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1 Il 1968 LA NASCITA DI DUE NUOVI GENERI: I GIOVANI E LE DONNE IL 1968 LE ORIGINI Movimento di protesta negli Stati Uniti: 1) lotta contro la guerra del Vietnam, 2) la lotta per i diritti civili delle minoranze, 3) la nascita della NUOVA SINISTRA le cui caratteristiche ideologiche erano: a) la critica verso l’idea che l’evoluzione storica fosse a favore del proletariato e dei ceti poveri b) la convinzione che il capitalismo avrebbe inglobato anche i ceti operai nello sfruttamento del Terzo Mondo c) la critica verso i partiti tradizionali, d) la diffidenza verso l’organizzazione sociale e politica proposta dal leninismo e dallo stalinismo I “NUOVI GIOVANI” negli Stati Uniti: 1) cultura fortemente influenzata dalla musica e dal cinema, 2) sviluppo nelle università del cosiddetto movimento hippy altrimenti detto “flower power” L’INFLUENZA DEGLI EVENTI STORICI 1) la rivoluzione culturale in Cina, in quanto guidata dai giovani 2) il Concilio Vaticano II 3) la morte di Ernesto Che Guevara in Bolivia nel 1967 4) le rivolte operaie in Germania e quelle contro l’Urss in Cecoslavacchia e, in misura minore, in Polonia LA PROTESTA - L’inizio a Berkely: l’amministrazione universitaria vieta l’uso di un corridoio per attività di propaganda studentesta. Nasce il Free Speach Movement - Diffusione nel 1966-1967 nelle università americane a sostegno della lotta per i diritti civili delle minoranze etniche e contro la guerra del Vietnam - Nel 1968 la protesta si diffonde in Europa con due epicentri: 1) la Germania, dove si lega alla protesta degli operai e dove il leader del movimento giovanile Rudi Dutschke viene gravemente ferito in un attentato (11 aprile 1968); 2) la

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Il 1968 LA NASCITA DI DUE NUOVI GENERI: I GIOVANI E LE DONN E

IL 1968 LE ORIGINI Movimento di protesta negli Stati Uniti: 1) lotta contro la guerra del Vietnam, 2) la lotta per i diritti civili delle minoranze, 3) la nascita della NUOVA SINISTRA le cui caratteristiche ideologiche erano: a) la critica verso l’idea che l’evoluzione storica fosse a favore del proletariato e dei ceti poveri b) la convinzione che il capitalismo avrebbe inglobato anche i ceti operai nello sfruttamento del Terzo Mondo c) la critica verso i partiti tradizionali, d) la diffidenza verso l’organizzazione sociale e politica proposta dal leninismo e dallo stalinismo I “NUOVI GIOVANI” negli Stati Uniti: 1) cultura fortemente influenzata dalla musica e dal cinema, 2) sviluppo nelle università del cosiddetto movimento hippy altrimenti detto “flower power” L’INFLUENZA DEGLI EVENTI STORICI 1) la rivoluzione culturale in Cina, in quanto guidata dai giovani 2) il Concilio Vaticano II 3) la morte di Ernesto Che Guevara in Bolivia nel 1967 4) le rivolte operaie in Germania e quelle contro l’Urss in Cecoslavacchia e, in misura minore, in Polonia LA PROTESTA

- L’inizio a Berkely: l’amministrazione universitaria vieta l’uso di un corridoio per attività di propaganda studentesta. Nasce il Free Speach Movement

- Diffusione nel 1966-1967 nelle università americane a sostegno della lotta per i diritti civili delle minoranze etniche e contro la guerra del Vietnam

- Nel 1968 la protesta si diffonde in Europa con due epicentri: 1) la Germania, dove si lega alla protesta degli operai e dove il leader del movimento giovanile Rudi Dutschke viene gravemente ferito in un attentato (11 aprile 1968); 2) la

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Francia dove la protesta dilaga nel mese di maggio guidato dal leader studentesco Daniel Cohn Bendit

- La protesta si diffonde in Italia, in Jugoslavia e , in misura minore, negli altri paesi europei. Fuori dall’Europa, la protesta giovanile esplode in Messico e in Giappone

RISULTATI 1) allentamento dell’autoritarismo nella società 2) la diffusione di movimenti politici extraparlamentari 3) l’emergere di due nuovi generi: i GIOVANI e le DONNE. I GIOVANI

- Definizione: i giovani sono gli individui che transitano nella fase del ciclo di vita che si interpone tra l’adolescenza e l’età adulta

• MUTAMENTO dei comportamenti demografici: 1) anni ’50 e ’60 sono gli anni del cosiddetto baby boom (picco storico in Italia è il 1964); 2) dagli anni ’70 ha inizio il fenomeno della denatalità, alimentato proprio dalle scelte delle donne nate durante il baby boom; 3) decremento del tasso di nuzialità e aumento di fenomeni quali le convivenze more uxorio e il protrarsi del celibato/nubilato

• I GIOVANI come POPOLAZIONE STUDENTESCA: 1) a partire dagli anni ’60 si ha una forte espansione dell’istruzione media e, in particolare, dell’istruzione media secondaria: costante aumento delle ragazze nelle scuole secondarie; 2) a partire dagli anni settanta, l’università acquista una dimensione di massa

I GIOVANI NELLA STORIA 1945-1960: I GIOVANI SENZA GIOVENTÙ

- Inizia a svilupparsi una forte cultura giovanile (simboleggiata dalla musica, dal cinema e dalla letteratura), ma in quadro sociale molto contraddittorio

- I giovani della PRIMA GENERAZIONE: i giovani cioè, che per la prima volta nella storia, possono crearsi una propria identità separata da quella degli adulti

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- In questa fase, però, i giovani non hanno ancora una loro identità: non acquistano rilievo pubblico e non hanno ancora a disposizione spazi propri (né a livello di consumi, né a livello di tempo libero)

- CONTRADDIZIONE PRINCIPALE: la presenza di una forte sfera identitaria (aspirazioni, sogni, desideri alimentati dai nuovi linguaggi musicali, cinematografici, letterari) e l’assenza di ambiti dove esprimere le proprie identità

- I Giovani e la DOPPIA VITA: 1) la prima è quella “ufficiale” con il mondo degli adulti caratterizzata da una comunicazione difficile, da conflitti e tensioni latenti, da un malesse diffuso; 2) la seconda è quella “segreta”, quella, “vera” caratterizzata dalle relazioni con i coetanei in cui si affermano le nuove identità. In questa fase, però, non c’è ancora l’affermazione di una APPARTENENZA GENERAZIONALE

- DISORIENTAMENTO GIOVANILE: 1) gli adulti sono preoccupati per l’affermazione dei nuovi stili di vita e delle nuove culture, 2) i giovani si scontrano con un forte moralismo. In Europa questo moralismo è alimentato sia dalla Chiesa cattolica che dai partiti di sinistra. La Chiesa vede nei nuovi stili di vita un mezzo per l’affermazione di una forte secolarizzazione. I partiti di sinistra vedono nei nuovi stili di vita una pericolosa “americanizzazione” della società e della politica, 3) forte disorientamento giovanile sia nella società (non riescono a trovare una loro collocazione fra adolescenza e vita adulta) che nella politica (iniziano a non riconoscersi più nelle dirigenze dei partiti politici)

GLI ANNI ’60: LA STAGIONE DEI GIOVANI

- Il boom economico consente la rapida diffusione di spazi autonomi per la gioventù

- I Giovani come GRUPPO SOCIALE AUTONOMO: 1) nuova identità veicolata dalla musica, dal cinema, dai mezzi di trasporto (la Lambretta e la Vespa), dai nuovi modi di vestire. Nuove icone: il rock and roll, i Beatles, i gruppi beat, Marlon Brando e James Dean…Da ciò deriva la centralità dei CONSUMI, 2) la volontà dei giovani di conquistare spazi autonomi nella vita quotidiana. I giovani sfruttano la condizione economica favorevole per affermare la loro APPARTENZA GENERAZIONALE, ovvero un’immagine colletiva ben distinta da quella dei loro genitori

- Importanza della cultura BEAT che ha due aspetti fondamentali: 1) da un lato aumenta ancora di più il consumismo giovanile (i mods in GB), 2) dall’altro veicola un sempre crescente dissenso nei confronti degli adulti. Non a caso

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nasce la definizione di CONTROCULTURA alimentata dalla musica rock, dai nuovi linguaggi jazz, dalla letteratura (Sulla strada di Jack Kerouac, Allen Ginsberg), dall’uso delle droghe (LSD)

- Si sviluppano i primi veri e propri movimenti beat che si legano alla contestazione per la guerra del Vietnam: i provos in Olanda (loro obiettivo era indurre le autorità costituite a rispondere violentemente ad azioni non violente). Nascono nuovi modi di lotta sociale e politica: gli happening, le manifestazioni-spettacolo

- 1966: i giovani conquistano la ribalta mondiale accorrendo in massa a Firenze dopo l’alluvione. I cosiddetti “angeli del fango”. I giovani come soggetto sociale e politico. Atto di nascita della cultura del “volontariato”

DAL SESSANTOTTO agli anni SETTANTA: I GIOVANI ABBRACCIANO LA POLITICA

- La dimensione generazione assume una forte connotazione politica. La protesta vuole affermare la quotidianità dei giovani che ha connotati molto diversi da quella degli adulti

- Ruolo degli studenti: gli insegnanti finiscono per incarnare gli aspetti conservatori e autoritari della società. Motivi che alimentano la protesta: 1) la dimensione di massa della scuola fa aumentare la percezione della disuguaglianza sociale, 2) percezione del divario tra realtà scolastica (dove sono evidente le disparità) e i principi ugualitari “predicati” ufficialmente dalle istituzioni e dalla scuola stessa

- Da queste premesse di alimenta una sempre più forte reazione contro l’autoritarismo. I nuovi linguaggi si adattano perfettamente ad esprimere l’antiautoritarismo

- Il Sessantotto aveva alimentato due convinzioni: 1) la maggioranza dei giovani avevano preso atto dell’esistenza di un conflitto generazionale e si trovavano concordi nel rifiutare le costrizioni istituzionali, 2) la maggioranza dei giovani era ottimista sul proprio futuro che erano convinti di poter costruire in prima persona

- La seconda metà degli anni ’70: crisi economica con due fenomeni che coinvolgono i giovani 1) disoccupazione, 2) precariato intellettuale. Il sistema politico appare incapace di gestire le richiesta di cambiamento. I giovani passano dall’ottimismo alla rabbia che si esprime nei movimenti punk (“no future”) e dark

- il risultato è l’esplosione di una nuova ondata di proteste nota come Movimento del 1977 o dei “NON GARANTITI”: 1) forte contestazione del

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consumismo e della politica tradizionale, 2) ricorso alla contestazione violenta. Il movimento però non ha una prospettiva temporale, non ha un progetto di trasformazione sociale come era stato negli anni ’60

- Il 1977 segna l’esaurimento della contestazione giovanile di massa. 1) fine delle “visioni del mondo”, delle “grandi narrazioni” che indicano come probabile e non lontana l’affermazione di una società ideale, 2) affermazione di piccolo gruppi di protesta anti-sistema (terrorismo, brigatismo), 3) declino della militanza e progressivo allontanamento dei giovani dall’impegno politico e sociale

DAGLI ANNI OTTANTA AD OGGI

- Incertezza del futuro e “presentificazione” degli orizzonti giovanili - La “scelta di stile” segno distintivo degli anni ’80 e frantumazione

dell’universo giovanile (nascono le tribù urbane: paninari, dark, new romantic, metallari…)

- PARTECIPAZIONE POLITICA: 1) movimenti ecologisti (definiti come “arcipelago” per indicare la struttura frantumata; 2) movimento pacifista che prende forza negli anni di Reagan e poi a partire dalla I Guerra del Golfo (1991); 3) lontananza dai partiti (in Italia si sviluppa il movimento della Pantera)

LE DONNE TRADIZIONE EMANCIPAZIONISTA (femminismo classico)

