Periodico di educazione cristiana n. 1, gennaio, febbraio ... · il volto di un generico...

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Periodico di educazione cristiana n. 1, gennaio, febbraio, marzo 2016 - Anno CX - Poste Italiane spa - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA

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A cura delle«Piccole Suore della Sacra Famiglia»gennaio, febbraio, marzon. 1 - 2016 Anno CX - Trimestrale

Direttore responsabile:Sr. Maria Angelica Cavallon

Direzione e Amministrazione:Istituto Piccole Suoredella Sacra Famiglia37010 Castelletto di Brenzone (VR)

Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2,DCB VERONAAutorizzazione Tribunaledi Verona n. 29, 8 febbraio 1960

COMITATO DI REDAZIONE:37138 VeronaVia G. Nascimbeni, 10www.pssf.it - e-mail: [email protected]. Maria Angelica Cavallon,Sr. Maria Romana Bombo,Sr. Umberta Maria Bettega

COLLABORATORI:Andrea Cornale, Anna Pia Viola, Giulio Biondi,Michela Faccioli, Italo Forieri, Katia Scabello Garbin, Maria Laura Rosi, Suor Erica Benetton.

Iva assolta dall’Editoreex art. 74 D.P.R. 633/72

La pubblicazione è curatada Editoriale Della Scala - Povegliano Veronese

Stampa: Mani Grafiche sncVia C. A. Dalla Chiesa, 3 - 37060 Mozzecane (VR)Tel. 045 7930906

I di copertina: Il Risorto, di Federico Castellani - GIBO - 2003, abside Cappella dell’Ascolto, Centro di spiritualità e cultura - Piccole Suore S. Famiglia - Castelletto del Garda (VR)

IV di copertina: Tramonto verso l’aurora, Castelletto del Garda (VR), con uscita “Scuole Sacra Famiglia”, gennaio 2016

LETTERA DELLA MADRE1 Accogliamo l’altro come fratello2 Misericordia è… preghiera e rispetto

FORMAZIONE3 Che cosa cerchiamo?4 Intreccio tra ambiente e volti5 Il desiderio della contemplazione di Dio6 Programma degli incontri 2016 aperti a TUTTI!7 Sguardi

LETTERATURA8 Una scelta difficile

SCUOLA E VITA10 Chi sono gli altri per noi?11 Educare alla misericordia12 Piccole Suore della S. Famiglia Costituzioni e Regola

BIBLIOTECA13 Ma c’è sempre l’arcobaleno

SPIRITUALITÀ CONDIVISA15 La misericordia il vero volto di Dio16 Gesù il volto della misericordia17 Proposta per un corso di iconografia

MAGISTERO18 Lettera ai giovani di Papa Francesco

VITA DELLE PSSF19 “Che cercate?... Venite e vedrete” (Gv 1,38-39)20 “Cercate il Signore ..., cercate sempre il suo volto”. (Sl 105,4)22 con frate Francesco

VOCE GIOVANI23 Verso la GMG 201623 L’Anno speciale24 Un’“ICONA” di Nino Mezzaro

CARISMA25 “Il tempo è compiuto”

CEI - ORIENTAMENTI PASTORALI26 Gesù mostra il volto educatore del

Padre

TESTIMONIANZE27 Perché... perché?28 Riconoscere e vivere la Bontà29 In attesa dell’alba

LE PSSF IN MISSIONE30 Dal Togo32 La famiglia: radici e ali della speranza

IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA34 Giubileo della misericordia: Da Bangui e Roma a tutto il Mondo 35 Roma piazza San Pietro37 Tombola a Rebibbia37 Sono entrate nella pienezza della

vita38 “Sempre manovali, mai capomastri”

FAME E SETE DI GIUSTIZIA40 Coraggio: operiamo insieme

Che cosa cerchiamo da un medico?

Sommario n. 1/2016

Ricordiamo ai gentili Lettori il rinnovo dell’abbonamento per il 2016:

per amici e sostenitori € 20,00normale per l’Italia € 15,00per l’estero € 20,00

pagamento con Banco PostaIBAN: IT 23 U 07601 11700 000014875371oppure sul c/c postale n. 14875371

intestato a:Istituto Piccole Suoredella S. Famiglia,via Nascimbeni, 637010 Castelletto (VR)

specificando per abb. NAZARETH 2016

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L’Anno da poco iniziato è quello che papa Francesco ha voluto dedicare al Giubileo della misericordia. Il significato del termi-

ne “misericordia” è ricco e complesso ma potrem-mo sintetizzarlo così: “un cuore toccato dalla mi-seria altrui”. Il primo a lasciarsi commuovere dalla miseria umana è Dio, che si manifesta a Israele come il liberatore e manda il Figlio nel mondo per comunicare il suo amore all’umanità. La mi-sericordia sarà il filo conduttore delle riflessioni di quest’anno, e ci permetterà di sviluppare alcune considerazioni sulla vita dell’uomo di oggi, i suoi desideri, la sua ricerca, le sue relazioni.Partiamo da un dato di fatto: la crisi che inve-ste la società occidentale non è principalmente economico-finanziaria, ma etico-antropologica. Nonostante lo straordinario sviluppo tecnico-scientifico, inimmaginabile fino a pochi anni fa, l’uomo contemporaneo continua a percepire nel cuore un vuoto, una mancanza, un’inquietudine che rimane insoddisfatta. Che cosa cerca? Il mercato globale e la pubblicità rispondono alla sete dell’uomo proponendo oggetti, prodot-ti sempre più sofisticati che però non riempio-no la vita né le donano senso. Il consumismo spinge verso l’accumulo di beni materiali, in una corsa sfrenata che dovrebbe anestetizzare la coscienza, e invece non riesce a spegnere il desiderio di infinito. L’inquietudine segnala l’i-dentità più profonda dell’uomo, che non basta a se stesso, anela all’altro e all’Altro, ad una ecce-denza che non può darsi da solo. Ma dove incontriamo l’altro? Innanzitutto nel vol-to, la prima realtà che ci mette a contatto con chi è diverso da noi. E il volto obbliga ad una scelta: o il mio “io” oppure la responsabilità e la cura verso colui che mi sta di fronte. Il volto mi ricorda che l’altro mi fa esistere, io sono suo dono, e non posso vivere senza relazioni. Il corpo dell’altro, la sua presenza mi chiama a uscire da me stes-so. Ha scritto papa Francesco: “il Vangelo ci in-vita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che

interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a cor-po. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione del-la tenerezza” (Evangelii gaudium, 88). L’incontro con l’altro non è mai semplice, per-ché è incontro con il diverso da me, e perciò non è solo fonte di gioia e stupore, ma anche di conflitto e dolore. È vero, l’altro mi scomo-da, perché con la sua esistenza mi ricorda che non sono autosufficiente. Eppure senza l’altro non mi conosco e la mia vita non si compie. Nessuno infatti può vivere senza affezionarsi a qualcuno, senza desiderare di donare la vita a un’altra persona, perché siamo fatti per amare.Come cristiani abbiamo però una consapevo-lezza in più: “l’altro” è innanzitutto un fratello e una sorella, perché figlio dello stesso Padre. Se il volto di un generico “altro” viene riconosciuto come un “tu”, allora la nostra esistenza diventa più umana e c’è spazio per la misericordia e la tenerezza. Cura e tenerezza possono salvare l’uo-mo dalla disumanità nella quale è tentato di ca-dere ogni volta che rifiuta il suo essere creatura. Il superamento dell’individualismo e la disponi-bilità a uscire da sé sono la base di un nuovo stile di vita, capace di una custodia responsabile sia del prossimo che del creato. Leggiamo nell’enci-

In Cristo, volto della misericordia del Padre

AccogliAmo l’altro

come fRATEllo

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clica “Laudato sì”: “L’atteggiamento fondamenta-le di auto-trascendersi, infrangendo la coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che ren-de possibile ogni cura per gli altri e per l’ambien-te, e fa scaturire la reazione morale di considera-re l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale al di fuori di sé” (n. 208).L’apertura al volto del fratello è possibile nella misura in cui riconosciamo in Cristo il volto del-la misericordia del Padre. Gesù, nella sua vita terrena, si lascia incontrare da lebbrosi, inde-moniati, prostitute, pubblici peccatori, gente so-cialmente emarginata bisognosa di salute fisica, perdono e riscatto morale. Gesù ascolta, acco-glie, guarisce nel corpo e risana nello spirito. La buona notizia del vangelo è che la nostra vita

spesso disorientata, disordinata e ferita viene accolta, condivisa e riscattata da Dio. In Cristo riconosciamo che Dio è amore eccedente ogni misura, e ci chiama a coltivare la nostra umani-tà, ad amare la vita, a riconoscerci figli e figlie del Padre celeste, fratelli e sorelle tra noi. Così, nella persona di Gesù, si realizza l’incontro tra l’umanità bisognosa e la misericordia divina. Radicati nella certezza che la pienezza della vita nata dal Risorto è in noi, nulla può sorprenderci, poiché viviamo nel continuo e sempre nuovo stu-pore di coloro che sanno di essere “salvati”. A tut-ti i lettori auguriamo di essere testimoni della mi-sericordia di Dio in Cristo risorto. Buona Pasqua!

Suor Angela Merici PattaroSuperiora generale

Un giovane era seduto da solo nell’auto-bus; teneva lo sguardo fisso fuori del fi-nestrino. Aveva poco più di vent’anni ed

era di bell’aspetto, con un viso dai lineamenti de-licati. Una donna si sedette accanto a lui. Dopo avere scambiato qualche chiacchiera a proposito del tempo, caldo e primaverile, il giovane disse, inaspettatamente: «Sono stato in prigione per due anni. Sono uscito questa mattina e sto tornan-do a casa». Le parole gli uscivano come un fiu-me in piena mentre le raccontava di come fosse cresciuto in una famiglia povera ma onesta e di come la sua attività criminale avesse procurato ai suoi cari vergogna e dolore. In quei due anni non aveva più avuto notizie di loro. Sapeva che i genitori erano troppo poveri per affrontare il viaggio fino al carcere dov’era detenuto e che si sentivano troppo ignoranti per scrivergli. Da parte sua, aveva smesso di spedire lettere per-ché non riceveva risposta. Tre settimane prima di essere rimesso in libertà, aveva fatto un ultimo, disperato tentativo di mettersi in contatto con il padre e la madre. Aveva chiesto scusa per aver-li delusi, implorandone il perdono. Dopo essere stato rilasciato, era salito su quell’autobus che lo avrebbe riportato nella sua città e che passava proprio davanti al giardino della casa dove era cresciuto e dove i suoi genitori continuavano ad abitare. Nella sua lettera aveva scritto che avreb-be compreso le loro ragioni. Per rendere le cose più semplici, aveva chiesto loro di dargli un se-

gnale che potesse essere visto dall’autobus. Se lo avevano perdonato e lo volevano accogliere di nuovo in casa, avrebbero legato un nastro bian-co al vecchio melo in giardino. Se il segnale non ci fosse stato, lui sarebbe rimasto sull’autobus e avrebbe lasciato la città, uscendo per sempre dal-la loro vita. Mentre l’automezzo si avvicinava alla sua via, il giovane diventava sempre più nervo-so, al punto di aver paura a guardare fuori del finestrino, perché era sicuro che non ci sarebbe stato nessun fiocco. Dopo aver ascoltato la sua storia, la donna si limitò a chiedergli: «Cambia posto con me. Guarderò io fuori del finestrino». L’autobus procedette ancora per qualche isolato e a un certo punto la donna vide l’albero. Toccò con gentilezza la spalla del giovane e, trattenen-do le lacrime, mormorò: «Guarda! Guarda! Hanno coperto tutto l’albero di nastri bianchi».

Bruno Ferrero(Tratto da: La vita è tutto quello che abbiamo -

Piccole storie per l’anima - Ed. Elledici)

Misericordia è… preghiera e rispetto

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Cosa cerchi? Bella domanda! Forse è LA do-manda essenziale e profonda che nasce nel momento in cui ci fermiamo a conside-

rare il senso di ciò che facciamo. Fino a quando siamo in corsa, protesi a raggiungere un traguar-do che ci siamo prefissati, ogni nostra attenzione è volta ad ottenere il successo dell’impresa. Vuoi lo studio e il lavoro poi, una relazione affettiva piuttosto che un’esperienza spirituale, insomma tutto quello per cui viviamo e impieghiamo tanta fatica, acquista il suo reale valore nel momento in cui ci poniamo la domanda: è questo che vo-glio veramente? Una domanda che va ben oltre la constatazione delle legittime gratificazioni perso-nali e sociali. In ciò che ci impegna tutto il tempo e le risorse, siamo sicuri che stiamo faticando per la cosa più importante? Davvero possiamo dire: ecco, sono io, qui sento che coincido con me stessa. In effetti, alla fine, ciò che cerchiamo di trovare sempre di più e meglio siamo noi stessi. Cerchiamo di trovare quel “qualcosa” che sappia-mo di essere e che solo noi possiamo guardare, ascoltare, indagare e aprire. Più si va avanti con gli anni, e soprattutto con l’esperienza della vita, ci si rende conto che tante attività fatte in nome di un dovere sociale e familiare, di fatto hanno accompagnato la voglia di affermazione che ci portiamo dentro. Abbiamo misurato la nostra rea-lizzazione, il nostro “essere noi stessi”, con il rag-giungimento di una posizione sociale e la pos-sibilità di essere nel circuito di consumatori che sanno vestire in un certo modo, attrezzarsi con le ultime novità della telefonia e dei collegamenti in rete, che hanno dato ai figli il meglio che era possibile. Tutto questo ci ha portato a misurare noi stessi con questi standard cadendo facilmen-te nell’idolatria del denaro che si maschera con il “è necessario”, “non se ne può fare a meno”, ecc. Salvo poi ammettere che le centinaia di sms e simili che ci sono giunti non hanno il sapore vero di una voce che ti ha chiesto “come stai?” e ha atteso la tua risposta con le parole e con i silenzi. Tutto questo mi porta a considerare che la domanda “cosa cerchiamo?” porta già in sé la risposta, potremmo dire che la domanda è già la risposta. In altre parole: proprio il fatto che conti-nuiamo a non appagarci di ciò che pur legittimo tuttavia non ci soddisfa, ci rivela che siamo fatti

di altro. Non si tratta di andare alla ricerca di se-greti arcani o misteri sovrannaturali, esperienze ai confini del possibile o pensieri inimmagina-bili. Molto più semplicemente: siamo noi stessi questo mistero che non trova eguali e soprattutto non ha moneta che possa valutarlo, prezzarlo e comprarlo. Ciò che ciascuno di noi cerca è la

possibilità di vivere nella quotidianità come nelle scelte più importanti, la propria unicità. Siamo così unici nel nostro essere che non coincidiamo con gli altri né tanto meno con le cose che abbia-mo e facciamo. Cerchiamo di abitare in ogni luo-go come se fosse casa nostra, vogliamo sentirci a casa nello sguardo di chi ci accoglie. Vogliamo trovare qualcuno che ci accolga per quello che siamo e che sappia sorridere con noi dei nostri limiti. Siamo un mistero pari solo a quello divino. Non troviamo altri interlocutori se non Dio stesso per poter anche fronteggiare la vita, discuterne il senso e perché no, arrabbiarci per le ingiustizie. Cerchiamo di avere Lui come interfaccia, Lui che “ci deve spiegare” il senso di molte cose. Insom-ma, cerchiamo ciò che sappiamo di poter avere per noi senza tuttavia poterlo assimilare a noi. Cerchiamo… cerchiamo… sì, cerchiamo Dio e non ci fermiamo fino a quando Lui stesso non ci dirà: “vieni, ora stai con me”.

Anna Pia Viola

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Siamo noi stessi mistero

cHE coSA cerchiamo?

