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Partito e classe a Milano negli scioperi del 1943-44* Gli scioperi operai che si svolsero nelle città del triangolo industriale, ed in specie a Milano, durante l’inverno e la primavera del 1943-44, si presentano in una prospettiva particolare: da un lato, il significativo ed eccezionale momento in cui si verificano, cioè nella fase finale della seconda guerra mondiale, in piena occupazione nazista, mentre i partiti operai ed antifascisti, dopo la breve ed equivoca parentesi dei 45 giorni badogliani, sono di nuovo costretti alla clandestinità; dall’altro, il delinearsi e definirsi di un rapporto antico, fra il partito e la classe, o, meglio, fra il Partito comunista e la classe operaia. Donde la duplice e complementare caratterizzazione di questi scioperi, sia nell’ottica e nella dinamica del movimento operaio e sindacale, sia come episodio, come momento — non continuo né costante, ma ricorrente — della lotta di libe- razione. Sono abbastanza noti e definiti i riflessi che tale dupHce caratterizzazione ha avuto sul piano storiografico in siffatta prospettiva, inoltre, diviene abba- stanza scontato il collegamento ed il paragone con le agitazioni e gli scioperi del 1942-43 2. Quello che — al di là delle analogie e delle differenze — ci * Il presente saggio è frutto del lavoro di ricerca condotto dall’Autore nell’ambito del- l’attività del gruppo di ricerca dell’Istituto nazionale per la « Raccolta generale di fonti e notizie e rappresentazione cartografica della storia d’Italia dal 1943 al 1945 ». 1 La storiografia sul movimento operaio e sindacale di questo periodo si è mossa ■— nel trattare degli scioperi e delle agitazioni delTinverno-primavera 1943-44 — sulla linea inter- pretativa tradizionale. Così D. L. H orowitz, II movimento sindacale in Italia, Bologna, 1966, pp. 296-304 e E. D olleans, Storia del movimento operaio, vol. I l i (1921-1952), Firenze, 1968, pp. 181-186. Anche il volumetto di G. Candeloro {Il movimento sindacale in Italia, Roma, 1950) vi dedica pochissimo spazio (pp. 140-142). Analoga — pure se presentata in una analisi più ampia ed articolata — la prospettiva di C. Pillon, I comunisti e il sindacato, Milano, 1972 (pp. 303-327) e di S. T urone, Storia del sindacato in Italia, 1943-1969, Bari, 1973 (pp. 26-86). In una rassegna di Aldo Agosti, Annamaria Andreasi, Gian Mario Bravo, Dora Marucco, Mariella Nejrotti, su II movimento sindacale in Italia (1943-1969), apparsa negli Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. I li (1969), Torino, 1970, pp. 151-284, nel pochissimo spazio che gli è dedicato, questo periodo viene presentato in chiave piuttosto problematica. Per quanto riguarda, infine, la storiografia sulla Resistenza e le ricostruzioni di parte fascista, si veda, per queste ultime, A. T amaro, Due anni di storia, vol. II, Roma, 1949, pp. 234-235, 507-516. Fra i « classici » della storiografia resistenziale, ricorderemo F. Cata- lano, Storia del CLNAI, Bari, 1956, pp. 90-97 e 135-152; R. B attaglia, Storia della Resi- stenza italiana, Torino, 1964, pp. 147-151 e 185-195; R. Carli Ballola, La Resistenza ita- liana, Milano, 1965, pp. 101-108 e 126-137. 2 Nella non numerosa letteratura sugli scioperi del marzo 1943 sono stati messi in luce 2

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Partito e classe a Milano negli scioperi del 1943-44*

Gli scioperi operai che si svolsero nelle città del triangolo industriale, ed in specie a Milano, durante l’inverno e la primavera del 1943-44, si presentano in una prospettiva particolare: da un lato, il significativo ed eccezionale momento in cui si verificano, cioè nella fase finale della seconda guerra mondiale, in piena occupazione nazista, mentre i partiti operai ed antifascisti, dopo la breve ed equivoca parentesi dei 45 giorni badogliani, sono di nuovo costretti alla clandestinità; dall’altro, il delinearsi e definirsi di un rapporto antico, fra il partito e la classe, o, meglio, fra il Partito comunista e la classe operaia. Donde la duplice e complementare caratterizzazione di questi scioperi, sia nell’ottica e nella dinamica del movimento operaio e sindacale, sia come episodio, come momento — non continuo né costante, ma ricorrente — della lotta di libe­razione.

Sono abbastanza noti e definiti i riflessi che tale dupHce caratterizzazione ha avuto sul piano storiografico in siffatta prospettiva, inoltre, diviene abba­stanza scontato il collegamento ed il paragone con le agitazioni e gli scioperi del 1942-43 2. Quello che — al di là delle analogie e delle differenze — ci

* Il presente saggio è frutto del lavoro di ricerca condotto dall’Autore nell’ambito del­l ’attività del gruppo di ricerca dell’Istituto nazionale per la « Raccolta generale di fonti e notizie e rappresentazione cartografica della storia d ’Italia dal 1943 al 1945 ».1 La storiografia sul movimento operaio e sindacale di questo periodo si è mossa ■— nel trattare degli scioperi e delle agitazioni delTinverno-primavera 1943-44 — sulla linea inter­pretativa tradizionale. Così D. L. H orowitz, II movimento sindacale in Italia, Bologna, 1966, pp. 296-304 e E. D olleans, Storia del movimento operaio, vol. I l i (1921-1952), Firenze, 1968, pp. 181-186. Anche il volumetto di G. Candeloro {Il movimento sindacale in Italia, Roma, 1950) vi dedica pochissimo spazio (pp. 140-142). Analoga — pure se presentata in una analisi più ampia ed articolata — la prospettiva di C. Pillon, I comunisti e il sindacato, Milano, 1972 (pp. 303-327) e di S. Turone, Storia del sindacato in Italia, 1943-1969, Bari, 1973 (pp. 26-86). In una rassegna di Aldo Agosti, Annamaria Andreasi, Gian Mario Bravo, Dora Marucco, Mariella Nejrotti, su II movimento sindacale in Italia (1943-1969), apparsa negli Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. I l i (1969), Torino, 1970, pp. 151-284, nel pochissimo spazio che gli è dedicato, questo periodo viene presentato in chiave piuttosto problematica. Per quanto riguarda, infine, la storiografia sulla Resistenza e le ricostruzioni di parte fascista, si veda, per queste ultime, A. T amaro, Due anni di storia, vol. II , Roma, 1949, pp. 234-235, 507-516. Fra i « classici » della storiografia resistenziale, ricorderemo F. Cata­lano, Storia del CLNAI, Bari, 1956, pp. 90-97 e 135-152; R. Battaglia, Storia della Resi­stenza italiana, Torino, 1964, pp. 147-151 e 185-195; R. Carli Ballola, La Resistenza ita­liana, Milano, 1965, pp. 101-108 e 126-137.2 Nella non numerosa letteratura sugli scioperi del marzo 1943 sono stati messi in luce

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preme sottolineare, sono due elementi, che caratterizzano profondamente e direi anche originalmente gli scioperi del 1943-44: il ristretto e limitato arco di tempo in cui si svolgono (cui seguirà un relativamente lungo periodo di repres­sione e di silenzio) non impedisce che vi si possano cogliere le matrici di fondo su cui, proprio attraverso lo sciopero, viene costruendosi — nella sua essen­zialità che non è ancora definitività — questo rapporto fra il partito e la classe. D ’altra parte esso acquista una fisionomia particolare, in parte identificandosi con la storia interna dei due partiti operai — vista nel progressivo definirsi di certe forme organizzative e nello sviluppo, più o meno dichiaratamente espresso, di un dibattito ideologico — in parte subendo i condizionamenti della guerra in corso.I due partiti operai: in realtà, il Partito socialista è scarsamente presente, a livello di quadri organizzativi e di impegno politico, nelle lotte operaie. Usciti dalla clandestinità pre-badogliana, i socialisti — la cui direzione politica era profondamente divisa — avevano rinnovato il patto d’unità d’azione con il PCI ed erano rientrati nella seconda clandestinità con un’organizzazione di partito frantumata e quasi inesistente. La base socialista ■—- di cui è difficile poter stabilire la consistenza — collaborava con i comunisti a livello operativo, tran­ne casi in cui il militante socialista sembrava agire da forza frenante della lotta 3.II Partito comunista è dunque, in questo momento, il solo a tentare di porsi in più stretto rapporto con la classe operaia, con il proletariato industriale: nella prospettiva del movimento operaio siamo all’inizio di un processo di svi­luppo di lotte, che in genere si fa arrivare fino al 1950. Ed il rapporto partito- classe — quale ora viene forgiandosi — subirà delle modificazioni e delle evo­luzioni, che lasciano il loro più profondo segno nella mutata concezione che della classe ha il partito, e del partito ha la classe. Modificazioni, inoltre, di cui si possono individuare ed analizzare i singoli elementi dall’esame delle lotte operaie, ma su cui incide una complessità di fattori, sintetizzabili genericamente nella varia interrelazione dell’ideologia con la prassi.

Come non è da sottovalutare il peso e l ’incidenza che l’impostazione realizzatasi in questa fase avrà nel periodo successivo, così va messa in luce l ’influenza che su di essa, almeno inizialmente, ebbe la tradizione risalente alle lotte operaie degli anni venti, ed il rapporto classe-partito che allora venne delineandosi. Il richiamo è tanto più forte e sembra tanto più pertinente, perché a quelle lotte era seguito il ventennio fascista, perché successivamente a quelle lotte il par-

soprattutto i fattori d ’indole interna ed internazionale che li distinguono da quelli successivi; per quanto riguarda l’elemento squisitamente rivendicativo, le richieste operaie sono analoghe in ambedue i momenti. Invece, la richiesta di pace (equivalente alla fine del dominio fascista) viene sostituita successivamente con la guerra di liberazione dai nazifascisti. Oltre le opere citate nella nota precedente, cfr. U. Massola, Marzo 1943 ore 10, Roma, 1963 (su Milano, cfr. le pp. 87-103) e G. Vaccarino, Gli scioperi del marzo 1943, in Problemi della Resistenza italiana, Modena, 1966. Da ultimo, P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. IV, Torino, 1973, pp. 168-196.3 Sul Partito socialista durante questo primo periodo, e sulla attività dei suoi quadri, oltre O. L izzadri, Il regno di Badoglio, Milano, 1963, cfr. R. Carli Ballola, op. cit., pp. 87-91 e A. Agosti, Rodolfo Morandi. Il pensiero e l’azione politica, Bari, 1971, pp. 355-364.Il testo del patto d ’unità d’azione, firmato il 28 settembre 1943, è in Trenta anni di vita e di lotte del PCI, « Quaderni » di Rinascita, n. 2, p. 198. Era stato pubblicato nell 'Avanti!, ed. milanese dell’8 novembre 1943 e in La Nostra Lotta del 5 dicembre 1943 (a. I, n. 5).

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tito era stato costretto alla clandestinità ed aveva perduto un contatto diretto con la realtà della classe operaia, e perché quest’ultima non sapeva ancora che cosa fosse questo partito. E, se tale richiamo è presente, non va tuttavia trascu­rato l’altro elemento, di carattere esclusivamente sociale, che riguarda la conno­tazione della classe: gli operai del 1943 non sono più quelli del 1920-21, sono nati durante il regime, di cui hanno respirato l’aria, non conoscono attività poli­tica, se non quella sporadica e clandestina. Su di essi la guerra ha inciso profon­damente: fino a che punto la guerra, il lavoro in Germania hanno contribuito a mutare sociologicamente la fisionomia della classe operaia?

Analoghe considerazioni andrebbero fatte sulla figura dell’operaio-contadino —■ abbastanza diffusa nelle zone della Lombardia ed in alcune del Piemonte — considerazioni che coinvolgono sia il rapporto fra la città e la campagna nel­l ’economia di una regione, sia l ’incidenza che tale figura ha in una caratterizza­zione globale della classe.

Questo spiega in parte il giudizio formulato dal partito sulla classe operaia, che ora viene considerata politicamente impreparata; ma non esclude la concezione che del partito ha la classe — concezione che il primo spesso contribuisce ad alimentare — per cui esso appare come il portatore del mito della Rivoluzione d ’ottobre, di Stalin, dell’Armata rossa; di una prospettiva sociale ed economica fatta di benessere, di pace, di giustizia. I contatti con questo partito durante la clandestinità sono stati rari e sporadici, quasi sempre indiretti, tenuti in piedi il più delle volte dalla diffusione della stampa o dalla trasmissione e comunica- cazione di parole d’ordine.

Negli scioperi e nelle agitazioni del marzo 1943 qualcosa si è mosso, mentre durante le manifestazioni per la caduta del fascismo la massa ha mostrato tutta la propria forza istintiva, la volontà unitaria di pace e di libertà che precede e trova impreparata la scarsa ed inadeguata azione ed iniziativa partitica. E, nella storia interna delle masse di questo periodo rientra l ’intervento nelle fasi di lotta e di azione del movimento operaio, che coincide con il definirsi di certe forme organizzative e con lo sviluppo, più o meno accettato e dichiarato, di un dibattito interno, che finisce con l’investire non solo la concezione della guerra in corso, ma anche quella del partito e della sua funzione, soprattutto in rapporto con la classe.

Abbiamo parlato di forme organizzative: esse vengono definendosi sia sul piano sindacale che in quello più specificamente partitico, sulla linea di precise diret­tive politiche.Innanzitutto, la ricostituzione delle commissioni interne durante i 45 giorni aveva segnato formalmente la ripresa della tradizione più antica e radicata del movimento operaio, dei dibattiti e delle lotte sul problema dell’organizzazione degli operai all’interno della fabbrica, autonoma rispetto ai sindacati, e della loro partecipazione alla gestione dell’impresa. In questa primissima fase, tale processo si colloca in un periodo eccezionale e contraddittorio, in uno sviluppo lento e faticoso, le cui tappe più importanti sono direttamente condizionate e determinate dalla situazione dell’Italia del nord, sia prima che durante l ’occu­pazione nazista.Tappe e momenti che possono essere identificati — oltre che nella istituzione

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delle commissioni interne durante il periodo badogliano — nella nascita dei comitati di agitazione, cui seguirà la formazione dei CLN aziendali e, all’imme­diata vigilia della liberazione, l ’istituzione dei consigli di gestione4. Si tratta di organismi profondamente diversi l ’uno dall’altro, e che assumono funzioni e fisionomia completamente diverse fra di loro, per le esigenze che esprimono e per il momento, politico e militare, in cui nascono. Uno, forse, può esserne l ’elemento unificante, ed è l ’intersecarsi di un rapporto che agisce a livelli ed in proporzioni diverse, fra la classe operaia, i partiti politici e — dall’altra par te — l’impatto con il sistema dominante.

Sotto questo profilo, la sia pur sommaria analisi delle vicende delle commissioni interne nelle fabbriche milanesi permette di cogliere con chiarezza alcuni ele­menti di fondo.

Le commissioni interne

Innanzitutto, è indubbia la spinta autonoma e spontanea che presiedette la for­mazione di quelle commissioni interne, che risultano attive e funzionanti alla Breda, alla Caproni, alla Pirelli5 6, ancora prima che venisse firmato, il 2 settem­bre, quell’accordo a livello nazionale, fra i commissari sindacali, che istituzio­nalizzava e regolava l’elezione delle commissioni interne. L ’armistizio e l’occu­pazione tedesca poi, intervennero a bloccare il meccanismo della costituzione delle commissioni interne, che era stato messo in moto dall’accordo fra Buozzi, Roveda e Mazzini: il comunicato dell’Unione sindacale milanese dei lavoratori dell’industria, in cui veniva annunciato « [...] alle commissioni interne già in funzione, ai fiduciari e a tutte le maestranze interessate che si sta provvedendo tutto il materiale necessario [...] per procedere più sollecitamente possibile alla istituzione delle commissioni interne di fabbrica [...] », restò, difatti, senza alcun seguito.

Oltre la natura e la composizione delle commissioni interne, che risultano fun­zionanti a Milano, restano comunque da chiarire i termini reali della loro autonomia, sia rispetto ai partiti — e al PCI in particolare — che rispetto all’Unione sindacale, i cui caratteri restano oggi ancora imprecisatis.