- Richiesta del suffragio - Valorizzazione delle competenze delle donne in alcuni settori (organismi

filantropici, assistenza, beneficienza, istruzione) - Affermazione del valore dell’indentità femminile individuale - DUE INDIRIZZI: egualitario= unica appartenenza dell’uomo e della donna al

genere umano e sottolineatura dell’uguaglianza fra i generi; dualista: accentuazione dell’identità di genere con accento posto sulla diversità tra i sessi

- Programma egualitario: 1) miglioramento dell’istruzione femminile; 2) libertà di iscrizione all’università e libero accesso a tutte le professioni; 3) libertà di gestire in autonomia i proventi del lavoro

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- Programma dualista: 1) riforma dell’abbigliamento femminile (abolizione del busto); 2) libertà per le donne di praticare attività sportive; 3) critica al matrimonio inteso come istituto limitante la libertà personale (assoggetamento del corpo e della sessualità al predominio maschile); 4) denuncia della “doppia morale sessuale” per gli uomini e per le donne

- FRA LE DUE GUERRE MONDIALI: il femminismo dovette arretrare a causa del sorgere delle dittature di destra che repressero le rivendicazioni femministe Per fascismo e nazismo uomini e donne avevano ruoli distinti e il maschio era superiore alla femmina. Il lavoro femminile era considerato un male necessario

- Stalinismo: inasprimento della legislazione contro divorzio e aborto. La maternità venne incentivata. Donne introdotte in tutti gli ambiti lavorativi per sostenere i piani quinquennali

- Ruolo negativo della pubblicità: apparentemente la pubblicità fece proprie alcune rivendicazioni femministe ma finì con subordinarle alla diffusione dei beni. Possesso di beni=emanipazione della sfera privata considerata più importante di quella pubblica

- SECONDA METÀ ANNI ’40: nel mondo occidentale le donne ottengono il pieno riconoscimento della cittadinanza politica

Il NEOFEMMINISMO degli anni ’60

- Si sviluppa parallelamente al movimento per i diritti civili e studenteschi - 1963: viene pubblicato The Feminine Mystique di Betty Friedman che

denuncia l’inquietudine delle donne americane e il modello di donna che viene diffuso dal cinema e dalla televisione. Nascono i gruppi di “autoriflessione”

- Lotta politica come lotta dalle forme di autoritarismo che limitano la libertà femminile

- Il “sessantotto” del neofemminismo: 1) critica contro l’autoritarismo familiare, 2) critica del modello patriarcale, 3) contro la soggezione delle donne al potere maschile, 4) riappropriazione del proprio corpo (importanza della contraccezione femminile)

- Il FEMMINISMO RADICALE: affermazione della diversità femminile e rifiuto di identificarsi nel genere neutro dell’”umanità”

- La critica storica e la nascita dei “women studies” (fra questi la storia delle donne, contro la storia delle donne scritta da studiosi maschi)

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LE CHIESE NEL MONDO CONTEMPORANEO I PROCESSI DI LAICIZZAZIONE DEFINIZIONe: l’insieme dei processi che hanno provocato la progressiva separazione della sfera spirituale da quella temporale. Cristianesimo considerato ostile ed estraneo alla MODERNITÀ. Dallo STATO CONFESSIONALE alla separazione STATO-CHIESA

- Rivoluzione francese: prima distinzione fra competenze dei governi e quelle della Chiesa

- Affermazione del liberalismo e dei regimi costituzioni fra Ottocento e Novecento: progressiva sottrazione delle istituzioni al controllo e all’influenza delle Chiese. Il primo stato a laicizzare la sfera politica e sociale fu la Francia dove vennero approvate le “leggi di laicità” (fra 1880 e 1905)

- Il ruolo del POSITIVISMO: convinzione che le leggi scientifiche si sarebbero sostituite ai dogmi religiosi. Nascita del mito laico della scienza, del “tecnico infallibile” (tecnocrazia)

- Ruolo del MUTAMENTI ECONOMICI: le due rivoluzioni industriali sradicarono dalle campagne milioni di persone e ciò contribuì ad allentare il loro rapporto con la religione

- Accelerazione del processo di laicizzazione dopo il 1945: nuovi stili di vita imposti dal consumismo, rivoluzione culturale giovanile e femminile. Progressivamente i valori tradizioni (famiglia, patria, religione) furono sostituiti dai valori induvidualisti

- Da sottolineare l’importanza dell’emancipazione femminile che determina la trasformazione della famiglia da patriarcale (famiglia estesa e plurinucleare) a nucleare (genitori e figlio/i)

- Principali effetti del processo di laicizzazione: 1) sensibile calo della pratica religiosa; 2) progressivo calo delle vocazioni, 3) aumento dei divorzi e delle separazioni, 4) aumento degli abbandoni del sacerdozio

I PROCESSI DI SECOLARIZZAZIONE

- DEFINIZIONE: i processi di superamento del cristianesimo che hanno dato luogo a nuove “liturgie” laiche il cui scopo era quello di cementare la coesione sociale e di integrare le masse popolari nel processo di modernizzazione

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- Il primo esempio di secolarizzazione: la Rivoluzione francese. I rivoluzionari crearono un vero e proprio “culto” della rivoluzione e dei suoi valori civili: Marsigliese al posto degli inni sacri; il tricolore al posto dei vessilli religiosi; i martiri della libertà al posto dei martiri cristiani

- Ottocento: nasce il culto della patria che stabilisce una vera e propria liturgia politica (inni nazionali, bandiere, monumenti, i martiri per la patria)

- Fine Ottocento-inizio Novecento: il socialismo si struttura come una vera e propria fede caratterizzata dall’uso di simboli riconoscibili (bandiera rossa, inno dell’Internazionale…), dall’adozione di una dottrina (il marxismo) e da un obiettivo di lunga durata (la creazione di una società giusta e ugualitaria)

- Fascismi: creazione di una religione politica basata sulla Patria, sull’esaltazione del Partito e sul culto del leader che assume quasi un ruolo messianico. Il nazismo creò una vera e propria religione di regime, ispirandosi ad un forte neopaganesimo basato sugli elementi naturali

LA SECOLARIZZAZIONE ATEISTICA:

- Processo di secolarizzazione ateistica in Unione Sovietica - Persecuzione della Chiesa cattolica in quanto 1) considerata fortemente collusa

con il regime zarista, 2) considerata l’oppio dei popoli, ovvero un culto imposto dall’alto per mantenere soggiogato il popolo

- Le fasi della “scristianizzazione”: 1) 1917-1927, forte propaganda antireligiosa e persecuzioni violente; 2) 1927-1939: la Chiesa ortodossa viene tollerata e al tempo stesso perseguitata dal regime di Stalin; 3) 1939-1943: avvicinamento fra Stalin e Chiesa ortodosso e periodo caratterizzato da a) persecuzione contro i cattolici con conversioni forzate all’ortodossia, b) ricorso alla violenza e alle deportazioni; 4) 1943-1945: ricerca di una normalizzazione fra Stalin e Chiesa ortodossa; 5) 1945-1991: a) progressivo allineamento della Chiesa ortodosso al regime comunista, b) aumento della dissidenza religiosa clandestina, c) limitazione delle attività della Chiesa ortodossa; d) nuove persecuzioni contro le minoranze religiose. RUOLO DI GORBACIOV: permise la riconsacrazione dei luoghi di culto e nel 1990 pose fine al laicismo di stato con una legge sulla libertà di coscienza

- Contemporaneamente alla scristianizzazione vi fu il tentativo di creare una religione ateistica: 1) creazione dei Musei dell’ateismo, 2) costruzione del Mausoleo sulla Piazza Rossa con esposizione del corpo di Lenin; 3) culto del leader

- Risultati: non si riuscì ad estirpare il sentimento religioso che rimase sempre molto forte. Si riuscì, però, a marginalizzare la religione

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LA CHIESA CATTOLICA LA CHIESA CATTOLICA NELLA PRIMA METÀ DEL NOVECENTO

- Una struttura rigidamente piramidale: Papa, vescovi, clero secolare e regolare, suore in posizione subalterna al clero regolare, fedeli (destinatari passivi dell’insegnamento dottrinale). Ruolo delle missioni per la diffusione del cattolicesimo fuori d’Europa

- La Chiesa di Pio X (1903-1914): 1) condanna del modernismo; 2) condanna dei movimenti democratico-cristiani e favore accordato alle allenze conservatrici in funzione antisocialista; 3) ripresa missionaria all’ombra del colonialismo che provoca crescenti tensioni con le altre religioni

- La Chiesa di Benedetto XV (1914-1922): 1) favorevole all’autonomia dei cattolici in politica; 2) riconoscimento del valore di alcune società extraeuropee e favore alla formazione di Chiese locali guidate dal clero autoctono; 3) rinnovo della condanna del modernismo considerato come la causa dello scoppio della I guerra mondiale (abbandono dell’ordine naturale voluto da Dio)

- La Chiesa di Pio XI (1922-1939): 1) iniziale favore ai regimi di destra considerati un baluardo contro il comunismo ateo; 2) da inizio anni ’30 si fa strada l’opinione che le dittature di destra rappresentavano una minaccia per la Chiesa in quanto cercavano di creare una propria religione; 3) sviluppo di un movimento favorevole alla separazione fra sfera spirituale e sfera temporale (Maritain, Umanesimo integrale)

- La Chiesa di Pio XII (1939-1958): 1) timida accettazione della modernità (messaggi radiofonici in occasione del Natale), 2) legittimazione del regime democratico, 3) sviluppo di movimenti favorevoli ad un profondo rinnovamento della Chiesa

- I Vescovi Italiani: 1954: nasce la Conferenza episcopale italiana (CEI). Linea politica ed interpretativa dei vescovi: 1) anticomunismo, 2) opposizione di ogni apertura a sinistra, 3) unità politica dei cattolici, 4) autosufficienza della dottrina sociale della Chiesa, giudicata bastante per risolvere tutti i problemi sociali; 5) ortodossia nell’insegnamento catechetico, devozionale e liturgico. Repressione del dissenso interno (Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, giornali giovanili dell’Azione cattolica) che chiedeva: a) confronto con socialisti e comunisti, b) netta distinzione fra impegno religioso e impegno politico, c) autonomia dei laici sul piano politico. Maggioranza dei vescovi incapaci di leggere le trasformazioni sociali, anzi arroccata sulla difesa delle posizioni tradizionali

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LA CHIESA CATTOLICA NELLA SECONDA METÀ DEL NOVECENTO - La Chiesa di Giovanni XXIII (1958-1963): 1) considerazione positiva

dell’ascesa della classe operaia e dell’emancipazione femminile e del Terzo mondo, 2) convocazione del Concilio Vaticano II: a) nuova immagine orizzontale della Chiesa, b) rinnovamento del culto liturgico: a) introduzione delle lingue nazionali, b) altare collocato di fronte ai fedeli, c) semplificazione della liturgia, d) introduzione degli organi collegiali nelle parrocchie, e) adozione del clergyman, f) attenuazione dei divieti (consumo di carne al venerdì, introduzione della messa al sabato valida come quella domenicale…)

- Paolo VI (1963-1978): 1) azione volta a contrastare i movimenti anticonciliari e quelli eccessivamente innovatori, 2) azione volta a riaffermare la dottrina sociale della Chiesa

- I CATTOLICI NEL 1968: Milani e i ragazzi di Barbiana (Lettera ad una professoressa), il movimento dei “preti operai”, i lavoratori delle Acli (Associazione cattolica lavoratori italiani) sostengono le proteste studentesche e giovanili

- Anni ’70 e ’80: Forti tensioni dopo l’approvazione delle leggi sul divorzio, sull’aborto e in occasione della ridiscussione dei Patti lateranensi (1984)

- La Chiesa di Giovanni Paolo II (1978-): 1) riaffermazione della primazia del papato, 2) repressione del dissenso interno, 3) riconciliazione con le altre chiese cristiane e con le religioni non cristiane, 4) pacifismo

- IL DISSENSO - i TEOLOGI LIBERALI quali Hans Kung:

