizzata sostanzialmente su base spontanea‡‡‡‡.

*** M.Baldi 27/2/03 ††† F.Indovina 26/2/03 ‡‡‡ Come dichiara il sindaco Costa nella premessa. §§§ Verifica iniziata nel maggio 2005 e conclusasi con la delibera comunale del gennaio 2006. **** Certamente il computo della partecipazione dimostra che ci sono create occasioni di scambio e di incontro. Che per i soggetti più attivi certamente si è creata la possibilità di estendere la propria rete di relazioni. Ad esempio in questo senso si inseriscono le dichiarazioni di Paolo Politeo di Unindustria secondo il quale l’adesione dell’associazione degli industriali al Piano è proprio per consolidare una prima base relazionale, pre-condizione necessaria però alla creazione di reti più estese, “reti lunghe” da attivarsi in contesti nazionali e transnazionali, necessari per sopportare la competitività della città. †††† Va però sottolineato, come riportaci da Pugliese che la metodologia di Pianificazione adottata a Venezia sia stata adottata come riferimento nazionale nel bando diffuso dal Ministero dei Lavori Pubblici per la diffusione della Pianificazione Strategica nel meridione. ‡‡‡‡ Se è vero che, come abbiamo riportato citando Pugliese “il piano è fatto con chi ci sta”, è altrettanto vero che è di drammatica importanza la selezione di chi invitare. Interessante in questo senso la osservazione fattaci da Marina Dragotto che sosteneva che un punto debole fosse proprio la scelta degli interlocutori interni all’amministrazione. Piuttosto che gli assessori, figure di fatto rappresentative di una posizione estremamente personalizzata, agiscono infatti in prima persona, ma per un periodo di tempo limitato dalla durata della giunta. Altra situazione, secondo Dragotto se fossero stati coinvolti anche i partiti, ossia soggetti, almeno in teoria, capaci di garantire una durabilità delle posizioni emerse più lunga e quindi di realizzare nel corso della pianificazione strategica un più articolato “percorso di apprendimento”.

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Ed è inoltre, come si è già indicato, proprio la natura formalmente volontaria della pianificazione strategica a rendere ulteriormente lasco questo scenario.

Se l’esistenza di una norma, non è di per se garanzia né della sua applicazione, certamente crea uno scenario in cui il profilo di rischio nel partecipare è ridotto. Nel caso quindi di un processo volontario, la conquista di una legittimità, non potendo affidarsi su nessun tipo sostegno dato dalla cogenza normativa, “lo faccio perché si deve”, deve necessariamente diventare procedurale, “lo faccio perché ne sono convinto” (Gough, Darier et al. 2003).

Aspetto che in questa esperienza è stato ulteriormente acuito dalla mancanza di un quadro di riferimento rispetto i meccanismi di finanziamento dei progetti§§§§. Sulla questione del finanziamento degli interventi si è sostanzialmente prodotta una sospensione del giudizio. Ambiguità che, come ammesso dai promotori*****, ha generato un’ulteriore criticità nel “vedere il Comune solo come promotore e solo in minima parte come realizzatore delle proposte scaturite”.

Di fatto è questo il distinguo tra le esperienze destinate a culminare con un grande evento, vedi casi quali le sempre citate Olimpiadi di Barcellona. L’evento catalizza investimenti che i privati saranno ben felici di sfruttare e che il pubblico, al centro dell’attenzione, è incentivato a valorizzare; svolgendo quel ruolo di coordinamento e supervisione che il settore privato da solo non è in grado e non può realizzare. La finalizzazione ad una scadenza comune sembra offrire spontaneamente una situazione avente un corretto bilanciamento tra incentivi e persuasione morale affinché i soggetti rilevanti partecipino al processo. Nel caso veneziano colpisce, ad esempio, la scarsa presenza della categoria albergatori, molto citata nei verbali delle commissioni Turismo e Cultura, ma che evidentemente, da una posizione di notevole privilegio, non aveva incentivi a contribuire a legittimare un processo in cui uno dei possibili risvolti, fosse l’eventuale ridiscussione di temi particolarmente sensibili quali la variazione dei flussi di accesso e la regolamentazione delle presenze. Come stupisce la difficoltà nell’inserimento della Provincia, che pur essendo l’istituzione avente la competenza più adatta alla scala di azione del piano, sembra non aver trovato un proprio spazio di espressione†††††. Fatto che poi non può non avere avuto ripercussioni sulla definizione della scala di intervento del piano in generale e in dettaglio per la determinazione degli impatti delle singole linee strategiche.

La gestione del lascito nelle successive esperienze di partecipazione pubblica

Altrettanto importante è il tema del lascito che precedenti esperienze segnano nella percezione dei soggetti coinvolti. Tema che ancora una volta descrive bene la fondamentale importanza delle dinamiche connesse alla riflessività endogena ai processi multi-attoriali.

L’avere partecipato o meno ad esperienze di partecipazione pubblica è un fattore fondamentale di cui tener conto, per l’influenza che svolge sui modi con cui un attore si presenta al tavolo di discussione e ne orienta le aspettative.

Il tema è affrontato in maniera diffusa nella letteratura relativa agli pianificazione partecipata negli interventi di sviluppo (Chambers 1994; Brett 1996; Michener 1998; Mosse 2001; Brett 2003). Il consolidarsi di un pensiero e una prassi fortemente orientati al coinvolgimento di molteplici attori nei processi decisionali locali ha creato una scia di esperienze con cui è necessario confrontarsi al momento di intraprenderne di nuove. Sono riportati casi in cui comunità manifestano ormai una iper-esposizione al mutare delle parole d’ordine con cui le agenzie di sviluppo si presentano loro (Chambers 1992; Michener 1998). Come naturale conseguenza si riportano sempre più frequenti casi di adattamento strategico, adesione al processo meramente utilitaristica e priva di reale condivisione, e contemporaneamente una sorta di sfiducia nei confronti di processi a cui si è aderito inizialmente magari con entusiasmo e di cui poi, non si è visto concretizzarsi alcun risultato (Sittaro 2006).

Conclusioni che si applicano anche al caso in esame. Essere stati coinvolti in prima persona ad un processo che ha occupato tempo e risorse ma che non ha portato ad risultato, non importa se perché tali risultati non sono mai nati o semplicemente non sono stati comunicati, è esperienza che inevitabilmente ha delle conseguenze sull’adesione ad altri simili in futuro.

§§§§ Tematica proposta anche da Politeo di Unindustria che sottolineava in maniera critica il fatto che il comune non abbia alcuna delega normativa né la possibilità di accedere a incentivi o risorse per attivare le proposte, “il comune non ha né il bastone, né la carota.” ***** Intervista Pugliese ††††† I promotori del Piano interrogati su questo hanno fornito risposte che da un lato imputavano una certa resistenza della provincia al coinvolgimento (D’Agostino) e dall’altra invece la contrarietà ad una tale affermazione sostenendo invece che la collaborazione era stata proficua Pugliese, T. and A. Spaziante, Eds. (2003). "Pianificazione Strategica per le città: riflessioni dalle pratiche", Scienze regionali. Milano, FrancoAngeli.. Dall’analisi della partecipazione fatta in questa sede ci sembra corretto appoggiare la prima considerazione.

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Come confermato da M. Dragotto‡‡‡‡‡ l’esperienza di pianificazione veneziana ha in parte creato questo effetto e al tempo stesso lo ha anche scontato, durante i lavori della Commissione Cultura, un intervento sosteneva che la pianificazione strategica fosse certamente un’ esperienza lodevole ed interessante, ma come del resto lo erano state anche il progetto delle “Consulte” e, specifico per il settore culturale, il progetto “Venezia Laboratorio Cultura”. L’intervento quindi si concludeva domandandosi perchè aprire nuovi spazi di dialogo e non, invece, finalizzare quelli che esistono già, ma che spesso, dopo un forte coinvolgimento iniziale, non offrono più tracce.

L’impressione che deriva dalla lettura dei documenti di lavoro è dunque che si sia voluto fare

un esercizio formalmente ineccepibile, con indubbi risultati in termini di produzioni di dati, di analisi, di attivazione di reti e riflessione sui grandi temi di dibattito, ma che appare anche aver contribuito ad aumentare l’impressione di non concretezza, di mancanza di finalizzazione. Un esercizio di stile che per quanto virtuoso non ha affrontato le sfide che si era preposto.

3. - Esperienze di “carotaggio” Un secondo aspetto che la ricerca ha inteso affrontare è stato valutare se esiste, ed in quali

termini, un impatto del Piano Strategico nei processi attualmente in corso nella città, se e come il modello di governance promosso con il Piano Strategico ha avuto un qualche ruolo nelle scelte di politica urbana, prendendo in esame alcuni “interventi” realizzati di recente.

A questo scopo sono stati scelti tre casi studio all’interno del segmento “città della cultura”. La cultura è tema trasversale per eccellenza, che può essere affrontato da molteplici punti di vista: creazione di posti di lavoro, produzione di beni e servizi, promozione di nuove opportunità per il turismo, ma anche strumento per la mitigazione di disparità sociale, di inclusione, di costruzione di una identità,.

I tre episodi studio sono stati selezionati per la visibilità e l’impatto che hanno avuto sulla politica urbana di Venezia, testimoniati dall’intenso dibattito sviluppatosi a livello locale: il parco di S. Giuliano a Mestre, la riqualificazione di Punta della Dogana e l’Arsenale.

Nelle pagine che seguono le “storie” di questi casi vengono presentate in forma narrativa, basandosi sulle impressioni ricavate da incontri con alcuni dei protagonisti di ognuno dei tre episodi. La forma “narrativa§§§§§” deve essere intesa nell’accezione di modellazione pre-analitica di un fenomeno. Una rappresentazione che proprio grazie alla sua semplicità e scarsa mediazione, sia capace di descrivere cosa è considerato realmente rilevante, proprio da chi è parte del sistema in esame.

Si tratta di una metodologia che non ha pretese di esaustività, a maggior ragione in questo caso in cui è dichiaratamente utilizzata a livello solo descrittivo, ma che proprio per la sua informalità permette di cogliere sfumature e personalismi, che rivestono un ruolo fondamentale nel processo di genesi delle decisioni.

3.1 - Il parco di San Giuliano a Mestre Punta S.Giuliano ha una storia lunga e altamente simbolica. La sua parabola è intimamente

connessa alle contraddizioni del modello di sviluppo del Veneto: affacciata direttamente sulla laguna, negli anni 50 S.Giuliano era la spiaggia dei mestrini, ma all’inizio degli anni 60 divenne zona di smaltimento di rifiuti tossici per le industrie chimiche di Porto Marghera, con il relativo degrado ambientale che continuerà sino agli anni 90, quando vi venne localizzata anche l’area di conferimento dei rifiuti urbani.

Si tratta dunque di una porzione di territorio che proprio a causa della sua centralità, cerniera naturale tra terra ferma e laguna, è stata sacrificata alle priorità di sviluppo industriale e quindi drammaticamente segnata dalle esternalità ambientali che questo modello ha generato.

‡‡‡‡‡ Da intervista con Dragotto “Il piano strategico è un patrimonio abbandonato. L’effetto negativo è duplice: non solo per il non utilizzo del piano in sé, ma sopratutto per la caduta di credibilità di tutti i processi di questo tipo. Chi è stato coinvolto una volta, vede che non si hanno risultati, non si farà coinvolgere nuovamente ad un altro tavolo.” §§§§§ Secondo Tim Allen una narrativa può essere definita come “a series of elaborate scaling operations that allow different processes occurring at different paces, and events describable at different space-time domains, to be made commensurable in our organization of perceptions and representations of events.” Allen, T. (2003). For simple systems we can use models, but complex systems must have narrative. International Workshop Interfaces Between Science and Society: Collecting Experiences for Good Practice, Milano.

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Nel momento in cui tali priorità vengono riviste, come avviene all’inizio degli anni 90 in conseguenza della crisi di Marghera come polo chimico, la riqualificazione di punta S.Giuliano si affaccia con forza sulla scena della politica locale, in primo luogo di quella urbanistica. Infatti, a fine degli anni 90, nasce l’idea di trasformare questa zona in un polmone verde con vista sul campanile di S.Marco, una scelta spinta principalmente dall’allora pro-sindaco di Mestre, G. Zorzetto tradottasi nel concorso per il Parco di S.Giuliano, vinto nel 1990 dall’architetto A. Di Mambro.

Ovviamente il risanamento ambientale costituisce un rilevante ostacolo tecnico e psicologico. La necessità di realizzare un vero e proprio sarcofago in calcestruzzo per isolare il materiale inquinante accumulato nell’area, costituisce il principale vincolo economico e, come spesso accade, diventa anche una barriera psicologica capace di rallentare l’attivazione delle necessarie collaborazioni per la realizzazione dell’opera******.

Il progetto iniziale è basato su un’idea indubbiamente forte, definita da Di Mambro come il “ridar vita a spazi della cintura mestrina che erano atrofizzati”, realizzando “un parco che sia un elemento cerniera tra aree isolate e frammentate che andavano ripensate in un contesto comune”, facendo “recuperare a Mestre una bellezza che le manca grazie al parco e alla connessione alla laguna e al centro storico”††††††.

Nonostante le difficoltà della bonifica ambientale‡‡‡‡‡‡ il progetto va avanti, anzi la sua apertura, nel maggio del 2004, viene anticipata a dispetto della ancora eccessiva giovinezza del complesso arboreo impiantato§§§§§§. Il sindaco P. Costa durante la cerimonia di inaugurazione si assume la responsabilità di questa premura avendo compreso quanto questo progetto stesse a cuore ai mestrini.

Quello che emerge da un punto di vista di indirizzo politico è la forte configurazione multifunzionale ed integrata del progetto: il parco viene immaginato non solo come un‘area verde ma come un vero e proprio spazio multifunzionale all’aperto.

Nel 2004 viene creata la Parchi Mestre, una società privata ma con rappresentati delle istituzioni pubbliche nel consiglio di amministrazione, per la gestione non solo di S.Giuliano, ma anche del pre-esistente parco di Albanese Bissuola. Si tratta di una struttura che da un punto di vista relazionale ed istituzionale nasce all’insegna della concertazione, verso l’alto con i differenti livelli amministrativi, ma anche verso il basso, per l’integrazione con i soggetti già presenti nel parco*******. Situazione non facile, come ha dimostrato l’aspro dibattito sorto sin dai primi mesi dall’apertura, relativo alla nascita di un polo nautico nell’affaccio meridionale alla laguna. Un intervento ancora in corso, di notevole rilevanza, 15 milioni di euro, che ha sollevato aspri conflitti tra l’amministrazione, gli investitori privati e i soggetti tradizionalmente insediati nella zona†††††††.

Presidente dell’ente è G. Caprioglio, già assessore ai lavori pubblici del Comune di Venezia, proprio ai tempi della ideazione dell’intervento di S.Giuliano, e sin dai primi passi responsabile di una gestione particolarmente dinamica.

È con lui che è stato condotta l’analisi di questo intervento con l’obiettivo di investigare se e come la sua attuale gestione sia inserita nel quadro complessivo delle politiche della città e quindi eventualmente nelle elaborazioni condotte all’interno della esperienza del Piano Strategico.

L’impressione iniziale è di una notevole dinamicità. Caprioglio sottolinea la profonda rottura introdotta rispetto ai precedenti modelli di gestione prima di tutto nell’approccio alla stessa definizione di parco, spazio prima di tutto “urbano” piuttosto che “verde”, caratterizzazione con cui si vuole sottolineare fortemente l’accezione culturale, piuttosto che quella

****** Di questo clima ne riporta traccia proprio l’architetto Di Mambro che in una intervista a “Il Gazzettino di Venezia” del 6/5/04 raccontava che sin dal primo approccio il progetto gli venne presentato dal pro-sindaco Zorzetto come “una strada lunga e difficile”. Oppure sempre dal Gazzettino del 8/4/05 lo stesso Di Mambro dichiara “quando ho vinto il concorso i miei amici veneziani mi avevano assicurato: ‘Non illuderti tanto a Venezia non si fa mai niente’.” †††††† Citazioni estratte da intervista a Di Mambro tratta dalla pubblicazione della Provincia POLIS 104 del 2004. ‡‡‡‡‡‡ È stato infatti costruito un sarcofago impermeabile che contiene il materiale inquinante: il fondo poggia su di uno strato di terreno isolante, tutt’intorno è stato infisso un diaframma isolante di materiali speciali, sopra, come coperchio, è stato steso uno strato di argilla. E ancora sul sarcofago si trova circa un metro e mezzo di terreno da riporto ed infine uno strato di terreno da coltivo. È stato previsto inoltre un sistema di drenaggio delle acque studiato ad hoc, visto che l’area sottostante è stata resa impermeabile. §§§§§§ In una intervista al Gazzettino di Venezia del 6/5/04 l’allora sindaco Costa dichiara non poteva attendere oltre, data la grande aspettativa dimostrata dal fatto che i cittadini già utilizzavano di propria iniziativa il parco ancor prima che aprisse. ******* In particolare le associazioni di attività nautiche tradizionali e i piccoli imprenditori localizzati lungo il canale del Seno della Seppa. ††††††† Si veda articolo de ‘Corriere del Veneto’ del 30/8/2005, “Vela d’altura, pronto ad investire a S.Giuliano.”