4 Una efficace sintesi dì tale processo è in E. L u ssu , I sindacati, in Dieci anni dopo 1945-1955, Bari, 1955, pp. 467-474.5 Cfr. L ’Italia dei quarantacinque giorni. 1943, 25 luglio-8 settembre, « Quaderni » de Il Movimento di liberazione in Italia, p. 137. Su questa spinta autonomista e spontanea fra i giovani operai delle fabbriche di Milano e di Torino, cfr. G. G alli, Storia del Partito comu­nista italiano, Milano, 1958, p. 227; ed anche per altri dati, G. Vaccarino, Il movimento ope­raio a Torino nei primi anni della crisi italiana (luglio 1943-marzo 1944) in Problemi della Resistenza italiana, cit., pp. 211-224 e R. Luraghi, Il movimento operaio torinese durante la Resistenza, Torino, 1958, pp. 80-83.In un rapporto anonimo e senza data, conservato nell’archivio del PCI (che d ’ora in poi indicheremo con la sigla APCI), nel fascicolo « Lombardia 1943 », « Milano 1943 », si parla — a proposito della Magnaghi — di « commissione eletta dagli operai ». Cfr. anche il « Rapporto da Milano, 1° agosto 1943 », in P. Secchia, Il partito comunista italiano e la guerra di liberazione, Milano, 1973, pp. 78-84, e, in particolare, p. 79.6 II testo dell’accordo Buozzi-Mazzini venne pubblicato nel Corriere della sera del 3 set­tembre 1943; si veda anche G. Vaccarino, op. cit., pp. 220-222. Il comunicato venne pubbli-

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Dopo l ’8 settembre e l ’occupazione tedesca la situazione resta formalmente immutata, perché le autorità repubblichine non emisero alcuna disposizione che rendesse nullo il patto di Roma, nel tentativo di facilitare l ’avvio di quella politica di carattere demagogico e sociale, con cui contavano di conquistare l ’appoggio delle masse, in particolare del proletariato industriale. Il che signi­ficò, in sostanza, che le commissioni interne sorte durante i 45 giorni divennero, ora, l ’espressione della volontà della classe dirigente e del sindacalismo fascista. In ogni caso, non è ancora chiaro il passaggio dalle commissioni interne bado- gliane a quelle fasciste; come pure, d’altra parte, scarsi e frammentari sono i dati sulla costituzione e sulla composizione degli organismi politici e sindacali dell’antifascismo clandestino.

Le prime battute della situazione post-armistiziale — unite ai problemi connessi con l’inizio di un nuovo periodo di clandestinità — non mancano di provocare dei contraccolpi nell’attività dei partiti operai. Nella seconda metà di settembre, innanzitutto, la badogliana Unione dei sindacati decide di sciogliersi e al suo posto subentra il Comitato sindacale provinciale; mentre viene ufficialmente annunciata la sospensione delle commissioni interne, e la loro sostituzione con i comitati di agitazione 7.

Pochi i dati sul Comitato sindacale provinciale, in cui erano rappresentati i co­munisti, i socialisti ed i cattolici, sulla sua composizione e sulla sua attività: sorto come organismo rappresentativo di quelle forze politiche, sia a Milano che negli altri centri del triangolo industriale, esso fu in realtà l’espressione della volontà politica del Partito comunista. In particolare, la federazione milanese del PCI non esitò, durante gli scioperi, ad emettere manifestini a firma del Comitato.

In ogni caso, il primo comunicato ufficiale di questo organismo compare sulla stampa clandestina dei primi di novembre 1943: in esso viene annunciata la sospensione forzata delle commissioni interne, la formazione, spontanea e clan­destina, di « nuclei di direzione sindacale » in alcuni stabilimenti. Con la costi­tuzione del Comitato d’agitazione interregionale — in vista dello sciopero del marzo 1944 — è del Comitato sindacale provinciale di Milano l’iniziativa di riaffermare la necessità di una direttiva unica e unitaria per l’azione di massa 8. In questa prima fase di riorganizzazione dell’attività clandestina antifascista il Partito comunista è il primo e l’unico ad intervenire, con l’elaborazione e la diffusione di quelle Direttive per il lavoro sindacale che, nel sancire lo sciogli­mento delle commissioni interne, annunciano la costituzione dei Comitati sin­dacali clandestini provinciali e di quelli di fabbrica, precisandone minutamente

cato nel Corriere del 6 settembre 1943, sotto il titolo La prossima costituzione delle com­missioni interne, cui seguiva un commento redazionale.7 Si veda, per tutti, Il comuniSmo italiano nella seconda guerra mondiale, intr. di G. Amendola, Roma, 1963, p. 82; e, anche, il rapporto di « Giovanni » del 25 ottobre 1943, in APCI, « Lombardia 1943 », fase. « Milano 1943 », cit., e G. N icola, La classe operaia milanese nella lotta di liberazione nazionale, Milano, s. d. [1951], pp. 17-18, ove viene riprodotta, in un documento datato « Milano, ottobre 1943 », una decisione presa il 13 ot­tobre 1943.8 Così in Compattezza e disciplina, in Avanti! ed. milanese del 24 gennaio 1944. Il primo comunicato venne pubblicato in ibid., dell’8 settembre 1943.

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i compiti e la costituzione.. Tali direttive 9 — nate in seno all’organizzazione comunista torinese e da essa diffuse ed applicate — riflettono un’impostazione tutt’altro che « locale » della lotta, proiettata in una duplice prospettiva, in cui sono già chiaramente presenti, pur se in modo embrionale, i criteri di fondo su cui si basa l ’azione politica del PCI, che verranno progressivamente chiarendosi, con l ’intensificarsi della guerra e della lotta operaia, ma anche con l ’emergere di polemiche e di schieramenti diversi fra i partiti antifascisti della sinistra del CLN.

I nuovi organismi, sia provinciali che di fabbrica, vengono sostanzialmente con­cepiti su di una piattaforma genericamente unitaria di tutte le forze politiche antifasciste; in particolare, i « comitati sindacali di fabbrica » 10 devono essere largamente rappresentativi di tutte le categorie esistenti all’interno della fab­brica. Parallelamente, accanto a questi organismi, di carattere politico e sinda­cale al tempo stesso, le cellule di fabbrica rappresentano, all’interno della fab­brica e nella lotta sindacale, l ’organizzazione del partito.

È difficile poter stabilire quale sia stata l’azione e l’incidenza di tali organismi nella vita della fabbrica e nelle agitazioni operaie; tuttavia, la funzione ad essi assegnata dal partito era ben precisa, nel rapporto con la classe operaia e con il movimento operaio e sindacale. I comitati di agitazione di fabbrica, in ultima analisi — i cui modelli politici affondano le loro radici nella tradizione più autentica del movimento operaio — erano il punto di convergenza dell’organiz­zazione partitica, del PCI, e delle tendenze attive e fattive della classe operaia. E riflettevano, nello spirito, la tendenza ad eliminare o ridurre ogni istanza autonoma — intesa come espressione diretta, senza alcuna mediazione, della volontà operaia — e al tempo stesso a rafforzare l’ipotesi del controllo del partito sul sindacato e sugli organismi del movimento operaio.

La prima parte delle direttive, sullo scioglimento delle commissioni interne — cui si accompagnò la parola d’ordine di sabotare le elezioni delle nuove commissioni — incontrò in generale il consenso degli operai, sì che — nelle più grosse fabbriche della fascia industriale di Milano — le elezioni andarono deserte. D ’altra parte, non si può escludere che gli operai, anche militanti di

9 R. Luraghi, II movimento operaio torinese, cit., pp. 134-139. Il testo del documento, redatto da Leo Lanfranco e da Romano, è pubblicato alle pp. 311-315. Esso fu diffuso, oltre che a Milano, anche a Genova; cfr. A. G ibelli, La Resistenza degli operai genovesi nel primo periodo dell’occupazione tedesca, in Movimento operaio e socialista, a. X III, n. 2, aprile-giugno 1967, p. 118; poi in Id., Genova operaia nella Resistenza, Genova, 1968, p. 62. È conservato in copia nell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli.10 Con questa espressione vengono indicati nel documento, usando un termine di tipica provenienza torinese (cfr. R. Luraghi, op. cit., pp. 134-135) quegli organismi che a Milano venivano indicati col nome di comitati di agitazione, ed a Genova comitati di fabbrica (cfr. A. G ibelli, La Resistenza, cit., p. 61). Il Luraghi ipotizza — con elementi poco convin­centi — due fasi nella vita dei comitati di agitazione, sia per Torino che per Milano, il cui spartiacque individua nel mese di aprile: per il momento non ci sembra che tale ipo­tesi si sia verificata per Milano. Dagli elementi a disposizione, la data di costituzione dei comitati di agitazione sembra anteriore a quella delle Direttive-, nel documento, già citato — riprodotto in G. N icola, op. cit., loc. cit. in cui viene annunciata la decisione, presa in una riunione del 13 ottobre 1943, i comitati risultano già costituiti: in essi è difficile la colla­borazione con i cattolici ed i socialisti, « che hanno il timore di essere soppiantati dall’in­fluenza dei comunisti sugli operai ».

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partito, abbiano posto in discussione quelle disposizioni di carattere organiz­zativo: lo dimostrano gli esempi — che non è dato sapere fino a che punto rappresentino dei casi isolati — di operai, militanti e non, che ritennero più utile e proficuo continuare a far parte delle commissioni interne « ufficiali » Scarsi, poi, sono gli elementi riguardanti le vicende dei comitati di agitazione 12 e delle commissioni interne badogliano-fasciste, che — destinate a divenire uno strumento della coalizione industriali-tedeschi-fascisti — ebbero vita gram a13. Accanto a questi organismi (corrispondenti, in linea di massima, ai due grossi schieramenti della lotta) si nota, in alcune fabbriche, la presenza di « commis­sioni operaie », che presentano non poche analogie con quei « nuclei di dire­zione sindacale », di formazione spontanea, cui abbiamo fatto cenno nelle pagine precedenti

La presenza di questi — sia pur scarsi — elementi di spontaneismo in questa fase di lotte operaie non va ricondotta ad una contrapposizione fra il partito e la classe operaia, quanto invece ad una articolazione non statica né omogenea dell’inserimento delle formule e delle ipotesi politiche ed organizzative del primo nel contesto di lotte della seconda. I termini reali della disfunzione pro­vocata da questo primo impatto fra il PCI e la realtà del proletariato indu­striale si riflettono in maniera assai esatta nella meccanica della formazione delle delegazioni operaie. Le direttive organizzative del PCI, difatti, prevede­vano la formazigne di delegazioni, composte di operai, tecnici ed impiegati, che dovevano portare avanti la lotta, trattando esclusivamente con gli indu­striali, con il compito di esporre le ragioni dello sciopero e le rivendicazioni operaie 1S. In realtà, durante gli scioperi milanesi del dicembre 1943, le tratta­tive con i dirigenti furono generalmente condotte da delegazioni di formazione spontanea, che agirono in maniera del tutto autonoma rispetto alle direttive (quella di non trattare con i tedeschi, infatti — come vedremo — venne igno­rata) e che, in ogni caso, sfuggirono al controllo ed alla guida dei comitati di

,! Così alla Isotta Fraschini e alle Trafilerie: si vedano le relative relazioni in APCI, fase. cit. Cfr. anche, in proposito, Via dalle fabbriche le commissioni interne e gli ispettori del lavoro, in La fabbrica del 1° marzo 1944. Sul problema delle commissioni interne si veda, sempre in quel periodico. Contro ogni forma di collaborazione e Gli operai fanno fallire le elezioni delle commissioni interne fasciste, nei numeri del 25 novembre e 16 di­cembre 1943; e, ancora, Commissioni interne o spie? e Le commissioni interne, nell’Avanti! ed. milanese, del 20 dicembre 1943 e 31 gennaio 1944. Anche nel Rapporto sugli scioperi, Milano, 13 dicembre 1943 (in APCI, loc. cit.) vengono riportati i dati sulle elezioni, fallite, alla Breda ed alla Tecnomasio Brown Boveri.12 Nel dicembre 1943 risultano costituiti alla Breda, Olap, Trafilerie e Borletti: cfr., oltre il cit. Rapporto sugli scioperi, anche la Relazione sugli scioperi negli stabilimenti milanesi, Milano, 15 dicembre 1943 e quelle relative alle fabbriche indicate, sempre in APCI, fase. cit. Alle Trafilerie risulta funzionasse anche una cellula, che collaborava con il comi­tato di agitazione.15 Nel dicembre 1943 esse risultano esistere alla Broggi, Isotta Fraschini, OM, Borletti, Face e Trafilerie: cfr. relazioni relative alle fabbriche indicate, in APCI, fase. cit.14 Sembra che esistessero alla Breda — ove convivono con il comitato di agitazione — , alla CGE e alla Isotta Fraschini: oltre il cit. Rapporto sugli scioperi, si vedano i rapportini su queste fabbriche, in APCI, fase. cit.15 Cfr. Una settimana di sciopero a Milano, f.to « Momo » (G. Li Causi), che reca due date: il 10 gennaio 1944, in testa, e il 22 dicembre 1943 in calce: si tratta, presumibilmente, della fusione di due documenti distinti (in APCI, fase. cit.).

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agitazione esistenti1S, cioè degli organismi di fabbrica dell’apparato politico clandestino.

Negli scioperi del marzo 1944 la situazione appare, sotto questo aspetto, del tutto mutata: le delegazioni operaie sono scomparse, innanzitutto perché l’ini­ziativa del Partito comunista ha preso in mano la situazione, al punto che— di fronte alla prospettiva immediata di uno sciopero insurrezionale — la classe operaia abbandona ogni istanza di carattere rivendicativo e salariale. Più articolata, ricca ed efficiente è divenuta la rete organizzativa, sì che alla scomparsa di quelle rare « commissioni operaie » corrisponde la vanificazione delle commissioni interne fasciste, mentre più forti e più numerosi sono dive­nuti i comitati di agitazione 16 l7.

Tali considerazioni ci riportano al quadro, più generale, della struttura orga­nizzativa del Partito comunista alle origini della guerra di liberazione: sotto questo aspetto, lo sviluppo della federazione di Milano — fra le più attive ed importanti — mostra, insieme con il poderoso sforzo compiuto, come già in questa fase siano presenti alcuni problemi di fondo della realtà italiana, che hanno da sempre accompagnato la sua storia, e quale sia stata la capacità, da parte del PCI, di assorbirli e di risolverli.

Che — alla caduta del fascismo — esistessero solo alcuni organi dirigenti locali, numericamente esigui, ed una base politicamente non sensibilizzata, è fatto ormai abbastanza noto. Come pure, le fonti sottolineano concordemente l’in­tenso sviluppo dell’organizzazione politica, verificatosi fino al marzo 1944, su cui non poca incidenza ebbero sia i problemi inerenti direttamente alla lotta di liberazione ed alla guerra, sia quelli relativi all’andamento, in tale contesto, delle lotte del movimento operaio.

Alla fine dell’ottobre 1943 la federazione milanese era composta dal comitato federale, coadiuvato da comitati di settore, di zona e di cellula (organismi di­versi fra loro per estensione ed importanza). Numericamente assai esiguo— era composto di sole sei persone — il primo manteneva con i vari settori dei collegamenti, articolati in maniera tortuosa e complicata, mentre non di­sponeva di alcun contatto diretto con le zone della provincia, che erano colle­gate esclusivamente con i comitati di settore, venendogli così a mancare ogni possibilità di esercitare una effettiva direzione politica ed un controllo sulle varie attività degli organismi dirigenti locali.

16 Oltre che dal contesto delle relazioni sugli scioperi milanesi del dicembre 1943 (in APCI, fase, cit.) questo elemento viene approfondito in un documento non firmato e non datato, dal titolo « Insegnamenti e esame critico e autocritico della settimana di sciopero ».17 Si veda il Progetto. Rapporto conclusivo sugli insegnamenti dello sciopero generale (1-8 marzo 1944), non firmato e datato «M ilano, 14 marzo 1944» e il Rapporto conclu­sivo sugli insegnamenti dello sciopero generale di Milano e provincia (1-8 marzo 1944), f.to « Il comitato federale », che è l ’edizione ampliata del primo. Ambedue sono conservati in APCI, fase. cit. Sempre sui comitati di agitazione, si veda G. N icola, op. cit., pp. 44-49. Per quanto riguarda, poi, gli accenni alle commissioni interne fasciste, esse risultano ancora sopravvivere alla Magneti Marelli di Crescenzago, alla Loro e Parisini, alla Motomeccanica e OM: cfr. una relazione sulla Magneti Marelli del 14 marzo 1944 e un gruppo di rap- portini sugli scioperi, datato 2 marzo 1944, in APCI, ivi.

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Parallelamente, si andavano costituendo i comitati di agitazione — su cui ci siamo soffermati nelle pagine precedenti — il Fronte della gioventù, ed i comi­tati periferici del CLN: di questi facevano parte anche socialisti, cattolici ed « operai senza partito » Centralità organizzativa, dunque, e lentezza e pesan­tezza di collegamenti: queste le caratteristiche strutturali della federazione milanese.

Molto più debole si presenta la situazione in quegli altri centri della Lom­bardia, dove la presenza organizzativa del PCI si fa sentire, come Brescia, Ber­gamo e Varese. La scarsezza e la esiguità di quadri, la necessità di alimentare la lotta partigiana sono le ragioni immediate di tali carenze; ma non vanno trascurati altri elementi di fondo, che possono essere individuati sia nella pre­valenza dell’elemento contadino, sia nel persistere di ben radicate situazioni locali, che hanno i loro riflessi immediati nella impostazione dei rapporti con le altre forze politiche, in particolare con i democristiani e con i socialisti, e con i CLN ” . Lo sciopero — o meglio gli scioperi svoltisi a Milano e in tutta l’Italia settentrionale fino al marzo 1944 — si presenta come uno dei momenti più complessi di questa fase di storia del movimento operaio: esso rappresenta, difatti, la verifica, da parte del partito, di un sistema organizzativo e di una ipotesi politica; e, da parte della classe operaia, il mezzo più efficace di agita­zione e di lotta rivendicativa. Ed è proprio in quegli scioperi che il rapporto fra il PCI e la classe operaia viene colto in tutte le sue articolazioni, secondo un andamento non del tutto lineare.