1) contro l’infallibilità papale 2) a favore del matrimonio per i parroci 3) contro la dottrina di Giovani Paolo II, accusato di tendere verso un

conservatorismo estremo e contrario al Concilio Vaticano II - La TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE: termine coniato da un prete

peruviano (Gustavo Gutierrez) per sottolineare la centralità del messaggio cristiano a favore dei poveri. Movimento molto diffuso nell’America Latina, ma duramente contrastato da Giovanni Paolo II (appoggio negato ad Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, che non viene ricevuto in Vaticano)

- IL CRISTIANESIMO CONSERVATORE: dopo il 1968 nella Chiesa si affermano movimenti cosiddetti di controcontestazione: i principali sono il Movimento Cristiano Lavoratori (scissione a destra delle Acli) e Comunione e Liberazione la cui missione è quella di affermare «un’identità cristiana più chiara ed intera». I Lefebvriani (Marcel Lefebvre): rifiuto del Concilio II. Opus

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Dei: nata nel 1928 e dipendente direttamente dal Papa: 1) fortemente conservatrice, 2) antimarxista, 3) intollerante verso le altre religioni, 4) contro il riconoscimento di un ruolo di primo piano alle donne. Legionari di Cristo fondati nel 1941 a Città del Messico da Marcial Maciel Degollado: 1) assistenza ai poveri, 2) diffondere il cristianesimo attraverso la fondazione di istituti educativi e sportivi, 3) creare delle elite cattoliche

- GEOGRAFIA DEL CATTOLICESIMO: EUROPA OCCIDENTALE (declino dell’osservanza e della fede). AMERICA LATINA: 1) religione ancora molto forte; 2) la componente latinoamericana è la più numerosa (59% del totale); 3) a partire dagli anni ’80 in sofferenza a causa della penetrazione evangelica e del processo di laicizzazione. Africa e Asia: il cattolicesimo è la principale religione organizzata nell’AFRICA subsahariana e nelle Filippine anche se a partire dagli anni ’90 vi è una forte avanzata dell’Islam. Negli altri paesi asiatici il cattolicesimo è decisamente minoritario e sempre più mal tollerato dalla maggioranza delle popolazioni.

L’ISLAM

- ISLAM: con questo termine si indica la pratica religiosa - ISLAMISMO: con questo termine si indicano i movimenti politici che si

muovono all’interno della religione islamica - Principale divisione: SUNNISMO (sunniti) e SCIISMO - SUNNISMO: è l’orientamento maggioritario nell’islam (circa il 90% dei

fedeli). I testi sono il Corano e la Sunna (la raccolta degli atti e dei detti di Maometto). Si caratterizza per l’assenza di clero

- SCIISMO: è l’orientamento minoritario dell’islam (prevalente in Iran): 1) sostengono che i ruoli di Imam (guida religiosa) e di Califfo (guida politica) devono appartenere ad una sola persona e che questa far parte della discendenza di Maometto, 2) ruolo dell’Imam come guida spirituale

- Tendenze: 1) tensioni con il cristianesimo, 2) lotta alle credenze tribali (Indonesia; Africa), 3) crescita del “fondamentalismo” e del terrorismo con gruppi quali Al Qa’ida e gruppi radicali quali Hamas in Palestina, Hezbollah in Libano

- Dopo la I guerra del Golfo e l’11 settembre 2001 al centro della questione del cosiddetto SCONTRO DELLE CIVILTÀ. Definizione data dal politilogo americano Samuel Hungtington: secondo Hungtington i conflitti post guerra fredda verranno alimentanti non da divisioni politico-ideologiche ma culturali.

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Le principali civiltà individuate sono: Occidentale, Latinoamerica, Africana, Islamica, Sinica, Indù, Ortodossa, Buddista e Giapponese

- Geografia: l’Islam è diffusa principalmente nell’Africa del nord e centrale, nel Medio Oriente e in Asia (Indonesia, Pakistan)

INDUISMO

- Religione che si basa sui VEDA, antichi testi sascri scritti in sanscrito dai

popoli arii che invasero l’India nel 2000 A.C. - Nel 1980 nasce il Partito del Popolo Indiano: 1) decisamente conservatore, 2)

nazionalista, 3) in difesa dell’identità induista - Geografia: Nepal, India, Mauritius

IL FENOMENO DELLE SETTE

- Crisi sociale anni ’70 e ’80 alimenta questo fenomeno - Gruppi di origine PENTACOSTALE: accento posto sul ruolo dello Spirito

Santo e sulla seconda venuta di Cristo - Mormoni: Libro di Mormon scritto da Joseph Smith che sosteneva di averlo

tradotto da una lingua antica) - Testimoni di Geova: nati nel 1870 in Pennsylvania: è un movimento teocratico,

millenarista e restaurazionista (auspica il ritorno alla chiesa delle origini) - Seguaci di Moon: contro il celibato, le separazioni razziali, convinto della

necessità di una seconda venuta di Cristo - Chiesa neoapostolica: si ritiene la continuazione della Chiesa primitiva - New Age: movimento sincretista che ritiene che la parte migliore delle

religioni risieda nel loro lato esoterico e misterico - Gruppi di origine orientale (Hare Krishna, Arancioni di Rajnesh…) - Movimenti spiritisti, satanisti, magici - SCIENTOLOGY: è il movimento più diffuso e controverso fondato dallo

scrittore Ron Hubbard (potenziamento dell’intelletto). Oltre 8 milioni di membri in 107 paesi

- Le SETTE APOCALITTICHE: AUM SHINRIKYO in Giappone. Attentato alla metropolitana di Tokyo nel 1995 DAVIDIANI DEL VIRGULTO: eccidio di Waco in Texas nel 1993 dove morirono oltre 70 persone fra cui molti bambini.

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DAGLI ANNI SETTANTA AI NOVANTA DAL MONDO BIPOLARE A QUELLO MULTIPOLARE

- Perdita di influenza di Usa e Urss - Crescita del ruolo di nuovo attori globali: Europa comunitaria, Cina, India,

Giappone - Affermazione di nuove potenze regionali: Iran, Iraq, Egitto, Israele, Sudafrica,

Brasile, Argentina, Messico GLI STATI UNITI Presidenza NIXON (repubblicano) 1968-76

- La dottrina Nixon in politica estera: 1) impossibilità di un confronto fra superpotenze, 2) sfruttamento dei contrasti fra Urss e Cina, 3) ricorso a concessioni reciproche, 4) maggior indipendenza degli alleati, soprattutto in Asia

- Il Vietnam: escalation della violenza militare con invasione di Cambogia e Laos; fallimento del piano volto a indebolire il Nord Vietnam; fine della guerra nel 1973 e abbandono del Vietnam nel 1975. Ruolo dei mass media nel denunciare le violenze americane come nel caso dell’eccidio di My Lai del 1968

- Normalizzazione dei rapporti con la Cina e visite di Nixon in Romania e a Mosca (firma dei trattati SALT per la limitazione delle armi strategiche)

- POLITICA INTERNA: 1) conservatorismo moderato; 2) rallentamento del processo di integrazione delle minoranze

- Il SECONDO MANDATO: 1) crisi del KIPPUR e mediazione americana (Kissinger) fra Egitto e Israele, 2) scandalo del Watergate (attività di spionaggio verso il Partito democratico), 3) dimissioni di Nixon il 9 agosto 1974 sostituito dal vicepresidente Gerald Ford

Presidenza CARTER (democratico) 1976-1980 - Politica estera “idealistica” caratterizzata da 1) firma dei trattati SALT II con

Urss, 2) normalizzazione con la Cina, 3) accordi di Camp David del 1978 fra Egitto ed Israele, 4) disastro diplomatico in occasione dell’occupazione dell’Ambasciata americana a Teheran

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- Politica interna: 1) tentativo di risolvere la crisi economica interna caratterizzata dal crescere del debito pubblico, dalla disoccupazione e dall’aumento dell’inflazione. Scarsi risultati.

Presidenza REAGAN (1980-1988) - Netta vittoria di Reagan contro Carter - La REAGANOMICS: politica di risanamento NEOLIBERISTA

a) riduzione del ruolo dello stato b) limitare la legislazione sociale c) riduzione delle tasse parallela alla riduzione della spesa statale d) attacco al welfare state considerato come la causa della crisi economica e della scarsa produttività dei lavoratori e) deregulation, ovvero concorrenza pienamente svincolata dal controllo dello stato Risultati favorevoli dovuti a 1) diminuzione del prezzo delle materie prime 2) diminuzione del prezzo del petrolio Effetti: 1) aumento significativo dei posti di lavoro 2) ristrutturazione industriale con trasferimento delle produzioni mature (tessile, meccanica, siderurgia) e innovazione con sviluppo dell’informatica, dell’elettronica e della biotecnica

- Risultati sociali della reaganomics: 1) perdita di potere contrattuale dei sindacati 2) accentuazione rapida della forbice fra i redditi alti e bassi 3) fine del sistema di protezione sociale creato da Roosevelt 4) alto costo sociale della ristrutturazione sociale con perdita di posti di lavoro nell’industria 5) aumento del debito pubblico 6) crollo del mercato azionario nel 1987 e fallimento di numerose banche

- Il SECONDO MANDATO: 1) dalla denuncia dell’Impero del male ai trattati con Gorbaciov a Ginevra (1985), Reykjavik (1986) e a Mosca (1988), 2) linea DELLA FERMEZZA con interventi diretti in Libia (1981 e 1986), Golfo Persico (1987) e il lancio delle cosiddette “guerre stellari” (Strategic Defense Initiative, SID) nel 1983. Lo scandalo Iran-contras connection: la fornitura illegale di armi all’Iran per favorire la liberazione degli ostaggi e ai guerrigliere antisandinisti in Nicaragua

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Presidenza BUSH (1988-1992) - Rilancio delle politiche economiche liberiste - Politica antiabortista e decisamente conservatrice - Politica estera: 1) ruolo attivo nella caduta del governo sandinista in Nicaragua

e del regime di Noriega a Panama, 2) I guerra del Golfo come risposta all’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq

L’EUROPA OCCIDENTALE GRAN BRETAGNA

- Governo del conservatore Heath (1970-1974): 1) forte crisi economica, 2) politica di segno liberista rivolta a ridurre il ruolo dello Stato

- Governi laburisti 1974-1979 (Wilson e Callaghan): 1) verso la risoluzione della crisi economica con a) attenuazione crisi petrolifera, b) accordi con le Trade Unions per moderare la conflittualità sul lavoro; 2) grave crisi in Irlanda del Nord; 3) referendum del 1975 favorevole alla permanenza della GB nella CEE

- Aspetto politico nuovo: crescita del Partito liberale che cambia in quadro politico facendo emergere una terza forza politica nazionale alternativa ai conservatori e ai laburisti

- 1979: vittoria dei conservatori e governo di Margaret Thatcher 1) crisi economica e difficoltà del governo; 2) guerra delle Falkland fondamentale per la popolarità della Thatcher; 3) dal 1982 nuova ripresa economica guidata dall’industria petrolifera (pozzi nel Mare del Nord)

- 1983: secondo governo Thatcher e la RIVOLUZIONE CONSERVATRICE: 1) politica liberista contro il welfare state a) esaltazione del mondo dei ricchi e dell’iniziativa privata, b) smantellamento della politica sociale, c) lotta contro i sindacati (sconfitta del potente sindacato dei minatori nel 1984), d) privatizzazione nei servizi, nella sanità e nell’istruzione

- 1987: terzo governo Thatcher con forte perdita dei consensi per 1) crisi dell’Irlanda del Nord, 2) riforma della sanità finalizzata alla riduzione della spesa, 3) introduzione della POLL TAX che sostituiva quella sulla proprietà e che doveva essere pagata in maniera uguale da tutti i cittadini. La legge scatenò una vera e propria ribellione sociale che causò le dimissioni della Thatcher

FRANCIA

- 1969-1974 Presidenza di Georges Pompidou caratterizzata dal moderatismo sociale

- 1974-1981: Presidenza di Valery Giscard d’Estaing caratterizzata da governi moderati ma riformatori (abbassamento della maggiore età a 18 anni,

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facilitazione del divorzio, legalizzazione dell’aborto, sovvenzioni ai disoccupati, sostegno agli anziani)

- 1981: prima vittoria di un presidente socialista (Francois Mitterand). La presidenza fu caratterizzata da governi che applicarono politiche keynesiane in netta contro-tendenza rispetto a GB e USA

