Paolo Dall'Oglio. L'uomo del dialogo - estratto libro - Paoline

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DEL DIALOGO Paolo Dall’Oglio a colloquio con Guyonne de Montjou L’UOMO

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In una Siria e Medio Oriente ancora attraversati da troppa violenza, dove il terrore dell’estremismo colpisce cristiani e musulmani, indistintamente, diventa sempre più luminoso il ricordo vivo di padre Paolo Dall’Oglio, della sua fede nel dialogo, della sua vita offerta per un annuncio universale di salvezza, che sa farsi, fino all’estremo, accoglienza e pace. »»» http://www.paoline.it/blog/testimoni/497-paolo-dall-oglio-un-incontro-una-sfida.html

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DEL DIALOGO

Paolo Dall’Oglio

a colloquio conGuyonne de Montjou

Guyonne de Montjou, giornalista francese, è esperta di Vicino Oriente e di dialogo interreligioso. Autrice di articoli per diverse testate, tra cui Politique Inter-nationale, ha lavorato per la rete televisiva di informazione BFMTV.

PAO

LO D

ALL

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LIO

. L’U

OM

O D

EL D

IALO

GOIo ovviamente annuncerò,

fino al martirio, se necessario,la Buona Novella dell’amore di Gesù!

Ma so che, di fronte a me, un musulmanoannuncerà con la stessa intensità

la Profezia coranica.L’unico mezzo per donare la propria vita per Gesù

consiste nell’aiutare ognuno a essereun pellegrino di verità,

non limitarlo all’interno del suo contesto,valorizzare la sua esperienza di Dio...

Il mondo ha bisogno di personeiniziate all’esperienza mistica.

In modo collettivo e individuale,bisogna che ognuno senta

nel proprio corpo e nel proprio cuore,grazie a maestri esperti

il tocco, il contatto di Dio.

Paolo Dall’Oglio

Come può accadere che un giova-ne romano dallo spirito rivoluzionario, militante di sinistra, si ritrovi gesuita, sperduto in mezzo al deserto, impegnato a ricostruire il monastero diroccato di Mar Musa, a un’ottantina di chilometri da Damasco?

Al centro della vita di Paolo Dal- l’Oglio c’è un triplice incontro: con Cristo, con un luogo dell’Oriente – sco- perto per caso in una vecchia guida turistica del 1938 – e con i musulmani.

È l’inizio di un’avventura umana, spirituale, pastorale e anche archeolo- gica che, in forme diverse, continua ancora, « bionda cittadella » che porta il nome di san Mosè l’Abissino (Mar Musa el-Habashi) – il principe che rinunciò al suo regno per vivere da eremita – la comunità monastica di rito siriaco fon-data da padre Paolo mostra al mondo che il dialogo islamo-cristiano non solo è possibile, ma è quotidianamente e concretamente vissuto.

Guyonne de Montjou ha incontra- to Paolo Dall’Oglio e ne ha ascoltato la storia, che ci restituisce in queste pa- gine in tutta la sua densità.

Una testimonianza eccezionale in cui si ritrova lo spirito audace di un Louis Massignon o di un Charles de Foucauld.

D 14,00

In copertina: Paolo Dall’Oglio (immagine tratta dal documentario These Stones Remain, di P. Garety e O. Crelin).

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L’UOMO

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Pretendere di « osservare » l’uomo significaandare incontro a diverse delusioni. Vediamo iltronco da cui trae sostentamento, ma lui è mol-to di più, dispiegato nella cupola della chioma,attraversato dai mormorii del vento, popolatoda nidi di usignoli. E il vero realismo è quellodei poeti che lo seguono quando si arrampi -ca come uno scoiattolo e riescono così a intra-vedere un pezzo del cielo per il quale egli vive.