Se nelle manifestazioni e negli scioperi del periodo immediatamente successivo al 25 luglio si può individuare con chiarezza una duplice linea, quella delle masse popolari e quella del partito — non certo in antitesi fra loro, ma muo- ventesi ancora in una prospettiva confusa ed indistinta — durante gli scioperi dell’inverno del 1943 si assiste al riuscito intervento del partito nelle agitazioni operaie, che culminarono negli scioperi milanesi del dicembre: l ’elemento spon­taneistico ed autonomo si fa sentire nella primissima fase delle agitazioni, pro­voca il macroscopico fenomeno delle delegazioni operaie e determina il prose­guimento delle agitazioni in alcune fabbriche, anche dopo la conclusione dello sciopero. Ciò corrisponde, a nostro avviso, ad un momento di stasi e di riflusso organizzativo e politico, in alcune zone dell’Italia settentrionale, e in altre ad 18 19

18 Così nel cit. rapporto di « Giovanni », in APCI, fase. cit. Si vedano anche A. Scalpelli, I comunisti a Milano nel 1944. Documenti sull’organizzazione clandestina, in Movimento operaio e socialista, a. X II, n. 1, gennaio-marzo 1966, pp. 29-91, ora in Id., Scioperi e guerriglia in Val padana (1943-45), Urbino, 1972, pp. 69-176; P. D e L azzari, Partito e gio­vani nell’esperienza del Fronte della gioventù, in Critica marxista, a. 9, n. 5-6, sett.-dic. 1971, pp. 315-327; e, infine, Situazione organizzativa di Milano, in P. Secchia, Il partito comunista, cit., pp. 313-316. Sul Partito comunista di questo periodo cfr. anche ibid., le pp. 320-348, in cui, fra l ’altro, viene pubblicato il rapporto di Anton Vratusa.I recentissimi volumi di Amendola e di Longo (G. Amendola, Lettere a Milano, Roma, 1973; e L. Longo, I centri dirigenti del PCI durante la Resistenza, Roma, 1973) — pubblicati poste­riormente alla stesura di questo saggio — offrono, con la pubblicazione di documenti inediti della direzione del PCI, importanti elementi di analisi, in sede storiografica e non solo poli­tica, sul dibattito che si svolse all’interno dei quadri dirigenti del Partito comunista, soprat­tutto nella prima fase della lotta di liberazione.19 Oltre il cit. rapporto di « Giovanni », cfr. anche le relazioni, in APCI, nei fascicoli « Brescia 1943 », « Bergamo 1943 » e « Varese 1943 ».

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una fase di più intensa preparazione organizzativa, che troverà il suo sbocco immediato nella preparazione e nella realizzazione dello sciopero del 1° mar­zo 1944.

Il sottile filo rosso che collega fra di loro gli scioperi e le agitazioni del 1943-44 è sostenuto da alcune costanti, che rappresentano i punti fermi del patrimonio ideologico e politico del PCI, e al tempo stesso quegli elementi determinanti della sua azione nella lotta di liberazione e nel rapporto con la classe operaia. Nell’analisi della documentazione del PCI, edita e inedita, sugli scioperi del1943-44 a Milano possiamo cogliere tali costanti nel loro farsi e nel loro attualizzarsi. Tale documentazione sembra articolata, sul piano logico e conte­nutistico, su tre piani: innanzitutto, una piattaforma, abbastanza ricca, anche se eterogenea, di relazioni che contengono la cronaca quasi giornaliera delle agitazioni operaie in ogni fabbrica 20. A queste si accompagna una serie inter­media di documenti, che corre su una linea parallela ai precedenti, e che com­prende le direttive generali e particolari a diversi livelli, la cui impostazione riflette al tempo stesso la genesi iniziale del tentativo di reinserimento del Par­tito comunista nel movimento operaio, le caratteristiche più significative di una struttura organizzativa e, infine, alcuni punti fermi della sua ideologia politica, che rappresentano da un lato il punto d’arrivo di un iter interno, dall’altro delle costanti cui si ricollega continuamente la lotta in corso.

Queste direttive sono affiancate da relazioni generali della federazione milanese del PCI, per la maggior parte inedite20 21, in cui vengono riassunti, nella loro essenzialità, i dati contenuti nelle relazioni particolari dei rappresentanti di set­tore o di fabbrica, e che costituirono la base per la stesura degli articoli e delle dichiarazioni programmatiche, comparsi suìYUnità e su La Nostra Lotta 22: que­

20 La maggior parte di queste relazioni, riguardanti la provincia di Milano, è conservata in APCI, nell’Istituto Gramsci e qualcuna anche nell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli di Milano. Si tratta, per la maggior parte, di brevi rapporti, a volte quasi telegrafici, molto spesso non firmati, raggruppati secondo criteri non sempre omogenei: o per data, o per gruppo di fabbriche, o per settore. La paternità di tali rapporti non è facilmente definibile; non sembra, comunque, si vada oltre il responsabile di zona o di settore. Raccolti ed elaborati dalla fede­razione milanese, gli elementi contenuti in tali relazioni confluirono poi in un più ampio documento, a livello provinciale, che a sua volta costituì parte di relazioni generali sugli scioperi. Generalmente anonimi, nei rapportini in parola ricorrono tuttavia delle firme, chia­ramente degli pseudonimi, oppure dei nomi abbreviati. Tali sono, nel gruppo di relazioni sugli scioperi di dicembre, quella di « Giusto » e « Carlo », del settore Vittoria, « Giovanni »; di « Ledone » dello stabilimento Trafilerie Laminatoi, « Piero », Fonderie Pracchi, « Dino », Brown Boveri, Vanzetti, Smalterie e Falck; « Sergio » (I settore, Magnaghi e Marelli di Crescenzago), « Achille » (Borletti), « Moreno » (Zerbinati, Montecatini), « Mario » (Ceretti e Tanfani), « Ennio » (Broggi), « Gino » (Face, Ifi), « Vico » (Smeriglio), « Remo » (Alfa Romeo di Vanzago), « Medici » (II settore, Montecatini), « Iole » (Isotta Fraschini), Restelli, Violini, Bergoni, « Fr. » (Trafilerie), « B. » (Caproni). Più rare sono le firme in calce ai rapportini sugli scioperi del marzo 1944. Compaiono « B. » (Borletti), « Am. » (Motomecca­nica), « P. D. » (Sesto). Solo in un gruppo di queste — che inizia con la data Milano, 14 marzo 1944 — compaiono annotazioni in calce ai singoli rapporti, firmate « Gius. ».21 Ci riferiamo a Una settimana di sciopero a Milano e Insegnamenti ed esame critico e autocritico della settimana di sciopero, citt., in APCI, fase. « Milano 1943 », cit. e al Rap­porto conclusivo sugli insegnamenti dello sciopero generale di Milano e provincia (1-8 marzo 1944) (ivi). La relazione finale della federazione milanese del PCI sugli scioperi del marzo 1944 è stata pubblicata a cura di A. Scalpelli in Rinascita, a. 21, nn. 11, 12 e 13, del 7, 14 e 21 marzo 1964; cfr. anche nota n. 91.22 Cfr. in particolare L. Longo, Il grande sciopero di Milano, e Sciopero generale in tutta

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sti documenti ufficiali costituiscono un punto di riferimento assai utile ed inte­ressante ai fini della nostra analisi, soprattutto se messi a confronto con i pre­cedenti. Fra le prime relazioni, degli attivisti del PCI, quelle della federazione milanese e le analisi ed i resoconti apparsi sulla stampa clandestina, è chiara­mente individuabile uno stretto legame, intrinseco ed estrinseco: da quelle si distaccano nettamente altri documenti, di carattere politico più generale, le « direttive ». Su di queste vale la pena di soffermarsi, in via del tutto prelimi­nare, in quanto esse — al di là degli elementi meramente organizzativi — ri­flettono una ben precisa linea di azione politica. Così, significativo è il riferi­mento e l’attenzione costante alle condizioni della classe operaia, collegati, è vero — soprattutto nelle disposizioni emanate durante i 45 giorni23 — al­l’obiettivo della mobilitazione della massa operaia, colpita dai licenziamenti in blocco dopo i bombardamenti, per affrontare il problema del carovita e dell’ade­guamento dei salari. Ma quello che prevale, nell’impostazione e nella sostanza soprattutto di queste direttive iniziali, è il tentativo di chiarire la natura della guerra in corso, tentativo che si sviluppa ad un livello più politico che ideolo­gico, e che, in ogni caso, è più direttamente legato ai presupposti di un’azione concreta. Così, la formulazione del concetto di guerra è chiara e precisa -— solo in minima parte vi si riflette il clima di sospensione e di attesa che precedette l’armistizio — inquadrandosi in una prospettiva di fondo perfettamente ade­rente alla posizione assunta dal Partito comunista nei confronti del proclama badogliano, « la guerra continua ». Innanzitutto, la guerra di Badoglio è, sul piano interno come su quello internazionale, la continuazione della guerra fascista e al tempo stesso il mantenimento in vita del sistema, economico e politico, da cui essa trae origine, dell’alleanza con la Germania hitleriana. Ad essa viene contrapposto l ’obiettivo della pace, e dell’armistizio — inteso come cessazione delle operazioni di guerra24. In questa brevissima e particolare fase — di azione e di teorizzazione — mentre viene esplicitamente dichiarata la condanna della guerra « ingiusta », cioè della guerra fascista a fianco della Ger­mania nazista, non è stata ancora sussunta l’opposta concezione della guerra « giusta », cioè quella combattuta dall’URSS e dalle potenze alleate.

Nella situazione venutasi a determinare nell’Italia del nord dopo l ’armistizio dell’8 settembre, l ’occupazione tedesca e la dichiarazione di guerra alla Ger­mania da parte del governo Badoglio, tutta la prospettiva politica della lotta antifascista ed antinazista poggia su una mutata valutazione, e concezione, della guerra che gli italiani sono chiamati a combattere, che è guerra di liberazione nazionale. La guerra di Mussolini era la guerra deH’imperialismo fascista, quella che ora si inizia è contro il nazismo ed il fascismo, per l ’indipendenza e la libertà:

l ’Italia occupata-, Considerazioni sullo sciopero generale, rispettivamente in La Nostra Lotta, a. II , n. 2, gennaio 1944; n. 5-6, marzo 1944, ora in Id., Sulla via dell’insurrezione nazionale, Roma, 1971, pp. 98-121, 131-161 e 162-172.23 Si vedano, per questo, due documenti, anonimi, di cui l’uno dal titolo Rapporto per­sonale, datato 25 agosto- 1943, e l’altro, senza data e senza titolo, che inizia con la frase: « Gli operai prendendo atto della posizione delle autorità rispetto ai vari problemi che interessano la vita delle masse lavoratrici [...] »: ambedue in APCI, fase. cit.24 Cfr. Temi e problemi della nuova situazione, in Lettere di Spartaco, a. V, n. 47, 8 agosto 1943.

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« [...] Questa è la guerra del popolo. Guerra necessaria perché rivolta contro la tirannide nazista e fascista, guerra giusta perché ci salva dalla servitù e dalla miseria in cui ci ridurrebbe il predominio tedesco »: con queste parole viene posto e vigorosamente riaffermato il passaggio alla concezione della guerra « giusta », in quanto guerra di liberazione25 *.

Ci sembra opportuno soffermarci su alcuni elementi di analisi della guerra per due ragioni fondamentali. Innanzitutto, il significato politico e internazio­nale di tale teorizzazione, in cui è implicita l ’immediata proiezione della lotta antifascista ed antitedesca nell’equilibrio delle forze internazionali, quale fattore intrinseco all’alleanza dell’URSS e degli angloamericani contro la Germania. Questa prospettiva internazionale, di cui è fattore determinante il legame con l ’Unione sovietica — e che costituisce uno degli elementi strutturali della storia e dello sviluppo del Partito comunista italiano — solo ora, per la prima volta, viene calata nella realtà italiana. E, in questo non facile impatto — in cui si assiste alla logorante lotta contro l ’attesismo — vengono riproposti, alla luce della politica attiva, quegli elementi di analisi di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti: in essi si riflette, in maniera ortodossa e coerente, tutto il più recente dibattito svoltosi nel mondo comunista intorno al problema della guerra. I termini di tale dibattito sono noti: esso si incardina sull’analisi del fascismo e del nazismo, e sulla condanna della guerra imperialistaM. A ciò si aggiunge, dopo l’aggressione nazista all’Unione sovietica, quello della contrap­posizione alla guerra « ingiusta » della guerra « giusta », combattuta dall’Unio­ne sovietica, che è guerra di liberazione — contrapposizione che si viene a sostituire alla precedente, continua e martellante richiesta della pace separata27 — e la funzione specifica e preminente assunta in tale lotta dalla classe operaia. Valgano, quali punti di riferimento non isolati, alcuni documenti ufficiali, ema­nati dal PCI dopo l’aggressione nazista all’URSS e dopo lo scioglimento della III Internazionale. In particolare, nell’appello, ampiamente unitario, rivolto al popolo italiano in quest’ultima occasione, non solo viene ribadita l’oppor­

25 Per la vittoria del popolo italiano nella guerra contro la Germania nazista (Appello del PC I), in La Nostra Lotta, a. II , n. 2, ottobre 1943, pp. 1-3. Il documento, di cui ripor­tiamo un brano — pur se non fa parte di quella serie di « direttive » cui ci riferiamo — rappresenta a nostro avviso il necessario anello di collegamento fra l ’ultimo documento esaminato, anteriore all’8 settembre, e quelli successivi. Il concetto di « guerra giusta » sarà esposto, secondo la più ortodossa dottrina marxista-leninista, in La guerra giusta, ne La Nostra Lotta, a. II , n. 2, ottobre 1943. E, successivamente, la guerra antinazista — in quanto guerra di liberazione nazionale — con l ’avanzata dell’Armata rossa andrà progressi­vamente mutandosi in guerra democratica: cfr. Dagli accordi di Londra alle conferenze di Mosca e di Teheran, ibid., a. II , n. 3, 1° febbraio 1944.” Per una sintesi di tale dibattito, si veda P. Spriano, Storia del Partito comunista ita­liano, vol. I l i , Torino, 1970, pp. 320 e sgg. Ci sembra inoltre significativo l ’intervento — su tale problematica — di A. Roasio, La storia del partito dal ‘37 al ‘43, in Critica marxista, a. 10, n. 2-3, marzo-giugno 1972, pp. 172-206.27 Su tutto ciò si veda ora P. Spriano, Storia del Partito comunista, vol. IV cit., in partico­lare le pp. 116 e sgg. Il tema della pace separata ricorre nel documento che annuncia la costi­tuzione del Comitato d’azione per l ’unione del popolo italiano, dell’ottobre 1941, in Tren- t ’anni di vita e di lotte del PCI, cit., pp. 194-195; e nei successivi appelli del Comitato d ’azione per l ’unione del popolo italiano, e del Comitato italiano per la pace e la libertà, rispettivamente dell’agosto e del 24 novembre 1942, in Trent’anni di vita del Partito comu­nista italiano, Roma, 1951 (bozze di stampa), pp. 551-553 e 554-555.

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tunità e la necessità di una pace separata, ma la guerra di liberazione viene articolata nelle sue forme diverse, tutte concorrenti all’unità degli italiani

Negli altri successivi documenti interni del Partito comunista — risalenti alla prima fase della lotta armata — l’aggancio con la precedente tematica è preciso e coerente: nelle Direttive per il lavoro sindacale e in quelle per l’azione econo­mica in corso s , su un nucleo consistente di elementi direttamente attinenti alla realtà politica ed alle lotte operaie del momento (occupazione tedesca, problema delle commissioni interne, rivendicazioni operaie) viene ampiamente ripresa ed analizzata, pur con sfumature diverse, la concezione della guerra di liberazione. Nelle prime, si sottolinea lo stretto legame di interdipendenza con l’azione dei lavoratori e della classe operaia ( « [ . . . ] Lo stretto legame della lotta operaia per il pane ed il lavoro, con la lotta contro le forze reazionarie e l ’occupante straniero va sempre ricordato [...] »), nelle altre viene riaffermata in pieno la concezione della guerra «g iu sta » : « [ . . . ] La guerra di liberazione nazionale è una guerra giusta che noi appoggiamo con tutte le nostre forze: con la parola d’ordine della pace [...] nel manifestino, sembra che ci si voglia attenere ad una posizione di semplice opposizione alla guerra che fa il fascismo contro le Potenze Unite. Ma la nostra posizione, oggi, è un’altra: è di completa adesione alla guerra delle Potenze Unite, contro il fascismo [...] ». Nella prospettiva generale della guerra di liberazione, quindi, la lotta della classe operaia è stret­tamente collegata con la lotta armata.

