Pane e rivolta del pane nei Promessi Sposi

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Pane e rivolta del pane nei Promessi Sposi Da sempre e ovunque se manca il PANE nascono le rivolte. Così è successo poco tempo fa nei paesi arabi. Così nel 1600 è successo a Milano e ce lo racconta un cronista d’eccezione: Alessandro Manzoni

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Testo di Maria Rosa Panté

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Pane e rivolta del pane

nei Promessi Sposi

Da sempre e ovunque se manca il PANE nascono le rivolte.

Così è successo poco tempo fa nei paesi arabi.

Così nel 1600 è successo a Milano e ce lo racconta un cronista d’eccezione: Alessandro Manzoni

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Notevole è la capacità di empatia di Manzoni. Lui, agorafobico, pauroso della folla, ipocondriaco, nobile e cattolicissimo, certo non un socialista ante litteram e nemmeno un politico o un rivoltoso ci regala con la sola forza dell'arte un racconto esemplare.

Seguiremo due temi:

il pane,

la rivolta del pane.

Alessandro Manzoni

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Manzoni dunque fa una descrizione “classica” d'una rivolta per il pane.

Siamo negli straordinari capitoli dei Promessi Sposi che sono una fenomenologia della lotta popolare valida in ogni tempo, luogo e per qualsiasi motivo... purché di vitale, essenziale importanza.

Questione di vita o di morte. Questione di pane.

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La vicenda è nota: Renzo e Lucia, i promessi Sposi, non possono sposarsi per l’opposizione del signorotto locale, invaghito di Lucia.

Per sottrarsi al signorotto i due fuggono, Lucia va verso Monza, dalla monaca Gertrude. Renzo va a Milano e sulla strada trova pane, bianco pane abbandonato in terra, lungo la via.

Immaginiamoci lo stupore del giovane. Fatto?

Manzoni la scrive così…

Renzo Tramaglino

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CAP. XI «- È pane davvero! - disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: - così lo seminano in questo paese? in quest'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? Che sia il paese di cuccagna questo?»

Perché ci sia rivolta deve esserci mancanza. Ma quando c’è rivolta spesso si spreca quello che c’è.

La rivolta non è previdente. La rivolta è qui e ora, non pensa al futuro. La rivolta è uno scoppio improvviso.

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CAP XII «Al forno al forno».

Renzo seguendo le tracce del pane e dei disperati che lo arraffano, i disperati spesso sono brutti e deformi e ridicoli. La miseria, la fame non sono mai belle, si ritrova nel cuore della rivolta. Là dove origina il pane: ai forni.

È il momento della confusione; la richiesta di pane è per alcuni domanda di giustizia sociale, per altri un’occasione per profittare delle circostanze... prevale l'irrazionalità.

Nella città anche fare il pane diviene fatto grottesco, reso tale dall'intensificarsi della velocità, per sedare la rivolta infatti si chiede ai fornai di fare il pane sempre più in fretta, quando il pane richiede tempo e pazienza.

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La rivolta lievita come una pagnotta, infine si scomoda un personaggio politico in vista, ilb gran cancelliere spagnolo, Antonio Ferrer… nel CAP. XIII Ferrer promette «pane e giustizia», qui quasi sinonimi. Ma che la promessa sia vana ed equivoca èesemplificato dal doppio registro linguistico (italiano/spagnolo).

Da «Il romanzo contro la storia» di Bàrberi Squarotti.

Infatti Ferrer promette in italiano, ma commenta con sarcasmo e con disprezzo verso i rivoltosi in spagnolo.

Nella sua lingua madre èsincero, tanto gli altri non lo capiscono.

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La lotta per il pane è fatto che diviene quasi un topos letterario (purtroppo), tanto che qualcuno ne fa la parodia.Parodico pare essere Ippolito Nievo ne Le confessioni d'un italiano (cap. X).

- Cittadini - (era la parola prediletta di Amilcare) - cittadini, cosa chiedete voi? (...)

- Cosa chiediamo? - Cosa ha detto? - Ha domandato cosa si vuole! -Vogliamo la libertà!... Viva la libertà!... -

Pane, pane!... Polenta, polenta! - gridavano i contadini.

Questa gridata del pane e della polenta finì di mettere un pieno accordo fra villani di campagna e mestieranti di città. (...)

- Pane! pane! Libertà!... Polenta! (...)