- 1988: secondo mandato presidenziale di Mitterand e radicamento del Partito socialista nella società francese. Politica estera: 1) forte attivismo verso Europa dell’Est e URSS, 2) creazione di un leadership europea con la Germania a favore di una maggiore intesa politica fra gli stati aderenti alla CEE

GERMANIA FEDERALE

- 1969-1974: governo del cancelliere socialdemocratico Willy Brandt: 1) politica di distensione verso l’Est (riconoscimento all’Onu di entrambe le Germanie), 2) politiche a favore dei lavoratori, 3) lotta al terrorismo. Caduta nel 1974 in seguito allo scandalo Guillaume (uno stretto collaboratore di Brandt accusato di essere una spia a favore della DDR)

- 1974-1982: governo del cancelliere Helmut Schmidt 1) efficace politica economica basata sulla “cogestione” delle aziende e sul ruolo dello stato per stimolare lo sviluppo delle imprese private, 2) dura lotta al terrorismo

- 1982-1990: governo del cancelliere democratico cristiano Helmut Kohl 1) mantenimento della linea economica di Schmidt, 2) efficace politica estera volta a stabilire una solida allenza con USA, 3) riunificazione della Germania

ITALIA - Esaurimento del centro-sinistra. Strategia della tensione alimentata

dall’eversione di destra. Terrorismo delle Brigate Rosse - 1972: governo centrista guidato da Giulio Andreotti. I governi Moro e la

politica del “compromesso storico”. Forte crescita del consenso per il Pci che arriva a quasi il 35% nel 1976. Rapimento di Aldo Moro nel 1978

- 1979: elezione di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica - 1981: presidenza del consiglio a Giovanni Spadolini (repubblicano) - 1983-1987: governo a guida socialista (Bettino Craxi) - 1990: affermazione del fenomeno “leghista” e la crisi dei partiti determinato

dallo scandalo di Tangentopoli LA FINE DELLE DITTATURE IN EUROPA OCCIDENTALE GRECIA

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- 1974: crisi di Cipro e fine della dittatura dei colonnelli. Tentativo di annessione di Cipro alla Grecia con conseguente invasione dell’isola da parte della Turchia. Abolizione della monarchia e governo moderato guidato dal conservatore democratico Karamanlis

- 1981-1989: governo del socialista Papandreu. PORTOGALLO

- 1970: morte di Salazar - 25 aprile 1974: rivoluzione dei garofani ad opera dei militari più liberali - 1974-1975: periodo di forti tensioni e di incertezza politica - 1975: elezioni per l’Assemblea costituente con netta vittoria dei socialisti

guidati da Mario Soares, vittoria replicata nel 1976 - 1986: il Portogallo entra nella CEE

SPAGNA - 1975: morte di Franco che nel 1969 aveva designato come successore il

principe Juan Carlos di Borbone - 1976-1977: ritorno alla democrazia con prime elezioni vinte dall’Unione del

centro democratico guidata da un franchista moderato (Adolfo Suarez) - 1978: nuova costituzione con Spagna che diventa una monarchia costituzionale - 1981: tentativo di colpo di Stato, fallito per opposizione del re e dell’esercito

lealista - 1982-1990: governi del socialista Felipe Gonzales 1) modernizzazione

economica, 2) entrata nella Nato e nella CEE, 3) contrasto del terrorismo basco (Eta)

IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA

- Fra il 1972 e il 1986 la CEE passa da 6 a 12 stati (Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Grecia, Portogallo e Spagna)

- 1979: prima elezione del Parlamento europeo - 1984 e 1987: approvazione del processo per la costruzione di una Unione

Europeo (firma dell’Atto Unico a Milano nel 1987) a partire dal 1993 L’UNIONE SOVIETICA CRISI DEL COMUNISMO

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- Modello economico basato su pianificazione e comando politico autoritario inadeguato a gestire l’innovazione produttiva e tecnologica

- Crisi del modello centralista sovietico - Il progressivo allontamento dei partiti comunisti occidentali dall’Unione

Sovietica. EUROCOMUNISMO (anni ’70): volontà di procedere nella costruzione del socialismo sulla base dei valori del pluralismo politico e sociale e della democrazia politica.

L’URSS DI BREZNEV 1966-1982

- Riabilitazione dello stalinismo - Cancellazione dell’opera di rinnovamento di Kruscev - Repressione del dissenso: esilio di Solzenitsyn e isolamento di Andrej

Sacharov a Gor’kij. Aumento consistente dell’emigrazione ebraica verso Israele

- Stagnazione dell’economia. Incentivi per aumentare la qualità della produzione, ma sostanziale fallimento

- Politica ESTERA: 1) intervintismo sovietico nel Medio Oriente con appoggio all’Egitto, alla Siria, all’Iraq; 2) interventismo in Africa a sostengo del movimento di liberazione dell’Angola e del governo di Menghistu in Etiopia; 3) intervento in Afghanistan in seguito ad un colpo di stato comunista; 4) firma dei trattati SALT nel 1972 e nel 1979.

L’INTERMEZZO DI ANDROPOV E DI CERNENKO La segreteria di JURIJ ANDROPOV (1982-1984)

- Rinnovamento dei quadri del PCUS (uno dei nuovi dirigenti era Michail Gorbaciov)

- Misure contro la corruzione, assenteismo e alcolismo - Prima discussione sulla necessità di riforme economiche - In politica estera, contrasto con USA per l’installazione dei missili Pershing e

Cruise in Europa La segreteria di KONSTANTIN CERNENKO (1984-1985)

- Esponente della parte conservatore del PCUS, legata a Breznev - Non in grado di arginare l’ascesa politica di Gorbaciov

L’URSS DI MICHAIL GORBACIOV (1985-1991)

- Gorbaciov eletto segretario generale del Pcus l’11 marzo 1985

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- POLITICA INTERNA: perestrojka (ristrutturazione) e glasnost (trasparenza). Denuncia dello stalinismo e del breznevismo. Collegamento diretto dell’opera di riforma a Lenin e a Kruscev

- Ampie riforme economiche: nel 1990 ripristino della proprietà individuale dei mezzi di produzione e della terra

- Il RINNOVAMENTO: 1) ampia sostituzione dei dirigenti più anziani del Pcus, 2) COSTITUZIONE DEL 1989 a)Congresso dei deputati del popolo eletto sulla base di candidature in competizione, b) Soviet Supremo bicamerale (Soviet dell’Unione e Soviet delle Nazionalità). Nel 1990 (13 marzo) viene abolito il monopolio politico del PCUS: fine della dittatura sovietica. Piena concessione della libertà di stampa e delle libertà civili

- LE DIFFICOLTÀ DELLA PERESTROJKA a) Forte opposizione interna al Pcus alimentata dai conservatori b) Boris Eltsin eletto presidente del Soviet supremo della Repubblica russa e voto

della supremazia della costituzione russa su quella federale c) Il XXVIII Congresso del PCUS: Gorbaciov assume una posizione centrista fra

l’opposizione dei conservatori e dei militari e quella dei radicali guidati da Eltsin

d) ESPLOSIONE DEI CONFLITTI NAZIONALI: nel 1990 la Lituania si proclama indipendente seguita Estonia, Lettonia, Georgia e poi dalle altre repubbliche sovietiche. Creazione di una Confederazione degli Stati Indipendenti nel 1991

e) La POLITICA ESTERA: fine del conflitto est-ovest con l’instaurazione di relazioni pacifiche e cooperative con la Cina, i paesi asiatici e l’Unione Europea. Distensione definitiva con Usa negli incontri Bush-Gorbaciov del 1989 a Malta e del 1990 a Washington.

I PAESI SOCIALISTI UNGHERIA

- Regime di Kadar dal 1956 al 1988 - Ritorno del pluralismo ed elezioni del 1990 vinte dai partiti di centro-destra

CECOSLOVACCHIA

- Regime di Husak dal 1968 - Movimento della “Carta 1977” - Ribellione generale fra 1988 e 1989 con dimissioni del Politburo del partito

comunista

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- Elezioni del 1990 con vittoria del Forum democratico di Vaclav Havel e Dubcek nominato presidente del Parlamento

POLONIA

- Nel 1976 cade il regime di Gierek e nel 1980 il potere passa nelle mani del generale Jaruzelski

- Nel 1980 viene fondato il movimento di Solidarnosc guidato da Lech Walesa - Dura repressione fino al 1986 - 1988 anno di forti manifestazioni operaie - 1989 viene legalizzato Solidarnosc e indizione di elezioni libere che

assegnarono una netta vittoria ai candidati di Solidarnosc. Jaruzelski eletto Presidente della repubblica e governo di Tadeusz Mazowiecki.

GERMANIA ORIENTALE

- Honecker decisamente contrario al nuovo corso di Gorbaciov - Nell’ottobre 1989, in occasione del 40 anniversario della costituzione della

DDR, iniziano vaste manifestazioni in numerose città - 18 ottobre 1989, su pressioni dell’URSS Honecker lascia il potere - 9 novembre 1989: apertura delle frontiere - 1990: unificazione della Germania fortemente voluta dal cancelliere Kohl.

Elezioni in DDR con netta vittoria della CDU JUGOSLAVIA

- 1980: morte di Tito - 1989: ribellione del Kosovo contro egemonia serba - 1991: secessione della Slovenia e I guerra jugoslava - 1991-1995: guerra di Croazia - 1992-1995: guerra di Bosnia-Erzegovina - 1996-1999: guerra del Kosovo

BULGARIA

- Dura repressione della minoranza turca ultimo atto del potere di Zivkov, al potere dal 1954

- 1990: fine del monopolio politico del partito comunista, libere elezioni vinte dal Partito socialista bulgaro (l’ex Partito comunista). Soluzione trasformistica interna al partito comunista

ROMANIA

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- Dittatura di Nicolae Ceausescu e forte isolamento della Romania con grave crisi economica e sociale

- 15 dicembre 1989: agitazioni in Transilvania che si diffusero nel paese - 25 dicembre 1989: cattura di Ceausescu e sua esecuzione a morte - Cambiamento guidato da Ion Iliescu, un esponente del partito comunista - Le elezioni del 1990 sanciscono la vittoria di Iliescu, ma la competizione

elettorale è pesantemente influenzata dai brogli. I dimostranti contrari all’esito delle elezioni sono stati repressi da Iliescu con l’intervento violento dei minatori

L’ASIA LA CINA di DENG HSIAO PING

- Moderazione della politica e sconfitta del movimento radicale (“banda dei quattro”)

- Forte riformismo economico e veloce modernizzazione della società. Avvicinamento della Cina al mondo occidentale con entrata della Cina nel Fondo monetario internazionale (1980)

- 1989: il movimento studentesco di piazza Tienanmen a favore della democratizzazione interna. Dura repressione del movimento studentesco

INDIA

- Nehru 1957-1964: 1) Costituzione del 1950 con suffragio universale e abolizione giuridica delle caste, 2) riforma agraria e creazione di un’economia mista

- Indira Nehru Gandhi 1966-1977 e 1980-1984: 1) rivoluzione verde, 2) sostegno al ruolo dello stato nell’economia, 3)guerra con il Pakistan nel 1971 e costituzione del Bangladesh; 4) opera di riformismo sociale e di forte controllo politico 5) ribellione Sikh nel Punjab e assassinio di Indira Gandhi nel 1984

- Rajiv Gandhi 1984-1989 (assassinato da un sikh nel 1991): proseguimento dell’opera riformista di Indira.