La funzione preminente della classe operaia, difatti, era stata uno dei punti cardinali della « svolta » della III Internazionale 30: nella situazione creatasi dopo il fallimento dei fronti popolari e il patto di non aggressione il compito ad essa assegnato non era più di costituire l’unico mezzo possibile di coe­sione delle varie forze sociali, ma la lotta contro la guerra « brigantesca ». Nell’appello del PCI ai lavoratori italiani, dopo l’aggressione nazista all’URSS — mentre viene ripresa la condanna dell’imperialismo tedesco, aggressore del­l ’Unione sovietica, « patria dei lavoratori del mondo intiero » — viene altresì definitivamente sancita la specifica funzione di avanguardia, nella lotta contro i tedeschi, spettante alla classe operaia italiana. In uno dei documenti politici che circolavano al Nord durante i 45 giorni — di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti31 — viene per l’appunto messa in risalto la funzione asse­gnata alla classe operaia, che è all’avanguardia del popolo italiano, nella lotta contro la Germania hitleriana: « [...] Ecco perché gli operai lottando per la salvezza della patria, rappresentano i veri patriotti, avanguardia del popolo italiano sul luminoso cammino della libertà e dell’indipendenza ». Quanto poi a quelle Direttive che abbiamo testé esaminato, in esse non solo — come abbiamo messo in luce — viene chiaramente enunciato lo stretto legame fra guerra di liberazione e lotte operaie, ma vengono anche delineate le varie fasi 21

21 Urgenti doveri delle forze nazionali nella lotta per la pace, in Lettere di Spartaco, a. V, n. 45, giugno 1943.29 Queste, non firmate, e datate Milano, 13 dicembre 1943 (in APCI, loc. cit.) sono nettamente divise in due parti, di cui la prima contiene una minuziosa analisi critica dei risultati dello sciopero di novembre a Torino. Per le altre « direttive », cfr. pota n. 9.30 P. Spriano, Storia del Partito comunista cit., vol. I l i cit., loc. cit., in particolare pp. 323 e sgg.31 Cfr. nota n. 23.

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d’inserimento del Partito comunista nello sviluppo del movimento operaio.

In tale prospettiva, la creazione di quei nuovi organismi — i Comitati sindacali clandestini provinciali — insieme con i comitati di agitazione, o i comitati sindacali clandestini di fabbrica, acquista un significato politico ben preciso: innanzitutto, in piena coerenza con la prospettiva internazionale — cui ci siamo riferiti nelle pagine precedenti — sul piano tattico la creazione di quegli orga­nismi che avrebbero dovuto guidare la lotta rivendicativa della classe operaia avveniva all’insegna di una forte preoccupazione unitaria.

Come pure, e qui sta un altro elemento — a nostro avviso assai caratteristico di una particolare prospettiva politica — lo sciopero e la rivendicazione poli­tica e salariale acquistano un chiaro ed inequivocabile valore strumentale, in quanto costituiscono il momento opportuno ed efficace per favorire l’innesto della direzione politica nell’azione della classe operaia.

Mentre non va sottovalutata l ’importanza che assume, in tale quadro, l ’elemento rivendicativo, che tuttavia finisce, in questa fase della lotta, e soprattutto in riferimento al movimento operaio, col divenire esclusivamente un fattore deter­minante per lo sviluppo e lo scatenamento di scioperi e di agitazioni; lo scio­pero viene concepito ed impostato esclusivamente come un sabotaggio di vaste proporzioni, quale mezzo per indebolire la macchina bellica tedesca, e quindi arma necessaria per combattere la guerra di liberazione a fianco dell’URSS e delle potenze alleate.

Di qui, la « equivalenza » fra lo sciopero e la lotta armata, di qui il superamento dello sciopero rivendicativo, per giungere a quello politico e insurrezionale: in questa successione di fasi, che il documento del novembre 1943 prepara, ma che viene chiaramente posta nelle successive direttive del 5 gennaio 1944 32, si riflette il significato che assumono gli scioperi e le agitazioni operaie succe­dutesi a Milano nell’inverno del 1943 e nella primavera del 1944.

Ma il valore politico, e storico, più valido degli scioperi milanesi — e di quelli verificatisi in tutta l’Italia occupata — sta nella vasta mobilitazione di massa, decisa ed organizzata dal PCI, che vuole porsi alla guida del movimento operaio e della classe operaia.

La classe operaia

Nelle pagine iniziali di questo saggio abbiamo cercato di chiarire quali fossero, a nostro avviso, i termini storiografici del rapporto fra il partito e la classe nei primissimi mesi della lotta di liberazione nazionale33. Abbiamo anche indivi­duato quale fosse la fortissima componente, di carattere ideologico politico, che assegnava — nella prospettiva di più immediata azione pratica e politica del PCI — alla classe operaia una funzione trainante. La classe operaia: allo stato attuale delle indagini, del materiale e degli strumenti a disposizione, può apparire fatica lunga ed improduttiva, soprattutto per il periodo che ci inte­

32 Cfr. nota n. 85.33 Cfr. pp. 33 passim.

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ressa, tentare di delinearne una analisi, una « storia », che non sia necessaria­mente legata agli schemi sociologici.

Scarsissime e non facilmente consultabili sono le fonti dirette: della classe ope­raia, in quanto elemento — e non protagonista « altro » — della storia del movimento operaio, si occupano ampiamente i documenti del PCI.

Non molti, tuttavia, sono gli elementi che in essi fortemente caratterizzano la fisionomia della classe operaia, o meglio del proletariato industriale; in ogni caso, il definirsi ed il delinearsi di tali elementi è determinato dal tipo del documento in cui esso compare, dal contesto — nel quadro della struttura e della gerarchia del partito — in cui esso viene steso ed a cui era destinato. In altri termini: nei resoconti, nelle direttive ufficiali, la classe operaia viene pre­sentata in maniera assai ortodossa, come l’avanguardia del popolo italiano, che si pone alla testa della lotta contro l’invasore tedesco.

Più articolati sono, certamente, gli elementi che emergono dalle relazioni degli ispettori, responsabili di fabbrica e di settore, relazioni in cui si trova sempre — nella maggioranza dei casi e nelle forme suggerite dalla particolare situazione in cui tali relazioni vengono stese — per l ’appunto un paragrafo dedicato al­l ’atteggiamento degli operai.

Diremo subito che, in questo caso, la caratterizzazione della classe operaia viene come filtrata da chi — e sono coloro che hanno steso le relazioni, appartenenti alle cosiddette gerarchie intermedie del partito — crede di poterne esprimere le esigenze e se ne fa al tempo stesso intermediario nei confronti dei quadri dirigenti del partito. Sì che — se pure ad un livello puramente filologico, rela­tivo alla lettura dei documenti — ci si trova di fronte al curioso fenomeno, in virtù del quale una più precisa e diretta « presenza » della classe operaia è stret­tamente legata all’atteggiamento che i quadri intermedi assumono nei confronti della linea politica del centro: quanto più profonde sono le riserve nei confronti della direzione politica, tanto più netto si fa l’emergere della realtà operaia. Resta tuttavia un elemento di fondo: che la classe operaia non diviene mai l ’interlocutore « altro » del partito, ma viene presentata e concepita quasi fosse una materia informe, che il partito ha il compito di forgiare, « preparare » poli­ticamente e ideologicamente.

In ogni caso, se si cerca per il momento di prescindere — nell’analisi che stiamo per fare — da queste caratteristiche particolari, e non esclusivamente filolo­giche, caratteristiche che potremmo far rientrare nella più ampia concezione della funzione del partito nei confronti della classe operaia, ci si trova di fronte ad una classe operaia che ha in sé una potenzialità di organizzazione, in forme che possono anche essere autonome rispetto agli organismi politici e partitici. Autonomia che non implica contrapposizione nei confronti di questi ultimi: in sostanza, questo era il significato prevalente delle manifestazioni che si erano svolte in tutta Italia, ed in particolare a Milano, nel luglio e nell’agosto prece­dente; ed a questo si possono far risalire anche quei dati, scarsi, sulle com­missioni interne durante il periodo badogliano.

Ma questa capacità « autonoma » della classe operaia si fa più evidente durante lo sciopero di dicembre a Milano: pur essendosi svolto sotto l ’egida del Partito comunista, esso venne determinato — e voluto — dall’iniziativa operaia, che

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mise in moto tutto il meccanismo della esitante ed esigua organizzazione di partito. Sempre nel corso dello sciopero milanese del dicembre 1943, oltre ad evidenziarsi il fenomeno delle delegazioni operaie — di cui abbiamo già par­lato e che, a nostro avviso, è il sintomo più evidente di tale capacità e poten­zialità autonoma —- emerge una classe operaia fortemente antifascista, ancor più che antitedesca.

La scelta — contraria alle direttive del partito — di accettare la trattativa finale con i tedeschi è anch’essa un altro sintomo di tale potenzialità e capacità autonoma, legata soprattutto — e il discorso vale non solo per gli scioperi milanesi della metà di dicembre 1943 ma anche per gli scioperi e le agitazioni fra la fine del 1943 e il gennaio 1944 — alla piena e matura consapevolezza, da parte della classe, dei propri diritti sul piano rivendicativo e sindacale ed alla ferma decisione di volerli conseguire34.

I documenti del partito non tacciono su questi episodi di autonomismo, e al tempo stesso tendono a mostrare una classe operaia fiduciosa nella sua azione e nelle sue direttive, che si avvicina al partito perché esso è l’unico a portare avanti e ad assumere le sue rivendicazioni.

Tipico, sotto questo aspetto, è quanto emerge dalle relazioni sugli scioperi di marzo: ove sembra siano del tutto scomparse quelle tendenze autonomistiche, che pure erano state l ’unica spinta (oltre che, naturalmente, l’elemento riven­dicativo) delle agitazioni di gennaio; la propaganda e la preparazione politica del Partito comunista (appoggiato, questa volta, dagli altri organismi della lotta clandestina antifascista) ha garantito, ora, una grossa mobilitazione operaia, lineare e compatta nella condotta dello sciopero.Su alcuni equivoci di fondo dello sciopero di marzo ci riserviamo di soffermarci oltre: quel che qui ci preme mettere in luce è l’atteggiamento e la fisionomia che assume la classe operaia. Quest’ultima lascia da parte, momentaneamente, ogni rivendicazione economica e sindacale, per entrare in una prospettiva di lotta più ampia e più radicale: lo sciopero politico, lo sciopero insurrezionale significa la cacciata definitiva dell’invasore tedesco e dei fascisti, la fine della guerra, che è anche, e soprattutto, la fine della miseria e della fame.

L ’imponente mobilitazione di massa realizzata per lo sciopero del marzo 1944 sembra proprio muovere da questa ipotesi di fondo parte della classe operaia: che sembra, anche questa volta, essere andata oltre la prospettiva politica del partito. Questo è il senso che — a nostro avviso — assunse la reazione degli operai all’indomani della conclusione dello sciopero; questo è il senso, inoltre, della critica rivolta al partito sia dagli stessi operai33, sia dagli attivisti, dai quadri intermedi. In particolare, l ’ampio spazio che, in una delle relazioni

3‘ Una settimana di sciopero a Milano e Insegnamenti ed esame critico e autocritico, citt. alla nota n. 21; della capacità «autonom a» degli operai la federazione milanese si mostra perfettamente consapevole, pur individuandone la causa prevalentemente nella lentezza e nelle deficienze dell’apparato organizzativo.35 In APCI, « Lombardia 1944 », fase. « Milano 1944 » si veda in un gruppo di relazioni (di cui la prima porta la data Milano, 14 marzo 1944), quella dal titolo Sciopero generale. 1° marzo-8 marzo 1944, e quelle riguardanti la Borletti, le Trafilerie, la Tecnomasio e il I I I Settore.

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conclusive34 * 36 viene dato ai riflessi che la conclusione dello sciopero ha avuto sulla massa operaia si lega perfettamente con la critica che viene fatta al par­tito, che coinvolge non solo la preparazione e la condotta politica dello sciopero, la prospettiva ideologico-politica in cui esso era stato posto, ma anche il rap­porto fra il partito e la massa operaia37 38.

Gli scioperi del dicembre 1943 a Milano

La cronaca degli scioperi operai che nell’inverno del 1943 ed in piena occupa­zione nazista si svolsero a Milano e negli altri centri industriali dell’Italia setten­trionale, comincia ad occupare ormai un capitolo abbastanza vasto della storia d’Italia nella crisi del 1943 31.

Le vicende milanesi sono, quindi, assai note: quello che, in questa sede ci preme mettere in luce sono i termini reali del rapporto fra il PCI e la classe operaia in questa fase di lotte, tentando altresì di individuare i vari momenti del processo di inserimento del partito nel movimento operaio.

Questo sciopero può essere suddiviso in tre fasi di sviluppo. Nella prima, che possiamo circoscrivere al 16 dicembre, si assiste innanzitutto allo scatenamento dello sciopero: su cui agiscono due fattori convergenti e complementari. Innan­zitutto, è l’iniziativa operaia a dare il via alle agitazioni in alcune fabbriche milanesi; a questa si aggiunge l’intervento della federazione milanese del PCI, che si fa sentire non solo a livello organizzativo, ma soprattutto con la diffu­

34 Sullo sciopero del marzo 1944 a Milano disponiamo di una copiosa documentazione,proveniente dal PCI, costituita da tre tipi di fonti: una serie di relazioni di responsabili di settore, conservate nell’archivio del PCI, assai minuziose e dettagliate, dove — tuttavia -— sono assai scarsi i dati sulla consistenza numerica degli operai scioperanti. A queste segue quella serie di rapporti, citata alla nota n. 35, in cui vengono descritte le giornate conclusive dello sciopero nelle fabbriche di Milano e della zona gravitante sulla città. In quest’ultimo gruppo di relazioni, più che la parte descrittiva, prevalgono le considerazioni critiche, seguite, Il più delle volte, da note ed osservazioni firmate « Giu. ». Dal contesto, risulta che tale documento era stato redatto per essere inviato al Comitato federale di Milano. Ultimo, in linea logica e cronologica, è il cit. Rapporto conclusivo sugli insegnamenti dello sciopero ̂generale di Milano e provincia (1-8 mano 1944) firmato dal Comitato federale, in cui vengono esposte le considerazioni conclusive sullo sciopero, gli aspetti negativi e quelli positivi.Tutto questo materiale documentario, finora inedito, è servito da base per la stesura di quella ampia e dettagliata relazione della federazione milanese del PCI, il cui originale e conservato presso l ’archivio dellTstituto Giangiacomo Feltrinelli (cfr. nota n. 21). Relazione che — com’è noto — costituì la fonte quasi esclusiva per la stesura dell’articolo comparso su La Nostra Lotta (cfr. L. Longo, Sciopero generale in tutta l’Italia occupata cit., in Sulla via dell’insurrezione nazionale cit., pp. 131-161 e, per Milano e la Lombardia, le pp. 140-151 ); Ora — senza voler entrare in inutili confronti filologici e una volta stabilita l’esistenza di un « rapporto ascendente » fra questi tre tipi di documenti — risalta con una certa evidenza come, man mano che si passa dai primi documenti ai successivi, si viene verificando una perdita lenta e progressiva di ogni elemento di critica e di analisi sull’andamento e sull’im­postazione dello sciopero.37 Nel gruppo di documenti di cui alla nota n. 35, si veda in particolare — oltre il citato rapporto sul I I I settore — anche quelli su CGE, Rubinetterie, Borletti, Geloso, Moto­meccanica, Trafilerie e sulla «zona di Monza»; e anche la «relazione del compagno P. D. » in un gruppo di documenti di cui alla nota n. 100.38 Ci riferiamo, per tutti, al volume, di imminente pubblicazione, curato dal gruppo di studio dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia.

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sione del « manifestino » indirizzato agli operai, ai tecnici ed agli impiegati, cui si affiancano, ad un livello politicamente diverso, le Direttive per l’agitazione economica in corso y>.

Mentre dello sciopero il Partito comunista assume in pieno la paternità e la direzione, con l ’indicazione precisa e particolareggiata dei temi e degli obiettivi della lotta, nelle Direttive tende a proiettare questa lotta in un determinato quadro politico, di cui, nelle pagine precedenti, abbiamo cercato di definire le componenti di fondo. Nel sottolineare, difatti — con una fortissima impronta autocritica — la lentezza dell’apparato organizzativo, la cui iniziativa era stata di gran lunga superata dalla spinta operaia, viene messa in luce la necessità di dare alle lotte operaie una diversa, più ampia prospettiva politica, inserendole nella lotta di liberazione nazionale.

