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Cellino San Marco

La cosiddetta "tomba a forno" eneolitica rinvenuta all'interno del Bo-

sco Li Veli, è il monumento archeologico principale del territorio di

Cellino San Marco. Tuttavia la tomba non è attualmente visitabile

perché non più localizzabile e totalmente abbandonata.

Nel medioevo il casale principale è stato quello di "La Mea" (oggi una

piccola masseria al confine con il territorio di San Donaci): qui si con-

serva una cappella rurale risalente al XV secolo. La chiesa di San

Marco è stata costruita sui resti di una cappella del IX secolo, tra il

XVII e XVIII secolo, all'interno si può ammirare un bell’esemplare di

altare barocco ed una statua d’argento di San Marco risalente

al 1819.

Il castello dei nobili Albrizzi e Chyurlia è stato costruito intorno al XVI

secolo ed ampliato nel XVII secolo. Cellino è stata sotto i domini delle

famiglie De Fallosa, Noha, Albrizzi, Chyurlia ed altri signori feudatari

che la governarono dal medioevo fino al 1806, quando la feudalità

venne abolita da Gioacchino Murat e mai più ripristinata

dai Borbone lieti di essersi liberati della potente aristocrazia del mez-

zogiorno. Durante il risorgimento fu costituita una "Vendita di Carbo-

nari", una setta insurrezinale chiamata "La Plebe al Monte Sacro" ed

una sezione della Giovine Italia. Già appartenente alla provincia di

Lecce, fu assegnato alla nuova provincia di Brindisi nel 1927.

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A Masseria

Mea

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Palazzo Baronale

Il Palazzo Baronale, conosciuto come il Castello, fu realizzato dagli Albrizzi nel 1578-99 con torre quadrata

e speroni a sghembo, ampliato poi nel 1742 dal conte Chyrulia.

E' caratterizzato dalla massiccia balaustra in pietra che percorre l'intero perimetro dell'edificio “Foto distribuita

da brindisiweb.it”

Palazzo baronale restaurato

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La chiesa matrice di Cellino San Marco, sotto il titolo dei Santi Marco Evangelista e Caterina d'A-

lessandria, costruita il 1738, restaurata più volta nel 1769-70 e nel 1830, fu riedificata, sulle

basi della preesistente, circa il 1870 su progetto del brindisino architetto e ingegnere Antonio

Rubini cui si deve il disegno neoclassico della monocuspidale facciata. La chiesa settecentesca

constava "di una sola navata centrale, fornita di quattro altari, e di una trasversale che serviva

da coro e che aveva l'altare maggiore nel centro e nei lati, rispettivamente, quelli del Santissimo

Sacramento e di San Marco".

L'ampliamento avviato il 22 maggio 1769, si giustificò nella coeva conclusione capitolare"per

evitare che li secolari stessero uniti con gli ecclesiastici nella celebrazione delli divini uffici, e per

dare maggiormente comodo al popolo". La civica amministrazione di Cellino, che aveva il diritto

di patronato sulla chiesa, non disponeva tuttavia dei fondi necessari a una sollecita conclusione

dell'intrapresa; si rese così necessario che due sacerdoti s'incaricassero della questua all'interno

del feudo di Cellino e altri quattro in quelli di San Pietro Vernotico, Valesio, Tuturano, Sandonaci,

San Pancrazio Salentino. Se si considera che il clero della Collegiata non superò mai le sette uni-

tà lo si può considerare al tutto attivato nell'attività di raccolta di eventuali offerte dei fedeli che

risultarono comunque insufficienti tanto che si dovè ricorrere alla contrazione di un prestito di

30 ducati con la marchesa Stefania d'Afflitto, moglie di Pasquale Chyurlia, signore di Cellino.

Completati i lavori nel 1770, a fornire di arredi sacri la chiesa provvide il lascito di Stefania d'Af-

flitto che legò a beneficio d'essa trenta annui ducati. Fu così possibile l'acquisto di argenti quali

un calice, un ostensorio, una piccola statua-reliquiario di san Marco, una croce, un turibolo, una

navicella dell'incenso e di tessili quali un piviale e due tonacelle.