INDONESIA

- Nel 1965 colpo di stato di Suharto contro Sukarno - Purga contro i comunisti (500.000 morti) - Regime ostile a Urss e Cina e vicino agli USA

GIAPPONE

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- Politica dominata dal Partito liberaldemocratico - Economia caratterizzata da un forte e costante sviluppo

LE DITTATURE IN CAMBOGIA E NELLE FILIPPINE

- Dal 1975 regime di Pol Pot caratterizzato da un carattere terroristico - 1978: invasione della Combogia da parte del Vietnam e guerra conclusasi

solamente negli anni ‘90 - Nelle Filippine dittatura di Ferdinando Marcos dal 1965 fino al 1986 quando il

regime è stato rovesciato dall’opposizione democratica guidata da Corazon Aquino

Le TIGRI ASIATICHE

- Forte sviluppo economico ininterrotto e con ritmi di crescita intensi - Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Hong Kong - In misura minore la Malesia e l’Indonesia

IL MEDIO ORIENTE

IRAN

- Opposizione alla modernizzazione autoritaria di Reza Pahlavi - 1978-1979: forte opposizione e creazione della Repubblica islamica guidata da

Ruhollah Khomeini - Instaurazione di un regime teocratico - Ostilità verso gli Usa, conflitto con l’Iraq (1980-1988)

Le crisi nell’area

- Guerra del Kippur (ottobre 1973) con attacco di Egitto e Siria ad Israele - Libano con lotte incrociate fra libanesi, siriani, palestinesi e israeliani (1980-

1988) - L’intifada in Palestina (OLP come organizzazione di rappresentanza nazionale

e politica)

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DAGLI ANNI NOVANTA AL 2001 NUOVO ORDINE INTERNAZIONALE, CRESCITA DEI NAZIONALISMI E NUOVE GUERRE

- La divisione del mondo in due sfere di influenza aveva ridotto le variabili di instabilità nel sistema delle relazioni internazionali perché ogni problema locale o regionale poteva essere ricondotto al negoziato fra le due superpotenze

- La fine del bipolarismo ha causato numerosi processi di frammentazione politica (Urss, Jugoslavia, Medio Oriente, Africa)

- Gli anni Novanta sono stati caratterizzati dalle cosiddette “nuove guerre”: le guerre jugoslave, i conflitti nelle repubbliche ex sovietiche (Georgia, Armenia, Azerbaigian, Cecenia), la guerra civile nel Ruanda, le guerre civili in Sudan, Etiopia e Somalia

- Il ruolo del “fondamentalismo islamico” come fattore di destabilizzazione in Algeria, Turchia, Afghanistan, Pakistan, Africa centrale

- Attacco terroristico dell’11 settembre 2001 e avvio dei due interventi militari internazionali in Afghanistan ed in Iraq con la caduta dei regimi dei talebani e di Saddam Hussein

L’EUROPA E GLI STATI UNITI NEGLI ANNI NOVANTA GRAN BRETAGNA: gli alti livelli di disoccupazione, la questione irlandese e la crisi economica posero fine al governo conservatore di John Major e portarono al governo il Partito laburista guidato da Tony Blair (1997). Blair aveva ulteriormente spostato al centro la linea politica del partito laburista seguendo la cosiddetta “terza via” di segno marcatamente centrista FRANCIA: coabitazione fra neogollisti e socialisti (Chirac presidente della Repubblica e socialista Jospin primo ministro) ITALIA: primo governo Berlusconi (1994) e primo governo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi (poi da Massimo D’Alema e da Giuliano Amato) con una maggioranza composta da Pds, Partito popolare, Verdi e Rifondazione comunista UNIONE EUROPEA: Nel 1993 entra in vigore il Trattato di Maastricht che dà avvio al processo di unificazione politica bloccato però dalla mancata ratifica della cosiddetta Costituzione europea, sostituita dal Trattato di Lisbona del 2009. L’Unione Europea si è allargata prima a 15 Stati (1995: Austria, Svezia, Finlandia), poi a 25

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(2004: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca, Ungheria) e poi a 27 (2007: Bulgaria e Romania). STATI UNITI: presidenze del democratico Bill Clinton (1992-2000) caratterizzate da una politica estera “moderatrice” (mediazione Usa per risolvere i conflitti in Irlanda, Medio Oriente, Ruanda, Somalia, ex Jugoslavia) e da una politica interna volta a proporre un nuovo modello di welfare state (nuova assistenza sanitaria, maggiori finanziamenti alla scuola pubblica) bloccata, però, dall’opposizione del Partito repubblicano

ECONOMIA e GLOBALIZZAZIONE Le 5 FASI dell’economia mondiale fra 0ttocento e Novecento

- 1820-1913: Epoca liberale intervallata da un periodo di depressione (1873-1890) caratterizzato da un momentaneo ritorno delle politiche protezionistiche

- 1913-1950: lento collasso del libero mercato ed economia caratterizzata dalle politiche di sfruttamento

- 1950-1973: età dell’oro (GOLDEN AGE): 1) il PIL (prodotto interno lordo) raggiunge i massimi valori in ciascun continente, 2) periodo di elevata stabilità sociale, 3) ritorno della libertà di commercio internazionale

- 1973-1992: età del rallentamento della crescita caratterizzata da a) Occidente: 1) minore crescita del PIL con conseguenti momenti di

recessione, 2) de-industrializzazione e avanzata terziarizzazione dell’economia, 3) fallimento del CONTRATTO SOCIALE (riduzione del welfare state, conflitti sociali…)

b) Est-Europa: fallimento delle economie pianificate c) America Latina: rallentamento dell’economia dovuto a politiche errate di

industrializzazione, alla corruzione e alla crisi politica d) Africa: forte crisi economica dovuta alle conseguenze politiche e sociali

causate dalla decolonizzazione e) Asia: rallentamento dell’economia giapponese, ma crescita delle “tigri

asiatiche” e della Cina - 1992- tempo presente: l’età della GLOBALIZZAZIONE caratterizzata da una

forte crescita degli scambi internazionali e dalla produzione manufatturiera (nel 1925 il 64% degli scambi riguardava le materie prime; nel 1994 gli scambi di materie prime erano solamente il 25% del totale):

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a) Economie sviluppate hanno assunto il ruolo di “teste pensanti” dell’economia accentrando i ruoli gestionali, strategici e finanziari e producendo prodotti ad alto valore aggiunto

b) Economie in via di sviluppo hanno attirato le produzioni tradizionali a basso valore aggiunto e ad alto contenuto di lavoro umano

c) Rivoluzione informatica ha consentito lo spostamento di masse sempre più ingenti di capitali sulle piazze finanziarie e, al tempo stesso, ha permesso il controllo a distanza del ciclo produttivo industriale

d) Rivoluzione informatica ha ridotto gli spazi e i tempi della socializzazione fisica

e) Ripresa senza precedenti delle MIGRAZIONI con caratteristiche nuove rispetto al passato: 1) si sono moltiplicate le mete di destinazione; 2) si sono sviluppati flussi del tutto nuovi (dalla Cina verso il resto del mondo; dall’Asia e dall’Europa dell’Est verso il Golfo Persico…); 3) ostilità delle popolazioni accoglienti verso i migranti con conseguente sviluppo di legislazioni restrittive e aumento delle migrazioni clandestine; 4) circa la metà dei migranti è costituito da donne

L’INSIEME di queste dinamiche ha messo seriamente in discussione i due pilastri della società contemporanea originata dalle rivoluzioni settecentesche ed ottocentesche: 1) lo stato nazione, 2) il lavoro salariato di fabbrica SPIEGAZIONI DELLO SVILUPPO ECONOMICO Approccio sistemico (Sidney Pollard, La conquista pacifica)

- Primogenitura europea dovuta alla formazione di un sistema sempre più integrato di relazioni politiche ed economiche

- Sviluppo economico europeo dovuto ad un processo unitario e non ripetitivo frutto del modello inglese (prima rivoluzione industriale)

- Sviluppo favorito dall’affermazione del liberalismo e del laissez faire e, successivamente, dall’integrazione europea ad ovest e ad est

Approccio comparativo (Nathan Rosenberg e Luther Birdzell, Come l’occidente è diventato ricco)

- Primogenitura europea dovuta alle sue specificità economiche, demografiche, istituzionali e culturali

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- Fattori non economici favorevoli all’Europa: 1) processo di urbanizzazione, 2) crescita demografica, 3) sistemi politici ed economici (liberalismo, liberismo), 4) creazione di un’economia ben regolamentata

- Fattori economici favorevoli all’Europa: 1) innovazioni nel commercio, nella tecnologia, nell’organizzazione COMBINATE con 2) accumulazione del capitale, 3) sfruttamento delle risorse naturali

- Principali vantaggi: 1) COMMERCIO DI RISORSE CON LE COLONIE. Rosenberg e Birdzell rifiutano la teoria della sfruttamento perché a) nel sistema capitalistico i salari sono stati strutturalmente bassi, b) saggio reale dei salari in costante ascesa, c) industrializzazione dei paesi non sviluppati genera benefici quali l’aumento dei salari, d) non vi è stata alcuna correlazione fra il ritmo di crescita dei paesi europei e l’imperialismo (Paesi scandinavi non sono stati imperialisti; Spagna e Portogallo non hanno avuto un precoce sviluppo industriale); 2) COMMERCIO DI DERRATE ALIMENTARI evitò le crisi economiche dovute all’aumento dei prezzi

Approccio eterodosso (Kenneth Pomeranz, La grande divergenza)

- Fino a metà Settecento le condizioni di Europa e Asia non erano poi molto divergenti perché a) economia dell’Asia era aperta al mercato e possedeva un livello tecnologico almeno pari a quello europeo, b) sia l’Asia che l’Europa erano sottoposte al vincolo malthusiano, alla dipendenza dalla terra e dalle risorse naturali

- La divergenza fra Europa e Asia inizia intorno alla metà dell’Ottocento perché a) Scoperta del carbone e sfruttamento intensivo delle terre coloniali evitano

all’Europa di cadere vittima di un processo di involuzione b) Senza le materie prime provenienti dalle colonie la rivoluzione industriale

non sarebbe stata sostenibile c) La coercizione economica dovuta al colonialismo favorì i paesi europei in

quanto uno scambio paritario e consensuale di merci non avrebbe assicurato un sufficiente flusso di prodotti primari

d) Ruolo del progresso scientifico e tecnologico

PRINCIPALE NOVITÀ DELLA SPIEGAZIONE DI POMERANZ: sposta l’accento sull’importanza della dominazione coloniale e dei vincoli ecologici

ASPETTI E PROBLEMI DELLA GLOBALIZZAZIONE

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Caratteristiche della globalizzazione: Azione a distanza: gli atti posti in essere da soggetti sociali in un ambito locale assumono conseguenze significative per soggetti lontani Compressione spazio-temporale: le comunicazioni fisiche ed elettroniche erodono i limiti della distanza e del tempo Accelerazione dell’interdipendenza: intensificazione dei livelli di interconnessione tra economie e società nazionali Contrazione del mondo: erosione delle frontiere geografiche per effetto delle attività socioeconomiche LE INTERPRETAZIONI Analisi della tradizione marxista

- Globalizzazione innescata dalla necessità espansionistica del capitalismo - Imperi tradizionali sostituiti dal controllo economico guidato dal G8 e dalla

Banca Mondiale - Globalizzazione come nuova modalità dell’imperialismo europeo e americano

Analisi realista

- Globalizzazione intesa come un ordine geopolitico determinato dalle azioni degli stati più potenti economicamente e militarmente

- Internazionalizzazione condizionata dalle politiche degli stati più forti - Globalizzazione intesa come nuovo ORDINE LIBERALE del mondo che

collasserebbe senza la leadership statunitense - In assenza di una forza egemone il sistema produrrebbe un collasso simile a

quello avvenuto fra il 1919 e il 1939 Analisi globalista

- La globalizzazione non può essere considerata solamente una proiezione della modernità “occidentale” nell’intero pianeta

- Globalizzazione come PRODOTTO di una molteplicità di forze che includono fattori economici, politici e tecnologici, ma anche fattori congiunturali (ad esempio, il collasso dell’Urss e dei paesi socialisti)

LE CONSEGUENZE E I PROBLEMI Rottura del legame esclusivo tra territorio e potere politico

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a) Affermazione dei processi di regionalizzazione: principalmene in Europa, ma anche nelle Americhe e in Asia con la costruzione di organizzazioni per la cooperazione politica ed economica

b) I processi di regionalizzazione hanno messo in discussione la legittimità e l’efficacia della sovranità nazionale

c) Sviluppo di organizzazioni internazionali sia governative che non governative. Nel 1909, ad esempio, vi erano 37 Organizzazioni internazionali governative e 176 non governative. Nel 1995 vi erano 260 Organizzazioni governative e 5.500 non governative