Dal 14 al 16 dicembre lo sciopero, estesosi a tutte le fabbriche della fascia industriale di Milano, si allarga a quelle della zona di Sesto, Monza, Legnano, Desio e Saranno: mentre l’apporto organizzativo e politico del PCI, nel primo giorno dell’agitazione, è chiaro ed inequivocabile, esso sembra, ora, essere limi­tato alle sole fabbriche della zona milanese, mentre i contatti organizzativi fra il centro e le zone periferiche sono interrotti (o, per lo meno, assai radi), per cui lo sciopero si sviluppa, in ognuna di quelle zone, in maniera autonoma e non sincronizzata,0. In ogni caso, la classe operaia risponde in maniera compatta all’iniziativa ed all’inserimento del partito nel movimento: va sottolineato, inol­tre, come in alcune fabbriche agli operai si siano uniti gli impiegati39 40 41. Le richie­ste che vengono presentate dalle delegazioni — di queste abbiamo già messo in luce la natura ed il carattere — sono abbastanza omogenee e riflettono una sostanziale concordanza con le rivendicazioni indicate nel « manifestino » del 13 dicembre. Unico punto oscuro — e comunque difficilmente definibile — è se il PCI, nell’assumere la direzione, e non l ’iniziativa, dello sciopero, si sia « impadronito » di rivendicazioni proprie della classe operaia, col dare ad esse una formulazione ed un inquadramento tattico, senza peraltro avere avuto la possibilità di stabilire dei contatti e dei rapporti approfonditi con la fabbrica. Ad un nucleo, che resta generalmente costante ed immutato, di rivendicazioni strettamente « salariali », si accompagnano, in alcune fabbriche (non moltis­sime e non tutte) anche quelle che — per usare una terminologia del tempo, coniata dallo stesso Partito comunista — si possono definire più prettamente

39 Su cui cfr. nota n. 29. Il manifestino, datato 13 dicembre, indicava agli operai in lotta queste rivendicazioni: aumento dei salari e delle razioni, raddoppio delle distribuzioni; sospensione dei licenziamenti, liberazione degli ex membri delle commissioni interne e di tutti gli operai che erano stati arrestati. Infine si insisteva sulla necessità di una trattativa diretta con gli industriali. Su tutto l ’andamento dello sciopero, si veda Una settimana di sciopero a Milano, cit.40 Ci riferiamo ai dati ricavabili da due gruppi di documenti, di cui il primo inizia con il cit. Rapporto sugli scioperi di Milano del 13 dicembre 1943 e l ’altro con la cit. relazione sullo stabilimento Borletti (firmata «A ch ille») del 15 dicembre 1943: in APCI, «L om ­bardia 1943 », cit., fase. « Milano 1943 », cit.41 Nel gruppo di relazioni, citate alla nota precedente, si veda la Relazione stabilimento Alfa Romeo (Melzo), « Milano, 14 dicembre 1943 ». Cfr. anche una lettera del personale della Magneti Marelli alla prefettura di Milano, del 13 dicembre 1943, in ACS, Segret. part, duce, cart, ris., fase. 92, s. fase. 4.

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« politiche », cioè la liberazione degli operai arrestati, l ’incolumità dei membri delle commissioni interne, l’espulsione dei fascisti e degli squadristi dalle fab­briche.

Naturalmente le rivendicazioni più articolate e complete vengono presentate nelle fabbriche di punta, dove si registra al tempo stesso un più alto livello organizzativo e politico della classe operaia, cioè alla Breda, Caproni, Marelli, Pirelli e Innocenti, cui va unita anche l ’Alfa Romeo; ove tuttavia — a causa delle repressioni del periodo immediatamente posteriore all’armistizio — l ’orga­nizzazione del PCI era quasi inesistente (è il caso di ipotizzare, quindi, una organizzazione autonoma degli operai?)42.

La reazione dei dirigenti industriali non assume ancora dei connotati ben definiti, o per lo meno non può essere ricondotta ad una linea comune di atteggiamento: la maggior parte di essi si limita a prendere atto delle agitazioni e delle richieste operaie, salvo poi a passare dalle concessioni agli arresti, mentre già comincia a farsi sentire l’intervento tedesco, che si fa sempre più pesante43.

Del 15 dicembre, poi, è un comunicato dell’Unione industriali della provincia di Milano, in cui viene annunciata la decisione di « rivedere l ’accordo salariale per i lavoratori dell’industria della provincia di Milano in modo da consolidare e migliorare l ’accordo del 23 novembre 1943 », garantendo al tempo stesso la concessione dei miglioramenti alimentari richiesti, a condizione che lo sciopero cessi il giorno successivo. A questo comunicato — diffuso dalla stampa ufficiale — ne seguiranno altri in cui, accanto ad inviti di tipo paternalistico e demagogico « [...] a cooperare con un ordinario fervore produttivo che non patisce rallenta­menti o abulie » 44, si colgono i segni tangibili di un aspetto della linea politica della repubblica di Salò, come pure della complessa realtà con cui tale politica doveva fare i conti.

Da un lato, il tentativo — codificato nel manifesto finale del congresso di Ve­rona 45 — di fare perno proprio sul proletariato industriale, quale punto di forza della politica del governo fantoccio. Tentativo, si badi bene, che rispondeva perfettamente sia agli interessi puramente demagogici del neo-fascismo della repubblica di Salò, sia a quelli dell’economia di guerra del Reich, tesa al mas­simo sfruttamento e potenziamento della produzione industriale dell’Italia occu­pata. In questo senso, la conclusione degli scioperi del novembre — con la

42 Breda n. 4. « Milano, 14 dicembre 1943 » ; Caproni. Desiderata degli operai raccolte nei vari reparti durante la sospensione del lavoro iniziatasi alle ore 20 del 14 dicembre. « Milano, 14 dicembre 1943 », f.ta « Giusto (settore Vittoria) »: sono conservati nel primo gruppo di documenti di cui alla nota n. 40.43 Oltre i citt. rapporti, generali e per singola fabbrica, sullo sciopero a Milano, si veda anche le Richieste della Pirelli di Milano, del 15 dicembre 1943, nel primo gruppo di docu­menti di cui alla nota n. 40. Di arresti si parla nelle fabbriche di Sesto, alla Breda, Olap, Falck, Marelli. Alla Osram, poi, lo sciopero era cessato per l ’intervento delle truppe tedesche; mentre anche alla Innocenti sono i tedeschi ad intimare con minacce la cessazione dello sciopero, e alla Pirelli si delinea una netta differenza fra l ’atteggiamento dei tedeschi e quello dei dirigenti locali.44 Fiducia e comprensione, nel Corriere della sera del 17 dicembre 1943. Il testo del comunicato fu pubblicato nel numero del 15 dicembre 1943.45 Sul congresso di Verona, cfr. per tutti, F. Deakin, Storia della repubblica di Salò, Torino, 1963, pp. 613-621.

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rapida concessione dell’aumento del 30 per cento — oltre che un sintomo della forza della classe operaia, era stato anche chiaro segno della volontà politica della gerarchia di Salò di arginare la protesta operaia. Ma l ’aumento del 30 per cento era stato assorbito dall’aumento dei prezzi: e, nelle riunioni che ora, durante gli scioperi milanesi del dicembre, si svolgono fra il commissario del lavoro, Marchiandi, il generale tedesco Zimmermann, i rappresentanti dei sin­dacati fascisti e dell’Unione industriali46 47, emerge chiaramente la decisione di rinviare ogni soluzione di vertenze salariali a quando sarà data una soluzione al problema dei prezzi. D ’altra parte, l ’istituzione, con decreto del 6 dicembre 1943, del Commissariato dei prezzi era uno dei primi segni di quale dovesse essere — in pieno accordo con i tedeschi — la politica finanziaria della neo­repubblica. Ma, in questo momento, siamo ancora alle prime battute di una poli­tica con cui — passando attraverso la socializzazione — sia Angelo Tarchi, ministro della produzione industriale, che Carlo Fabrizi, commissario dei prezzi, cercheranno di dare una soluzione tecnicamente e programmaticamente più ade­guata ai problemi economici del momento. È possibile, in questo momento, co­gliere questi primi segni nei colloqui ffa Zimmermann e Buffarmi, nell’incontro— che avverrà dopo la conclusione degli scioperi — fra il ministro Tarchi e i generali tedeschi. È bene, comunque, non sopravvalutare l’entità di tali interventi che — per quanto riguarda i primi due episodi — ebbero un carattere prevalen­temente formale. D ’altra parte, era stata cura principale del comando tedesco— sia per ragioni demagogiche che per opportunità politica — bloccare ogni eventuale reazione da parte degli organismi « repubblichini », e in particolare della guardia nazionale repubblicana, cui era affidato il mantenimento dell’ordine pubblico 4!.

Fra il 17 ed il 18 dicembre lo sciopero entra nella sua fase decrescente48: nelle fabbriche più grosse e politicamente più importanti, difatti, gli operai trattano la cessazione dello sciopero, ponendo le loro condizioni ed avanzando le loro richieste esclusivamente ai tedeschi: così all’Alfa Romeo (dove il lavoro è ripreso10 stesso giorno 17, cioè immediatamente dopo le concessioni dei tedeschi), alla Breda ed alla Innocenti.

In questi giorni, l ’inserimento definitivo dei tedeschi nella dinamica delle forze in gioco diviene ormai un fatto compiuto; come pure, diviene abbastanza chiaro11 loro atteggiamento — che, a dire il vero, aveva facile gioco — teso ad emar­ginare completamente i fascisti, atteggiamento già resosi evidente nelle prece­

46 Cfr. La revisione dei salari e degli stipendi. L ’accordo raggiunto per la provincia di Milano, nel Corriere della sera del 17 dicembre 1943.47 Relazione dell’ispettore della II I zona, console Gianni Pollini, al comando generale della GNR, del 18 dicembre 1943, in ACS, Guardia nazionale repubblicana, fase. « Milano » (b. 37).48 Nella sola Milano, difatti, lo sciopero prosegue in 14 fabbriche, mentre sei fabbriche, che il giorno successivo diventeranno nove, riprendono a lavorare. Si vedano in proposito i rap­portai sulle singole fabbriche nel secondo gruppo di documenti di cui alla nota n. 40; e quelli, raccolti in altri gruppi di documenti (sempre in APCI, fase, cit.): di questi, il primo reca in testa la data del 18 dicembre 1943; il secondo, la data Milano 20 dicembre 1943 e il terzo quella del 31 dicembre 1943. Cfr. anche fon. del capo della provincia di Milano alla direzione generale di PS, del 18 dicembre 1943, ore 22, in ACS, AGR (1903-49), ctg. C2, b. 35, fase. « Milano. Incidenti ».

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denti trattative con gli operai della Pirelli e ormai chiaro negli accordi definitivi stipulati con gli operai della Breda.

L ’incontro, che è del 17 dicembre, fra il generale Zimmermann, gli industriali milanesi, il capo della provincia e il commissario del lavoro Marchiandi, sembra riflettere, con pregnante evidenza, tutti gli elementi di fondo della situazione milanese. È assai singolare, innanzitutto, come in tutti i resoconti di tale incontro gli industriali restino come un elemento nello sfondo, quasi a significare quello che, in quel momento, si poteva definire il loro atteggiamento, cioè di ambigua adesione ad un governo ombra. D ’altra parte, il deciso atteggiamento del gene­rale tedesco non riflette altro che una precisa volontà politica: agli industriali viene imposto di far cessare immediatamente lo sciopero, dietro la minaccia di misure repressive sia nei loro confronti, sia verso gli operai. Questi, se avessero continuato a scioperare, sarebbero stati sospesi dal lavoro fino al 3 gennaio suc­cessivo ed avrebbero perduto contemporaneamente ogni diritto ai salari, alle indennità ed ogni altra competenza49 50.

Il 20 dicembre lo sciopero è ormai concluso: la ripresa del lavoro in quasi tutte le fabbriche avviene dopo la conclusione di accordi stipulati prevalentemente con il comando tedesco 'In quest’ultima fase la federazione milanese del Partito comunista si inserisce in maniera tempestiva quanto opportuna. La decisione, squisitamente politica, di proclamare la cessazione dello sciopero è provocata da una precisa situazione di fatto: innanzitutto, un sondaggio di opinioni fra gli operai ha messo in luce una « tendenza alla ripresa del lavoro ». D ’altra parte, il deciso ed intimidatorio atteggiamento tedesco e la mancanza di forze a dispo­sizione facevano prevedere che lo sciopero, trasformandosi in uno scontro armato, si sarebbe risolto in una gravissima sconfitta51.

Su questa conclusione dello sciopero, tuttavia, il fattore determinante non è stato l’iniziativa del partito, quanto l ’atteggiamento ed il comportamento dei tedeschi, dimostratisi — alla luce dei fatti — l ’unico interlocutore valido degli operai.

La loro politica di inserimento, difatti, iniziata fin dal primo giorno dello scio­pero, si sviluppa sul piano delle trattative, delle concessioni e degli accordi con gli operai, accompagnandosi alla repressione, alle minacce ed alle intimidazioni. La sostanza delle trattative e degli accordi, iniziati alla Pirelli, e proseguiti poi all’Alfa Romeo, alla Breda ed in altre fabbriche minori, è la medesima: vengono soddisfatte le richieste operaie soprattutto sul piano alimentare, mentre il pro­

49 Lettera di Guido Buffarmi Guidi a Mussolini, del 18 dicembre 1943; appunto di una tele­fonata del capo della provincia di Milano, del 17 dicembre 1943, ore 23,20, in ACS, Segret. part, duce, cart, ris., fase. 92, s. fase. 4. Copia dell ’Ordine dato dal generale Zimmermann agli industriali milanesi convocati il 17 dicembre alle ore 19 all’albergo Principe di Savoia, nel secondo gruppo di documenti di cui alla nota n. 40.50 Cfr. in particolare, le relazioni sull’Alfa Romeo, sulla Montecatini, Restelli, Broggi, Zerbinati e Galileo-Algera, nel penultimo gruppo di documenti citati alla nota n. 48.51 'Cfr. Una settimana di sciopero a Milano, cit.: le direttive della federazione milanese del PCI incontrarono una particolare resistenza alla Caproni, Restelli e Trafilerie: così dalle relazioni, del 31 dicembre 1943, nell’ultimo e terzultimo gruppo di documenti, di cui alla nota n. 48.

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blema finanziario degli aumenti delle paghe resta sospeso, e ufficialmente riman­dato a « future disposizioni di legge » 5\

D ’altra parte, la classe operaia ha accettato la trattativa con i tedeschi, ed ha sottoscritto gli accordi conclusivi.

Già abbiamo sottolineato questa divergenza — di ordine politico — con la direttiva del Partito comunista di non trattare con i tedeschi e con i fascisti. Direttiva che poggiava su una ipotesi ed una prospettiva politica di fondo, imper­niata su alcuni elementi nodali: da un lato, il legame fra la lotta operaia, lo scio­pero e la guerra contro i nazifascisti; dall’altro il coordinamento fra la lott^ dell’operaio in fabbrica e quella del partigiano nelle montagne e nelle città.

Le ragioni della divergenza fra la classe ed il partito su questo punto sono com­plesse, e — a nostro avviso — non riconducibili esclusivamente, come si sotto- linea a- più riprese nei documenti del partito, alla scarsa maturazione e prepara­zione politica della classe.

L ’esiguità organizzativa e numerica dell’organizzazione partitica, la fase ancora incerta della lotta resistenziale, il momento, ancora non ben definito, dello sviluppo del conflitto mondiale sono tutti elementi di cui va tenuto conto nel­l ’analisi dell’atteggiamento degli operai: impegnati in una lotta che era la loro lotta, in cui prevale la spinta economica, essi non possono fare altro che trattare con il vero antagonista, con chi, in realtà, in quel momento, detiene le leve del potere economico, cioè con i tedeschi.

Nei documenti del partito, inoltre, si insiste anche sul mancato collegamento fra gli scioperi e la lotta armata: difatti, ad eccezione di due grossi episodi — l’uccisione di un pilota collaudatore della Breda e quella di Aldo Resega52 53 — ci troviamo di fronte, nel Milanese, ad azioni rare e sporadiche.

E appena il caso di sottolineare le ragioni di fondo che determinano la situazione del dicembre 1943: ragioni di indole politica e organizzativa non solo, ma intrin­seche alla natura stessa della guerriglia di città, ed alle difficoltà di formare e mantenere in piedi le formazioni dei GAP.

52 Si vedano le relazioni sugli scioperi in queste fabbriche nei gruppi di documenti di cui alla nota n. 40.53 Si vedano, su ciò, telegramma e fonogramma del capo della provincia di Milano alla direzione generale di PS del 18 dicembre 1943, rispettivamente alle ore 13 e alle ore 22, in ACS, AGR (1903-49), ctg. C2, b. 35, fase. «M ilano. Incidenti». Per Resega, inoltre, l’appunto di Guido Buffarmi Guidi a Mussolini, del 19 dicembre 1943, sempre in ACS, Segret. part, duce, cart, ris., fase. 92, s. fase. 7; rei. del questore di Milano alla direzione generale di PS, del 31 dicembre 1943, in AGR (1903-49) cit., ctg. cit., b. 4, fase. «M ilano. Situa­zione politica della provincia ». Sulle prime formazioni a Milano, e sulle loro azioni, si veda I. Busetto, Brigate Garibaldi, Milano, s. d., pp. 34-74; F. Scotti, La nascita delle forma­zioni, in La resistenza in Lombardia, Milano, 1965, pp. 62-80. I dati riportati da Busetto sulle azioni dei gappisti, coincidono generalmente con quelli delle fonti fasciste: si vedano in proposito, una serie di rapporti del capo della provincia di Milano, del capo della divi­sione polizia di frontiera, del questore di Milano/ dei carabinieri di Monza alla direzione generale di PS dall’l l ottobre al 31 dicembre 1943, in ACR, AGR (1903-49) cit., ctg. cit., b. 35, fase. « Milano. Incidenti » cit.Sulle azioni dei GAP durante lo sciopero si ha un vago accenno in Una settimana di sciopero a Milano, cit.