La fabbrica settecentesca non doveva essere delle migliori; nel 1830 la chiesa minacciava crollo

e fu necessario eseguire interventi di consolidamento statico. Altri ne seguiranno nel 1838,

1839, 1843, 1847, 1849 e 1860. Nel 1863 la civica amministrazione decise infine di abbattere

l'antica facciata, di allargare la navata centrale, di aggiungere altre due navicelle; il progetto sarà

attuato solo dieci anni dopo quando si ottennero dal prefetto della provincia 500 ducati e si darà

incarico per la loro realizzazione al brindisino Antonio Rubini. Nel 1863 s'incominciò bensì a co-

struire il campanile, minacciando crollo l'antico; ne venne allora completato solo il primo piano.

Chiesa Matrice

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Gli interventi ottocenteschi resero alla Matrice l'aspetto descritto dal Gambardella il 1927:

"L'interno è a forma basilicale, a tre navate, sorrette da colonne con archi a tutto sesto. Tutti gli

altari che in esso si trovano, fatta eccezione per quelli posti nella navicella trasversale, rimonta-

no al secolo scorso e non hanno alcuna importanza per l'arte. Nella navata destra, dopo il fonte

battesimale in pietra dura, opera del XVIII secolo, recante in mezzo lo stemma del comune, sor-

montato da una corona marchesale, si trovano, successivamente gli altari dei Santi Cosma e

Damiano, della Madonna del Carmelo, del Sacro Cuore di Gesù, di San Biagio; e, nella navata

sinistra quello di San Giuseppe, imitazione barocca del secolo scorso, quello del Crocifisso e

quello del Rosario, quest'ultimo dichiarato privilegiato da Leone XIII nel 1895. Nella navata tra-

sversale, infine, sono da notarsi l'altare maggiore, l'altare di San Marco e quello del Santissimo

Sacramento, tutti e tre del secolo XVIII. Il primo, cinto di balaustrata, è ornato con decorazioni

quasi esclusivamente floreali. Venne isolato dal muro al quale era addossato nel 1769, quando

fu necessario abbattere questo per la costruzione dell'odierno coro. Il secondo, indicato anche

nelle conclusioni capitolari col nome di altare del Barone, è colorato variamente ed ha una tela

che raffigura San Marco, dipinta nel 1754 da un tal Giovanni Scatigni. Identico a questo, per lo

stile e per la decorazione, è l'altare del Santissimo Sacramento, circondato di solida balaustrata

in pietra dura, con una tela del cenacolo, opera dello stesso Scatigni".

Gli interventi compiuti, reiteratamente, fra 1955-6, 1961-4 e 1983, rendono valore documenta-

rio alla testimonianza del Gambardella; molto infatti è stato modificato. Permane la tela di San

Marco dipinta dal brindisino Giovanni Scatigno la cui bottega fu molto attiva nella seconda me-

tà del XVIII secolo.

L'area presbiteriale è stata variata, pochi anni or sono, con il recupero del novecentesco dipinto

parietale, opera di Leonardo Perrone, avente a soggetto Santa Caterina dAlessandria fra i dotto-

ri del Tempio. Di Salvatore Murra, che li realizzò il 1955, sono i dipinti sulla volta con rappresen-

tazione dei Santi Evangelisti.

Circa il menzionato privilegio legato all'altare del Rosario è da rilevarsi che Altare privilegiato è

quello che gode della indulgenza plenaria, da applicarsi al defunto per il quale si celebra la

Messa. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 precisava che in linea generale non poteva aver-

sene più d'uno per chiesa:

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Fu intorno alla cappella di San Marco, oggi adiacente il cimitero completato il 1872, che si svi-

luppò, ai margini di un itinerario che da Oria per Valesio muoveva verso Otranto, il primo abitato

di Cellino. Era la chiesetta dipendenza della grande abbazia benedettina di Sant’Andrea dell’Iso-

la di Brindisi e forse centro monastico di rito greco.