Globalizzazione della cultura e tensioni con le culture nazionali

a) Affermazione di una cultura globale diffusa dai mezzi di comunicazione (radio, TV, internet) e guidata non dagli stati, ma dalle grandi compagnie multinazionali o da organizzazioni transnazionali

b) Lo sviluppo della cultura globale favorisce le tensioni nazionali in quanto a questa si oppongono le culture nazionali sostenute dall’identità nazionale che è ancora prevalente nel sentire comune della maggioranza dei cittadini

Integrazione sempre più evidente dell’economia

- Secondo i globalisti (coloro che sono favorevoli al processo di globalizzazione), esiste una sola economia globale che integra le principali regioni economiche del mondo

- Economia sta assumendo un ordinamento post-egemonico in quanto nessun paese può dettare, da solo, le regole degli scambi globali

- Le società multinazionali hanno acquistato un ruolo centrale nel processo di globalizzazione. Oggi controllano il 20% della produzione e il 70% del commercio mondiale

- Radicale ritrutturazione industriale determinata dalle delocalizzazioni, ovvero dal trasferimento delle produzioni verso le economie in fase di sviluppo

- Sviluppo di una CONTRADDIZIONE centrale: la globalizzazione delle attività economiche sfugge al controllo normativo dei governi nazionali, ma le istituzioni internazionali hanno un’autorità limitata poiché gli stati si rifiutano di cedere la loro sovranità

- CONSEGUENZE dell’integrazione: a) Difficoltà di mantenere i livelli di protezione sociale esistenti senza minare

la competitività delle imprese nazionali e respingere gli investimenti stranieri

b) Politica di indebitamento pubblico e aumento delle tasse resi molto difficili dai vincoli prodotti dai mercati finanziari globali

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c) Sovranità e solidarietà sociale fortemente erose dalla globalizzazione economica

La globalizzazione della povertà

- I Globalisti neoliberisti considerano la povertà estrema e le diseguaglianze come condizioni transitorie che saranno ridotte dalla modernizzazione portata dal mercato globale

- Per i socialdemocratici e i radicali le diseguaglianze sono prodotte dalla globalizzazione a causa di a) una accentuata segmentazione della forza lavoro tra quelli che guadagnano e quelli che perdono dalla globalizzazione, b) una crescente marginalizzazione dei perdenti rispetto all’economia globale, c) erosione della solidarietà sociale. Globalizzazione come causa della “globalizzazione” della povertà che coinvolge sempre più spesso anche gli stati del “primo mondo”

- Le ragioni dell’INEGUAGLIANZA: a) Presenza di uno stato debole, privo di una struttura amministrativa pubblica

efficace b) Integrazione dei paesi in via di sviluppo nel mercato capitalistico attraverso

le produzioni industriali con alto impiego di operai non qualificati: ciò ha provocato un aumento delle ineguaglianze sociali nei paesi industrializzati a causa del peggioramento dei livelli salariali degli operai non specializzati

c) Consolidarsi del “DIGITAL DIVIDE”, ovvero del ritardo tecnologico dei paesi più poveri

d) Percezione della situazione distorta dall’idea che il modello occidentale di sviluppo fondato sull’espansione dei consumi privati e sulla democratizzazione della vita politica potesse essere esteso al resto del mondo

e) Crescita generalizzata dei consumi privati ha finito per aumentare la pressione umana sulla Terra ben oltre i limiti consentiti

LE INTERPRETAZIONI STORIOGRAFICHE DELLA GLOBALIZZAZIONE

- Dibattito dominato dalla discussioni fra favorevoli e contrari. I primi hanno finito per enfatizzare i lati positivi della globalizzazione teorizzando la fine dello stato nazionale e del lavoro concentrato nella fabbrica. I secondi

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enfatizzano i lati negativi della globalizzazione immaginando un capitalismo privo di freni e di controlli

La categoria interpretativa di ECONOMIA-MONDO:

a) L’espansione del mercato capitalistico avviene sempre in connessione con l’ascesa di una stato-guida. Negli ultimi 500 anni è stata individuata una sequenza di cicli secolari caratterizzati dalla presenza di una potenza egemone: 1) repubbliche marinare (XVI secolo, XVII secolo), 2) Olanda (XVIII secolo), 3) Gran Bretagna (XIX secolo), 4) Stati Uniti (XX secolo)

b) Ogni ciclo è caratterizzato da una fase iniziale di accentuata finanziarizzazione dell’economia globale, da una fase intermedia di sviluppo delle industrie e dei commerci, da una fase finale di nuova finanziarizzazione

c) Ogni ciclo si sovrappone all’altro: la fase iniziale coincide con la fase finale di quello precedente. La prevalenza di attività finanziarie è il segnale della crisi del paese-leader consolidato e dell’ascesa di un nuovo paese-leader

La categoria interpretativa dello SCAMBIO INEGUALE

a) Le ineguaglianze su scala mondiale sono dovute ad uno “scambio ineguale” fra economie sviluppate ed economie in via di sviluppo

b) La globalizzazione non rappresenta un fenomeno nuovo in quanto vi sono forti analogie con il periodo 1890-1914 sia per le variabili economiche che per la conferma del valore degli stati nazionali

c) La globalizzazione 1890-1914 caratterizzata da 1) ribasso dei costi dei trasporti, 2) velocizzazione delle operazioni bancarie determinata dalle comunicazioni telegrafiche, 3) incremento del commercio internazionale trainato dalle materi prime e degli investimenti esteri sotto forma di obbligazioni a lungo termine, 4) finanziarizzazione garantita dal sistema monetario internazionale (gold standard) indipendente dalle politiche degli stati nazionali

d) Globalizzazione 1973-2000 caratterizzata da 1) liberalizzazione delle tariffe doganali, 2) commercio internazionale basato sui servizi e i prodotti finiti, 3) investimenti a breve termine, 4) assenza di un sistema monetario condiviso qual era il gold standard

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LA DEMOCRAZIA E LE SUE ISTITUZIONI IL SIGNIFICATO DI «DEMOCRAZIA» Nei vocabolari, la democrazia viene definita come una forma di governo in cui la sovranità appartiene al popolo che la esercita per mezzo delle persone e degli organi che questo elegge a rappresentarlo (ad esempio: il consiglio comunale, il consiglio regionale, la Camera dei Deputati…). La storia del concetto di «democrazia» è assai complessa e affonda le sue radici nella Grecia classica dove, però, il suo significato non aveva sempre un valore positivo. Platone, ad esempio, afferma nella Repubblica che solamente l’aristocrazia è una forma di governo «buona», mentre descrive così la democrazia: «[la democrazia] nasce quando i poveri, dopo aver riportata la vittoria, ammazzano alcuni avversari, altri ne cacciano in esilio e dividono con i rimanenti, a condizioni di parità, il governo e le cariche pubbliche». Aristotele chiama democrazia la forma corrotta del «governo della moltitudine» (la cui forma virtuosa è da lui indicata come politia) che definisce come «il governo a vantaggio dei poveri» contrapposto al «governo a vantaggio dei ricchi» (l’oligarchia) e al «governo a vantaggio del monarca» (la tirannide). Aristotele distingue puoi cinque forme di democrazia, intensa nel suo significato più ampio di «governo della maggioranza»: 1) la democrazia in cui i ricchi e i poveri prendono parte al governo in condizioni di parità, 2) la democrazia in cui tutti i cittadini possono accedere alle cariche pubbliche, 3) la democrazia in cui tutti i cittadini sono ammessi alle cariche pubbliche, ad eccezione di quelli privati dei diritti civili in seguito ad una condanna, 4) la democrazia in cui sono ammessi alle cariche pubbliche solamente i cittadini che dispongono di un reddito economico (anche se basso), 5) la democrazia in cui la sovranità risiede nella «massa» popolare e non nelle legge: si tratta, per Aristotele, di una forma di democrazia estremamente corrotta dove prevale il potere dei demagoghi (demagogo è quel capo del popolo che tende alla conservazione del proprio potere). Nel corso dell’epoca romano-medioevale, poi, si è andata sviluppando la tradizione della «sovranità popolare» secondo la quale la sorgente originaria del potere (anche di quello del monarca) è comunque il popolo. In una delle più importanti opere del pensiero politico medievale – il Defensor pacis (Difensore della pace) di Marsilio da Padova – si afferma esplicitamente che il potere di fare le leggi compete solamente al popolo. Secondo Marsilio da Padova, dunque, il popolo è superiore al potere esecutivo che può governare solo ed esclusivamente nell’ambito delle leggi (che, lo ricordiamo, sono un’emanazione del popolo).

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Fra il Settecento e l’Ottocento si è affermata lentamente l’idea che la sola forma di democrazia adattabile ai nascenti stati liberali (uno stato si definisce liberale quando riconosce e tutela diritti fondamentali quali la libertà di pensiero, di religione…) può essere la democrazia parlamentare (detta anche rappresentativa). Questa forma di democrazia limita i poteri dello Stato attraverso la Costituzione (che regola i rapporti fra lo Stato e i cittadini) ed è caratterizzata dalla divisione dei poteri: il potere di fare le leggi (legislativo) spetta ad un Parlamento, quello di eseguire le leggi (esecutivo) al Governo e quello di applicare le leggi nei giudizi (giudiziario) alla Magistratura. Oggi il concetto di democrazia viene definito in base ad una serie di «regole del gioco» (in linguaggio tecnico definite universi procedurali). Le più importanti sono le seguenti: 1) l’organo al quale è assegnato il potere legislativo deve essere sempre eletto dal popolo; 2) l’organizzazione costituzionale deve prevedere altre istituzioni elette dal popolo quali, ad esempio, il presidente della Repubblica o i consigli degli enti locali (consiglio comunale, consiglio provinciale…); 3) il suffragio deve essere universale: il diritto di voto, cioè, deve spettare a tutti gli uomini e le donne che hanno raggiunto la maggiore età senza alcuna discriminazione in base al sesso, alla condizione economica, alla religione…; 4) gli elettori devono poter esercitare una piena libertà di scelta: ciò significa che la competizione elettorale deve avvenire sempre fra più liste (realmente alternative fra di loro) e che le liste non devono essere bloccate (i cittadini, cioè, devono poter scegliere i loro rappresentanti autonomamente); 5) nelle competizioni elettorali (sia quelle amministrative, sia quelle politiche) vale il principio della maggioranza numerica: vince, cioè, chi ottiene il più alto numero di voti; 6) il governo della maggioranza non deve ledere i diritti della minoranza (sopratuttto quello di poter diventare, in un’elezione successiva, maggioranza); 7) l’organo che rappresenta il potere esecutivo (solitamente il Governo) deve godere della fiducia del Parlamento o del Capo dello Stato eletto dai cittadini. LE FORME DELLA DEMOCRAZIA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA: è una forma di governo nella quale i cittadini che hanno diritto al voto eleggono dei rappresentanti per essere governati. La democrazia rappresentativa può essere di tipo parlamentare, semipresidenziale o presidenziale. Una democrazia si definisce parlamentare quando il Parlamento, eletto direttamente a suffragio universale, rappresenta la volontà del popolo. In questo sistema il Governo, per esercitare le sue funzioni, deve sempre avere la fiducia del Parlamento, ovvero l’appoggio politico della maggioranza parlamentare. Al Parlamento spetta anche l’elezione del capo dello Stato.