R.L. Stevenson,Una chiacchierata sul romanzesco

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POMERIGGIO DI GIUGNOA MAR MUSA

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Quando mi recai per la prima volta nel Vicino Orienteavevo ventiquattro anni. Nella mia mente, «Beirut » evoca-va la guerra, il fuoco, la polvere e l’esodo dei cristiani. Ma findal mio arrivo mi resi conto che la città voleva dire altro.Beirut era scaltra, interamente impegnata a far dimenticare isuoi quindici anni di guerra: per le strade così come nei sa-lotti, c’erano solo sorrisi, seduzioni e lusinghe. Dopo il Ver -tice della francofonia che ero venuta a preparare, partii condue amici per andare a visitare la Siria, il Paese vicino. Qui,i volti parlavano un’altra lingua. Rimasi affascinata daDamasco e Aleppo, scogli eleganti fino ai quali si lasciavanoportare le popolazioni desertiche. La Siria, Paese della Bibbiae del Corano, era quasi la Terra Santa. Ma la Siria modernaera inchiodata alle sue contraddizioni, incatenata alle suebattaglie... Era la Siria della lotta per liberare la Palestina,dell’ideale panarabo, della dittatura e dei militari. Il 17 no-vembre 2002, l’ultimo giorno del nostro tour, eravamo in uncaffè di Damasco, vicino alla moschea degli Omayyadi, quan-do un giovane siriano ci parlò del monastero di Mar Musa.Fu la prima volta che sentii questo nome.

Due ore dopo lasciai i miei amici sull’aereo per Parigi e de-cisi di posticipare il rientro di un giorno: avrei trascorso lanotte a Mar Musa. Intorno a questo nome avevo inteso le pa -role « deserto, silenzio, bellezza, ospitalità », e l’enigma miaveva sedotta. Ero sempre stata attratta dai luoghi in cui l’uo -mo si ritira per pregare. Sentivo che anche a Dio piaceva ripo-

Questo testo è un'anteprima del libro. Il numero delle pagine è limitato.

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sare lì, come nel settimo giorno. A Bec Hellouin, a Solesmese a Poligny, avevo trovato l’atelier che fabbricava un ricetta-colo unico e misterioso, originale e solido, per contenere quel-lo che oltrepassava la mia vita. E ogni volta lasciavo quei luo-ghi con una sensazione di pace e di gratitudine.Mar Musa era un vecchio monastero ristrutturato da un

gesuita italiano vent’anni prima. Accoglieva indistintamen-te persone di qualsiasi provenienza e dedicava la sua energiaa incontrare quello che la Bibbia definisce « il prossimo» e lapsicanalisi « l’altro ». Per Paolo Dall’Oglio, per Mar Musa,il prossimo, il vicino, era il musulmano.Quel giorno, dopo un’ora e mezza di taxi-bus, incontrai

quell’uomo nella città più vicina al monastero, come se miavesse aspettata per rincasare. Aveva appena terminato unaconversazione sulla soglia di una casa, nel quartiere alto delpaese. Fin dal primo istante mi piacque il contrasto tra la suacorporatura da orco e il suo sguardo da bambino. Interruppel’evolversi di una paura, nata strada facendo, man mano chela notte calava su quella regione sconosciuta. Paolo mi portòcon sé.Subito la sua voce mi sembrò troppo forte, troppo « pol-

monare » per l’abitacolo dell’auto. Parlammo dei suoi primiviaggi e delle mie impressioni su Beirut. Guardando dal fi-nestrino, vedevo che il deserto aveva conquistato tutto lospazio. La sua penombra era immensa; nulla, all’orizzonte,sembrava poterla, o volerla, riaccendere. In quella macchina,le nostre parole cercavano di opporle una vana resistenza.Che cosa aveva spinto quell’uomo, cittadino di Roma, a sta-bilirsi in quell’angolo sperduto di mondo? Che cosa volevatrovare l’erede di una delle più profonde tradizioni dellaChiesa, un gesuita, in mezzo ai musulmani? Da dove venivaquella sua insolente compiutezza?Fuori scorsi un rilievo perforato da grotte. Paolo mi dis-

se che la montagna che stavamo attraversando aveva sem-

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pre dato accoglienza agli eremiti. Eremiti. Soli nel confron-to con se stessi. «Guyonne, Gesù ha conosciuto le grotte ele montagne di questa regione. Le ha frequentate insieme alsuo amico intimo, Giovanni Battista. Questi due ragazzi lehanno rivestite di un’immensa importanza. Queste grottesono un dono: qui fluttuano venti secoli di preghiera ». Lolasciai parlare, mentre gli occhi neri della montagna, legrotte, guardavano passare il nostro pick-up Mazda.Erano quasi le nove di sera quando arrivammo. Spento il

