Per un umanesimo dell’altro uomo. Un contributo originale ... · Per un umanesimo dell’altro...

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1 Per un umanesimo dell’altro uomo. Un contributo originale da E. Levinas Prolusione Scuola di Formazione teologica Seminario 20 ottobre 2015 L'autore sul quale ci soffermiamo in questa prolusione, forse sconosciuto a molti, ha bisogno di qualche cenno bio- grafico. Emmanuel Levinas nasce in Lituania nel 1906 da famiglia ebrea e vive da bambino gli avvenimenti della rivo- luzione di ottobre in Russia, nel 1917. Passa poi in Francia e studia all’Università di Strasburgo. Nel 1927 inizia l’apprendimento della fenomenologia con Jean Hering e completa la sua formazione fenomenologica a Friburgo a contatto diretto del padre di questa filosofia: Edmund Hus- serl (1859-1938). Pur col sorgere della straordinaria figura di M. Heidegger, Levinas seguirà sempre una strada tutta sua, rimanendo anzi fortemente critico nei confronti dell’esistenzialismo heideggeriano. Poi è l’esperienza trau- matica del Nazismo e della persecuzione antisemita, la guer- ra e la prigionia in campo di concentramento. Insieme a ciò l’esperienza di un’amicizia e carità dei cristiani. Questo tra- gico periodo di violenza segnerà profondamente la sua per- sonalità tanto da sentirne l’eco un po’ dovunque nei i suoi scritti. Col periodo post bellico in effetti, la riflessione di Levinas s’indirizzerà decisamente nell’analisi dell’intersoggettività ed in particolare dell’alterità. Contem- poraneamente l’eredità giudaica si farà sempre più consape- vole e lo spingerà ad essere parte attiva del processo di re- cupero dei valori perenni del giudaismo che in quegli anni andava attuandosi in Francia. Presiederà La scuola Normale Israelita Orientale, e i suoi sforzi saranno orientati a suscita- re una ripresa intellettuale e culturale dell’ebraismo. In qu e- gli anni egli ritorna anche allo studio dei testi fondamentali di Israele: la Scrittura sacra, ma soprattutto il Talmud e tutti i testi rabbinici. La sua attività di filosofo e di professore al- la Sorbona di Parigi si svolgerà di pari passo con uno studio esegetico di quei testi. Dopo aver cessato il lavoro universi-

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Per un umanesimo dell’altro uomo.

Un contributo originale da E. Levinas

Prolusione Scuola di Formazione teologica

Seminario 20 ottobre 2015

L'autore sul quale ci soffermiamo in questa prolusione,

forse sconosciuto a molti, ha bisogno di qualche cenno bio-

grafico. Emmanuel Levinas nasce in Lituania nel 1906 da

famiglia ebrea e vive da bambino gli avvenimenti della rivo-

luzione di ottobre in Russia, nel 1917. Passa poi in Francia e

studia all’Università di Strasburgo. Nel 1927 inizia

l’apprendimento della fenomenologia con Jean Hering e

completa la sua formazione fenomenologica a Friburgo a

contatto diretto del padre di questa filosofia: Edmund Hus-

serl (1859-1938). Pur col sorgere della straordinaria figura

di M. Heidegger, Levinas seguirà sempre una strada tutta

sua, rimanendo anzi fortemente critico nei confronti

dell’esistenzialismo heideggeriano. Poi è l’esperienza trau-

matica del Nazismo e della persecuzione antisemita, la guer-

ra e la prigionia in campo di concentramento. Insieme a ciò

l’esperienza di un’amicizia e carità dei cristiani. Questo tra-

gico periodo di violenza segnerà profondamente la sua per-

sonalità tanto da sentirne l’eco un po’ dovunque nei i suoi

scritti. Col periodo post bellico in effetti, la riflessione di

Levinas s’indirizzerà decisamente nell’analisi

dell’intersoggettività ed in particolare dell’alterità. Contem-

poraneamente l’eredità giudaica si farà sempre più consape-

vole e lo spingerà ad essere parte attiva del processo di re-

cupero dei valori perenni del giudaismo che in quegli anni

andava attuandosi in Francia. Presiederà La scuola Normale

Israelita Orientale, e i suoi sforzi saranno orientati a suscita-

re una ripresa intellettuale e culturale dell’ebraismo. In que-

gli anni egli ritorna anche allo studio dei testi fondamentali

di Israele: la Scrittura sacra, ma soprattutto il Talmud e tutti

i testi rabbinici. La sua attività di filosofo e di professore al-

la Sorbona di Parigi si svolgerà di pari passo con uno studio

esegetico di quei testi. Dopo aver cessato il lavoro universi-

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tario a motivo dell'età, ha continuato la sua opera di ricerca,

fino alla morte avvenuta il 25 dicembre 1995.

