Parco Nazionale della Majella Ufficio Monitoraggio …...PERIODO DI APPLICAZIONE 2008-2012 APPROVATO...
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Parco Nazionale della Majella
Ufficio Monitoraggio e Gestione Biodiversità
PIANO DI PREVISIONE, PREVENZIONE E LOTTA AGLI INCENDI NEL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA Aggiornato al dicembre 2007
(Legge 21 novembre 2000, n. 353)
PERIODO DI APPLICAZIONE 2008-2012 APPROVATO CON PROVVEDIMENTO PRESIDENZIALE N. 3 DEL 22.04.2008
Campo di Giove (Aq) febbraio 2008
SOMMARIO
INTRODUZIONE I. PARTE GENERALE 1. Descrizione del territorio
1.1 Morfologia
1.2 Pendenze ed esposizioni
1.3 Clima
1.4 Rete meteorologica del Parco
1.5 Idrografia
1.6 Ambiente forestale
1.7 Agricoltura e zootecnia
1.8 Presenza antropica
2. Banche dati, cartografia di base e supporti informatici utilizzati
3. Analisi statistica
3.1 Ampiezza del fenomeno
3.2 Distribuzione mensile
3.3 Superfici interessate
3.3.1 Analisi degli eventi più rilevanti
3.4 Formazioni vegetali percorse dal fuoco
4. Obiettivi prioritari da difendere
5. Modello organizzativo
II. PREVISIONE 6. Cause determinanti e fattori predisponenti l’incendio
7. Le aree percorse dal fuoco
8. I periodi a rischio di incendio
9. Le aree a rischio potenziale di incendio
9.1 Vulnerabilità degli ambienti naturali
9.2 Vulnerabilità delle aree agricole
9.3 Vulnerabilità delle aree antropiche
9.4 Vulnerabilità in funzione della pendenza e dell’esposizione
9.5 Vulnerabilità di sintesi del territorio
9.6 Rischio statico nel periodo estivo
10. Indici di pericolosità
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11. Interventi per la previsione degli incendi
III. PREVENZIONE 12. Azioni di contrasto al fenomeno
12.1 Consistenza e localizzazione della viabilità di servizio, dei punti di
avvistamento, delle fonti di approvvigionamento idrico e delle piazzole
di carico per gli elicotteri
12.2 Consistenza e localizzazione dei mezzi, degli strumenti e delle risorse
umane
12.3 Il sistema di videocontrollo ambientale del Parco per l’avvistamento
degli incendi boschivi
12.4 Operazioni selvicolturali nelle aree a più elevato rischio
12.5 Consistenza e organizzazione sul territorio delle risorse umane, delle
attività di sorveglianza, prevenzione e primo intervento
12.6 Esigenze formative e attività informative
IV. RECUPERO 13. Attività di recupero delle aree incendiate
13.1 Studio del dinamismo della vegetazione post incendio nel Parco
13.2 Interventi selvicolturali sperimentali nelle aree incendiate
13.3 Produzione vivaistica per interventi di restauro ambientale
V. COSTO DEGLI INTERVENTI PREVISTI
ALLEGATI A) CARTA DEGLI OBIETTIVI PRIORITARI DA DIFENDERE
B) CARTA DEGLI INCENDI AVVENUTI NEGLI ULTIMI 8 ANNI
C) CARTA DELLA VULNERABILITA’ DELLE FORMAZIONI FORESTALI,
AMBIENTI NATURALI E COLTIVAZIONI AGRICOLE
D) CARTA DELLA VULNERABILITA’ STAGIONALE LEGATA AGLI INTERVENTI
IN AGRICOLTURA
E) CARTA DELLA VULNERABILITA’ ANTROPICA
F) CARTA DELLA VULNERABILITA’ ASSOCIATA ALLE PENDENZE
G) CARTA DELLA VULNERABILITA’ ASSOCIATA ALLE ESPOSIZIONI
H) CARTA DI SINTESI DELLA VULNERABILITA’ DEL TERRITORIO
I) CARTA DELLE STRUTTURE DI SERVIZIO NECESSARIE PER LA LOTTA
AGLI INCENDI
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J) STATISTICHE SUL FENOMENO
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INTRODUZIONE Gli eventi drammatici che hanno caratterizzato pesantemente la stagione estiva del
2007 sul versante degli incendi boschivi nel nostro Paese, aggravati dalla perdita di
vite umane, e che hanno colpito in particolar modo l’Abruzzo ed il territorio del
Parco Nazionale della Majella, con una superficie bruciata di 2.541 ha,
costituiscono un monito forte che impone di affrontare con la massima attenzione la
minaccia che riveste il fenomeno degli incendi per l’area protetta.
Pertanto, a seguito della scadenza del precedente piano triennale, l’Ente Parco
Nazionale della Majella, ha provveduto con la sollecitudine del caso e sulla base
delle esperienze acquisite nel settore in questi ultimi anni a realizzare il nuovo
“piano di previsione, prevenzione e lotta agli incendi nel territorio del Parco” di
durata quinquennale, che ogni anno sarà integrato solo per la parte relativa agli
aggiornamenti statistici degli eventi avvenuti.
Anche questo Piano, come i precedenti è stato predisposto attenendosi, in maniera
coerente e ponderata con la specifica realtà del territorio dell’area protetta, alle
indicazioni metodologiche riportate nelle Linee Guida per la realizzazione dei Piani
Regionali redatte dal Dipartimento della Protezione Civile–Ufficio Previsione e
Prevenzione, pubblicate sulla G.U. del 28.02.02 e allo “schema di piano per la
programmazione delle attività di Previsione, Prevenzione e Lotta attiva contro gli
incendi boschivi nelle aree protette statali” predisposto dal Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio, nell’aprile 2002.
Nello specifico, gli obiettivi perseguiti sono stati i seguenti:
- realizzare una esaustiva analisi del fenomeno degli incendi che ogni anno si
sviluppano nel Parco, definire uno scenario articolato delle problematiche e degli
aspetti particolari con cui questo si manifesta sul territorio, pianificare e attuare le
azioni di contrasto più efficaci nel campo della previsione e prevenzione del
fenomeno, coerentemente con i ruoli operativi e le competenze attribuite dalla legge
ai diversi soggetti istituzionali interessati (Ministeri, Regioni, VV.FF., CFS, ecc.);
- realizzare un prodotto coerente con gli standard previsti per il piano antincendi
boschivi regionale, del quale la parte relativa alle aree protette dovrebbe costituire
una apposita sezione, nel quale prevedere l’inserimento di alcune azioni efficaci per
prevenire lo sviluppo degli incendi nelle aree più vulnerabili del territorio, quali: la
possibilità di prevedere interventi selvicolturali sostitutivi del proprietario
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inadempiente nelle aree a più elevato rischio1 e l’attuazione del censimento delle
particelle catastali interessate dagli incendi e la notifica ai proprietari delle stesse2;
- produrre, prima del periodo critico estivo di sviluppo del fenomeno, uno strumento
tecnico-operativo agile e al tempo stesso completo nella sua strutturazione
metodologica e organizzativa, contenente il massimo livello di informazioni utili e
suscettibile di essere implementato in futuro secondo modalità e tempi operativi
definiti nel piano stesso, così da poter programmare ed attivare per tempo e in
maniera stringente le attività di prevenzione previste;
- sviluppare e programmare, in maniera adeguata e coerente con la notevole
valenza naturalistica del territorio dell’area protetta, le attività finalizzate al recupero
naturalistico delle aree incendiate, la cui importanza è destinata ad aumentare
sempre più in futuro.
Per tutto quanto sopra esposto non si può sottacere che la capacità di incidenza del
presente piano risulta fortemente condizionata dall’assenza del Piano Regionale di
previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi di competenza esclusiva
della Regione Abruzzo che ad oggi non è stato mai predisposto e quindi dalla totale
assenza di quella indispensabile azione preventiva di individuazione congiunta e
condivisa delle strategie da sviluppare e dei mezzi e uomini che devono essere
impegnati sul territorio per affrontare l’emergenza e del successivo coordinamento
delle attività da mettere in atto sul campo al momento del bisogno.
Come avvenuto in passato, anche il presente piano costituisce l’unico strumento di
pianificazione e programmazione del settore vigente sul territorio dell’area protetta,
poiché comprende anche le Riserve Statali presenti nel Parco, grazie alla
collaborazione avviata da diversi anni con l’Ufficio Territoriale per la Biodiversità del
CFS di Pescara.
1 Legge 353/2000, art. 3 comma 3 punto l. 2 Legge 353/00, art. 10 comma 1.
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I. PARTE GENERALE 1. Descrizione del territorio. 1.1 Morfologia. Il Parco Nazionale della Majella si estende per 74.095 ettari nel cuore della Regione
Abruzzo. Gran parte del territorio dell’area protetta è di carattere montuoso: ad est
si erge il massiccio della Majella che con il Monte Amaro raggiunge i 2793 metri;
ad ovest si estende il Monte Morrone, massiccio meno imponente della Majella dal
quale è separato attraverso la valle del Fiume Orta; verso sud si trovano altri rilievi:
il Monte Porrara, naturale prosecuzione della Majella e a questa direttamente
collegato, il Monte Pizzalto e il Monte Rotella, fra loro e dal primo inframezzati da
altopiani carsici chiamati “Quarti”, e il complesso Monte Secine – Monti Pizzi, con
andamento NE - SE.
Il gruppo montuoso della Majella appare come un’enorme cupola ellittica, allungata
in senso nord – sud per ben 30 Km, ma piuttosto stretta (12 Km). Buona parte delle
sue cime superano i 2000 metri: accanto al Monte Amaro, infatti, si possono
annoverare il Monte Acquaviva (2737 m), il Monte Focalone (2646 m), il Monte Macellaro (2646 m) e Cima delle Murelle (2598 m). La parte sommitale della
Majella, specie nel suo settore centro – meridionale, appare come un’ampia
spianata di origine glaciale; i ghiacciai che qui si estendevano fino a 10.000 anni fa
hanno lasciato forme tipiche della loro erosione, fra cui i circhi glaciali presenti alla
testata delle attuali vallate e il ben noto Anfiteatro morenico delle Murelle. Anche
la Valle di Femmina Morta, di origine tettonica, è stata interessata da questi
fenomeni e successivamente dal carsismo. Altro elemento caratterizzante la
montagna della Majella è la presenza di lunghi e profondi valloni, veri e propri
canyon che ne solcano il versante orientale e quello settentrionale: la Valle dell’Orfento, fiume ricco di acque, il Vallone di Santo Spirito, la Valle del Fiume Foro, anch’essa fra le più ricche di acque, la Valle di Selvaromana e Vallone delle Tre Grotte, che confluiscono nella Valle del Torrente Avello, il Vallone delle Mandrelle – Valle di Santo Spirito, che giunge nei pressi di Fara San Martino con
la stretta Gola di San Martino dopo aver percorso 14 Km a partire dal Monte
Amaro, il Vallone di Taranta, con la nota Grotta del Cavallone.
Le Montagne del Morrone (2061 m), di certo più modeste del massiccio della
Majella, si allungano da Popoli a Pacentro con andamento NW-SE, in accordo con
gli altri rilievi della catena appenninica. Esse si ergono sulla sinistra orografica del
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Fiume Orta e limitano, con le balze rocciose del versante occidentale, la piana di
Sulmona.
Degli altri rilievi: Porrara, Pizzalto e Rotella, anch’essi di natura calcarea, solo il
primo supera i 2000 m. Una nota a parte merita il complesso Monti Pizzi – Monte Secine nel settore sud orientale del Parco, che, seppure di modeste dimensioni
occupa un’area con caratteri morfologici nettamente differenti dai precedenti
(minore altitudine) a causa della differente natura litologica del terreno, costituito da
marne, arenarie e argille.
1.2 Pendenze ed esposizioni Per le finalità del presente piano ed in particolare per l’individuazione dei profili della
vulnerabilità potenziale e rischio del territorio agli incendi, assume grande
importanza assieme all’uso del suolo, al tipo di vegetazione e alla sua struttura
spaziale, lo studio delle pendenze e delle esposizioni dei versanti.
A questo scopo l’Ente Parco ha acquisito il Modello Digitale del Terreno (DTM),
passo 40 m, dalla Regione Abruzzo con il quale ha elaborato la carta delle
pendenze e delle esposizioni dei versanti del territorio del Parco. Relativamente alle
pendenze sono state individuate le seguenti classi: Classe 1, da 0 a 12°; Classe 2,
da 12° a 24°; Classe 3, da 24° a 36°; Classe 4, da 36° a 48°; Classe 5, > 48°. I
risultati dell’elaborazione hanno evidenziato che la classe di pendenza più
rappresentata è quella compresa fra 12° e 24° (Classe 2), con una percentuale del
35%, seguita dalle classi 1 e 3 entrambi con il 27%; le meno rappresentate sono le
classi 4 e 5, cioè le pendenze più elevate, rispettivamente con il 10% e l’1%.
Relativamente alle esposizioni sono state individuate 9 classi (N, NO, O, SO, S, SE,
E, NE, N), tutte di 45° di ampiezza.
1.3 Clima Per quanto concerne la conoscenza dei caratteri climatici del territorio del Parco, le
informazioni relative alla individuazione dei tipi fitoclimatici presenti, nonché le carte
delle isoterme, delle isoiete e delle unità fitoclimatiche, sono state ricavate, dalla
monografia sul clima predisposta nell’ambito degli studi preliminari per il Piano del
Parco, nella quale sono stati presi in considerazione i dati forniti dalle stazioni
termopluviometriche e pluviometriche del Servizio Idrografico di Pescara del
Ministero dei Lavori Pubblici.
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In totale, sono stati utilizzati i dati di 26 stazioni: 9 termopluviometriche e 17
pluviometriche. Per queste ultime, il dato di temperatura media da utilizzare per la
realizzazione dei climogrammi di Bagnouls–Gaussen, utili per definire la presenza
dei periodi di aridità critica per la vegetazione, è stato ricavato sulla base del
coefficiente di correlazione mensile tra quota e temperatura media prendendo come
riferimento i dati delle stazioni termopluviometriche.
Attraverso l’analisi dell’andamento delle isoiete e delle precipitazioni annuali delle
singole stazioni, è stato possibile evidenziare, innanzitutto, la rilevante diversità
orografica ed ombrotermica del territorio del Parco, nel quale in ogni caso si
riscontrano livelli di piovosità relativamente inferiori rispetto alle regioni tirreniche
poste alla stessa latitudine.
E’ stato inoltre possibile individuare 3 ambiti territoriali ben distinti:
1. un ambito comprendente principalmente il versante occidentale del Morrone e
la Valle Peligna (Popoli, Bagnaturo, Sulmona, Pacentro, Pettorano sul Gizio),
caratterizzato da precipitazioni relativamente scarse, tra i 600 e gli 800 mm
annui.
2. un ambito caratterizzato da precipitazioni annue comprese tra 800 e 1000 mm,
(Palena, Pennapiedimonte, Montenerodomo, Guardiagrele, Pizzoferrato,
Manoppello, Lama dei Peligni, Fara S. Martino, Ateleta, Roccacasale, Campo di
Giove, Pescocostanzo).
3. un ambito caratterizzato da precipitazioni più elevate, in alcuni casi superiori a
1200 mm annui, a cavallo tra il Morrone orientale e la Majella settentrionale
(Caramanico, Passo Lanciano, Roccamorice, S. Eufemia, Salle, Pretoro).
1.4 Rete meteorologica del Parco Allo scopo di accrescere la conoscenza dei caratteri climatici e meteorologici del
territorio dell’area protetta, l’Ente Parco ha installato due stazioni elettroniche di
rilevamento dei parametri ambientali.
Le due stazioni, collocate presso i giardini botanici del Parco di Lama dei Peligni
(Ch) e S. Eufemia a Majella (Pe), sono state inserite nella rete regionale di
monitoraggio meteorologico in automatico, gestita dal Centro Agrometeorologico
Regionale, una struttura di supporto dell'Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo
Agricolo che, grazie ad una serie di software applicativi, consente di conoscere in
tempo reale la situazione meteorologica dell’intero territorio regionale. In questo
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contesto, la localizzazione delle due stazioni, posizionate rispettivamente a quota
670 e 900 m s.l.m., ha garantito l’acquisizione con cadenza oraria dei dati
meteorologici aggiornati (12 parametri ambientali3) sui due versanti del massiccio
della Majella che in precedenza risultavano per intero sprovviste di informazioni al
riguardo, favorendo in questo modo una migliore conoscenza dei caratteri
meteorologici del territorio del Parco.