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Non serve descrivere. È sufficiente guarda-re la foto. Forse anche solo contemplarla, con simpatia. Regalarci una visione d’in-

sieme, calma tranquilla, per abbracciare un Pae-se di provincia, una comunità che cerca di esse-re viva e creativa. Lasciare che parlino l’azzurro del lago di Garda, le verdi colline moreniche, il gruppo del monte Baldo. Sì, la nostra vetta, che sembra quasi toccare il cielo e indicarci, con de-terminazione, quel restringersi delle acque verso Malcesine,Torbole e Riva. Solo dopo possiamo formulare qualche domanda, solo dopo interro-ghiamo la storia.Questo è Castelletto di Brenzone. Tra la piccola torre e il campanile della Chiesa parrocchiale, de-dicata alla S. Famiglia e a S. Carlo Borromeo, c’è la Casa Madre delle Piccole Suore della Sacra Fa-miglia. Più in là, le Scuole e il Centro di spiritua-lità e di cultura “Garda Family House”. Di fronte all’Istituto, la piccola nuova “residenza” di barche e motoscafi, noleggiabili durante la stagione esti-va, e anche autunnale, quando è possibile godere di una seconda mite estate, come è accaduto lo scorso 2015. Durante l’inverno esse “riposano”, in-sieme a pescherecci e altre imbarcazioni, nel porto antico, non visibile nella foto. Spostando un po’ lo sguardo verso il centro stori-co, ecco case quasi addossate una all’altra, o spar-se lungo il pendio, qua e là, verso i borghi di Biaza e di Fasor. Un piccolo paese periferico dunque: Verona dista circa 50 chilometri. Un paese di peri-feria, che è cresciuto negli ultimi cento anni abba-stanza velocemente, per l’impegno umile e tenace degli abitanti e per il coraggio, maturato per la familiarità con lo Spirito, del parroco don Giusep-pe Nascimbeni e di quattro giovani, poi religiose, a cui ne sono seguite una schiera di quasi tremila. Un piccolo borgo che rischia di passare alla storia.Come gran parte del paesaggio italiano, anche questo modesto territorio, e tutto il bacino del lago di Garda, possono essere letti come un continuo sovrapporsi di stratificazioni geologiche e uma-ne. Sulla sponda occidentale e orientale del Be-

naco, più che altrove, forse è possibile osservare il moderno che si deposita con finalità turistiche, culturali, spirituali e rende complessa la trama dei piccoli o grandi centri. Il confronto tra passato e presente mette in evidenza come, a partire dagli anni ’50, i borghi siano andati trasformandosi in un intreccio inestricabile. Lo sguardo della memo-ria degli abitanti stessi si smarrisce tra infrastrutture per la mobilità di persone e informazioni; alberghi, centri di smistamento dei prodotti tipici, aree resi-denziali, grappoli di villette con piscina, campi da golf e da tennis, intervallati da oliveti ad alto ren-dimento; scuole e centri professionali, di cultura e spiritualità. Una densificazione dello spazio così rapida da ridurre la prospettiva temporale dell’os-servatore dal “qui ed ora”, al passato e futuro.Tutto l’insieme esprime lo spirito di una civiltà rurale e, in particolare per Castelletto, l’origine e lo sviluppo di un carisma che si ispira al miste-ro dell’incarnazione. Il territorio stesso richiama la Nazareth di Galilea. È bello poter valutare evange-licamente un piccolo paese è sperare sia sempre una finestra aperta sul visibile e sull’invisibile, in dialogo continuo tra Piccole Suore, comunità par-rocchiale e civile, Chiesa e mondo intero. Questo luogo, con i suoi abitanti e frequentatori-ospiti e con la bellezza della natura, può diventare “am-biente speciale” soprattutto per i ricercatori di si-lenzio e di spiritualità, ma anche riposo e recupe-ro di energie fisiche. Luogo importante anche per l’anno giubilare della misericordia: per coltivare un dialogo semplice tra l’uomo e la natura, come omaggio al Cantico delle creature e all’enciclica Laudato si’. L’uomo soggetto della misericodia di Dio e la natura oggetto della Sua amorevole e fedele custodia sono aspetti complementari della sollecitudine della Trinità verso l’uomo e il cosmo.La nostra foto, una semplice immagine all’inizio, è diventata “volto” di un paese, specchio dell’anima e del volto dei suoi abitanti. Dalla reciproca rela-zione scaturirà il “paesaggio” futuro e la vita nuova della comunità.

Suor Maria Angelica Cavallon pssf

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Che cosa cercate? Venite e vedrete (cfr Gv 1, 35)

Intreccio tra

AmbiENTE e volTi

Castelletto di Brenzone (VR)

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Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allon-

tana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui.Entra nell’intimo della tua anima, escludi tut-to tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, chiusa la porta, cercalo. O mio cuore, di’ ora con tutto te stesso, di’ ora a Dio: Cerco il tuo volto. “Il tuo volto io cerco, o Signore” ( Sal 26,8).Orsù dunque, Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarti, dove e come trovar-ti. Signore, se tu non sei qui, dove cercherò te assente? Se poi sei dappertutto, perchè mai non ti vedo presente? Ma tu certo abiti in una luce inaccessibile, o come mi accosterò a essa? Chi mi condurrà, chi mi guiderà a essa sì che in essa io possa vederti? Inoltre con quali segni, con quale volto ti cercherò? O Signore Dio mio, mai io ti vidi, non conosco il tuo volto.Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da te, ma che a te appartiene? Che cosa farà il tuo servo tormentato dall’amore per te e gettato lontano dal tuo volto? Anela a vederti e il tuo volto gli è troppo discosto. Desi-

dera avvicinarti e la tua abitazione è inaccessibi-le. Brama trovarti e non conosce la tua dimora. Si impegna a cercarti e non conosce il tuo volto.Signore, tu sei il mio Dio, tu sei il mio Signore e io non ti ho mai visto. Tu mi hai creato e ricre-ato, mi hai donato tutti i miei beni, e io ancora non ti conosco. Io sono stato creato per vederti e ancora non ho fatto ciò per cui sono stato creato.Ma tu, Signore, fino a quando ti dimenticherai di noi, fino a quando distoglierai da noi il tuo sguardo? Quando ci guarderai e ci esaudirai? Quando illuminerai i nostri occhi e ci mostrerai la tua faccia? Quando ti restituirai a noi?Guarda, Signore, esaudiscici, illuminaci, mostra-ti a noi. Ridonati a noi perchè ne abbiamo bene: senza di te stiamo tanto male. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te: non valiamo nulla senza te.Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cer-co: non posso cercarti se tu non mi insegni, nè trovarti se non ti mostri. Che io ti cerchi deside-randoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti.

(Cap. I: Opera omnia, ed. Schmitt, Seckau-Edimburgo 1938, 1, 97-100)

Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti. (dal “Proslogion” di Sant’Anselmo)

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Assisi: Francesco sul sentiero verso S. Damiano

Il dESidERio della contemplazione di dio

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Programma degli iNcoNTRi2016 aperti a TuTTi!

Castelletto del Garda (VR) “Garda Family House” Centro di spiritualità - Piccole Suore Sacra Famiglia

•DAGENNAIOAGIUGNO2016 - Corso di iconografia e realizzazione personale di una icona con sorella Cristina Vicenza - Ogni terzo sabato: 16 gen. / 20 feb. / 19 mar. / 16 apr. / 21 mag. / 18 giu. - TEMA: Cristo volto della misericordia•FEBBRAIO2016 - Esercizi spirituali con don Gianni Colzani - Milano - Da domenica 7 a venerdì 12 TEMA: Dalla sicurezza della giustizia al rischio della misericordia. La misericordia sorgente e processo di vita•MARZO2016- Week-end spirituale con Gilberto Gillini e M. Teresa Zattoni - Lecco - Da venerdì 4-5-6 TEMA: Amare al maschile e amare al femminile sulle tracce del “Cantico dei Cantici”•MARZO2016 - Preparazione alla Pasqua con p. Carlo Laudazi carmelitano - Roma - Lunedì - martedì - mercoledì santo 21-22-23 - TEMA: L’evento pasquale piena manifestazione della misericodia di Dio •Serata di martedì 22 aperta a tutti - h 20.30 - con don Giandomenico Tamiozzo - Vicenza - L’Icona della misericordia: la Santa Sindone

•APRILE2016- Tre giorni di Lectio divina con p. Vincenzo Bonato camaldolese - Verona - Mercoledì 13-14-15 TEMA: La misericordia nei Salmi•APRILE2016- Convegno con don Valentino Cottini - Roma- Venerdì 29 aprile - TEMA “L’islam oggi: prospettive e tensioni”•MAGGIO2016- Week-end spirituale con Anna Pia Viola - Palermo - Da venerdì 6-7-8 - TEMA: Cosa desideri?•OTTOBRE2016- Tre giorni di spiritualità con p. Ermes Ronchi - Milano – Da mercoledì 13-14-15 - TEMA: Che cosa cercate?•NOVEMBRE2016- Esercizi spirituali con fr Alessandro Barban p. g. camaldolesi - Arezzo - Domenica 27 (I di Avvento) 28-29-30 e 1-2 dicembre - TEMA: Matteo: dalle Beatitudini alla Pasqua•DICEMBRE2016- Esercizi spirituali ignaziani con sr Gabriella Mian AdGB - Venezia - ed équipe - Da martedì 27 dic. 2016 a martedì 03 genn. 2017 - TEMA: Salvati per Grazia dalla sua misericordia

FORMAZIONE

Uno scorcio di “Garda Family House”Lago di Garda

Primo piano de “La S. Famiglia” (2008) di Gino Bonamini - maestro e scultore del ferro - da Cogollo di Tregnago (VR)

PER INFORMAZIONI E PRENOTAZIONIaperte per tutto il 2016:

tel. 045 [email protected]

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Nello scorrere dei gior-ni s’incontrano volti di età, di lineamenti, di

colore diversi. E, nei volti de-licati, sicuri o appesantiti dalle fatiche del vivere, sguardi ri-velatori di sprazzi del mistero che li abita. Basta tornare ai ricordi per ri-vedere volti dallo sguardo lu-minoso, sereno, di simpatica complicità, di tenerezza, di empatia, di compassione, di misericordia. Sono i volti delle persone che, anche solo con la loro presenza, hanno diffuso e donato benessere, fiducia, gioia, serenità e facili-tato rapporti di amicizia e di riconciliazione. Nei loro volti sembrano fondersi tutti i colori dell’ar-cobaleno.Nella rievocazione appaiono anche volti dallo sguardo triste, ansioso, ambiguo, assente, truce, cinico, indagatore, sospettoso; sguardi che cela-no vissuti di abbandono, di tradimento, di vio-lenza, di mancanza di considerazione e di amore. Sono persone che si trascinano dietro, come tristi compagni di viaggio, paure, angosce, sentimenti di inade-guatezza, di risentimento, di insoddisfazione, di vendetta, sentimenti che danno ai loro volti colori spenti, funerei o lampeggianti di luce sinistra. A seconda dell’espressione, suscitano ancora sentimenti di pena, compassione, perplessi-tà, paura, repulsione. Lo sguardo che illumina od oscura il volto è sempre ori-ginale, irripetibile. Alla sua formazione concorrono, oltre al corredo genetico e alla pro-pria storia, le scelte persona-

li. È quindi possibile formarsi uno sguardo luminoso, sere-no, empatico. Si tratta di concedersi una buona dose di fiducia, por-si un interrogativo su quanto fa soffrire e oscura il proprio volto e ripercorrere i capitoli della propria vita per arrivare alla circostanza che ha cau-sato l’atteggiamento. La con-sapevolezza della situazione che sta all’origine, chiamarla per nome senza angosciar-si, ammetterla ed elaborar-la, consente di accettarsi per

quello che si è e guarire, liberarsi, unificarsi.È un processo più facilmente realizzabile se si è in compagnia di un’amica/o che ispira fiducia, che non giudica, ma neppure plagia. Se, poi, si riesce a percepire di essere avvolte/i dallo sguardo di Colui che è l’Amore, la Tenerezza, la Misericordia e che è sempre pronto a stringere nel suo abbrac-cio coloro che a Lui si rivolgono, la guarigione è più facile e sicura. È l’amore che salva.Attribuirsi situazioni, eventi, caratteristiche positi-

ve è facile. Accettare, invece, la propria corporeità anche se non corrisponde ai parametri della moda o ha qualche disa-bilità; far pace con le proprie caratteristiche psichiche, an-che se differiscono da quelle che gli altri vorrebbero che avessimo e che noi stessi aspi-riamo ad avere; riconciliar-si con la storia della propria famiglia e la storia personale con successi e insuccessi, in-contri e scontri, incompren-sioni, errori, perdonarsi e perdonare non è privo di sof-ferenza. La persona è dotata

SguARdiLo sguardo che illumina od oscura il volto è sempre originale, irripetibile. Alla sua formazione concorrono, oltre al corredo genetico e alla propria storia, le scelte personali

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Eugenio Montale, nella parte conclusiva della sua poesia Non chiederci la parola (Ossi di seppia, 1925), dopo aver esposto

l’impossibilità di trovare parole che possano de-finire in maniera soddisfacente ed esaustiva la condizione umana, conclude dicendo: “Non do-mandarci la formula che mondi possa aprirti, / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” Si era allora nel momento più turbolento dell’epoca fascista e l’affermazione di Montale è sempre stata in-terpretata come una velata critica alla sicumera del regime che si stava consolidando e alla sua totale mancanza di dubbi.Questi versi mi sono tornati in mente quando ho letto una delle domande, inserite nel percor-so tematico di “Nazareth” per quest’anno: “Che cosa cerchiamo?”.Nella storia della letteratura si trovano molti esempi di risposta a tale quesito.Se una di queste risposte fosse “il quieto vive-re”, allora il contributo senza dubbio più famoso sarebbe quello di Dante, che colloca gli igna-vi “che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo” fuori della porta dell’inferno, come peccatori che non meritano nemmeno di essere presi in considera-zione, tanto che Virgilio dirà al suo compagno di viaggio: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.” (D’altra parte, come ben sappiamo, Dan-

te non apprezzava affatto la filosofia epicurea ed in particolare la parte di essa che si basava sul làze biòsas, cioè sull’invito a nascondersi viven-do o, come si dice più comunemente, a vivere nascostamente). Una seconda testimonianza let-teraria conosciutissima, su questa linea, è senza dubbio quella di Alessandro Manzoni, che fa di don Abbondio un personaggio indimenticabile nel suo fermo proposito di evitare in ogni modo di mettersi nei guai.Se invece la risposta alla domanda in questione fosse data dalla ricchezza, dal possedere cose, dall’essere proprietari di beni, tra i contributi let-terari più noti ci sarebbe senza dubbio una delle Novelle rusticane più famose di Giovanni Verga, intitolata La roba, il cui protagonista, Mazzarò, rappresenta egregiamente tutti coloro che non hanno altro scopo nella vita se non quello di accumulare beni. Nel caso di Mazzarò, nella Si-cilia di fine Ottocento, l’accumulo riguardava la terra e tutto ciò che dalla terra derivava e con la terra si alimentava. Straordinariamente efficace è la scena finale del racconto che vede Mazzarò, ormai vecchio, tirare il suo bastone nelle gambe di un povero ragazzo al quale invidiava l’unica ricchezza che possedeva: la giovinezza. Dispe-randosi poi per non avere la possibilità di por-tare con sé la sua “roba”, quando sentiva che la morte non era lontana, prendeva a randellate le sue anitre e i suoi tacchini gridando: “Roba

di più risorse di quanto si pensa e può affrontare positivamente anche i condizionamenti più gra-vosi e fare scelte liberanti.L’accettazione piena di sé e della propria storia e quindi non aver nulla da negare e da nascondere rende liberi da atteggiamenti e sguardi difensivi. Consente di arrivare ad una profonda unificazio-ne interiore, a sperimentare in sé uno spazio in cui sentirsi a casa, amate/i e libere/i dalle attese e pretese degli altri e anche da quelle, spesso schiavizzanti, del Super Io.

E là, nei profondi silenzi dell’anima, la Presen-za dell’Amore liberante crea armonia, dona te-nerezza e misericordia e apre a un abbraccio di sostegno e di speranza verso tutto ciò che vive. Un riflesso di questa unificazione, di questo mi-racolo è il volto dallo sguardo sereno, luminoso, che diffonde fiducia e avvolge di bontà e mise-ricordia chiunque incontra. Così è o può essere il nostro. L’Anno Santo ce lo chiede.