L’identico

La prima cosa che Levinas sottolinea nella sua analisi,

è il dato straordinario che nella realtà ci siano concreti «esi-

stenti. «Il «miracolo» che desta davvero meraviglia è pro-

prio questo: il concreto esistere di esistenti 1. Esistono dei

soggetti. Dall’anonimo essere, dall’anonima esistenza - dal

«Il y a» - 2 sorge all’improvviso un esistente come un fatto

assolutamente nuovo3. In ciò si dà un fatto che rompe con

ogni genericità e anonimato. Potremmo chiamarlo il miraco-

lo di un esistente concreto.

Questi non si sente parte di un tutto, anzi resiste ad es-

sere massificato ed “inglobato”4, è «esistente» e non vuole

essere «anonima esistenza»; è esistente originale, particola-

re, concreto, con caratteristiche sue e particolarità che lo

oppongono ad ogni fusione o totalizzazione. Nel sorgere

dall’anonimato e nella resistenza a perdervisi di nuovo,

l’esistente – chiamato da Levinas anche “il soggetto” - è se-

parato» 5, cioè non fuso con qualcosa altro, non unito, bensì

distaccato, a sé, per conto suo autonomo e signore 6.

Ora però il sorgere di un esistente come separato e re-

sistente all’inglobamento, non avviene in modo statico ed

inane7. Esso “si produce” come una «bramosia d’essere»

davvero insaziabile 8. Il soggetto sorge e si sviluppa dimo-

strando un attaccamento esasperato a se stesso, cercando

1 “De l’existence a l’existente” (EE) 92, 115.

2 EE, 120. Lasciamo intatto il termine francese per rendere l’idea di quell’orribile

essere che per Levinas costituisce il non-senso assurdo dell’uomo: “l’ilya” indica

quell’esserci anonimo che rimane anche quando “c’è il nulla”, “niente c’è”. 3 “Totalité et infini” (TI) 24, 121.

4 TI, 24 ss., 107

5 TI, 24, 107; EEHH

3, 120 ss.

6 TI, 120

7 TA, 100, 161; TI, 31.

8 “Conatus essendi”: AEAE, 222

3

l’identificazione di sé. Ha fame e sete di nutrimento che gli

dia consistenza e lo faccia sussistere. É «egoismo» primor-

diale: tutto gli serve per propria ed esclusiva identificazio-

ne9. L’esistente esiste come un fatto di «nutrimento», di

“godimento» o fruizione spontanea di tutto e di tutti. Il ter-

mine “godimento”10

esprime l’atteggiamento del soggetto:

vivere spensieratamente – senza pensieri cioè, con una

spontaneità “non riflessa” come egoista senza scrupoli e con

sicura coscienza, «mangiando e bevendo»11

, cioè riducendo

tutto a proprio alimento per il proprio sostegno. Questo pro-

cesso di identificazione di sé, o di «godimento» spensierato

e senza problemi, fa si che il soggetto ritorni sempre a se

stesso “identificandosi”.

I mezzi di questa opera di identificazione di sé da parte

del soggetto non sono esclusivamente di ordine materiale. Il

«nutrimento» del soggetto avviene anzi soprattutto attraver-

so l’azione della conoscenza 12

. Caratterizza perciò il sog-

getto un «imperialismo» 13

, altra parola che descrive

l’egoismo fondamentale della soggettività che può essere di

tipo economico – politico, ma anche e soprattutto intellettu-

ale, per cui l’esistente, il soggetto cerca di «comprendere»