motore, si impose un immenso silenzio. Per scongiurarlo,scendendo dalla macchina diedi un colpo forte con lo spor-tello: il rumore colpì la montagna. Davanti ai miei occhi,nulla. Lo spazio si dilatava. Mi voltai: davanti, dietro, nonappariva nessuna forma. Dov’ero? Chi sapeva che ero lì? Chimi aspettava? La montagna somigliava alla colonna verte-brale rugosa di un animale. Le pietre, rotolando sul silenzio,punteggiavano il nostro cammino. La luna illuminava i no-stri passi. Illuminava Paolo, che saliva, tranquillo, con il cor-po agile e un piacere visibile. Ci avvicinavamo a tastoni a unastrana bestia. Improvvisamente questa apparve, dritta sullamontagna, a una decina di metri: una facciata senza finestre,una fortezza. Bisognava sfiorarla, girarle intorno, per assalir-la. Dall’altro lato, la montagna continuava, scoscesa, spigo-losa, rocciosa. Quel casermone occupava gli ultimi metri dialtezza prima dell’immenso orizzonte desertico, come perproteggere la verticalità, interrompere il deserto e posticiparela caduta del mondo. Il senso della proporzione era diventa-to per me qualcosa di estraneo. Quant’ero alta? Come avreifatto a passare da quella minuscola porta d’ingresso? Infine,varcai la soglia, superai una seconda apertura e mi trovai inun cortile lastricato, accarezzato da una brezza deliziosa, ve-nuta da lontano. Alla mia sinistra c’era una porta di legno,davanti alla quale erano ammonticchiate ciabatte di plastica,come all’ingresso di una moschea. Avevo perso Paolo.

11Questo testo è un'anteprima del libro. Il numero delle pagine è limitato.

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Spinsi un’asse verticale che nessun chiavistello tenevachiusa. Un tappeto sospeso, carico di polvere e di incenso, miimpedì il passaggio. Comprimeva il calore quasi umano delvestibolo. Dietro, udii una voce proclamare qualcosa in ara-bo. Entrai, era una chiesa. Ancora silenzio e buio. In fondoai miei occhi, si schiantava la notte: l’oscurità del monasteromi stava facendo impazzire! C’era una fiamma, una sola, sulpavimento coperto di tappeti. Quand’ero entrata, aveva va-cillato. Niente, oltre ad essa, segnalava che ero penetrata inquel luogo. Mi appostai dietro una colonna. Qualcuno, in ungrande silenzio, raccolse la candela da terra. La sua manorossa, traslucida, si avvicinò a un volto giallo. E quel muc-chietto luminoso avanzò verso un’iconostasi in cui si trova-va un altare. Il rituale della luce era cominciato, come in tut-te le religioni. Ogni stoppino, perso nella notte, ricevette lasua fiamma. A poco a poco vidi sguardi inerti, volti murati.Affreschi. Ce n’erano dappertutto, su ogni muro. Grandiosi.

Una decina di persone erano sedute sui tappeti. Paolo se-deva a gambe incrociate, gambe elastiche, le spalle rivolte al-l’iconostasi, come un buddha. Il suo volto era cambiato. Simise a parlare in arabo. Improvvisamente si voltò verso dime: «Qui parliamo la lingua del Corano; siamo in una chiesache ha più di quindici secoli e parliamo la lingua sacra e litur-gica di tutto l’islam... perché l’islam è una religione che tendeverso la Verità tutta intera, ed è qui che si incontra con noi cri-stiani. Ci poniamo nell’asse del destino dei musulmani, percapirli dall’interno, per amarli ». Non capivo. Secondo me, lereligioni parlavano con il loro Dio, ognuna secondo i propricodici, la propria indifferenza o la propria capacità di apertu-ra verso gli « infedeli ». Ero convinta che l’islam fosse natosette secoli dopo la Chiesa come un’immensa provocazione.Mi ci vollero ancora alcuni minuti per sentirmi a casa mia

a Mar Musa. Quando uscii sulla terrazza, vidi che la terra eranuda come in nessun altro posto. In lontananza si poteva

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scorgere qualche presenza, forme nel deserto, luci qua e là,ma niente riusciva a ricoprire la nudità immensa della terra,il suo grido. Le braccia del silenzio mi avvolgevano con amo-re: ero diventata il punto culminante di tutto il paesaggio.