Ippolito Nievo

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- Cittadini (…) - cittadini, il pane della libertà è il più salubre di tutti; ognuno ha diritto d'averlo perché cosa resta mai l'uomo senza pane e senza libertà?... Dico io, senza pane e senza libertà cos'è mai l'uomo? - Cittadini - ripresi - voi volete la libertà: per conseguenza l'avrete. Quanto al pane e alla polenta io non posso darvene: se l'avessi vi inviterei tutti a pranzo ben volentieri. Ma c'è la Provvidenza che pensa a tutto: raccomandiamoci a lei!Un mormorio lungo e diverso, chedinotava qualche disparità di pareri, accolse questa mia proposta. Poi successe un tumulto di voci, di gridate, di minacce e di proposte che dissentivano alquanto dalle mie.

- Ai granai, ai granai!-

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L’ironia c’è: o insomma, pare dire Nievo, va bene la libertà, ma il pane è pane, la polenta è polenta…

Si può dargli torto? Si può dar torto ai contadini e ai mestieranti in subbuglio?

Forse per giudicare bisognerebbe sapere cosa sia uno stomaco vuoto!

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Per concludere col tema del pane…

In Manzoni il pane ha grande rilevanza anche nella vicenda di Fra'Cristoforo (Promessi Sposi, cap. IV), in cui assume la funzioneredentiva del «pane del perdono». Al giovane che uccide e si pente solo una cosa può importare per ricominciare la nuova vita: il perdono dei familiari di chi ha ucciso.

E così ecco la toccante «cerimonia»del pane del perdono, un vero rito anche perché il pane arriva su un piatto d'argento. Ma è il pane la cosa più importante (lo è davvero! Si provi, avendo fame, a mangiare un piatto d'argento!).

Fra’ Cristoforo

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Cap. IV Il gentiluomo si raccostò al nostro Cristoforo, il quale faceva segno di volersi licenziare, e gli disse: - padre, gradisca qualche cosa; mi dia questa prova d'amicizia -. E si mise per servirlo prima d'ogni altro; ma egli, ritirandosi, con una certa resistenza cordiale, -queste cose, - disse, - non fanno più per me; ma non sarà mai ch'io rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa dire d'aver goduto la sua carità, d'aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono

-. Il gentiluomo, commosso, ordinò che così si facesse; e venne subito un cameriere, in gran gala, portando un pane sur un piatto d'argento, e lo presentò al padre; il quale, presolo e ringraziato, lo mise nella sporta.

(...) Fermandosi, all'ora della refezione, presso un benefattore, mangiò, con una specie di voluttà, del pane del perdono: ma ne serbòun pezzo, e lo ripose nella sporta, per tenerlo, come un ricordoperpetuo.

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Questo pane è anche simbolo del cammino: un cammino fisico ed esistenziale, infatti da sempre il pane è anche viatico per il viaggio nel mondo di Fra Cristoforo.

Si pensi alla manna, alle gallette dei viandanti e dei soldati, al pan di via dei romanzi fantasy di Tolkien.

Dal film “Il signore degli Anelli”

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Ma torniamo alla descrizione dell’assalto ai forni nei Promessi Sposi, lasciamo il pane e osserviamo la rivolta seguendo quanto scrive Manzoni che a sua volta segue quel che fa Renzo.

Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già portatovi dalla piena, ma cacciatovisi deliberatamente. A quella prima proposta di sangue, aveva sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto al saccheggio, non avrebbe saputo dire se fosse bene o male in quel caso; ma l'idea dell'omicidio gli cagionma l'idea dell'omicidio gli cagionòò un orrore pretto e un orrore pretto e immediatoimmediato. E quantunque, per quella funesta docilitfunesta docilitàà degli animi degli animi appassionati all'affermare appassionato di moltiappassionati all'affermare appassionato di molti, fossepersuasissimo che il vicario era la cagion principale della fame, il nemico de' poveri, pure, avendo, al primo moversi della turba, sentita a caso qualche parola che indicava la volontà di fare ogni sforzo per salvarlo, s'era subito proposto d'aiutare anche lui un'opera tale; e, con quest'intenzione, s'era cacciato, quasi fino a quella porta, che veniva travagliata in cento modi.

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La frase precedente suscita da subito due riflessioni

Anche nella foga, nel tumulto, nella passione del momento qualcuno resta, come Renzo, contrario alla violenza, di istinto; pur convinto che quello sia il nemico, non vuole venga sparso del sangue. È una fortuna questo ribrezzo per il sangue che, purtroppo non tutti hanno.

Di fianco un’esecuzione pubblica: la crocifissione di Cristo.Affresco di Gaudenzio Ferrari a Varallo

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E, seconda riflessione, ecco comparire la “funesta docilitàdegli animi appassionati”, così Manzoni ci dice che nella folla in tumulto non piùconta il raziocinio, ma la passione che rende però piùdeboli le capacità razionali, insomma spesso si va dietro a chi urla più forte quasi indipendentemente da cosa dica e ci si convince che quel che dice è vero!