tutto 14

, di ridurre tutto alla sua portata, ponendolo al proprio

esclusivo servizio. É la sorte “dell’identico» 15

. Curioso de-

stino del soggetto questo. Qualcosa di assurdo e tragico si

manifesta nella vicenda della soggettività: mentre per un i-

stante l’uomo sembra potersi liberare dall’esistenza anoni-

ma. Nello stesso tempo vi è anche irrimediabilmente incate-

nato, in un’immensa solitudine che però grida verso una li-

9 TI, 84. A proposito dell’egoismo c’è però da notare come Levinas affermi che in

esso, per ora, non si dia nessuna connotazione morale in senso stretto. 10

TI, 31. 11

TA, 161; TI, 82 s. 12

"Difficile liberté“ (DL) 20 s., 23; EEHH3, 187; AEAE, 21, 168; EI, 61.

13 È questa la parola preferita da Levinas per descrivere l’egoismo fondamentale del-

la soggettività. 14

Ed è molto significativo come anche la parola stessa “comprendere” appunto, dia

l’idea di un “prendere” insieme quasi di un afferrare per se l’oggetto della compren-

sione. 15

TA, 130.

4

berazione 16

, verso qualcosa d’altro, per una liberazione dal

continuo incatenamento a sé stesso in modo che si vinca

l’orribile noia dell’essere sempre con se stesso, inevitabil-

mente solo 17

.

Gli spazi per «qualcosa d’altro»

Tutta una serie di analisi fenomenologiche della realtà

umana mostrano in realtà proprio questo: che il soggetto

non è solo ma è a contatto con qualcosa d’altro, «altro» dal

semplice mondo delle cose.

Accenno qui di seguito solo brevemente ai vari “spazi”

di “qualcosa d’altro” che l’analisi fenomenologica di Levi-

nas rileva. Mi limito ad elencarli senza entrare nel dettaglio

perché la brevità di questa prolusione me lo impone. Il pri-

mo “spazio per qualcosa d’altro” si apre proprio

nell’osservazione attenta di quello che abbiamo visto essere

il processo di assimilazione da parte del soggetto. Tutto in-

fatti può essere assimilato, tutto può diventare nutrimento

del soggetto ma c’è un fatto che si pone di fronte al sogget-

to, che lo ostacola: le cose di cui si ha bisogno possono es-

sere possedute «da un altro»! C’è qualcosa dunque che resi-

ste, che non vuole entrare in possesso del soggetto, anzi si

ribella e si divincola: l’altro uomo, l’altro che possiede a sua

volta delle cose, che magari ha una fame come quella del

“Mème”, che forse è in cerca anch’egli di ciò che serva alla

propria vita 18

.

Altro “spazio per qualcosa d’altro” è il tempo19

. Il tem-

po manifesta al suo interno un avvenimento di alterità. Pre-

sente, passato, futuro sono in una relazione strana e partico-

16

TA, 147, 159 ss.. 17

In queste descrizioni della Solitudine dell’io, Levinas ritrova l’eco di una conce-

zione “pagana” della esistenza TA, 130. Sentiamo la “noia” di una concezione cicli-

ca della storia. Levinas chiaramente si piazza su di un altro versante che poi è quello

del pensiero giudaico e anche cristiano. 18

TI, 101. 19

EE, 158 ss.; TA, 172.

5

lare fra loro: separati ed al tempo stesso in relazione. Se il

soggetto è «presente», il passato ed il futuro lo mettono in

contatto con qualcosa che è diverso da lui 20

. Uno scarto

dell’alterità che si manifesta con ancora maggiore evidenza

nel rapporto che l’uomo intrattiene con la morte 21

. Con essa

Il soggetto è messo dinanzi a ciò che non è più in suo pote-

re, nei confronti del quale non può nulla; è impotente, arre-

stato nel suo egoismo fondamentale di appropriazione. Con

la morte sopravviene qualche cosa nell’avventura

dell’essere. Qualcosa d’altro, ecco il punto 22

.