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botanico/naturalistica. Il parco di S.Giuliano ci viene quindi ulteriormente definito come un enorme open space di tipo pubblico‡‡‡‡‡‡‡.

Si tratta di una premessa fondamentale per comprendere le diverse operazioni condotte. Prima tra tutte l’enorme importanza data alla campagna di comunicazione connessa all’apertura e in generale alle attività del parco. Rilevanza di cui Caprioglio si assume tutta la responsabilità rivendicando fortemente la scelta di affidare la comunicazione a “Fabrica§§§§§§§”.

Questo ha indubbiamente prodotto un rilevante impatto, obbligando l’intera città a confrontarsi con il parco: gli animali di fantasia con cui si sono rappresentate le porte di accesso al parco hanno letteralmente imposto a Mestre di prendere atto dell’esistenza di S.Giuliano. Tale “adozione” da parte della città sembra essere perfettamente avvenuta, dato che si registra una presenza giornaliera di alcune migliaia di persone con punte di 10.000-12.000 presenze nei fine settimana. Il dato è confermato da una ricerca del COSES******** secondo cui, ad un anno dall’apertura, il gradimento degli utenti era altissimo.

Un primo passo di una visione di gestione complessiva articolata su una sintesi tra sport, musica ed arte.

Sport in primis, come attività da praticare negli spazi del parco attraverso percorsi attrezzati, ma soprattutto associato alle attività delle società remiere e di vela tradizionalmente presenti sull’affaccio alla laguna††††††††. Un tema che viene affrontato anche come fattore di aggregazione (e contemporaneamente come sorgente di finanziamenti) con l’organizzazione di eventi a tema: la VENICE MARATHON, ad esempio, che dal 2006 attraversa il parco e a cui vengono associati eventi espositivi, fiere, feste e competizioni amatoriali‡‡‡‡‡‡‡‡.

Asse certamente meno scontato e quindi con una complessità progettuale molto più elevata, è quello connesso alle arti figurative, alla cultura in una accezione più tradizionale. Ed è proprio in questo settore che Caprioglio sembra investire la maggiore passione ed anche la maggiore ambizione. Due sono le idee progettuali su cui la direzione del parco si è attivata.

Una prima proposta, che però sembra non essere andata a buon fine, è stata utilizzare il parco come open space per grandi installazioni, scultura, land art da farsi in collaborazione con la Biennale, in modo che quest’ultima fosse in grado di allargarsi anche sulla terra ferma e portasse qui le installazioni più grandi. Punto di forza del parco sarebbe la suggestione offerta proprio dalla “sua localizzazione e dal suo skyline, dalla collina si ha come sfondo Venezia, a destra Porto Marghera e a sinistra le alpi”. Caprioglio però ammette che il progetto è sfumato, lasciando trasparire come sia mancato un sostegno istituzionale forte, magari direttamente dal sindaco, nei confronti della Biennale.

Altro progetto attualmente in fase di elaborazione, sempre connesso alla land art, è l’istituzione di un premio biennale di scultura, in alternanza alla Biennale, da realizzarsi in collaborazione con la Fondazione Thetis§§§§§§§§ e il FAI*********. Meccanismo del concorso sarebbe quello di vincolare gli artisti al tema “natura e produzione”, ossia di realizzare le loro opere solo con materiali naturali, acqua, terra, o recuperati/riciclati da Marghera. Vincolo per il vincitore del concorso è quello di “pagare pegno” e lasciare la propria opera nel parco, che quindi col tempo si configurerebbe come un vero e proprio museo a cielo aperto.

‡‡‡‡‡‡‡ Approccio che, in Italia, lo stesso Caprioglio, ci dice essere esperienza senza particolari tradizioni e presente, eventualmente, solo nel caso del Parco di Monza. §§§§§§§ www.fabrica.it, Società di comunicazione afferente al gruppo Benetton, fondata da Oliviero Toscani, rinomata per progetti di grande impatto. Ha realizzato, per S.Giuliano, un intervento, che dalle parole di Caprioglio, viene descritto come “fatto di tante piccole e grandi cose, capaci di dare una fisionomia al progetto del più grande parco sulla laguna. Vuol dire che il parco di San Giuliano vivrà anche grazie a magliette e biciclette, cappellini e portachiavi, cuscini e pattini, tutti targati Ranoparco. Un anfibio come lo è il parco di San Giuliano, tra acqua e terra. Mascotte e logo a parte, a Fabrica è stato commissionato anche il progetto della parte scenografica, compresi 6 totem a forma di animali, 4 nel parco e 2 in città.” Gazzettino di Venezia, 6/5/04. ******** Il Gazzettino di Venezia 16/03/2005, “Un sette in pagella per I parchi. Ricerca del COSES sul gradimento dei clienti dei polmoni verdi cittadini”. †††††††† Essendo la gestione e la storie di queste associazioni indipendente dalla creazione del parco, anche la loro attuale gestione è completamente separata da quella del resto della struttura. Da rilevare il già citato dibattito sorto immediatamente dopo l’apertura del parco, riguardo la realizzazione o meno di una marina per la vela d’altura. Proposta estremamente osteggiata perché non conferme alle tradizionali attività sportive in questa parte della laguna più legate alla voga e alla vela al terzo. ‡‡‡‡‡‡‡‡ Non collegata allo sport, ma giudicata da Caprioglio in maniera molto positiva, soprattutto perché capace di differenziare ulteriormente le funzioni offerte dalla struttura, è l’esperienza dei giovedì del ‘Porta Gialla’, un ristorante che attualmente risiede in una struttura provvisoria, che diverrà permeante nell’ambito della realizzazione delle strutture del nuovo porticciolo. Da indagini effettuate il direttore sostiene che durante queste serate sembra che il bacino di utenza sia relativo tutto il triveneto. §§§§§§§§ www.thetis.it società di consulenze ambientali insediatasi in spazi appositamente recuperati all’Arsenale. ********* Il Fondo Ambientale Italiano , www.fai.it, è una istituzione nazionale, creata sullo stampo del Lottery Fund inglese che ha come scopo il recupero e la valorizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico nazionale.

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L’ultimo asse è quello della musica, inteso come grandi eventi capaci di aggregare migliaia di persone. Come già accennato, sin dalle manifestazioni collegate all’inaugurazione del parco si è, realizzato un grande concerto†††††††††, cui è seguita un’attività permanente di concertista classica‡‡‡‡‡‡‡‡‡.

Certamente di maggiore rilevanza è l’evento, in corso di organizzazione proprio al momento dell’intervista: l’Heineken Jamming Festival, HJF. Un festival musicale distribuito su quattro giorni destinato principalmente ad un pubblico giovanile. Un vero e proprio evento di massa, capace di catalizzare quasi 100000 presenze.

Dell’organizzazione non si è occupata la Mestre Parchi, ma direttamente il sindaco di Mestre, Massimo Venturini, l’ideatore dell’evento. Tuttavia, l’HJF viene considerato perfettamente compatibile con la filosofia di ricercare nicchie di utenze, di perseguire “una politica delle differenze”, di utilizzare la notevole disponibilità di spazi del parco per tutta una serie di manifestazioni , di grandi eventi di cui l’HJF vuole essere solo “il primo di una serie di grandi eventi, dai grandi numeri, che siano complementari alla capacità di accoglienza di Venezia”. Va sottolineato come, a differenza di tutte le precedenti attività, l’HJF ha ricevuto un contributo finanziario dalla Mestre Parchi, benché i fondi provenienti dall’amministrazione comunale debbano essere destinati alla manutenzione ordinaria§§§§§§§§§ e non possano andare a sostegno di attività collaterali.

L’intervista con Venturini è stata appassionata e straordinariamente dinamica, piena di cifre e descrizioni sulla gestione della mobilità, sulla pianificazione dei parcheggi, sul monitoraggio degli eventuali danni al manto erboso, sul numero di bottiglie distribuite, sul numero di toilets, sul numero di gradi (pochi, perché opportunamente ribassati) della birra e su numerosi altri dettagli illustrati con enorme entusiasmo e passione.

Le domande su quale fosse stato il percorso organizzativo hanno messo in luce un’esperienza fatta di relazioni e connessioni tutt’altro che banali, tanto fitta quanto spontanea. Dove l’accezione dell’aggettivo spontanea vuole solamente essere antonimico a pianificata.

Primo passo concreto è stato presentarlo al sindaco di Venezia. Il progetto, pensato a maggio è stato successivamente dettagliato dalla società********** responsabile della produzione dell’evento, in un piano di logistica sottoposto al direttore di gabinetto del sindaco, che però ebbe una reazione giudicata fredda e cauta. Successivamente il piano è stato presentato al sindaco, avendo avuto cura di aspettare “il momento adatto, un giorno al parco durante una manifestazione avevano regalato una bicicletta in carbonio al sindaco, gli era preso bene…e allora gli ho fatto la proposta”.

Il progetto si è quindi ulteriormente concretizzato†††††††††† in un’articolata struttura di gestione pubblica che ha coinvolto il comune di Venezia, la municipalità di Mestre, la prefettura, le forze dell’ordine, la provincia e la regione‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡. “Certo si sono creati anche dei malcontenti§§§§§§§§§§, anche forti, ma l’appoggio che abbiamo avuto dai vari livelli istituzionali è stato robusto ed efficace, una valutazione certamente positiva***********”., che passa anche dalla consapevolezza che l’operazione avrebbe dato una visibilità enorme al parco di S.Giuliano, e di riflesso a Mestre, che sarebbe stato impossibile da ottenere con mezzi indipendenti. L’operazione inoltre avrebbe generato degli utili e l’apprendimento maturato dallo staff della municipalità††††††††††† avrebbe facilitato l’organizazionwe di ulteriori interventi.

††††††††† Il concerto di Antonello Venditti è stato il primo ad essere organizzato, nel giugno del 2004, ed con le 15000 presenze ha svolto la funzione di un vero e proprio test di capienza per la struttura. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Il parco è stato inserito nel circuito dell’associazione concerti in villa, http://www.amicidellamusicadimestre.it/, di cui fa parte lo stesso Caprioglio, che organizza concerti nelle ville venete, che realizza annualmente un concerto orchestrale nel parco “villa senza villa, ma con parco”. §§§§§§§§§ Costo tutt’altro che trascurabile vista l’estensione della superficie verde da mantenere. Il dottor Milazzo ci ha fornito una stima di circa 4€ a metro quadro per un totale di quasi 3 milioni di euro all’anno per il solo parco di S.Giuliano. ********** La Milano Concerti Live, filiale italiana di una multinazionale statunitense Nation Live , specializzata nell’organizzazione di eventi musicali e di intrattenimento. †††††††††† Formalmente ratificato da un atto di indirizzo del sindaco del 29/12/06. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Sinergia, non banale vista la differenza di colori politici delle varie giunte, è confermata dalla presenza congiunta alla conferenza stampa di lancio tenutasi a Milano 8 febbraio 2007. §§§§§§§§§§ Le principali opposizioni al progetto sono venute da gruppi ambientalisti preoccupati degli impatti sull’apparato boschivo del parco e sulla fauna presente e dalle associazioni nautiche presenti sulla punta preoccupate di venir sacrificate da un evento dalle caratteristiche certamente ingombranti. *********** Ovviamente l’intervista, fatta prima dello svolgersi della manifestazione, non tiene conto dei gravissimi problemi occorsi durante il terzo giorno dell’evento, quando una tromba d’aria ha fatto crollare le torri del palco principale. Episodio che pur carico di implicazioni proprio relative alla fase organizzativa, non crediamo infici in alcun modo il nostro ragionamento. ††††††††††† Il presidente della municipalità stesso ha ricevuto delega dal sindaco per la gestione di un gruppo dedicato che ha inoltre coinvolto due consiglieri della municipalità e quattro elementi del personale dell’amministrazione.

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Quella per il parco di S.Giuliano si rivela dunque una forte capacità progettuale, che si

appoggia su una struttura amministrativa moderna ed efficace, in grado di differenziare un’offerta funzionale e di valorizzare le risorse sia ambientali, che paesaggistiche, e di utilizzare le opportunità che da queste provengono per generare ulteriori risorse finanziarie. Il progetto dell’HJF appare appropriato, perchè capace di porsi nella giusta complementarità con l’ingombrante presenza di Venezia e di riconfigurare, almeno in parte, l’immagine percepita di Mestre.

A questo punto l’unico tassello mancante è quello relativo all’effettivo innesco dell’operazione HJF e se nell’evoluzione dell’idea sia entrato in qualche modo il processo di Pianificazione Strategica. La posizione di Venturini in proposito è assolutamente netta: “Il Piano strategico? L’iniziativa del HJF è mia. Mi è venuta in mente, la domenica a casa, maggio del 2006, mentre guardavo il Gran Premio di Imola. Eccleston diceva che sarebbe stato l’ultimo anno. Il giorno dopo per caso ho letto che anche il Festival veniva spostato e quindi, per caso, ho preso contatti, sono andato a vedere a Imola come funzionava e da lì è partito tutto.” Una risposta che non ammette né dubbi né repliche.

3.2 - La bataille di Punta della Dogana Il recupero di Punta della Dogana si colloca nel contesto dell’offerta di mostre ed esposizioni.

L’effetto Bilbao‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡, la Tate Modern a Londra, il consolidamento dell’esperienza della Biennale proprio a Venezia, hanno prodotto rilevanti impatti nel panorama urbano di riferimento, aprendo le porte a una fruizione di massa dell’arte contemporanea, divenuta ormai una dimensione essenziale per le politiche culturali e turistiche di qualsiasi città, ma anche delle più piccole§§§§§§§§§§§. Si comprende quindi come le manovre di players internazionali del settore, quali Guggenheim************ e Pinault††††††††††††, abbiano profondamente animato la realtà veneziana. È in questo contesto che si inserisce il progetto di recupero di Punta della Dogana come centro per la contemporaneità a Venezia. Una vicenda che Le Monde ha definito “La bataille de Venise”‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡.

La vicenda di Punta della Dogana si è articolata in molti passaggi§§§§§§§§§§§§. Si tratta come noto di uno dei principali land marks veneziani, l’ingresso alla città dal mare. Un potenziale enorme di spazi, una posizione particolarmente suggestiva, ma nonostante questo uno spazio che per decenni è rimasto paralizzato da difficoltà di gestione, mancanza di visione progettuale, difficoltà di superare le normali categorie di valutazione delle politiche di gestione della città.

Dopo essere stato per anni la sede degli uffici amministrativi del porto e successivamente della dogana, l’edificio ha perso le sue funzioni sino ad essere sostanzialmente abbandonato già negli anni 80.