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Nella democrazia parlamentare un ruolo di fondamentale importanza spetta ai partiti politici che svolgono quattro importanti funzioni: 1) orientano gli elettori attorno alle loro proposte politiche, 2) selezionano i candidati da presentare alle elezioni, 3) organizzano e disciplinano l’azione dei rappresentanti eletti in Parlamento (o negli altri organi elettivi quali i consigli regionali, provinciali e comunali), 4) svolgono la funzione di collegamento fra gli eletti e gli elettori. Per questi motivi, il buon funzionamento di una democrazia parlamentare dipende dall’efficienza dei partiti. In Europa, esempi di democrazie parlamentari sono l’Italia, la Germania, l’Austria, il Portogallo, la Grecia… Una democrazia si definisce semi-presidenziale quando sono eletti con voto popolare a suffragio universale sia il Parlamento che il capo dello Stato e quando il potere esecutivo è condiviso fra il capo dello Stato e quello del Governo (Primo Ministro). In una democrazia semi-presidenziale il capo dello Stato può scegliere e revocare il Primo Ministro e ha facoltà di sciogliere il Parlamento. Il Parlamento può sfiduciare il Primo Ministro e il Governo che, in un secondo momento, possono essere revocati dal capo dello Stato. Esempi di democrazie semi-presidenziali sono la Francia, la Romania, l’Ucraina… Una democrazia si definisce presidenziale quando il potere esecutivo è concentrato nelle mani del capo dello Stato, eletto a suffragio universale. Nei sistemi presidenziali il presidente della Repubblica è anche il capo del Governo. Il potere legislativo è di competenza del Parlamento, eletto a suffragio universale mediante un’apposita competizione elettorale. Il sistema presidenziale presenta tre vantaggi: 1) la stabilità del governo che è fissa e non dipende dai rapporti fra i partiti presenti in Parlamento, 2) la chiarezza del programma politico (che coincide con quello del Presidente), 3) la semplificazione del sistema dei partiti (generalmente, nelle democrazie presidenziali il potere politico viene disputato da due grandi partiti o schieramenti: in questo caso si parla di bipartitismo). Il sistema presidenziale, però, implica anche alcuni rischi: se è applicato in paesi in cui la struttura democratica non è sufficientemente stabile e forte, il presidenzialismo rischia di tramutarsi in forme di governo autoritarie e illiberali. Esempi di democrazie presidenziali sono gli Stati Uniti, l’Argentina, il Brasile, il Messico, il Venezuela… DEMOCRAZIA DIRETTA: è una forma di democrazia immediata, nella quale i cittadini possono assumere le decisioni politiche senza l’intermediazione dei rappresentanti. I principali strumenti della democrazia diretta sono il referendum e l’iniziativa popolare. Il referendum è una consultazione popolare diretta con cui i cittadini sono chiamati a pronunciarsi su questioni di interesse nazionale. Il referedum ha una particolare

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importanza in Svizzera dove nei Cantoni più piccoli rappresenta, di fatto, il mezzo attraverso il quale si svolge il normale esercizio del potere. Negli Stati Uniti, il referendum viene utilizzato anche per nominare alcuni funzionari del potere esecutivo e giudiziario. Fra gli stati che oggi prevedono il ricorso al referendum vi sono la Francia, la Germania, la Danimarca, l’Irlanda, l’Austria e l’Australia. In Italia, il referendum è stato introdotto nel 1946 per la scelta fra la monarchia e la repubblica. Importanti per i loro riflessi sociali sono stati i referendum sul divorzio e sull’aborto. Attraverso l’iniziativa popolare, i cittadini possono partecipare attivamente all’esercizio del potere. L’iniziativa popolare può essere semplice o formulata. Nel primo caso, i cittadini propongono al Parlamento una richiesta relativa ad una certa questione lasciando che siano le camere a prepare il testo di un disegno di legge. Nel secondo caso, i cittadini presentano al Parlamento un disegno di legge già redatto. Fino all’inizio del Novecento, l’iniziativa popolare era consentita solamente negli Stati Uniti e in Svizzera. A partire dagli anni Venti del Novecento, l’istituto dell’iniziativa popolare è entrato a far parte delle costituzioni degli stati europei. In Europa, il solo paese che applica la democrazia diretta a livello nazionale, cantonale e comunale è la Svizzera. In Italia, l’iniziativa popolare è previsto dall’art. 71 della Costituzione ed è regolamentata dalla legge n. 352 del 1970 (artt. 48 e 49). DEMOCRAZIA DELIBERATIVA: è una forma di governo in cui la volontà del popolo non viene espressa mediante l’elezione di rappresentanti, ma direttamente dal popolo stesso. Secondo le teorie della democrazia deliberativa, i problemi di decisione politico-amministrativa devono essere risolti attraverso assemblee aperte a tutti i cittadini che possono discutere liberamente fra di loro. La decisione finale viene assunta solo quando tutti i partecipanti riescono a giungere ad un accordo condiviso. In alcuni paesi, principalmente dell’America Latina, la democrazia deliberativa trova impiego in alcuni processi decisionali a livello amministrativo locale.

UNA CITTADINANZA NON PER TUTTI CHE COSA È LA CITTADINANZA La «cittadinanza» è l’appartenza di un individuo a una società organizzata in forma di Stato. Il concetto di «cittadinanza» era già noto nella Grecia antica. In epoca romana, la condizione di «cittadino di Roma» era concessa ai popoli italici e agli individui che abitavano nelle colonie di diritto romano disseminate nel territorio imperiale. Nel

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212, l’imperatore Caracalla emanò la Constitutio Antoniniana de civitate che concedeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero (ad eccezione degli schiavi). In epoca medievale, la cittadinanza veniva concessa a chi possedeva un’abitazione entro i confini delle mura e pagava le tasse. In età moderna, ha avuto luogo un processo di sviluppo che ha portato ciascun stato nazionale ad adottare proprie regole per la concessione della cittadinanza che, in generale, può essere concessa o per diritto di nascita (ius sanguinis, diritto di sangue) o per il fatto di essere nati sul territorio dello stato (ius soli, diritto del suolo). Il primo modello – detto anche modello tedesco – implica una concezione «oggettiva» della cittadinanza: vale a dire che, secondo lo ius sanguinis, si può acquisire la cittadinanza di uno stato solo se si posseggono solidi requisiti di appartenenza (etnia, lingua, religione…). Questo modello è oggi adottato dalla maggioranza degli stati europei (inclusa l’Italia). Il secondo modello – detto anche modello francese – implica una concezione «soggettiva» della cittadinanza: ciò significa che, secondo lo ius solis, la cittadinanza può essere concessa a tutti coloro che sono nati o si trovano a vivere in un determinato stato (quindi anche quelle persone che non hanno i requisiti di appartenenza come, ad esempio, i migranti e i loro figli). Questo modello è adottato dalla Francia (dove è in vigore fin dal XVI secolo) e dai paesi extra-europei che hanno ospitato grandi flussi migratori (Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile…). Nel corso del XX secolo, si sono affermati i concetti di cittadinanza formale (intesa come appartenenza di un singolo ad una stato-nazione) e di cittadinanza sostanziale (intesa come godimento e possesso dei diritti sociali, civili e politici). Dopo il 1945, il concetto di cittadinanza sostanziale si è affermato principalmente nei paesi dell’Europa occidentale e in alcuni paesi extra-europei (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda…). I principi della cittadinanza sostanziale sono stati parzialmente applicati anche nei paesi dell’Europa orientale: i regimi comunisti, infatti, negavano i diritti politici e civili, ma garantivano ampiamente quelli sociali (sanità, istruzione, accesso alla cultura…). GLI ESCLUSI DALLA CITTADINANZA Ancora oggi non tutti gli individui godono dei diritti sociali, civili e politici: in sostanza, vi sono milioni di persone ai quali è negato il diritto di essere cittadini. Fra questi, molti sono individui che appartengono ai popoli indigeni (o nativi) dei continenti extra-europei.

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Un primo esempio è quello della popolazione indigena maya del Guatemala che costituisce il 43% della popolazione dello stato dell’America centrale (un ulteriore 30%, però, è rappresentanto dai meticci). Gli indigeni maya sono divisi in diversi gruppi (kekchi, pokoman, quiché, aguatechi, yucatechi…) e sono concentrati negli altopiani meridionali e nel sud della penisola dello Yucatan. Vivono, lavorando generalmente come braccianti agricoli, in uno stato di emarginazione sociale ed economica nel quale sono stati relegati prima dai coloni spagnoli e, successivamente, dalle politiche segregazionistiche dei governi nazionali. La loro integrazione è stata a lungo e duramente contrastata dalla minoranza bianca: negli anni ’60 furono uccisi almeno 10.000 indios (contadini accusati senza prove di essere complici dei guerriglieri di sinistra); negli anni ’70, i governi guidati dal colonnello Arana Osorio e dal generale Laugerud García provocarono decine di migliaia di morti fra la popolazione indigena. La comunità internazionale mostrò qualche segnale di attenzione verso la difficile situazione degli indigeni maya solamente nel 1992 quando il premio Nobel per la pace fu assegnato a Rigoberta Menchú, un’attivista per i diritti dei maya (la stessa Rigoberta aveva iniziato a lavorare come bracciante agricola all’età di soli cinque anni). Nel 1995, il governo di destra e i guerriglieri della Unidad revolucionaria nacional guatemalteca firmarono un accordo che riconobbe l’identità e i diritti delle popolazioni indigene e definì il Guatemala un «paese multietnico e multilingue». Nel 1999 un’apposita commissione ha accusato l’esercito guatemalteco di essere responsabile di un vero e proprio genocidio degli indios. Un secondo esempio è quello degli indigeni adivasi dello stato indiano dell’Orissa che, fra il 2008 e il 2010, sono stati vittime di veri e propri pogrom (con pogrom si intende una violenta persecuzione ai danni di una minoranza etnica o religiosa). Nel 2008, gli indù radicali scatenarono un’ondata di violenza contro gli adivasi (di religione cristiana) nel distretto di Kandhamal provocando la fuga di 50.000 adivasi, la morte di 75 e la distruzione di 252 chiese e di 5.347 abitazioni. Ancora oggi circa 6.000 profughi sopravvivono nelle baraccopoli della capitale provinciale Bhubaneshwar. A questi si aggiungono diverse migliaia di altri profughi che hanno timore di rientrare nelle loro case. Spesso, gli spacci alimentari dei villaggi non vendono la merce ai cristiani a cui viene impedito anche di usare i taxi collettivi. Gli appartenenti alla minoranza indigena cristiana, inoltre, sono vittime di denunce arbitrarie e senza fondamento fatte da indù radicali che in questo modo tentano di ridurre al silenzio le vittime dei pogrom del 2008. Un terzo esempio è quello degli abitanti originari dell’Australia (gli aborigeni) che oggi rappresentano il 2% della popolazione australiana. Nel 1788 – anno in cui la Gran Bretagna fondò la sua prima colonia penale in Australia – gli aborigeni erano circa 750.000. Neppure cinquant’anni dopo, nel 1830, ne rimanevano solamente

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80.000. Nel corso dell’Ottocento e del Novecento, gli aborigeni furono sempre più emarginati: fra il 1930 e il 1970, 100.000 bambini furono sottratti alle proprie famiglie per essere trasferiti in collegi gestiti dallo Stato o da ordini religiosi. Questa separazione forzata – conosciuta con l’espressione di «stolen generations» (generazioni rubate), denunciata nel 1997 in un rapporto redatto da una commissione parlamentare – è divenuta il simbolo della discriminazione permanente attuata dai governi australiani nei confronti degli aborigeni. Ancora oggi, gli aborigeni continuano ad essere vittime del razzismo. Le loro condizioni di vita sono molto peggiori rispetto a quelle degli altri australiani: l’aspettativa di vita degli uomini è di soli 57 anni (62 anni per le donne); sono molto diffuse malattie quali il diabete, il tracoma (una malattia degli occhi che porta alla cecità), la lebbra, le disfunzioni cardiache, l’anemia (in modo particolare fra i bambini); la disoccupazione è molto superiore alla media australiana (38-50% contro 9-10%); le autorità arrestano gli aborigeni con una frequenza 13 volte superiore rispetto a quella della popolazione bianca e lo fanno, principalmente, per reati quali l’ubriachezza, la resistenza ai pubblici ufficiali e il «contegno indecoroso». Nel 1996, dopo decenni di lotte, agli aborigeni fu concesso il riconoscimento dei «diritti territoriali» sulle terre da loro tradizionalmente abitate. Nel 1998, però, il governo conservatore di John Howard dichiarò «secondarie» le loro rivendicazioni territoriali subordinandole agli «interessi» della società o degli allevatori bianchi. Nel 2008, il governo laburista di Kevid Rudd ha chiesto ufficialmente scusa agli aborigeni per i soprusi perpetrati ai loro anni dal Settecento ad oggi. Nonostante questo, sono in molti a considerare il «processo di riconciliazione nazionale» una pura operazione di “immagine” in quanto le richieste fondamentali degli aborigeni continuano ad essere disattese. Un quarto esempio riguarda il gruppo etnico dei pigmei: un’antica popolazione africana stanziata in un territorio che coincide con gli attuali Camerun, Gabon, Repubblica del Congo, Repubblica democratica del Congo, Ruanda e Uganda. I pigmei sono vittime della violenza delle milizie (quali quelle dell’Esercito di liberazione del Congo) che li uccidono per strappare loro il cuore o il fegato: molti soldati, infatti, credono che mangiare carne umana e bere sangue umano renda loro più potenti e “invincibili”. I pigmei sono considerati alla stregua di una specie subumana e la loro sopravvivenza è posta seriamente a rischio anche dal progressivo abbattimento delle foreste in cui amano vivere. Situazioni come quelle sopra descritte hanno portato le Nazione Unite ad approvare, nel 2007, una Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni in cui si afferma che i popoli nativi «hanno diritto al pieno godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali», «sono liberi ed eguali a tutti gli altri popoli e individui», «hanno diritto all’autodeterminazione», «hanno diritto a mantenere e rafforzare le loro particolari istituzioni politiche, giuridiche, sociali e culturali», «hanno diritto alla vita,