Fin da quel giorno volli chiarire il mistero di quel luogo.Mi ci vollero centinaia di giornate in quel deserto, ore di me-ditazione nelle sue grotte, viaggi di ritorno a Parigi, molti in-contri e molto amore per decidermi a scrivere questo libro.Ho approfittato del reportage in Libano per tornare a

Mar Musa, come si torna in famiglia. Anche questa volta hotrovato intatta e maturata la vita di quella decina di religio-si e religiose, arricchita la biblioteca, ampliati i luoghi di ac-coglienza per viaggiatori e pellegrini, approfondito il dialogotra la Chiesa e l’islam, fedele l’impegno di Paolo a costruireun luogo di convivialità.Non conosco nessun uomo sulla terra con aneliti di cono-

scenza grandi come i suoi. Né i vasti spazi contemplati né icinquant’anni già vissuti sono riusciti a moderare la sua ri-cerca. Ho accolto la sua lunga confessione nel calore dei po-meriggi di giugno, a piedi nudi, sui tappeti beduini del salo-ne di Mar Musa. Ma l’ho ricevuta nella sua impressionanteprofondità solo dopo essere tornata dalla Siria, a casa mia, aParigi, seduta sul tappeto che mi aveva regalato Paolo. Da so-la, ho cercato in me l’emozione giusta, per raccontarla a tut-ti coloro che cercano la purezza delle proprie intenzioni o ilsenso della propria vita.Avevo bisogno di trovare il sentimento fondamentale,

puro, spirituale per comprendere Paolo. Avevo bisogno an-che di continuare a vibrare al contatto della sua debolezza,della sua povertà, della sua umanità ordinarie. MargueriteYourcenar, di cui ammiro molto l’Adriano, dice che « la ma-niera più profonda per entrare in un individuo è ascoltare lasua voce, capire il canto stesso di cui è fatto ». Nel silenzio

13Questo testo è un'anteprima del libro. Il numero delle pagine è limitato.

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del deserto, una musica tenue si lasciava a poco a poco cat-turare in mezzo ai mucchi di parole di Paolo, che spuntava-no a raffica: questa melodia dal fascino discreto suonava incontrappunto. Come far vivere nel presente la melodia diPaolo?Come rendere l’invariante di quel canto, la sua solidità?

Su quale suolo un giorno ha deposto l’intenzione di avvici-narsi di più ai musulmani per amarli in questo modo? Checosa, nel profondo della sua identità, l’ha condotto fino aMar Musa? Qual è l’efficacia di questa missione? Un luogocome questo può salvare il mondo o può solo portare alla per-dizione un uomo, insieme ad alcuni suoi monaci?In tutti i nostri anni di dialogo, c’era qualcosa nel suo ap-

proccio, nel suo modo di affrontare le questioni, che mi affa-scinava. Quel modo di riflettere non l’avevo ancora trovatoin nessuno: Paolo era libero dalla lingua, dalle immagini,dalla religione, dallo sguardo degli altri, dalla Chiesa, dai be-ni materiali. Una cosa sola, solo una, restava: la sua fedeltà.Se fosse unicamente venuto a nascondersi, per sfuggire al-

la modernità, per costruire una bella casa o una bella opera,sarebbe stato semplicemente uno dei tanti uomini idealisti,dotati di grande manualità, dall’occhio sicuro... Ma la forzaquasi performativa della sua intuizione gli ha sempre impe-dito di fare calcoli. Se non si capisce questo, non si capiràniente di questa avventura: Paolo, senza la ricerca cieca, sfre-nata, compulsiva della propria verità, non sarebbe stato né ilfondatore di un ordine, né un missionario, e nemmeno unuomo di Dio. Il sorprendente incontro di quest’uomo con unedificio abbandonato nel deserto mostra l’ansia di un’animadi trovare una cornice propizia per espandersi. Paolo, in ogniistante, insegue un miracolo, e così lo provoca.Un giorno, durante una conversazione importante con

lui, lo vidi chiudere gli occhi. Subito pensai che si stesse ad-dormentando, e abbassai la voce. Vidi allora cambiare la for-