Varie proposte si sono succedute: prima come sede della biblioteca Marciana, poi del museo Correr, poi come uffici pubblici, persino come sede dell’assemblea regionale. Ci fu un tavolo di lavoro convocato dall’allora ministro della cultura Ronchey, si riunirono diversi attori, Regione,

‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ La realizzazione del Guggenheim Museum a Bilbao, realizzata da Frank Gehry, è assunto al ruolo di caso feticcio sempre citato e studiato, si veda ad esempio Plaza B., 2006, The Return on Investment of the Guggenheim Museum Bilbao International Journal of Urban and Regional Research, Vol 30.2, 452–67. §§§§§§§§§§§ Uno stimolante l’approccio al tema è proposto da Ewans (Ewans G., 2003, Hard-Branding the Cultural City - From Prado to Prada, International Journal of Urban and Regional Research, Vol. 27.2 417-40) il quale sostiene l’esistenza di una tendenza ormai consolifdata al branding urbano attraverso eventi/manufatti che svolgano un ruolo iconico, funzionale e assoggettato a strategie di marketing e comunicazione condivise e omologate, ormai, a scala globale. “It is not important how well you can sing, but that you can do it with verve and gusto”. ************ La Fondazione Solomon R. Guggenheim Foundation nacque nel 1937 ed ha acquisito rilevanza internazionale sopratutto per la costruzione di musei dedicati all'arte moderna e contemporanea: il Solomon R. Guggenheim Museum, a New York; il Peggy Guggenheim Collection, a Venezia; il Guggenheim Museum Bilbao, nei paesi baschi, il Deutsche Guggenheim a Berlino (costruito in cooperazione con la Deutsche Bank); il Guggenheim e Guggenheim Hermitage Museum, a Las Vegas. Infine l' 8 giugno 2006, ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi, è stato annunciato l'accordo per la costruzione di un nuovo museo il Guggenheim Abu Dhabi, il cui progetto affidato a Frank Gehry è previsto venga terminato nel 2011. †††††††††††† François Pinault, magnate francese, proprietario di grandi marchi dell'industria del lusso tra cui Gucci, Puma, Samsonite ed altre è anche player di grande dinamismo nel mondo dell'arte. Propietario di una delle più grandi collezzioni private di arte contemporanea, proprietario della casa d'aste Christie's, nel 2006 si è guadagnato il primo posto nella classifica, stilata dalla rivista Art Review, delle cento persone più influenti nel mondo dell'arte. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Le Monde, 05/4/2007, articolo “François Pinault remporte la "bataille de Venise" contre Guggenheim”. §§§§§§§§§§§§ Il resoconto si appoggia largamente sulla lunga intervista con G. Romanelli, direttore dei Beni Culturali del Comune di Venezia, considerato il promotore dell'idea di uno spazio espositivo in Punta della Dogana

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Comune, si parlò di un piano piuttosto intricato di spostamenti di varie sedi. Ma alla fine, il ministro bocciò la questione come troppo complessa e sostanzialmente irrealizzabile.

Uno strappo significativo si verificò nei primi anni 90 all’epoca delle “cartolarizzazioni” avviata dal governo Amato, quando l’edificio venne concesso dal Ministero delle Finanze al Comune di Venezia per 99 anni a costo zero, con l’impegno che la destinazione d’uso fosse museale e che l’immobile fosse restaurato e valorizzato.

I privati però non erano rimasti a guardare. Già prima del passaggio di proprietà, la fondazione Guggenheim aveva espresso una dichiarazione di interesse, rimasta senza esito, nel tentativo di acquisire nuovi spazi espositivi e dunque di rafforzare la propria presenza a Venezia. Non ebbe successo nemmeno un secondo tentativo ma non l’interesse, confermato anche dall’affidamento della stesura del progetto di recupero all’architetto Gregotti.

Alla fine degli anni 90 si è dunque creata una forte vocazione al contemporaneo di quella porzione di città: i Magazzini del Sale, la Fondazione Vedova, la Guggenheim e Palazzo Grassi anch’esso recuperato e dedicato, anche se non in maniera esclusiva, all’arte contemporanea. Secondo Romanelli, la punta, della Dogana è diventata “l’ombelico del sistema”, “la bussola per leggere una serie di luoghi”.

Inoltre, in quegli anni stessi anni, deflagra la questione di Palazzo Grassi che la FIAT, decide di vendere: “probabilmente per motivi di immagine, un’azienda che licenzia non può mantenere una struttura sostanzialmente in perdita”. Sul destino di Palazzo Grassi si registra un grande dibattito sulla stampa e si prospettano diverse soluzioni. Una è guidata da Fondazione Venezia*************, ma senza troppa convinzione†††††††††††††; una seconda vede farsi avanti il Casinò di Venezia, allora quasi completamente di proprietà del Comune, inizialmente insieme alla stessa Fondazione Venezia, successivamente da solo, ma anche questa soluzione fallisce sopratutto in seguito al dibattito, schiettamente politico, sul rischio che il Comune diventi un attore invasivo nel panorama cittadino ma anche che si tratti di un’operazione sostanzialmente in perdita, da non fare dunque con risorse pubbliche.

A questo punto entra in scena Pinault, attraverso Aillagon, ex ministro della cultura francese e direttore della società Pinault-Printemps-Redoute. In breve tempo va in porto l’operazione di acquisto dell’immobile. L’accordo raggiunto prevede un sistema di compensazioni reciproche, secondo il quale Pinault cede il 20% degli utili della gestione del Palazzo mentre, in caso di perdite, viene rimborsato del 5%‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡. In più il Comune ha un suo rappresentante in consiglio di amministrazione.

Risolta la questione Palazzo Grassi, alcuni eventi dischiudono nuove soluzioni per Punta della Dogana. Da un lato Pinault non riesce ad assicurarsi la realizzazione del Centre Européen de Création Contemporaine a Parigi, nell’ex area Renault a Boulogne-Billancourt §§§§§§§§§§§§§. Le risorse destinate a tale operazine si liberano per altre destinazioni, una delle quali è appunto Punta della Dogana per la quale, a fine 2005, Pinault commissiona ancora ad Ando il progetto. Contemporaneamente però la Fondazione Guggenheim, forte di una grande espansione a livello mondiale************** non cede, anzi rafforza la propria cordata trovando l’appoggio della Regione Veneto. Un appoggio netto††††††††††††††, che affonda in maniera abbastanza evidente anche nella difficoltà di dialogo tra il governo della città e quello della regione. Per quanto riguarda l’intervento vero e proprio, il progetto di Gregotti viene abbandonato per far posto alla firma di un’altra archistar, Zaha Hadid.

La proposta formulata dalla Fondazione Guggenheim, si incardina su esposizioni esclusivamente temporanee, mentre quella avanzata dal gruppo Pinault si basa su una presenza stabile e, soprattutto, sulla possibilità di poter realizzare in proprio l’intervento.

************* Fondazione della Cassa di Risparmio di Venezia. ††††††††††††† Secondo Romanelli “l’impressione è che ci fosse certamente la disponibilità economica, ma non la autorevolezza e il dinamismo necessario.” Questo, inoltre, accadde durante la giunta Costa, periodo in cui “il comune non vedeva di buon occhio che la Fondazione Venezia assumesse un ruolo di eccessivo rilievo in Venezia.” ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Romanelli ci tiene a specificare che “finora Pinault non ha mai chiesto alcun rimborso per le perdite.” Cosa che, vista l’esistenza delle trattative, proprio per punta della Dogana, non stupisce più di tanto. §§§§§§§§§§§§§ Si trattava di un spazio espositivo enorme la cui ristrutturazione i bsava su un progetto di Tadao Ando per un investimento di 190 milioni di euro ************** Bilbao è ormai una realtà consolidata, l’ampliamento della sede di New York definito, esiste una prospettiva di un ulteriore intervento a Abou Dhabi. †††††††††††††† Si veda ad esempio il comunicato stampa N.1575 del 20/09/2006, “REGIONE-GUGGENHEIM per Punta della Dogana a Venezia.”

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Pur non essendo necessario, dato che il Comune è il proprietario dell’immobile, per la locazione viene predisposto un bando‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡, in cui a fronte di un usufrutto gratuito per 30 anni, rinnovabili, chi si aggiudica la gara garantisce il restauro dell’edificio, insieme alla realizzazione di uno spazio espositivo.

Alla gara partecipano entrambi i gruppi e la commissione di valutazione§§§§§§§§§§§§§§, inaspettatamente, emette un giudizio di parità. Giudizio che risulta difficile da valutare, rispetto a un’operazione di indubbia rilevanza per la città e fortemente voluta dal sindaco e che inevitabilmente suscita non poco sconcerto nel concorrente parigino che dava per scontata una preferenza per la propria offerta.

Nella ricerca di una via d’uscita, si avanza addirittura l’ipotesi di una possibile collaborazione tra i due concorrenti, ipotesi che sembra essere sostenuta sia dalla Guggenheim***************, che dallo stesso Pinault che afferma di sperare di lavorare da vicino con altre istituzioni di arte contemporanea..

L’ipotesi di collaborazione implose però rapidamente a seguito di un’intervista a Le Monde di uno dei sostenitori della cordata Guggenheim, che in un’intervista accusò Pinault di speculare sulla valorizzazione della propria collezione: “[Pinault] è un collezionista privato come migliaia ne esistono nel mondo. Fa pensare a un artista o un commerciante che non riesce a trovare luoghi dove mostrare la propria merce”†††††††††††††††. La risposta non si fece attendere e, sempre su Le Monde Aillagon affermò che “Questo rilancio è collegato ad un bluff. Se la Guggenheim ha un’ottima collezione storica, sul contemporaneo non ha la forza di quella di François Pinault. Ricordo poi che la raccolta del Guggenheim è già destinata alle attività di molte località - New York, Bilbao, Venezia e domani forse Abu Dhabi. La moltiplicazione delle opere, come quella dei pani, è un miracolo abbastanza raro!‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡”.

Per effetto dello scontro al bando viene aggiunta la clausola, che deve esistere una collezione permanente, la cui qualità sarà giudicata dalla commissione stessa. Mentre Guggenheim non presenta alcun elenco, Pinault mette a disposizione 141 pezzi della sua collezione, aggiudicandosi in questo modo la gara§§§§§§§§§§§§§§§. L’investimento previsto è di 32,5 milioni di dollari a cui vanno aggiunti 2,6 milioni l’anno per i costi di manutenzione, per un investimento totale di 110,5 milioni di dollari sui trenta anni di concessione.

Si completa quindi un’offerta di arte contemporanea che comprende: “Ca’ Pesaro, fino agli anni 50, la Fondazione Guggenheim, per le avanguardie, La Biennale, con una sezione trasversale sul panorama contemporaneo, Palazzo Grassi, almeno con una parte della sua programmazione, La fondazione Bevilacqua La Masa , il Candiani a Mestre, con la sua galleria di arte contemporanea. Il centro della dogana completerebbe questa offerta, che non sarebbe uno spazio solo espositivo, ma nelle intenzioni del progetto dovrebbe rappresentare un vero e proprio centro di produzione, laboratori artistici e didattici”.

Si tratta dunque di un’operazione in cui il Comune non spende nulla, con 2 consiglieri su 5 nel consiglio d’amministrazione ottiene comunque garanzie di controllo, può contare su tempi

‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Romanelli "Nonostante fosse stato chiesto un consulto legale, che ha espresso un parere favorevole alla assegnazione diretta, visto che la proprietà dell’immobile è del comune, il sindaco ha preferito realizzare una procedura di bando dello spazio.” §§§§§§§§§§§§§§ La commissione era presieduta dal segretario generale del Comune, E. Zola. *************** T. Krens, direttore della Fondazione Guggenheim dichiara: “Pensando al futuro la Fondazione Guggenheim è pronta a cooperare nel migliore dei modi possibili al fine di garantire gli interessi di Venezia e dell'Italia. … Se la decisione del Sindaco Cacciari è che gli interessi di Venezia siano meglio serviti da una collaborazione tra la Collezione Pinault e la Guggenheim, siamo pronti a partecipare nella discussione per definire il miglior percorso futuro. Provo una grande ammirazione per Francois Pinault e quanto è riuscito a realizzare. Portare la propria collezione a Palazzo Grassi è un dono per Venezia, da cui tutti traiamo beneficio.” ††††††††††††††† Le Monde, 8/2/07 Entretien avec Alberto Rigotti : Le Guggenheim veut faire de Venise un vrai lieu de culture. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Le Monde, 15/2/07 - Entretien M. Aillagon : le projet vénitien du Guggenheim est ‘du bluff’. §§§§§§§§§§§§§§§ Riportiamo degli stralci del Comunicato stampa del Comune di Venezia in data 5 aprile 2007: “Palazzo Grassi Spa ha fornito tutti gli elementi indefettibili richiesti dalla lettera di invito, e cioè: 1. relazione progettuale di recupero dell'intero complesso di Punta della Dogana con un cronoprogramma che prevede per marzo 2009 l'allestimento del Centro d'arte e per giugno 2009 la sua inaugurazione e apertura al pubblico; 2. linee guida per la gestione del Centro d'arte con il coinvolgimento del Comune; 3. elenco di 141 opere d'arte destinate a costituire la dotazione permanente del Centro d'arte per la durata trentennale. La Fondazione Solomon R. Guggenheim non ha invece fornito l'elenco contenente un numero preciso di opere d'arte destinate a costituire la dotazione permanente del Centro d'arte per la durata trentennale; la Commissione ha perciò ritenuto che sia venuta meno una delle condizioni indefettibili di negoziazione fissate dalla lettera d'invito, il che ha reso impossibile la comparazione delle offerte. La Commissione ha ritenuto quindi non valutabile l'offerta della Fondazione Solomon R. Guggenheim, e in quanto mancante di uno degli elementi essenziali di negoziazione, e la ha esclusa dalla procedura negoziale.”

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brevi di realizzazione (entro il 2009), ed un progetto firmato da un rande nome dell’architettura capace di costituire esso stesso motivo d’attrazione per la città.

Effettivamente sembra che nelle difficoltà, sia stato comunque raggiunto un risultato propriamente di sistema, che integra e valorizza le risorse culturali disponibili, che differenzia e completa l’offerta di arte contemporanea e attiva importanti flussi di risorse.

Eventuali osservazioni riguardano l’apertura di una contrapposizione così forte tra soggetti disposti ad investire, e il fatto che Comune e Regione siano entrate in aperto conflitto invece che i mediare e magari, in uno scenario ideale, ottenere ancora di più. Si tratta però di osservazioni di peso verosimilmente leggero rispetto al risultato ottenuto e, cosa di non poco conto, al fatto di essere riusciti a prendere una decisione in un contesto dove, come si è detto, la frammentazioni degli attori rende assi complicato il processo decisionale.

Come nel caso precedente, la questione che interessa questa sede è capire se e in che

misura il processo attivato dal Piano Strategico ha giocato un ruolo. Come nel caso precedente, la risposta sembra essere del tutto negativa se, come afferma Romanelli senza tentennamenti, “Cacciari ed io, eravamo a prendere un caffé con Pinault, gli abbiamo proposto la questione, siamo andati a veder Punta della Dogana e lui si è subito appassionato”.

3.3 - L’Arsenale di Venezia “La questione Arsenale, la sua natura, il suo genius loci… è un luogo che va compreso,

altrimenti ti schiaccia”****************. L’Arsenale occupa il bordo nord-est di Venezia con un estensione di circa 48 ettari. Buona

parte degli edifici non è utilizzata o lo è solo per periodi limitati nel corso dell’anno. La proprietà è del Demanio dello Stato attraverso: Ministero della Difesa - Marina Militare (62%) Demanio pubblico Ramo storico artistico (36%) Ministero delle Infrastrutture (2%).

Già alla fine degli anni 80 vennero avanzate diverse proposte, tra cui anche un’operazione alla Baubourg ma la complessità dell’operazione richiedeva forse un coraggio e una propensione al rischio in quel momento non disponibile††††††††††††††††.

Altra ipotesi fu quella legata alla realizzazione dell’Expo, nel quadro della quale P. Baratta‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡, nominato presidente della Biennale di Venezia, ottenne 20 miliardi di lire della legge speciale per Venezia e, in sostanziale indipendenza dal Comune, avviò la riqualificazione della parte meridionale del bacino dell’Arsenale per collocarvi i padiglioni principali della Biennale. Rimane però uno spazio ancora enorme da recuperare, le cui funzioni sono ancora da definire, ma per il quale il Comune ha predisposto un progetto di massima, il “Progetto Arsenale” appunto, all’interno del quale è stata definita prioritariamente la destinazione dell’area nord attraverso il “Piano Particolareggiato”, approvato nel 2003 con l’accordo del Comune, Regione, Agenzia del Demanio, Marina Militare, Magistrato alle Acque e il parere favorevole della Soprintendenza. Si tratta sostanzialmente dell’area smilitarizzata delle tese della Darsena Novissima, le Tese delle Galeazze, gli Scali di alaggio e i Bacini di carenaggio e le Casermette. Il Piano mira “da un lato a consentire le condizioni per lo sviluppo delle attività già esistenti e per l’avvio di nuove iniziative, dall’altro ad avviare l’apertura dell’Arsenale alla città. Con questa intenzione particolare rilevanza è stata attribuita al sistema degli accessi e dei percorsi che, pur limitato all’interno del perimetro del piano, si colloca nell’ambito della proposta complessiva riguardante l’intera area dell’Arsenale”§§§§§§§§§§§§§§§§.