Suor Maria Rossi fma

Una ScElTA difficilEAvere o essere? Una scelta non impossibile

LETTERATURA

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mia, vientene con me!”. Si potrebbero aggiun-gere altri due esempi simili: il primo di Mastro Don Gesualdo, nell’omonimo romanzo verghia-no; il secondo (dal Gattopardo di Giuseppe To-masi di Lampedusa) del padre di Angelica, rap-presentante della nuova classe borghese allora emergente, arricchitasi a scapito dell’aristocrazia ormai in evidente decadenza ed in netta compe-tizione con essa.Di certo non sono queste le cose che dovre-mo cercare per appagare la nostra inquietudine: solo l’avvicinarci agli altri superando il nostro egoismo potrà acquietare il nostro spirito. Que-sto avvicinamento, però, non deve essere “vir-tuale”, come accade attualmente navigando su Internet o utilizzando i cosiddetti social networ-ks. Come afferma il sociologo Umberto Galim-berti, infatti, Internet non fa altro che aumentare la nostra solitudine, e l’“amicizia” che si chiede e si concede in Faceboock, per esempio, non ha nulla a che fare con quel sentimento che Cicero-ne aveva descritto e definito in maniera perfetta, più di duemila anni fa, nel suo trattato Laelius, de amicitia. Secondo l’oratore e filosofo latino, l’amicizia deve essere basata innanzitutto sul di-sinteresse e sulla generosità, al punto che l’ami-co sia considerato più importante di noi stessi e posto sempre al di sopra di tutto, con l’unico limite che egli non ci chieda di fare cose diso-neste. (Non siamo, in fondo, molto distanti dal

messaggio evangelico che definisce la maniera di comportarci con il nostro prossimo…).Possiamo citare, sempre a tale proposito, an-che le tesi che Erich Fromm espone in Avere o essere? (titolo che ho preso in prestito per questo articolo) e nell’Arte di amare. Nei due saggi Fromm, dopo aver discusso della modalità dell’avere, che si fonda sul desiderio di possesso e di potere e che genera egoismo, spreco, vio-lenza ed avidità, le contrappone quella dell’es-sere, che è invece basato sull’amore, sulla gioia di condividere ogni cosa con gli altri, sull’atti-vità produttiva e creativa utile a tutti. Fromm cita, a sostegno della sua tesi, alcuni esempi di Maestri di vita che, molto prima di lui, hanno incentrato il loro insegnamento sulla proposta di una rinuncia ai beni terreni, come una specie di liberazione dal male: Buddha (V sec.a.C.) e Gesù Cristo, ma anche Mastro Eckhart (mistico tedesco tra Duecento e Trecento) e Karl Marx.Fondamentalmente quella che dobbiamo impe-gnarci a trovare è la capacità di uscire da noi stessi e dal nostro piccolo mondo, di superare il nostro egoismo per avvicinarci concretamen-te, realmente, direi quasi fisicamente, agli altri: solo in questo modo si potrà avere la speranza di attuare quel cambiamento sociale che tutti gli uomini di buona volontà auspicano da sempre in cuor loro.

Maria Laura Rosi

Foto di Elisa Ruffo

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Una famosa pubblicità indicava che la banca era “costruita intorno a te”, a signi-ficare che ti voleva proteggere, che era

fatta a tua misura: nello spot in televisione ap-pariva un uomo che con un bastone disegnava sulla sabbia un cerchio intorno a lui, rassicuran-doti che la banca era “costruita intorno a te”... ma, a rifletterci, dentro quel cerchio di sabbia c’era proprio lui, il patron della banca, e non tu, perché in fondo l’istituto di credito si fa i propri affari, e in subordine forse i tuoi. Quel cerchio, anziché includere, in realtà, a ben vedere, tutela-va uno solo ed escludeva tutti gli altri. Ancor prima di nascere, non siamo soli perché in quella pancia si crea una dipendenza con la persona che ci partorisce. Eppure, da bambini, sembra che tutto ruoti intorno a noi, che la vita parallela degli altri non esista, che noi siamo i proprietari del presente. Siamo furbi ed egoisti e infatti ben presto ci accorgiamo che se piangia-mo, qualcuno prima o poi verrà in nostro soc-corso. Ma siamo innocenti, anche se egocentri-ci. Gli adulti al nostro fianco ci accompagnano alla scoperta del mondo, e cioè della vita fuori da noi e indipendentemente da noi. Hannah

Arendt sosteneva che il mondo in cui le perso-ne nascono contenga molte cose, aventi tutte in comune il fatto di “apparire” e quindi di essere viste, toccate, percepite, perché, in effetti, si ap-pare sempre a qualcuno, mentre non è possibi-le apparire se non v’è nessun altro. Le persone possono trascorrere l’esistenza cercando di sur-rogare la felicità, ossia acquistando, posseden-do e consumando oggetti, e correndo il rischio, come ricorda Papa Francesco nella sua ultima enciclica, di diventare autoreferenziali e avidi, se il cuore è vuoto. Oppure, si può vivere nella costante tensione ed inquietudine di sapere, di capire il senso della vita, di conoscere il signi-ficato di sé e di definire noi stessi nel rapporto con gli altri. Chi sono gli altri per noi? Ne “Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares”, Fer-nando Pessoa fa dire ad un suo personaggio: “Oggi per me non è stato dunque il fattorino dell’ufficio a partire per un paesino della Galizia che ignoro, è stata una parte vitale, perché visi-va e umana, della sostanza della mia vita. Oggi ho subìto un’amputazione. Non sono più esatta-mente lo stesso. Il fattorino dell’ufficio è partito (...) Riesco a lavorare solo perché posso, con

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Chi sono gli AlTRi per Noi?

L’altro, il diverso. Io e l’altro. Uscire da sé per conoscere gli altri

Foto di Manuela Petino

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un’inerzia attiva, essere schiavo di me stesso. Il fattorino è partito”. Se l’altro con cui ci rapportiamo è uguale o mol-to simile a noi, ci rinchiudiamo nel fortino di una presunta identità. Un tempo il mondo sem-brava più vario di quanto non appaia oggi: sarà per la presenza in ogni dove della catena di fast food “McDonald’s”, che fa sentire ogni turista a casa (quindi se ogni turista va a pranzare lì in quanto si sente rassicurato e come se fosse a casa, perché non sta a casa?); sarà perché ormai ci si veste alla stessa maniera occidentale; sarà per via dell’utilizzo degli stessi social network che azzerano le distanze geografiche, fatto sta che in taluni casi le differenze non si notano. L’ideologia del mercato ha, negli ultimi decenni, uniformato, sottratto ricchezza al mondo, l’ha occidentalizzato e inaridito cercando di renderlo

più simile a questa parte del globo terrestre in cui viviamo. Sembra che l’altro, per essere ac-cettato, debba essere come noi. Chi non è come noi, può diventare persino un nemico. Se gli al-tri sono quelli che arrivano su un barcone, non ci poniamo la domanda “perché vengono da noi, cosa li spinge fino a qui?”. Non affrontan-do la domanda, azzardiamo la risposta sbagliata. Ergiamo i fragili muri di una supposta identità. Quale identità, poi? L’identità è come lo scatto di un’istantanea, cogli quel momento che non è già più. L’identità personale necessita dell’al-tro e muta nella benefica contaminazione con il diverso da noi. L’altro può avere le mie stesse sembianze, la mia stessa origine geografica, può condividere con me la medesima professione. L’altro non è me, per fortuna.

Michela Faccioli

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Pochi giorni fa, davanti agli studenti della nostra scuola riuniti per un momento di riflessione sulle ultime terribili stragi del

terrorismo, chiedevamo loro le loro sensazioni. Stupore, dicevano molti. Paura, concordavano quasi tutti. Rassegnazione, confessava qualcu-no. E sdegno unanime, ovviamente, per come la fede possa essere stata fatta strumento nel-le mani di ideologi della morte privi di scru-poli. Nessuno ha pronunciato le parole “odio” o “vendetta”, ma probabilmente nella testa (o nella pancia) di qualcuno sarebbero prevalse queste ultime. Stupore, paura, rassegnazione, odio. Non sono solo le normali reazioni dei nostri ragazzi: sono purtroppo l’umore dei nostri giorni, l’atmosfera che i media ci fanno respirare davanti all’accu-mulo di “cattive notizie”, dalla crisi economica ai venti di guerra, dagli attentati dei terroristi alle

Educare alla

miSERicoRdiA

Gesso in altorilievo - Sala Capitolare PSSF - G. Trecca.Di fianco alla S. Famiglia, San Carlo Borromeo. In basso: gesti di misericordia delle Piccole Suore

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fondate inquietudini per i cambiamenti clima-tici. Sono un rischioso climax che si nutre di un atteggiamento epidermico, emotivo dinanzi alla realtà, e che molti opinionisti (e molti politi-ci) cavalcano in cerca di pubblico o di consensi elettorali. Davanti a questioni complesse sotto tutti i punti di vista come può essere l’escalation del terrore voluta dal sedicente stato islamico, è quasi scon-tato che un giovane rimanga spaesato e si affi-di a letture della realtà facilitatorie ed estreme, come è normale nell’età adolescenziale. Ecco perché la scuola, per prima, non può fare finta di niente e limitarsi alla sua routine di program-mi e interrogazioni. I giovani in realtà lo sanno perfettamente che la realtà è più complicata di come viene loro descritta da frettolosi mezzi di informazione e chiacchiere televisive. E aspettano che qualcuno cerchi di fare chiarezza, di allargare gli orizzonti, di renderli protagonisti delle proprie opinioni e non preda di quelle degli altri o di mere emo-zioni senza prospettiva. Una scuola che voglia realmente educare delle persone, dei cittadini, deve andare nella direzione contraria rispetto a ciò che la società del consumismo e del distratto individualismo propone ogni giorno: risvegliare le coscienze, non addormentarle; aprirsi alla co-noscenza del mondo esterno, non chiudersi nel-le piccole sicurezze delle nostre piccole consue-tudini; riflettere sulle soluzioni in modo umano,

per gli altri e con gli altri, e non disumanizzarsi nell’individuazione di un generico nemico da combattere con la violenza e l’esclusione. Per “lasciarci accarezzare dalla misericordia di Dio” - l’espressione splendida è di papa Fran-cesco - bisogna prima di tutto smontare dalle fondamenta quel climax che dallo stupore por-ta alla rassegnazione o all’odio, dalla paura alla chiusura, al rifiuto dell’accoglienza e dell’ascol-to, al disinteresse rispetto alle sofferenze delle donne e degli uomini se sono lontani dai miei occhi, fuori dal mio giardino, o peggio ancora “stranieri”. La misericordia - che è costruttiva e non distrut-tiva, altruista e non egoista, che cammina con gli uomini tenendoli per mano e non si volta dall’altra parte quando chiamano - è esatta-mente l’atteggiamento opposto rispetto a quel-lo che respiriamo oggi, noi e i nostri giovani e giovanissimi. Educare alla misericordia allora significa prima di tutto non fermarsi alla soglia dei problemi o accettare passivamente, ma pro-porli, scavarli con i propri allievi, ascoltarne le domande e farle proprie, cercare di capire le cause profonde, imparare a mettersi nei panni di chi soffre lontano da noi senza scoraggiarsi o scivolare nei pregiudizi e nelle logiche di guer-ra, immaginare la pace e provare a costruirla dalle nostre relazioni, dall’apertura agli altri e al mondo.

Andrea Cornale

SCUOLA E VITA

Capitolo VI – Consacrate per la Missionemissionarie per vocazioneart 52 - Con la Famiglia di Nazareth Dio ci ha raggiunto con la sua salvezza e chiama noi ad essere nella Chiesa missionarie, annuncio della presenza di Cristo Signore ed espressione della sua volontà di vita piena e di bene per tutti gli uomini.La partecipazione al mistero della redenzione, per la forza dello Spirito, ci coinvolge nella real-tà umana per incontrare ogni creatura, affinchè nessuna vada perduta e tutta la creazione sia ricapitolata e compiuta in Cristo.

A servizio della personaArt 56 - Il mistero dell’Incarnazione ci porta a con-dividere la condizione del povero popolo, a vivere da piccole a servizio soprattutto degli ultimi, affin-chè ogni persona riconosca la dignità e la bellezza di cui Dio l’ha ricolmata e ne goda in pienezza.Esprimiamo il valore evangelico della minorità in un servizio umile e gratuito, operando sem-pre in comunione con i Pastori. Attente alle sfi-de del nostro tempo, promoviamo la giustizia come attenzione e premura di Dio per l’uomo, offrendo motivi e spazi di vita.

Piccole Suore della S. Famiglia Costituzioni e Regola

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Ogni anno, oramai da quasi un lustro, in questo spazio si è scelto di riflettere, at-traverso proposte letterarie differenti, sul

tema della Shoah e dello sterminio perpetrato dai regimi nazi-fascisti durante la seconda guerra mon-diale, richiamati, in particolare, dall’istituzione del-la Giornata della Memoria. Nella ripetitività di una ricorrenza s’intende cogliere l’occasione di una rin-novata riflessione, mai meccanica se capace di sti-molare un pensiero critico, una sana indignazione verso atti di razzismo e di disumana crudeltà, quali sono stati quelli che hanno portato alla morte oltre sei milioni di ebrei insieme ad altri nove milioni di persone: rom, dissidenti politici, omosessuali, testimoni di Geova e altre categorie di persone in-desiderate. Poiché, a finire nel mirino delle atten-zioni omicide nazi-fasciste sono stati svariati grup-pi di persone, primi fra gli altri i malati psichici ed i disabili tedeschi, colpevoli di non rispecchiare la purezza della razza così ben teorizzata da Hitler e dal suo fornito gruppo di sostenitori, fra i quali si annoveravano medici e scienziati capaci di con-fermare l’ideologia xenofoba della razza superio-re. Purtroppo, come la storia insegna, da sempre

l’uomo si è lasciato sedurre dall’idea di superiorità e dal desiderio di potenza, se non anche di on-nipotenza, causando catastrofi umane di inaudita ferocia. E non dà sollievo pensare che trattasi di eventi compiuti settant’anni orsono, poiché, ancor oggi, anche nella nostra società che vanta civiltà e sviluppo, gli atti di razzismo, di discriminazio-ne e di intolleranza verso chi appare diverso non mancano nelle cronache di grandi e piccole città. Il pregiudizio che la diversità di cultura, religione, ceto sociale o altro sia sinonimo di inferiorità o di pericolo continua a trovare aree sempre più ampie di consenso, specialmente in periodi di difficoltà e incertezza economico e sociale. E nel pregiudi-zio discriminatorio può radicare la spinta a com-portamenti che di umano non riflettono neppure l’ombra. Ragionare sulle differenze, per coglierne i significati più sottesi o per avviare una riflessione che dai fatti della storia possa trarre spunto per nuove conoscenze, è quanto propone il libro di Matteo Gubellini, talentuoso giovane illustratore, in Nessuna differenza?, pubblicato da una piccola casa editrice aretina nel 2011, Prìncipi & Princípi, e destinato ad un pubblico di giovanissimi lettori.

Conoscere gli orrori della storia per formare coscienza etica

Ma c’è sempre

l’ARcobAlENo

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Gubellini prende spunto da alcune immagini sim-bolo della Shoah, quali la foto del bambino con le mani alzate in segno di resa e quella dei letti nel-le baracche dei campi di sterminio, la stella gialla a cinque punte, la giacca a righe degli internati,

il treno, il numero tatuato sull’avambraccio; ebbene, per ciascuna di esse affianca un’immagine appartenente alla quotidianità dei bambini d’oggi. Così l’alzata di mani per prendere al volo una palla è associata al bambino

con le mani in alto, mentre il letto a castello nella stanzetta di due fratellini è affiancato all’immagine storica dei deportati stesi su letti costruiti con tavo-lacci senza materassi né cuscini; la stella da scerif-fo nel gioco del travestimento viene paragonata a quella cucita nei vestiti degli ebrei; un bel cappot-to a righe, indossato da un bambino, trova una si-militudine grafica, ma non certo di bellezza, nelle divise a righe degli internati; e così via per le altre immagini. L’autore non usa retorica, ma invita a ra-gionare su come lo stesso oggetto possa assumere significati nettamente opposti in funzione dell’uso che ne attribuisce l’uomo. Le scelte ed i compor-tamenti personali e collettivi possono trasformarsi da gesti di vita ad atti di annientamento, morte, di-struzione che trovano in particolari oggetti i simbo-li di espressione. Così, una semplice stella gialla a cinque punte, che nel petto di un bambino vestito da cow boy è sinonimo di giustizia e lotta contro i cattivi, sul petto di milioni di persone si è trasfor-mata in sentenza di morte. A partire da queste pro-vocazioni, anche i bambini, e gli adulti con loro, possono percorrere il sentiero, non certo scontato e banale, dei significati che possono assumere i gesti e gli oggetti, del peso delle scelte, del valore delle idee, della ricchezza insita nella differenza, del valore inestimabile del diritto all’uguaglianza nel rispetto e nella dignità di ogni essere umano. Tutte espressioni calpestate, derise, maltrattate da tutti i regimi autoritari che hanno posto nella su-premazia di un’ideologia, di un potere militare o di un’arroganza economica il motivo per perpetra-re sottomissioni, deportazioni, uccisioni di migliaia e migliaia di esseri umani solo perché espressione di una diversità, di qualsivoglia origine, rispetto al potere dominante. Ciò che invita a fare Gubellini è esercizio di pensiero, palestra di democrazia, alle-namento etico: un’attività civilizzante di cui, forse, si sta perdendo dimestichezza. Ma la fiducia che

i bambini possano davvero continuare a rappre-sentare una nuova speranza per il futuro, anche in forza delle conoscenze degli errori del passato, lo si può cogliere da un altro delicato albo illustrato: Ma c’è sempre l’arcobaleno, di Anna Baccelliere e Chiara Gobbo per le edizioni Arka. È la voce di un bambino che accoglie il lettore, un bambino rinchiuso nel campo di sterminio di Buchenwald. Racconta di come tutto sia grigio: grigio il fumo dei camini, grigie le divise e le baracche, grigia la terra battuta, grigia la fame e la paura. Ma ciò che sfugge agli aguzzini, così ben impegnati a mante-nere tutto grigio, sono i colori dell’arcobaleno che certe volte appare quando piove. E se ai bambini non è permesso guardare il cielo, riescono ancora ad ammirarlo riflesso in una pozzanghera. Il bam-bino di Buchenwald ama l’arcobaleno: “perché mi ricorda che, oltre il filo spinato, c’è ancora la vita. E, con lo sguardo basso, lo spio nelle pozzanghe-re ai miei piedi. E sorrido, appena. A Buchenwald non si può”. Ecco, dunque, che, ancora una volta, il libro, con il racconto per parole ed immagini in esso contenuto, diventa opportunitas: occasione per riflettere su ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che non lo è, con spirito sincero e onesto capace di fare della riflessione e della conoscenza un’esperienza di formazione della coscienza e dell’etica personale e collettiva.