La collaborazione avviata con il Centro Agrometeorologico Regionale presenta altri
vantaggi: la possibilità da parte dell’Ente Parco, attraverso l’inserimento di una
apposita password, di accedere a pagine web dedicate in cui è possibile monitorare
in tempo reale, visionare ed eventualmente scaricare, dati meteorologici parziali o
complessivi del periodo. Questa possibilità potrà essere sfruttata per avviare la
sperimentazione di un sistema di rilievo in continuo dei più conosciuti indici di
rischio di incendio del territorio del Parco.
Di seguito, a titolo di esempio, si riportano i valori di alcuni parametri meteorologici
rilevati dalla stazione di Lama dei Peligni nei mesi estivi di luglio e agosto 2007,
periodo in cui si sono registrati gli incendi più devastanti che hanno interessato
l’area protetta.
Stazione di Lama dei Peligni
• mesi di luglio e agosto giorni piovosità 0
• temperature medie luglio MAX 35 C° MIN 19,4 °C
• temperature medie agosto MAX 33,5 C°MIN 17,7 C°
• temperatura MAX assoluta mese luglio 41,4 °C
• temperatura MIN assoluta mese luglio 11,2 °C
• temperatura MAX assoluta mese agosto 40,4 °C
• temperatura MIN assoluta mese di agosto 12,4 °C
• precipitazione totale anno mm di pioggia 598,8
3 Direzione del vento (gradi); - Pioggia (mm), istantanea e 24h; -Rad sol integr (mj/m2); -Rad. Sol.
Max (w/m2); -T max ( °C);-T media (°C) per le 24 h;T min (°C);Temp. Suolo max;-Temp. Suolo min; -
Umidità max (%sat); - Umidità min (% sat);- Velocità del vento (m/s) min, max media (24h);
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Diagramma termoluviometrico di Lama Peligni (valori decadali)
-5
0
5
10
15
20
25
3035
40
1 3 feb 1 3 apr 1 3 giu 1 3
ago 1 3 ott 1 3 dic
°C
0
20
40
60
80
mm
Pioggia T_min T_max MIN ASS MAX ASS
Diagramma di Bagnouls-Gaussen di Lama dei Peligni
0
10
20
30
40
50
60
gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic
°C
-40
0
40
80
120mm
T. Media (16.0° c) pioggia (totale 598 mm)
1.5 Idrografia L’idrografia superficiale dell’area del Parco non è molto sviluppata; infatti, pur
trattandosi di un’area ricca di acque (numerose e copiose sono le sue sorgenti,
localizzate quasi esclusivamente a bassa quota, alla base dei massicci calcarei) il
deflusso sotterraneo supera di gran lunga quello superficiale, specie nelle aree
maggiormente interessate dal carsismo come il massiccio della Majella e i “Quarti”.
I suoi corsi d’acqua maggiori, il fiume Alento, il Foro, il Vella, l’Orta, l’Orfento e
l’Aventino, ricadono nei bacini idrografici Alento, Foro, Pescara e Sangro.
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Per questi stessi motivi, all’interno del Parco non esistono bacini lacustri di
dimensioni rilevanti: i più vicini sono i laghi di Casoli e di Bomba nel chietino, ed il
lago di Scanno nell’aquilano.
1.6 Ambiente forestale Secondo i dati forniti dal Piano del Parco, nell’area protetta i territori boscati
assommano a 28.766 ha, il 39% della superficie occupata dal Parco, per il 50% dei
quali è disponibile un piano di assestamento (18 comuni su 39).
Nel Parco domina la foresta temperata decidua nelle sue varie espressioni:
I faggeti, occupano 19.707 ha (il 69% della superficie forestale). Queste cenosi
costituiscono le formazioni boschive più estese del Parco e si collocano nella fascia
montana fra gli 800 e i 1800 m s.l.m. L’estensione media dei boschi di faggio è
quella più elevata fra le varie cenosi forestali presenti nell’area protetta;
I boschi misti di latifoglie submediterranee (querceti submediterranei, ostrieti), si
estendono su circa 4.000 ha (il 15% della superficie forestale). I cerreti, che non
raggiungono i 500 ha, sono distribuiti soprattutto nell’area sudorientale del Parco.
Non trascurabile appare la componente sempreverde rappresentata dalle mughete
di alta quota, che occupano 880 ha di superficie e, a livello più sporadico, da lecceti
(50 ha) e pinete naturali di pino nero (30 ha). Degni di nota anche i rimboschimenti
di conifere, per la gran parte, dominati dal pino nero, che interessano una superficie
di 2.750 ha, pari al 10% della superficie boscata.
Ripartizione percentuale delle principali tipologie forestali (dal Piano del Parco Nazionale della Majella)
faggeti – 69,81
altro –0,12 % rimboschimenti di conifere– 9,56 %
mugheta – 3,05 %
boschi misti di latifioglie – 14,96 %
cerreti e cerreti misti – 2,34 %
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Nel Parco la forma di governo più diffusa è il ceduo, che occupa il 58% della
superficie forestale (16.552 ha) ed è costituito per lo più da faggio (11.604 ha),
secondariamente da latifoglie mediterranee. Questi ultimi boschi, in particolare
quelli di roverella e cerro, appaiono quasi sempre frammentati in nuclei di superficie
media molto bassa, rispettivamente 22 e 8 ha.
L’alto fusto occupa invece una superficie di 12.214 ha, per oltre il 66% costituito dal
faggio (8.103 ha), nella quasi totalità di origine agamica. Si tratta, di soprassuoli che
si sono sviluppati in alto fusto a seguito di operazioni di conversione indiretta o per
evoluzione naturale. Nel Parco questa tipologia forestale si caratterizza per la
presenza di due aspetti strutturali, a volte distinti in ambiti geografici ben separati,
ma non di rado presenti all’interno della stessa particella.
Un primo tipo strutturale abbastanza diffuso è rappresentato dai soprassuoli con
fisionomia fondamentalmente monoplana originatisi a seguito di interventi di
conversione effettuati su intere particelle, non di rado vaste anche oltre 50 ha. La
curva di distribuzione dei diametri assume il classico aspetto a campana con un
prolungamento verso i diametri maggiori per la presenza di vecchie matricine. Si
tratta di popolamenti in cui la rinnovazione è spesso assente poiché si trovano nella
fase di autodiradamento e l’unico tratto che conferisce un certo movimento al profilo
del bosco è rappresentato dalle vecchie matricine, riconoscibili per le dimensioni
maggiori e per la chioma espansa. Eccezionalmente alcune piante possono avere
un diametro anche di 80 cm, ma generalmente le piante di più grandi dimensioni
non superano i 60 cm. L’età media di questi soprassuoli si aggira comunemente
intorno ai 60-80 anni e non supera il secolo nemmeno nelle situazioni più evolute.
Le provvigioni sono in media di 250-300 mc/ha, l’altezza media di 20-25 m.
Un secondo tipo strutturale è quello delle faggete a struttura composita. In questo
caso il bosco assume un profilo più articolato, fino ad arrivare nei casi estremi ad
una interconnessione fra le due forme di governo, alto fusto e ceduo. La curva di
distribuzione tende ad assumere andamento iperbolico e in diversi tratti, in
corrispondenza di buche nel soprassuolo arboreo, si rileva una attiva rinnovazione
di faggio. In alcuni casi si riscontrano piante di diametro superiore al metro e altezza
di 25-30 m. Questa tipologia deve la sua genesi al taglio a scelta a cui alcuni di
questi boschi sono stati sottoposti in passato oppure ad una evoluzione spesso
naturale, di cedui matricinati o composti, frammisti a tratti di alto fusto spesso
rilasciati a causa delle difficoltà che avrebbe richiesto la loro utilizzazione. La
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provvigione di questi boschi è generalmente più bassa rispetto a quella che si
riscontra negli altofusti monostratificati e si aggira intorno ai 180-240 mc/ha. In
alcuni boschi particolarmente utilizzati, la provvigione scende sotto 150 mc/ha.
Nella realtà forestale ora descritta, non si rinvengono boschi vetusti. Questi
particolari ecosistemi forestali, che comunque nel nostro paese sono molto rari e
generalmente sempre perturbati dall’azione antropica con la fase di crollo
pressoché assente e quella a cattedrale tutt’altro che comune sulla Majella, al
massimo possono essere rappresentati da alcuni popolamenti evoluti per struttura e
composizione che, se opportunamente gestiti, potranno divenire in futuro dei veri
boschi vetusti. In questo senso una prima formazione interessante risulta il Bosco di
S. Antonio a Pescocostanzo, o la faggeta localizzata lungo le pendici sud-orientali
del Pizzalto, nella quale tuttavia, provvigione e area basimetrica (rispettivamente
243 mc/ha e 23 mq/ha) sono troppo basse per una vera fustaia vetusta. Altre
formazioni si rinvengono sul versante orientale della Majella nel territorio di Palena,
di Pizzoferrato e di Pretoro. Quest’ultima faggeta presenta il valore più alto di
provvigione media unitaria riscontrato nel Parco (344 mc/ha).
Relativamente alla frammentazione della copertura forestale, a fronte delle 281
unità di superficie inferiore a 25 ha, se ne riscontrano 27 di superficie compresa fra
25 e 100 ha e 17 di superficie superiore a 100 ha. Le aree principali dove tali
fenomeni di frammentazione sono evidenti sono costituiti dai distretti collinari di: -
Bolognano, Roccamorice, Caramanico, Salle; -versante sud occidentale del M.
Pizzalto, Bosco S. Antonio e pendici del M. Rotella; -boschi al limite del Parco dei
Comuni di Ateleta e Gamberale. Forse non è un caso le zone maggiormente
interessate dagli incendi nel territorio del Parco corrispondono alle aree dove si
riscontrano in maggior misura fenomeni di frammentazione forestali.
1.7 Agricoltura e zootecnia Il territorio del Parco si presenta caratterizzato in maniera consistente, oltre che da
ambienti naturali di pregio, anche da una discreta superficie occupata da aree
agricole abbandonate ormai da lungo tempo e in fase di lenta evoluzione naturale
verso ecosistemi più complessi (arbusteti, pascoli arborati, boschi di
neoformazione, ecc.).
Queste aree, per la discontinuità degli ambienti e delle formazioni che li
caratterizzano, (ambienti di margine, fasce ecotonali), costituiscono luogo elettivo di
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rifugio per la fauna di pregio del Parco, lì presente in misura maggiore rispetto a
quanto si riscontra in altri ambienti naturali caratterizzati da una notevole uniformità
(boschi). Secondo i dati del Piano del Parco, le tipologie agricole presenti nel
territorio dell’area protetta secondo lo standard di classificazione dell’uso del suolo
Corine Land Cover, sono le seguenti:
CLASSE Superficie (%) Seminativi, 6,06 Sistemi colturali e particellari complessi 0,38 Oliveti 0,25 Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali importanti
1,07
Totale colture agrarie e arboree 7,76 Prati stabili 7,87 Aree a pascolo naturale e praterie 21,68 Cespuglieti 13,40 Totale aree sottoposte a pascolo 42,95
La superficie agricola ancora coltivata, presenta i caratteri della marginalità
economica tipici delle aree dell’Abruzzo interno, con aziende e proprietà molto
frazionate, caratterizzate da un numero di proprietari spesso elevato, per buona
parte costituito da persone emigrate delle quali si sono perse le tracce da tempo o
sono morte.
In questi casi la possibilità di ricondurre la proprietà ad un unico proprietario, di
accorpare l’azienda o aumentarne la superficie, in generale di sviluppare processi di
ricomposizione fondiaria, risulta essere praticamente nulla, a causa dell’incidenza
del costo del passaggio di titolarità, tale da scoraggiare una qualsiasi iniziativa al
riguardo.
Altro elemento caratteristico del territorio è costituito dalla presenza diffusa di terreni
comunali concessi gratuitamente in fitto in passato, a persone ormai decedute da
tempo, “livellari”, con la sola condizione che gli stessi fossero coltivati.
Attualmente buona parte di questi terreni sono abbandonati, sono stati ricolonizzati
dal bosco e dovrebbero ritornare nella disponibilità diretta dei Comuni, mentre,
quelli ancora coltivati sono gestiti dagli eredi degli affittuari senza alcun titolo di
possesso.
La quasi totalità dei pascoli presenti nel Parco è di proprietà comunale e vengono
utilizzati da allevatori locali, in genere con aziende senza terra, in regime di uso
civico. Nell’ultimo decennio, per una serie di concause (spopolamento della
montagna, invecchiamento della popolazione, mancanza di investimenti sui pascoli
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da parte dei comuni, mancanza di controlli) si è andato verificando un autentico
processo di degrado dei pascoli stessi, causato dagli animali lasciati al pascolo
brado senza sorveglianza in montagna, con una serie di conseguenze: permanenza
degli animali in prossimità dell’abbeverata sempre negli stessi posti, mancato
spargimento del letame sul pascolo con fenomeni di inquinamento delle aree di
permanenza e mancata concimazione delle altre aree, riduzione della superficie del
pascolo per rinaturalizzazione delle aree più esterne localizzate al confine del
bosco, sviluppo di arbusteti e scomparsa delle specie più appetite dal bestiame a
danno delle meno appetite che hanno invece colonizzato spazi maggiori proprio
perché il bestiame non è obbligato a pascolare a rotazione su tutta la superficie
pascoliva, degrado dei manufatti (sorgenti, stazzi, rifugi, ecc.) sempre per il
mancato controllo e interesse da parte del Comune ma anche della stessa
popolazione il cui interesse verso queste parti di territorio e attività è andato
scemando nel tempo, tanto che molti locali nemmeno conoscono queste parti di
territorio o le frequentano molto di rado.
In questo contesto è andata aumentando nel tempo la quota parte di superfici
pascolive non appetite dagli allevatori locali (le aree più lontane, difficilmente
raggiungibili, meno produttive, ecc.) che spesso corrispondono agli ambienti di alta
quota, caratterizzati da una elevata valenza naturalistica, nelle quali si è andata
accrescendo la presenza di allevatori provenienti da fuori regione.
1.8 La presenza antropica Il territorio si colloca in una posizione di particolare importanza, lungo il percorso
che collega, sul versante adriatico, l'area piceno-vestina, gravitante verso le regioni
centrali, e quella sannitica, già meridionale; è fiancheggiato dagli unici due solchi
vallivi (quello del Pescara e quello del sistema Aventino-Sangro) che interrompono
la cordigliera orientale dell' Appennino abruzzese e consentono la penetrazione
profonda nel centro della regione. Per questo il massiccio della Majella e le valli che
lo circondano sono state interessate da forti movimenti di popolazione in varie
epoche storiche.
La densità degli abitanti per kmq presenta una forte disomogeneità, ma il dato che
spicca maggiormente è la fortissima densità di abitanti nei Comuni di
Lettomanoppello (202 ab./kmq), Pratola Peligna (280 ab./kmq) e Sulmona (436
ab./kmq), tutti Comuni di collina o situati in conche.
16
La rete stradale principale corre prevalentemente lungo la fascia perimetrale
esterna dei confini del Parco (l’ex S.S. 263 e S.R. 84, tangenti al versante orientale
del Parco, la S.S. 17 per Sulmona e la S.S. 652 per Castel di Sangro), con una
serie di linee di penetrazione all’interno, fra le quali si distinguono la S.S. n. 487 che
da Pacentro porta a Passo San Leonardo, S.R. 84 e la strada Pescocostanzo -
Bosco di Sant’Antonio - Cansano.
La rete stradale è ampiamente sviluppata nella zona nord del Parco, dove il
territorio è lambito dall’autostrada A24-A25 Pescara-Roma, dalla S.S. n. 5 “Tiburtina
Valeria” e dalla ferrovia; da queste arterie si dipartono la strada che collega
Roccamorice con Fonte Tettone e la strada che da Lettomanoppello porta a Fonte
Tettone. Sempre nel settore nord altra linea di collegamento che penetra nel
territorio del Parco è costituita dalla S.P. Majelletta che sale da Pretoro a Passo
Lanciano e alla Majelletta.
Anche gli insediamenti urbani sono dislocati prevalentemente all’esterno, lungo la
linea di confine del Parco, ad eccezione della Valle dell’Orta, con i Comuni di
Sant’Eufemia a Majella e Caramanico Terme, i cui territori ricadono per intero nel
Parco, e dei comuni di Pacentro e di Campo di Giove, la gran parte del territorio dei
quali, compreso i centri storici, ricadono nel Parco, e gli insediamenti turistici di
Passo Lanciano – Fonte Tettone, nei comuni di Serramonacesca e Pretoro e Valle
del Sole nel comune di Pizzoferrato.