Gli interventi previsti ammontano a più di 100 milioni di Euro, circa un terzo dei quali già realizzati, relativi principalmente al rifacimento delle coperture*****************.

Per gli interventi nell’area, la Marina Militare, che è titolare di gran parte della proprietà, ha istituito il Comitato d’Intesa per il Progetto Arsenale che ha elaborato una proposta di un museo legato alla cultura del mare. Parallelamente, alla fine del 2002 l’Agenzia del Demanio (51%) e il Comune (49%) hanno costituito la società “Arsenale di Venezia SpA”.

**************** Esordio dell’intervista con l’ingegner Paruzzolo di Thetis. †††††††††††††††† Nell’intervista realizzata con C. De Michelis è stato ricordato che era stato contattato anche l’arch. I.M. Pei. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Paolo Baratta, milanese, tre volte ministro con Amato, Ciampi e Dini, manager ed economista, membro di svariati consigli d'amministrazione, fu nominato direttore della Biennale dal 1998 al 2002 ed è notizia recente, novembre 2007, di un suo ritorno alla guida della medesima istituzione. §§§§§§§§§§§§§§§§ Per una illustrazione non tecnica si veda: Comune di Venezia, La rinascita dell’Arsenale, Marsilio, 2004 ***************** Dati forniti durante una conversazione con il prof. Indovina.

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Per l’area si prevedono attività produttive, di ricerca ed espositive, secondo essenzialmente i seguenti assi di intervento†††††††††††††††††: - Polo della ricerca: la presenza di una società specializzata in tecnologie marine

‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡, e la previsione di insediamento di alcune sezioni del CNR dovrebbero costituire il primo nucleo di una serie di attività sui temi dell’ambiente e della conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale;

- Polo della produzione: si riferisce all’attività in atto nel campo della cantieristica da sviluppare in settori specifici anche in relazione alla costruzione e manutenzione del MOSE.

- Polo della cultura, della musealità, dell’esposizione: alle funzioni attualmente svolte principalmente dalla Biennale, si prevede di aggiungere ulteriori attività mussali, insieme ad altre possibili funzioni in grado di concorrere alla sostenibilità economica dell’operazione;

- Polo della Marina: l’area riservata alle attività competenti alla Marina Militare comprende diverse istituzioni, tra le quali quali la biblioteca e l’Istituto di Studi Militari e Marittimi che qualificano la presenza del presidio veneziano;

- Attività di supporto diffuse: accanto alle aree tematiche semplificate nei poli, sono previste strutture ricettive, residenziali temporanee, di accoglienza e informazione localizzate nei punti di maggiore contatto tra Arsenale e città.

Il progetto è ancora lontano da una sua definizione di dettaglio. Esiste però una prospettiva di

massima, su cui di fatto si è avviato un confronto e che si incentra sulla valorizzazione della specificità dell’Arsenale come luogo intimamente connesso alla produzione ed al mare: fucina navale prima, e di tecnologia fortemente intrecciata al mare, adesso.

La rivitalizzazione di questa parte dell’Arsenale si svolge attraverso una dematerializzazione progressiva che parte dai bacini di carenaggio trasformati negli spazi per la manutenzione delle paratie del MOSE, prosegue con l’insediamento Thetis, dove alla parte materiale viene instillata l’immaterialità della ricerca scientifica, resa ancora più immateriale dall’insediamento del CNR, per poi passare, negli insediamenti a nord-ovest, per un museo di divulgazione scientifica, e arrivare infine ad uno spazio dedicato esclusivamente ad arte, performance ed installazioni.

Un progetto che certamente appare organico perché, prima di tutto, capace di affrontare la questione nella sua totalità, con tutti i soggetti coinvolti.

L’Arsenale “Fondaco della scienza e dell’arte della laguna”

Secondo F. Indovina, punto centrale per una rivitalizzazione dell’Arsenale è l’accessibilità, sia in termini simbolici che fisici. “L’Arsenale nord non costituirà più un recinto chiuso, ma deve essere una zona di grande interesse aperta al pubblico”§§§§§§§§§§§§§§§§§. È proprio l’aspetto della ricerca che potrebbe essere valorizzato, come motivo di attrazione in sé. La creazione di “un potente polo tecnologico capace di parlare all’immagine della città, di essere polarità in qualche modo riconoscibile al di là, si potrebbe dire anche contro, l’immagine che attualmente la città riverbera sia a livello nazionale che internazionale”. L’intervento all’Arsenale Nord “può essere considerato un processo di rigenerazione urbana in un doppio significato: da una parte rende utilizzabile un’area degradata e che in larga parte aveva perso la sua funzionalità e, dall’altra parte, rende aperta e, a certe condizioni, permeabile, una zona abbastanza ampia che per molti anni è stata chiusa alla città. E’ questa una condizione necessaria sia alla funzionalità produttiva dell’area, sia che per attivare gli effetti di questa trasformazione dell’Arsenale Nord sulle aree circostanti e sull’intera città”.

La permeabilità fisica dovrebbe innescare anche generare un effetto di attrazione sopratutto nei confronti delle aree ancora non utilizzate (capannoni, Galeazze, Fonderie), anche se attualmente i promotori immobiliari mostrano solo un limitato interesse nei confronti dell’area******************.

Le ricadute che tali interventi, potrebbero innescare sonoindividuate in: - “un rilevante e significativo aumento del capitale fisso sociale della città”. Un patrimonio

abbandonato torna ad essere fruibile per la messa in sicurezza degli edifici, la

††††††††††††††††† Da www.arsenaledivenezia.it ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Da www.thetis.it . Vedremo in seguito una descrizione di maggiore dettaglio delle attività e della storia di Thetis Spa. §§§§§§§§§§§§§§§§§ Intervista a F. Indovina, curatore di uno studio di fattibilità per la riqualificazione della parte nord dell’Arsenale per conto del Consorzio Venezia Nuova. ****************** Ricerca condotta per il consorzio Corila da: P. Rosato, A. Alberini, M. Breil, M. Dalla valle, V. Zanatta, diretta da C. Carraio, 2006, The Sustainable Economic Re-use of Degraded and Abandoned Areas in the Historical City Centre of Venice.

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manutenzione delle rive, la dotazione dei sottoservizi, la viabilità interna e quella di accesso.

- un “investimento diretto dei diversi fruitori”: relativa all’ intervento edilizio e di attrezzature, e dotazioni.

- un “aumento dell’occupazione”: anche se per lo più non di nuova occupazione. perchè una quota rilevante è trasferita da altra sede in città. Si tratta, tuttavia di nuova, stabile e permanente occupazione localizzata nella zona. Una stima che potrebbe toccare il numero di un migliaio di persone e nella maggior parte personale ad alto livello professionale.

- “attrazione di visitatori” (appartenenti alle diverse categorie: ricercatori, professionisti, studenti, curiosi, ecc.) che non siano spinti dalle consuete motivazioni per cui si è spinti a visitare S.Marco, ma per una specifica nicchia di interesse che potrebbe essere sintetizzata nell’interesse verso un “Fondaco della scienza e dell’arte della laguna”, capace di valorizzare la specifica bellezza del luogo e contemporaneamente le sue attuali funzioni produttive.

Una diversa prospettiva consiste nell’incernierare la porzione dell’Arsenale Nord su funzioni

di un “Quartiere Culturale”††††††††††††††††††, come leve per la rivitalizzazione e la promozione di una maggiore integrazione dell’intero Sestiere di Castello nelle attività economiche e culturali della città.

La fase iniziale del progetto dovrebbe concentrarsi sulla riconversione degli spazi relativi alle Tese della Novissima, le Tese di San Cristoforo, le Tese delle Nappe e Galeazze.

Anche se le proposte appaiono di maggiore dettaglio rispetto alla prospettiva precedente, con una serie di attività con cui “riempire” alcuni degli spazi con funzioni capaci di ottenere più di altre, “apertura” e “permeabilità”, la filosofia del progetto è sostanzialmente analoga. Si prevedono infatti interventi che facciano da vera e propria “interconnessione” tra le varie funzioni, come un centro convegni e ua struttura per conferenze, mostre, dibattiti, che potrebbe attirare in città visitatori coinvolti proprio da questa tipologia di eventi‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡.

Esiste inoltre un’ipotesi di creare, con la collaborazione dell’Università Iuav di Venezia, una scuola di specializzazione che porterebbe ad una presenza fissa, non trascurabile, sia di studenti che di personale della struttura. Associato alla scuola di specializzazione, in serie, è stato pensato, un Incubatore di impresa creativa di produzione e sperimentazione artistica§§§§§§§§§§§§§§§§§§

Si aggiungerebbero poi spazi espositivi di arte contemporanea in sinergia con la Biennale, ma anche per l’organizzazione di fiere ed esposizioni a tema che estendano l’utilizzo dell’Arsenale oltre le attuali cadenze fornite dalla Biennale.

Un set di interventi che aprono prospettive ad ampio spettro, il coinvolgimento e l’apertura dello spazio a soggetti diversi e complementari.

Rispetto alle ipotesi di uso produttivo, le questioni di tipo logistico assumono un rilievo assolutamente predominante: qualsiasi movimentazione, stima, costa dieci volte di più che sulla terra ferma*******************. Difficoltà di movimento, che si riflettono anche sui collegamenti.

Il principale collo di bottiglia per ogni eventuale evoluzione è infatti quello dell’accesso e di collegamenti regolari e rapidi con il resto della città e la terraferma†††††††††††††††††††.

Se questo nodo fosse risolto le varie prospettive di fruizione dell’Arsenale acquisirebbero una concretezza diversa. “Se arrivare all’arsenale è questione di un’ora, un’ora e mezzo, da Padova o da tutto il Triveneto, allora assume una sua concretezza l’idea di realizzare uno spazio per intrattenimento, installazioni ed performance. Ma non funzionerebbero, se non si avesse la certezza di un collegamento che non cessi in caso di mal tempo e che sostanzialmente non garantisca di poter tornare a casa.”

†††††††††††††††††† Il seguente paragrafo riporta i contenuti di una intervista realizzata al professor P.L. Sacco, in quanto coinvolto da Arsenale SpA nella elaborazione e valutazione di proposte per la valorizzazione culturale del recupero dell’Arsenale. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Una nicchia che facilmente possiamo ricollegare a quanto illustratoci dal Prof. Indovina.

§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Opzione che appare certamente coerente al modello di intervento proposto a scala di Arsenale, ma che è facile prevedere potrebbe aprire non pochi problemi se analizzato a scala di città e quindi considerando l’esistenza della struttura del VEGA che nasce proprio come incubatore tecnologico. ******************* Intervista a A. Paruzzolo, amministratore delegato di Thetis SpA. Anche se poi ammette con una malcelata soddisfazione, “è possibile fare tutto” e ci racconta di come portarono due opere di Richard Serra di 20 tonnellate l’una per una installazione dell’Biennale. ††††††††††††††††††† Interessante rilevare come la metropolitana sublagunare tra aeroporto e Arsenale viene giudicato rilevante non per la riduzione dei tempi di percorrenza ma per la stabilità dei collegamenti: tutti i problemi di mal tempo, navigazione notturna e altri verrebbero azzerati dando quindi una percezione completamene diversa al collegamento e quindi a tutto l’Arsenale.

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Viene sottolineato come per l’Arsenale occorre “inserire tutti i fattori produttivi della filiera”, come per l’ipotesi dell’Art & Science Centre, che dovrebbe configurarsi come un vero e proprio progetto di sviluppo culturale, “una filiera che dai bacini costituisca un percorso di materializzazione dall’hard al soft, che quindi passi da cantieri manutenzione delle opere salvaguardia, dalla scienza Thetis e CNR e poi un museo di divulgazione scientifico e poi solo arte, performance e installazioni”.

Il punto chiave viene identificato proprio nel coordinamento, nella visione complessiva, nella “pianificazione strategica”, che potrebbe indurre i vantaggi di ottimizzazione della progettazione, economie di scala e una massa critica di riferimento, una necessità cui il Piano Particolareggiato risponde in maniera insufficiente.

Se è diffusa la consapevolezza della necessità di una strategia, esiste l’Arsenale SpA come struttura di gestione e l’apparato normativo di riferimento, purtuttavia si mantiene “la sindrome del cappello sulla sedia”, quella di una sala di un cinema in cui non ci sono persone, ma tutte le poltrone sono già occupate da un cappello.

L’esistenza di un “piano” e di alcune proposte anche molto concrete sembra più generare una paralisi che una spinta propulsiva, una resistenza ad intraprendere azioni perché connessa al rischio di interferire con la quadratura del cerchio precedentemente ottenuta.

Il caso dell’Arsenale certamente di enorme complessità, permette comunque di comprendere

la difficoltà di intervenire con proposte capaci di individuare una sintesi tra esigenze del presente e sostenibilità futura. Interventi in realtà strutturate in cui la sola esistenza, riflessione, di una proposta cambia la percezione e quindi l’agire dei soggetti coinvolti.

La questione Arsenale è fondamentale anche e soprattutto perché se vi venissero trasferite alcune delle funzioni oggi localizzate nella città storica, si liberebbero spazi, luogi ed edifici generando un effetto domino che potrebbe cambiare completamente la configurazione della città‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡,.

Si ratta di un caso, davvero, in cui i benefici ascrivibili al metodo della Pianificazione Strategica sembrerebbero calzare pienamente.

4. - Conclusioni L’analisi dei tre casi studio sembra confermare dunque l’impressione maturata con la lettura

dei documenti di Piano, che si sia di fronte ad una profonda scissione tra scelte contenute nel Piano Strategico e interventi. I meccanismi di ideazione e creatività sembrano albergare in luoghi altri rispetto alle arene deliberative messe in essere dal processo di pianificazione strategica.

Benché le limitazioni del lavoro permettano di proporre alcune valutazioni, non certo di arrivare a conclusioni definitive, quello che sembra emergere con evidenza è che una delle assunzioni principali della pianificazione strategica, il potenziamento del fattore sistemico rispetto al ruolo del singolo, nel caso di Venezia, non sussista.

Lo scollamento appare particolarmente marcato se si tiene conto della retorica con cui l’operazione di pianificazione strategica è stata presentata. Un potenziale comunicativo che proprio in virtù della sua forza, se svuotato di contenuti, si ritorce contro sé stesso.

Un effetto che si manifesta in maniera duplice: all’esterno, con una perdita di legittimità che, come si è sottolineato, non deve essere sottovalutata perché capace di inficiare anche successive esperienze di cui il soggetto promotore, nel nostro caso l’amministrazione comunale, voglia farsi carico. All’interno, con il farsi strada di una percezione, da parte degli attori interni al processo, di essere in una vetrina troppo in vista, che potrebbe bruciare idee e proposte che invece, sembrano avere bisogno di lunghi tempi di maturazione e articolati periodi di decantazione.

L’esperienza dell’HJF sembra dimostrare che una strategia di “estrema determinazione” nel promuovere un progetto, possa non solo consentire di realizzarlo, in tempi anche molto contingentati, ma soprattutto innescare meccanismi di collaborazione interistituzionale§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ virtuosi.

‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Ma come ci avevano sottolineato anche Indovina e De Michelis poi. §§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Si veda, in questa senso, le dichiarazioni di Venturini, riguardo la positiva esperienza di collaborazione con il Comune Venezia, provincia e Regione per il supporto all’organizzazione del Festival.

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Difficile però individuare un’unica lezione. Il caso di collaborazione tra Parco di S.Giuliano e la Biennale sembra essere tramontato proprio per una mancanza di collegamenti e relazioni istituzionali.

Il processo di Piano strategico sembra aver effettivamente la capacità di interpretare la funzione di hub relazionale, Il computo delle relazioni innescate o avvenute durante il piano dimostra una relazionalità forte. Il problema però, diventa la finalizzazione delle opportunità createsi, della concretizzazione del dialogo in una piattaforma che anche se non propriamente progettuale, sia almeno aggregante, ossia che gli incentivi a partecipare siano almeno maggiori della tentazione di percorrere strade in solitaria.

Percorsi certamente difficili che forse con maggiore umiltà******************** dovrebbero essere perseguiti prima a scale ridotte, per poi arrivare ad includere tutta un’area metropolitana.