Katia Scabello Garbin

BIBLIOTECA

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Secondo un racconto rabbinico, per ventisei volte il Signore si era messo pazientemente all’opera per plasmare il mondo, fondan-

dolo sulla giustizia, ma ogni volta, dopo che era rotolato fuori dalla sua mano, il mondo si rom-peva al primo ostacolo e andava in pezzi.Allora il Signore tenne consiglio con i suoi an-geli: «Come dobbiamo fare perché il mondo reg-ga?». Gli angeli dissero: «Forse la giustizia non basta, bisognerebbe aggiungere una misura ab-bondante di misericordia». Il Signore fece così, e la ventisettesima volta il mondo, impastato di misericordia, rimase saldo rotolando via dalla mano di Dio.La misericordia, quale salvaguardia dell’uomo, è per i forti. Ci vuole un cuore coraggioso e ro-busto, che non si arrenda al desiderio di rivalsa, alla retorica del castigo esemplare, all’arroganza della giustizia retributiva. Tra due persone, il mi-sericordioso non è il più debole ma il più forte.Nel linguaggio corrente invece “misericordia” è parola immiserita, ridotta a significati quasi esclusivamente morali, limitata al meccanismo di colpa e perdono. Con i suoi sinonimi (compas-sione, pietà, grazia, benevolenza, perdono...) è stata emarginata dalla cultura moderna, perché accusata di «rendere il cristiano un debole nella storia» (Nietzsche), di alimentare un buonismo nemico del bene comune.Questa linea di pensiero ha radici lontane: per Seneca «la compassione è un vizio causa di in-giustizie, proprio di un animo piccino», e se-condo Zenone, filosofo greco fondatore dello stoicismo, «solo l’insipiente e lo sciocco posso-no provare misericordia». Misericordia e com-passione, liberate dalle vecchie incrostazioni, di-spiegano una tavolozza di significati bellissimi, un percorso di piena umanizzazione del vivere: l’alternativa cristiana.La misericordia viene dal cuore (lo dice la parola latina stessa: cor, cordis) ed è divina: è l’espres-sione del cuore di Dio. Se vuoi conoscere Dio, cercalo nella misericordia, non altrove. Perché

Dio non fa paura, mai. Non solo ha il volto del perdono, ma viscere di madre che fremono per il tuo dolore, cuore che balza per la tua gioia. Non è il Dio impassibile ma il Dio del pathos, coinvolto in un amore vitale con il suo popolo (Abraham Heschel).A Mosè che gli chiede: «Mostrami la tua gloria» (Es 33,18), «dimmi il tuo nome» (Es 3,13), il Si-gnore risponde che egli si chiama «misericordio-so e compassionevole» (Es 34,6). Questa è la sua gloria, vale a dire la sua stessa e splendida verità. Misericordia è la parola pregnante che dice l’essere di Dio verso l’uomo.

Ermes Ronchi(articolo tratto da: www.luoghidellinfinito.it)

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La parola materna che non conosce legge

La miSERicoRdiA

il vero volto di dio

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L’immagine di Cristo, apparsa dai tempi più antichi nell’arte cristiana, prima di ar-rivare alla perfezione incomparabile che

oggi conosciamo, ha dovuto percorrere un lun-go cammino attraverso contesti storici complessi e dipendenze culturali di vario genere. Il regno di Costantino (dal 306 al 337) segna una fase decisiva nella vita della Chiesa da tutti i punti di vista, specie nell’arte cristiana, che da Costanti-

no stesso e i suoi successori fu curata in modo particolare. Sotto Costantino, nel 325 il Concilio di Nicea definì la “consustanzialità” o completa uguaglianza di Cristo con il Padre; successiva-mente, sotto l’impero di Giustiniano (527-565), si assiste alla definitiva messa a punto della dottri-na cristologica circa le due nature di Cristo unite nell’unica Persona del Verbo. Da questo momen-to, nell’arte, si assiste allo sforzo fatto per ritro-vare le fattezze e i tratti somatici del Cristo stori-co. Tra i tipi iconografici stabiliti secondo precisi canoni pittorici, il Cristo Pantocrator è uno dei più significativi ed anche il più diffuso, tanto da diventare quasi l’unica tipologia di Cristo che si ritrova non solo nelle cupole e nelle absidi delle chiese ma anche su sigilli, monete, avori, evan-gelari ed altre suppellettili liturgiche. Che sia pre-sente su mosaico, su affresco o su icone grandi e piccole, il modello trasmette, almeno dal VI secolo, la stessa identica figura di Cristo.Il Cristo Pantocrator raffigurato su tutte le icone è il Cristo adulto, a circa trent’ anni d’età: stessa statura del corpo, stessi tratti somatici - in specie quelli del volto -, stessi abiti. Tutti questi tratti che convergono in un ritratto ne sottolineano la reale figura storica; altri tratti, come i simboli e le iscrizioni, hanno valore di ritratto spirituale, che mettono in risalto la sua realtà di persona attualmente vivente, trasfigurata, divina e salvifi-ca. L’icona trasmette, così il dogma cristologico delle due nature - umana e divina - unite nell’u-nica Persona del Verbo: Figlio di Dio e Dio lui stesso consustanziale al Padre.Il termine “Pantocrator” è un nome generico ricco di significati di solito tradotto come “On-nipotente”, ma spesso nelle icone troviamo altre iscrizioni e nomi aggiunti. Tra le molteplici iscri-zioni vogliamo qui soffermarci sul termine “O Eleimon” Il Misericordioso, termine che appare su una icona del 1100, in mosaico, conservata a Berlino, Staatliche Museen ma il prototipo senza

Il prototipo senza dubbio è l’icona bizantina del “Cristo Pan-tocrator” Giusto e Misericordioso del Sinai (VI secolo)

Gesù il volTo

della miSERicoRdiA

SPIRITUALITÀ CONDIVISA

Gesù Pantocrator Giusto e Misericordioso del Sinai (VI sec.)

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17NAZARETH 1 2016

dubbio è l’icona bizantina del Cristo Pantocrator Giusto e Misericordioso del Sinai (VI secolo).Il termine misericordioso è di uso corrente nella Bibbia, per descrivere l’amore di Dio. Il Cristo misericordioso è stato cantato dai Padri della Chiesa in termini ispirati. Giovanni Crisostomo, a esempio, fu il prodigioso predicatore del Dio “amico degli uomini”, divenuto in Cristo, fratello dei poveri. L’amore di Gesù per gli uomini, non è, infatti, una benevola e vaga simpatia per i va-lori umani. Al contrario, è il mistero della sua in-carnazione; per cui, essendo Dio volle divenire uomo per strappare l’uomo alla sua condizione di uomo e aprirgli l’accesso alla vita divina.Da notare, infine, che i manuali di pittura pro-pongono, per le icone di Cristo indicate con il nome aggiunto di “misericordioso” il seguente invito di Cristo scritto per intero o in parte sul libro aperto: “Venite a me voi tutti che siete affa-ticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico è leggero” (Mt 11,28-30). L’iscrizio-ne arricchisce così l’icona di altri connotati di vita cristiana ispirati alla loro vera fonte, il Cristo stesso, chiamato spesso “fonte di misericordia”.

Italo Forieri

Partecipare ad un corso di iconografia non è esclusiva di persone particolarmente inclini all’arte; “scrivere” un’icona è un modo molto particolare di pregare: non bisogna saper disegnare e dipin-gere, tutti hanno imparato a scrivere, serve tuttavia una buona dose di disponibilità e condivisione.Si eseguono modelli originali e, realizzare l’icona non è solo rappresentarla unicamente per mezzo di linee e colori stesi su supporto ligneo, ma arrivare a capire e conferire ad essa il fascino della sua misteriosità. Stendere i colori, secondo i canoni stabiliti e capirne il simbolismo, fa nascere intimamente domande cui possono rispondere soltanto coloro che non considerano l’icona un mero esercizio di pittura, ma un elemento della loro vita religiosa. da un punto di vista pratico, il corso si articola in sei sedute di circa 8 ore ciascuna e può essere residenziale (6 giorni consecutivi) oppure tre giornate di sabato al mese, per due mesi. Non è necessaria un’attrezzatura particolare per-ché il Centro di spiritualità e cultura, Piccole Suore S. famiglia, castelletto di brenzone (vR), mette a disposizione l’occorrente. La giornata tipo inizia sempre con la preghiera dei partecipanti cui fa seguito la lezione teorico-pratica con approfondimento dei contenuti teologici e del simbolismo dell’icona che si sta “scrivendo” oltre naturalmente, l’apprendere l’antica tecnica vera e propria della tempera all’uovo. Da tenere presente l’esperienza di gruppo che i partecipanti traggono dal corso, esperienza dove viene annullata qualsiasi forma di competizione rendendo tutti più disponibili considerando che solo nella condivisione gli uni possono migliorare gli altri. Un gruppo che prega e sottoscrive la propria preghiera è la circostanza che avvera, come Lui ha detto “… dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt.18,20).chi fosse interessato contatti: [email protected] - tel. 045 6598700

SPIRITUALITÀ CONDIVISA

Icona greca in mosaico del 1100 - Gesù misericordioso

Arricchimento spirituale

Proposta per un corso di iconografia

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18 NAZARETH 1 2016

Miei cari giovani amici,se voi vedeste la mia Bibbia, forse non ne sareste affatto colpiti. Direste: «Cosa?

Questa è la Bibbia del Papa? Un libro così vec-chio, così sciupato!». Potreste anche regalarmene una nuova, magari anche una da 1.000 euro: no, non la vorrei. Amo la mia vecchia Bibbia, quella che ha accompagnato metà della mia vita. Ha visto la mia gioia, è stata bagnata dalle mie lacri-me: è il mio inestimabile tesoro. Vivo di lei e per niente al mondo la darei via. La Bibbia per i gio-vani, che avete appena aperto, mi piace molto: è così vivace, così ricca di testimonianze di santi, di giovani, che fa venir voglia di leggerla d’un fiato, dall’inizio fino all’ultima pagina. E poi…? Poi la nascondete, sparisce sul ripiano di una libreria, magari dietro, in terza fila, finendo per riempirsi di polvere. Finché un giorno i vostri figli la ven-deranno al mercatino dell’usato. No: questo non può essere! Voglio dirvi una cosa: oggi, ancor più che agli inizi della Chiesa, i cristiani sono perse-guitati; qual è la ragione? Sono perseguitati per-ché portano una croce e danno testimonianza di Cristo; vengono condannati perché possiedono una Bibbia. Evidentemente la Bibbia è un libro estremamente pericoloso, così rischioso che in certi Paesi chi possiede una Bibbia viene tratta-to come se nascondesse nell’armadio bombe a mano! Mahatma Gandhi, che non era cristiano, una volta disse: «A voi cristiani è affidato un testo che ha in sé una quantità di dinamite sufficiente per far esplodere in mille pezzi la civiltà tutta in-tera, per mettere sottosopra il mondo e portare la pace in un pianeta devastato dalla guerra. Lo trat-tate però come se fosse semplicemente un’opera letteraria, niente di più». Che cosa tenete allora in mano? Un capolavoro letterario? Una raccolta di antiche e belle storie? In tal caso, bisognerebbe dire ai molti cristiani che si fanno incarcerare e torturare per la Bibbia: «Davvero stolti e poco av-veduti siete stati: è solo un’opera letteraria!». No, con la Parola di Dio la luce è venuta nel mon-do e mai più sarà spenta. Nella mia esortazione apostolica Evangelii gaudium ho scritto: «Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché re-

almente “Dio ha parlato, non è più il grande sco-nosciuto, ma ha mostrato se stesso”. Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata» (n. 175). Avete dunque tra le mani qualcosa di divino: un libro come fuoco, un libro nel quale Dio parla. Perciò ricordatevi: la Bibbia non è fatta per essere messa su uno scaffale, piuttosto è fatta per esse-re tenuta in mano, per essere letta spesso, ogni giorno, sia da soli sia in compagnia. Del resto in compagnia fate sport, andate a fare shopping; perché allora non leggere insieme, in due, in tre o in quattro, la Bibbia? Magari all’aperto, immersi nella natura, nel bosco, in riva al mare, la sera al lume di una candela… farete un’esperienza potente e sconvolgente. O forse avete paura di apparire ridicoli di fronte agli altri?Leggete con attenzione. Non rimanete in super-ficie, come si fa con un fumetto! La Parola di Dio non la si può semplicemente scorrere con lo sguardo! Domandatevi piuttosto: «Cosa dice questo al mio cuore? Attraverso queste parole, Dio mi sta parlando? Sta forse suscitando il mio anelito, la mia sete profonda? Cosa devo fare?». Solo così la Parola di Dio potrà dispiegare tutta la sua forza; solo così la nostra vita potrà trasfor-marsi, diventando piena e bella. Voglio confi-darvi come leggo la mia vecchia Bibbia: spesso la prendo, la leggo per un po’, poi la metto in disparte e mi lascio guardare dal Signore. Non sono io a guardare Lui, ma Lui guarda me: Dio è davvero lì, presente. Così mi lascio osservare da Lui e sento - e non è certo sentimentalismo -, percepisco nel più profondo ciò che il Signore mi dice. A volte non parla: e allora non sen-to niente, solo vuoto, vuoto, vuoto… Ma, pa-ziente, rimango là e lo attendo così, leggendo e pregando. Prego seduto, perché mi fa male stare in ginocchio. Talvolta, pregando, persino mi addormento, ma non fa niente: sono come un figlio vicino a suo padre, e questo è ciò che conta. Volete farmi felice? Leggete la Bibbia.

(Prefazione di Papa Francesco di un’edizione della Bibbia destinata ai giovani, i quali hanno collaborato a discutere e scriverne i commenti:

tratto da www.laciviltacattolica.it)

MAGISTERO

Lettera ai giovani di

PAPA fRANcESco

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23NAZARETH 1 2016

È stato l’arcivescovo di Cracovia, card. Sta-nislao Dziwisz, a presentare il logo e la preghiera ufficiali della 31a Giornata Mon-

diale della Gioventù, che si svolgerà nella città polacca dal 25 luglio al primo agosto 2016.Nella simbologia del logo si coniugano tre ele-menti: il luogo, i principali protagonisti e il tema della Giornata (“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”). L’immagine, nei colori rosso, blu e giallo-arancio che richiamano i colori ufficiali di Cracovia e del suo stemma, è compo-sta dai contorni geografici della Polonia, dentro i quali si trova la Croce. Un cerchio giallo-arancio segna la posizione di Cracovia nella mappa del Paese ed è anche simbolo dei giovani. Dalla Cro-ce esce la fiamma della Divina Misericordia.La preghiera ufficiale della Gmg di Cracovia 2016 è composta di tre parti: nella prima si affida l’u-manità e specialmente i giovani alla misericordia divina; nella seconda parte si chiede al Signore la grazia di un animo misericordioso; nella terza si chiede l’intercessione della Vergine Maria e di San Giovanni Paolo II, patrono delle Gmg.