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Continuità di lotta: gli scioperi di gennaio

La ripresa, sia pure sporadica, delle agitazioni in alcune fabbriche milanesi nei giorni successivi alla conclusione dello sciopero 54 potrebbe costituire già di per sé un primo elemento di valutazione dei risultati concreti dello sciopero di dicembre. Elemento che acquista maggior peso, se si considera che tali agita­zioni continueranno, nella prima settimana di gennaio, nelle fabbriche di Milano, Sesto, Legnano, Monza e San Vittore Olona; particolarmente acuta sembra la situazione di Legnano, ove si rende necessario l ’intervento dei tedeschi e di Zimmermann. Agitazioni analoghe si verificano in altre zone della Lombardia, a Vigevano, il 4 gennaio, ed a Varese, il 7. Le richieste operaie sono univoche, e vertono — come a dicembre — su aumenti salariali e delle razioni alimentari. Generalmente, di fronte a questa nuova andata di agitazioni — il cui perno sono la Caproni e la Montecatini — i dirigenti industriali tendono a rimandare ogni concessione alle decisioni del comando tedesco, mentre si verifica l ’inter­vento immediato delle autorità fasciste a Milano e dei tedeschi nella zona in­torno alla città 55.In questi scioperi, che non si estendono a tutta la fascia industriale di Milano e che cessano fra l’8 e il 10 gennaio56 57, più che « il riflesso della grande ondata di scioperi di Torino, Milano e Genova » ” , a noi sembra che possano essere individuati un diverso significato ed una spinta più reale all’agitazione. La siste­matica ripetizione delle rivendicazioni avanzate durante lo sciopero di dicembre, costituisce già un primo indizio di una costante situazione di crisi economica:

54 Oltre i citt. rapportini sulla Broggi, Caproni e Restelli, si veda Breda, « 31 dicembre 1943 » nel terzo dei gruppi di documenti di cui alla nota n. 48; fonn. del prefetto e del questore di Milano alla direzione generale di PS, del 29 dicembre 1943, rispettivamente delle ore 10 e 22,30, in ACS, AGR (1903-49), ctg. C2, b. 35, fase. «M ilano. Incidenti».55 Fonogramma del capo della provincia di Milano, Oscar Uccelli, alla direzione generale di PS, del 31 dicembre 1943; telegramma dello stesso alla stessa, ore 19,10; appunto del segretario particolare del duce a Mussolini, del 5 gennaio 1944, in ACS, Segret. part, duce, cart, ris., fase. 92, s. fase. 4. Notiziari del comando generale della Guardia nazionale re­pubblicana, del 15, 16 genn., 12 febb. 1944, ivi, fase. 650, s. fase. 8: secondo queste fonti il numero degli scioperanti era, il 3 gennaio, di 8.400 operai a Milano (alla Caproni, Ra- daelli, Tecnomasio, Pracchi), 270 a Sesto (Acciaierie elettriche, Società carburatori); a Le­gnano 215 (Fonderia Giudici e Fonderia Raimondi), a San Vittore Olona 560 (Calzaturificio Gualtiero e Calzaturificio Quattrini). Alla Tosi di Legnano gli operai tentarono di gettare in un forno acceso il condirettore rag. Stegagnini; dopo l’intervento dei carabinieri e del gen. Zimmermann furono arrestati 69 operai, di cui sei facevano parte della commissione di fabbrica.56 Oltre i documenti citati alla nota precedente, si vedano anche le relazioni sulle fabbriche Brown Boveri, Caproni, Vanzetti, Smalterie italiane, nell’ultimo gruppo di documenti, di cui alla nota n. 48; e, inoltre, sulle Trafilerie e sulla Montecatini di Linate, in un altro gruppo di documenti (in APCI, « Lombardia 1944 », fase. « Milano 1944 »), di cui la prima porta la data del 27 gennaio 1944.57 Così L. L ongo, Nuova ondata di scioperi, in La Nostra Lotta, a. II , n. 3, febbraio 1944, ora in Id., Sulla via dell'insurrezione nazionale, cit., p. 125: in realtà, per quanto riguarda la Lombardia, si parla di scioperi « totalitari » a Varese ed a Sesto Calende, nei centri dell’in­dustria tessile comasca, nelle fabbriche delle zone agricole della Valle Padana: di ciò, a quanto ci risulta, non resta traccia nei documenti dell’archivio del PCI. Non una parola, nell’arti­colo citato, sugli scioperi di Milano, che pure furono oggetto di dettagliate relazioni. Si veda E. Collotti, L ’amministrazione tedesca dell’Italia occupata, Milano, 1963, pp. 194-195: nei primi giorni del 1944 si contavano 30-35 mila scioperanti. Un accenno, se pur vago ed indi­retto a queste agitazioni, sembra potersi cogliere in Guerra nelle fabbriche, in Avanti!, ed. milanese del 17 gennaio 1944.

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nelle richieste e nell’atteggiamento operaio, tuttavia, è possibile cogliere degli elementi nuovi, diversi dal dicembre precedente. Mentre si sorvola sull’aumento delle razioni alimentari (il comando tedesco aveva difatti concesso, per i mesi di dicembre 1943 e gennaio 1944, delle razioni supplementari58) si insiste in ma­niera particolare sul problema dei salari, dei cottimi e dei premi; Inoltre, in questa fase di lotte operaie — certamente meno estese delle altre — il partito è quasi completamente assente, sì da avvalorare l’ipotesi di un momento di stasi, di riflusso organizzativo e politico.

Nelle fonti documentarie è possibile cogliere, in maniera abbastanza chiara, i segni di un diffuso malcontento nelle masse operaie, e il concentrarsi delle riven­dicazioni su temi e problemi economico-salariali, mentre le parole d ’ordine del PCI — quelle più direttamente attinenti alla lotta politica — vengono decisa­mente tagliate fuori; dall’altro, nei quadri intermedi dell’organizzazione comuni­sta, si nota un senso di sbandamento per mancanza di direttive dall’alto, unito, nei più, al tentativo di una maggiore efficienza sul piano organizzativo e politico59 60 61. La repressione dello sciopero è ora dura ed immediata, sia da parte dei tedeschi, che da parte degli industriali “ , che sembrano aver adottato, in questa fase, una linea comune di atteggiamento: mentre si assiste all’invio di impianti e di mate­riale in Germania, da parte dei dirigenti italiani della Montecatini e della Pirelli “ , i tedeschi emanano precise disposizioni di repressione e prevenzione di ogni tentativo di sciopero, di manifestazione o di propaganda antifascista62.

Nell’inverno 1943-1944, le fabbriche della zona di Legnano condussero l ’agita­zione in maniera autonoma, e non coordinata con l’andamento generale dello sciopero.Pochi sono i dati, ma abbastanza significativi: all’inizio dello sciopero di dicem­bre i contatti organizzativi con la zona di Legnano sono inesistenti: solo più tardi si riesce a diffondere un manifesto del comitato sindacale (che porta la data

58 Cfr. minuta di lettera del capo della provincia di Milano, Piero Parini, al comando militare tedesco, dell’8 febbraio 1944, in ACS, P.F.R., Federazione di Milano, fase. « Sepral e Ministero Agricoltura e foreste » (b. 5).59 Nelle relazioni degli attivisti della federazione milanese del PCI, di cui alla nota n. 56, non si possono desumere elementi che provino Pinserimento organizzativo del PCI, quanto piuttosto vi si coglie la pura registrazione dei fatti. D ’altra parte, nella citata relazione sulla Vanzetti, del 4 gennaio 1944, è detto esplicitamente che « [...] Questo sciopero come del resto le altre manifestazioni si sono prodotti su moto spontaneo ». Si veda anche, in pro­posito, una relazione quindicinale sul settore di Porta Romana (ivi).60 Cfr. le relazioni sull’Alfa Romeo di Melzo e sulla Olap, rispettivamente nei gruppi di documenti di cui alla nota n. 48 e n. 56.61 Relazione sull’attività di alcuni proprietari e direttori di ditte. « Milano, 15 dicembre 1944 », nel gruppo di documenti di cui alla nota n. 56. Si dispone di dati troppo generici e frammentari per poter valutare l ’esatta entità delle asportazioni di materiali ed impianti da parte dei tedeschi, non solo da Milano, ma da tutti i centri industriali dell’Italia occupata. A tale lacuna non hanno finora supplito i dati forniti dalle fonti tedesche e italiane — fa­sciste e non — ad eccezione di un solo fondo — quello del ministero dell’Industria e Com­mercio, divisione XI bis, Ufficio stralcio, Restituzione beni asportati dai tedeschi durante la guerra 1940-45 (1943-52) — i cui dati richiedono, in ogni caso, una attenta valutazione e verifica.62 È del 4 gennaio 1944, difatti, la circolare in lingua italiana, inviata dal rappresentante di Speer, Leyers, « a tutti gli stabilimenti protetti », riprodotta in E. Collotti, L ’ammini­strazione tedesca, cit., pp. 196-197.

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del 17 dicembre); e solo il 29 dicembre, infine, entrano in sciopero gli operai della fabbrica più grossa e più importante, la Tosi “ . Durante le agitazioni di gen­naio, poi — agitazioni caratterizzate, come abbiamo sottolineato, da una for­tissima spinta operaia e dall’assenza del partito — sempre alla Tosi la situa­zione diviene particolarmente tesa.

All’appello per la mobilitazione nello sciopero del marzo 1944, la zona di Le­gnano non risponde: perché? « Qui però » — ammette la federazione milanese del PCI — « noi non disponiamo di nessun elemento nostro, perciò l ’agitazione avrebbe dovuto essere preparata dall’organizzazione dissidente; cosa che fu fatta con molto ritardo e poco accuratamente, tanto che nonostante l’abbondante impiego di materiale fatto all’ultimo momento non è stato ottenuto nulla; né durante il primo né durante il secondo giorno » M. La zona di Legnano, difatti, era controllata da una forte e compatta organizzazione di dissidenti, che pubbli­cava un proprio giornale, Il Lavoratore, cui si accompagnarono — nell’ultimo suo periodo di attività -—- anche i « Quaderni » del Lavoratore, in cui venivano ripresi, approfonditi ed ampliati gli argomenti di analisi e di discussione presen­tati nel giornale63 * 65 66.

Il gruppo di Legnano — i cui dirigenti venivano chiamati, nella clandestinità, Mario, Rossi e Landi (si trattava di Bruno Fortichiari e dei fratelli Venegoni) — era formato da vecchi militanti comunisti, i quali durante il periodo fascista ave­vano mantenuto in vita, nella zona, una struttura organizzativa abbastanza solida.

Alla ripresa dei contatti fra le varie forze politiche dell’antifascismo di sinistra, alla caduta del fascismo (ma è presumibile che altri contatti ci fossero stati durante gli scioperi del marzo 1943) cominciarono ad emergere discordanze e dissensi, che trovarono la loro espressione formale ed ufficiale in due docu­menti: la Lettera aperta alla direzione del Partito comunista italiano e la risposta di Pietro Secchia “ .

Attraverso gli articoli pubblicati in II Lavoratore, i legnanesi ammettono la

63 Copia del manifesto del comitato sindacale è conservata in APCI. Sulle agitazioni si vedano fonogrammi del prefetto e del questore di Milano alla direzione generale di PS, del 29 dicembre 1943, rispettivamente delle ore 10 e 22,30, in ACS, AGR (1903-49), ctg. C2, b. 35, fase. «Milano. Incidenti ». Anche il 31 dicembre gli operai della Tosi (circa in 300) sono in sciopero: cfr. fonogramma del prefetto di Milano alla direzione generale di PS, del 31 dicembre 1943, a. ore 18,40, ibid.., Segret. part, duce, cart, ris., fase. 92, s. fase. 4, cit. Da altre fonti risulterebbe che già il 16 dicembre la Tosi avesse scioperato « [...] Attraverso ad un collegamento nuovo si è fatto pervenire materiale alle officine Tosi di Legnano che hanno immediatamente seguito l’esempio degli operai milanesi », da un rapportino del 16 dicembre 1943, f.to « Zona del 2° settore. Medici », nel secondo gruppo di documenti di cui alla nota n. 40.6* Sciopero 1944, cit., in Rinascita del 7 marzo 1964. Cfr. anche la relazione su Legnano in un gruppo di rapportini intitolati Relazioni sullo sciopero, « Milano, 2 marzo 1944 », in APCI, fase. « Milano 1944 » cit.65 È appena il caso di sottolineare come la situazione legnanese non fosse un caso del tutto isolato: ad essa corrispondevano analoghe situazioni in altri centri dell’Italia del nord (Torino) e dellTtalia centro-meridionale.66 Sotto il titolo Smascheriamo i nemici del partito della classe lavoratrice, in La Nostra Lotta dell’aprile 1944, a. II , n. 7-8. La prima parte della Lettera aperta fu pubblicata ne Il Lavoratore del 1° maggio 1944; il seguito nel numero del giugno 1944. Per i contatti con la federazione milanese del PCI, cfr. Una settimana di sciopero a Milano, cit.

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loro adesione alla strategia politica del Partito comunista — che essi riconoscono come il partito del proletariato67 — e alla impostazione stessa della lotta contro i tedeschi e contro i fascisti68 *. Ma questa adesione politica ed ideologica (che sembra aver sofferto dei cedimenti durante i 45 giorni) viene a cadere di fronte al problema della concezione del partito e della sua funzione.

La situazione che si è venuta a determinare in Italia dopo la caduta del fascismo — così suona la lettera ufficiale del gruppo di Legnano — e la successiva occu­pazione tedesca hanno mostrato « l ’acutizzarsi dei contrasti di classe che por­teranno a grandi conflitti sociali »; « si fa più urgente » — prosegue la lettera — « il problema di adeguare la struttura e la politica del partito in vista dei gravi compiti che lo attendono [...] ». Nel partito, difatti, durante il lungo periodo della dittatura fascista non è stata possibile alcuna discussione sulle prospettive politiche, la tattica e la strategia. Le difficoltà della vita clandestina, poi, hanno rarefatto la vita politica della base, mentre tutto il lavoro politico era affidato ai pochissimi uomini rimasti al centro. Di conseguenza, i collegamenti erano limitati alla trasmissione meccanica di parole d’ordine, che venivano recepite dalla base quando ormai erano svuotate del loro significato originario ed erano quindi divenute quasi oscure ed incomprensibili; tutto ciò veniva a provocare oltre alla passività dei militanti di base, la « troppo facile applicazione di sanzioni discipli­nari contro compagni ottimi che si erano permessi di esprimere un parere con­trastante con le direttive dettate dal centro ».

Il documento del gruppo di Legnano conclude — richiamandosi ad una generica concezione leninista del partito — chiedendo che all’interno del PCI si sviluppi un dibattito che consenta a tutti i militanti la possibilità di decidere della tattica e della strategia del partito, soprattuto nel delicato periodo storico che esso sta affrontando, e che vengano riammessi gli espulsi che desiderano rientrare w.

Durissima fu la risposta della direzione del partito, per la penna di Pietro Secchia: in essa i legnanesi vengono definiti innanzitutto « rottami del sinistrismo putrido e [...] canaglie trotschiste [...] nemici del partito, i traditori della classe operaia [...] », mentre il loro giornale « dev’essere considerato un giornale della controrivoluzione. Esso è l ’organo di una decina d ’individui incarogniti dall’odio contro il partito ed i suoi dirigenti ».

Il marchio di « indegnità politica » e di « tradimento » viene dato, formalmente, in nome proprio del concetto leninista « della più completa omogeneità ideolo­gica, politica ed organizzativa », garanzia dell’unità contro il frazionismo, quel « vecchio frazionismo, da anni battuto e liquidato ed i cui rottami sono finiti nella melma della controrivoluzione e della provocazione poliziesca » 70.

Mentre i termini della risposta del PCI riproducono posizioni « storiche » del

67 Cfr. I nemici sono sempre quelli, ne II Lavoratore del 4 febbraio 1944.68 Cfr., nel numero de II Lavoratore del novembre 1943, Il lupo si traveste d ’agnello, e Commissioni interne e comitati segreti di fabbrica.65 Dalla Lettera aperta, cit. alla nota n. 66.70 Così nel documento della direzione del PCI, datato 22 maggio 1944, e pubblicato in La Nostra Lotta, cit. alla nota n. 66.

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partito, assunte verso ogni movimento di carattere « eretico » — quale, ad esempio, il bordighismo o il neo-trotschismo — nella posizione del gruppo dei legnanesi, più che un dissenso fortemente ideologizzato, è possibile ravvisare una concezione politica cristallizzatasi nel tempo — soprattutto, o quasi esclusiva- miente, a causa delle difficoltà di contatti imposta dall’attività clandestina — al punto da sembrare ferma a teorizzazioni anteriori, che non riflettevano gli svi­luppi che, soprattutto dopo il VII Congresso, aveva subito la politica della Internazionale.Nell’ultimo numero del Lavoratore, del 20 luglio 1944, all’analisi delle ragioni « storiche » che sono alla radice della nascita delle organizzazioni a sinistra del PCI, si accompagna l ’allineamento sulle posizioni di quest’ultimo: « [...] l’ec­cessivo sminuzzamento di tutti questi movimenti » — dichiara ufficialmente il gruppo di Legnano — « rappresenta un altro elemento di debolezza del proleta­riato ed offre un’ottima possibilità di manovre alla reazione nazifascista per imbrogliare le carte e seminare fra le masse la confusione e la discordia ». L ’unità del proletariato si raggiunge solo stringendo le fila intorno al PCI; la critica e l’opposizione, in questo momento, si risolverebbero in un’attività sterile e dannosa, « una pedina nelle mani delle cricche reazionarie ». Per questa ragione, II Lavoratore cessa le pubblicazioni71.