L’esperienza dell’Arsenale sembra essere rappresentare una palestra perfetta per un simile esercizio. Una problematica estremamente articolata e complessa per onere, molteplicità di soggetti coinvolti, ma soprattutto per la mole di implicazioni che, a catena, si ripercuoterebbero su assetti a scala multipla, sestiere, città, e anche oltre††††††††††††††††††††.

Non si tratta di affermare la necessità di favorire una maggiore progettualità fine a se stessa, ma di inquadrare il problema della pianificazione allargata come un’arena in cui debba essere risolto il problema della corretta attribuzione dei ruoli tra i soggetti coinvolti. Se da una parte il Comune si dichiara promotore del processo di Piano, vi investe strutture e personalità, facilitatore, negoziatore, capace innescare progettualità diffuse, ma non motore esclusivo, assurge ad un ruolo di mediazione che deve essere mantenuto in maniera diffusa.

Al contrario la percezione che si ottiene dai singoli casi analizzati, sembra smentire questa idea. Il caso di Punta della Dogana sembra paradigmatico. L’amministrazione comunale sembra aver interpretato tutti i ruoli: invita, suggerisce e alla fine decide a chi attribuire la vittoria‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡.

Sovrapposizione di funzioni che, probabilmente, da una parte, favorisce la tanto richiesta “progettualità”, ma che dall’altra, assesta anche un’ulteriore colpo al meccanismo di erosione di credibilità nei confronti di processi allargati quello di pianificazione Strategica.

Non c’è dubbio che il cambiamento del paradigma di collaborazione, di genesi delle proposte di politiche che il modello strategico porta con se è estremamente profondo, con dinamiche che non possono essere risolte in maniera semplicistica. Il cambiamento del modello di governance allargato che la pianificazione strategica sottende è radicale e drammaticamente impegnativo, proprio per il soggetto stesso che la propone, l’amministrazione comunale.

Come sottolineato dai promotori del processo, affrontare la questione tutta interna all’istituzione comunale, della “inerzia amministrativa”§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ è stato estremamente impegnativo, ossia il tema del coinvolgimento attivo dei differenti comparti della macchina comunale in un processo in cui è necessario che ogni porzione del sistema deleghi una parte delle proprie competenze, e in ultima istanza, di autorità ad altri.

Tale difficoltà è certamente ascrivibile, in primis, alla tradizionale resistenza alla promozione di cambiamenti di gestione in una struttura complessa come un’amministrazione. Difficile perché la tendenza a percorrere soluzioni già sperimentate in proprio o dai principali soggetti di riferimento********************* svolge un ruolo importante nelle scelte e nella prassi di governo. Ma difficile anche perché, nel caso specifico, il salto verso una completa accettazione delle regole

******************** Ne risulterebbe però sminuito anche il beneficio ottenibile dalla dose di visibilità che il promotore del processo otterrebbe e quindi, in ultima analisi, ridotto anche l’incentivo a innescare il processo. †††††††††††††††††††† Molteplici i possibili spunti dal caso di riqualificazione dell’Arsenale: la sistemazione delle modalità di accesso all’area di Castello ne cambierebbero completamente l’assetto, aprendo tra gli altri, anche scenari di regolamentazione dei percorsi di accessi dei turisti per tutto il centro Storico. Ancora la questione del centro ricreativo che potrebbe essere attrazione per tutto l’entroterra, oppure, l’ipotesi di una scuola di formazione con annesso incubatore di imprese con tema la creatività, struttura che avrebbe come bacino almeno tutto il Veneto. Sono anche presenti, occasioni di confronto con politiche, si veda insediamento del Vega, che potenzialmente possono creare conflitti e sovrapposizioni, ma proprio per questo, anche innescare potenzialità di generazione di nuove idee e soluzioni altrimenti non immaginabili. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Tutti ruoli certamente legittimi e nel caso specifico, come detto, forse anche ottimamente interpretati. Il contesto è quello di un coinvolgimento di soggetti privati, ma con un impegno in primissima persona dell’amministrazione. Come già detto, non si tratta in questa sede di valutare la bontà delle soluzioni proposte, l’operazione di Punta della Dogana, sembra aver creato importanti opportunità di sviluppo, e l’amministrazione ha certamente dimostrato dinamismo e capacità di visione. Quello che però ci sembra importante, è che questo tipo di dinamiche non sciolgano, ma anzi rafforzino la percezione, sovente incontrata negli interventi verbalizzati degli incontri avvenuti durante il processo di Piano, che si realizzino, solo e soltanto, i progetti i cui “l’avvallo dall’alto” sia forte e netto. §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Definizione che riprendiamo dall’intervista con Pugliese. ********************* A maggior ragione in una realtà come quella veneziana che abbiamo vista essere caratterizzata da una rete decisionale , per citare ancora una volta le parole di Bruno Dente caratterizzata da “una notevole numerosità e da una spiccata atomizzazione” e dalla estrema personalizzazione.

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della pianificazione strategica sottintende la riformulazione del paradigma secondo cui l’organizzazione che una istituzione si dà per affrontare la complessità di un problema, è risolta sezionandosi in parti, ciascuna avente uno specifico obbiettivo, capace di risolvere una specifica porzione del problema (Simon 1992). Trovate le soluzioni alle singole porzioni, la sintesi è demandata a chi è posto più in alto nella gerarchia decisionale. Procedura che però non garantisce l’individuazione di una risposta sempre adeguata, proprio perché la complessità del contesto in esame fa si che i singoli problemi non siano descrivibili semplicemente come somma di singole parti.

Va inoltre sottolineato come la riflessività del sistema, le interazioni e le percezioni che i vari soggetti hanno di se e degli altri soggetti siano in continuo cambiamento, e quindi capaci di influenzare descrizione e soluzione di un problema (Voss, Bauknecht et al. 2006).

In contrasto, uno dei presupposti valori aggiunti della pianificazione strategica consiste proprio nello scardinare il precedente paradigma e proporre un approccio non più frazionato, ma capace di mantenere la complessità del problema sia nella sua definizione iniziale che nella soluzione proposta. Il problema sarà infatti descritto da n-punti di vista, uno per ciascuno degli attori coinvolti, non sarà più solo “il turismo erode il tessuto sociale della città”, ma anche, contemporaneamente, “la città deve vivacizzare il proprio tessuto sociale”†††††††††††††††††††††.

Tale molteplicità di descrizioni rappresenta di fatto una potenziale esplosione dei problemi e delle loro rappresentazioni e conseguentemente delle possibili soluzioni, se anche il governo dei progetti proposti, viene reso dominio non più esclusivo dell’amministrazione.

Si comprende quindi come sia oggettivamente difficile trasferire senza contraccolpi questa forma di operare al corpus amministrativo. A parte, infatti, l’iniziale adesione ai principi, la procedura che sarebbe necessario applicare nel governo della progettualità generata è culturalmente molto diversa rispetto alla formazione gestionale prevalente dei soggetti coinvolti. Si tratterebbe infatti di perdere la competenza specifica nella definizione che ogni assessorato, ogni direzione generale possiede, in favore di una entità creatasi con la pianificazione che deve necessariamente conquistarsi una propria legittimità.

Metodo che, proprio in virtù della sua presupposta apertura, risulta strutturalmente più esposto a critiche ed obbiezioni; se è richiesto il contributo di tutti, allora tutti sono implicitamente chiamati (e legittimati) a sollevare obiezioni e critiche.

Se questo può essere visto come uno dei maggiori punti a favore della partecipazione pubblica ai processi decisionali (Ravetz 1999), inevitabilmente accade che, in un tale contesto, si innesca una profonda e continua verifica della legittimità stessa del processo e in particolare nei confronti del suo promotore (Funtowicz, Martinez Alier et al. 1999).

Quando si chiede ai diversi soggetti di partecipare e di rendersi promotori di analisi e progetti, il primo inevitabile passaggio è sottoporre al vaglio proprio chi si è eletto a coordinare tale processo‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡. Raramente il peso di tradizione, prestigio istituzionale sono da soli sufficienti ad attribuire tale investitura (Blotevogel 2000). Spesso in letteratura si è investigato il peso che una leadership personale possa aver avuto nella guida di processi strategici (Dente, Bobbio et al. 2005). Capacità di controllo di un processo che è personale, ma, aggiungiamo, anche risultato di congiunture esterne favorevoli§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§.

Si tratta quindi di riconoscere la profonda e necessaria unicità che deve accompagnare ogni progetto di pianificazione strategica. Unicità che sono non solo di problematiche e risorse, ma anche di contesto e clima politico.

La valutazione dell’opportunità di intraprendere o meno un processo del genere, non potrà quindi prescindere da analisi che sappiano valutare la credibilità che il soggetto promotore

††††††††††††††††††††† Approccio che abbiamo visto, in parte, è stata posto nella discussione anche da Dragotto, sostenendo l’importanza della definizione dei problemi piuttosto che delle soluzioni e poi, con forza, da Scaramuzzi nella lettura semantica dei verbali del Progetto Commissioni. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Aspetto questo particolarmente critico nel caso veneziano, che come abbiamo visto, contrariamente ad altre esperienze nazionali, non ha visto il sindaco della città guidare in prima persona il processo, ma ha investito un suo assessore di una opportuna delega. Fatto che crediamo abbia influito sia a livello interno del gruppo di lavoro che all’esterno. Diversi sono infatti i riferimenti a riguardo: già abbiamo citato quelli fatti a riguardo dai revisori esterni, ma anche nel già citato testo di Spaziante Pugliese (2003) è lo stesso Pugliese che evidenzia la potenziale debolezza della delega ad un assessore, che per quanto autorevole, non aveva forse il sufficiente peso istituzionale, ed infine è proprio l’assessore D’Agostino che in una intervista ci dice che il piano ha ricevuto solo (aggiungiamo noi) “un appoggio benevolo del sindaco”. §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Interessante in questo contesto la conversazione avuta con Franco Scantamburlo, rappresentante della CGIL, il quale ha evidenziato proprio come l’entusiasta partecipazione del sindacato ai lavori del piano fosse il frutto delle favorevoli condizioni al contorno esistenti in quel momento. Disponibilità ed aperture che da altri ambiti si sono trasferite sul Piano. Certamente queste condizioni sono frutto di un atteggiamento di indirizzo di una giunta, ma in questa volontà possono subentrare condizionamenti (priorità, temi di dibattito, contrapposizioni) esogene e non facilmente gestibili alle scale locali.

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possiede in quel determinato momento. Valutazioni che, riflessivamente, dovranno comprendere anche il rischio di veder estinguersi proprio quella dote di credibilità in possesso al soggetto promotore, che nel processo, è messa in gioco.

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Annessi: materiale Piano Strategico di Venezia

Ricognizione attori sociali (Dente et alia 1997) Mappa attori sociali: B. Dente Governare Lo Sviluppo Sostenibile Di Venezia: Elementi Per Un Percorso Di Progettazione Istituzionale 1995 Focus sociale

Istituzionali-burocrazie politiche

Esperti – Burocrazie tecniche

Interessi economici

Interessi sociali

Livello internazionale

Unione europea DG XII DG XVI

IBM Semen Gruppo Ch. Forte ENI

Greenpeace Comitato Internazionale per la conservazione e la tutela dell’Antico Arsenale

Livello Nazionale CIPE Comitato interministeriale ex. L.798/84 MURST Ministero Bnei Culturali e Ambientali Ministero dei trasporti Ministero LLPP Ministero iNdustria Ministero Finanze :Demanio Monopoli di Stato Ministero Grazia e Giustizia Ministero Ambiente Porto Venezia

Ministero LLPP CER Consiglio superiore LLPP Ministero difesa Comando militare marittimo FFSS

Consorzio Venezia nuova ICIP Cameli ALUMIX Edison Fincantieri Tecnomare Efimimpianti Alenia Assicurazioni Generali Istituto bancario S.Paolo Torino Acqua Marcia Ridotto srl (Benetton Group) Telecom

Italia Nostra WWF

Livello sovracomunale

Regione veneto: giunta regionale Dipartimento industria e energia Provincia Venezia Provveditorato al porto Curia Arcivescovile

Ministero LLPP: Magistrato acque, Comitato tecnico di magistratura Ministero beni culturali: Soprintendenza ai BB ambientali Soprintendenza ai beni archeologici Regione Veneto: Ass. trasporti Provincia VE: ufficio ecologia, caccia, pesca, ass. difesa

SAVE Associazione industriale Fondazione CARIVE Consorzio per lo sviluppo dell’Università di Ve

Forum per la laguna di Venezia Italia Nostra WWF

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territorio Commissione salvaguardia USLL IACP CNR Veneto Innovazione

Livello comunale Comune Venezia

Comune di VE Ufficio legge speciale Ufficio urbanistica IUAV Cà Foscari Immobiliare Veneziana Venezia servizi spa Promomarghera

SVIT Comitato per la tutela di Forte Marghera Ambientalisti Verdi Partito Rifondazione Comunista

Livello subcomunale

Consigli di quartiere

Centro ricerche e restauri palazzo Cappello

Caffè Florian e caffe quadri Consorzio per la cantieristica minore veneziana Consorzi compartimentali di pescatori Vallicoltori Conduttori della valle Figheri

Associazione nautiche e remiere Associazione degli avvocati amministrativi Archeo club/Ekos club Associazione culturale veneziana Associazione Tera &Aqua Comitato certosa

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Ricognizione attori costituenti il sistema Venezia

Lista attori identificati nel documento B. definiti come concorrenti a determinare il sistema Venezia 1. Soggetti titolari con potere di pianificazione Regione Veneto Provincia di Venezia Comune di Venezia Autorità portuale Municipalità del Lido Municipalità di Marghera 2. Associazioni di categoria Unindustria Venezia Confartigianato Venezia Confesercenti Venezia Associazione albergatori veneziani Associazione del commercio turismo e servizi – Venezia Associazione dei costruttori edili ed affini di Venezia e provincia Associazione ordine degli Ingegneri della provincia di Venezia Associazione Ordine degli Architetti della provincia di Venezia Associazione AssoUrbanisti della Provincia di venezia 3. Istituzioni Statali Camera di commercio Industria e artigianato e Agricoltura Venezia Consorzio Venezia Nuova Agenzia del Demanio Magistrato alle Acque 4. Fondazione ed enti di cultura Venezia Laboratorio Cultura Fondazione Giorgio Cini Fondazione Eni Enrico Mattei Fondazione Quercini Stampalia Fondazione Ugo e Olga Levi Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia Consorzio Venezia 2000 Fondazione Nordest La biennale di Venezia – Società di Cultura Thetis Centro Città d’Acqua Consorzio Venezia Ricerche 5. Aziende pubbliche Parco scientifico e tecnologico di Venezia Promomarghera Immobiliare veneziana Edil Venezia 6. Università IUAV Università Cà Foscari 7. Soggetti motori del traffico merci e passeggeri SAVE La società Aeroporto di venezia Marco Polo S.p.A. Grandi Stazioni S.p.A. Autostrade S.p.A. Società delle Autostrade di Venezia e Padova S.p.A. ANAS Azienda Multiservizi Ambientali Veneziana Azienda Servizi Pubblici Idraulici e Vari Insula ASM S.p.A.Azienda Servizi Mobilità Actv Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto 8. Organizzazioni sindacali CGIL – Venezia CISL – Veneto UIL – Veneto 9. Organizzazioni ambientaliste

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Legambiente Veneto WWF venezia Kyoto club Federazione Verdi Veneto Forum per la laguna 10. Associazioni di volontariato 11. Enti ed Associazioni religiose 12. Associazioni sportive

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Differenze nelle politiche tra prima e seconda versione del piano II versione ottobre 2004 I versione dicembre 2003

CONDIZIONI STRUTTURALI Città degli abitanti: plurale, solidale e sostenibile

1 Massimizzare la qualità della città e della vita in città: rafforzare e innovare il welfare metropolitana per garantire l’integrazione sociale e la sociale urbano diversificazione delle possibilità localizzative

1.1 Sviluppare l’accessibilità urbana e la mobilità 1.2 Garantire il diritto all’istruzione, al lavoro, alle pari opportunità e ad un reddito dignitoso

1.3 Sviluppare le politiche alla residenza 1.4 Garantire il diritto alla salute 1.5 Sviluppare sistemi di mediazione sociale per prevenire i conflitti e governare le differenze

1.6 Incrementare le politiche giovanili 1.7 Sviluppare la qualità dell’offerta culturale e formativa

1.8 Sviluppare e tutelare la risorsa tempo libero 1.9 Proteggere i cittadini più vulnerabili e agire per l’inclusione sociale