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ma del suo volto: le guance più incavate, gli zigomi diventa-vano quasi sporgenti, il collo si assottigliava. Successe in fret-ta. Dalla piega degli occhi capii che si stava concentrando,che stava radunando i suoi frammenti per essere solo e uni-camente una persona in ascolto. Riprendemmo il filo delladiscussione attraverso il silenzio. Tutto era cambiato. Ormaiavevo la certezza di essere accolta e il suo desiderio di ascol-tare richiamava il mio desiderio di parlare. Paolo mi aprival’accesso al suo spazio di vita spirituale. Lo spirito scendeva.Parlavamo altrove. Nulla era più in nostro potere: poco pervolta, in piena libertà, le nostre resistenze saltavano. E io, co-me lui, dovevo accettare consciamente e inconsciamente chelo spirito scorre. Aprire i rubinetti. Vidi allora che dentro dime c’era una diga, che diceva tutta la mia paura di essere tra-volta. Questa diga era il frutto di un’educazione, di una sto-ria. Sicuramente aveva una sua utilità.Durante la nostra conversazione di quel giorno, vidi che

la mia anima si interessava a quei punti lungo la diga dovec’erano delle fughe. La mia anima cercava quelle gocce.Quell’umidità bastava già a farmi toccare un po’ di quelleacque impetuose che, ormai da molto tempo, dall’inizio del-la mia vita o dalla creazione del mondo, aspettavano pazien-temente alla porta.

Mar Musa, la strada maestra! Andare nel deserto, faregli esercizi spirituali, gustare la vita in profondità, che pri-vilegio! Adesso si aggiunge la gioia di scrivere questo libro,di voler fare qualcosa di bello, un canto, un sogno, per cer-care di dilatare il nostro mondo così compatto.

Un giorno chiesero a Maurice Zundel: «Quali sono i no-stri desideri naturali? ». Il grande mistico rispose: «Cono -scere senza dolore: incontrare la verità sotto forma di un esse-re vivente o di una persona. Questo è un desiderio naturale.Se potessimo vedere questa persona e conversare con lei sen-

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za che smettesse di essere spirito, allora saremmo pienamentesoddisfatti ». Paolo, spesso, smetteva di essere spirito, e il suocorpo, la sua sofferenza, la sua immediatezza cercavano mal-destramente un posto, una funzione, nella sua ricerca travol-gente, disordinata, impaziente di verità. Paolo diventavatirannico, seduttore, ricco, indigente, martirizzato, gioioso,cupo, ragazzino, entusiasta... e in mezzo a quelle oscillazionisparse, complesse, le nostre ore si concatenavano, fragili, unavolta per tutte.Stiamo per entrare in un libro di dialoghi, che rende pub-

blico ciò che « c’è tra noi ». Tra il religioso e la ragazza. È il« vuoto mediano» la vera sostanza di questo libro. Tra le no-stre due coscienze, le nostre due fragilità, lo spazio di una ve-rità più grande. Le frasi di Paolo, prese al volo, non sono sta-te dettate; è il loro spirito quello che ho cercato di trascrivere.Per restituire la nostra maieutica feconda e renderne parteci-pe il lettore, desidero che questo libro abbia un’impronta di« passaparola ». Vorrei infatti che, leggendo questa confessio-ne, ognuno possa meravigliarsi del miracolo che gli incontridella nostra vita possono rappresentare.Una mattina d’agosto, mentre stavo lavorando in una

stanza in Normandia, notai che il folto fogliame degli alberidel bosco formava una curva al di sopra della quale si agita-va il mare. La foresta appariva come un calice aperto, sempreda riempire. Osservai la forma che, quell’anno, la combina-zione di piogge e di soli aveva dato al recipiente. All’improv -viso, con un’esatta proporzione, apparve il panorama di MarMusa. Gli alberi avevano sostituito le pietre, e il mare diNor mandia il deserto giallo che si estende, laggiù, a perditad’occhio. Una legge tacita si rivelava: percepii lo sforzo diuna vita che arriva, e che desidera già, in qualche modo, pre-parare il nostro cuore a riceverla.

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Parte prima

UN PESO INVISIBILENELL’ARIA

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SCOPERTA

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Nella biblioteca di Mar Musa ho trovato vecchie foto congli angoli smussati scattate negli anni Ottanta. Rappresen -tavano una rovina gialla, sporca, devastata, che si nascon-deva nella montagna come un animale ferito. Dei negativimostravano alcuni compagni, uomini e donne, che traspor-tavano pietre o erano accampati attorno al fuoco. Tra loro,un giovane con la barba: Paolo. Il suo sguardo era diverso, isuoi occhi sembravano dire: « Io non abbandonerò questoluogo ». Non aveva ancora ventotto anni quando Mar Musamise gli occhi su di lui. Ecco il racconto che Paolo mi fece diquel primo incontro.