Dell’edificio medievale rimane, secondo il Gam-

bardella, ―una parte di uno solo dei muri laterali,

e precisamente quello rivolto a Occidente. In

questo si possono vedere tre nuclei di costruzio-

ne diversi. Il primo, formato di grosse pietre ce-

mentate con calcina e bolo rosso, corre dalla

base del muro stesso e non oltrepassa la corni-

ce architravata di quella porta che su di esso un

tempo s’ apriva. Questo per me sarebbe il più

antico, come la porta in parola, per alcuni carat-

teri di somiglianza con una della badia di Cerra-

te, potrebbe essere quella dell’antica grancia

che s’apriva, forse, sulla vecchia carrozzabile

Cellino-Brindisi. Gli altri due, composti di pietra

tufacea, sarebbero molto posteriori e corrispon-

derebbero a due rifacimenti della chiesetta anti-

ca, l’uno nel 1213, l’altro, nel 1716. La data

1213, “incisa sul pavimento” ma non più visibile

già nel 1927, potrebbe indicare il termine di

passaggio dal cenobio brindisino all’abbazia di

Santa Maria di Cerrate.

L’intervento completato il 1716 fu, di fatto, rico-

struttivo dato che della primitiva cappella per-

manevano nel 1693 solo due muri ― e questi

erano così imbrattati che non si sapeva se aves-

sero fatto parte di una stalla, oppure di una

chiesa‖. La ricostruzione della chiesa si volle

avvolta nell’aura del miracolo. La spinta all’intra-

presa edilizia sarebbe stata offerta dal miracolo-

so rinvenimento di una nicchia con l’effigie di

San Marco da identificare, secondo il Gambar-

della, con quella che è ―al di sopra della porta

d’ingresso della chiesetta‖ in cui pure si conser-

va la statua, in gesso, del santo. Questi, secon-

do un’altra versione, avrebbe convinto i cellinesi

che passavano da quelle parti a versare un

obolo o del materiale di carpenteria per la

ricostruzione. Si tratta di una memoria che

si fonda sull’uso diffuso, nel caso di costru-

zioni di chiese, di contribuzioni collettive

attraverso la corresponsione di danaro,

giornate lavorative o materiali. Il culto di

san Marco si può pensare introdotto attra-

verso la mediazione culturale di Venezia

presente nel basso Adriatico con le sue na-

vi e i suoi mercanti già nel IX secolo; all’829

si data il trasporto del corpo di San Marco

da Alessandria d'Egitto a Venezia. Nell’832

si ha la consacrazione della prima chiesa di

San Marco il cui impianto planimetrico pare

riproposto nella cripta dei santi Crisante e

Daria in Oria voluta dal grande vescovo

Teodosio (865-95).

La facciata si presenta divisi in due ordini

tripartiti da paraste in quello inferiore e da

due lesene nell’altro superiore che nella

Cappella San Marco

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sua parte centrale si pare una nicchia in cui è l’antica statua in gesso di San Marco; un timpano

è a coronamento di quest’ordine completato da due volumi architettonici a pianta quadrata,

tetto piramidale e aperture frontali ad arco a tutto sesto. I restauri intervenuti negli anni ’50 e

’80 del XX secolo hanno ridisegnato, come rilevarono Dell’Atti e Rizzello, il complesso. Nel 1986

Ilio Dell’Atti rilevava: ―Sono state cancellate quelle linee che, sottili, producevano l’ornato di fac-

ciata: si convertivano in linee-forza all’altezza dei matronei, si addensavano in grumi, si assotti-

gliavano in dosate riquadrature per poi esplodere con intenso lirismo, espressione di un rappor-

to col mondo, nella plastica tormentata dell’altare che consacra nell’horror vacui l’ansia esi-

stenziale dell’artista. Le figure dei santi, ai due lati di esso, a metà altezza, placano, più quiete,

la ricerca dell’assoluto‖.

L’interno, ad unica navata, termina con l’area presbiterale dove è l’altare maggiore che, rileva

ancora Dell’Atti, ―raro e prezioso, può figurare in un libro d’arte‖.