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all’integrità fisica e mentale, alla libertà e alla sicurezza personale, «hanno diritto a non essere sottoposti all’assimilazione forzata o alla distruzione della loro cultura». L’esclusione dalla cittadinanza non colpisce solamente i popoli indigeni: in numerosi paesi, anche le persone che soffrono di disturbi mentali vengono escluse dalla cittadinanza. È un problema serio: si tratta di milioni e milioni di individui che, di fatto, sono privati dei diritti più elementari. In Serbia, ad esempio, le persone colpite da disabilità mentale (compresi i bambini) sono internate nei manicomi dove le condizioni di vita sono realmente disumane: le strutture sono fatiscenti, molto spesso non sono dotate di acqua calda e la qualità del cibo è infima. Particolarmente grave è la situazione dei bambini: se entrano in un manicomio, infatti, sono costretti a trascorrervi tutta la loro esistenza. In molti casi, i bambini sono denutriti, non possono giocare fra di loro e spesso sono tenuti imprigionati nella camicia di forza. È sufficiente che i servizi socio-sanitari certifichino (spesso in maniera assai superficiale) anche solo una disfunzione mentale lieve perché un bambino venga internato in una struttura manicomiale. L’associazione Mental Disability Rights International (www.mdri.org), in un rapporto del 2007, ha accusato la Serbia di abusi e di tortura contro gli individui affetti da disabilità mentale. Un altro esempio è quello dell’India, dove le persone affette da malattia mentale sono circa 30 milioni. La scarsità di risorse economiche a disposizione per la salute pubblica (in India ci sono meno di 40 ospedali psichiatrici) fa sì che la malattia mentale non sia nella lista delle priorità dei governi. Ne consegue che chi è affetto da un disturbo mentale molto grave, come la schizofrenia o altre psicosi, non ha la possibilità di ricevere alcun tipo di cure, specialmente se abita nei villaggi, nelle zone rurali o nei sobborghi urbani. Quando sono disponibili, i servizi sanitari pubblici per coloro che sono affetti da disturbi mentali si concentrano nei centri urbani, in un paese in cui ancora la maggioranza della popolazione vive nelle campagne. Lontani dai centri di salute pubblica i bambini con disabilità non riescono ad accedere ad un trattamento adeguato sia di tipo riabilitativo che di tipo assistenziale. I familiari non ricevono nessun supporto né una formazione idonea per affrontare i disturbi psichici e ciò aggrava la condizione dei bambini che per lo più rimangono segregati nelle case senza poter avere alcun contatto con il mondo esterno.

LA DEMOCRAZIA SI PUÒ ESPORTARE?

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IL PENSIERO NEOCONSERVATORE L’idea che la democrazia si possa esportare affonda le proprie origini nel pensiero neoconservatore. Il movimento neoconservatore – diffuso essenzialmente negli Stati Uniti e, in misura minore, in Gran Bretagna – è caratterizzato da una serrata difesa dei tradizionali valori conservatori (l’autorità, la tradizione, la religione, l’identità nazionale) e da una concezione aggressiva della politica estera contraddistinta dall’idea che sia necessario instaurare nel mondo regimi democratici impiegando tutti i mezzi a disposizione (sia di natura politica che militare). Il movimento neoconservatore ha iniziato ad esercitare un ruolo significativo nella politica americana (in modo particolare all’interno del Partito repubblicano) a partire dalla presidenza di Ronald Reagan (1980-1988) ed ha raggiunto l’apice della propria influenza durante gli anni delle amministrazioni guidate da George W. Bush (2000-2008). Il concetto di esportazione della democrazia si può accostare al cosiddetto processo di «state-building» (letteralmente, «costruzione di uno stato»): con questo termine si intende, generalmente, l’attività di ricostruzione delle istituzioni di uno stato fortemente indebolito da un conflitto bellico o da una grave crisi (economica, dovuta ad una catastrofe naturale etc…). La principale caratteristica di questo processo è che le attività di “ripristino” della democrazia sono svolte da attori esterni (in genere, stati stranieri). Nell’accezione tipica del dibattito politico statunitense, il concetto di «state-building» ha iniziato ad affermarsi durante la Seconda guerra mondiale in conseguenza delle vittorie militari sulla Germania e sul Giappone che aprirono la strada alla ricostruzione della democrazia in quei due paesi (e, più in generale, nei paesi dell’Europa occidentale) sotto la “guida” economica e politica degli Stati Uniti stessi. Nel corso degli anni ’90 del Novecento il pensiero neoconservatore è stato fortemente influenzato dalla teoria dello «scontro delle civiltà» elaborata dal politologo statunitense Samuel Huntington per il quale nel mondo contemporaneo i conflitti avvengono secondo linee culturali e, conseguentemente, i punti caldi del pianeta si trovano lì dove passano le «linee di faglia», i confini tra le diverse civiltà. Scrive Huntington: «La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro» (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, 1997).

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L’11 SETTEMBRE 2001 E LA «DOTTRINA BUSH» Quando, l’11 settembre 2001, tre voli civili furono dirottati contro il World Trade Center a New York e il Pentagono a Washington (un quarto aereo, probabilmente diretto verso la Casa Bianca, si schiantò al suolo prima di raggiungere l’obiettivo), a molti americani sembrò di essere stati catapultati nel bel mezzo di quello «scontro delle civiltà» teorizzato da Samuel Huntington. L’atto di terrorismo condotto da parte di alcuni affiliati di al-Qaida (un movimento paramilitare guidato dal miliardario saudita Osama bin Laden) finì per aumentare enormente l’influenza dei neoconservatori che spinsero il presidente George W. Bush ad invadere l’Afghanistan con il duplice obiettivo di rovesciare il regime dei talebani e di distruggere i campi di addestramento di al-Qaida. L’operazione, denominata Enduring Freedom (Libertà duratura), ebbe inizio nel novembre del 2001 e portò all’insediamento di un governo filo-occidentale guidato da Hamid Karzai. L’anno successivo, il presidente George W. Bush enunciò quella che è conosciuta come «dottrina Bush», secondo la quale gli Stati Uniti potevano avviare un’azione militare preventiva verso tutti quegli stati che ospitavano i terroristi e che, per questo, erano considerati nemici degli Stati Uniti. La nuova politica estera dell’amministrazioen Bush trovò la sua prima applicazione nell’invasione dell’Iraq (2003), voluta dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna nonostante il parere negativo delle Nazioni Unite e di una larga parte della comunità internazionale (fra gli stati contrari vi erano la Francia, la Germania, il Canada, il Brasile, la Russia e la Cina). Il 9 aprile del 2003 l’esercito americano entrò a Baghdad e il 14 dicembre dello stesso anno fu catturato il presidente iracheno Saddam Hussein (condannato a morte e giustiziato per impiccagione nel 2006). SI PUÒ ESPORTARE LA DEMOCRAZIA? La «dottrina Bush» ha finito per rilanciare il concetto dell’«esportazione della democrazia». Nei primi anni Duemila, l’idea che la democrazia si possa esportare è stata posta al centro del dibattito politico dal politologo statunitense Francis Fukuyama in un libro intitolato Esportare la democrazia. State-building e ordine mondiale nel XXI secolo 2004). Secondo Fukuyama, gli stati «deboli e falliti» (come, ad esempio, l’Iraq e l’Afghanistan) rappresentano una delle principali minacce per il mantenimento della pace e dell’equilibrio mondiale in quanto «sono una fonte di conflitti e di gravi violazioni dei diritti umani e […] un potenziale terreno di coltura per un nuovo tipo di

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terrorismo». Per questo motivo, sostiene Fukuyama, è necessario che la comunità internazionale costruisca dei nuovi stati-nazione (state-building) attraverso un’opera di ricostruzione dell’identità nazionale di questi paesi. Scrive Fukuyama: «Rafforzare questi Stati attraverso varie forme di nation-building è diventato vitale per la sicurezza internazionale ma pochi tra i Paesi sviluppati sono in grado di assolverlo. Imparare a gestire meglio lo state-building è perciò centrale per il futuro dell’ordine mondiale. […] Anche se non vogliamo tornare a un mondo di superpotenze in lotta tra loro, non dobbiamo dimenticare la necessità del potere. Tale potere è necessario sia per far rispettare lo Stato di diritto all’interno dei propri confini, sia per la salvaguardia dell’ordine mondiale». Assai critico sul concetto di «esportazione della democrazia» è l’indiano Amartya Sen, premio nobel per l’Economia: «Io posso esportare qualcosa che io ho e tu no. Dire che noi come Occidente esportiamo la democrazia è un comportamento arrogante, significa appropriarsi di qualcosa che non è solo nostro, significa rubare la democrazia, un valore che è un’eredità mondiale. Nel nono, decimo e undicesimo secolo c’era più democrazia e tolleranza a Cordoba, dominata dai musulmani, che non in Occidente. Nel dodicesimo secolo il filosofo ebreo Maimonide fu costretto a fuggire da un’intollerante Europa e trovò benevola accoglienza alla corte dell’imperatore Saladino, quello stesso Saladino che combatté per l’Islam contro i crociati. E le crociate le hanno inventate in Occidente. Quando Giordano Bruno venne messo al rogo a Roma l’imperatore moghul Akbar proclamava in India la necessità della tolleranza e apriva il dialogo tra genti di fedi diverse: indù, musulmani, cristiani, parsi, jainisti e persino atei. […] Credo che spetti innanzitutto agli indigeni trovare il modo di sviluppare e imporre la democrazia. A volte la pressione e le interferenze esterne sono necessarie; mi viene il mente la Birmania, adesso si chiama Myanmar, ma io preferisco continuare a chiamarla Birmania. Lì la pressione esterna è stata importante. […]L’Iraq è un problema particolare. Perché non c’ è dubbio che era un regime tirannico e sanguinario, una terribile dittatura. Però era un regime secolare, non un paese islamico integralista. Adesso, dopo l’invasione americana, questa società secolare verrà dichiarata, con una Costituzione, una società islamica. Ci sono molte contraddizioni in tutto ciò». Sulla reale possibilità di esportare la democrazia, si dimostra assai perplesso anche lo storico britannico Eric Hobsbawm: «Sebbene il presidente Bush abbia pronunciato poco le parole Iraq, Afghanistan e guerra al terrore, nel suo secondo discorso inaugurale, lui e il suo staff continuano a preparare piani per riordinare il mondo. La guerra in Iraq e in Afghanistan erano la prima parte di un apparente sforzo universale per creare un nuovo ordine mondiale in grado di diffondere la democrazia. Questa idea non è soltanto donchisciottesca. Essa è pericolosa. La retorica porta con sé che questa democrazia è applicabile nella sua forma standard occidentale, che questo può

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succedere in qualsiasi luogo, che può essere il rimedio oggi per i problemi transnazionali, e che può portare la pace, piuttosto che seminare disordine. Non può». Il dibattito resta ancora aperto.