Spazio per qualcosa d’altro si da infine – ed è partico-

larmente rilevante questa analisi – nel linguaggio. Il fatto

sorprendente infatti – per Levinas - che l’esistere

dell’esistente – è che il soggetto parli. Se parla, può farlo

forse con se stesso? Qui sta il punto. Parlare implica riferi-

mento a qualche cosa o meglio qualcuno che è fuori del

soggetto, che non è lui. Parlare, inevitabilmente ha questo

intrinseco riferimento. É sempre, e non può essere altrimen-

ti: «Dire a... “rivolgersi a...”, “parlare a…” o «rispondere

a…” Il fenomeno del linguaggio richiama, esso più che mai,

il mistero dell’alterità presente nell’essere. Prima ancora di

essere enunciazione di detti, di contenuti, di temi, il parlare

è Dire. E il Dire porta con sé un significato di orientamento,

dice orientamento all’alterità 23

.

Autrui24

Questi “spazi di alterità” che abbiamo preso in consi-

derazione preludono a una scoperta. Dove principalmente

«si produce» infatti l’avvenimento dell’alterità? Dove cioè

questo mistero si rivela in tutti i suoi aspetti, Ebbene questo

mistero si rivela nel concreto dell’altro esistente, nell’altro

20

TA, 172. 21

TA, 162 ss.; T TI, 209 ss. 22

TA, 129, 164, 170; TI, 199, 211 s. 23

TI, 18, 158; AEAE, 48. 24

L’altro come “altri”, si dovrebbe dire in italiano, ma preferisco lasciare il termine

francese, perché mi pare propriamente intraducibile. Autrui è l’altro nel suo aspetto

di maestà, di altezza e di rispetto. TI, 9.

6

uomo25

. La caratteristica fondamentale dell’altro esistente

sta proprio nella sua alterità rispetto al soggetto. Tutti gli al-

tri tipi di alterità si ritrovano in questa, si possono ridurre ad

essa, spiegandosi in relazione sempre ad essa. La presenza

dell’Altro nella vicenda dell’io, presenza vera ed effettiva,

denota la sua alterità peculiare: assomiglia piuttosto ad un

ritirarsi che ad un apparire. Non si tratta di una vera e pro-

pria presenza da intendersi come un apparire alla vista, piut-

tosto un ritirarsi dall’apparire, uno sfuggire, un opporsi alla

presa. L’Altro si presenta essenzialmente come colui che

sfugge alla presa, che oppone una particolare resistenza

all’imperialismo dell’identico26

, che si oppone

all’inglobamento, si rifiuta. Il soggetto di fronte all’altro

uomo sente che qualche cosa, o meglio qualcuno, non è in

suo potere come invece lo sono tutte le altre cose. Non lo è

nemmeno con quell’arma micidiale che è la comprensione.

L’Altro infatti si rifiuta a diventare “tema”, “oggetto di co-

noscenza”, ad entrare in uno schema di comprensibilità che

ridurrebbe inevitabilmente la sua alterità. Egli rifiuta di es-

sere un «oggetto» contemplato, visto, conosciuto. L’Altro

resiste, si ritira proprio nel momento stesso che lo si cerca di

conoscere ed afferrare. Il suo apparire è un «assolversi» 27

,

uno scappare alla presa, uno sciogliersi dal legame. Posso

farmi tanti pregiudizi nei confronti dell’Altro, posso dire di

conoscerlo e pensare che ormai egli è nelle mie mani, cono-

scendo tutti i suoi meccanismi e le sue reazioni. In realtà

non è così. Qualcosa mi sfugge e da un momento all’altro

mi sorprende. C’è qualcosa d’insospettato, di inaspettato

che sfugge alla presa. C’è uno scarto che impedisce

all’altro, ai suoi comportamenti, di essere prevedibile e

quindi conoscibile fino in fondo. Non è dunque un «feno-

meno «, nel qual caso rientrerebbe in fondo in mio potere, è

invece «enigma». É «presenza - assenza» nello stesso tem-

po. Qualcosa sembra metterlo in mio potere (presenza) ma

25

TA, 175; TI, 104 ss.; DL, 20 ss. 40, 244; AEAE, 112 ss. 26

TI, 170 ss.; AEAE, 115. 27

“Assolversi” è il termine tecnico usato da Levinas nel suo senso etimologico: “ab-

solvere”: sciogliere da, quindi sciogliersi. Con identico significato sono usate le pa-

role “assoluto” e “assoluzione”.