1.10 Sviluppare un sistema di città sicura 2 Garantire la qualità ambientale razionalizzare i consumi

2.1 Sviluppare la produzione di energie alternative e

2.2 Ridurre complessivamente i carichi inquinanti 2.3 Sviluppare un sistema diffuso di educazione ambientale

2.4 Riorganizzare e ottimizzare il sistema di raccolta, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti urbani

2.5 Riqualificare, valorizzare e sviluppare il patrimonio naturalistico

2.6 Tutelare la risorsa acqua in termini quantitativi e qualitativi

3 Riconoscere la pluralità, favorire la partecipazione

3.1 Rielaborare il concetto di cittadinanza in considerazione di una pluralità di popolazioni

3.2 Riconoscere e valorizzare Venezia come la città delle comunità e il principio della sussidiarietà, verticale ed orizzontale, a scala metropolitana

3.3 Sviluppare un sistema di partecipazione diretta ai processi decisionali e facilitare il rapporto tra cittadini e istituzioni

3.4 Sviluppare e diffondere una immagine condivisa della città

3.5 Favorire l’inserimento e valorizzarne la la presenza come “nuovi cittadini”

4 Sviluppare l’economia solidale Strategia non presente nella prima versione 4.1 Evidenziare il rapporto tra benessere sociale e sviluppo economico

4.2 Promuovere e diffondere la cultura e la pratica della responsabilità sociale d’impresa

4.3 Incrementere le relazioni tra i settori profit e no profit

Assetti fisici e funzionali della città contemporanea

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1 Migliorare la qualità urbana e territoriale Strategia inizialmente posta in terza posizione 1.1 Rivitalizzare la risorsa laguna 1.2 Aumentare le aree verdi di scala metropolitana

1.3 Rapportare a criteri di qualità l’organizzazione urbana

2 Arricchire il sistema locale di funzioni finalizzate allo sviluppo economico sociale e culturale

Strategia inizialmente posta in prima posizione

2.1 Rafforzare le polarità urbane 2.2 Promuovere grandi interventi di trasformazione e riqualificazione urbana

2.3 Produrre nuova offerta di opportunità insediative

2.4 Integrare le politiche territoriali locali con quelle di area vasta

2.5 Sviluppare la dotazione di strutture di area vasta

2.6 Creare le condizioni per una maggior presenza di attività finanziarie di servizio alle imprese e alle famiglie

3 Favorire la massima integrazione tra le diverse parti del sistema urbano attraverso lo sviluppo del sistema della mobilità

Strategia inizialmente posta in seconda posizione

3.1 Migliorare le connessioni di scala territoriale 3.2 Migliorare la mobilità urbana 4 Applicare le nuove tecnologie nel sistema città

Strategia non presente nella prima versione

4.1 Innovare il sistema città attraverso le nuove tecnologie

4.2 Promuovere innovazione nel trasporto pubblico

Città metropolitana 1 Istituire la Città metropolitana come nuovo ente di governo

1.1 Istituire la Città metropolitana come nuovo Ente di governo

1.2 Favorire il progressivo trasferimento/delega delle funzioni statali e regionali al nuovo Ente

2 Rafforzare la dimensione metropolitana del sistema veneziano

2.1 Gestire unitariamente servizi all’interno della Città Metropolitana

2.2 Aumentare la competitività del sistema veneziano attraverso la Città Metropolitana

3 Rafforzare la dimensione metropolitana 3.1 Gestire unitariamente servizi alla scala metropolitana dell’area centro veneta (PATREVE) centro veneta

3.2 Aumentare la competitività dell’area metropolitana centro veneta

4 Realizzare la riforma degli assetti del Comune attraverso l’istituzione delle Municipalità

4.1 Completare il processo di istituzione delle Municipalità

4.2 Promuovere la nuova organizzazione amministrativa presso la cittadinanza e le attuali strutture comunali

Città internazionale 1 Rafforzare il ruolo politico di Venezia a livello europeo e mondiale, in particolare

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verso le aree: Euromediterranea 1.1 Fare diventare Venezia centro della conciliazione Euromediterranea, Europa sud-orientale

1.2 Creare per Venezia il ruolo di mediatore per e del Far east l’integrazione dell’Europa sud-orientale nell’Ue

1.3 Rendere Venezia “porta d’oriente” per gli scambi economici e culturali con il Far east

2 Promuovere Venezia soggetto protagonista 2.1 Aumentare i progetti, le azioni e gli eventi tra le città europee per una affermazione del internazionali

ruolo delle autonomie locali 2.2 Partecipare e coordinare tavoli di lavoro per il rafforzamento delle autonomie locali

3 Rendere Venezia sede ottimale di istituzioni che operano a scala internazionale

3.1 Creare le condizioni funzionali per l’insediamento di una o più istituzioni

3.2 Dare supporto politico alle candidature di Venezia

4 Potenziare l’immagine internazionale della città

Cambio nome prima era: “Aumentare competitività sistema locale”

4.1 Promuovere il marketing territoriale e urbano Città della cultura

1 Produrre nuovi beni culturali e nuove figure professionali tematiche capaci di contenere: Creatività, Comunicazione, Catalogazione

1.1 Sviluppare i “Fondaci della Cultura” come filiere

1.2 Aumentare e coordinare spazi ricettivi e di foresteria per artisti, studenti e operatori

1.3 Dare sostegno logistico e agevolazioni amministrative e procedurali a fondazioni, enti, istituzioni e associazioni, sia pubbliche che private, aventi finalità culturali

2 Valorizzare le risorse esistenti con una gestione efficiente ed innovativa dei beni culturali

2.1 Coordinare servizi e iniziative pubbliche e private

2.2 Realizzare nuove strutture e definire modalità di valorizzazione dell’offerta di beni culturali

2.3 Identificare efficaci e coordinate strategie di comunicazione e marketing

2.4 Mantenere e valorizzare le strutture e il patrimonio esistente

2.5 Sfruttare le potenzialità del “territorio contemporaneo”

Politica non presente nella prima versione

2.6 Sperimentare progetti pilota per la costruzione di eventi in collaborazione tra diversi soggetti della cultura e del turismo

Politica non presente nella prima versione

3 Sviluppare il sistema formativo medio e superiore legato ai beni culturali esistente nel territorio veneziano

3.1 Sostenere e ampliare l’offerta formativa specializzata

3.2 Realizzare spazi dedicati e di sviluppo (aule, laboratori, spazi residenziali, ecc.)

3.3 Sviluppare il marketing dell’offerta veneziana 3.4 Curare l’inserimento professionale

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LINEE STRATEGICHE Città delle acque

1 Riconoscere il valore aggiunto dato dalla presenza dell'acqua nel territorio al sistema economico e produttivo

1.1 Valorizzare il potenziale delle attività produttive legate all’acqua

1.2 Sfruttare le ricadute della ricerca e degli interventi finalizzati alla salvaguardia della laguna

1.3 Promuovere la ricerca sulle tecnologie della navigazione lagunare per migliorare la rete della mobilità di merci e persone

1.4 Incentivare l’offerta turistica “specializzata” 2 Rafforzare le relazioni culturali della città, di laguna e di terraferma, con l'acqua (mare, laguna, fiumi, canali)

2.1 Ricostruire l’identità culturale legata all’acqua 2.2 Riconoscere l’acqua come elemento di coerenza e diversità nella pianificazione degli spazi pubblici e privati

2.3 Tutelare il sistema delle acque e favorirne il ripristino e la funzionalità nel territorio metropolitano

2.4 Promuovere lo sviluppo dell’Europa mediterranea

2.5 Potenziare le relazioni internazionali e favorire l’insediamento di istituzioni internazionali legate alla cultura dell’acqua

Città del turismo 1 Agire sulla composizione della domanda ottimizzando le potenzialità del turismo culturale 1.1 Promuovere il coordinamento tra i soggetti del sistema culturale e quelli del sistema turistico 1.2 Inserire Venezia nel circuito internazionale delle grandi mostre 1.3 Valorizzare le feste e le manifestazioni tradizionali 1.4 Sviluppare gli itinerari tematici della Terraferma 1.5 Sviluppare gli itinerari tematici della Città Antica

Inizialmente erano presenti due sole politiche, aventi un totale di 15 azioni. La prima, originariamente nominata “Promuovere qualità e sviluppo delle attività correlate al turismo come fattore di sviluppo delle potenzialità della struttura produttiva della città ” è stata frazionata in due e sono state aggiunte le politiche della strategia 1

2 Agire sulla composizione della domanda ottimizzando le potenzialità del turismo culturale

2.1 Soggiorni studio universitari 2.2 Congressi, convegni e fiere 2.3 Turismo sportivo 2.4 Intrattenimento 2.5 Crocieristica 2.6 Nautica 2.7 Itinerari lagunari e tematici e isole minori 2.8 Turismo balneare 2.9 Mercati folcloristici, artigianali, antiquariato 3 Governare il sistema turismo agendo sui flussi e migliorando la qualità dell'offerta

3.1 Aumentare la conoscenza del fenomeno turistico

3.2 Gestire i flussi 3.3 Orientare il turista attraverso l’informazione 3.4 Migliorare il rapporto qualità/prezzo

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dell’offerta 3.5 Ottimizzare le ricadute sul sistema città: il network e la comunicazione

3.6 Diversificare gli accessi turistici alla Città Antica

Città della formazione superiore, della ricerca e dell'innovazione 1 Valorizzare e potenziare la presenza delle strutture di formazione superiore

1.1 Radicare ed ampliare il sistema formativo veneziano

1.2 Potenziare i rapporti internazionali 1.3 Valorizzare la presenza di studenti, docenti, ricercatori, professionisti ecc.

2 Affermare Venezia come area della ricerca e dell’innovazione scientifica e dell'innovazione

2.1 Coordinare gli attori operanti nei settori della ricerca

2.2 Derivare innovazione dagli interventi di salvaguardia, dalla conservazione dei beni culturali e dalle attività della grande industria ad essi collegati

2.3 Sviluppare attività di servizio per il trasferimento delle nuove conoscenze e per la loro traduzione in nuove iniziative imprenditoriali

3 Favorire l’innovazione di processo e di prodotto delle imprese consolidate e incentivare l’insediamento di nuove imprese ad alta tecnologia

3.1 Incentivare processi di innovazione delle imprese consolidate

3.2 Sostenere nuove iniziative nelle fasi di avvio e promuovere la creazione di incubatori d'impresa

Città nodo di eccellenza della logistica 1 Potenziare e promuovere come sistema logistico integrato l'area veneziana veneziana

1.1 Coordinare le attività dei nodi logistici dell’area

1.2 Potenziare i nodi logistici esistenti 1.3 Valorizzare Porto Marghera come piattaforma logistica integrata

1.4 Favorire l’insediamento di imprese con operatività sulle merci che determinino valore aggiunto

2 Rendere efficace ed efficiente la mobilità delle merci

2.1 Potenziare l'utilizzo del vettore ferroviario in una logica di ottimizzazione delle potenzialità di tutte le modalità di trasporto

Politica non presente nella prima versione

2.2 Separare i flussi di merci e persone per garantire qualità urbana

Politica non presente nella prima versione

2.3 Innovare i processi gestionali del sistema con il massimo utilizzo delle nuove tecnologie tecnologie

2.4 Favorire processi di formazione di personale specializzato

Politica non presente nella prima versione

2.5 Garantire la security nei processi di movimentazione

Politica non presente nella prima versione

3 Rendere la città, e le sue diverse parti, accessibile e funzionale

3.1 Attuare gli interventi previsti dal Piano Urbano della Mobilità PUM

Questa politica ha sostituito la voce relativa alla riduzione dei danni dall’inquinamento.

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3.2 Valorizzare le potenzialità del sistema dei trasporti via acqua

3.3 Aumentare la capacità di trasporto Città della produzione materiale e dei servizi

1 Valorizzare la funzione economica di Porto Marghera, per la grande impresa nazionale e sovranazionale, per la logistica

1.1 Portare a realizzazione gli interventi previsti dall’Accordo di programma per la chimica di Porto Marghera

Politica non presente nella prima versione

1.2 Potenziare la presenza della grande impresa sostenibile e rafforzare le funzioni presenti

1.3 Favorire l’insediamento di nuove attività che valorizzino le vocazioni dell’area e le opportunità offerte dalla ricerca applicata

2 Derivare ricerca ed innovazione, di processo e di prodotto, dal risanamento ambientale del territorio comunale

2.1 Valorizzare i processi di risanamento relativi al Sito di interesse nazionale (Heikkila and Isett)

2.2 Valorizzare i processi di risanamento relativi alle altre parti del territorio comunale

Politica non presente nella prima versione

3 Ottimizzare la complessità del sistema produttivo metropolitano

3.1 Sostenere le condizioni per il mantenimento del vetro artistico a Murano

3.2 Potenziare la filiera delle attività legate all’economia del mare

3.3 Valorizzare le attività del settore aeronavale 3.4 Integrare le politiche economiche comunali con quanto previsto nei patti distrettuali

3.5 Valorizzare il tessuto produttivo diffuso (PMI, artigianato, terziario e commercio)

Politica non presente nella prima versione

3.6 Valorizzare la complessità e la valenza della manodopera locale come fattore di sviluppo

Politica non presente nella prima versione

3.7 Promuovere lo sviluppo delle attività agricole e la tutela del territorio rurale

Politica non presente nella prima versione

4 Aumentare e promuovere la competitività del sistema locale nei confronti dei mercati esteri

Strategia non presente nella prima versione

4.1 Promuovere la capacità competitiva del sistema produttivo locale

4.2 Sviluppo azioni di marketing territoriale ed urbano

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I materiali del Piano Comune di Venezia Riferimenti normativi del Governo Italiano e della comunità europea Doc. C Comune di Venezia (2002). "Venezia in cifre." Comune di Venezia (2005). Le linee strategiche dell'amministrazione comunale da progetto per la

città programmi di referato 2000-2005 Doc. COSES Governance Doc. D COSES (2001). Lecture on tourism in Venice Doc. 321.01 COSES (2001). Materiale per il Piano Startegico:Il sistema urbano territoriale, Il sistema degli

accessi e degli scambi materiali Doc. 316 COSES (2001). Università a Venezia Giugno 2001 Doc. 347 COSES (2002). Per una politica strategica del turismo culturale: ipotesi di sviluppo metropolitano

Giugno 2002 Doc. 420 COSES (2003). Definizione dei possibili scenari ipotizzati per il futuro di Venezia maggio 2003 Doc. L COSES (2003). Elementi per un sistema di monitoraggio ricognizione bibliografica Ottobre 2003 Doc.

517 COSES (2003). Il piano Strategico della città di Venezia e la carta dei diritti dell'Uomo nella città

aprile 2003 Doc. H COSES (2003). Il ranking di VE nello spazio europeo. Elementi per il suo posizionamento

competitivo Settembre 2003 Doc. 510 COSES (2003). Indagine sulla dimensione economica dell’offerta culturale a Venezia maggio 2003

Doc. COSES (2003). La carta delle trasformazioni urbane maggio 2003 Doc. N COSES (2003). La gestione del Piano Strategico maggio 2003 Doc. P Coses (2003). La governance urbana, obiettivo e strumento del processo di Piano STrategico

maggio 2003 Doc. M COSES (2003). Materiali per PS VE La struttura e le funzioni del sistema urbano veneziano. Linee di

tendenza Giugno 2001 Doc. 343 COSES (2003). Materiali per una istruttoria su: il sistema infrastrutturale dell'area veneziana

settembre 2002 Doc. F COSES (2003). Presentazione del sito internet del Piano Strategico maggio 2003 Doc. Q COSES (2003). Sviluppo di una matrice di impatto incrociato tra i fattori determinanti la strategia d

sviluppo del sistema locale: analisi complessiva dei risultati emersi dal I ciclo di incontri (dicembre 2002-giugno 2003) Luglio 2003 Doc. 504

COSES (2004). Elementi per un sistema di monitoraggio La stampa quotidiana come fonte Giugno 2004 Doc. 547.1

COSES (2004). Elementi per un sistema di monitoraggio Primo step di lavoro gennaio 2004 Doc. 527.1

COSES (2004). I risultati del progetto commissioni settembre 2004 Doc. 582 Piano Strategico Ricognizione e caratteristiche dei soggetti che concorrono a determinare il sistema

città Doc. B Piano Strategico (2002). La coerenza del processo di formazione del Piano Strategico con le azioni

per la città Metropolitana di Venezia febbraio 2002 Doc. 3 Piano Strategico (2002). La valorizzazione del sistema turismo: possibili linee di sviluppo maggio

2002 Doc. Piano Strategico (2002). Le caratteristiche del documento finale del piano strategico di Venezia:

natura, forme, iter di approvazione e contenuti settembre 2002 Doc. 7 Piano Strategico (2002). L'economia materiale dell'area veneziana: possibili linee di sviluppo 22

aprile 2002 Doc. 5b Piano Strategico (2002). Linee di indirizzo del Piano Strategico della città di Venezia gennaio 2002

Doc. 2b Piano Strategico (2002). Materiali per una istruttoria su: Regione Veneto Variane n.2 al Piano d'area

della LAguna e Area Veneziana (PALAV) denominato corridoio metropolitano Padova-Venezia Novembre 2002 Doc.