Chaplin ne “Il grande dittatore”

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Chi con ciottoli picchiava su' chiodi della serratura, perisconficcarla; altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavorar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati, con chiodi, con bastoni, con l'unghie, non avendo altro, scalcinavano e sgretolavano il muro, e s'ingegnavano di levare i mattoni, e fare una breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli urli; ma nello stesso tempo, con lo star lì a pigiare, impicciavan di più il lavoro già impicciato dalla gara disordinata de' lavoranti: giacché, per grazia del cielo, accade talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più ardenti divengano un impedimento.

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Ecco la folla in azione, la folla che s'impiccia, che distrugge, che usa tutti i mezzi che può. Non vi è alcun giudizio morale, questa folla ècomposta per lo più di gente che ha fame e si crede ingannata dal potere.

Il problema è però che chi piùl'inganna, nel caso del pane, èchi fa le proposte che sembrano più vicine al popolo: questa è la famosa demagogia.

Il populismo è il principale nemico del buon governo e della società.

Lo era, lo è ancor oggi e lo sarà.

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Campione di questo populismo è Ferrer, di cui abbiamo già parlato, ècolui che in qualche modo ha causato tutti i guai, infatti, in un momento di crisi ha abbassato il prezzo del pane, creando una richiesta eccessiva per le scorte esigue e un peso insopportabile per i fornai, ma dando un sollievo al popolo... però non strutturale, ma piuttosto momentaneo, transitorio e per questo più pericoloso.

Ferrer arriva a salvare il vicario assediato. Aiutato dal popolino che crede in lui, lo porta con sé. Ferrer èl'incarnazione del populismo, come abbiamo visto anche nell’uso di due lingue. Una vera lingua biforcuta!

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“- Sì, signori; pane e giustizia: in castello, in prigione, sotto la mia guardia. Grazie, grazie, grazie tante. No, no: non iscapperà. Porablandarlos. E troppo giusto; s'esaminerà, si vedrà. Anch'io voglio bene a lor signori. Un gastigo severo. Esto lo digo por su bien. Una meta giusta, una meta onesta, e gastigo agli affamatori. Si tirin da parte, di grazia. Sì, sì; io sono un galantuomo, amico del popolo. Sarà gastigato: è vero, è un birbante, uno scellerato. Perdone, usted. La passerà male, la passerà male... si es culpable.”

In italiano Ferrer parla alla folla, in spagnolo rassicura il vicario.

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Ed ecco la meravigliosa descrizione della folla alla fine (almeno temporanea) della rivolta:

“La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada. Chi andava a casa, a accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanava, per respirare un po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'andava facendo dall'altro sbocco della strada, nella quale la gente restòabbastanza rada perché quel drappello di spagnoli potesse, senza trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario. …

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Accosto a quella stava ancor condensato il fondaccio, per dir così, del tumulto; un branco di birboni, che malcontenti d'una fine cosìfredda e così imperfetta d'un così grand'apparato, parte brontolavano, parte bestemmiavano, parte tenevan consiglio, per veder se qualche cosa si potesse ancora intraprendere; e, come per provare, andavano urtacchiando e pigiando quella povera porta, ch'era stata di nuovo appuntellata alla meglio. All'arrivar del drappello, tutti coloro, chi diritto diritto, chi baloccandosi, e come a stento, se n'andarono dalla parte opposta, lasciando il campo libero a' soldati, che lo presero, e vi si postarono, a guardia della casa e della strada. Ma tutte le strade del contorno erano seminate di crocchi: dove c'eran due o tre persone ferme, se ne fermavano tre, quattro, venti altre: qui qualcheduno si staccava; là tutto un crocchio si moveva insieme”

Ah, ricordiamo per correttezza che Manzoni non era certo un rivoluzionario!!!

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Infatti l'esito raccontato da Manzoni è molto amaro, giacché i notabili, lasciate le promesse, cercano i capri o almeno alcuni capri espiatori per punire, attraverso loro, la rivolta e dare una lezione agli altri.

In questa ricerca si può anche incappare negli errori e nelle ingiustizie e infatti Renzovien preso per un capopopolo e viene arrestato... riuscirà a fuggire perché il romanzo deve continuare, ma l'amarezza del Manzoni, il suo scetticismo (che si può e forse si deve non condividere) restano gli stessi.

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1. ogni rivolta ha bisogno di un buon motivo e di organizzazione,

2. deve essere non violenta,

3. ognuno non deve cedere alle lusinghe di chi urla più forte,

4. ognuno deve temere la lingua biforcuta del potere.

Premesso che l’ideale è un mondo dove nessuno abbia motivi di cui lamentarsi (e rivoltarsi), la morale potrebbe essere divisa in punti, una sorta di guida alla buona rivolta:

Il Quarto stato,

Pellizza da Volpedo