7

poi sfugge e il suo scarto lo rende improponibile al mio po-

tere (assenza). Egli - per me che sono nel presente, presente

io stesso - sembra provenire da qualcosa che non è presente,

da un passato lontano, che io non ho conosciuto. E’ “enig-

ma», perché sembra avere un potere infinito, una maestà as-

soluta che ferma e impone l’alt all’identico ma al tempo

stesso egli non ha forza, è estremamente povero e può cade-

re benissimo nelle mani dell’io. L’alterità dell’Altro non si

impone con la forza, la sua opposizione o resistenza non è

segnata dalla forza. L’Altro blocca il soggetto, senza aver

potere e senza armi. É piuttosto il «povero, la vedova,

l’orfano» 28

. É solo la sua alterità, solo in quanto Alterità,

che blocca e pone un limite al potere del soggetto. Proprio

nella sua povertà e nudità, nella sua estrema labilità, nel suo

presentarsi e sfuggire, l’altro è tale. Una tale caratteristica è

riassunta da Levinas in un termine: l’Altro è «volto», «volto

che parla» 29

, che si esprime appunto come «volto», inten-

dendo con questo proprio il fatto di non manifestarsi bensì

di parlare, di «esprimersi»30

. Un «volto» parla, non fa altro,

si esprime. Ma esprimendosi si rivolge al soggetto e gli

chiede risposta. E che cosa dice il volto? Il «volto» è signi-

ficante, significa: che cosa? In fondo niente altro che la sua

stessa alterità; egli non fa che esprimersi e significare ciò

che egli è: resistenza all’inglobamento, cioè alterità rispetto

al soggetto. Il senso e il significato del «volto» consiste nel

dire: «tu non mi ucciderai!». Egli ordina di servirlo, la sua

significanza è un ordine significato, un comando. Non signi-

fica però un ordine come un segno significa il significato.

L’ordine é la significanza stessa del «volto» 31

. Sul volto

dell’altro è iscritto un «tu non mi ucciderai!»32

che è rivolto

espressamente al soggetto.

Proprio per questo Levinas dice che il «volto insegna»

o «rivela» 33

. L’Altro insegna la sua intoccabilità, invita al

28

TI, 9. 29

TI, 21. 30

EEHH3, 194.

31 HAH, 40; EI, 104.

32 TI , 46, 173; DL, 21.

33 DL, 21.

8

rispetto, rivela la sua maestà che non può essere offesa, cat-

turata, imprigionata. L’Altro ha una “Altezza” e sovranità

particolare, in quanto insegna al soggetto, «rivela» dall’alto

di questa sua autorità 34

. L’alterità appare al soggetto sotto

un aspetto di altezza e di sovranità di carattere etico. Questa

poi – lo si noti – non deriva all’Altro dall’essere buono e

quindi degno di rispetto, oppure dal fatto che voglia bene o

sia in comunione col soggetto. Anche se l’Altro non è buo-

no con me, da sempre porta iscritta nel suo volto la parola:

«Tu non mi ucciderai!». Non c’è problema se l’Altro è un

muro davanti a me, se non posso e non sento reciprocità, se

l’Altro è nemico e ostile, diverso e lontano, infinitamente

lontano dai miei modi di pensare e vedere: ciò non fa che ri-

velare la sua alterità e quindi la sorgente di ogni significato

umano. Il fatto è che l’Altro «insegna», in forza esclusiva di

questa alterità, per nessun’altra qualità o merito. Egli ha il

potere di bloccare lo sviluppo egoistico del soggetto; è si-

gnore, è l’alto, l’altissimo e il soggetto davanti a lui deve

chinare la testa. Il soggetto può certamente non rispettare il

comando significato dal volto, può sempre uccidere l’Altro,

in quanto l’impossibilità che l’Altro oppone è solo di carat-

tere etico, ma se lo fa è proprio per non chinare la testa 35

.