Per Enzo Gambardella è ―un misto di foglie, di frutti, di uccelli, di angeli, di mostri, e può dirsi

una delle più strane bizzarrie del barocco nel secolo XVII. Tali caratteri presentano anche le due

colonnine che sorreggono la parte superiore dell’altare e che recano rispettivamente nel mezzo

le due iscrizioni SOLI DEO – DIVO DEO. Tra queste vedesi un quadro che rappresenta san Marco

circondato dagli angeli‖. Rileva ancora il Gambardella: ―Al di sopra di questo, sorrette da due

cariatidi poggianti sulle colonnine di cui abbiamo parlato, si vedono scolpite in pietra le immagi-

ni di santa Susanna e di santa Lucia e, in mezzo ad esse, un affresco della Beata Vergine Im-

macolata, dipinto nel secolo scorso [XIX] per coprire la sagoma di un finestrone che, insieme

con gli altri due laterali, si apriva nella casetta dell’eremita‖ ossia del custode. Ai lati dell’altare

sono presenti le statue dei santi Antonio e Paolo. Si viene a proporre, in tal modo, una sintesi

quasi delle devozioni proprie di centri limitrofi quali Erchie e Torre Santa Susanna. Nel secondo

arco-nicchia sulla destra della navata è la statua processionale di San Marco, in legno policro-

mo, di bottega veneziana. Resa irriconoscibile quasi per i pesanti interventi subiti in passato, è

attribuibile al XVIII secolo ed era inserita in un altare, demolito come l’altro che lo fronteggiava,

voluto nel 1874 da Giuseppe Bolognini sostitutivo di altro realizzato il 1716. Il santo è rappre-

sentato secondo la consueta sua iconografia ovvero con ai piedi un leone. La stessa rappresen-

tazione era proposta nell’olio su tela che il mandurino Diego Oronzo Bianco (1683-1767) dipin-

se nel XVIII secolo perché avesse collocazione sull’altar maggiore. La chiesa è meta di pellegri-

naggio, come rileva Francesco Spina ―durante le due feste che si celebrano rispettivamente ad

aprile e a luglio‖.

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Sulla strada per Campi Salentina è sito il Castello dei De Viti de Marco, costruito nel 1888,

denominato Torre del Rifugio dopo aver ospitato il re Vittorio Emanuele III. L'edificio è cono-

sciuto anche come Villa Neviera in quanto nei suoi locali si riuscivano a conservare scorte di

neve anche in estate.

Nel vicino boschetto di querce, in contrada "Li Veli", in parte di pertinenza comunale ed in

parte privato, vi sono ancora tracce di alcune tombe di epoca messapica a celle e a forno

(2000 a.C

Castello De Viti De Marco

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Fuori dal centro abitato, in direzione Oria, si può osservare la recente statua del Reden-

tore, posta su una roccia (foto a destra); poco più avanti le tenute di Albano Carrisi e nel-

le vicinanze anche l'attrezzato "Curtipitrizzilandia", un parco boschivo della famiglia Car-

risi utilizzato anche come area ludico-educativa. Fa parte del Bosco Curtipitrizzi, residuo

della foresta Oritana, con lecci, roverella ed altri esemplari di macchia mediterranea.

Nella stessa contrada "Mea" (circa 2 km dal paese) pressi dell'antica e bella Masseria

con annessa cappella, sono stati rinvenuti interessanti reperti di epoca romana.

Dintorni

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Citta del vino

Titolata come Città del Vino per le produzioni vitivinicole di qualità, Cellino San Marco

conta oggi quasi 7mila abitanti e dista circa 30 km dal capoluogo.

L e varie cantine:

Cantina Due Palme

Cantine La Cellinese

Cantine Albano Carrisi

Cantine

Carrisi

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Territorio

Coordinate 40°28′0″N 17°58′0″E40°28′0″N 17°58′0″E (Mappa)

Altitudine 58 m s.l.m.

Superficie 37,46 km²

Abitanti 6 755[1] (31-12-2010)

Densità 180,33 ab./km²

Comuni confinanti Brindisi, Campi Salentina (LE),Guagnano (LE), San Donaci,San Pietro

Vernotico,Squinzano (LE)

Cod. postale 72020

Prefisso 0831

Fuso orario UTC+1

Codice ISTAT 074004

Cod. catastale C448

Targa BR

Cl. sismica zona 4 (sismicità molto bassa)

Nome abitanti Cellinesi

Patrono San Marco Evangelista, Santa Caterina d'Alessandria

Giorno festivo 25 aprile, 25 novembre

Informazioni

———> Cellino San Marco

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Personalità legate a Cellino San Marco