Nei 39 Comuni del parco, l'offerta ricettiva in alberghi e seconde case raggiunge
una dimensione molto rilevante, pari a più di 68.000 posti letto, costituendo circa il
74% della popolazione residente, concentrata solo in alcuni comuni. L'offerta
ricettiva alberghiera registra un picco a Roccaraso (più di 1400 posti letto) e valori
elevati a Rivisondoli (circa 800 posti letto), Caramanico Terme (circa 700 posti letto)
e Sulmona (quest'ultima però con caratteristiche urbane nettamente diverse da
quelle montane degli altri centri). Anche l'offerta ricettiva in seconde case fa
emergere il picco di Roccaraso (circa 16.500 posti letto al 1991), che si caratterizza
come il Comune con maggiore dotazione ricettiva, cui seguono Rivisondoli, Campo
di Giove, Pizzoferrato e Pescocostanzo, che pongono in evidenza la spiccata
caratterizzazione turistica del comprensorio meridionale del parco.
17
2. Banche dati, cartografia di base e supporti informatici Per la realizzazione del presente Piano sono stati impiegati i dati a disposizione
dell’Ente Parco, integrandoli con altri raccolti allo scopo. In particolare sono state
utilizzate le seguenti fonti:
1. dati e cartografie degli Studi preliminari e dell’elaborato tecnico del Piano e del regolamento del Parco Nazionale della Majella e inseriti nel Sistema
Informativo Geografico, di seguito indicato con l’acronimo GIS, dell’Ente Parco.
Nello specifico le carte utilizzate vengono di seguito elencate, con descrizione
sommaria delle modalità seguite per la loro realizzazione ed un breve commento:
o Carta delle isoiete Scala 1:50.000
Per la costruzione di questa carta è stata utilizzata la carta idrologica dell’Italia
Centrale. Tale carta ben rappresenta la diversità orografica e ombrotermica che
caratterizza l’area studiata. A tal proposito è stato possibile individuare 3 ambiti
territoriali distinti: ambito caratterizzato da piovosità relativamente scarsa (tra i 600
e gli 800 mm), ambito caratterizzato da precipitazioni comprese tra gli 800 e 1000
mm annui, ambito caratterizzato da precipitazioni oltre i 1200 mm annui.
o Carta delle isoterme Scala 1:50.000
Per la costruzione della carta delle isoterme sono state individuate isoterme a
5°C, 10°C e 15°C, sulla base dell’intervallo dei dati di temperatura media presenti
nelle stazioni del territorio del Parco.
o Carta delle unità fitoclimatiche Scala 1:50.000 L’analisi integrata dei dati termopluviometrici e delle tipologie vegetali reali e
potenziali ha permesso di riconoscere 5 unità fitoclimatiche per il territorio del
parco: collinare umido, collinare subumido, montano umido, montano iperumido e
subalpino.
Eventi particolari come gli incendi, il disboscamento, il taglio possono modificare i
limiti altitudinali delle serie naturali nei diversi piani. Allo stato attuale la morfologia
e i parametri termici e pluviometrici individuano i confini delle unità fitoclimatiche
che rappresentano la potenzialità biologica del territorio.
o Carta dell’uso del suolo Scala 1: 25.000
Questa cartografia è sta realizzata integrando per il territorio del Parco, la vecchia
carta dell’uso del suolo realizzata secondo lo standard Corine Land Cover della
Regione Abruzzo, ottenuta da rilievi satellitari dei primi anni novanta, con le foto
aeree di un volo IGM del 1995 in scala approssimativa 1:25.000 e le ortofotocarte
18
della Regione Abruzzo in scala 1:10.000, ed effettuando una serie di verifiche e
riscontri sul campo da parte di operatori specializzati. Contiene 24 unità
cartografiche delle 43 individuate dal Corine Land Cover – IV° livello.
Interessante ai fini della gestione forestale, l’individuazione delle varie tipologie di
rimboschimento e la distinzione tra cedui e fustaie.
o Carta fitosociologica Scala 1:25.000 Rappresenta la cartografia più congrua per l’acquisizione delle diverse
informazioni, infatti gli aggruppamenti vegetazionali sono collegati con i vari fattori
ambientali di tipo climatico, microclimatico, edafico ed antropico. Inoltre a questo
tipo di indagini sono associate le indagini dinamiche che permettono di
evidenziare le variazioni che si verificano nella vegetazione con il trascorrere del
tempo. Le tipologie fitosociologiche riportate nella carta sono 21.
o Carta delle aree ad alta valenza geobotanica Scala 1: 50.000 Con questa carta vengono messe in evidenza le aree ad alto valore biogeografico
per la presenza di singoli elementi floristici o di fitocenosi peculiari. Vi sono
riportate 12 unità cartografiche con l’elenco degli elementi floristici di pregio.
o Carta della naturalità Scala 1:50.000
Questa carta mette in evidenza oltre ad aspetti legati alla vegetazione naturale
potenziale, anche il valore biogeografico e la ricchezza in specie. Vengono
individuate 4 classi di naturalità degli ambienti.
Il grado di naturalità è legato anche al numero di Habitat di Importanza
Comunitaria e nazionale.
o Carta fisionomica Scala 1:25.000
Rappresenta il documento di base per tutte le valutazioni ambientali. In questa
cartografia viene evidenziata la presenza della vegetazione legnosa, circa il 50%
tra boschi, cespuglieti e aree con vegetazione boschiva ed arbustiva in
evoluzione. Vi sono messe in evidenza inoltre anche le superfici artificiali e le
superfici agricole utilizzate. Oltre a questi elementi la carta fisionomica mette in
risalto le principali categorie dell’uso del suolo.
o Carta delle utilizzazioni forestali Scala 1:25.000
La carta delle utilizzazioni forestali risulta essere la sintesi della carta dell’uso del
suolo descritta in precedenza e della cartografia dei Piani di assestamento dei
comuni dotati di tale strumenti, integrata da verifiche a terra condotte da
personale esperto.
19
o Carta della frammentazione delle formazioni forestali e degli ambiti di
deframmentazione Scala 1:50.000 Riassume la situazione dello stato della copertura forestale dove il termine
frammentazione sta ad indicare la comparsa di soluzioni di continuità delle cenosi
forestali.
La superficie boscata è stata suddivisa in tre categorie distinte: popolamenti
frammentati in nuclei di superficie inferiore a 25 ha, popolamenti compresi tra i 25
e 100 ha e popolamenti a scarso rischio di frammentazione con nuclei di
superficie maggiore a 100 ha.
Le cause del fenomeno possono essere di origine naturale o il risultato di un
processo di intensa antropizzazione (es. incendi, pascolo ecc.).
2. Dati e cartografie realizzate di recente dall’Ente Parco attraverso l’elaborazione
del Modello Digitale del Terreno (DTM) passo 40 m fornito dalla Regione Abruzzo:
o Carta delle pendenze dei versanti - Scala 1: 50.000 Questa cartografia è di notevole importanza perché la pendenza dei versanti
influisce in maniera diretta sulla rapidità di propagazione delle fiamme, che
aumenta all’aumentare della pendenza. La legenda utilizzata è la seguente:
Classi di pendenza in gradi Descrizione
0° - 12° Bassa
12° - 24° Poco elevata
24° - 36° Media
36° - 48° Elevata
> 48° Molto elevata
o Carta delle esposizioni dei versanti in Scala 1:50.000
Questa cartografia è importante perché l’esposizione dei versanti è un parametro
indicatore di dell’irraggiamento solare e quindi della temperatura e
dell’umidità, fattori fondamentali nello scatenarsi e nel propagarsi degli
incendi. La legenda utilizzata è la seguente:
20
Classi di esposizione in gradi Descrizione
0 – 22.5; 337.5 – 360 Nord
22.5 – 67.5 Nord Est
67.5 – 112.5 Est
112.5 – 157.5 Sud Est
157.5 – 202.5 Sud
202.5 – 247.5 Sud Ovest
247.5 – 292.5 Ovest
292.5 – 337.5 Nord Ovest
3. Informazioni e dati relativi agli incendi, alle strutture e ai manufatti utilizzabili per
contrastare il fenomeno forniti dai comandi stazione forestale del CTA e dai Comuni
del Parco e già inseriti nel GIS dell’Ente Parco; 4. Dati prodotti dalla Regione Abruzzo, costituiti nella fattispecie dal “Piano Regionale di Difesa dei Boschi dagli Incendi e di Ricostituzione delle Foreste
– seconda stesura – luglio ‘95”.
Di seguito si riportano, inoltre, nel dettaglio le cartografie inserite negli allegati al
presente piano e le fonti utilizzate per la loro realizzazione:
A. Carta degli ambienti prioritari da difendere L’elaborato riporta il perimetro dei Siti di Importanza Comunitaria localizzati
all’interno del perimetro del Parco ed è stato realizzato utilizzando i dati a
disposizione del GIS dell’Ente Parco.
B. Carta degli incendi I dati sono stati forniti su cartografia in scala 1:25.000 dai Comandi Stazione
Forestale del Coordinamento Territoriale Ambientale del Parco.
L’elaborato prodotto riporta gli incendi avvenuti dal 1997 al 2004 con circoli di
raggio crescente con l’estensione del fenomeno.
C. Carta della vulnerabilità delle formazioni forestali, ambienti naturali e coltivazioni agricole Questo elaborato è scaturito dall’analisi dei dati della Carta delle Utilizzazioni
forestali, della Carta fisionomica della vegetazione e della Carta dell’uso del suolo,
disponibili all’interno del GIS dell’Ente Parco.
Le 5 classi di vulnerabilità utilizzate sono state così definite:
I^ CLASSE – Vulnerabilità molto elevata
21
La classe comprende gli arbusteti (formazioni a pino mugo, arbusteti altomontani,
arbusteti collinari submontani, arbusteti montani, pascoli e garighe collinari e
montani spesso situati su superfici rocciose e caratterizzati dalla presenza di arbusti
sparsi), i boschi di neoformazione (aree con vegetazione boschiva ed arbustiva in
evoluzione); boschi di conifere e boschi misti di conifere (nuclei di pino nero
laricio di Fara San Martino, rimboschimenti a prevalenza di conifere).
II^ CLASSE – Vulnerabilità elevata
La classe comprende i boschi cedui quercini e misti (boschi a dominanza di
roverella, boschi a prevalenza di leccio, Boschi a dominanza di cerro governati a
ceduo)
III^ CLASSE – Vulnerabilità media
La classe comprende i boschi a prevalenza di faggio governati a ceduo.
IV^ CLASSE – Vulnerabilità bassa
Comprende i boschi a prevalenza di faggio governati a fustaia. V^ CLASSE – Vulnerabilità nulla Comprende le aree nude con roccia e vegetazione rada o assente.
D. Carta della vulnerabilità stagionale legata agli interventi in agricoltura Questo elaborato è stato realizzato attraverso l’analisi dei dati della Carta dell’uso
del suolo, già disponibili all’interno del GIS dell’Ente Parco.
Sono state definite due aree la cui vulnerabilità è di carattere stagionale ed è legata
alle attività agricole che vi vengono svolte nel corso dell’anno. In particolare sono
stati presi in considerazione il periodo delle potature (autunno-inverno) e quello in
cui vengono bruciate le stoppie (estate).
E. Carta della vulnerabilità antropica Questo elaborato è stato prodotto utilizzando i dati inseriti nel GIS del Parco.
Con questa carta sono stati messi in evidenza i punti e le aree di possibile innesco
d’incendio; sono state quindi riportate tutte le aree di intensa attività antropica nei
quali si possono innescare seppure accidentalmente degli incendi: - aree picnic; -
campeggi; - discariche; - cave attive; - linee ferroviarie; - centri abitati per una fascia
di 500 m dagli stessi; - strade asfaltate per una fascia di 100 m dal bordo strada.
F. Carta della vulnerabilità associata alle pendenze Come già detto, dall’elaborazione del Modello Digitale del Terreno (DTM) passo 40
m, richiesto alla Regione Abruzzo, è stata ottenuta la Carta delle pendenze dei
versanti; tale elaborazione è stata operata con l’estensione Spatial Analyst di
22
ArcView GIS. La pendenza facilita l’avanzamento del fuoco verso le zone più alte,
pre-riscaldando per convenzione i combustibili sovrastanti non ancora interessati
dalle fiamme. Per questa ragione è stata fatta una riclassificazione della carta
suddetta, associando alle varie classi di pendenza la vulnerabilità legata al
fenomeno appena descritto, al fine di ottenere una Carta della vulnerabilità associata alle pendenze, sulla base di quanto riscontrato al riguardo in bibliografia
(Chuvieco et al. 1994) rielaborato.
Tale riclassificazione è stata operata secondo la seguente tabella:
Pendenza in gradi Vulnerabilità associata alla pendenza 0-12 Molto bassa
12-24 Bassa
24-36 Media
36-48 Alta
> 48 Molto alta
G. Carta della vulnerabilità associata alle esposizioni Sempre dall’elaborazione del Modello Digitale del Terreno (DTM) passo 40 m della
Regione Abruzzo è stata ottenuta anche una Carta delle esposizioni dei versanti;
tale elaborazione è stata operata con l’estensione Spatial Analyst di ArcView GIS.
L’esposizione è un parametro indicatore dell’irraggiamento solare e quindi della
temperatura e dell’umidità. Per questa ragione è stata operata una riclassificazione
della carta suddetta, associando alle varie classi di esposizione la vulnerabilità
legata al fenomeno appena descritto, al fine di ottenere una Carta della vulnerabilità associata alle esposizioni sulla base di quanto riscontrato al
riguardo in bibliografia (Chuvieco et al. 1994) rielaborato.
Tale riclassificazione è stata operata secondo la seguente tabella:
Classi di esposizione dei versanti
Vulnerabilità associata all’esposizione
N Molto bassa
NO Bassa
NE Media
O – S – E Alta
SO –SE Molto alta
23
H. Carta di sintesi della vulnerabilità del territorio Le cartografie della vulnerabilità associata alle formazioni naturali e ai
rimboschimenti, integrata con le aree occupate dalle colture agrarie, dalle pendenze
ed esposizioni, dopo essere state riclassificate attraverso gli strumenti dell’analisi
GIS raster, associando i rispettivi punteggi di vulnerabilità, sono state sovrapposte
per elaborare una carta di sintesi. L’analisi è stata condotta tenendo conto di una
cella di lato 40 m.
Per quanto riguarda le colture agrarie, queste sono state inserite all’interno della
carta della vulnerabilità delle formazioni naturali e associate alla classe di minore
vulnerabilità (classe V).
Una volta ottenuta la carta di sintesi, la stessa è stata riclassificata individuando 3
classi di vulnerabilità: bassa, media e alta.
Vulnerabilità formazioni naturali
Vulnerabilità pendenze
Esposizioni vulnerabilità territorio
V (1)
Molto bassa (1)
Molto bassa (1)
bassa (da 3 a 6)
IV (2)
Bassa (2)
Bassa (2)
III (3)
Media (3)
Media (3)
media
(da 7 a 10)
II (4)
Alta (4)
Alta (4)
I (5)
Molto alta (5)
Molto alta (5)
alta
(da 11 a 15)
I. Carta delle strutture di servizio necessarie per la lotta agli incendi Questo elaborato è scaturito dall’analisi di dati presenti nel GIS del Parco, integrati
con altri dati appositamente forniti dal CTA. L’obiettivo della carta è quello di
mettere in evidenza le strutture di servizio disponibili per organizzare la lotta attiva
agli incendi. A questo proposito sono state inserite: -la viabilità principale
(autostrade e strade principali); -la viabilità di servizio; -le sorgenti principali e altri
punti di approvvigionamento idrico; -i punti di avvistamento; -i rifugi; -le piazzole per
l’atterraggio di elicotteri.
J. Carta del rischio statico del territorio nel periodo estivo Come già ampiamente rilevato in precedenza, la carta di sintesi della vulnerabilità
del territorio ottenuta resta comunque una sommatoria di dati statici; pertanto, come
primo approccio alla realizzazione di una carta del pericolo agli incendi del territorio
24
si è stabilito di realizzare una cartografia relativa al periodo estivo di massima
vulnerabilità al fenomeno.
Nello specifico, si è stabilito di attribuire ai seminativi, all’interno della carta di sintesi
della vulnerabilità del territorio, il massimo del valore di vulnerabilità e di
sovrapporre alla carta ottenuta i dati relativi alla vulnerabilità antropica, attribuendo
anche a questi una valutazione analoga.