Va notato anche che la significanza del volto non è avveni-

mento dell’ultim’ora, entrato accidentalmente nella vita del

soggetto, “ad un certo punto». É invece come “da sempre”,

come se sempre ci fosse stata questa ferita dentro il soggetto

stesso, 36

come se già gli fosse stata arrecata in qualche mo-

do a lui sconosciuto nella sua esistenza, fin dall’inizio, fin

dal suo sorgere. Il soggetto «sente» enigmaticamente che in

quella presenza - assenza, una ferita antica di cui non sa ri-

trovare l’origine. Egli la porta in sé come un’inquietudine

lontana. Egli sorge nell’esistenza e sente da subito, percepi-

34

“Rivela”: qui ritroviamo uno dei termini classici della tradizione giudaica ed an-

che cristiana; naturalmente qui lo si usa in senso filosofico e per esprimere una real-

tà ritrovata nell’analisi fenomenologica degli esistenti e del loro rapporto. Non c’è

però dubbio che i collegamenti con il contesto giudaico ci siano ed in modo abba-

stanza evidenti. TI, 21 ss. 35

Così anche nell’atto supremo di eliminazione dell’alterità rimane confermato il

potere dell’alterità stessa, il suo messaggio dirompente nella vita del soggetto. 36

HAH, 75, 78; AEAE, 145.

9

sce anche senza tematizzarla, come una colpa nei confronti

dell’altro. L’esistente viene all’esistenza sentendo da subito

quasi il bisogno di discolparsi di fronte all’altro, per il suo

stesso esistere.37

La relazione etica

Il soggetto e l’Altro, dunque. Questo è il pluralismo al-

la base della realtà umana. Ma che tipo di relazione è questo

pluralismo?

L’ho già detto in parte e qui lo riassumo mettendo in fi-

la i pensieri. Sostanzialmente si può dire che il rapporto

consiste in una relazione nella quale il soggetto rimane tale,

non si annienta nell’anonimato ma nello stesso tempo è in

rapporto con qualche cosa che è realmente altro da sé. An-

che l’Altro però mediante questa relazione può incidere sul-

la realtà del soggetto senza perdere a sua volta niente della

sua alterità. Siamo perciò in presenza di un rapporto tra esi-

stenti si, che però sono «sciolti», «separati» e non ingloban-

tesi a vicenda.

Ciò che Levinas individua alla base della realtà è dun-

que una relazione un po’ strana e tutta particolare. É come

un contatto tra il soggetto e l’Altro, contatto quasi fisico

perché iscritto nella stessa sensibilità fisica dell’io che ne fa,

appunto un «esposto» all’Altro. Un contatto che pure non è

paragonabile a quello che si realizza con le cose. Qui invece

c’è il contatto con un volto che resiste e significa la sua alte-

rità, e dall’altra parte c’è un soggetto che «sente» la propria

vulnerabilità di fronte all’Altro ed insieme una forza che lo

blocca nel suo tentativo di appropriazione. Si tratta ancora

di una relazione che è di tutt’altro genere rispetto ad una

qualsivoglia forma di relazione conoscitiva. Siamo invece di

fronte ad un tipo di relazione non-cognitiva eppure ugual-

37

Queste affermazioni saranno più comprensibili dopo che sarà stato affrontato il

tema della “creazione ex nihilo”: sta infatti in questa realtà, che Levinas riconosce

ed accetta, l’origine della ferita nell’essere, meglio, del rapporto con l’alterità.

10

mente, anzi primariamente significante. É la relazione che

Levinas indica con l’espressione “uno-per-l’altro» 38

. Ma il

significato che questa veicola è sostanzialmente di carattere

etico. Si tratta di un dinamismo, di una corrente etica che

Levinas ancora qualifica come il fatto della «Prossimità», 39

ciò ad indicare appunto che il soggetto è posto in una vici-

nanza con l’altro, è posto in prossimità, è posto soprattutto

davanti a colui che è il suo prossimo 40

. Non è vicinanza

spaziale, ma etica: un io di fronte all’Altro il quale si fa a-

vanti con la sua povertà e miseria.

Il «contatto» che esprime la relazione è sostanzialmen-

te fatto di inquietudine immediata per l’altro, a motivo

dell’altro. Per questo in definitiva la relazione di prossimità

viene analizzata da Levinas come un fatto di responsabilità

per gli altri che pesa sulla soggettività 41

. Bisogna notare

una cosa: questa relazione che Levinas chiama etica non di-

pende dal soggetto, non rappresenta un qualsiasi «atto» di

relazione. Il soggetto non “si mette in relazione”. E’ “den-

tro” la relazione. Il soggetto vi è implicato come «da sem-

pre» o da «anzitempo». Si trova inserito in essa come da un

passato irripresentabile. Egli non l’ha scelta né voluta, que-

sta relazione; ci si trova implicato, per un fatto antico e a lui

Preesistente 42

.