Organizzativamente più esiguo del gruppo del Lavoratore, a quanto sembra, ma in una posizione ideologica e politica fortemente caratterizzata in senso rivoluzionario, e, in ogni caso ben diversa dai primi — che nel PCI avevano riconosciuto la guida del proletariato — era il Partito comunista internazio­nalista, che aveva anch’esso un proprio organo di stampa, Il Prometeo, clan­destino.

Scarsi sono i dati, ma non altrettanto scarsa la tematica, come pure difficil­mente valutabile — sia pure a livello minimo — l ’incidenza concreta del Partito comunista internazionalista nelle lotte operaie delPinverno-primavera del 1943-44.

Lontane le radici del suo nascere e del suo farsi: prima, ala sinistra del Par­tito comunista d’Italia, « portavoce della sinistra italiana » all’interno di quel partito; poi, organo della frazione di sinistra del PCd’I, costituitasi a Pantin nel 1928, per continuare, dall’esterno, un’opera di elaborazione ideologica, il Partito comunista internazionalista si presenta, attraverso le colonne del Prometeo, già costituito nel novembre 1943 72. Attivo soprattutto a Milano ed a Torino, esso volle portare avanti — durante il periodo della guerra di liberazione — la lotta contro la guerra, considerata come l ’espressione mas­sima della crisi borghese, e quale supremo tentativo di difesa del capitalismo73.

71 Vedi l ’articolo Unità proletaria nel glorioso Partito comunista italiano.72 Per una sintesi, si veda —- oltre che La guerra e la sua natura nel Prometeo del 1° no­vembre 1943 — soprattutto II proletariato e la seconda guerra mondiale, da Battaglia co­munista, novembre 1947-febbraio 1948, ora in « Quaderni internazionalisti », n. 1, L ’impe­rialismo e la guerra, pp. 17-42.73 Si veda, in particolare, La guerra vista da noi, nel Prometeo del 1° dicembre 1943, ora in « Quaderni internazionalisti », n. 1, cit., pp. 45-47. Per Torino, cfr. R. Luraghi, op. cit., pp. 25-26 e 204.

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Sulla base di un atteggiamento di rivoluzionarismo intransigente, gli interna­zionalisti si rivolsero alla classe operaia, per un’azione di « chiarificazione ideo­logica » che si rivelò, in realtà, assai povera di risultati concreti, stretta come era fra i due blocchi contrapposti, quello del Partito comunista e degli altri partiti antifascisti di sinistra da un lato, e quello del neo-fascismo dall’altro.

Già in occasione degli scioperi di Torino, gli internazionalisti avevano mo­strato la loro solidarietà con gli operai in sciopero, con un manifestino in cui, alle rivendicazioni economiche, si aggiungeva la lotta contro la guerra74. Ana­logo, l ’atteggiamento a Milano durante gli scioperi del dicembre 1943; analoga l ’impostazione del manifestino diretto agli operai milanesi in sciopero: contro le guerra fascista e contro la guerra « democratica » del Fronte nazionale dei sei partiti, il Partito comunista internazionalista invita a formare un « Fronte unico proletario ». Sempre sul Prometeo, infine, viene chiarita la posizione ideologica e politica nei confronti della guerra e della lotta armata75.

Nel clima della guerra di liberazione, nell’impostazione politica dell’unità di azione di tutte le forze politiche antifasciste ed antitedesche — unità di cui il PCI fu il primo autore ed a cui rimase fortemente aderente — ; nella pro­spettiva, che era ideologica e politica al tempo stesso, della guerra di libera­zione come guerra giusta, in contrapposizione alla guerra dell’esercito hitle­riano, che era la guerra dell’imperialismo e della plutocrazia fascista, questa posizione del Prometeo doveva essere avversata non solo dal fronte dei par­titi antifascisti, ma soprattutto dal Partito comunista.

E la voce di quest’ultimo non tardò a farsi sentire, denunciando il pericolo — soprattutto per gli operai — di una simile posizione, definita « capitolarda » ed « attesista », e bollando gli uomini del Prometeo — come di Bandiera rossa e di Stella rossa — col marchio di spie della Gestapo ed alleati della Germania.

« Non hanno forse i nazi-fascisti » — scriveva Secchia su La Nostra Lotta — « presentato la loro guerra come la guerra delle nazioni “proletarie” ? Non hanno forse, tanto in Italia i fascisti quanto in Germania i nazisti, presentato la loro guerra come la guerra contro la “ demoplutocrazia imperialista” ?, come la guerra per la conquista del pane, come la guerra dei poveri contro i ricchi? Non hanno forse i briganti tedeschi cercato di velare il loro terrorista e sanguinario regime imperialista con il binomio di nazionale-socialismo? Non si sono forse serviti, sin da parecchi anni fa, di tutte le correnti trotschiste, opportuniste e di sinistra dei vari paesi per condurre la loro lotta contro l ’Unione Sovietica e contro i partiti comunisti? Chi ha dimenticato i processi del 1936-38 di Mosca, i quali rivelarono al mondo il mostruoso connubio del trotschismo e del sinistrismo internazionale con i servizi della Germania e del Giappone [...] » 76.

Prometeo e II Lavoratore sono l ’espressione dei due fenomeni « storici » che

74 Cfr. il manifesto della federazione torinese nel Prometeo del 1° dicembre 1943.75 Cfr. il manifesto per gli scioperi di Milano e il documento del comitato centrale, per la formazione di un fronte unico proletario, rispettivamente nel Prometeo del gennaio e del 1° febbraio 1944.76 P. Secchia, Il sinistrismo maschera della Gestapo, in La Nostra Lotta, a. I, n. 6, dicem­bre 1943, poi in Id., I comunisti e l’insurrezione, Roma, 1954, pp. 55-66. Cfr. anche Id., Il Partito comunista, cit., pp. 171-173.

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hanno sempre accompagnato la vita del PCI; fenomeni che ancora oggi persi­stono — sotto altre forme — perché connaturati alla sua stessa struttura: dal dissenso « interno » all’opposizione di « sinistra », del massimalismo e del­l ’intransigenza proletaria.

Lo sciopero del marzo 1944: la preparazione

Gli scioperi del marzo 1944 in tutta l ’Italia settentrionale sono stati presentati, nei resoconti della stampa antifascista clandestina del tempo, e nella storio­grafia resistenziale, come un grosso fatto politico, verificatosi nell’Europa occu­pata dai nazisti, come la prova di forza fornita dall’opposizione antifascista e, in particolare, dal Partito comunista.

L ’analisi ricorrente nella storiografia resistenziale risale, nei suoi termini essen­ziali, a quella che venne compiuta, immediatamente dopo la conclusione dello sciopero, nella stampa clandestina, in particolare in quella del Partito comunista.

Ed è un’analisi che riflette correttamente gli elementi più macroscopici di quel fatto, ma che al tempo stesso ad essi resta circoscritta, senza tentare di mettere in luce altri elementi, altre motivazioni di fondo, da cui lo sciopero del marzo 1944 non risultasse soltanto un episodio della lotta resistenziale, ma fosse anche strettamente connesso con la realtà del movimento operaio, con gli obiet­tivi e le forme di lotta della classe operaia da un lato, e con quelli del PCI dall’altro.

È fuor di dubbio, infatti, che lo sciopero del marzo 1944 a Milano, come in tutta l’Italia settentrionale, fu una grossa mobilitazione operaia, decisa, organiz­zata e conclusa non tanto dagli organismi ufficiali della lotta antifascista ed an ti tedesca (Comitato segreto di agitazione e Comitato sindacale provinciale) con l ’appoggio « esterno » del CLNAI, quanto prevalentemente ed esclusiva- mente dal Partito comunista. È anche vero, comunque, — e qui potrà sorreg­gerci una più articolata analisi — che fra questo sciopero e quelli dell’inverno precedente esistono delle differenze profonde. Differenze che risalgono ad una serie di elementi di carattere interno ed esterno, ampiamente analizzati e de­scritti anche dalla più recente storiografia: e stanno, tali elementi di fondo, nella più forte spinta organizzativa del PCI, nella più ampia estensione del­l ’area dello sciopero, e nel più alto numero di scioperanti. Ma — a nostro avviso — non è stata finora esattamente valutata l’incidenza dei fattori di ordine internazionale, ivi compresa la valutazione che allora venne compiuta a tutti i livelli, dello sviluppo degli avvenimenti politici e militari, del collegamento fra l’avanzata dell’esercito alleato, e lo sviluppo della guerra di liberazione, delle azioni partigiane come degli scioperi. Tale elemento — che sarà determi­nante, se pur con effetti ed in momenti assai diversi, in tutto il periodo della Resistenza — in questa fase agisce su tutte le forze che concorsero alla prepa­razione ed allo svolgimento dello sciopero: esso agisce, da un lato, sulla deci­sione politica — che fu del PCI, ma cui aderirono anche i socialisti ed i demo- cristiani — di mobilitare la classe operaia; dall’altro determina l ’adesione totale, per lo meno in un primo momento, di quest’ultima, convinta di trovarsi nella fase decisiva della lotta antifascista ed antinazista.

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Le prove più dirette ed immediate di tale collusione tra fattori interni ed inter­nazionali si colgono nella stampa clandestina antifascista (ci riferiamo in par­ticolare a quella comunista e socialista), come pure nella documentazione — edita0 inedita, di provenienza comunista, fascista o tedesca — ove prevale la con­sapevolezza, più o meno dichiarata, dello stretto legame, quasi di interdipen­denza, fra l ’avanzata dell’esercito angloamericano e quella dell’Armata rossa, la conseguente catastrofe del colosso nazista e lo scatenamento dello sciopero generale.

Fra la conclusione delle agitazioni di gennaio e l’inizio dello sciopero di marzo intercorre un periodo di tempo abbastanza lungo, in cui il Partito comunista si impegna a fondo nel lavoro politico di organizzazione dello sciopero. Della lunga e laboriosa fase di preparazione sono noti gli aspetti organizzativi, come pure è stata ampiamente sottolineata — nella storiografia — la « lenta e gra­duale trasformazione », verificatasi proprio in quella fase, del carattere dello sciopero '7: ora, le cause di tale trasformazione non risiedono soltanto « nello stato d’animo e nel grado di esasperazione delle masse, e in parte anche di coloro che le dirigevano », ma prevalentemente in quei fattori d ’ordine inter­nazionale, nella sempre maggiore incertezza sugli sviluppi e sugli esiti imme­diati dell’azione militare alleata; incertezza che non mancò di riflettersi nel­l’azione degli organismi politici, e in particolare in quella del Partito comunista.1 pochi documenti ufficiali — che accompagnano la lunga e minuziosa prepa­razione — sembrano articolarsi per l’appunto in una prospettiva non del tutto lineare.

Nel primo proclama, firmato da quel fantomatico Comitato segreto d ’agitazione — che riprende, nella sostanza, i temi di un manifesto del Comitato sindacale di Milano e provincia7S, pur presentandoli in una forma più generica — viene chiaramente proposto il quadro internazionale, ed il legame fra questo e la lotta di liberazione: all’analisi della debolezza della compagine hitlero-fascista per le forti e ripetute sconfitte militari, segue un nucleo centrale di rivendica­zioni salariali ed alimentari, cui si accompagna l’invito a collegare l’azione ope­raia con quella dei partigiani e dei contadini, per la preparazione dello sciopero insurrezionale ” .

Insurrezione nazionale: questo motivo — che era ben più di una parola d’or­dine — era già comparso, con particolare vigore, nella stampa clandestina co­munista. In essa venivano compresi una serie di momenti, dalla guerra di libe­razione alla guerriglia armata, allo sciopero generale politico".

Successivamente, si erano aggiunte precise direttive politiche ed organizzative 77 78 79 80

77 E. Ragionieri, II Partito comunista, in Valiani, B ianchi; Ragionieri, Azionisti catto­lici e comunisti nella Resistenza, Milano, 1971, p. 350.78 Non risulta mai pubblicato nella stampa clandestina; è diretto agli Operai, operaie, tecnici, impiegati, e datato Milano 15 gennaio 1944; è conservato in APCI, « Lombardia 1944 », fase. cit.79 Pubblicato suL' Avanti!, ed milanese, del 24 gennaio 1944 e in l ’Unità, ediz. lombarda, 8 marzo 1944. Ad esso si ricollega l ’Ordine del giorno dei comitati di agitazione clandestini, pubblicato in La fabbrica del 1° marzo 1944, ora in F. Catalano, op. cit., pp. 123-124.80 Si veda Dalla guerriglia partigiana all’insurrezione nazionale, in l’Unità, ed. lombarda, del 5 dicembre 1943.

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assai articolate81 — in cui si coglie chiaramente il riflesso di quelle direttive interne per la preparazione dello sciopero insurrezionale, di cui ci occuperemo oltre — mentre veniva riaffermato il legame fra lo sciopero insurrezionale e10 sviluppo del conflitto mondiale82.

Va tuttavia sottolineato come — ad un certo punto — sia venuto a mancare questo richiamo all’insurrezione nazionale ed allo sciopero insurrezionale: in un articolo di Longo, pubblicato ne\YUnità del 24 gennaio 1944 83 84, vengono riproposti, in forma meno articolata e puntuale dei proclami del Comitato sin­dacale di Milano e del Comitato di agitazione delle tre regioni — gli obiettivi rivendicativi dello sciopero, mentre ritorna, ampliato e particolareggiato, quello di arrestare e sabotare la produzione della macchina bellica tedesca, e di impedire11 trasferimento di manodopera e di materiali in Germania.

A questa impostazione del Partito comunista — coerente ad una prospettiva politica il cui unico elemento di incertezza era costituito dall’avanzata dell’eser­cito alleato — fa eco quella, vaga e generica, del proclama del CLNAI M: in esso viene innanzitutto riaffermata la necessità e l’urgenza dell’insurrezione na­zionale, dello sciopero insurrezionale. In forma assai generica, sono presentate le due costanti della situazione italiana, la condizione operaia e l’andamento delle operazioni militari (sbarco di Nettuno e imminente liberazione di Roma); come pure, vaga — ma significativa — è l’enunciazione dell’obiettivo dello sciopero, che è quello di arrestare la produzione bellica tedesca, nella prospettiva della fine della guerra e della liberazione.Anche nelle direttive interne del gennaio è possibile cogliere questa incertezza di fondo, relativa allo sviluppo di quella fase delle operazioni belliche. Tali direttive vertono su due punti: la preparazione politica e quella militare dello sciopero, mentre viene completamente trascurata ogni indicazione relativa alle rivendicazioni salariali ed alimentari85.Collegate a quelle dei mesi precedenti — di cui ci siamo già occupati — esse riflettono il progressivo definirsi di una linea politica del Partito comunista, vista nel suo rapporto con la classe operaia. Mentre le Direttive per il lavoro sindacale, del novembre 1943 86 erano il riflesso della fase iniziale del processo di inseri­mento del PCI nel movimento operaio italiano e segnavano le prime battute di un lavoro organizzativo e politico, nelle successive Direttive per l’azione econo­

81 Come preparare lo sciopero insurrezionale nazionale di P. Secchia, ibid., 24 dicembre 1943, ora in I d., I comunisti, cit., pp. 88-91.82 Non c’è tempo da perdere, ibid., 10 gennaio 1944. Analoga è la linea de La fabbrica: si vedano gli articoli Uniti e compatti, avanti sino alla vittoria-, Rafforzare la nostra orga­nizzazione-, Le fabbriche si preparano allo sciopero insurrezionale, rispettivamente nei nu­meri del 16 dicembre 1943, 11 e 21 gennaio 1944.83 Ora in L. L ongo, Sulla via dell’insurrezione nazionale, cit., pp. 122-124.84 Pubblicato vÆ Avanti], ed. milanese, del 28 febbraio 1944. È riprodotto in Documenti ufficiali del CLNAI, Milano 1945, p. 70, e in F. Catalano, op. cit, pp. 124-125.85 Direttive per l’organizzazione dello sciopero generale e dell’insurrezione nazionale, del 5 gennaio 1944, e Direttive per la preparazione dell’insurrezione nazionale, del 7 gennaio 1944, conservate nelle carte della federazione milanese del PCI, nell’Archivio dell’Istituto Gian- giacomo Feltrinelli. Le prime sono pubblicate in A. Scalpelli, Scioperi e guerriglia, cit., pp. 14-20.86 Cfr. nota 9.