Nel caso di elementi puntiformi, ad esempio aree picnic o campeggi, si è attribuito il
valore di vulnerabilità massimo anche alle aree di buffer individuate all’intorno dei
citati punti.
Anche nel caso di elementi lineari, ad esempio le infrastrutture viarie e ferroviarie, si
è attribuito il massimo valore alle aree di buffer individuate ai due lati della stessa
(buffer di 100 m su ciascun lato).
Allo stato attuale sono in corso le attività di verifica dell’utilità e applicabilità di
modelli statistici e delle tecniche di elaborazione cartografica dei dati a disposizione,
che si conta di portare a compimento entro l’anno.
K. Statistiche sul fenomeno. L’indagine statistica è stata effettuata utilizzando i dati storici contenuti nel “Piano
Regionale di Difesa dei Boschi dagli Incendi e di Ricostituzione delle Foreste” –
seconda stesura – luglio 1995, integrata dai dati sul fenomeno nel Parco disponibili
dal 1997 al 2007.
3. Analisi statistica Per la valutazione dei caratteri specifici che assume il fenomeno degli incendi
all’interno del territorio del Parco sono state utilizzate due differenti fonti di dati: -la
prima, ricavata estrapolando i dati del Piano Regionale di Difesa dei Boschi dagli
Incendi e di Ricostituzione delle Foreste del 1995, costituita dal numero degli
incendi, riportati per Comune, anno e mese, verificati nel territorio amministrativo
dei Comuni del Parco, per il periodo 1975-1993 (19 anni);
-la seconda, realizzata dall’Ente Parco, per il periodo 1997-2007 (11 anni), relativa
però al solo territorio amministrativo degli stessi Comuni ricompreso all’interno del
Parco Nazionale della Majella, si riferisce, oltre che al numero di eventi per
Comune, anche alle superfici ed ai perimetri delle aree incendiate.
Questi ultimi dati sono stati forniti dal CTA del Parco per il tramite dei comandi
stazione forestale, in parte attraverso le schede AIB/FN prodotte dal CFS, che sono
25
state fornite all’Ente Parco a partire dal 2005. Relativamente a queste ultime, sono
stati acquisiti anche gli estremi delle particelle catastali interessate, ad eccezione di
quelle relative agli eventi del 2007, che solo in parte sono state individuate dai
comandi stazione forestale del CTA, i quali, per gli eventi di maggiori dimensioni,
dopo aver delimitato il perimetro di tutte le aree incendiate, hanno rimandato ai
Comuni interessati il rilievo delle particelle catastali incendiate.
I risultati vengono riportati in maniera analitica, sotto forma di tabelle ed elaborati
grafici, nell’ALLEGATO I.
Malgrado le differenze sostanziali esistenti fra le due serie di dati, le elaborazioni
effettuate hanno fornito interessanti riscontri e informazioni, utili alla definizione
delle attività di prevenzione da adottare nel presente piano.
3.1 Ampiezza del fenomeno In generale dai dati del vecchio Piano Antincendio Regionale si evidenzia che i
Comuni nei quali si riscontra una maggiore presenza del fenomeno sono localizzati
per buona parte nella Provincia di Pescara, con epicentro in Caramanico Terme
(110 eventi, n. 5,7 incendi/anno), Bolognano (47 eventi, n. 2,5 incendi/anno) e
Popoli (36 eventi, n. 1,9 incendi/anno), seguita dal gruppo del Chietino:
Guardiagrele (20 eventi, n. 1 incendi/anno), Rapino (18), Pretoro (17) e Pizzoferrato
(21 eventi, n. 1,1 incendi/anno), Palena (16), Lama (14), Ateleta (12) e Gamberale
(10). Il territorio della Provincia dell’Aquila è quello caratterizzato dal minor numero
di incendi, in tutto 56 eventi in 19 anni (in media 2,9 eventi/anno su 12 Comuni, 0,2
eventi/anno/Comune). I Comuni dove il fenomeno per il periodo interessato è
totalmente assente sono: Cansano e Palombaro.
Se confrontiamo questi dati con quelli relativi agli undici anni di vita del Parco,
l’elemento che risalta con maggiore evidenza è costituito dalla generale riduzione
del numero degli incendi, che risulta ancora più marcata a seguito della totale
assenza di eventi avvenuta negli anni 2002, 2004 2005 e della limitata entità degli
stessi che si è verificata negli altri anni, con l’esclusione degli anni 2000, 2001 e da
ultimo del 2007, che rappresenta a questo riguardo insieme al 2000, sicuramente
l’annata più critica dell’intero periodo e certamente una delle peggiori in assoluto,
non solo per questi territori, ma per l’intera regione e a livello nazionale. L’analisi dei
dati evidenza che nella Provincia di Pescara come in quella di Chieti il numero degli
incendi si è ridotto in maniera sostanziale passando rispettivamente da 18,79 a 5,36
26
e da 7,63 a 1,64 incendi/anno. Lo stesso fenomeno, anche se meno accentuato in
considerazione della limitata presenza del fenomeno sul territorio, ha interessato la
Provincia dell’Aquila, nella quale si è passati da 2,9 a 1,36 incendi/anno.
Per poter avere un quadro certo ed esaustivo della dinamica territoriale del
fenomeno sarebbe stato necessario verificare i dati ora elencati con quelli delle
porzioni di territorio dei Comuni del Parco esterne all’area protetta riportati nel Piano
Antincendio Regionale, che però ad oggi non è stato mai realizzato. Tuttavia, pur se
con tutte le cautele del caso, è possibile estrapolare alcune evidenze:
• l’istituzione del Parco ha creato una maggiore attenzione verso il territorio da
parte della popolazione, fenomeno evidente soprattutto nel pescarese, dove interi
Comuni sono ricompresi all’interno del Parco;
• anche nelle aree dove il fenomeno degli incendi si presenta contenuto, come in
provincia dell’Aquila, si riscontrano differenze fra prima e dopo l’istituzione del
Parco;
• probabilmente il ridotto numero di incendi riscontrati in buona parte dei Comuni
della provincia di Chieti risente anche della particolare morfologia del versante
orientale della Majella, caratterizzato dalla presenza di alti rilievi con elevate
pendenze e di zone scarsamente o per niente interessate da attività antropiche, che
non sia l’allevamento estensivo di ovicaprini;
• la Provincia di Pescara si presenta come una delle più sensibili del territorio del
Parco, con i territori dei Comuni di Caramanico Terme (2,18 incendi/anno) e
Lettomanoppello (0,91 incendi/anno).
3.2 Distribuzione mensile L’analisi della ripartizione mensile degli incendi presenta aspetti molto interessanti;
infatti, se ci riferiamo ai dati riportati nel vecchio piano antincendio della Regione
Abruzzo si osserva che, complessivamente per i 19 anni analizzati, i mesi in cui si
sviluppano meno incendi boschivi sono quelli di maggio (5 eventi), novembre (7) e
dicembre (9). All’opposto il mese in cui si osserva una maggiore recrudescenza del
fenomeno è agosto (151 eventi, n. 7,9 incendi/anno) seguito da marzo (101 eventi,
n. 5,3 incendi/anno) e settembre (87 eventi, n. 4,6 incendi/anno).
Nel complesso il trimestre più a rischio è quello di luglio (67 eventi, n. 3,5
incendi/anno), agosto (151) e settembre (87), seguito da febbraio (42 eventi, n. 2,2
incendi/anno), marzo (101 n. 5 incendi/anno) e aprile (39 eventi, n. 2 incendi/anno).
27
Quest’ultimo dato evidenzia come all’interno dell’area protetta, oltre alle cause
dolose (piromani) e colpose (cicche di sigarette, fuochi accesi da turisti, ecc.),
l’agricoltura, anche se presente in maniera limitata all’interno del territorio del Parco,
esercita fra febbraio e marzo comunque un ruolo sullo sviluppo del fenomeno degli
incendi, attraverso la pratica di bruciare i residui della potatura dei fruttiferi (oliveti e
vigneti) alla quale si associa spesso quella deleteria della “ripulitura” del campo,
attraverso l’allontanamento dai bordi e dalle scarpate dei terreni degli arbusti
(soprattutto rovi, spini, ecc.) che lì sono confinati.
Il periodo critico principale è quello compreso fra la fine di luglio ed il mese di
agosto nelle zone più basse del Parco, localizzate principalmente in Provincia di
Pescara, quando si bruciano le stoppie prima di effettuare le lavorazioni del terreno
propedeutiche alle semine autunnali.
L’analisi dello stesso dato per gli ultimi undici anni di vita del Parco e per il solo
territorio ricompreso all’interno dell’area protetta, escludendo nella sostanza quindi
la quasi totalità dei terreni agricoli dei Comuni della provincia di Chieti e l’Aquila,
mostra come nei mesi di gennaio e aprile il fenomeno degli incendi sia nullo, mentre
in giugno ed in dicembre lo stesso si manifesti con intensità minime (1 evento),
insieme a maggio e novembre (2 eventi) e settembre (5 eventi). I mesi in cui si
manifesta con maggior frequenza il fenomeno si confermano agosto (32 eventi, n.
2,91 incendi/anno), luglio (25 eventi, n. 2,27 incendi/anno) e marzo (10 eventi, n.
0,91 incendi/anno).
3.3 Superfici interessate il fattore ponderale relativo alla superficie totale interessata dagli incendi costituisce
un dato di estremo interesse per poter comprendere appieno i caratteri specifici del
fenomeno all’interno del Parco. Al riguardo, mentre per il periodo 1975-93 non
abbiamo dati a disposizione, per gli undici anni (1997-2007) è possibile verificare le
dimensioni e la pericolosità del fenomeno.
In questo ultimo periodo, nel complesso, le superfici interessate dagli incendi
assommano a 3.949,32 ha, con una media annua pari a 359,03 ha. La provincia più
colpita è stata quella di Pescara con 2.723,67 ha, seguita da Chieti (1.185,04 ha) e
l’Aquila, con soli 40,61 ha. Si noti in proposito che nella Provincia di L’Aquila non si
sono in buona sostanza verificati incendi negli ultimi 6 anni.
28
I dati fin qui esposti risultano fra loro fortemente disomogenei a causa di tre eventi
eccezionali che hanno interessato il territorio, due dei quali avvenuti nell’arco di
circa un mese l’uno dall’altro:
• il primo costituito dall’incendio scoppiato in alta quota per cause naturali (un
fulmine) nell’agosto 2000 e che da solo ha interessato una superficie di 1125 ha
nel territorio dei Comuni di Lama dei Peligni, Fara S. Martino, Civitella M.
Raimondo e Taranta Peligna, tutti in provincia di Chieti;
• gli altri due avvenuti il 22 luglio ed il 30 agosto 2007, di origine dolosa, avvenuti
in una situazione meteorologica eccezionalmente torrida e siccitosa che ha
interessato non solo il territorio del Parco ma anche l’intera Regione Abruzzo, e
che hanno interessato rispettivamente 1.730 ha nei Comuni di Lettomanoppello,
Roccamorice, Serramonacesca e Manoppello e 574 ha nei Comuni di S.
Valentino A.C., Abbateggio e Caramanico Terme.
• se si escludono questi tre eventi eccezionali, che da soli hanno interessato una
superficie di 3.429 ha su un totale per il periodo di 3.949 ha, l’estensione
complessiva degli incendi nell’area protetta sarebbe limitata.
Il rapporto complessivo della superficie incendiata negli ultimi 11 anni rispetto alla
superficie totale del Parco è pari a 5,33%. In media tale rapporto si è assestato per
il periodo allo 0,48%.
L’estensione maggiore degli incendi si riscontra nei Comuni di Lama dei Peligni
(975,00 ha), Roccamorice (960,57 ha), Lettomanoppello (700,64 ha) Caramanico
Terme (458,64 ha) e S. Valentino in A.C. (304,00 ha).
L’analisi della distribuzione mensile del fenomeno evidenzia come il periodo più
interessato dalla presenza degli incendi è quello che va da luglio (1.932,34 ha) ad
agosto (1.885,48 ha), quasi tutti concentrati a luglio in Provincia di Pescara
(Roccamorice, Lettomanoppello e Caramanico Terme), ad agosto in Provincia di
Pescara (Caramanico Terme e S. Valentino in A.C.) e Chieti (Lama dei Peligni).
Altro picco si osserva nel periodo febbraio (41,56 ha) e marzo (43,77 ha). Questi
ultimi dati confermano quanto anticipato in precedenza relativamente al ruolo
svolto dall’agricoltura sullo sviluppo del fenomeno all’interno dell’area protetta,
soprattutto per quanto riguarda il periodo delle potature e delle lavorazioni
primaverili.
Come già rilevato in precedenza è di tutta evidenza che i dati fin qui presentati
hanno una utilità limitata, a causa dell’assenza di informazioni sugli eventi che
29
hanno interessato le restanti porzioni del territorio dei Comuni del Parco localizzate
all’esterno dell’area protetta e che dovrebbero essere invece tutti riportati nel “Piano
Regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi” che
dovrebbe essere predisposto dalla Regione Abruzzo.
In proposito sappiamo di certo che negli ultimi anni diversi incendi, anche di
discrete dimensioni, hanno interessato queste ultime aree, uno per tutti quello
avvenuto nel 2002 in Comune di Popoli e nel 2007 a Palombaro, Fara S.M. e
Civitella M.R. che fortunatamente ha solo lambito il perimetro esterno del Parco.
Tuttavia, pur in assenza di dati complessivi sul fenomeno degli incendi in Abruzzo,
si ritiene di poter affermare che l’istituzione e la presenza del Parco ha dato luogo
ad un decremento in numero degli incendi boschivi nel territorio.
Evidentemente nelle popolazioni locali la montagna mantiene una forte centralità,
non solo per le attività che vi si conducono (zootecnia) o per le risorse che
assicurano ai bilanci familiari (una fra tutte la legna di uso civico), ma anche e
soprattutto per la presenza di un forte valore affettivo e culturale radicato da sempre
nel tessuto sociale.
3.3.1 analisi degli eventi più rilevanti Rispetto a quanto fin qui rilevato, è importante rilevare che le attività di previsione e
prevenzione fin qui attuate in condizioni normali, se si escludono i tre eventi
eccezionali citati e che da soli hanno interessato una superficie di 3.429 ha su un
totale per tutto il periodo di attività del Parco di 3.949 ha, si sono dimostrate efficaci.
Questi tre eventi eccezionali, per le superfici interessate hanno costituito quindi un
serio pericolo per l’area protetta e necessitano pertanto di un supplemento di
indagine, per verificare possibili indicazioni utili per la comprensione del fenomeno
nel Parco.
Nell’evento del 2000 la causa scatenante fu costituita da un fulmine che si abbatté
in una zona di pascolo di alta quota non accessibile ai mezzi, a seguito del quale, a
differenza di quanto accade normalmente in queste circostanze, non seguì un
temporale, ma dopo un periodo di calma di circa 12 ore, durante il quale il
personale del CFS e del Parco mandato sul posto per le operazioni di spegnimento
era quasi riuscito nell’intento, quando si levò un vento fortissimo in zona
provocando una repentina ripresa del focolaio che si sviluppò in maniera
consistente per parecchio tempo anche a causa del persistere del vento nell’area
30
per diverse giornate e dell’assenza nelle prime fasi dell’evento di un supporto aereo
alle operazioni di spegnimento.
Il 22 luglio 2007 la causa scatenante l’incendio, iniziato nel primo pomeriggio (ore
15.00) in località Macchie di Coco nel Comune di Roccamorice, che si è sviluppato
in un rado arbusteto basso posto ai bordi della strada che da Roccamorice porta
all’Eremo di S. Liberatore a Majella, è stata presumibilmente di tipo doloso. L’area
incendiata in meno di 1 ora fu raggiunta dal personale ausiliario del Parco che nel
pomeriggio aveva provveduto a spegnerlo. Sul posto fu quindi lasciata dal CTA del
Parco per la bonifica dell’area una squadra di volontari della Protezione Civile della
Regione Abruzzo che, dopo aver effettuato la bonifica dell’area, abbandonarono la
posizione poco prima che si levasse un vento fortissimo e caldo che riattivò il
focolaio, che in poco tempo si sviluppò lungo il versante della montagna attaccando
da un lato i pascoli totalmente secchi a causa della lunga siccità e così
espandendosi su vaste aree del massiccio, mentre dall’altro espandendosi lungo il
versante a Sud della Valle di S. Spirito, fino all’impluvio occupato per intero da
boschi di faggio ed in minor misura da pinete artificiali, soprattutto nelle aree a
maggiore pendenza. Anche in questo caso il vento caldo intenso e persistente che
si è mantenuto nella zona per diversi giorni, insieme alla totale assenza del
supporto di mezzi aerei per contrastare l’incendio che si sviluppava su più fronti,
verso l’alto (zona abitata di Passo Lanciano), il basso, fino a lambire l’abitato di
Roccamorice e a nord in prossimità di Lettomanoppello, ha avuto un ruolo
fondamentale nello sviluppo della dinamica dell’evento.