Al Bano

Nazionalità Italia

Genere Pop

Periodo di attività 1965 – in attività

Etichetta Fantasy, La voce del padrone, EMI Italiana

Album pubblicati 33

Antonio De Viti De Marco

« ..Nato nel 1858 a Lecce, Antonio De Viti De Marco, destinato a diventare uno dei maggio-

ri economisti italiani a cavallo tra il XIX e il XX secolo, visse a Casamassella, piccola frazione di Uggiano la

Chiesa in provincia di Lecce, la propria infanzia e gioventù, dimorando nel castello nobiliare della famiglia,

i marchesi di Casamassella, o nella residenza nel capoluogo salentino dove frequentò con successo ilLiceo

classico statale intitolato, segno del destino, all'economista pugliese settecentesco Giuseppe Palmieri.

Personalità versatile e fortemente impegnata nel sociale e in politica, Antonio si iscrisse poi alla facoltà

di Giurisprudenza dell’Università di Roma, andando peraltro contro le proprie inclinazioni che lo avrebbero

portato invece ad assecondare la sua già spiccata attitudine per le materie scientifiche e tecniche. Durante gli

studi nella capitale, strinse grande amicizia con il quasi coetaneoMaffeo Pantaleoni che, come lui, si sarebbe

distinto negli studi economici.

Nel 1881 conseguì la laurea e iniziò a tenere seminari presso l'Università di Napoli. Dopo aver lavorato nel-

le università di Camerino, Macerata e Pavia, nel 1887 fu chiamato alla cattedra di Scienza delle finan-

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ze dell'Università di Roma, dove avrebbe poi insegnato per oltre quarant'anni.

Nel 1890 acquistò il Giornale degli economisti insieme all'amico Maffeo Pantaleoni e a Ugo Mazzola, diventandone direttore.

A meno di quarant'anni, Antonio De Viti De Marco era già noto come uno dei principali economisti viventi e la sua fama si ac-

crebbe ulteriormente quando riuscì a riunire nel suo Giornale degli economisti i migliori cervelli dell'epoca, tra i quali Vilfredo

Pareto e Luigi Einaudi.

Nel 1901 fu eletto al Parlamento come deputato, aderendo al Partito Radicale; qui si batté in particolar modo contro la politica

protezionistica (nel 1904 fondò la Lega Antiprotezionista).

Dalle colonne del giornale prima e dai banchi del Parlamento poi, si dimostrò strenuo oppositore di Francesco Cri-

spi e Giovanni Giolitti, nonché della politica doganale del 1887 e dei dazi, prevedendone, con straordinaria lungimiranza, le

nefaste conseguenze.

L'intensa attività politica non fu disgiunta da quella di giornalista-saggista esercitata, in stretta collaborazione con il corregiona-

le Gaetano Salvemini, soprattutto sulle colonne de L'Unità, dalle quali l'economista diffuse il suo disegno

di modernizzazione della democrazia in Italia, con una grande attenzione ai problemi del Mezzogiorno. Date le sue profonde

convinzioni politiche ed economiche di stampo decisamente democratico e liberale, all'avvento del fascismo decise di mettersi

in disparte, fino a rassegnare nelle mani del professor Pietro De Francisci, rettoredell'Università di Roma, nel novembre 1931,

le dimissioni dalla cattedra in quell'ateneo.

Fermo oppositore del fascismo, si rifiutò, inoltre, di giurare fedeltà al regime; si dimise dall'Accademia dei Lincei e rifiutò la

proposta di Mussolini di essere nominato senatore. La stoica posizione dell'economista è racchiusa nelle parole di Tommaso

Fiore, che lo descrisse come "un faro nella notte", senza possibili interlocutori, abbandonato anche dai suoi amici. Salvemini

riferiva che:.sorta la dittatura, De Viti De Marco si ritirò in disparte. L'Italia fece a meno per venti anni di quell'uomo, come se di

uomini come quello ne avesse da sprecare »« ...fece passare il pensiero economico italiano da una posizione di anoni-

mato ad una di avanguardia. Il merito scientifico più importante è stato quello di aver dato dignità di scienza (oggetto

e metodo d'indagine) alla Scienza delle Finanze... »

Castello Cellino San Marco

Castello Casamassella

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