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mica in corso — pur se legate ad una situazione locale, milanese — veniva già affermato il legame fra lo sciopero ri vendicativo, lo sciopero politico e lo sciopero insurrezionale; e, più in generale, il legame tra le lotte rivendicative della classe operaia e la lotta, politica e militare, contro i tedeschi ed i fascisti87. Questi elementi vengon ripresi, articolati e sviluppati nelle direttive di gennaio. Nel primo dei documenti cui ci riferiamo — che è il testo di una circolare con cui veniva trasmesso un volantino del Comitato segreto di agitazione per il Piemonte, la Lombardia e la Liguria88 — è largamente presente, anzi ne costi­tuisce quasi l ’ossatura, un nucleo « unitario », che è possibile cogliere anche in altri documenti ufficiali.Nel sottolineare l’aspetto politico dello sciopero, viene anche messa in luce l ’importanza dell’appoggio e della collaborazione non solo di ogni movimento politico « che localmente abbia un’influenza sulle masse lavoratrici », ma anche dei Comitati di liberazione nazionale, i quali « possono con la loro azione politica cattivare all’agitazione e allo sciopero la simpatia e la solidarietà delle masse popolari non lavoratrici [...] », e « [...] possono, in qualità di portavoce del prossimo governo di liberazione nazionale, fare pressioni sugli industriali onde farli recedere dalla loro cocciuta opposizione alle rivendicazioni operaie ». In tale prospettiva — che è di collaborazione più o meno dichiarata delle forze socia­li, politiche ed economiche — viene messo in luce il nesso tra sciopero politico e sciopero insurrezionale: « Lo sciopero insurrezionale, la insurrezione nazionale oltre ad essere l’insurrezione della classe operaia deve anche essere l’insurrezione di tutto il popolo, deve porsi oltre a degli obiettivi rivendicativi degli obiettivi di conquista materiale del potere e degli organi e delle sedi essenziali del potere ». Ma resta ancora in una prospettiva vaga ed incerta il passaggio da queste indi­cazioni programmatiche alle possibilità concrete, alle modalità e condizioni di attuazione dello sciopero insurrezionale, che — nel documento — dipendono da future, imprevedibili situazioni di fatto, dalla evoluzione di una realtà in movimento 89.Nelle disposizioni successive — che hanno un carattere più spiccatamente ope­rativo — è sempre presente questo elemento di incertezza, che comunque resta isolato dall’impostazione generale del documento.A nostro avviso, esso rappresentò uno dei fattori determinanti non solo nel­l ’impostazione della fase preparatoria dello sciopero, ma anche nel suo anda­mento. L ’organizzazione del PCI fu in grado di realizzare una vasta mobilita­zione di massa, attraverso un’azione di collegamenti capillari, ma rimase un fattore costante — che divenne operante anche a livello dei quadri intermedi del partito — quella incertezza sui tempi, sui modi e sugli obiettivi che avreb­bero sostenuto quella mobilitazione.E su questo, infine, sembra si sia articolato il dibattito all’interno del CLN, soprattutto con il Partito socialista: non solo a Torino — dove erano ben

87 Cfr. nota 29.88 Si tratta probabilmente dello stesso volantino, che riporta il testo del proclama, di cui alla nota n. 79.85 Anche a Genova erano state diffuse delle direttive assai simili: cfr. A. G ib e lli, La Resi­stenza, cit., pp. 135-136.

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radicati i contrasti fra il PCI ed il PSIUP — ma anche a Milano sembra che fortissima sia stata l’opposizione dei socialisti e dei democristiani, in seno al comitato sindacale, — cui si univano, nel CLN, i rappresentanti del Pd’A e dei liberali — superata dal deciso atteggiamento dei comunisti90.

Lo sciopero del marzo 1944: la dinamica

Nella dinamica e nello svolgimento dello sciopero del marzo 1944 è possibile individuare nettamente una prima fase, caratterizzata dalla partecipazione mas­siccia e compatta degli operai: sono, difatti, in sciopero tutte le fabbriche, grandi e piccole, della fascia industriale di Milano, Sesto, Monza e Busto Arsizio, non solo del settore metallurgico e meccanico. Inoltre, con gli operai si allineano i tipografi del Corriere della sera e gli impiegati91.

Già in questa prima fase la reazione dei dirigenti industriali e delle autorità è pronta ed immediata: sul tavolo dello stesso Mussolini giungono relazioni det­tagliate, provenienti con tutta probabilità dal capo della provincia di Milano, Piero Parini, nelle quali si viene articolando anche una linea di condotta, defi­nita « moderata », per fronteggiare il successo dello sciopero: « [...] lo sciopero (il solito sciopero bianco) dalle prime notizie che si hanno stamani » — così si legge in una relazione a Mussolini — « sembra sia abbastanza riuscito e co­munque va generalizzandosi [...] »; e, in un’altra: « [...] la massa obbedisce ai comunisti per una specie di attesa messianica del Barbison, come è popolar­mente chiamato Giuseppe Stalin. Nel Barbison bisogna avere fiducia, il Bar­bison metterà a posto tutto e tutti: anche gli inglesi e gli americani, naturalmente, verso i quali le simpatie sono andate continuamente scemando fino ad annullarsi (queste constatazioni valgono naturalmente solo per gli ambienti operai, per quanto anche negli altri ceti l’insuccesso della testa di sbarco abbia gravemente screditato gli anglosassoni). In ogni caso la prova odierna ha dimostrato che gli altri partiti, anche i socialisti, hanno ben poco ascendente sulla massa. Ne po­trebbero avere se osassero andare contro corrente, parlando un linguaggio riso­luto [...] Forte motivo di compiacimento ha dato ai dirigenti la mancata com­parsa del Pomeriggio, perché essa ha dato a tutta la cittadinanza la sensazione dello sciopero.»92

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50 Si veda, in proposito, una lettera inviata dalla direzione del PCI a quella del PSIUP, riprodotta parzialmente in E. Ragionieri, Il Partito comunista, cit., p. 349 e integralmente in P. Secchia, Il partito comunista, cit., pp. 300-302. E anche R. Luraghi, op. cit., pp. 168, 184-185, 188-190. Cfr., infine, una relazione « strettamente riservata per Mussolini », dal titolo La decisione di sciopero a Milano e i contrasti nel comitato di liberazione, del 1° marzo 1944, ore 11,30, in ACS, Carte della valigia, b. 1, fase. 21, s. fase. 1: tale relazione proveniva, con tutta probabilità, dagli ambienti vicini al podestà Piero Parini.51 Sullo sciopero di marzo, oltre la bibliografia citata, si veda, da ultimo, A. Scalpelli, Lo sciopero generale del marzo 1944 a Milano, in Id., Scioperi e guerriglia, cit., pp. 9-68, ove è ripubblicata (pp. 41-68) la relazione, già edita in Rinascita, di cui alla nota n. 21.82 Da un rapporto « Riservato personale per Mussolini », dal titolo Contrordine del con­trordine dello sciopero di Milano, del 1° marzo 1944, ore 20,30, in ACS, Carte della valigia, cit., fase, cit., s. fase, cit.; ed in A. Scalpelli, Lo sciopero generale, cit., pp. 35-36. Cfr. anche, oltre la relazione cit. alla nota n. 90, anche una « Nota riservata esclusivamente per Musso­lini », con accluse le Direttive per gli oratori, dell’8 marzo 1944, sempre in ACS, Segret. part.

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A differenza di quanto era accaduto nel dicembre, ora si assiste alla « collabora­zione » fra la polizia tedesca e quella italiana — in particolare la guardia nazio­nale repubblicana — che diviene attivo strumento della prima: arresti e caccia all’uomo («azione repressiva »), seguiti dalle deportazioni e dall’occupazione delle fabbriche più grosse e più importanti, cui si accompagna la serrata ” .

Attraverso questi interventi, cui seguiranno altri, come vedremo, le autorità della repubblica sociale italiana — alle quali, in questo momento, i tedeschi avevano delegato ogni attività esecutiva — cominciano ad avere un volto. Con Piero Parini — alle cui spalle si intravede la figura di Mussolini — sembra delinearsi in maniera concreta quella politica basata sull’ipotesi di poter dare una consistenza ad un governo quisling coll’impostare un discorso grossolana­mente « sociale »: lo si era visto con il manifesto di Verona e, recentemente, con la « premessa » alla socializzazione 94.

È proprio Parini, difatti, ad evitare che Zimmermann, giunto a Milano, convochi gli industriali; ed è proprio lui, in prima persona, ad impostare la politica di repressione95.

Dopo il terzo giorno di sciopero, l’intervento dell’autorità fascista a Milano si fa più intenso: alla pubblica manifestazione contro lo sciopero, del 4 marzo, segue l ’Invito alla riflessione ed al coraggio morale, di Piero Parini (di cui sembra che Mussolini fosse stato l ’ispiratore) * , diffuso in volantino, stampato in manifesto e pubblicato anche sul Corriere della sera del 6 marzo, con cui si tenta, in questo momento, il recupero delle risorse politiche, sociali ed economi­che di Milano.Sulla stessa linea possono essere inquadrate altre iniziative, quali le Parole chiare ai lavoratori, scritte da Mussolini, ma diffuse in un manifestino firmato dall’Unione provinciale fascista dei lavoratori dell’industria ed i volantini del gruppo operaio d’azione « Filippo Corridoni » e di un « Gruppo di lavoratori repubblicani socialisti » ” .Al terzo giorno di sciopero quasi tutti gli stabilimenti più grossi sono chiusi e

duce, cart, ris., fase. 92, s. fase. 4: esse provengono probabilmente dagli stessi ambienti di quelle citate alla nota n. 90.93 Telegrammi del colonnello Pollini al comando generale della GNR, del 1° marzo 1944, ore 11,45 e 18,55, del 2 e 3 marzo, in ACS, Guardia nazionale repubblicana, fase. « Milano » cit. Cfr., per questo, anche G. Pansa, Marzo 1944, situazione industriale e grandi scioperi nei rapporti della guardia nazionale repubblicana, in II Movimento di liberazione in Italia, n. 90, genn.-marzo 1958 e n. 91, aprile-giugno 1958.94 Sulla socializzazione si veda, per tutti, F. D eakin, op. cit., pp. 653-655. È assai significativo che — dopo l’approvazione della legge sulla socializzazione — il 15 febbraio 1944 il CLNAI abbia indirizzato un appello alla classe operaia: è riportato in F. Catalano, op. cit., p. 121.95 Oltre i documenti citati nelle note precedenti si veda telegramma del colonnello Pollini al comando generale della GNR del 2 marzo 1944, ore 24,30, sempre in ACS, Guardia nazionale repubblicana, fase. « Milano », cit.94 II testo dattiloscritto dell’appello, con correzioni a mano, è conservato in ACS, Segret. part, del duce, cart, ris., fase. 92, s. fase. 4, cit.; vi è unito anche il testo stampato su volan­tino (nel cit. fase, delle Carte della valigia è conservato anche il testo stampato su mani­festo). Sul primo foglio del dattiloscritto è l’annotazione, sembra di pugno di Mussolini, « Atti. Sciopero del marzo 1944 ». Cfr. anche A. Tamaro, op. cit., vol. II , cit., p. 512 n.97 Esemplari di questi due volantini sono in ACS, fasce, citt. Per le Parole chiare ai lavo­ratori, cfr. anche A. Tamaro, op. cit., voi. cit., pp. 514 e 545-550.

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circondati dalla guardia nazionale repubblicana e dalle SS: da questo momento, le giornate di sciopero acquistano una fisionomia ambigua, e non è del tutto chiaro (soprattutto per quanto riguarda le grosse industrie) se si tratta prevalen­temente di sciopero o di serrata.

Il 4 marzo, mentre i grandi stabilimenti continuano ad essere chiusi e presidiati dai nazifascisti, si riprende a lavorare alla Innocenti, nel settore degli impiegati, alla Bozzi e alla Botticelli di Busto Arsizio; e il 6 marzo si lavora in quasi tutti gli stabilimenti di Meda, alla Edison e alla Montecatini centro, alla Face, alla Smalterie, alla Borletti e in parecchie piccole e medie officine: la ripresa del lavoro diviene totale l’8 marzo — cioè alla data stabilita dalle autorità tedesche e fasciste, e, in particolare, proprio nel giorno indicato nell’ultimatum di Zim­mermann — accompagnata da un manifestino del Comitato segreto di agita-

♦ 98zione .

Il significato dello sciopero di marzo

È noto che la storiografia resistenziale assegna un posto rilevante agli scioperi del marzo 1944, di cui vengono costantemente messi in luce gli aspetti ed i risultati positivi; mentre, nella scarsa produzione di parte fascista, se ne sostiene il fallimento, soprattutto a Milano.

A questo proposito, va chiarito, innanzitutto, che lo sciopero — e ci riferiamo in particolare a Milano — non fu un fallimento sul piano organizzativo e sinda­cale perché gli operai non avanzarono alcuna rivendicazione di tipo salariale ed alimentare, come era avvenuto negli scioperi delPinverno.

Difatti rivendicazioni di tipo sindacale vengono avanzate solo alla Innocenti, alla Philips, alla Sertum: si tratta, in sostanza, di richieste generalmente sulla linea delle direttive ufficiali del Comitato di agitazione e di quelle del Partito comunista — anche se, tuttavia, vengono poste dagli operai in maniera assai più articolata — basate essenzialmente sulla rivendicazione dell’aumento delle razioni dei generi alimentari e delle distribuzioni dei generi di prima necessità e, infine, sulla liberazione dei detenuti politici e sulla sospensione dell’invio dei lavoratori italiani in GermaniaIn realtà, la ragione dell’assenza di una grossa e generale spinta rivendicativa — in tutte le fabbriche della zona di Milano, Sesto, Monza e Busto Arsizio — può, a nostro avviso, essere individuata essenzialmente nella impostazione poli­tica ed organizzativa dello sciopero — quale venne delineandosi, nel corso della sua preparazione, attraverso le direttive e le parole d’ordine — e nella volontà 98 99

98 Cfr. il cit. rapporto del comitato federale di Milano in Rinascita del 14 e 21 marzo 1964. La descrizione di questa seconda fase dello sciopero è assai più sommaria di quella prece­dente: vi emerge quasi una censura sia qualitativa che quantitativa.99 innocenti. Relazione, nel gruppo di documenti di cui alla nota n. 64, anche, « Sertum » e « Philips », APCI, « Lombardia 1944 », fase. « Milano 1944 ». Il carattere economico e politico delle rivendicazioni viene messo in luce soprattutto nelle fonti tedesche ed in quelle fasciste: cfr., per le prime, E. Collotti, Uamministrazione tedesca, cit., pp. 158-204 e 292- 300; per le seconde, ci riferiamo ai documenti conservati nell’Archivio centrale dello Stato, citt. alle note precedenti: vi si riconosce, inoltre, l ’intervento e la partecipazione del PCI.

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cosciente e dichiarata — e, aggiungeremmo noi, alimentata proprio da quelle direttive — di contribuire alla fine della guerra ed alla sconfitta del nazifa­scismo ™. Durante il lungo periodo di preparazione dello sciopero di marzo, in sostanza, la parola d’ordine dello sciopero insurrezionale e quella dell’intervento e dell’aiuto dei partigiani avevano finito col prevalere; né, da parte degli orga­nismi politici, era partita alcuna direttiva che ridimensionasse l ’aspetto insurre­zionale; ma sarebbe stato, poi, possibile realizzare diversamente quella mas­siccia mobilitazione operaia che, comunque, era necessaria al Partito comunista?

A Milano, è noto, i partigiani, i GAP non intervennero in aiuto degli operai101 ; non ci fu alcuna manifestazione di massa: ci furono la serrata, gli arresti, le deportazioni, la controffensiva immediata dei tedeschi e delle gerarchie di Salò.

Non sta in questo il senso del fallimento dello sciopero di marzo, sciopero che rappresentò una grande mobilitazione della massa operaia, in un momento in cui lo sviluppo delle lotte e della storia stessa del movimento operaio era fortemente condizionato dagli eventi della politica internazionale.

Unità e compattezza popolare, carattere rivendicativo dello sciopero, dimostra­zione di forza del proletariato di fronte ai nazifascisti: questi sono gli elementi costanti di analisi e di interpretazione che vengono messi in luce nelle cronache relative allo sciopero, che assumono espressione più compiuta nella relazione di Secchia 1°2. Qui si conclude quella linea ideale che, partendo dai manifesti del Comitato segreto di agitazione, passa attraverso le direttive, ufficiali ed inter­ne, del Partito comunista. E sta proprio in questa conclusione la conferma della non linearità, e anzi dell’incertezza della prospettiva politica, in cui si inquadrò lo sciopero di marzo, risalente innanzitutto alla previsione di un rapido svolgi­mento della campagna d ’Italia.

E lvira Gencarelli

Significativa — in questo senso — è una relazione sulla Borletti, in un altro gruppo di rapportini sullo sciopero, di cui il primo è datato 2 marzo 1944: « [...] Tutti o quasi, sono d ’accordo di far cessare la guerra con questo sciopero dicendo: “Non è il burro che c’inte­ressa, è la guerra che bisogna far cessare [ .. .] ” »: è riprodotta nella seconda parte del rapporto del comitato federale milanese del PCI, pubblicata nel n. di Rinascita del 14 marzo 1944. Cfr. anche P. Secchia, Considerazioni ed esperienze da trarre dal grande sciopero generale del 1-8 marzo 1944, in La Nostra Lotta, a. II , n. 5-6, marzo 1944, ora in Id., I comunisti, cit., pp. 106-129.101 Sulle azioni dei GAP nel periodo precedente il marzo del 1944 e sulla loro dissoluzione alla vigilia dello sciopero, cfr. I. Busetto, Brigate Garibaldi, cit., pp. 68-74 e 73-83.102 P. Secchia, Considerazioni ed esperienze, cit.