PreghieraDio, Padre misericordioso,che hai rivelato il Tuo amore nel Figlio tuo Gesù Cristo,e l’hai riversato su di noi nello Spirito Santo, Consolatore,Ti affidiamo oggi i destini del mondo e di ogni uomo.Ti affidiamo in modo particolarei giovani di ogni lingua, popolo e nazione:guidali e proteggili lungo gli intricati sentieri del mondo di oggie dona loro la grazia di raccogliere frutti abbondantidall’esperienza, della Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia.Padre Celeste,rendici testimoni della Tua misericordia.Insegnaci a portare la fede ai dubbiosi,la speranza, agli scoraggiati,l’amore agli indifferenti;il perdono a chi ha fatto del malee la gioia agli infelici.Fa’ che la scintilla dell’amore misericordiosoche hai acceso dentro di noidiventi un fuoco che trasforma i cuorie rinnova la faccia della terra.Maria, Madre di Misericordia, prega per noi.San Giovanni Paolo II, prega per noi.

Era l’inizio dell’Avvento 2014 quando papa Francesco apriva l’Anno della vita consa-crata: il 29 novembre, con una veglia di

preghiera nella Basilica di Santa Maria Maggio-re a Roma e il giorno successivo con la Messa nella Basilica di San Pietro. Questo “cammino” dedicato alla riflessione sulle speciali vocazio-ni di consacrazione al Signore si è concluso il 2 febbraio 2016 con l’Eucaristia presieduta dal Papa. Nell’omelia ha ricordato ai consacrati e consacrate che sono chiamati ad essere “uomi-ni e donne dell’incontro”, a rimanere “custodi dello stupore” e ad imparare a vivere la “gra-

titudine” per il loro incontro con Gesù e per “il dono della vocazione”. Negli ultimi mesi si erano alternati incontri, momenti di preghiera e seminari. Inoltre sono da segnalare a Roma, nel gennaio 2015, il Colloquio ecumenico di reli-giosi e religiose; ad aprile il seminario per i for-matori; e lo scorso settembre il laboratorio per i giovani e le giovani consacrate. L’Anno ha fatto tappa anche nel mondo. L’8 dicembre 2014 si è tenuta la Catena di preghiera nei monasteri dei diversi Continenti, mentre lo scorso 26 settem-bre 2015 è stata celebrata la memoria dei santi e dei martiri della vita consacrata.

Verso la gmg 2016

L’ANNo SPEciAlEV

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Il significato del Logo e della preghiera

Dall’Avvento 2014 - al 2 febbraio 2016: un cammino di preghiera, riflessione e incontro

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24 NAZARETH 1 2016

“L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe es-

sere avvolto dalla tenerezza con cui si indiriz-za ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia”. È questo uno dei pas-saggi della Bolla di indizione del Giubileo stra-ordinario della Misericordia, che si concluderà il 20 novembre 2016, festa di Cristo Re. Ma la misericordia, citando la Bolla, non è solamente architrave, contenuto di una azione partorale o tenera testimonianza, è innnazitutto un volto, IL volto, quello di Cristo, come ha suggerito mons. Rino Fisichella il luglio 2015 durante l’udienza nell’Aula Paolo VI a Roma.Tra i tanti volti di Cristo, quello a mio avviso più miseriordioso è il volto della Sindone, sa-cra raffigurazione nota a tutti e delle cui ripro-duzioni vorrei qui presentare quella firmata da Nino Mezzaro, grafico pittore e scultore della mia città.Nino Mezzaro nasce a Ferrara nel 1932. Dopo il Liceo, frequenta l’Accademia di Belle Arti nella Bologna anni ’50, per poi dedicarsi all’insegna-mento delle materie artistiche fino al 1982. Il suo operato ha avuto riconoscimenti ufficiali come nel 2000, quando il cardinale Fiorenzo Angelini - fondatore dell’Istituto internazionale di ricerca sul volto di Cristo - ha voluto che due opere di Nino Mezzaro fossero inserite nel volume Il vol-to dei volti: Cristo, riedito a distanza di due anni con l’aggiunta di altre sue opere. Mezzaro era un artista a tutto tondo che con poliedricità sapeva passare dagli olii alle piro-grafie, dai carboncini ai pennelli con una di-sinvoltura e una tecnica contraddistinta da un rigore di forma per certi versi geometrico che, nonostante il tratto deciso e spigoloso, era tutta-via in grado di far trasparire emozioni e intensa spiritualità. Uno stile curato e sensibile, quello di Mezzaro, al confine tra la fisica delle forme e la loro metafisica al contempo, lo stile “giusto” per indagare il mistero divino del creato e della misericordia di Cristo.Tale sensibilità è tutta condensata in questa opera: essenziale nella forma e nel colore, ma

espressivamente ricca. Circa il colore, sono due quelli che predominano. Il primo è un ceruleo, dello sfondo, così come cerulei sono gli occhi e come lo sono alcune ciocche dei capelli e delle barba; il secondo colore è il rosso della veste, è la tinta della passione e della sofferenza del-la croce, altro tema ricorrente nella produzione dell’artista.Per quanto riguarda, invece, l’espressività ciò che di questo volto lo rende misericordioso è, a mio parere, lo sguardo e la posa. Lo sguardo ap-parentemente perso nel vuoto, che non squadra frontalmente lo spettatore ma che comunque gli presta attenzione; lo stesso dicasi della posa, leggermente di sbieco. In questi occhi che guardano il fedele senza però fissarlo, in questa posa che si fa accoglien-te, mettendosi quasi di tre quarti, come a por-gere l’orecchio alle sue preghiere, possiamo co-gliere la misericordia del Padre.

Giulio Biondi

Un’ “icoNA” di Nino Mezzaro

VOCE GIOVANI

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“Il tempo è compiuto” (Mc 1,15): il tem-po di eventi decisivi per ciascuno di noi e per l’umanità, il tempo del compiersi

della promessa di Dio, il tempo della venuta tra noi e in noi di Gesù Cristo, “il volto della mi-sericordia del Padre” (MV 1), il tempo di grazia dell’anno giubilare. Oggi, per noi il tempo è compiuto, perché oggi Cristo ci rivela la prossi-mità di Dio e ci chiede di fare spazio a lui nella nostra vita, di lasciarci liberare da tante schiavi-tù, miserie e paure, guarire da tante ferite, lace-razioni e divisioni. “Conversione e fede” sono i gesti che rendono contemporaneo per noi l’e-vento storico della salvezza e lo rendono con-temporaneo ad ogni persona che, convertendo-si e credendo al Vangelo, accetta di mettersi,“in uscita”, alla sequela di Cristo Signore. È l’espe-rienza vissuta dai nostri Fondatori, i beati Giu-seppe Nascimbeni e Maria Domenica Mantova-ni: “il tempo è compiuto” per noi, hanno detto con la vita, con il porsi in atteggiamento di fede profonda, con il lasciarsi penetrare dall’amore di Dio, affidandosi totalmente alla sua “immen-sa bontà e misericordia”. Misericordia che è an-cora concessione di Dio all’uomo peccatore (cfr Nascimbeni Pan. p. 3), da ottenere pagandone il prezzo: con “pura fede e umiltà”, “confidenza e schiettezza”, diligenza perfetta “un giorno me-glio dell’altro”. Al loro tempo si pensava doves-se essere ancora l’uomo a “meritarsi” l’amore di Dio, la salvezza. Tuttavia non le tante pratiche di pietà, le ore di adorazione, le tante Comu-nioni, le tante visite, le tante ore di Adorazione, i tanti ritiri ed esercizi spirituali valgono ad ot-tenerla, se disgiunti da una fede vivissima e da un amore ardente (cfr. B. Nascimbeni, in Circ. p. 66). Un amore da conquistare, ma indicativo di un cammino spirituale e di una conversione costantemente in atto nella autentica ricerca di Dio, della comunione con lui che porta a farsi carico del fratello peccatore, a credere per pri-mi che “disperare del perdono dei peccati… è grave peccato contro lo Spirito Santo” (Pan. p. 131). Per questo “l’abbandono totale nella mi-sericordia infinita di Dio” è per il Nascimbeni e per la Mantovani l’atto di fede continuamen-te rinnovato nell’amore infinito del Padre, è la

forza del credere in se stessi, del valorizzare le proprie risorse, dell’operare e del donare la propria vita per il bene. Allora il “Salvare ani-me” diventa l’obiettivo di ogni loro pensiero, gesto e azione e la loro prima ed unica preoc-cupazione è, come deve essere per ogni Piccola Suora, l’annuncio della “riconciliazione offerta da Dio a tutti gli uomini”, della novità della pa-squa penetrata, come forza di vita, di salvezza, di riconciliazione, dentro le vicende e la storia degli uomini e delle donne di ogni tempo. Da qui la lotta contro il male, contro ogni ingiu-stizia, ogni sfruttamento, ogni menzogna “che sfigura il volto dell’uomo”; da qui il dono totale di sé, il servizio instancabile, perché ciascuno possa sperimentare che il male è definitivamen-te vinto e Dio è misericordia per tutti. Le “opere di misericordia” diventano espressione e prova dell’autenticità di questo amore che i Fondatori hanno mostrato rispondendo ad ogni “bisogno materiale e spirituale del povero popolo”. Solo in un caso parlano di “opere di misericordia”, quando le Suore vengono mandate a curare i fe-riti della guerra: “A molte di voi è stato affidato o sarà affidato il grandissimo onore di assistere i poveri ammalati ed i valorosi feriti. È un ufficio di grande misericordia: fatelo con tutto l’entu-siasmo del vostro cuore. Ricordate le parole del nostro caro Gesù: Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia. Siate tutte viscere di compassione per questi poveri infelici e curan-do il corpo abbiate premura delle loro anime” (Circ. 6/15 p. 32). Tuttavia la loro vita e la vita dell’Istituto da loro fondato, fin dall’inizio, è sta-ta dedicata a mostrare “che la misericordia è il volto del Dio di Gesù”, prendendosi cura di ogni fratello, per soddisfare i bisogni materiali (ospedali, case di riposo, orfanatrofi…) e spiri-tuali (scuole, parrocchie…), senza disgiungere gli uni dagli altri e senza particolari preferenze, cercando di portare sollievo a quanti doveva-no e devono ancor oggi, in forme ancora più drammatiche, trovare senso “alla fatica del vive-re”, a riattivare “tutte le corde dell’umano” per ascoltare “la musica della gioia del Vangelo”.

G.T.

CA

RIS

MA

“Il TEmPo è comPiuTo”

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Non mancano, certo, nel Vangelo episodi in cui Gesù mostra il volto di educatore.Anche nel racconto dei due discepoli di

Emmaus, ad esempio, Gesù è il Maestro che apre la mente dei discepoli e scalda loro il cuore spie-gando «in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 4,27). Nella prima moltiplicazione dei pani, però, Gesù è presentato come il pastore del tem-po ultimo, il depositario della premura di Dio per il suo popolo. Alla luce di Cristo, compimento di tutta la rivelazione, possiamo leggere nella storia della salvezza il progetto di Dio che educa il suo popolo. Ripercorriamone le tappe fondamentali.L’esodo dall’Egitto è il tempo della formazione d’Israele, perché, accogliendo e mettendo in pratica i comandamenti di Dio, diventi il popolo dell’alleanza (cfr Dt 8,1). Il cammino nel deser-to ha un carattere esemplare: le crisi, la fame e la sete, sono descritte come atti educativi, «per sapere quello che avevi nel cuore… per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,2-3). L’esortazione divina crea la consapevolezza interiore: «Riconosci dunque in cuor tuo che, come un uomo corregge il figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te» (Dt 8,5).Anche nell’annuncio dei profeti la storia è in-

tesa come un cammino educativo, segnato da conflitti e riconciliazioni, perdite e ritrovamenti, tensioni e incontri. Come negli scritti sapienziali, Dio è presentato attraverso le figure del padre, della madre e del maestro.L’immagine paterna è proposta dal profeta Osea. Il Signore ama e perciò chiama il suo fi-glio, Israele: gli insegna a camminare, lo prende in braccio e lo cura, lo attrae a sé con legami di bontà e vincoli d’amore, lo solleva alla guancia e si china per nutrirlo, mettendo in conto anche i fallimenti (cfr Os 11,3-4).Isaia, a sua volta, propone un’immagine mater-na di toccante tenerezza: «Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete acca-rezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati» (Is 66,12-13).Nel libro del Siracide, infine, Dio appare come educatore attraverso la mediazione degli uomi-ni, specialmente nella relazione fra maestro e di-scepolo. Il maestro si sente padre del discepolo, che chiama «figlio mio»; gli si presenta anzitutto come innamorato della sapienza e gli si propo-ne come modello (cfr Sir 24,30-34), esortandolo a seguirlo con zelo e a frequentarlo ogni giorno, fino a consumare la soglia della sua casa (cfr Sir

CEI - ORIENTAMENTI PASTORALI

Gesù mostra il volto

EducAToRE del PAdREDio educa il suo popolo. Da: “Educare alla vita buona del Vangelo” in un mondo che cambia, n. 19

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51,23-27). Nell’opera d’insegnamento egli gene-ra il giovane discepolo, aiutandolo a diventare adulto, capace di giudicare e di scegliere.Nella storia della salvezza, dunque, si manifesta-no la guida provvidenziale di Dio e la sua peda-gogia misericordiosa, che raggiungono la pienez-za in Gesù Cristo; in lui trovano compimento e risplendono la legge e i profeti (cfr Mc 9,2-10). È Lui il Maestro alla cui scuola riscoprire il compito educativo come un’altissima vocazione alla quale ogni fedele, con diverse modalità, è chiamato.Gesù Cristo è la via, che conduce ciascuno alla piena realizzazione di sé secondo il disegno di Dio. È la verità, che rivela l’uomo a se stesso e

ne guida il cammino di crescita nella libertà. È la vita, perché in lui ogni uomo trova il senso ultimo del suo esistere e del suo operare: la pie-na comunione di amore con Dio nell’eternità.Prima di ritornare al Padre, Gesù promette ai suoi discepoli il dono dello Spirito Santo, attra-verso il quale continuerà la sua opera educativa. Lo Spirito di verità è mandato per aiutare coloro che lo riceveranno a comprendere e interioriz-zare tutto quello che Gesù ha detto e insegnato e per parlare delle cose future (cfr Gv 16,13).

Conferenza Episcopale ItalianaOrientamenti pastorali per il decennio 2010-2020

“Perché la sete d’infinito?Perché la fame di immortalità?Sei Tu che hai messo dentro l’uomoIl desiderio dell’eternità”

Le parole di questo canto mi fanno riflettere sull’inquietudine presente nel cuore di ogni uomo. Nei giovani in particolare è un’in-

quietudine piena di desiderio. È tipico dei giovani proiettarsi nel futuro desiderando; è il loro quasi un desiderio assoluto di impadronirsi delle infi-nite possibilità presenti, ma anche di esprimere tutto il potenziale che sentono di avere, di essere.Conosciamo però anche adulti mai contenti: quelli che devono avere l’ultimo modello di… qualunque cosa sia, basta sia l’ultimo uscito sul mercato. A questo proposito i modelli televisivi sono ottimi suggeritori. Ma perché questo anelito? Sembra che il nostro cuore non possa mai essere contento fino in fondo. “Il nostro cuore non trova pace” sono le parole di un altro canto.Cosa cerchiamo? L’assoluto nel quotidiano? Cer-chiamo qualcosa che ci faccia incontrare gli altri in una relazione più vera, e che possa riempire il nostro cuore. Cerchiamo Amore. Ho visitato una mostra fotografica allestita dai ragazzi della mia parrocchia che l’estate scorsa si sono recati ad Auschwitz. Le loro riflessioni esprimevano la convinzione che solo l’amore possa sconfiggere il male, e solo un amore as-

soluto un male assoluto.È l’amore che noi mettiamo nell’incontro con gli altri che può riempire i cuori, anche nei piccoli gesti quotidiani.Questo anno della Misericordia ci ricorda che anche Dio ha un’inquietudine ed un desiderio: desidera noi. Ed è un desiderio che si trasforma in attesa, “lampada accesa per te”.

Franca

PERcHé… PERcHé?