Piano Strategico (2002). Porto MArghera. La disponibilità di aree come fattore di sviluppo. maggio 2002 Doc. 4

Piano Strategico (2002). Scheda istruttoria per la verifica di fattibilità di un progetto per la certificazione ambientale e/o di qualità del sistema Venezia agosto 2002 Doc. 8

Piano Strategico (2002). Workshop per la discussione di una matrice di impatto incrociato tra i fattori determiannti la strategia di sviluppo locale. MAteriale istruttorio. 3 dicembre 2002 Doc. 7/b

Piano Strategico (2003). La governance locale. Riferimenti teorici e possibili ricadute operative aprile 2003 Doc. 15

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Piano Strategico (2003). Piano strategico di Venezia. Documento finale linee strategiche strategie politiche azioni maggio 2003 Doc. 16

Piano Strategico (2003). Piano strategico di Venezia Documento finale. Bozza gennaio 2003 Doc. 10 Piano Strategico (2003). Piano strategico di Venezia. Presentazione dei contenuti aprile 2003 Doc.

14 Piano Strategico (2003). Popolazione quotidiana e comunità: il caso di Venezia Gennaio 2003 Doc. 9 Piano Strategico (2003). Realizzazioen di una matrice di impatto incrociato tra i fattori determinanti la

strategia di sviluppo del sistema locale aprile 2003 Doc. 13 Piano Strategico (2003). Verbali incontri con interlocutori esterni in merito ai contenuti del doc. 7

aprile 2003 Doc. 11 Piano Strategico (2003). Verbali incontri con interlocutori esterni in merito ai contenuti del doc. 10:

Piano Strategico di VE aprile 2003 Doc. 12 Piano Strategico (2003). Workshop per la discussione e la realizzazione di una matrice di impatto

incrociato tra i fattori determinanti la strategia di sviluppo del sistema locale 20 giugno 2003 Doc. 17 b

Piano Strategico (2003). Workshop per la discussione e la realizzazione di una matrice di impatto incrociato tra i fattori determinanti la strategia di sviluppo del sistema locale. Materiale istruttorio. 20 giugno 2003 Doc. 17

Strategico., P. (2002). La valenza metropolitana del Piano Strategico per la città di venezia. Interviste ad interlocutori privilegiati. gennaio 2002 Doc. 1

Venezia, C. d. (2005). Valutazione e stima degli investimenti attivati e attivabili dalla realizzazione delle opere e delle attività previste dal Piano Strategico della Città di Venezia 21 gennaio 2005 Doc. 640

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Pianificazione strategica in Marocco: lo Schéma d’Organisation Fonctionnelle et d’Aménagement (Sofa) dell’Aire Metropolitaine Centrale Mustapha Azaitraoui∗

1. - Introduzione

Il dibattito sulla pianificazione strategica in Marocco è all’attenzione del dibattito nazionale**********************. Il concetto assume significati molteplici utilizzati in diversi campi di intervento sia in ambito urbano che in quello rurale e rinvia ad approcci utilizzati sia dai governi locali che da altri attori dello sviluppo. Viene fatto riferimento alla pianificazione strategica (PS) come strumento che «consente di valutare il modo in cui una società locale usa le proprie risorse a partire dai propri vantaggi comparativi di cui dispone e alla finalità che persegue tenuto conto dei mutamenti attesi nel proprio territorio» (Sedjari, 1997). Parlare di gestione territoriale, significa prendere atto dello stato del territorio in quanto organizzazione complessiva e associare alla gestione delle dinamiche locali la gestione strategica degli interventi pubblici. «Questa tecnica punta ad ottimizzare le decisioni collettive e a guidare la loro attuazion, alla scala del relativo territorio di riferimento, all’occorrenza della città, e costituisce, di conseguenza, un modo nuovo di concretizzare l’insieme delle politiche pubbliche in un progetto coerente. Questo significa che, lungi dall’essere semplicemente il risultato di una negoziazione puntuale di rapporti tra forze locali, una strategia comune è piuttosto un gioco complesso, a somma positiva, dove l’efficacia della coalizione messa in campo determina la prestazione di ogni partner» (Sedjari, 1997).

Dal punto di vista locale, la pianificazione strategica acquista importanza a partire da un «approccio complessivo della pianificazione basato innanzitutto sulla definizione di una visione chiara del futuro e successivamente sulla definizione di una strategia di sviluppo economico in termini di risorse, opportunità e rischi. Fa riferimento allo stesso modo all’esistenza di strutture organizzative, che sono caratterizzate da principi di partecipazione, di dialogo e di concertazione, ad un sistema di informazione e di comunicazione affidabile e capace di mobilitare le risorse locali, infine ad un sistema di monitoraggio continuo del rischio» (Harakat, 2002). La pianificazione strategica è uno strumento che permette la realizzazione di obiettivi di medio e lungo termine in coerenza con gli orientamenti del piano di sviluppo regionale e i programmi locali.

Fig. 1 - Obiettivi e meccanismi della pianificazione strategica delle collettività locali

Fonte : Harakat, 2005

∗ Dottore di ricerca, Università Ca’ Foscari, IUAV di Venezia e Università Mohamed V di Rabat. ********************** Il Haut Commissariat au Plan sta conducendo una riflessione seguendo un approccio di tipo strategico e partecipativo. Questo lavoro, noto come, Prospective Maroc 2030, mira a costruire possibili scenari da sottoporre al dibattito, per arrivare a identificare quello da seguire per la sua azione. L’esercizio è condotto attraverso diverse azioni, tra cui l’elaborazione di rapporti su diverse tematiche considerate strategiche per lo sviluppo del paese.

Visione e strategie per il futuro

Monitoraggio continuo dei rischi

Strutture organizzative e risorse umane

Sistema di funzionamento

Sistema di informazione e di comunicazione

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Per quanto riguarda la pianificazione territoriale «il sistema della pianificazione urbana in Marocco ha raggiunto i suoi limiti. Le trasformazioni rapide e profonde che conosce il paese sia a livello politico, economico e sociale, che a livello tecnologico, culturale e spaziale impongono la ricerca di nuovi approcci per la pianificazione, lo sviluppo e la gestione dello spazio» (El Malti, 2005).

La nozione di pianificazione strategica partecipativa (PSP) fa riferimento a «un processo che stimola una riflessione sulle esigenze attuali e future della popolazione, permettendo di prevedere e anticipare i cambiamenti. In questo senso, la PSP stimola la formulazione di una visione del futuro, l’identificazione di strategie adeguate per rispondere ai bisogni e alle aspettative della popolazione††††††††††††††††††††††». Questa visione di ordine generale intende offrire degli strumenti metodologici ai decisori locali. Nella maggior parte dei casi gli attori di sviluppo, innanzitutto i consigli comunali, aderiscono al concetto della pianificazione strategica come strumento per una programmazione finanziaria pluriennale, rispetto a quella adottata attualmente, annuale.

Dopo un dibattito a livello nazionale durato circa due anni, solo ora è stato avviato un lavoro di riforma delle politiche di pianificazione del territorio, con l’adozione di una Carta della pianificazione del territorio che definisce gli obiettivi, le priorità e i valori fondamentali che devono guidare le nuove politiche di sviluppo, stabilendo al tempo stesso la necessità di strumenti di pianificazione spaziale gerarchizzati. Il contenuto di tali strumenti si fa via via più preciso mano a mano che diminuisce la scala. In cima alla piramide sta lo Schéma National d'Aménagement du Territoire (SNAT), documento di indirizzo chiamato a formulare una visione coerente dello sviluppo territoriale in una prospettiva di lungo periodo‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡.

Lo SNAT propone alcuni orientamenti in un'ottica di coerenza dell'azione pubblica. Si compone di uno Schéma Directeur Général e di un insieme di schemi settoriali (turismo, industria, agricoltura, etc.), il cui valore dipende largamente dal grado di coerenza con gli altri strumenti elaborati dalle collettività locali. Secondo la visione della Direction de l’Aménagement du Territoire, lo SNAT si caratterizza prima di tutto per: - la natura del documento: si tratta di un documento di indirizzo che non si prefigge obiettivi

normativi. Propone un quadro di riferimento in modo che i responsabili settoriali e territoriali possano ipotizzare le proprie azioni in termini di coerenza nazionale, rapportando le proprie riflessioni ad una visione d’insieme;

- la scala: il documento si colloca a scala nazionale e per questo prende in considerazione esclusivamente gli elementi di interesse nazionale, non individuando risposte a scala locale;

- il termine: la riflessione si appoggia sulla situazione esistente, letta però in funzione delle strategie future

- il tema è il territorio. Lo Schéma non ha né l'intenzione né la pretesa di risolvere problemi di carattere settoriale di competenza di altri ministeri.

Secondo questa visione, lo SNAT consiste nel portare avanti un obiettivo di coerenza che

deve intervenire a monte, presentando a tutti gli attori, ministeriali o regionali, il quadro degli obiettivi nel quale è auspicabile che si inscrivano i loro interventi. E’ inoltre centrato sulla nozione di funzione che esprime il concetto più ampio di approccio urbano per lo sviluppo del territorio. L’obiettivo principale dello SNAT in particolare è fissare un quadro per l’approccio funzionale delle principali città. E’ per questo che, parallelamente, è stato elaborato lo Schéma d’Organisation Fonctionnelle et d’Aménagement (SOFA), con lo scopo di analizzare le principali interconnessioni spaziali esistenti a livello funzionale, nella prospettiva della crescita dell grandi agglomerazioni del paese.

Il SOFA è un documento di indirizzo destinato ad essere utilizzato come quadro di elaborazione dei piani urbanistici e di supporto alla concertazione con tutti gli attori coinvolti. Questi due aspetti sono strettamente legati e toccano un punto essenziale che riguarda la gestione democratica dell’urbanizzazione. Le grandi città costituiscono il supporto principale del

†††††††††††††††††††††† Research Triangle Institute, Planification Stratégique Participative et Budgétisation Pluriannuelle des Investissements : guide pratique de la planification stratégique participative dans les Collectivités locales, USAID, Royaume du Maroc Ministère de l’Intérieur Direction Générale des Collectivités Locales Rabat, mai 2004. Si tratta di un manuale elaborato in primo luogo per i rappresentanti dei Conseils des Collectivités Locales. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ Si tratta allo stesso modo dello Schéma de Directeur d’Aménagement Rural (SDAR) destinato ad essere applicato al livello regionale, e dello Schéma de Directeur d’Aménagement Urbain (SDAU) applicabile a livello subregionale o locale. Questi strumenti di pianificazione spaziale devono teorizzare e globalizzare le azioni di pianificazione nello spazio e nel tempo in modo che la città sia integrata alla regione, e la regione all'insieme nazionale con tutti i risvolti economici e istituzionali che implica una politica volontaristica di pianificazione del territorio.

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decentramento e devono essere sottoposte alla responsabilità delle autorità comunali; allo stesso tempo costituiscono dei luoghi di interesse nazionale. E’ quindi importante che si instauri una concertazione profonda tra istanze nazionali e istanze locali riguardanti il futuro delle città, in primo luogo quelle di maggiori dimensione, il loro ruolo e le modalità di crescita, ancor prima della riflessione urbanistica propriamente detta. Il SOFA è quindi un documento di inquadramento in un duplice senso del termine: fissa gli orientamenti generali e traduce il consenso tra lo Stato e la città su questi indirizzi. In questa prospettiva l’Aire Métropolitaine Centrale (AMC), cioè l’area si estende da Al Jadida a sud, e Kénitra a nord, includendo Casablanca e Rabat-Salé, è l’obiettivo di un duplice sforzo: recuperare il ritardo accumulato in materia di infrastrutture e favorire la crescita economica per ottenere l’obiettivo di un’accelerazione della crescita del Pil dal 3% al 5%.

Il contenuto e le proposte presentate qui di seguito sono formulate in alcuni rapporti che hanno come oggetto il SOFA e sono destinati ad aprire un dibattito sulle modalità della sua realizzazione. Sono state costruite per permettere ai decisori di valutare le conseguenze e le logiche delle decisioni da prendere. Obiettivo della ricerca è stato esaminare il senso che la Pianificazione Strategica in Marocco sembra assumere sui temi territoriali attraverso l’analisi del SOFA dell’Area Metropolitana Centrale. Per ogni obiettivo scientifico, la scelta di metodo si determina in funzione della problematica, degli obiettivi individuati e dell’intuizione rispetto a cui il fenomeno è oggetto di studio. Nel caso presente, la problematica è il ruolo della pianificazione strategica nello sviluppo del territorio. La finalità è determinare gli obiettivi e i grandi indirizzi di elaborazione del SOFA in quanto strumento di pianificazione. In quest’ottica, sono state esaminate le principali proposte di intervento dello Schéma, le fasi di realizzazione e gli attori coinvolti, ponendole a confronto con gli strumenti di cui dispone il sistema della pianificazione strategica, i limiti e i ruoli degli attori che partecipano al processo di pianificazione, e le prospettive di fattibilità degli interventi.

Nella prima parte vengo richiamati alcuni elementi di riferimento necessari ad affrontare la questione della pianificazione strategica in Marocco. Successivamente, viene presentato il sistema urbano nazionale e l’evoluzione dell’AMC. Nell’ultima parte lo studio si concentra sui due poli principali dell’AMC: Casablanca e Rabat.

Lo studio si è basato sulla documentazione disponibile, ancora piuttosto limitata. Si è dunque proceduto anche con interviste a diversi testimoni privilegiati. Per quanto riguarda gli elementi quantitativi, le fonti principali sono stati i rapporti della Direction de l'Aménagement du Territoire (DAT)§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ e uno studio realizzato per l’ispettorato regionale della pianificazione del territorio***********************.

2. - La pianificazione del territorio in Marocco

Durante il periodo del Protettorato francese (1912-1954) il primo Résident Général, il maresciallo Lyautey, portò avanti come ben noto una straordinaria politica urbanistica. Lyautey considerava che in una città dove veniva realizzato un vero “ordine urbano”, in termini di pianificazione fisica e ambientale, di igiene e di risanamento, anche l’ordine sociale era assicurato (Naciri, 2000). Tutti i nuovi agglomerato urbani dovevano essere concepiti sulla base dei principi urbanistici imposti dal Maresciallo Lyautey (Bennani, 2005), che si imperniavano principalmente su: - la separazione tra la città antica (la medina) e la nuova città (la ville européenne); - la creazione, all’esterno della medina, di una zona non edificata, per scopi militari e di

igiene per la popolazione europea; - la suddivisione della nuova città in quartieri funzionalmente differenziati (zoning)

L’istituzione del Protettorato ha avuto conseguenze profonde sulla società marocchina,

determinando la rottura di un equilibrio secolare tra popolazione, insediamenti e uso delle risorse naturali. Le campagne conobbero un improvviso squilibrio, che è all’origine del grande esodo migratorio e della conseguente rapida crescita urbana, con il conseguente incrinarsi

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Etude du schéma d'organisation fonctionnelle et d'aménagement de l'aire métropolitaine centrale casablanca-Rabat : SOFA, Direction de l'Aménagement du Territoire, 2004, 2005, 2007. *********************** A. Kaioua, J.L Piermay, 2007, Communication : Dynamique des concentrations économiques métropolitaines, la mise en cohérence de l'aire métropolitaine centrale, clef de la mutation du Maroc. Séminaire "Recompositions socio-économiques face aux défis de la mondialisation, Approche comparative Maroc-Mexique", Rabat, Maroc, 12-14 décembre.