Anche nel caso dell’evento del 30 agosto del 2007, iniziato alle ore 11.50 in località
Colle Arena nella frazione Scagnano del Comune di Caramanico, la causa di
innesco dell’incendio è stata presumibilmente di tipo doloso; infatti nei giorni
precedenti ci sono stati diversi focolai che si sono originati lungo la strada statale,
nel tratto compreso fra Caramanico Terme e S. Valentino A.C. Nel momento in cui
è partito il fuoco spirava un vento fortissimo in direzione SO che è durato
ininterrottamente per una intera giornata e che ha causato una impressionante
espansione e moltiplicazione dei focolai, anche su fronti separati e distanti, per la
gran parte localizzati in aree antropizzate costituite da un reticolo di case e aziende
agricole sparse in un tessuto frammentato, costituito da coltivi, oliveti, boschi,
arbusteti, siepi, boschetti di ripa, ecc.. Terminato il vento la situazione si è andata in
31
breve tempo normalizzando e l’incendio è stato spento alle ore 21.00 del giorno
dopo.
La descrizione degli eventi ora rappresentata induce a sviluppare una serie di
riflessioni:
• normalmente le attività di prevenzione e primo intervento sviluppate dal Parco e
dal CFS sono efficaci. In questo contesto è fondamentale l’immediatezza, la
rapidità e l’efficacia dell’azione, frutto di elevata capacità operativa;
• il contributo dei volontari della protezione civile alle attività di prevenzione e primo
intervento organizzate in forma coordinata dalle strutture dell’Ente Parco e del
CTA è nullo, in considerazione del fatto che questi sono alle esclusive dipendenze
della Sala operativa centrale della Regione, che come si è già detto opera in
maniera totalmente autonoma e senza coordinamento alcuno con l’Ente Parco;
• il vento forte e persistente è sicuramente la causa principale che influisce in
maniera sostanziale sulla dinamica dell’evento;
• i fulmini in alta quota e negli ambienti naturali costituiscono il fattore naturale
principale di innesco degli incendi;
• quando gli incendi riescono a raggiungere le aree di pregio naturalistico del Parco,
a causa della grande e compatta estensione del territorio da queste occupato,
possono produrre una quantità di danni elevata, anche in considerazione delle
serie difficoltà che si riscontrano nel contrastarli.
• il supporto dei mezzi aerei nelle aree naturali del parco, caratterizzate da assenza
di viabilità, discrete pendenze, presenza di ecosistemi naturali, è fondamentale,
sia per la possibilità di intervenire direttamente attraverso il lancio diretto di acqua
e/o ritardante sull’incendio, che di far arrivare in tempi rapidi in prossimità
dell’incendio personale addetto allo spegnimento e bonifica dello stesso.
In questo contesto è di estrema importanza sviluppare per il futuro una capillare ed
efficace azione di prevenzione e di contrasto, tale da impedire all’incendio di
svilupparsi e raggiungere le aree di pregio naturalistico, nelle quali è
particolarmente difficile intervenire con la lotta attiva, poiché normalmente sono
caratterizzate da una morfologia complessa, da una accessibilità mediocre e da un
elevata accidentalità del terreno. Quando il fuoco raggiunge queste aree è
importante disporre di mezzi aerei anche per il trasporto rapido del personale
addetto allo spegnimento e bonifica dello stesso, dotato di elevata capacità
operativa e fortemente motivato.
32
3.4 Formazioni vegetali percorse dal fuoco A completamento dei dati statistici riportati, vengono di seguito analizzati i dati sulle
tipologie vegetazionali interessate dal fenomeno.
La superficie percorsa dal fuoco negli undici anni di riferimento vede come
formazione vegetale maggiormente interessata i pascoli, con una superficie
complessiva pari al 48,39% (1911 ha) della superficie totale. I soprassuoli forestali,
nella loro diversa composizione specifica, hanno rappresentato il 20,89% (825 ha)
del dato globale. Più ampia la superficie percorsa per i boschi di latifoglie (494 ha);
senz’altro di rilievo anche il dato sulle pinete e le altre formazioni a prevalenza di
conifere (320 ha), tutte di origine artificiale, anche considerata la più contenuta
diffusione di questi ultimi popolamenti e in considerazione della concentrazione del
fenomeno solo in alcune aree dell’area protetta.
Tutti i dati di dettaglio sono riportati nell’ALLEGATO K.
4. Obiettivi prioritari da difendere Parlare di obiettivi prioritari da difendere dagli incendi in un’area protetta si può
ritenere a ragione un controsenso; nel caso del Parco Nazionale della Majella, in
particolare, la cosa appare ancora più contraddittoria nella sua evidenza, per il fatto
stesso che l’intero territorio del Parco è ricompreso all’interno di una Zona di
Protezione Speciale ai sensi della Direttiva 79/49/CEE e che buona parte del
territorio dell’area protetta (45.410 ha - 61,29%, è localizzato all’interno di Siti di
Importanza Comunitaria individuati ai sensi della Direttiva Comunitaria “Habitat” n.
43/92/CEE ( ALLEGATO A).
5. Modello organizzativo La legge quadro in materia di incendi boschivi all’articolo 8 stabilisce che gli enti
gestori delle aree protette per il territorio di competenza attuano esclusivamente le
attività di previsione e prevenzione, mentre quelle di lotta attiva sono organizzate e
svolte esclusivamente dalle Regioni. Ciò premesso, la struttura che l’Ente Parco
attiverà per l’organizzazione delle attività di prevenzione da porre in essere sul
terreno e, in caso di incendio, per assistere al meglio il responsabile delle attività di
spegnimento, sarà costituita dal personale dell’Ufficio Tutela Valori Naturali ed
Ambientali dell’Ente Parco che organizzerà il personale dell’Ente e/o gli ausiliari
assunti durante il periodo estivo per la sorveglianza e lo spegnimento di incendi e
33
l’attività delle due centrali operative di videosorveglianza antincendio del Parco
dislocate: per il settore nord, che ricomprende per intero la Provincia di Pescara, a
S. Eufemia a Majella presso il Centro di Visita del Parco annesso al Giardino
Botanico; per il settore meridionale a Pizzoferrato, presso il nuovo Centro Visita del
Parco e che entrerà in funzione nell’estate 2008.
A questo personale si affiancheranno le Guardie Ecologiche Volontarie del Parco
Nazionale della Majella non appena queste saranno costituite a seguito
dell’espletamento del corso di prossima attivazione da parte dell’Ente del Parco e
del giuramento nelle mani del Prefetto. Verosimilmente le GEV non potranno essere
utilizzate prima della stagione estiva 2009.
In ogni centrale operativa sarà collocata anche una postazione GIS ed una copia
cartacea della cartografia utilizzata per la predisposizione del presente piano
antincendio. Inoltre, nella predetta postazione, sarà posizionato, quando sarà
realizzato, anche un computer con il software dedicato alla previsione del rischio di
incendio in tempo reale (vedi paragrafo 10).
La struttura del Parco, ora descritta, per tutto il periodo di validità del presente
piano, durante i mesi critici estivi nelle aree più sensibili del territorio effettuerà una
attività continua di monitoraggio, prevenzione e primo intervento sugli incendi.
Tale attività verrà svolta in stretta collaborazione con il Coordinamento Territoriale
per l’Ambiente del Parco che, oltre a sovrintendere l’impiego del personale dei
comandi stazione del CFS posto alle sue dirette dipendenze, si occuperà di gestire
l’interfaccia operativa con la struttura del CFS che gestisce le Riserve Statali
abruzzesi.
La dislocazione del personale sul territorio verrà organizzata ordinariamente sulla
base delle informazioni e delle cartografie prodotte dal presente piano relativamente
alla vulnerabilità del territorio ed alle statistiche degli eventi.
La struttura organizzativa di contrasto agli incendi dell’Ente Parco, dopo aver
accertato la presenza o aver avuto notizia di un incendio sul territorio, invierà
immediatamente i gruppi di operatori disponibili sul luogo e comunicherà
tempestivamente tutte le informazioni sull’evento al CTA del Parco o, in alternativa
al 1515 del CFS e/o alla Sala Operativa Unificata Permanente della Regione
Abruzzo e, se del caso, direttamente al gruppo UOT del CFS di Popoli, mettendo a
disposizione del responsabile delle attività di spegnimento a terra dell’incendio, tutto
34
quello che potrà essere necessario, utile predisporre o adottare nella situazione
specifica.
II. PREVISIONE 6. Le cause determinanti e i fattori predisponenti l’incendio Le cause determinanti e i fattori predisponenti gli incendi sul territorio sono
molteplici e la loro conoscenza si rivela molto utile per poter meglio definire
l’approccio da seguire per studiare al meglio il fenomeno.
Ad una prima verifica dei dati sintetici forniti dal CTA relativamente alle cause di
incendio per il periodo 1997-2007 nel Parco, si evidenzia:
- la notevole difficoltà (1/3 degli incendi risultano non classificabili) di definire con
certezza le cause che portano allo sviluppo degli incendi, concentrata nella zona di
di competenza del comando stazione forestale di Caramanico Terme, ad eccezione
di due casi relativi a S. Eufemia a Majella;
- l’elevata incidenza delle cause dolose, 49,3% dei casi, fenomeno concentrato
nelle zone di Abbateggio, Ateleta, Lettomanoppello, Roccacasale, Roccaraso;
- la limitata incidenza delle cause naturali nell’innesco degli incendi: due soli casi,
tutti ascrivibili alla presenza di fulmini.
Anno Origine
Naturale Dolosa Colposa Non Class. 1997 4 3 1998 4 1 1999 1 2000 1 6 2 7 2001 1 9 2002 2003 2 2 2 2004 2005 2006 1 3 2007 20 6 Totale 2 37 11 25
Il quadro delle informazioni attualmente a disposizione conferma quanto finora
rilevato sulle problematiche del fenomeno nel territorio del Parco.
La causa principale degli incendi nel territorio del Parco quindi può dirsi
esclusivamente di tipo doloso e colposo. In particolare, mentre, si confermano gli
aspetti di pericolosità connessi alla presenza di “piromani” (Lettomanoppello,
35
Popoli, Caramanico T., ecc.) o di comportamenti scorretti messi in atto da turisti,
dall’altro lato un ruolo di primo piano sulla caratterizzazione del fenomeno è
esercitato dall’agricoltura, attraverso la maldestra effettuazione delle pratiche
agronomiche.
Al contempo la circostanza che gli incendi si sviluppino in zone agricole,
caratterizzate in molti casi dalla presenza di una discreta trama di strade e
carrarecce e da una ridotta pendenza, favorisce l’intervento di uomini e mezzi e
consente in genere di ridurre il danno limitando l’ampiezza delle superfici
interessate.
Tutto questo comunque non può dar luogo a facili ottimismi sulla possibilità di
contrastare agevolmente il fenomeno perché le aree agricole sono localizzate a
ridosso delle aree di maggior pregio naturalistico del Parco, Valle dell’Orfento, Valle
dell’Orta, Monti Pizi e Monte Secine, tanto per citarne alcune.
In questo contesto è necessario esercitare sempre il massimo della sorveglianza e
dell’efficienza di personale e mezzi per contrastare il fenomeno.
Le considerazioni fino a questo momento sviluppate non possono ritenersi
esaustive. La presenza dei tre eventi accaduti nel 2000 e nel 2007, quando sono
bruciati migliaia di ettari di pascoli e boschi in quota sulla Majella, evidenzia come le
cause naturali di sviluppo degli incendi all’interno del territorio del Parco, anche se
si manifestano con una frequenza ridottissima, comunque, a causa dei particolari
caratteri e morfologia del territorio e della vegetazione naturale, quando
raggiungono le aree di maggior pregio naturalistico, si possono sviluppare
rapidamente su vaste superfici a causa delle difficoltà di intervenire da parte degli
aerei e del personale a terra per contrastarli e possono produrre una quantità di
danni elevatissimi sugli ecosistemi interessati.
7. Le aree percorse dal fuoco In relazione a quanto stabilito dalla legge quadro in materia di incendi boschivi, n.
353/2000, che all’articolo 10 comma 1 stabilisce: “le zone boscate ed i pascoli i cui
soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione
diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni….E’ inoltre
vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di
strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, …
Sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attività di rimboschimento e
36
di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica
autorizzazione concessa dal Ministero dell’Ambiente, per le aree naturali protette
statali,…per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in
cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e
paesaggistici. Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle
zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia”, si è proceduto a censire
tutte le aree interessate da incendio all’interno del perimetro del Parco nel periodo
1997 – 2007 (vedi ALLEGATO B).
Tutti i dati acquisiti sono stati forniti dai comandi stazione forestale del CTA del
Parco, attraverso la trasmissione di copia delle schede AIB/FN, compreso i
perimetri delle aree incendiate e gli estremi delle particelle catastali interessate, e a
questo scopo si è provveduto a dotare ogni comando stazione forestale che fa capo
al CTA del Parco di apposito GPS.
Tale procedura è stata applicata solo in parte nel 2007, a causa della elevata
superficie interessata dagli incendi nella stagione estiva. Nell’annata in questione i
comandi stazione forestale competenti hanno solo provveduto a definire il perimetro
esterno delle aree incendiate, lasciando ai Comuni il compito di rilevare le particelle
effettivamente incendiate sulle quali gli stessi dovranno provvedere ad apporre il
vincolo previsto dalla legge.
In questo contesto si renderà indispensabile sollecitare il Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del territorio perchè intervenga presso le sedi istituzionali competenti
affinché all’Ente Parco venga trasmessa ufficialmente la documentazione relativa a
tutti gli eventi che hanno interessato l’area protetta, al pari e contestualmente agli
altri Enti territoriali e alle altre istituzioni statali alle quali queste vengono
ordinariamente indirizzate per legge.
A questo riguardo si valuterà la possibilità di costituire un gruppo di tecnici del
Parco specializzati in rilievi catastali, dotati di GPS di maggiore precisione rispetto a
quelli comuni, da affiancare al personale dei comandi stazione forestale del CTA del
Parco allo scopo di effettuare in maniera più rapida, puntuale e affidabile i rilievi
delle aree incendiate.
37
8. I periodi a rischio di incendio Sulla base delle risultanze dell’analisi storica del fenomeno riportata nel 3°
paragrafo, il periodo a maggior rischio di incendio nel territorio del Parco è costituito
dal trimestre luglio-agosto, seguito da febbraio-marzo-aprile.
L’analisi ponderale del fenomeno evidenzia però come il periodo più critico per gli
incendi è quello che va da luglio (1.932,34 ha) ad agosto (1.885,48 ha), quasi tutti
concentrati in Provincia di Pescara e Chieti. A questo riguardo un elemento di
differenziazione interessante fra le due province è dato dal numero di
incendi/Comune nei due mesi, che nel caso della Provincia di Pescara è pari
rispettivamente a 22 e 24, di molto superiore ai corrispondenti valori di Chieti, 1 e 7.
Il picco primaverile evidenziato ha una incidenza ponderale complessiva
nettamente limitata, con superficie totale incendiata negli ultimi 11 anni in febbraio e
marzo rispettivamente di 41,56 e 43,77 ha, a riprova dello scarso peso
dell’agricoltura sullo sviluppo del fenomeno all’interno dell’area protetta, legato
soprattutto al periodo delle potature e delle lavorazioni primaverili.
9. Le aree a rischio potenziale di incendio Secondo quanto riportato nello “Schema di Piano” redatto dal Ministero
dell’Ambiente, per “rischio si intende la somma delle variabili, che rappresentano la
propensione delle diverse formazioni vegetali ad essere percorse più o meno
facilmente dal fuoco. Il rischio è un fattore statico che caratterizza il territorio
nell’ambito della zonizzazione attuale. Il rischio può cambiare solo su lungo termine
e deve essere mantenuto distinto dal concetto di pericolo che è per definizione
variabile nel tempo in relazione al verificarsi di più fattori predisponenti”.