A tutto ciò va aggiunto anche che – per Levinas - la re-

lazione non ha il carattere della «reciprocità». In essa non

c’è e non ci può essere uno stesso piano, ma solo superiorità

straordinaria dell’Altro nella sua altezza, il suo infinito che

entra e si piazza nell’esistenza del soggetto. E l’io si trova in

una condizione di inferiorità perché investito da un carico

38

“L’unoperl’altro”, significa appunto l’orientamento di apertura etica del sogget-

to nei confronti dell’Altro. 39

EEHH3, 238. Sarà il nome che esso prenderà in modo definitivo negli ultimi anni

della riflessione levinassiana. 40

Qui ci si richiama evidentemente al contesto culturale biblico che parla di prossi-

mo per indicare l’altrouomo che sta accanto. 41

“La significazione l’unoperl’altro la relazione con l’alterità è analizzata

come prossimità; la prossimità come responsabilità per gli altri e questo come sosti-

tuzione”. AEAE, 232. 42

AEAE, 129 s., 201, 203.

11

tremendo di responsabilità senza che possa farci nulla. Esse-

re «sullo stesso piano» permetterebbe di inglobare il rappor-

to in un insieme, in un tutto. Perciò la relazione, in quanto

considerata non reciproca viene definita anche «asimmetri-

ca».

Il soggetto e “l’umanesimo dell’altro uomo”

A conclusione del nostro breve percorso, possiamo al-

lora affermare che le prospettive offerte da Levinas aprono

ad un umanesimo, ad una valorizzazione dell’essere umano.

Ad un umanesimo che – come lui dice – si può definire

“dell’altro uomo”. La relazione etica di cui si è parlato infat-

ti dice che il soggetto umano è collocato “da sempre”, in

una direzione di marcia, in un orientamento che va dal sog-

getto all’altro43

. Una direzione di marcia che è il “senso”

dell’esistente, dove la parola “senso” perde il significato più

intellettuale per assumere invece quello appunto di “dire-

zione”, movimento carico di responsabilità inalienabile e ir-

rinunciabile. Questa relazione è la verità dell’esistente, il

connotato di un presentarsi pieno di disponibilità che è co-

me una chiamata alla testimonianza: “eccomi”; “eccomi qui

con tutto me stesso, con le mani piene, per donare”.

L’esistente, o meglio, il soggetto umano, si identifica in

questo “eccomi”. Tale grido, nell’intuizione levinasiana, e-

sprime in profondità la “verità” del soggetto, quale concreto

esistente44

. Verità identificabile, semplicemente, col “Be-

ne”.

43

“On peut parler de créature pour caractériser les étant’s situés dans la transcen-

dance qui ne se referme pas en totalité. Dans le face-à-face, le moi…; il est apologie,

discours, pro domo, mais discours de justification devant Autrui” (E. LEVINAS, Tota-

lité et Infini, Martinus Nijhoff, La Haye4 1974, pagg. 269s 269)

44 “Subjectivité du sujet en tant que etre-sujet-à-tout… dans le “me voici” qui est

obéissance à la gloire de l’Infini m’ordonnant à Autrui” (E. LEVINAS, Autrement

qu’etre ou au de la de l’essence, Martinus Nijhoff, La Haye 1974, pag. 186).

“Rendre raison de l’etre on etre en vérité, ce n’est pas comprendre ni se saisir de…,

mais au contraire rencontrer autrui sans allergie, c’est-à-dire dans la justice” (LEVI-

NAS,. Totalité et Infini, pag. 280)

Per tutto questo si veda anche: LEVINAS,. Totalité et Infini, pagg. 54-62

12

La relazione etica è la verità, è la verità stessa

dell’essere umano. E’ verità in quanto «significanza» e sen-

so unico della realtà. Per Levinas la verità ha un naturale co-

lore etico perché si pone sul cammino che va dall’uno

all’altro, ed è liberata in questo modo da quel carattere stati-

co e immobile, legato al «luogo» che per Levinas essa ha

assunto nella concezione classica. La verità invece è

«u-topica», si potrebbe dire, nel senso di “non residente in

un luogo”, “inquieta”, “non quieta” per una inquietudine

morale che impedisce la coincidenza in se stessi. 45

La verità

è un cammino etico 46

. Così può affermare che la razionalità

della ragione è la pace 47

.