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TE

ST

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Quando penso a questo Nuovo Anno, che Papa Francesco ha voluto “affidare” alla Misericordia, i miei pensieri corro-

no subito alla “Bontà del cuore”… a quella Bon-tà che Gesù ha donato e dona continuamente a ciascuno di noi, e quella che anche noi siamo chiamati a donare gratuitamente agli altri.È vero, questo nostro tempo è colmo di gra-vi e inquietanti avvenimenti: c’è tanta violenza, competizione, aggressività, antagonismo nelle relazioni umane! tanta ricerca del potere e della ricchezza a ogni costo! tanti soprusi e indifferen-za! Ed è facile cedere alla tentazione dello sco-raggiamento e dello sconforto, al punto da chie-derci: “Che ne è della Bontà, ovvero di quella pazienza del bene che, nella verità, risponde in modo esemplare al tanto male presente nelle vi-cende umane?… che ne è di quella Bontà di cui anche il mondo odierno non può fare a meno?”.Ma a guardar bene, anche oggi, ci sono tanti fra-telli e sorelle che sono capaci di farci intravvede-re il Volto buono del Padre, con la testimonianza della propria vita. Sono coloro che, in silenzio e quasi in punta dei piedi, si fanno carico di assi-stere le persone malate, custodiscono la vita dei “poveri e dei piccoli”, si dedicano al recupero di giovani disadattati, di ragazze sfruttate, di alcolisti o “drogati”, di carcerati o disabili. Ma sono anche coloro che, nella quotidianità del proprio lavoro, qualunque esso sia, vanno oltre il proprio dovere professionale e cercano di aiutare sinceramente il prossimo negli uffici, nelle scuole, negli ospedali, in famiglia, in fabbrica.Si tratta di una forma silenziosa, non vistosa, nascosta di Bontà che, proprio per questo suo anonimato, è tanto preziosa agli occhi di Dio. Essa rappresenta una risposta chiara e inequivo-cabile a tante guerre, attentati, assassini, crimi-

ni, di cui la stampa e la televisione ci rendono sconsolati testimoni.È più facile riconoscere la Bontà che definirla! Quante volte incontrando per la prima volta una persona la riconosciamo subito come “buona”, quasi ci fosse in essa una luminosità invisibile che solo la nostra anima riesce a percepire! Certamente la Bontà è un valore che non fa ru-more, non si impone, non “parla di sé”… è come il pane: genuina, semplice, mite, aperta alla con-divisione, essenziale, gustosa, profumata… di un profumo che sa di casa, di affetti e di amore! Si racconta che S. Giovanni Bosco, all’età di otto anni, aveva un compagno, un certo Secondo Mat-ta, che faceva il “servitore” in una fattoria vicina. Questi, di solito riceveva per colazione un pezzo di pane nero, mentre Giovanni riceveva da mam-ma Margherita una bella fetta di pane bianco. Un bel giorno Giovanni disse a Matta: - Mi fai un piacere? - Volentieri, rispose il compagno.- Vuoi che facciamo lo scambio del pane? - E perché? rispose Matta. - Perché il tuo pane deve essere più buono del mio, e mi piace di più - disse Giovanni. Matta, nella sua infantile semplicità, credette che Giovanni reputasse realmente più gustoso il suo pane nero e, facendogli gola il pane bianco dell’a-mico, volentieri accettò quella permuta. Da quel giorno, tutte le volte che al mattino s’incontravano in quel prato, facevano lo scambio del pane...Incontrarci ogni giorno, con Gesù e i fratelli, per “scambiarci il pane”: non sta forse qui il senso di questo nuovo anno giubilare? È un dono che possiamo chiedere, con tutto il cuore! E stiamo certi che Gesù non vede l’ora di offrirci la Sua fetta di pane bianco!

Emma Provoli

Riconoscere e vivere la boNTàChe ne è della Bontà, ovvero di quella pazienza del bene che, nella verità, risponde in modo esemplare al tanto male presente nelle vicende umane?

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29NAZARETH 1 2016

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Premessa

A chi legge questi pen-sieri, voglio dire che ho scelto questa via

per essergli vicina. Sono una donna come tante, che ha fa-miglia, che lavora, ma che non può restare indifferente dinan-zi a situazioni di disagio e di sofferenza. Avendo sperimen-tato la sofferenza fisica, pos-so dire che in quei momenti ci si sente davvero vulnerabili e che non si ha solo paura di morire, ma un timore velato e profondo anche di vivere, di credere in un domani in-certo; si teme di rientrare nel sociale, sfidando i pensieri e gli sguardi altrui, il dubbio di cedere sotto il peso della routine quotidiana crea incertezza e disagio. Da tempo avverto l’esigenza di dedicare qualcosa agli altri, ed ho scelto la via della condivisione, cercando le parole “nel cuore del cuore”, fiduciosa che chi legge, volga la sua attenzione al contenuto piuttosto che allo stile. Ogni poesia scaturisce da un vissuto, scolpito nella memoria, come se ogni attimo prima o poi dovesse dire qualcosa di importante ed unico, dovesse maturare nel silenzio, e finalmente svelare, non senza trepi-dazione, una miriade di sensazioni...Contemplare l’Invisibile, celebrare il valore dell’amicizia, cercare attimi di pace, sono i mo-tivi ispiratori di questi pensieri, che s’intreccia-no e s’incanalano in cento sfumature diverse, ognuna rivelatrice di un riflesso particolare. Il primo capitolo “Ascolta la vita” sottolinea mo-menti belli, di gioia, di pace e d’infinito che l’uo-mo cerca per vivere meglio. La parte centrale racconta sofferenza e solitudine, ma anche la speranza, che si traduce nella ricerca continua dell’Assoluto. L’ultima parte, “Voci della natura”, mette in risalto che, se ascoltata con attenzione, la natura riconduce alla Fonte, alle Voci profe-tiche. Cardonnel, interpretando una delle più profonde aspirazioni umane, scrisse:

“Io avrò in avvenire solo il vol-to di quell’amicizia universale di cui sono per sempre cele-brante”. È vero che, nella misura in cui si tenta di vivere e diffondere questi valori, si riesce anche a trasmetterli ad altri, e... gli altri ad altri ancora, in una rete di gesti e parole, che si propaga-no come l’onda, uguale e fe-dele nel suo mare. Puoi condividere esperienze di vita, emozioni, e riflessioni con altri lettori sul sito: www.GiovaneDonna.it

fratelloUomo... senza nome / chi sei? / La tua mano co-raggiosa e impaurita / attende e spera... / Dai pas-santi giungono / poche monete e tanto gelo. / Io ti vorrei aiutare / ma non so... mille dubbi / oscu-rano in un attimo / la segreta speranza di entram-bi. / Nel frattempo, mille pensieri, / lanciati come ancora / nel mare d’incertezze: / siamo uno di fronte all’altra, / eppure lontani, / diverse le nostre vite / e il nostro passato, / unico linguaggio che ci accomuna: / lo sguardo. / Un magnetico richiamo / ha incrociato i nostri occhi, / per un istante ha fermato i passi, / sei ancora sconosciuto, / ma il tuo grido disperato / ha ferito il mio cuore, / e, al di là di ogni dubbio, / ti è diventato amico.

Marcella Rossetto

Signore del cielo e della terratutto parla di te lascia che io ti ringraziprima di procedere nel camminolascia che io cantiil sole vespertinoche lastrica d’oro questa gran gemma di lagoOcchieggiante tra fronde d’ulivola mia preghiera salga a tecome gabbiano

Carlo Micucci

In attesa dell’AlbAMessaggi di vita

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30 NAZARETH 1 2016

Per l’occasione del quinto anniversario, il centro medico-sociale (CMS) Suor Pura Pagani ha organizzato una serie di attivi-

tà che si sono protratte lungo una settimana. Il tutto è cominciato con una Messa di apertura la domenica 20 settembre 2015 nella cappella di San Giovanni Battista di Yokoé con la presenza di tutto il personale e di tutte le suore. In se-guito, una giornata di analisi mediche gratuite, martedì 22 settembre. Si sono presentati più di 200 pazienti venuti da ogni dove per il controllo del VIH, del diabetee e della pressione. Il ve-nerdì ha avuto luogo un incontro di formazione

sul tema: «Il bilancio della salute» presentato da alcuni membri del personale del Centro.Tale in-contro formativo aveva lo scopo di sensibilizzare la popolazione a non aspettare la manifestazio-ne della malattia prima di presentarsi al Centro per curarsi, ma piuttosto a prevenirla, facendo periodicamente un bilancio della salute. Sembra costoso, ma non deve essere trascurato poichè è più costoso curare le malattie quando si presen-tano allo stato grave. Dopo l’ incontro, un dibat-tito animato anche di inquietudini e lamentele.Nel programma previsto, il Centro ha pensato anche ad attività di distensione e di allegria, sapendo che ciò contribuisce a mantenere una buona salute. Così si è giocato una partita di calcio in un clima di fraternità. Da una parte le Piccole Suore della Sacra Famiglia e il personale femminile del Centro: uno a zero in favore delle Suore. D’altra parte, i guardiani delle Suore con il personale maschile del Centro: hanno vinto quest’ultimi per uno a zero. La settimana si è conclusa domenica 27 settembre con un pran-zo festoso che ha visto insieme personale, suo-re, guardiani; e un grande concerto spirituale animato da tre corali, due vedette del vangelo e le suore nel pomeriggio. Questo concerto ha avuto un grande successo grazie all’impegno di ogni partecipante e alla presenza di un nume-roso pubblico, più di 300 persone che hanno goduto per i canti e le danze. Per finire, un rin-fresco e la consegna di un ricordo portachiavi a ciascuno dei presenti.

LE PSSF IN MISSIONE

dAl TogoA servizio per amore

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31NAZARETH 1 2016

A parte le attività pastorali nella parrocchia e nelle cappelle, il Centro medico-sociale suor Pura Pagani è la prima e l’unica opera nella quale intervengono le piccole Suore, ragione per cui questo anniversario ha interessato molte persone. Attraverso queste attività, il Centro ha guadagnato visibilità.È comune desiderio di servire con amore a bene di tanti poveri che possono trovare un luogo e le cure necessarie. Il nostro grazie all’Istituto e a tutti i benefattori per il sostegno finanziario e morale.

Il personale del Centro

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32 NAZARETH 1 2016

In occasione del decimo anniversario del “Proget-to Famiglia”, con “il per-

corso nascita e il percorso crescita”, si è svolto a Bo-logna un Convegno, con la partecipazione di don Mas-simo Cassani, vicario dioce-sano della pastorale fami-liare, del dott. Dario Segni, psicologo e psicoterapeuta e del dott. Giuseppe Man-giafico, ginecologo. Il tema: “La famiglia: radi-ci e ali di speranza” è stato sviluppato ampiamente, a più voci. Buona la parteci-pazione. Sono state affron-tate diverse problematiche, a partire dalla situazione di grande disagio globalizzato della famiglia in tutto il mondo, ma soprattutto in Italia. Sono stati approfonditi due aspetti della crisi: il forte individualismo e il venir meno della fede. Tutti e tre i relatori hanno fatto emergere il valore della famiglia, che rimane “scuola di umanità”. Anzi c’è la convinzione che i giovani coltivino il “desiderio di famiglia”. L’uomo infatti non è un essere autosufficiente, ha bisogno di porsi in relazione con un altro, con gli altri: è un essere “relazionale”. L’uomo è stato creato per amare. Dunque la famiglia è il luogo dove il singolo essere umano fa esperienza di amore, fin dagli inizi della vita. E proprio questo suo essere come famiglia “il santuario dell’amore”, che la rende anche luogo di speranza.In questo periodo storico le famiglie si stanno disperdendo, si dividono e si ricompongono, creando sofferenza. È necessario un supporto di aiuto, un accompagnamento soprattutto nel passaggio dalla fase coniugale a quella genito-

riale. Il tempo dell’attesa di un figlio, infatti, per la cop-pia è un momento di tra-formazione e di passaggio dall’io-tu, al noi.Il “Progetto Famiglia” della Casa di cura, delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, in Bologna, è stato proprio pensato per aiutare le cop-pie a fronteggiare le diffi-coltà che spesso si incontra-no nei momenti particolari della gravidanza, del parto e del primo anno di vita del bambino. Tutta l’équipe di esperti, nei vari ambiti, si propone come strumento di prevenzione primaria e di promozione della salute, tesa a ridurre il rischio del

disagio psico-emozionale e accrescere lo stato di benessere della madre, del padre e del figlio. L’obiettivo centrale del Progetto è quello di accompagnare le coppie nella transizione alla genitorialità, sostenendole con servizi, compe-tenze e capacità necessarie per prendersi cura in modo responsabile dei figli. L’intervento si sviluppa in due momenti: tempo di attesa per la gravidanza e tempo dell’incontro per accom-pagnare, dalla nascita, al primo anno di vita. Gli operatori contribuiscono a sviluppare una nuova responsabilità nei genitori, sensibilizzan-doli ad una più consapevole percezione e co-noscenza del nascituro: prima, durante e dopo la nascita. L’esperienza dei dieci anni di cam-mino e di servizio consente di confermarne le attese: le famiglie sane sono garanzia di una società sana.

Gianni Zingrilli

LE PSSF IN MISSIONE

La fAmigliA:

radici e ali di SPERANZAConvegno alla Casa di cura “Madre Fortunata Toniolo”BO - 14.11.2015

Incontro e Dibattito con:

Don MassiMo CassaniVicario diocesano della Pastorale Famigliare

Dott. Dario seghi Psicologo e psicoterapeuta

Dott. giuseppe MangiafiCo Ginecologo, fondatore del Progetto Famiglia

SABATO 14 NOVEMBRE ore 16,00

Seguirà un buffet offerto dalle Piccole Suore della Sacra Famigliadella Casa di Cura “M.F. Toniolo”

CASA DI CURA TONIOLOSala Convegni - 4° Piano

Via Toscana, 34Bologna

PER INFORMAZIONI E ADESIONE:Casa di Cura Toniolo: 051 6222111 - 6222528

LA FAMIGLIA:RADICI E ALI DI SPERANZA

Se un albero dovesse scrivere la propria autobiografia,questa non sarebbe troppo dissimile da quella di una famiglia umana.

K. Gibran

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33NAZARETH 1 2016

LE NOSTRE LE NOSTRE

Incontri in gravidanza e percorso pre-partoDal secondo trimestre della gravidanza per sostenere la donna e la coppia nel comprendere i passaggi essenziali che accadono a partire dai primi mesi di gestazione fino all’evento nascita.

Spazio coppia Per promuovere le risorse utili a sostenere il cambiamen-to che la coppia si trova ad affrontare nel corso della gra-vidanza.

Spazio padrePer dare spazio e valore alle competenze del padre, figura insostituibile in gravidanza e nel momento del parto, per promuovere il benessere della madre e del bambino.

Spazio educazionePer conoscere e sviluppare le principali strategie educati-ve fin dalla gravidanza per sostenere la crescita e il benes-sere del bambino.

Spazio yoga/tecnichedi rilassamento per la donna e la coppiaPer accrescere il benessere psicofisico della donna e/o della coppia attraverso dolci esecizi corporei, respiratori e pratiche specifiche di rilassamento.

TEMPO DELLE COCCOLEPer condividere e scambiarsi informazioni, suggerimenti e strategie utili ad affrontare le diverse situazioni che si presentano nella quotidianità a partire dai primi giorni dalla nascita.

YOGA/TECNICHE DI RILASSAMENTOPER NEO MAMMEPer favorire l’equilibrio del corpo e sviluppare il benesse-re psico fisico dopo il parto.

SPAZIO PEDIATRICO Per favorire il dialogo e il confronto con i genitori su tut-to quanto può giovare alla salute e alla crescita del loro piccolo.

SPAZIO/LABORATORIO EDUCAZIONEPer aiutare i genitori a sviluppare la loro funzione educa-tiva cercando di comprendere quello che i figli vivono e sperimentano. Per tracciare alcune direzioni che aiutino a gestire al me-glio le difficoltà che si incontrano nel corso della crescita del proprio bambino. Per “imparare a giocare” e presentare attività ricreative al proprio figlio.

SPAZIO PADREPer favorire il confronto e lo scambio di esperienze tra padri.

SPAZIO COPPIAPer orientare la coppia nella ricerca di nuove risorse fa-miliari.

FINALITÀ PROPOSTELagravidanzavieneosservataepromossacomeunodei principali momenti fondanti la famiglia; in essa il figlio rappresenta una tra le più significative realtà che legano la coppia.