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dell’efficace ma fragile equilibrio economico e sociale che si era determinato tra la medina, la città intra muros. L’esplosione demografica urbana fu tale che la densificazione delle medine, pur estremamente consistente, non riuscì a soddisfare la domanda di nuovi alloggi con l’inevitabile nascita di nuovi quartieri sempre più lontani, l’apparizione di un numero elevato di quartieri poveri e di bidonville, unica alternativa alla medina per gli immigrati poveri delle campagne. Ancora nel 1960, meno di un terzo della popolazione era urbana: oggi più della metà dei marocchini abita n città†††††††††††††††††††††††.

Tab. 1 - Popolazione urbana e rurale

Popolazione Crescita totale

Tasso di urbanizzazione

Urbana Rurale Totale

1960 3 389 613 8 236 857 11 626 470 - 29,2

1982 8 730 339 11 689 156 20 419 555 5 040 296 42,8

2004 16 463 634 13 428 074 29 891 708 3 817 991 55,1

Fonte: HCP, RGPH 1960, 1982, 2004

Le città con più di un milione di abitanti sono tre: Casablanca, Rabat-Salé et Fès, mentre una dozzina sono quelle con più di 100.000 abitanti tra le quali le capitali regionali Marrakech (870 000), Meknès (500 000), Tangeri (500 000), Agadir (500 000) et Oujda (260 000). Vi sono poi alcune città di medie dimensioni che gravitano attorno ai grandi centri e una quarantina di piccole città, oltre a numerosi centri locali.

Circa 7 milioni di abitanti sono concentrati sull’asse che si estende tra Kénitra a Casablanca per circa 150 km di lunghezza e una larghezza compresa tra i 10 e i 30 km. Si tratta di una vera conurbazione sul litorale dominata da Casablanca (2.800.000 abitanti) ma dove Rabat, capitale politica, raggiunge comunque un milione di abitanti.

La maggior parte dei centri urbani è oggetto di un insieme di fenomeni che hanno portato a riconoscere l’esistenza di una vera crisi urbana, più o meno grave in rapporto ai contesti. Il rapporto 50 ans de développement humain, 2005, ha messo in luce le condizioni di grave difficoltà in cui si trovano oggi le città marocchine a causa della mancanza di infrastrutture e servizi adeguati, della debolezza del tessuto economico, delle condizioni ambientali e, più in generale, della qualità della vita. Di conseguenza sono diventate luoghi di marcata esclusione e marginalizzazione economica e sociale. La sola politica urbana praticata è quella dell’«emergenza», senza una visione coerente dalla quale sono esclusi di fatto il ruolo e la responsabilità dei residenti, della collettività, della società civile o degli operatori economici (pubblici o privati)‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡.

La riflessione sulla crisi urbana ha spesso attribuito una grande rilevanza ai fattori economici, sociali e urbani in quanto elementi esplicativi della disfunzionalità della crescita urbana nei paesi in via di sviluppo. La gestione urbana è attraversata da variabili di natura molto diversa: transizione demografica ma forte crescita urbana; urbanizzazione in grado di generare degli effetti di agglomerazione positivi (metropolizzazione) ma con anche forti esternalità negative (inquinamento di diversa natura), decentramento e difficoltà dei poteri locali; trasferimento di competenze e responsabilità in mancanza di adeguate risorse; strategie articolate della molteplicità di attori locali ma incertezza rispetto alle modalità di legittimazione, di concertazione e di regolazione; disinteresse dello Stato ma necessità di preservare la coesione nazionale.

3. - Lo Schéma d’Organisation Fonctionnelle et d’Aménagement e la pianificazione strategica

††††††††††††††††††††††† La popolazione del Marocco, stimata all’inizio del ventesimo secolo in 5 milioni di abitanti, secondo l’ultimo censimento del 2003 è di 30 milioni. ‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡‡ M. El Malti, 2005, L’urbanisme et la question de la ville, in 50 ans de développement humain et perspectives pour 2025., www.rdh50.ma

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Il SOFA elaborato dalla Direction de l'Aménagement du Territoire (DAT) è considerato un nuovo tipo di documento di indirizzo, definito attraverso lo Schéma National d’Aménagement du Territoire (SNAT). Il SOFA risponde ad una necessità evidente nella situazione attuale del paese, quella di assicurare una relazione coerente tra la pianificazione del territorio e le metropoli che ne costituiscono i punti forti. E’ un documento di pianificazione applicato ad una regione urbana: non si tratta quindi di uno Schéma Régional relativo a una delle regioni amministrative, ancora meno di uno Schéma d’Urbanisme legato ad un’altra logica e con altre finalità.

L’Area Métropolitana Centrale comprende cinque regioni amministrative, ma lo Schéma d’Organisation riguarda solo gli ambiti interessanti dalle problematiche metropolitane. Pertanto, il SOFA non è concepito come un documento normativo ma come uno schema di indirizzo; non impone niente, ma propone una logica di sviluppo che tenta di affrontare i problemi immediati collocandoli in una prospettiva di medio e di lungo termine.

Per quanto riguarda i problemi immediati, si tratta soprattutto di un’analisi della situazione esistente in termini di urbanizzazione, infrastrutture e risorse naturali. La parte relativa al medio termine è la più importante dal punto di vista della pianificazione, in quanto individua le questioni legate alla funzionalità del territorio, le prospettive della crescita urbana e il tipo di infrastrutture necessarie, ad esclusione delle infrastrutture portuali, aeroportuali e ai grandi assi di comunicazione, considerate questioni del lungo periodo, insieme al tema delle aree da destinare all’urbanizzazione e i futura.

La scelta di predisporre un SOFA per l’area metropolitana centrale (la bipolarità Casablanca-Rabat e la sua zona di espansione Kénitra-Khemisset-Settat-Al Jadida), è legata al peso che l’area esercita sull’insieme del territorio nazionale: Casablanca per l’economia e la finanza e Rabat per le attività amministrative. Infatti, quest’area che corrisponde allo spazio propriamente metropolitano, dovrà essere concepita allo stesso tempo come la base economica principale del paese, aperta sul mondo, e come il cuore di tutti i sistemi di relazione nazionali.

«Questa regione urbana è una vera conurbazione in divenire. Ciò significa che ben oltre ad un corridoio urbano si è in presenza di città limitrofe interrelate all’interno di un sistema gerarchico, ognuna con funzioni specifiche legate al nodo principale, Casablanca. Nei prossimi anni si parlerà della «conurbazione di Casablanca», un territorio urbanizzato in cui la bipolarità Casablanca-Rabat continuerà comunque a esistere e dove la città-capitale conserverà la sua singolarità. Alle città secondarie che già oggi completano il sistema come Kénitra et Témara, si stanno aggiungendo nella specializzazione funzionale da El Jadida e Jorf Lasfar a sud-ovest, e da Berrechid e Benslimane nell’entroterra» (Kaioua, Troin, 2002).

L'Aire Métropolitaine Centrale si estende su più di 230 km lungo il litorale, con dei prolungamenti di più di 80 km verso l’interno. Nell’area si concentra il 20% della popolazione del paese e più del 50% del Pil.

Tab 2 - Popolazione nell’AMC e nel resto del Marocco

Popolazione in migliaia

Tasso di crescita 1994-2004

% popolazione nazionale

Grand Casablanca Urbana 3 219 0,93 10,8

Rabat - Salé - Temara area urbana 1 692 1,93 5,7

Città da 50.000 a 500.000 900 2,50 3,0

Città con > 50.000 219 1,60 0,7

Ambito rurale 1 405 3,16 4,7

Totale territorio SOFA 7 435 1,73 24,8

Fonte: DAT, Rabat. Tra Casablanca e Rabat-Salé, le due città gemelle situate alla foce del Bouregreg all’incirca

della stessa dimensione, vi sono forti elementi di complementarità, a partire dal fatto che Rabat-Salé non dispone né di un porto né di un grande aeroporto. Ognuna delle due città deve far fronte a condizioni sociali assai problematiche per buona parte della popolazione, nel caso di Rabat concentrati principalmente nella sua città “gemella” Salé. Inoltre, i due sistemi conoscono un’urbanizzazione periferica diffusa, tradizionale, a Casablanca tendenzialmente in direzione di Mohammedia e di Rabat, a Rabat piuttosto verso Temara—Skhirat e Csablanca (Kioua. Piermay, 2007).

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Il continuum urbano di 80 km che si sta producendo rappresenta un’opportunità da valorizzare. Un mercato già oggi di 7 milioni di abitanti, ma di dieci e più nell’arco di pochi anni, costituisce di per sé un elemento di attrazione notevole. Un mercato del lavoro potenziale di diversi milioni di lavoratori attivi, una piattaforma di primo piano per l’occupazione, a condizione ovviamente che funzioni correttamente. Oggi tuttavia le potenzialità di questa risorsa sono valorizzate in misura insufficiente a causa di alcuni deficit urbani che incidono negativamente anche sulla crescita economica nazionale.

All’interno dell’AMC si pongono tre grandi problemi: i modi dell’urbanizzazione, la pressione demografica e la scarsa competitività.

1. Una delle osservazioni essenziali che emerge dallo studio di quest’area, è che essa non

costituisce ancora un sistema urbano in grado di beneficiare davvero delle economie di scala suscettibili di accelerare la sua crescita economica e di farne una concorrente delle grandi regioni urbane del Mediterraneo. All’interno della regione, da Kénitra a Jorf Lasfar, le città sono indipendenti le une dalle altre, non sono ancora collegate da un sistema di relazioni denso, fondato su una rete e dei sistemi di trasporto efficienti. Le interdipendenze economiche sono ancora deboli. A parte la complementarità evidente tra le funzioni del potere politico e amministrativo di Rabat e tutte le funzioni economiche concentrate a Casablanca, ci sono pochi scambi tra imprese. Le filiere industriali sono limitate e incomplete e molte imprese (subappalto o componenti industriali) operano spesso direttamente con l’estero. Non ci sono pertanto molti effetti cumulativi e le attività regionali, pur essendo le più dinamiche del Marocco, sostengono con difficoltà la competizione sul piano internazionale.

2. Nonostante le cifre dimostrino che i tassi di crescita delle grandi città risultano, da qualche anno, più deboli rispetto a quelle della città medie, e altri segnali indichino che il Marocco stia per entrare nella fase di «transizione demografica», la domanda di occupazione e di alloggi continuerà a crescere rapidamente, tenuto conto dei ritardi accumulati da alcuni decenni. Da una parte la popolazione rurale continua a essere molto numerosa mentre il lavoro nelle campagne è insufficiente, per cui uno spostamento verso altri settori, e dunque in primo luogo verso le città, in particolare le città di maggiori dimensioni, è inevitabile. Solo una crescita delle attività extra-agricole nelle città minori potrebbe frenare questo spostamento, cosa immaginabile forse nel medio periodo, difficile nell’immediato.

3. Nell’AMC la crescita demografica supera nettamente la crescita delle attività economiche§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§. I tassi di disoccupazione, di gran lunga superiori a quelli dell’intero Marocco, testimoniano questa differenza. Inoltre le imprese dell’area************************, dovranno affrontare in pochi anni una nuova situazione concorrenziale, in cui saranno direttamente messe a confronto con il mercato internazionale.

Il SOFA ha avuto una prima fase di impostazione e due fasi di elaborazione, terminate con

la predisposizione di due rapporti, nel marzo 2005 e nel giugno 2007. Durante la fase di impostazione sono stati affrontati sei grandi ambiti tematici:

1. Orientamento e inquadramento generale dello studio: Questa parte corrisponde alla definizione delle problematiche principali al fine di rispondere a due questioni fondamentali: perchè l’Aire Métropolitaine Centrale, e perchè uno schema di organizzazione funzionale;

2. Metodologia: il percorso metodologico proposto per la realizzazione dello studio ha come obiettivo definire il metodo di interazione fisico-finanziario e precisarne il percorso logico;

3. Organizzazione e contenuto della mission: definizione dei principali settori di indagine dello studio: popolazione, condizioni insediative, imposizione fondiaria, attività, occupazione , trasporti, aspetti finanziari;

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§ Alle due estremità dell'Aire Centrale Métropolitaine, El Jadida e Kénitra occupano una posizione apparentemente simmetrica e le rispettive regioni sembrano organizzarsi in maniera simile. In entrambi i casi, una città portuale in forte crescita demografica è circondata da comuni rurali, anche loro, in crescita. Ma il paragone termina qui, in quanto la funzione portuale di Kénitra è obsoleta, mentre El Jadida beneficia dell’insediamento del nuovo porto di Jorf-Lasfar i cui effetti economici si ripercuotono sui comuni circostanti. A partire dal 1994El Jadida ha guadagnato circa 20.000 di abitanti con un tasso di crescita superiore al 3% annuo. ************************ L’attività prevalente è quella di tipo manifatturiero, con il 25% di occupazione. Vengono successivamente il commercio e l’amministrazione pubblica che rappresentano ciascuno il 20% circa dell’occupazione, i servizi (12%) e il settore delle costruzioni (6%). Come si è menzionato, il profilo di Casablanca (industria: 34%, servizi: 56%)differisce notevolmente da quello di Rabat in cui la pubblica amministrazioni rappresenta più di due terzi dell’occupazione (industria: 18%, servizi: 65%).

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4. L’area di studio: delimitazione preliminare dell’area del SOFA che comprende l’insieme urbano di Kénitra-Rabat, il Grand Casablanca, l’insieme urbano di El Jadida e le estensioni continentali: Khemisset-Tiflet, Aïn El Aouda et Berrechid-Settat;

5. Primo inquadramento socio-economico: contestualizzazione preliminare dell’AMC nel suo ambito geografico, economico e sociale attraverso la produzione di una serie di carte tematiche;

6. Immagine satellitare: al fine di disporre di una cartografia aggiornata dell’area.

Fig. 2 – La struttura territoriale del SOFA

Fonte: DAT, Rabat.

Le analisi nella prima fase del lavoro hanno messo in evidenza l’esistenza di una regione

urbana composta da un doppio sistema: i due poli principali, costituiti dalle due capitali e l’insieme dei centri che li circondano, e l’asse urbanizzato che si estende da El Jadida a Kénitra, passando per Khemisset e Settat – regione ancora virtuale ma che costituisce l’occasione principale per lo sviluppo futuro del paese.

Lo SNAT aveva messo in evidenza come Casablanca, che costituisce il polo trainante dell’economia nazionale, non gioca questo ruolo a causa di alcuni ostacoli di ordine specificamente territoriale, che vanno dunque superati. per consentirle di accedere allo stato di metropoli internazionale competitiva. Per questo lo SNAT ha proposto come priorità l’elaborazione di uno Schéma d’Organisation Fonctionnelle et d’Aménagement per (SOFA). L’idea è che se si vuole comprendere la problematica di fondo di una realtà delle dimensioni di Casablanca, non ci si può limitare alla scala urbana ma occorre fare riferimento alla scala regionale affrontando le questioni a partire dalle funzioni e non attraverso una prospettiva semplicemente urbanistica.

E’ per questo che la regione cui fa riferimento il SOFA non è né la regione amministrativa né la regione geografica tradizionale; si tratta di una regione urbana definita da strategie complesse di relazioni spaziali che avvengono intorno alle metropoli. Il paradigma di questo approccio è chiaramente economico; riguarda l’efficacia della « macchina » urbana in quanto strumento di produzione. La questione centrale riguarda il ruolo che l’AMC deve svolgere nello

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sviluppo nazionale, a partire dall’idea che lo sviluppo economico è la condizione necessaria per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e che un funzionamento non efficiente della « macchina »urbana è all’origine delle difficoltà di esistenza della maggior parte della popolazione.

Nel luglio 2007 si è conclusa l’ultima fase del lavoro con la presentazione del Rapporto finale che contiene gli orientamenti generali, lo schema di sviluppo e il programma di azione. Il Rapporto identifica quattro condizioni per concepire il SOFA in un’ottica progettuale: - la necessità di collocarsi all’interno delle procedure finanziarie dello Stato e degli investitori - la necessità di tenere conto della situazione istituzionale del paese e delle condizioni del

territorio, associando alle scelte i rappresentanti delle popolazioni interessate, per delle ragioni di democrazia e più ancora di efficienza;

- sul piano della governance : occorre inserirsi in una procedura contrattuale che coinvolga tutti gli attori interessati medianti accordi, che formalizzino un impegno pluriennali e che traducano il progetto in termini tecnici;

- sul piano operativo infine, occorre definire gli strumenti indispensabili per la sua realizzazione, sia a livello di governo centrale che a livello regionale.