Da queste considerazioni è possibile individuare le

tracce per un nuovo umanesimo. A Levinas ciò sta molto a

cuore, come appare evidente proprio dalle sue ripetute af-

fermazioni che convergono sempre su di un’idea di fondo:

nel nostro mondo dilaniato dalla violenza e dalla guerra,

dall’oppressione e dalla ingiustizia, in questo mondo ancora

segnato dai crimini dell’ultima guerra mondiale (e dalle a-

trocità contro gli ebrei) ecco, qui c’è bisogno di un nuovo

umanesimo fondato realmente su ciò che c’è di più profon-

do nell’uomo stesso e che sia capace di garantire e salva-

guardare fin dai suoi elementi strutturali primari il rispetto

per l’uomo concretissimo e reale 48

. C’è necessità di un u-

manesimo della pace ed esso non può trovar altro solido

fondamento che in quella relazione essenziale e

pre-originale nella quale è implicato il soggetto umano: la

relazione con l’Altro 49

.

Un umanesimo fatto di rapporti umani veritieri dove, si

badi bene, gli esistenti concreti sono difesi nella loro diffe-

renza, dove le differenze e quindi il pluralismo tra gli esi-

stenti sono salvaguardati, contano, sono necessari. Nel con-

tempo però, gli esistenti sono in relazione. Una relazione

45

EEHH3, 135; AEAE, 3 s.

46 TI, 74, 182, 194; AEAE. X.

47 AEAE, 19, 199 ss.

48 TI, X; EI, 85 s., 107, 128.

49 TI, 283.

13

non inglobante, non totalizzante, asimmetrica, dove il sog-

getto deve rispetto all’altro. L’umanesimo che così si deli-

nea non è compromesso e patteggiamento costruito sulla

paura o simbiosi dell’indistinto. E’ insieme di rapporti etici

di rispetto e di giustizia, dove il dovere del soggetto prevale

sui suoi stessi diritti. Una tale cosa si può ben chiamare u-

manesimo perché il concreto esistente, l’uomo, è valorizzato

al massimo, difeso nella sua originalità di soggetto, chiama-

to alla responsabilità, quindi valorizzato, dentro però un in-

treccio di responsabilità etica.

La vicenda umana assume così i connotati di

un’avventura verso l’Alterità, cioè di un’avventura verso

l’ignoto, verso ciò che è Altro, verso un’uscita da sé 50

. Non

il cammino di Ulisse che è solo un ritorno a casa, piuttosto

quello di Abramo che va verso l’ignoto. Per Levinas

l’umano è l’avventura dell’uscita da sé, dell’espulsione da

se stessi per un’accoglienza totale, gratuita, completamente

disinteressata dell’Altro, del totalmente Altro.

In questa descrizione l’uomo appare dunque sostan-

zialmente come un essere segnato da sempre da un’apertura

all’alterità, da una ferita che lo costituisce fondamentalmen-

te come «soggetto carico di una responsabilità infinita nei

confronti dell’altro». La dignità umana, l’autentica dignità

umana in questa prospettiva non è fondata tanto sul fatto di

avere dei diritti, quanto sulla, concreta, non sfuggibile, infi-

nita «esposizione», inquietudine etica di ogni soggettività

nei confronti del volto del vicino, di fronte agli occhi del

volto dell’altro che chiedono pietà, un prendersi carico, fino

addirittura alla espiazione per gli altri: questa è la sua verità,

la verità dell’uomo.

Giunti allora al termine di questa relazione a me pare

evidente che il pensiero di Levinas offra spunti davvero

molto interessanti intorno alla questione “uomo” e alla que-

stione “società”. Aldilà della condivisibilità o meno, soprat-

tutto dal punto di vista cristiano, di questo o quell’elemento,

50

DL, 23; EEHH3, 191.

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indubbiamente egli pone interrogativi, fa discutere, immette

nella riflessione antropologica considerazioni che non è

possibile trascurare.