Il“progettofamiglia”siproponecomepercorsoedu- cativo che accompagna la coppia durante i nove mesi di gestazione, nel periodo successivo al parto (esogestazione)eneiprimiannidivitadelbambino.Attraverso l’integrazione delle diverse competenze mediche, ostetriche e pedagogiche si perseguono le seguenti finalità:

• Accogliere la coppia in attesa del proprio figlio e porre attenzione al suo divenire famiglia;• Potenziare il processo di salute della donna duran-te la gravidanza e l’esogestazione, promuovendo in lei la consapevolezza delle proprie risorse;• Stimolare il processo di conoscenza ed ascolto di sé e del proprio bambino;• Sostenere i neo genitori nel cambiamento della loro vita;

• Pruomovere il ruolo genitoriale attraverso la cono-scenza dello sviluppo psicologico del bambino nei primi e più importanti anni della sua vita;• Favorire la costruzione di una rete tra mamme e coppie, promuovendo momenti di scambio e di confronto per combattere la solitudine post partum.

La gravidanza, l’esogestazione, i primi anni di vitadel bambino, vissuti con consapevolezza, permetto-no alla coppia di affrontare la complessità del ruolo genitoriale.

L’ATTESA,LA GRAVIDANZA

DOPO IL PARTO PER NEO GENITORI

L’ E Q U I P E :“i tuoi compagni di viaggio”

Ginecologo

Ostetrica

Pedagogista

Counsellor

Pediatraperc

orso

nas

cita

LE PSSF IN MISSIONE

La Casa di Cura “Madre Fortunata Toniolo” appar-

tiene alla Congregazione delle Piccole Suore della

Sacra Famiglia.

È sorta nel 1956 per volontà di Suor Lamberta Bonora

perché “l’ammalato venisse accolto e trattato come

persona meritevole di ogni riguardo e rispetto”.

La Casa di Cura dispone di 180 posti letto e di una

struttura polispecialistica, con reparti di degenza,

servizi di diagnosi e cura ed ambulatori medici.

Non è convenzionata con il Servizio Sanitario Nazio-

nale, ma ha convenzioni con numerose compagnie

assicurative.

La Casa di Cura è certificata secondo le norme

UNI EN ISO 9001:2008

PROGETTO FAMIGLIA

PERCORSO NASCITA EPERCORSO CRESCITA

Per informazioni e iscrizioni

contattare telefonicamente

il servizio di segreteria

dal lunedì al venerdì

dalle 15 alle 19

o inviare SMS per essere

ricontattati: 3316894386

INDICAZIONI E MODALITÀDI ISCRIZIONE

Casa di Cura Madre Fortunata Toniolo

40141 Bologna - Via Toscana, 34

Tel. 051 6222111 - Fax 051 478499

www.casacuratoniolo.it - [email protected]

Informazioni e prenotazionida lunedì al venerdì: dalle 8,00 alle 19,00

sabato: dalle 8,00 alle 13,00

Tel. 051 6222008 - Centralino 051 6222111

Come arrivarein auto da Modena

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Svoltare a destra, seguire Via Ponchielli fino all’incrocio con

Via Toscana

in auto da Ancona

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e Via Benedetto Marcello. Svoltare a destra, seguire Via Ponchielli

fino all’incrocio con Via Toscana

con mezzi pubblici

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il Bus n. 13 per fermata “Villa Mazzacorati” in Via Toscana

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Prendere il Bus 13. Scendere alla fermata di Villa Mazzacorati

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È possibile iscriversi agli incontri:

IN GRAVIDANZA EPERCORSO PREPARTO

a partire dal secondo trimestre

di gravidanza.

Per conoscere le date di inizio

dei percorsi contattare la

Segreteria del “Progetto Famiglia”.

I CORSI DOPO IL PARTO

sono rivolti alle famiglie con bambini

dalla nascita fino al compimento

del primo anno.

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34 NAZARETH 1 2016

...Sono particolarmente lieto che la mia visita pastorale coincida con l’apertura nel vostro Paese di que-

sto Anno Giubilare. A partire da questa Catte-drale, con il cuore ed il pensiero vorrei raggiun-gere con affetto tutti i sacerdoti, i consacrati, gli operatori pastorali di questo Paese, spiritual-mente uniti a noi in questo momento. Attraverso di voi, vorrei salutare anche tutti i Centrafricani, i malati, le persone anziane, i feriti dalla vita. Alcuni di loro sono forse disperati e non hanno più nemmeno la forza di agire, e aspettano solo un’elemosina, l’elemosina del pane, l’elemosina della giustizia, l’elemosina di un gesto di atten-zione e di bontà. E tutti noi aspettiamo la grazia, l’elemosina della pace.Ma come gli apostoli Pietro e Giovanni che sa-livano al tempio, e che non avevano né oro né argento da dare al paralitico bisognoso, vengo ad offrire loro la forza e la potenza di Dio che guariscono l’uomo, lo fanno rialzare e lo rendo-no capace di cominciare una nuova vita, “pas-sando all’altra riva” (cfr Lc 8,22).Gesù non ci manda soli all’altra riva, ma ci invita piuttosto a compiere la traversata insieme a Lui, rispondendo, ciascuno, a una vocazione speci-fica. Dobbiamo perciò essere consapevoli che questo passaggio all’altra riva non si può fare se non con Lui, liberandoci dalle concezioni della

giubilEo della misericordia:

da bANgui e RomAa tutto il moNdoBangui capitale spirituale del mondo. Nel suo primo viaggiodi sei giorni nel grande continente africano (25-30 novembre2015) Papa Francesco ha visitato tre paesi: il Kenya, l’Uganda e la Repubblica Centrafricana. Lunedì 30 novem-bre, a Bangui, ha aperto la Porta Santa nella Cattedrale: una introduzione significativa al Giubileo della Misericordia. Ecco alcuni passaggi dell’omelia di Papa Francesco

IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

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35NAZARETH 1 2016

Tra poco avrò la gioia di aprire la Porta Santa della Misericordia. Compiamo que-sto gesto - come ho fatto a Bangui - tanto

semplice quanto fortemente simbolico, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, e che pone in primo piano il primato della grazia. Ciò che ritorna più volte in queste Letture, infatti, ri-manda a quell’espressione che l’angelo Gabriele rivolse a una giovane ragazza, sorpresa e tur-

RomApiazza SAN PiETRo

Martedì, 8 dicembre 2015, Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

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IAfamiglia e del sangue che dividono, per costrui-re una Chiesa-Famiglia di Dio, aperta a tutti, che si prende cura di coloro che hanno più bisogno. Ciò suppone la prossimità ai nostri fratelli e so-relle, ciò implica uno spirito di comunione.Non è prima di tutto una questione di mezzi fi-nanziari; basta in realtà condividere la vita del popolo di Dio, rendendo ragione della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3,15), essendo testimoni dell’infinita misericordia di Dio che, come sotto-linea il Salmo responsoriale di questa domenica, «è buono [e] indica ai peccatori la via giusta» (Sal 24,8). Gesù ci insegna che il Padre celeste «fa sor-gere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5,45). Dopo aver fatto noi stessi l’esperienza del perdo-no, dobbiamo perdonare. Ecco la nostra voca-zione fondamentale: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).Una delle esigenze essenziali di questa vocazio-ne alla perfezione è l’amore per i nemici, che premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine. Gesù ha tenuto ad insistere su questo aspetto particolare della testimonianza cristiana (cfr Mt 5,46-47). Gli operatori di evangelizzazione de-vono dunque essere prima di tutto artigiani del perdono, specialisti della riconciliazione, esperti della misericordia.È così che possiamo aiutare i nostri fratelli e sorel-

le a “passare all’altra riva”, rivelando loro il segre-to della nostra forza, della nostra speranza, della nostra gioia che hanno la loro sorgente in Dio, perché sono fondate sulla certezza che Egli sta nella barca con noi. Come ha fatto con gli apo-stoli al momento della moltiplicazione dei pani, è a noi che il Signore affida i suoi doni affinché andiamo a distribuirli dappertutto, proclamando la sua parola che assicura: «Ecco verranno giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda» (Ger 33,14)... Incoraggiando i sacerdoti, le perso-ne consacrate e i laici che, in questo Paese, vi-vono talvolta fino all’eroismo le virtù cristiane, io riconosco che la distanza che ci separa dall’ideale così esigente della testimonianza cristiana è a vol-te grande. Ecco perché faccio mie sotto forma di preghiera quelle parole di san Paolo: «Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’a-more fra voi e verso tutti» (1 Ts 3,12). A questo riguardo, la testimonianza dei pagani sui cristiani della Chiesa primitiva deve rimanere presente al nostro orizzonte come un faro: «Vedete come si amano, si amano veramente» (Tertulliano, Apolo-getico, 39, 7)... Voglia il Signore renderci tutti «sal-di… e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (1 Ts 3,13). Riconciliazione, perdono, amore e pace! Amen.

Foto ANSA

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bata, indicando il mistero che l’avrebbe avvolta: «Rallegrati, piena di grazia» (Lc 1,28). La Vergine Maria è chiamata anzitutto a gioire per quanto il Signore ha compiuto in lei. La grazia di Dio l’ha avvolta, rendendola degna di diventare madre di Cristo. Quando Gabriele entra nella sua casa, anche il mistero più profondo, che va oltre ogni capacità della ragione, diventa per lei motivo di gioia, motivo di fede, motivo di abbandono alla parola che le viene rivelata. La pienezza della grazia è in grado di trasformare il cuore, e lo rende capace di compiere un atto talmente gran-de da cambiare la storia dell’umanità. La festa dell’Immacolata Concezione esprime la gran-dezza dell’amore di Dio. Egli non solo è Colui che perdona il peccato, ma in Maria giunge fino a prevenire la colpa originaria, che ogni uomo porta con sé entrando in questo mondo. È l’a-more di Dio che previene, che anticipa e che sal-va. L’inizio della storia di peccato nel giardino dell’Eden si risolve nel progetto di un amore che salva. Le parole della Genesi riportano all’espe-rienza quotidiana che scopriamo nella nostra esi-stenza personale. C’è sempre la tentazione della disobbedienza, che si esprime nel voler pro-gettare la nostra vita indipendentemente dalla volontà di Dio. È questa l’inimicizia che attenta continuamente la vita degli uomini per contrap-porli al disegno di Dio. Eppure, anche la storia del peccato è comprensibile solo alla luce dell’a-more che perdona. Il peccato si capisce soltanto sotto questa luce. Se tutto rimanesse relegato al peccato saremmo i più disperati tra le creature, mentre la promessa della vittoria dell’amore di Cristo rinchiude tutto nella misericordia del Pa-dre. La parola di Dio che abbiamo ascoltato non lascia dubbi in proposito. La Vergine Immacolata è dinanzi a noi testimone privilegiata di questa promessa e del suo compimento. Questo Anno Straordinario è anch’esso dono di grazia. Entrare per quella Porta significa scoprire la profondi-tà della misericordia del Padre che tutti accoglie e ad ognuno va incontro personalmente. È Lui che ci cerca! È Lui che ci viene incontro! Sarà un Anno in cui crescere nella convinzione della misericordia. Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia (cfr Agostino, De praedestinatione sanctorum 12, 24)! Sì, è proprio così. Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni

caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia. Attraversare la Porta San-ta, dunque, ci faccia sentire partecipi di questo mistero di amore, di tenerezza. Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma. Oggi, qui a Roma e in tutte le diocesi del mondo, varcando la Porta Santa vogliamo anche ricorda-re un’altra porta che, cinquant’anni fa, i Padri del Concilio Vaticano II spalancarono verso il mon-do. Questa scadenza non può essere ricordata solo per la ricchezza dei documenti prodotti, che fino ai nostri giorni permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede. In primo luogo, però, il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del no-stro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in se stessa, per riprendere con entusiasmo il cam-mino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavo-ro… dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio. Una spinta missionaria, dunque, che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo. Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Sama-ritano, come ricordò il beato Paolo VI a con-clusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano.

Papa Francesco

IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

Foto ANSA

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Qualche ora senza cellulari né borse né niente. Un’altra dimensione. Tanti volti emaciati. Denti marci. Capillari rotti. Ta-

tuaggi. Sguardi nel vuoto. Occhi stanchi. Pelle e vita consumate.Ci sediamo a tavola. Due minuti di conversa-zione e già conosco il casellario giudiziale della metà dei commensali. Con me sono gentili. Uno senza peli sulla lingua: “Io so ‘n casamonica, chi jo da ‘n lavoro a ‘n casamonica? Tu mo daresti?”. “Io sto qua da 18 anni, sai da quanti anni non faccio Natale? Da 18.” “Ah quindi siete della Co-munitá di Sant’Egidio... ma alla Comunità vostra aiutate anche i tossicodipendenti? Se ci vengo, m’aiutate? È ‘na vita che tiro avanti col metado-ne”. Continuiamo a mangiare, arriva il panetto-ne: io volevo quello al cioccolato, ma mi è capi-tato ai canditi. Mirko, che non si direbbe, ma ha

alle spalle un omicidio e due tentativi, scambia il suo col mio. Poi non lo mangia, i canditi in realtà non gli piacciono. Arriva il momento della tombola. “Ah c’avemo pure ‘a tombola? Me sto a sentì a casa. Dio ve benedica!”. Un altro, più iro-nico e buontempone: “Se famo a tombola vin-cemo a libertà?”. Chiamano il numero 92, uno di loro controlla le sue cartelle. Grasso, grosso, cicatrici e tatuaggi, apparentemente rude. Gli faccio notare che a tombola il 92 non esiste; lui, imbarazzato: “E che ne so? Io a tombola non c’ho mai giocato!”. Poi il karaoke. Spostiamo le sedie nell’altra stanza, qualcuno mi aiuta. Emanuele con una bellissima voce canta Adesso tu, un altro Cer-cami. Nel frattempo un senegalese dal perfetto italiano mi ringrazia commosso per questa gior-nata. Mi dice che per loro il mondo rimane là fuori, non esistono per nessuno. I tossici fanno schifo. Poi ancora un ringraziamento, nella sua lingua; allora mi abbraccia e ci scambiamo gli auguri.Arriva il momento dei regali, altri ringra-ziamenti. “Grazie. C’avete fatto uscì du ore dar carcere”. Alla fine, sparecchiando e riassettan-do, nelle aule scuola dove studiano e dove oggi abbiamo mangiato, leggiamo su qualche banco: “Dove niente ha più un senso. Qui”, oppure una scritta lasciata da qualche ottimista: “Solo chi ha vissuto il profondo nero dell’abisso può vedere le stelle”. Io, che per fortuna nell’abisso non ci son sprofondata, oggi ho comunque toccato le stelle e trattenuto a forza le lacrime. Proprio lì, a Rebibbia, dove per qualcuno nulla ha più un senso, io ho ritrovato quello vero del Natale e della libertà.