Pertanto, allo scopo di definire in modo dettagliato le aree a rischio di incendio
presenti sul territorio del Parco e il relativo livello di vulnerabilità, si è ritenuto
opportuno ripartire le stesse in classi tipologiche differenti: formazioni naturali, aree
agricole, elementi antropici. Per l’effettuazione dell’analisi, come già detto in
precedenza (paragrafo n. 2), sono state utilizzate le cartografie disponibili presso il
GIS dell’ente Parco e ne sono state in parte realizzate delle altre, come quella delle
esposizioni e delle pendenze.
9.1 Vulnerabilità degli ambienti naturali
38
Nello specifico, per quanto concerne le formazioni naturali, intese come: boschi,
formazioni arbustive e boschi di neoformazione, pascoli naturali e aree agricole con
presenze importanti di spazi naturali, sono state individuate cinque classi di
vulnerabilità, basate sostanzialmente:
- sulla assenza/presenza di due elementi, il sottobosco e lo strato occupato dalle
chiome del soprassuolo arboreo, e sulla distanza fra gli stessi;
- sulla sopravvivenza al fuoco, quindi sulla capacità delle piante di ricacciare dopo il
passaggio del fuoco.
In relazione ai parametri citati sono stati individuati cinque livelli di vulnerabilità in
ordine crescente, riportati in cartografia nell’Allegato C e di seguito descritti in
maniera analitica:
• classe I - formazioni che presentano una vulnerabilità molto elevata, nelle quali
si riscontra: una capacità di sopravvivenza al passaggio del fuoco nulla, uno strato
arbustivo denso e compatto, uno spessore discreto di sostanza morta sul terreno
(boschi di conifere, arbusteti, boschi di neoformazione);
• classe II - formazioni caratterizzate da una vulnerabilità all’incendio elevata,
nelle quali si riscontra la presenza di un sottobosco spesso e continuo e di uno
strato occupato dalle chiome degli alberi poco distanti fra loro, così da consentire
facilmente alle fiamme di espandersi anche alla chioma (boschi cedui di latifoglie
eliofile, che mal tollerano una eccessiva densità del soprassuolo arboreo e che
prediligono suoli caldi, favorendo così la presenza di uno spesso strato arbustivo -
cedui di roverella, leccio, cerro con carpino nero, orniello, ecc.);
• classe III - formazioni che presentano una vulnerabilità media, che si discostano
dai precedenti a causa di una minore distanza dello strato delle chiome dal terreno
(cedui di faggio) e da una discreta capacità di ricaccio delle piante a seguito del
passaggio del fuoco o che addirittura ne possono trarre giovamento per la
mineralizzazione della sostanza morta e per la rinnovazione (pascoli naturali);
• classe IV - formazioni che presentano una vulnerabilità bassa, caratterizzati
dalla mancanza sostanziale di uno strato continuo e consistente di sottobosco e da
una distanza massima delle chiome dal terreno, composti sostanzialmente di
fustaie composte da specie sciafile (boschi di alto fusto puri di faggio o misti con il
cerro e con le altre latifoglie);
• classe V - formazioni naturali che presentano una vulnerabilità nulla (ghiaioni di
alta quota, ecc.).
39
Il risultato di tale ripartizione, la cui rappresentazione cartografica è riportata in
ALLEGATO C, ha fornito i seguenti risultati riportati in forma percentuale rispetto
alla superficie complessiva del Parco: classe Ia 17,2%, classe IIa 5,2%, classe IIIa
15,7%, classe IVa 10,9%, classe Va 28,5%. Il totale non è pari al 100% del territorio
dell’area protetta poiché, come già detto, dall’analisi sono state escluse le aree
agricole e quelle antropizzate.
9.2 Vulnerabilità delle aree agricole In questa categoria sono state inserite tutte le colture agricole presenti nel territorio
che, all’interno del ciclo colturale, presentino una qualche fase che possa costituire
potenzialmente un momento di rischio per lo sviluppo di incendi. Per ognuna delle
colture individuate sono stati associati i periodi di rischio (vedi ALLEGATO D).
Sono stati così riportati:
• seminativi, sistemi colturali e particellari complessi, aree prevalentemente
occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali importanti e prati stabili,
a causa dell’operazione di bruciatura delle stoppie che sulla Majella avviene fra la
metà di luglio e nel mese di agosto e dell’operazione di “ripulitura”, ovvero di
bruciatura e allontanamento di arbusti e rovi dai bordi e dalle scarpate presenti nei
campi che viene effettuata nei mesi di febbraio e marzo, con una coda agli inizi di
aprile nelle annate più fredde e nelle zone più alte;
• gli oliveti, i frutteti e i vigneti, a causa delle operazioni di potatura delle piante
che viene effettuata nel periodo febbraio - marzo.
Come si evidenzia in maniera netta dalla cartografia prodotta, mentre la categoria
dei “seminativi” è discretamente diffusa nel territorio del Parco, occupando il 15,4%
della superficie complessiva dell’area protetta, l’area occupata dalle “colture
arboree” è quasi assente (0,3%) essendo concentrata tutta a ridosso dei confini del
Parco.
9.3 Vulnerabilità delle aree antropiche In questa categoria sono stati inseriti tutti i centri abitati e le attività antropiche che
vengono normalmente ritenute elementi potenziali di rischio per lo sviluppo degli
incendi. Sono stati così individuati sulla carta: i nuclei urbanizzati, le discariche
attive autorizzate e no, le cave, i siti comunali utilizzati per l’accensione dei fuochi
40
pirotecnici, la viabilità stradale ordinaria con una fascia intorno di 50 m per lato (vedi
ALLEGATO E).
L’utilità di questa carta è strettamente connessa all’attività di sorveglianza del
territorio condotta nel periodo estivo dal personale del C.F.S. che fa capo al C.T.A.
del Parco e dal gruppo di ausiliari alla sorveglianza dell’Ente Parco, ai quali saranno
consegnate copie in scala 1:25.000 per il territorio di competenza.
9.4 Vulnerabilità in funzione della pendenza e dell’esposizione Come già accennato in precedenza, l’esposizione e la pendenza sono parametri
importanti per definire la vulnerabilità del territorio agli incendi. Infatti, il fuoco tende
naturalmente a svilupparsi verso l’alto per effetto del calore che per convenzione
tende a salire e più è alta la pendenza del terreno più questo fenomeno è
accelerato perché il fuoco interessa aree non ancora percorse dalle fiamme;
quest’azione è di tipo diretto, ma ne esiste anche una di tipo indiretto relazionata
alla presenza di una formazione boschiva piuttosto che un’altra a causa di una
diversa altezza, densità e contenuto organico dei soprassuoli da relazionarsi alla
pendenza e all’esposizione oltre che alla composizione litologica del substrato.
L’esposizione dei versanti, poi, a causa del diverso irraggiamento solare influenza
la temperatura e l’umidità, fattori chiaramente fondamentali nello scatenarsi e
nell’evolversi di un incendio.
Per definire quindi la vulnerabilità associata agli aspetti appena discussi le carte
della pendenza e dell’esposizione dei versanti sono state riclassificate in maniera
opportuna, associando una classe di vulnerabilità sempre più alta al crescere della
pendenza e, in maniera analoga, una vulnerabilità massima alle pareti esposte a
SO e SE e minima a quelle esposte a N, come descritto più in dettaglio nei
paragrafi precedenti. A questo punto, attraverso l’analisi GIS è stato possibile
calcolare quanta parte del territorio avesse una certa vulnerabilità associata alla
pendenza e all’esposizione dei versanti.
I risultati sono esposti nelle tabelle seguenti e negli ALLEGATI F e G.
Distribuzione percentuale nel Parco delle aree vulnerabili in rapporto alla pendenza dei versanti
41
Classi di pendenza
Distribuzione percentuale nel Parco delle aree vulnerabili in rapporto all’esposizione dei versanti
(in gradi) Vulnerabilità associata
alla pendenza Percentuale di
territorio interessato
0-12 Molto bassa 27%
12-24 Bassa 35%
24-36 Media 27%
36-48 Alta 10%
> 48 Molto alta 1%
Classi di esposizione
Vulnerabilità associata all’esposizione
Percentuale di territorio interessato
N Molto bassa 12%
NO Bassa 11%
NE Media 15%
O – S – E Alta 37%
SE – SO Molto alta 25%
9.5 Vulnerabilità di sintesi del territorio Le cartografie della vulnerabilità associata alle formazioni naturali e ai
rimboschimenti, integrata con le aree occupate dalle colture agrarie, dalle pendenze
ed esposizioni, dopo essere state riclassificate attraverso gli strumenti dell’analisi
GIS raster, associando i rispettivi punteggi di vulnerabilità, sono state sovrapposte
per elaborare una carta di sintesi. L’analisi è stata condotta tenendo conto di una
cella di lato 40 m.
Per quanto riguarda le colture agrarie, queste sono state inserite all’interno della
carta della vulnerabilità delle formazioni naturali e associate alla classe di minore
vulnerabilità (classe V).
Una volta ottenuta la carta di sintesi (vedi ALLEGATO H), la stessa è stata
riclassificata individuando 3 classi di vulnerabilità: bassa, media e alta.
Vulnerabilità di sintesi Percentuale di territorio interessato
Bassa 26%
Media 58%
Alta 16%
9.6 Rischio statico nel periodo estivo
42
Come già ampiamente rilevato in precedenza, la carta ottenuta resta comunque
una sommatoria di dati statici; pertanto, come primo approccio alla realizzazione di
una carta del pericolo agli incendi del territorio si è stabilito di realizzare una
cartografia relativa al periodo estivo di massima vulnerabilità al fenomeno.
Nello specifico, si è stabilito di attribuire ai seminativi, all’interno della carta di sintesi
della vulnerabilità del territorio, il massimo del valore di vulnerabilità e di
sovrapporre alla carta di sintesi ottenuta precedentemente i dati relativi alla
vulnerabilità antropica, attribuendo anche a questi una valutazione analoga.
Nel caso di elementi puntiformi, ad esempio aree picnic o campeggi, si è attribuito il
valore di vulnerabilità massimo anche alle aree di buffer individuate all’intorno che
dei citati punti.
Anche nel caso di elementi lineari, ad esempio le infrastrutture viarie e ferroviarie, si
è attribuito il massimo valore alle aree di buffer individuate ai due lati della stessa
(buffer di 100 m su ciascun lato).
I risultati ottenuti vengono riportati in allegato al presente Piano.
10. Gli indici di pericolosità Come già accennato in precedenza l’Ente Parco intende realizzare un software che
consenta di determinare in tempo reale il pericolo di incendio presente sul territorio
sulla base delle condizioni meteorologiche presenti (direzione e intensità del vento,
temperatura, ecc.).
A questo scopo, per testare gli algoritmi di 10 indici di rischio che utilizzano
esclusivamente parametri meteorologici, si verificheranno i valori da questi raggiunti
nelle aree interessate dagli incendi negli 8 anni passati, nel giorno e nel periodo in
cui questi si sono realmente verificati, utilizzando al riguardo il software di
simulazione del modello meteorologico MM5 (PennState/NCAR) e idrogeologico
HAM (Hydrogeological Alarm Model), che fornisce, in formato GRID, una
rappresentazione geografica continua dei parametri meteorologici per tutto il
territorio abruzzese. Sulla base dei risultati ottenuti sarà così possibile passare alla
realizzazione di un software in grado di determinare in tempo reale il pericolo di
incendio presente sul territorio sulla base delle condizioni meteorologiche presenti e
in funzione del rischio statico del territorio nel periodo estivo, come sopra definito.
Per l’utilizzo dei dati meteorologici sono stati stipulati accordi con l’ARSSA, che
gestisce la rete meteorologica regionale, nella quale sono state fatte confluire le
43
due stazioni meteorologiche del Parco di S. Eufemia a Majella e di Lama dei Peligni
che operano in automatico all’interno della rete. In questo contesto, si valuterà la
possibilità di affidare la realizzazione del software applicativo citato ad una società o
ad un esperto del settore.
11. Interventi per la previsione degli incendi Come avvenuto in passato, anche per le prossime stagioni estive si utilizzerà la
mole dei dati acquisiti dall’Ente Parco sul fenomeno degli incendi e sulla sua
diffusione sul territorio per meglio programmare la dislocazione del personale e dei
mezzi presenti sul territorio.
Per quanto riguarda invece le azioni da porre in essere a regime, si porteranno a
conclusione le attività di ricerca da sviluppare in collaborazione con le istituzioni
scientifiche in precedenza citate relativamente alla valutazione dell’affidabilità degli
indici di rischio di incendio e alla predisposizione del software in grado di
determinare in tempo reale il livello di pericolo di incendio presente sul territorio.
III. PREVENZIONE 12. Le azioni di contrasto al fenomeno Le azioni di contrasto al fenomeno sono molteplici. Nello specifico, coerentemente
con le indicazioni riportate nelle linee guida deliberate dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri per la predisposizione dei Piani regionali di previsione,
prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi (L. 353/00, art. 3 comma 1), le
stesse sono state organizzate secondo le modalità di seguito riportate.
In considerazione della elevata valenza naturalistica ed ambientale dell’area
protetta e delle prioritarie esigenze di tutela che devono connotare l’attività di
gestione affidata all’Ente Parco, sono state eliminati dall’analisi e dalla
pianificazione delle azioni da sviluppare, tutti gli interventi che si caratterizzano per
un elevato impatto ambientale sul territorio del Parco (tracciati spartifuoco,
realizzazione di viabilità di servizio ex novo, ecc.).
12. 1 Consistenza e localizzazione della viabilità di servizio, dei punti di
avvistamento, delle fonti di approvvigionamento idrico e delle piazzole di carico per gli elicotteri
Allo scopo di conoscere in maniera dettagliata la localizzazione delle strutture che
possono essere utilizzate per contrastare lo sviluppo degli incendi sul territorio
44
dell’area protetta sono state censite e riportate in cartografia alla scala di lavoro
1:25.000, vedi ALLEGATO I, oltre alla viabilità stradale ordinaria, le piste di servizio
forestale esistenti, i punti potenziali di avvistamento, le sorgenti perenni e le aree
che possono essere utilizzate come piazzole di carico dell’acqua per gli elicotteri.
Allo scopo di contrastare gli incendi, nei mesi estivi (luglio, agosto) a massimo
rischio per lo sviluppo degli incendi boschivi, l’Ente Parco verificherà in accordo con
le amministrazioni comunali interessate, la possibilità di regolamentare, anche ai
sensi dell’articolo 21 della L.R. 28/94, l’accesso a una parte della viabilità
secondaria (piste forestali o carrarecce), quella che insiste sulle zone caratterizzate
da un livello elevato di vulnerabilità, classificate ai sensi della citata legge regionale
come viabilità di servizio agro-silvo-pastorale.
Nello specifico, a seguito dell’emissione di apposita Ordinanza del Sindaco del
Comune interessato, o come estrema ratio di Delibera Presidenziale dell’Ente
Parco, nei punti di accesso alla pista si procederà a posizionare sbarre di ferro
dotate di lucchetto, le cui chiavi, oltre che nella disponibilità dell’Ente Parco,
vengono affidate al Comune e al locale comando stazione forestale.
A questo riguardo l’Ente Parco negli ultimi cinque anni, soprattutto nell’ambito delle
attività di salvaguardia dell’Orso bruno marsicano, ha già proceduto a posizionare
diverse sbarre nei punti di ingresso alla viabilità di servizio, anche collocando massi
ai bordi per impedire l’aggiramento delle stesse, riducendo così gli accessi non
regolamentati. Tale attività proseguirà anche per il futuro, con risorse ordinarie
interne all’Ente Parco, stimate per il quinquennio in circa Euro 35.000 anche in
funzione delle attività di contrasto agli incendi nell’area protetta.
12. 2 Consistenza e localizzazione di mezzi, strumenti e risorse umane Nella tabella di seguito riportata sono stati elencati, per ogni comando stazione
forestale che afferisce al CTA e all’Ufficio per la Biodiversità Territoriale del CFS di
Pescara, i dati relativi alla consistenza dei mezzi, degli strumenti e delle risorse
umane dislocate sul territorio. Fra le risorse umane a disposizione sul territorio non
sono state inserite le dotazioni a disposizione dei nuclei di volontari di protezione
civile della Regione Abruzzo, per i quali si procederà ad effettuare una ricognizione
sul territorio, coinvolgendo al riguardo le strutture competenti della Regione ed il
CTA del Parco.