Durante l’estate del 1982, mentre ero in viaggio nel Vi -cino Oriente, scoprii una vecchia guida della Siria pubbli-cata nel 1938. Sfogliandola, trovai un paragrafo che de-scriveva un monastero cristiano, abbandonato da duesecoli in mezzo al deserto. Il luogo si chiamava Deir MarMusa el-Habashi (monastero di San Mosè l’Abissino). Perportarci i viaggiatori, la guida proponeva di noleggiare unmulo a Nebek, la città più vicina, e di percorrere una pistaattraverso il deserto. Il tragitto durava tre ore. L’idea mipiacque infinitamente. Eravamo nel mese di agosto; la miamissione come interprete arabo per un agente dellaCaritas internazionale che stava visitando il teatro dei con-flitti della regione era giunta al termine e io cercavo unluogo dove ritirarmi prima di tornare a Roma. L’idea del

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deserto e del monastero abbandonato mi attirò subito.Qualcuno cercò di dissuadermi, trovando imprudente cheio soggiornassi così lontano da un villaggio, senza acqua néelettricità, nel bel mezzo del mese di agosto. Ma io prova-vo per quel luogo una singolare attrazione. Una sera pre-parai lo zaino, come se sapessi che cosa mi aspettava, comese conoscessi fisicamente il luogo dove mi apprestavo adandare. Mar Musa era già dentro di me.Arrivai dal deserto: niente era cambiato dal 1938! La

pista scivolava su un territorio spoglio, giallo e pietroso, inmezzo alle colline. Quando infine scorsi il fabbricato, il so-le era appena sparito. La costruzione era messa di spalle,come una donna sfigurata che abbassa lo sguardo per lavergogna. Carico d’acqua e di viveri, accelerai il passo perraggiungerla prima di notte... Mi accompagnava un uomodi Nebek ma, ansioso di tornarsene a casa, mi abbandonòuna volta aperta la porta d’ingresso. Solo, mentre la notteaveva appena deposto la sua calotta sul paesaggio, pene-trai all’interno del rudere.Ebbi subito l’istinto di tornare indietro. Nel cortile in-

terno era tutto rotto: non c’erano porte né finestre, a ma-lapena qualche muro... Qua e là, tracce di vandalismo,della brama di scavare senza riguardo, segni che gli uomi-ni avevano aiutato il tempo a demolire quel luogo. In que-sto caos vidi riflesso il dramma della regione, devastatadalla guerra. Alla mia sinistra notai che alcuni muri eranoancora in piedi, come per circoscrivere uno spazio diver-so: forse le pareti della chiesa... Entrai. Alzai gli occhi, erimasi meravigliato dallo splendore del soffitto di stelle.In certe chiese si possono trovare stelle dorate dipinte sul-le cupole blu. Qui, una profonda luce di stelle penetravaattraverso le tre navate della chiesa. Ero soggiogato.Al centro del rudere, la timida luce della mia torcia

elettrica illuminò l’interno degli archi: vi erano dipinte al-

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cune sante donne. I loro volti miracolosamente conserva-ti mi guardavano. Mi interrogavano: «Che cosa fai qui? ».Senza mentire, avrei potuto rispondere che avevo scoper-to il luogo della mia vita.Immediatamente mi trovai preso in un turbinio di pre-

senze; mi giungeva tutta la storia dell’Oriente ferito e be-nedetto. Erano le dieci di sera ed era come se fossi statoatteso in quel luogo preciso del deserto. Prima di prepa-rarmi per la notte, aprii una scatola di sardine. Una voltavuota, finì in un buco del cortile. Poi disposi il sacco a pe-lo di fronte al panorama, sulla parte più libera della ter-razza, per paura che mi cadesse in faccia un serpente. Manel cuore della notte, uno strano suono di campane misvegliò. Il mio spirito annebbiato cercò di capire da doveprovenisse. Mi alzai. A pochi metri di distanza, trovai untopo che stava ripulendo la mia scatola di sardine: il me-tallo sulle pietre faceva tintinnare il carillon...