Maria Laura Perrone

Tombola a REbibbiA

Sono entrate nella pienezza della vitaChiamate alla piena partecipazione del mistero pasquale di Cristo Gesù

Piccole Suore Della Sacra Famiglia

Suor Maria Speranza Slaviero Suor Archelaide MaghiniSuor Ernestella Tosato Suor Augustangela BosaSuor Onoranda Pellegrini Suor Illidia PietribiasiSuor Teresilla Ficcadenti Suor Fior Maria TassettoSuor Laurisa Centanni Suor Maria Franca AnedoSuor Colomba Meneghin Suor Maria Francesca Amatori

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Armida Securo di Suor Rosella Pettenon Luciana Luciani di Suor Agnese Luciana Cameli

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Che cosa cerchiamo nella nostra vita e nel no-stro servizio? La domanda riguarda il Papa e il più piccolo cristiano. Forse si cerca spon-

taneamente qualcosa di grande e di importante, di perfetto e di assoluto. Però tale è solo il buon Dio che tuttavia, in Gesù venuto tra noi, si è incarnato, mite e umile di cuore ed è finito in croce.Sì, è la nostra carne, il nostro corpo vivente, che dovrebbe ridimensionare le nostre attese o prete-se di perfezione. il nostro spirito è limitato nella e dalla nostra carne, materia fisica. Dunque gli ide-ali “sommi” debbono necessariamente incarnarsi, limitarsi, perché anche i cristiani sono e restano umani; altrimenti si pretende di diventare potenti e prepotenti, soprattutto con gli altri, e giudici spietati di tutti, compreso papa Francesco, il car-dinal Dearden e il beato Romero (a causa della riflessione-preghiera ri-quadrata).Ecco allora papa Francesco, che a Natale ha comunicato un “catalogo delle virtù necessarie” per chi vuole praticare la misericordia e la pastora-lità. Ha fatto una “analisi acrostica della parola misericordia”, cioè ha elencato 12 virtù in base al numero delle lettere, con parole che iniziano con la corrispondente lettera della parola “misericordia”; ma aggiun-gendone altre 12, per bilanciare cia-scuna virtù in sé non perfetta.“1. Missionarietà e pastoralità... Ogni battezzato è missionario della Buona Novella innanzitutto con la sua vita, con il suo lavoro e con la sua gioiosa e convinta testimonian-za. La pastoralità sana è una virtù in-dispensabile specialmente per ogni sacerdote. È l’impegno quotidiano di seguire il Buon Pastore... 2. Idoneità e sagacia. L’idoneità ri-chiede lo sforzo personale di acqui-stare i requisiti necessari e richiesti per esercitare al meglio i propri com-piti e attività, con l’intelletto e l’intu-izione... La sagacia è la prontezza di

mente per comprendere e affrontare le situazioni con saggezza e creatività. Idoneità e sagacia rap-presentano anche la risposta umana alla grazia divina, quando ognuno di noi segue quel famoso detto: “fare tutto come se Dio non esistesse e, in seguito, lasciare tutto a Dio come se io non esi-stessi”. È il comportamento del discepolo che si rivolge al Signore tutti i giorni con queste parole della bellissima Preghiera Universale attribuita a Papa Clemente XI: «...Ti offro, o Signore: i pen-sieri, perché siano diretti a te; le parole, perché siano di te; le azioni, perché siano secondo te; le tribolazioni, perché siano per te».3. Spiritualità e umanità. La spiritualità è la colon-na portante di qualsiasi servizio nella Chiesa e nella vita cristiana. Essa è ciò che alimenta tutto

“Sempre mANovAli, mai capomastri”

IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

Riflessione - Preghiera Ogni tanto ci aiuta il fare un passo indietro e vedere da lontano.Il Regno non è solo oltre i nostri sforzi, è anche oltre le nostre visioni.Nella nostra vita riusciamo a compiere solo una piccola partedi quella meravigliosa impresa che è l’opera di Dio.Niente di ciò che noi facciamo è completo.Che è come dire che il Regno sta più in là di noi stessi.Nessuna affermazione dice tutto quello che si può dire.Nessuna preghiera esprime completamente la fede.Nessun credo porta la perfezione.Nessuna visita pastorale porta con sé tutte le soluzioni.Nessun programma compie in pieno la missione della Chiesa.Nessuna meta né obbiettivo raggiunge la completezza.Di questo si tratta:noi piantiamo semi che un giorno nasceranno.Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno.Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà.Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità.Non possiamo fare tutto,però dà un senso di liberazione l’iniziarlo.Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene.Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino.Una opportunità perché la grazia di Dio entrie faccia il resto.Può darsi che mai vedremo il suo compimento,ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale.Siamo manovali, non capomastri,servitori, non messia.Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene.

John Francis Dearden(1907-1988 , Stati Uniti, nom. card. da Paolo VI)

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il nostro operato, lo sorregge e lo protegge dalla fragilità umana e dalle tentazioni quotidiane. L’u-manità è ciò che incarna la veridicità della nostra fede... L’umanità è il saper mostrare tenerezza e familiarità e cortesia con tutti (cfr Fil 4,5)...4. Esemplarità e fedeltà. Il beato Paolo VI ricor-dò alla Curia - nel ’63 - «la sua vocazione all’e-semplarità». Esemplarità per evitare gli scandali che feriscono le anime e minacciano la credibili-tà della nostra testimonianza. Fedeltà alla nostra consacrazione, alla nostra vocazione, ricordando sempre le parole di Cristo: «Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disone-sto anche in cose importanti» (Lc16,10)...5. Razionalità e amabilità. La razionalità serve per evitare gli eccessi emotivi e l’amabilità per evitare gli eccessi della burocrazia e delle pro-grammazioni e pianificazioni. Sono doti neces-sarie per l’equilibrio della personalità: «Il nemico - e cito sant’Ignazio un’altra volta, scusatemi - osserva bene se un’anima è grossolana oppure delicata; se è delicata, fa in modo di renderla delicata fino all’eccesso, per poi maggiormen-te angosciarla e confonderla». Ogni eccesso è indice di qualche squilibrio, sia l’eccesso nella razionalità, sia nell’amabilità.6. Innocuità e determinazione. L’innocuità che ci rende cauti nel giudizio, capaci di astenerci da azioni impulsive e affrettate. È la capacità di far emergere il meglio da noi stessi, dagli altri e dalle situazioni agendo con attenzione e comprensio-ne. È il fare agli altri quello che vorresti fosse fat-to a te (cfr Mt 7,12 e Lc 6,31). La determinazione è l’agire con volontà risoluta, con visione chiara e con obbedienza a Dio, e solo per la legge su-prema della salus animarum (cfr CIC, can. 1725).7. Carità e verità. Due virtù indissolubili dell’e-sistenza cristiana: “fare la verità nella carità e vi-vere la carità nella verità” (cfr Ef 4,15). Al punto che la carità senza verità diventa ideologia del buonismo distruttivo e la verità senza carità di-venta “giudiziarismo” cieco.8. Onestà e maturità. L’onestà è la rettitudine, la coerenza e l’agire con sincerità assoluta con noi stessi e con Dio... Maturità è la ricerca di raggiungere l’armonia tra le nostre capacità fisi-che, psichiche e spirituali. Essa è la meta e l’e-sito di un processo di sviluppo che non finisce mai e che non dipende dall’età che abbiamo.9. Rispettosità e umiltà. La rispettosità è la dote delle anime nobili e delicate; delle persone che

cercano sempre di dimostrare rispetto autentico agli altri, al proprio ruolo, ai superiori e ai subor-dinati, alle pratiche, alle carte, al segreto e alla riservatezza; le persone che sanno ascoltare atten-tamente e parlare educatamente. L’umiltà invece è la virtù dei santi e delle persone piene di Dio, che più crescono nell’importanza più cresce in loro la consapevolezza di essere nulla e di non poter fare nulla senza la grazia di Dio (cfr Gv 15,8).10. “Doviziosità” - io ho il vizio dei neologismi - e attenzione. Più abbiamo fiducia in Dio e nella sua provvidenza più siamo doviziosi di anima e più siamo aperti nel dare, sapendo che più si dà più si riceve... L’attenzione è il curare i dettagli e l’offrire il meglio di noi e il non abbassare mai la guardia sui nostri vizi e mancanze. San Vincenzo de’ Paoli pregava così: “Signore, aiutami ad ac-corgermi subito: di quelli che mi stanno accanto, di quelli che sono preoccupati e disorientati, di quelli che soffrono senza mostrarlo, di quelli che si sentono isolati senza volerlo”.11. Impavidità e prontezza. Essere impavido si-gnifica non lasciarsi impaurire di fronte alle dif-ficoltà, come Daniele nella fossa dei leoni, come Davide di fronte a Golia; significa agire con au-dacia e determinazione e senza tiepidezza «come un buon soldato» (2 Tm 2,3-4); significa saper fare il primo passo senza indugiare, come Abramo e come Maria. Invece la prontezza è il saper agire con libertà e agilità senza attaccarsi alle cose ma-teriali che passano...12. E finalmente affidabilità e sobrietà. Affidabile è colui che sa mantenere gli impegni con serietà e attendibilità quando è osservato ma soprattutto quando si trova solo; è colui che irradia intorno a sé un senso di tranquillità perché non tradisce mai la fiducia che gli è stata accordata... La sobrie-tà è uno stile di vita che indica il primato dell’altro come principio gerarchico ed esprime l’esistenza come premura e servizio verso gli altri...”Allora realizzeremo la misericordia divina da per-sone umane limitate. Ciascuno di noi non è in grado di vivere contemporaneamente, né sem-pre, i 24 atteggiamenti indispensabili per prati-care la misericordia. Dunque la nostra azione di servizio sarà sempre parziale, povera.Proprio questa umile e sincera “coscienza del limi-te nostro e altrui” è la radice profonda della miseri-cordia. Tra poveri e imperfetti si può praticare la misericordia. Vale anche per le istituzioni, le più sacrosante. Per fortuna che Dio ci ha creati limitati.

a cura di d. Gianfranco Cavallon

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Fame e sete sono due bisogni primari per la vita degli esseri umani. Bisogni che ven-gono richiamati nella splendida pagina

delle Beatitudini, a testimonianza di quanto sia necessario impegnarci perché tutti siano trattati allo stesso modo e tutti abbiano il giusto. Da più di trent’anni mi occupo dello studio delle mafie e di progetti di promozione e diffusione dell’educazione alla legalità costituzionale, alla cittadinanza attiva e responsabile, incontrando studenti, docenti, amministratori locali, giornalisti, imprenditori e cittadini in tutta Italia e, qualche volta, anche all’estero. Conoscere, attraverso lo studio, il viaggiare e l’incontro con le persone, l’ho sempre considerato uno dei pilastri sui quali erigere la casa della giustizia. Una persona che conosce, come ammoniva anche don Lorenzo Mi-lani, è una persona capace di scegliere e, quindi, è un essere libero. Libero nel senso che è capace di decidere con autonomia e responsabilità da che parte stare, che sa valutare i fatti e le opinioni che lo circondano, senza farsi condizionare. La cono-scenza, quindi, è alla base della cultura dell’impe-gno. Una cultura che chiede di essere generosi, di condividere: chi sa, chi conosce, deve impegnarsi a far conoscere, a far sapere, per contribuire a far crescere una coscienza collettiva.Parlando di giustizia, ho pensato fosse impor-tante soffermarsi sui dati recentemente diffusi da Oxfam, la rete internazionale di 17 organizzazioni di paesi diversi, che si impegnano contro la po-vertà e l’ingiustizia. L’ultimo rapporto ci racconta di un mondo sempre più ingiusto e diseguale. Qualche numero sui cui riflettere: circa metà del-la ricchezza è detenuta dall’1% della popolazio-ne mondiale; il reddito dell’1% dei più ricchi del mondo ammonta a 110.000 miliardi di dollari, 65 volte il totale della ricchezza della metà della popolazione più povera del mondo; il reddito di 85 super ricchi equivale a quello di metà della popolazione mondiale; 7 persone su 10 vivono in paesi dove la disuguaglianza economica è au-mentata negli ultimi 30 anni; l’1% dei più ricchi ha aumentato la propria quota di reddito in 24 su 26 dei paesi con dati analizzabili tra il 1980 e il 2012.Analizzando la disuguaglianza a livello continen-

tale, Oxfam afferma che negli Stati Uniti, l’1% dei più ricchi ha intercettato il 95% delle risorse a disposizione dopo la crisi finanziaria del 2009, mentre il 90% della popolazione si è impoverito. In Europa, la politica di austerità - es: taglio di fondi al welfare - è stata imposta alle classi povere e alle classi medie a causa dell’enorme pressio-ne dei mercati finanziari, dove i ricchi investitori hanno invece beneficiato del salvataggio statale delle banche. In Africa, le grandi multinaziona-li - in particolare quelle dell’industria mineraria-estrattiva - sfruttano la propria influenza per evi-tare l’imposizione fiscale e le royalties, riducendo in tal modo la disponibilità di risorse che i governi potrebbero utilizzare per combattere la povertà.La globalizzazione, ossia quel processo mondiale che avrebbe dovuto migliorare la nostra vita, ri-ducendo sensibilmente le disuguaglianze e le in-giustizie, estendendo l’effettività dei diritti a livello planetario, in realtà si è dimostrata soprattutto un grande progetto finanziario, prima che politico, umano e sociale. Il denaro e il business sono stati i veri obiettivi del millennio. Fare soldi maneg-giando soldi, speculare nelle borse del mondo come fossero dei casinò, aumentare i profitti non migliorando i prodotti ma abbattendo i costi a se-guito di un processo di negazione dei diritti e di schiavizzazione di grandi masse di lavoratori in terre lontane dal mondo occidentale, tutto questo ha creato vaste sacche di disuguaglianza e ingiu-stizia globali. Un’economia che fondata sul prima-to della finanza anziché della produzione - fare soldi con altri soldi, anziché offrendo prodotti e servizi tangibili - ha prodotto povertà e disoccu-pazione, anche in Italia e in Europa. Grandi e ra-pide ricchezze si sono create attraverso la pratica dell’evasione fiscale, della corruzione, dei rapporti con le organizzazioni criminali e mafiose. Oxfam stima che circa 21.000 miliardi di dollari siano stati parcheggiati nei cosiddetti paradisi fiscali, luoghi in cui la trasparenza è una parola sconosciuta e la tassazione è fortemente ridotta. Per le banche “paradisiache” non importa da dove giunge il de-naro: l’importante è che arrivi. Pecunia non olet dicevano i latini. Un principio che ha inquinato le nostre economie ed ha sensibilmente peggiorato

coRAggio:operiamo insieme

FAME E SETE DI GIUSTIZIA

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Quando i pazienti si rivolgono a me per un problema medico, ho l’impressio-ne che non sia esclusivamente quello

il motivo del loro accesso presso l’ambulatorio. Molte volte infatti le persone vengono a farsi vistare per problemi apparentemente molto ba-nali, come una tosse , un raffreddore, una ga-stroenterite, etc; cose che sicuramente avranno già sperimentato nella loro vita…e penso che, in fondo, potevano avere ancora un po’ di pa-zienza e che un controllo medico non era stret-tamente necessario. Ma è proprio per questo che ritengo che c’è qualcos’altro che spinge i pazienti a rivolgersi al medico.Quando infatti stiamo male, ci sentiamo a disa-gio, non siamo tranquilli, perché il nostro males-sere mette in moto paure ed incertezze…paura che il disturbo non passi, paura di non riuscire a svolgere la nostra vita quotidiana, paura di do-ver chiedere aiuto, etc. Perciò vorremmo ricevere dal medico la medicina che possa risolvere il più

presto possibile il nostro disturbo. Tuttavia i pa-zienti si rivolgono al medico anche per problemi non strettamente fisici. Può capitare che essi cer-chino in lui una persona di fiducia o una figura di riferimento a cui raccontare i propri problemi personali, certi del suo riserbo. Il sintomo lieve può diventare allora una piccola scusa per avere un minimo di comprensione umana, di rapporto sociale, di colloquio e di considerazione.Questo aspetto è più diffuso tra gli anziani, gli stranieri o le persone sole in generale che di-ventano “gli affezionati” dell’ambulatorio. Ogni giorno che passa, e che la mia esperienza di lavoro si arricchisce piano piano di nuovi incon-tri, mi rendo conto che l’aspetto umano è tanto importante quanto quello medico. A volte pen-so che i pazienti cerchino da me la ricetta per la felicità, ma non posso fare altro che tentare di svolgere il mio servizio al meglio, facendo loro capire che siamo tutti esseri umani.

Benedetta Pesavento

la vita di milioni di persone.Papa Francesco da tempo denuncia la disugua-glianza planetaria, gli effetti deleteri della corru-zione, le guerre, le ingiustizie create da un’ina-deguata distribuzione delle risorse. Le sue sono parole alte, forti, autorevoli, di una persona che conosce il mondo e l’essere umano. Sono parole che chiedono di impegnarci, di agire, non di stare a guardare dalla finestra. Sono in tanti, nel mondo

di oggi, coloro che hanno fame e sete di giustizia e che si sono stancati di vivere nella privazione, nella schiavitù e nella povertà cronica. Nessun muro, nessuna legge restrittiva fermerà l’esodo di popoli che cercano dignità e speranza. Siamo noi a dover cambiare: nel nostro modo di consumare, di muoverci, di comunicare, di abitare il mondo. Coraggio!

Pierpaolo Romani

Che cosa cERcHiAmoda un mEdico?

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“Che cercate? ... Venite e vedrete”(Gv 1,38-39)

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“Cercate il Signore ...,

cercate sempre il suo volto”. (Sl 105,4)

“Quello che si fa con amore e per amore

ha un valore infinito”.(Beata Maria Domenica Mantovani)

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“Il Signore è il Dio della bontà,il Dio della misericordia.

Egli ci ha amato da tutta l’eternità”.(Beato G. Nascimbeni)

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con frate FrancescoIl Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

E il Signore mi dette tale fede nelle chieseche io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, qui e in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero, e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo

(FF 110-111, “Testamento di Francesco D’Assisi”)