45
I dati sulla dotazione di mezzi operativi per la prevenzione e primo intervento agli
incendi boschivi presenti nel Parco riportati in tabella sono da intendersi comunque
incompleti per difetto; a questi vanno infatti sommati mezzi e personale dell’Ufficio
per la Biodiversità Territoriale del CFS di Castel di Sangro, che all’interno del Parco,
oltre a diverse aree demaniali gestisce anche la Riserva Naturale dello Stato
“Quarto S. Chiara”.
Al riguardo però, è necessario anche considerare che la legge quadro sugli incendi
boschivi attribuisce alla Regione la prerogativa esclusiva, insieme ai VV.FF. e al
C.F.S., di gestire sul territorio regionale le attività di lotta attiva agli incendi, e quindi
di organizzare, dislocare e coordinare: personale, mezzi e attrezzature, la cui
pianificazione complessiva passa per via esclusiva attraverso il Piano di previsione,
prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi che di competenza della Regione
Abruzzo.
A seguito dei drammatici eventi che hanno interessato il territorio del Parco nel
2007 e di una apposita richiesta formulata dalla Direzione Conservazione Natura
del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (nota n. DPN/2007/002552
del 9.10.2007), si è fatta una verifica approfondita della necessità di migliorare la
dotazione di mezzi ed attrezzature tecniche a disposizione del Parco e del CTA per
contrastare in maniera efficace il fenomeno, che ha portato alla predisposizione di
un elenco di mezzi ed attrezzature tecniche da reperire, rispetto al quale, per il
periodo di applicazione del presente piano si ritiene prioritaria la necessità di dotarsi
dei seguenti:
n. 1 vasca mobile per attingimento acqua per spegnimento con aeromobili con
relativo carrello o rimorchio per il trasporto,
n. 2 moduli di spegnimento tsk da applicare a pick up già in dotazione all’Ente,
n. 1 cisterna di 1000 litri da posizionare su pik up dell’Ente,
n. 1 autobotte tipo Fiat Iveco 4x4 con capacità di 1500 litri circa,
n. 2 mezzi fuori strada con applicati verricelli anteriori,
n. 2 moto da enduro per attività preventive, investigative e repressive,
n. 10 torce ricaricabili anche da automezzo per operazioni notturne,
n. 5 motoseghe e n. 30 dotazioni di attrezzatura varia (flabelli, rastri, zappe,
zappe/accetta, roncole, seghetti portatili, maschere antifumo, scarponi, guanti, zaini
di medie dimensioni con relativa attrezzatura sanitaria di prima necessità).
46
La somma necessaria per l’acquisto della predetta attrezzatura, stimata non
inferiore a Euro 160.000, per la gran parte dovrà essere reperita con risorse
straordinarie esterne.
12. 3 Il sistema di videocontrollo ambientale del Parco per l’avvistamento degli incendi boschivi
Nel 2003 l’Ente Parco a seguito dell’espletamento di un appalto concorso per la
fornitura di un sistema fisso e/o mobile di videocontrollo ambientale per
l’avvistamento degli incendi boschivi, il controllo faunistico e l’ausilio all’attività
antibracconaggio ha appaltato la predetta fornitura alla ditta FAENZI s.r.l. di
Grosseto. Le caratteristiche salienti del sistema, di tipo mobile con presenza di due
postazioni fisse, sono costituite dalle unità di ripresa, che sono sia di tipo diurno
(colore), che notturno/diurno (ad immagine termica). In particolare, di giorno le
telecamere consentono tanto l’individuazione visiva del fumo, con riprese
faunistiche o supervisione territoriale, quanto l’individuazione della fonte di calore,
in caso di incendi anche di piccole dimensioni, mediante la sezione termica
dell’apparato; di notte, invece, è operativa principalmente la sezione termica, in
grado di rilevare tanto gli incendi quanto la presenza di fonti di calore prodotte da
animali, persone e mezzi.
Il sistema nel complesso è così composto:
n° 2 moduli di ripresa mobile, completi di unità di ripresa a doppia tecnologia
(visiva e termica) ;
n° 2 sistemi di telecomunicazione tra unità di ripresa e sale o consolle regia;
n° 2 sale di regia fisse di visione e controllo;
n° 2 consolle di regia mobili di visione e controllo da utilizzare su un mezzo di
trasporto o in ricoveri vari;
n° 2 sistemi di alloggiamento veicolare e portatile dell’unità di ripresa e della
consolle di regia mobile.
Nel dettaglio, i citati apparati avranno le seguenti caratteristiche:
SISTEMA DI RIPRESA MOBILE – denominato “SREP/DEIMOS”, progettato e brevettato
dalla ditta Faenzi. Il citato sistema mobile ha la possibilità di essere rilocato sul
territorio in maniera rapida, è trasportabile su un fuoristrada, con carrello o
elicottero ed è autonomo dal punto di vista elettrico grazie ad un sistema di
alimentazione fotovoltaica.
47
A bordo del sistema si trovano vari apparati: - l’unità di ripresa, posta su un pistone idraulico che si eleva fino a 4 metri
all’atto dell’installazione;
- gli apparati di telecomunicazione video e dati;
- gli apparati interni di servizio alla macchina;
- la centralina di comando del sistema idraulico di posizionamento;
- le batterie di accumulo ed il regolatore del sistema fotovoltaico;
- l’antenna di tipo a parabola di 60 cm di diametro con relativo sistema di
puntamento;
- la centralina meteo;
- il rilevatore GPS.
Il sistema è collegato alla sala di regia, visione e controllo, attraverso un ponte a
microonde a 14 GHZ monodirezionale per la parte video, e via rete cellulare per
quanto riguarda i dati. Il sistema può essere spostato non solo in qualsiasi punto
all’interno del territorio del Parco Nazionale della Majella, dove può trasmettere
immagini e dati alla sala di regia posta sul territorio oppure alla consolle di regia
mobile, e, grazie a queste ultime, in qualsiasi localizzazione anche all’esterno del
Parco. Come già accennato, oltre alle unità di ripresa, il sistema è dotato di una
centralina meteo in grado di misurare la velocità e la direzione del vento e la
temperatura dell’aria, inviando in tempo reale i dati meteo che sono visualizzabili in
sala regia, sia fissa che mobile, nonché di un rilevatore GPS per il posizionamento
in cartografia satellitare georeferenziata dell’ubicazione del sistema sul territorio che
avviene automaticamente. Il controllo dei comandi è possibile anche dall’unità
stessa grazie ad una tastiera per il telecomando locale e ad un monitor LCD.
Le telecamere, costituite da una a colori ad alta definizione a da una termica 7,5-
13,5 microns, sono dotate di custodia stagna in alluminio, ottica zoom motorizzata
300X f. 1,8, autofocus, antivibrazione, illuminazione minima 0,2 lux, dotate di
brandeggio orizzontale e verticale con autopanoramica 360°.
SISTEMA DI TELECOMUNICAZIONE- ponte video a microonde+ cellulare dati: con questo
sistema le immagini riprese dall’unità di ripresa vengono restituite a monitor in
diretta e ad alta risoluzione. I dati viaggiano via cellulare ad una velocità che
consente una ampia possibilità e quantità di dati in transito nel collegamento, tanto
da permettere il comando, il test, il transito di dati meteo e la teleassistenza
software ed hardware del sistema.
48
I dati di telecomando sono ricevuti dall’unità di ripresa in tempo reale, purché il
sistema di ripresa e le antenne della sala di regia siano in vista ottica.
Per il segnale del cellulare, in considerazione dell’orografia del territorio, diventa
facile collegarsi attraverso una piccola antenna direttiva ad una cellula, anche
distante, se non ci sarà copertura nel luogo di installazione del sistema di ripresa.
Per le postazioni regia, visto che vengono utilizzati dei computer, basterà inserire
un interfaccia GSM-GPRS allo steso per collegarsi alla rete cellulare nazionale. SALE DI REGIA – le sale di regia sono destinate a ricevere le immagini e i dati raccolti
dalle postazioni di ripresa, nonché a fungere da sale di controllo del sistema.
Queste sono costituite da un’ampia scrivania, sotto la quale è installato un mobile
metallico con rotelle sul quale vengono inseriti tutti i componenti tecnologici del
sistema. Ogni sala è dotata di tre monitor LCD per la visione in diretta, la
videoregistrazione e per il comando dell’unità di ripresa, dei dati meteo e
cartografici: tutto il sistema è operativo mediante la tecnologia touch-screen
(tastiera virtuale su una grafica semplice ed intuitiva. Le postazioni sono inoltre
dotate di un sistema di elaborazione immagine per il comando automatico di allerta
operatore o comando videoregistrazione in caso di incendi, presenze faunistiche o
bracconieri nella zona inquadrata dall’unità di ripresa. La videoregistrazione avviene
tramite un sistema digitale professionale ad alta definizione.
La sezione videocontrollo consente di:
- avere a video tutte le immagini riprese dalle telecamere, comandare le
funzioni di selezione immagini colore/termico;
- comandare le ottiche zoom;
- comandare il posizionamento e la rotazione delle telecamere;
- disporre di allarme presenza persone, animali o incendi in modo automatico;
- avere in cartografia da satellite la posizione in cui inquadra la telecamera,
effettuare zoomate digitali sulla cartografia, avere la posizione cartografica di un
punto stabilito e la possibilità di sovrapporre i diversi layer cartografici relativi a
diversi tematismi disponibili presso il GIS del Parco;
- avere dati meteo istantanei memorizzabili.
La sezione videoregistrazione consente inoltre di registrare le immagini a comando
o in automatico, e di riprodurre le immagini sul monitor.
POSTAZIONI DI REGIA MOBILI – componente principale di queste unità è un computer
portatile collegato agli apparati di telecomunicazione video e dati. I PC sono dotati
49
del software per la visione, il comando ed il controllo delle unità di ripresa e la
videoregistrazione dei file video attraverso lo stesso software installato nelle sale di
regia fisse. Anche in queste postazioni i comandi vengono effettuati tramite tastiera
virtuale. Gli apparati di telecomunicazione, posti in un’apposita valigia possono
funzionare sia in presenza di energia elettrica che utilizzando una batteria 12 V di
sufficiente potenza (20-30AH). Le postazioni mobili permettono di utilizzare il
sistema di videocontrollo in qualsiasi situazione ed in qualsiasi località, purché le
antenne del sistema e della valigia degli apparati di telecomunicazione siano in
vista ottica.
POSTAZIONI DI RIPRESA VEICOLARE – le unità di ripresa, oltre che sul sistema mobile
“SREP DEIMOS”, possono essere facilmente smontate e posizionate in altre
configurazioni:
- su un mezzo tipo fuoristrada mediante una staffatura specifica;
- su un treppiede (h max 3 m);
- su un rilievo naturale (albero, roccia, ecc.) mediante staffatura specifica.
Per questi utilizzi l’unità di ripresa viene collegata al PC portatile della consolle di
regia mobile.
In caso di utilizzo in natura, il sistema può funzionare utilizzando come sorgente di
energia elettrica un batteria da 12 V. Sul mezzo il sistema si può spostare a
piacimento sul territorio. Il PC portatile effettua tutte le riprese ordinarie e, in
particolare per gli incendi boschivi può individuare sul posto i punti di calore dove
l’incendio è ancora presente o controllare il fronte di incendio e permettere una
puntuale indicazione del punto di lancio degli aerei.
Inoltre, utilizzando il software di analisi immagine il sistema può operare
autonomamente effettuando videoregistrazioni al passaggio di un animale, una
persona o un automezzo nell’area interessata dalla ripresa.
Per quanto concerne le attività del sistema mobile di videosorveglianza per
l’avvistamento degli incendi, a partire dalla stagione estiva 2008, come già descritto
al paragrafo 5, le due postazioni di osservazione mobili saranno dislocate nelle
aree settentrionale e meridionale, quelle più sensibili al fenomeno. Ogni modulo
sarà collegato direttamente alla sala operativa di controllo attraverso ponte video-
dati o, in alternativa montato su mezzo dell’Ente e collocato in punti particolari. Al
riguardo, le due centrali operative di videosorveglianza antincendio del Parco
saranno dislocate entro l’estate 2008: per il settore nord, che ricomprende per intero
50
la Provincia di Pescara, a S. Eufemia a Majella presso il Centro di Visita del Parco
annesso al Giardino Botanico; per il settore meridionale a Pizzoferrato, presso il
nuovo Centro Visita del Parco.
12. 4 Operazioni selvicolturali nelle aree a più elevato rischio Fra le diverse azioni innovative ed interessanti che caratterizzano la legge quadro in
materia di incendi boschivi assume un ruolo di primaria importanza rispetto alla
possibilità di attuare un programma efficace di prevenzione del fenomeno quella di:
“porre in essere …interventi colturali idonei volti a migliorare l’assetto vegetazionale
degli ambienti naturali e forestali.”(art. 4 comma 2), “possono altresì concedere
contributi a privati proprietari di aree boscate, per operazioni di pulizia e di
manutenzione selvicolturale, prioritariamente finalizzate alla prevenzione degli
incendi boschivi.” (art. 4 comma 3). In caso di mancanza di interesse da parte dei
proprietari dei boschi a porre in essere le operazioni di pulizia e manutenzione del
bosco, la legge prevede altresì “..facoltà di previsione di interventi sostitutivi del
proprietario inadempiente in particolare nelle aree a più elevato rischio;” (art. 3
comma 3 punto l).
Già sulla base di quanto previsto dai precedenti Piani antincendio redatti dalle
strutture tecniche dell’Ente Parco, sul finire del 2003, in accordo con
l’Amministrazione del Comune di S. Eufemia a Majella (Del. G.C. n. 108 del
14.11.03) questa procedura è stata applicata per realizzare gli interventi di riduzione
della vulnerabilità delle pinete di origine artificiale localizzate nei pressi di
Roccacaramanico.
Relativamente all’effettuazione delle operazioni selvicolturali di pulizia e
manutenzione del bosco allo scopo di ridurre il rischio di incendio dei soprassuoli,
l’Ente Parco, ha realizzato, direttamente o attraverso l’affidamento ai Comuni
proprietari o all’Azienda Regionale Foreste Demaniali per conto della Regione,
diversi interventi di miglioramento boschivo di formazioni artificiali di conifere o di
formazioni naturali coniferate, finanziate con contributo del Ministero dell’Ambiente,
della Regione Abruzzo e con fondi propri dell’Ente, tutti allo stato attuale completati.
La superficie complessiva ad oggi interessata dagli interventi ammonta a 321,73 ha,
pari a circa il 12% della superficie complessiva occupata dalle formazioni artificiali di
conifere presenti nel territorio del Parco
51
In ordine allo sviluppo di questa tipologia di lavori, sicuramente prioritari saranno gli
interventi da realizzare sulle formazioni naturali coniferate presenti nelle Gole di
Popoli, come sul Morrone Peligno. In questo caso i lavori ammonterebbero per il
quinquennio a non meno di 700.000 Euro. Tali risorse dovranno essere reperite da
fonti esterne di finanziamento.
12. 5 Consistenza e organizzazione sul territorio delle risorse umane, attività di sorveglianza, prevenzione e primo intervento
Allo scopo di prevenire in maniera efficace il fenomeno degli incendi boschivi
nell’area protetta, le attività di sorveglianza avvistamento e allarme ordinariamente
svolte dai comandi stazione forestale che fanno capo al CTA del Parco e all’Ufficio
per la Biodiversità Territoriale del CFS di Pescara, saranno incrementate,
complessivamente, a fronte dei 75 agenti CFS dislocati su 13 comandi stazione
previsti dal DPCM 5 luglio 2002 per il Parco Nazionale della Majella, attualmente
sono in servizio solo 59 unità, tale carenza sicuramente pregiudica in maniera
sostanziale le attività istituzionali di sorveglianza svolte a servizio dell’area protetta.
Si renderà pertanto necessario richiedere con l’urgenza del caso in tutte le sedi
deputate la copertura dei posti vacanti.
In relazione all’esigenza di presidiare in maniera efficace il territorio durante il
periodo di massima recrudescenza del fenomeno si renderà necessario
organizzare, in forma coordinata con le squadre messe in campo dall’Ente Parco, il
servizio ordinario di pattugliamento continuo, dall’alba al tramonto, lungo la viabilità
principale e secondaria, le aree picnic, ecc., che per il citato periodo si ritiene debba
essere composto di giorno da due pattuglie del CFS e di una notturna nel territorio
del Parco più interessato dal fenomeno, in Provincia di Pescara e di una pattuglia in
servizio continuo dalla mattina alla sera e di notte in Provincia di Chieti. Tale
servizio dovrà essere svolto con continuità anche durante le giornate festive. Va da
se che la carenza di personale del CTA sopra evidenziata costituisce un elemento
di forte criticità in ordine alla possibilità di assolvere al meglio allo sforzo
organizzativo richiesto nel periodo di massima recrudescenza del fenomeno.