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INDICE

Pomeriggio di giugno a Mar Musa pag. 9

Parte prima

UN PESO INVISIBILE NELL’ARIA

Scoperta » 21Nostalgia » 24Pietra » 26Sensibilità » 29Donne » 32Bocca » 35Impegnato » 36Verso Oriente » 41Vocazione » 43Armi » 46Terra Santa » 48Castità » 52Esercizi » 56Pilastri » 59Inculturazione » 62Miracoli » 64L’ospite » 67La fuga » 69Siriaco » 72

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Parte seconda

BIONDA CITTADELLA

Priorità pag. 81Abdâl » 85Combinazione » 89Agonia » 93Speranza » 97Obbedienza » 102Sura 18 » 104L’attenzione » 107Evangelizzazione » 110Inossidabile islam » 115Lingua araba » 118Umma » 120Gandhi » 122Miracolato » 125Incardinazione » 129Resistenza » 131Jacques » 133Psicanalisi » 135Nuzialità » 137Gli altri di Mar Musa » 139Eglantine » 142Le mani » 144Passione di povertà » 146Quotidianità » 150Il tatto » 153Reintegrazione » 155Giovanni Paolo II » 157Il processo » 159Lasciare Mar Musa » 161

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Parte terza

L’ALBA DEL MILLESIMO MATTINO

Una vita mancata pag. 165Dio sono io! » 167Anime malate » 168Atei » 170Religione universale » 172La « lancia-islam » » 174Preghiera musulmana » 176Estraneità del male » 179Inumanità » 180Celibato » 182Omosessualità » 184Matrimonio » 186Una favola » 188Campo magnetico » 191Profezia » 193Le masse disponibili » 195Comunione » 198Dialogo » 199Bin Laden » 200Vecchiaia » 202Reincarnazione » 204«Amico » » 207Il sogno » 209

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DEL DIALOGO

Paolo Dall’Oglio

a colloquio conGuyonne de Montjou

Guyonne de Montjou, giornalista francese, è esperta di Vicino Oriente e di dialogo interreligioso. Autrice di articoli per diverse testate, tra cui Politique Inter-nationale, ha lavorato per la rete televisiva di informazione BFMTV.

PAO

LO D

ALL

’OG

LIO

. L’U

OM

O D

EL D

IALO

GOIo ovviamente annuncerò,

fino al martirio, se necessario,la Buona Novella dell’amore di Gesù!

Ma so che, di fronte a me, un musulmanoannuncerà con la stessa intensità

la Profezia coranica.L’unico mezzo per donare la propria vita per Gesù

consiste nell’aiutare ognuno a essereun pellegrino di verità,

non limitarlo all’interno del suo contesto,valorizzare la sua esperienza di Dio...

Il mondo ha bisogno di personeiniziate all’esperienza mistica.

In modo collettivo e individuale,bisogna che ognuno senta

nel proprio corpo e nel proprio cuore,grazie a maestri esperti

il tocco, il contatto di Dio.

Paolo Dall’Oglio

Come può accadere che un giova-ne romano dallo spirito rivoluzionario, militante di sinistra, si ritrovi gesuita, sperduto in mezzo al deserto, impegnato a ricostruire il monastero diroccato di Mar Musa, a un’ottantina di chilometri da Damasco?

Al centro della vita di Paolo Dal-l’Oglio c’è un triplice incontro: conCristo, con un luogo dell’Oriente – sco- perto per caso in una vecchia guida turistica del 1938 – e con i musulmani.

È l’inizio di un’avventura umana, spirituale, pastorale e anche archeolo- gica che, in forme diverse, continua ancora, « bionda cittadella » che porta il nome di san Mosè l’Abissino (Mar Musa el-Habashi) – il principe che rinunciò al suo regno per vivere da eremita – la comunità monastica di rito siriaco fon-data da padre Paolo mostra al mondo che il dialogo islamo-cristiano non solo è possibile, ma è quotidianamente e concretamente vissuto.

Guyonne de Montjou ha incontra-to Paolo Dall’Oglio e ne ha ascoltato la storia, che ci restituisce in queste pa-gine in tutta la sua densità.

Una testimonianza eccezionale in cui si ritrova lo spirito audace di un Louis Massignon o di un Charles de Foucauld.

D 14,00

In copertina: Paolo Dall’Oglio (immagine tratta dal documentario These Stones Remain, di P. Garety e O. Crelin).

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L’UOMO