Inoltre, in affiancamento al personale CFS impegnato nelle attività di sorveglianza e
primo intervento, come avvenuto in passato, durante il periodo estivo di maggior
rischio, verrà attivato un servizio di primo intervento costituito da personale dell’Ente
Parco o, in alternativa, di ausiliari. Tale personale, dotato di appositi mezzi ed
52
attrezzature, assicurerà un servizio ordinario giornaliero di sorveglianza e di pronto
intervento in un arco temporale di 12 ore/giorno nel periodo di maggiore virulenza
del fenomeno degli incendi e che potrà protrarsi anche oltre nei momenti di
emergenza. A questo personale saranno da aggiungere le GEV del Parco
Nazionale della Majella di prossima istituzione.
Questa risorsa umana a disposizione garantirà anche un notevole supporto alle
altre attività istituzionali di importanza fondamentale per l’Ente. Il controllo del flusso
turistico (spesso foriero di incendi colposi) nelle aree di maggior pregio, un’azione
diretta di sensibilizzazione dei visitatori sul problema degli incendi, sono solo alcune
delle attività che saranno implementate.
Sulla base delle esperienze fin qui acquisite, saranno impiegate otto squadre,
composte da due operatori, impegnate su due turni giornalieri per sette giorni la
settimana, due delle quali riposeranno a rotazione, in maniera tale da assicurare la
copertura di almeno una squadra operativa per ogni provincia. Ciò detto,
comunque la dislocazione del personale del Parco impegnato nelle attività di
sorveglianza e primo intervento, oltre che sulla base delle situazioni contingenti che
si andranno a verificare nel corso della stagione estiva, verrà definita utilizzando le
informazioni statistiche e le cartografie prodotte dal presente piano relativamente
alla vulnerabilità del territorio e agli incendi che si sono sviluppati nel Parco.
Il coordinamento del personale dell’Ente Parco impegnato nelle attività di
sorveglianza, avvistamento e primo intervento degli incendi sarà coordinato
dall’Ufficio Tutela Valori Naturali ed Ambientali che avrà il compito di concordare
con cadenza settimanale lo svolgimento del servizio con il CTA del Parco, che a
sua volta si occuperà di organizzare le attività svolte dal personale CFS.
In aggiunta alle attività fin qui individuate, considerata l’assenza ad oggi di un piano
regionale AIB da parte della Regione Abruzzo, e parimenti, per quanto è a
conoscenza di questo Ente, di un piano di organizzazione e di coordinamento
regionale fra i soggetti direttamente interessati a qualsiasi livello in caso di incendio
per l’intero territorio regionale, compreso il CFS ed i VVFF, verranno presi contatti
con tutti i soggetti istituzionali citati, allo scopo di sollecitare l’individuazione di
soluzioni al riguardo, o quanto meno di realizzare momenti di confronto riguardo a
questa condizione di forte criticità. Infatti, a seguito di quanto avvenuto nell’estate
2007, diventa improcrastinabile a tutti i livelli (sia in fase di predisposizione di piani,
sia di attività di prevenzione, che di intervento attivo e di rilievo finale dei danni)
53
definire nel dettaglio i ruoli, le modalità di coordinamento e di collaborazione fra tutti
i soggetti coinvolti nel campo della prevenzione e lotta agli incendi nel territorio del
Parco, anche in considerazione delle competenze attribuite dalla legge agli enti
gestori delle aree protette relativamente alle attività di prevenzione, che risultano
sicuramente mortificate dalla totale assenza di contatti con il soggetto che in via
esclusiva si occupa di organizzare le attività di prevenzione e di lotta attiva
sull’intero territorio regionale e di coordinare le modalità di intervento di tutti i
soggetti coinvolti.
Il costo annuale dell’attività di sorveglianza, prevenzione e primo intervento degli
incendi boschivi per l’Ente Parco, considerato che già per l’estate del 2008
dovrebbero essere portati a compimento i concorsi per la stabilizzazione di 38
lavoratori precari ed entro la fine dello stesso anno sarà istituito il nucleo di GEV del
Parco Nazionale della Majella, con la nomina delle prime 30 unità, può essere
stimato in circa 5000 Euro, che saranno reperiti utilizzando risorse a questo scopo
inserite nel bilancio ordinario dell’Ente Parco.
12. 6 Le esigenze formative e le attività informative Nel caso in cui l’Ente Parco dovesse reclutare personale ausiliario alla sorveglianza
e allo spegnimento degli incendi, lo stesso sarà scelto esclusivamente fra quelli che
hanno già effettuato con esito soddisfacente tale servizio negli anni precedenti o
che hanno frequentato i corsi di formazione regionale istituiti a questo scopo.
Nel caso dovesse essere attivato un servizio con personale interno all’Ente Parco,
lo stesso sarà sottoposto ad un apposito corso di formazione che sarà organizzato
dall’Ente in collaborazione con il CTA. A questo scopo tale corso potrà essere
utilmente svolto nell’ambito dei corsi annuali che saranno realizzati dal Parco con
risorse regionali per la formazione delle Guardie Ecologiche Volontarie del Parco
Nazionale della Majella.
Le attività di informazione alla popolazione in merito alle cause determinanti
l’innesco di incendio e alle norme comportamentali da rispettare in situazioni di
pericolo sono inserite ordinariamente nei programmi di educazione ambientale e più
in generale in tutti gli interventi di promozione e valorizzazione del patrimonio
naturalistico ed ambientale del Parco e non si ravvisa allo stato attuale la necessità
di incrementarle, anche in considerazione del ruolo primario che al riguardo la legge
attribuisce alle amministrazioni statali e regionali (legge 150 /00).
54
IV. RECUPERO 13. Le attività di recupero delle aree incendiate 13.1 studio del dinamismo della vegetazione post incendio nel Parco A seguito dell’incendio verificatosi nell’anno 2000 sul versante orientale della
Majella, l’Ente Parco ha provveduto ad effettuare uno studio rivolto alla conoscenza
delle comunità vegetali interessate dall’evento e finalizzato a porre in opera attività
di restauro ambientale. Lo studio della durata di 5 anni, condotto dall’Università
degli Studi di L’Aquila, rappresenta una tematica molto importante sia in ambito
teorico, in quanto tende a chiarire i meccanismi spaziali e temporali dei fenomeni di
recupero delle cenosi vegetali, sia in ambito applicativo perché consente di proporre
interventi mirati per poter eventualmente accelerare i tempi. In tutto il settore colpito
dall’incendio sono state impiantate 15 aree permanenti con l'intento di cogliere tutta
la variabilità cenologica preesistente all'evento distruttivo.
L’area interessata dallo studio, estesa oltre ha 1.200, ha compreso 13 habitat di
interesse prioritario ai sensi della Direttiva Habitat 92/43, tra cui diverse formazioni
erbacee di pascolo (a Sesleria sp.sl., a Bromus erectus, a Festuca
circummediterranea, a Brachypodium genuense), garighe presenti nelle porzioni più
basse dell’area indagata e formazioni arbustive di ginepro e di pino mugo.
Particolarmente impattante è stato l’effetto dell’incendio su quest’ultima formazione
vegetazionale estesa per oltre 120 ettari. Tali arbusteti, oltre ad avere un corteggio
floristico di notevole pregio (associazione di riferimento: Orthilio secondae-Pinetum
mugo), assumono per il Parco un valore unico essendo una formazione a carattere
relittuale, la più estesa in tutto l’Appennino.
L’area presenta una elevata pendenza (si va dal 15% al 50%) con processi di
erosione molto evidenti (in alcuni casi superiore al 50% classe M3) e la tendenza
all’infeltrimento del cotico erboso. Tale fenomeno è particolarmente evidente nelle
formazioni vegetali interessate dalla presenza di pino mugo e ginepro nano.
Al termine dei cinque anni di studio si è riscontrato in maniera evidente come nelle
prime fasi del recupero, esistono delle specie vegetali che giocano un ruolo
essenziale nella ricostituzione degli ecosistemi, costituite principalmente da
emicriptofite e camefite.
L’analisi complessiva ha dimostrato che la copertura del terreno è notevolmente
aumentata fino a raggiungere in media il 70%, tuttavia la composizione dimostra
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l’assenza pressoché totale della componente legnosa. Il turn over delle specie
vegetali a distanza di 5 anni è ancora molto marcato. Nelle aree di potenziale
presenza del Pino mugo si è registrata la presenza di plantule della specie. In
questo settore risulta evidente come i fenomeni naturali di recupero prevedano
comunque tempi molto lunghi.
13.2 interventi selvicolturali sperimentali nelle aree incendiate La superficie consistente di mugheta interessata dall’incendio, di poco inferiore al
15% di quella occupata da questo importantissimo habitat di alta quota sulla
Majella, che rappresenta il popolamento più esteso della specie sull’Appennino e il
limite meridionale del suo areale in Europa e la lentezza nel recupero di questa
formazione vegetazionale, hanno portato a sviluppare alcune ipotesi di intervento di
tipo sperimentale, che presentano comunque una serie di criticità legate soprattutto
al raggiungimento dei siti, pertanto le superfici non dovrebbero superare i 1000 m2.
Nell’area in esame verranno predisposte delle aree campione sottoposte a tre
diverse tipologie di intervento:
- area lasciata all’evoluzione naturale;
- area sottoposta a semina a fori e a spaglio con sementi di pino mugo di
provenienza autoctona. In fase preliminare verranno eseguite campagne di raccolta
semi in aree geografiche distanti ma sempre ricadenti nell’area della Majella al fine
di incrementare la diversità genetica dei popolamenti di origine. I semi saranno
oggetto di test preliminari finalizzati a conoscere la capacità germinativa degli
stessi, elemento essenziale per calibrare il quantitativo di semi da utilizzare;
-area sottoposta a rimboschimento con piantine di pino mugo di tre anni. Per
quest’area dovranno essere effettuati preventivi tagli del legname bruciato. La
disposizione delle piante dovrà essere a gruppi.
Per questa sperimentazione è già stata presentata all’Ente Parco una proposta da
parte dell’Università dell’Aquila; a questo riguardo l’importo dei lavori si può stimare
in Euro 25.000, che necessariamente dovranno essere reperiti al di fuori del
bilancio ordinario dell’Ente Parco.
Indipendentemente dai risultati ottenuti dallo studio condotto sulla vegetazione di
alta quota e dagli interventi di tipo sperimentale che saranno realizzati, si renderà
necessario realizzare interventi selvicolturali di ricostituzione nelle altre aree
incendiate. A questo proposito, se si escludono le aree pascolive, si renderà
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indispensabile definire interventi di riqualificazione nelle pinete artificiali e nei boschi
di faggio bruciati. Ad oggi non essendo ancora iniziata la nuova stagione vegetativa
non è dato conoscere in maniera certa l’entità dei danni reali subiti dalle formazioni
vegetali di latifoglie, che almeno in parte potrebbero essere sopravvissute
all’incendio, anche se tale possibilità risulta essere notoriamente ridotta nel caso
del faggio; pur tuttavia, sulla base di una prima valutazione dei danni che hanno
interessato il patrimonio naturale del Parco, sicuramente non esaustiva, sarà da
verificare la possibilità di intervenire sui boschi di faggio, principalmente cedui
localizzati in aree di notevole pendenza, interessati da incendi di chioma, nei quali
si è constatata la morte di gran parte delle piante e la disidratazione dei semi. In
questo contesto si valuterà la possibilità di utilizzare parte del materiale legnoso
morto per fare fascinate utili a limitare l’erosione del terreno, che potranno essere
integrate successivamente da semine ed eventualmente, e solo in via subordinata,
dall’impianto di piantine forestali delle latifoglie tipiche delle formazioni forestali
interessate dall’incendio. Una prima e parziale stima sommaria del costo
dell’intervento prospettato, che potrebbe essere valutata in circa 300-400.000 €,
dovrà essere oggetto di una apposita stima che sarà effettuata entro la fine del
2008, sulla base della quale dovrà essere predisposto un apposito progetto di
ricostituzione. Tali risorse, una volta quantificate, dovranno essere reperite da fonti
esterne di finanziamento.
13.3 Produzione vivaistica per interventi di restauro ambientale Come si è ora detto le attività di riqualificazione selvicolturale delle aree incendiate
saranno caratterizzate dall’effettuazione di semine e/o impianto di postime forestale.
In questo contesto l’utilizzazione del germoplasma autoctono negli interventi di
restauro ambientale rappresenta una delle finalità prioritarie del Parco.
Questa attività permette di evitare inquinamenti genetici a carico della flora
spontanea circostante; inoltre gli ecotipi locali utilizzati dovrebbero risultare
particolarmente efficaci, in quanto preadattati alle condizioni locali di vita.
Dal 2006 l’Ente Parco è entrato a far parte della Rete Italiana Banche del
Germoplasma per la Conservazione ex situ della Flora Spontanea Italiana (RIBES),
costituendo uno dei 18 nodi della rete e attivando la Banca del Germoplasma della
Majella, la cui funzione principale è la conservazione dei semi di piante rare e/o
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minacciate di scomparsa, nonché di specie di rilevante significato biogeografico
ecologico e di potenziale interesse per azioni di rinaturalizzazione ambientale.
La raccolta e la conservazione dei semi viene svolta presso il giardino botanico di
Lama dei Peligni dove la struttura è stata dotata delle attrezzature per la corretta
conservazione dei semi (deumidificatore, gruppo refrigerante, datalogger per il
controllo dei parametri ambientali, ecc.) nonché di attrezzature per la pulizia e la
catalogazione dei semi.
Tale attività è complementare a quella svolta presso il giardino di S. Eufemia a
Majella dove, grazie alla presenza d’idonei spazi ed attrezzature, (serra, laboratorio
e vivaio), è stata avviata l’attività riproduttiva di diverse specie autoctone forestali e
arbustive.
La produzione vivaistica attualmente utilizzata nell’ambito delle attività di restauro
ambientale realizzate dall’Ente Parco (rinaturalizzazione del tratto terminale della
strada provinciale che dal rifugio Pomilio porta al Block haus, piccoli impianti di
fruttiferi nelle aree sensibili per la presenza dell’orso marsicano), dovrà essere
incrementata, sia per poter effettuare l’intervento sperimentale di restauro
ambientale delle aree di alta quota sottoposte ad incendio nell’agosto del 2000, che
per realizzare, almeno parzialmente, la rinaturalizzazione delle pinete artificiali e la
ricostituzione forestale delle altre aree boschive attraversate da incendi.
In questo contesto, svolgeranno sicuramente un ruolo utile a migliorare le capacità
e qualità produttiva delle strutture vivaistiche del Parco le attività avviate nel 2007
dai giardini botanici dell’Ente nell’ambito della L.R. 35/1997 della Regione Abruzzo.
Infatti, dall’anno in corso l’Ente Parco ha avviato una collaborazione con l’Università
degli Studi della Tuscia finalizzata, oltre che a sviluppare un’attività di
sperimentazione e ricerca sulla qualità germinativa di alcune specie forestali,
attuando i necessari test di vitalità, di germinabilità, ad effettuare i pretrattamenti
per la rimozione della dormienza vegetativa e definire le migliori condizioni di
semina e germinazione, anche a sperimentare le potenzialità di un sistema di
produzione su larga scala sviluppato dall’Università su alcune specie forestali
autoctone, allo scopo di produrre un elevato numero di piante precoltivate di alto
pregio biologico, in quanto non provenienti da rigenerazione clonale, da utilizzare
per interventi di restauro ambientale.
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V. COSTO DEGLI INTERVENTI PREVISTI Sulla base di quanto rilevato nel dettaglio nei capitoli relativi alle attività di
prevenzione e recupero da sviluppare nel quinquennio di applicazione del presente
Piano, le risorse economiche necessarie per assicurare la compiuta attuazione
dello stesso possono essere così schematizzate:
• acquisto mezzi, e attrezzature € 160.000
• interventi selvicolturali nelle aree a elevato rischio € 700.000
• attività di sorveglianza, prevenzione e primo intervento € 25.000
• attività di recupero aree incendiate € 400.000
• interventi selvicolturali sperimentali in aree di alta quota € 25.000
Per la quasi totalità tali risorse, se si escludono in buona sostanza le spese di
sorveglianza, prevenzione e primo intervento, saranno da reperire attraverso fonti di
finanziamento esterno.
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