Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che,...

25
Sped. in abb. postale Art. 2 comma 20/c - Legge 662/96 filiale di Sassari - Iscrizione al registro Stampa del Tribunale di Sassari n. 348 del 3/3/1998 Padre Anno XIX - n.4 Ottobre - Novembre - Dicembre 2017 Oggi M ANZELLA

Transcript of Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che,...

Page 1: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

Sped

. in

abb.

pos

tale

Art

. 2 c

omm

a 20

/c -

Leg

ge 6

62/9

6 fil

iale

di S

assa

ri -

Iscr

izio

ne a

l reg

istr

o St

ampa

del

Trib

unal

e di

Sas

sari

n. 3

48 d

el 3

/3/1

998

PadreAnno XIX - n.4 Ottobre - Novembre - Dicembre 2017 OggiMANZELLA

Page 2: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

La sofferenza è contro natura. Lasofferenza è inaccettabile. La soffe-renza è la negazione dell’uomo.

Non c’è spiegazione umana o pensierofilosofico che possa rendere accettabilee condivisa la sofferenza.La sofferenza è una contraddizione dellavita. Il desiderio insito in ogni uomo èquello di raggiungere, ad ogni costo, lafelicità, la gioia. L’agire umano è impron-tato a conseguire questi obiettivi. Ogniazione ha come scopo ultimo il raggiun-gimento del benessere, il soddisfaci-mento dei propri desideri, perché solo intal modo si pensa di raggiungere quellaserenità che ci permette di respirare apieni polmoni l’aria che ci circonda edesclamare con meraviglia: che bella gior-nata oggi!E invece ecco il grido che nel momentopiù buio e doloroso della sofferenza escedal profondo dell’animo: Dio mio Dio mioperché mi hai abbandonato? Cristo havissuto la sofferenza, è stato sommersodalla tristezza della sofferenza ed ha ele-vato al Padre il grido di dolore e di ab-bandono.E nel momento in cui la sofferenzagiunge al culmine, quando il corpo è so-praffatto dal tremendo dolore dei chiodiconficcati nelle mani e nei piedi, dallabocca dello stesso Cristo esce la pre-ghiera più intima e nello stesso tempo diestrema fiducia: Padre, nelle tue maniaffido l’anima mia. Cristo è fiducioso cheil Padre non l’abbandonerà.Quei momenti tremendi passeranno, edil Padre è lì con le braccia aperte che loattende. Ci hai messi alla prova, l’ab-

biamo superata, ora tocca a te ricom-pensare la nostra fiducia riposta in te.Come il bambino che viene incitato daigenitori a compiere i primi passi. È titu-bante.È pauroso. Teme di cadere, non sa quelche può succedere nel procedere inavanti. C’è lo sguardo dei genitori. Cisono le loro mani che si protendonoverso di lui, pronte ad agguantarlo se in-travvedono il pericolo di caduta. Un genitore non abbandona mai il pro-prio figlio. Non gli offre un serpente se ilpiccolo chiede pane. Ecco da dove pro-viene la fiducia che il figlio ripone nelpadre e nella madre. Mi amano. Mi vo-gliono bene e sono pronti ad intervenirese c’è bisogno. Dobbiamo fidarci edesclamare: Gesù confido in te. Non lamia, ma la tua volontà sia fatta, perchétu vedi più lontano di me. Tu tutto sai, Tututto puoi, pensaci Tu. Tu scorgi il peri-colo che si nasconde dietro l’angolo e cimostri la strada da percorrere anche seè più accidentata.Illuminanti, in merito, le parole di PapaFrancesco pronunciate durante la

messa in occasione della visita fatta aiterremotati dell’Emilia: “Cari fratelli e so-relle, anche noi siamo invitati a decidereda che parte stare. Si può stare dallaparte del sepolcro oppure dalla parte diGesù. C’è chi si lascia chiudere nella tri-stezza e chi si apre alla speranza. C’è chiresta intrappolato nelle macerie della vitae chi, come voi, con l’aiuto di Dio sollevale macerie e ricostruisce con pazientesperanza”.Spiegando poi il vangelo del giorno cheriporta la resurrezione di Lazzaro, PapaFrancesco prosegue: “Lì tutto sembra fi-nito: la tomba è chiusa da una grandepietra; intorno, solo pianto e desolazione.Anche Gesù è scosso dal mistero dram-matico della perdita di una personacara: ‘Si commosse profondamente’ e fu‘molto turbato’. Poi ‘scoppiò in pianto‘ esi recò al sepolcro, dice il Vangelo, ‘an-cora una volta commosso profonda-mente’. È questo il cuore di Dio: lontanodal male ma vicino a chi soffre; non fascomparire il male magicamente, macon-patisce la sofferenza, la fa propria ela trasforma abitandola.

PADRE MANZELLA Oggi 3

E d i t o r i a l e di Angelo Ammirati

PERIODICO DI ATTUALITÀ RELIGIOSA

Via Matteotti, 56 - 07100 SASSARITelefono e Fax 079/216060e-mail: [email protected]: [email protected]

Direttore responsabileAngelo Ammirati

Responsabile di redazioneGiuliana Mulas

RedazionePietro Pigozzi, Maria ScalasAnna Maria Floris

CollaboratoriA. Ammirati, P. Pigozzi, G. Pinna, P. AtzeiA. Saba, Mons. G. Saba, L. Pintus, E. ed E. CarusoM.C. Tornatore, A. Nuvoli, G. ZichiS. Pisu, A. Mameli, M.R. Cordeschi, F. SannaA. Carboni, A. Baio, I. Sarullo, D. Pittau

Progetto graficoRoberto Satta

ImpaginazioneAlfonso Russo

Anno XIX - n.4Ottobre - Novembre - Dicembre 2017Sped. in abb. postale Art. 2 comma 20/cLegge 662/96, filiale di Sassari

RegistrazioneIscrizione al Registro Stampadel Tribunale di Sassari n. 348 del 3/3/1998

Stampa:TAS - Industria Grafica - SassariTel. 079/262236 - 079/262231

Finito di stampare il 10 dicembre 2017Data di spedizione 14 dicembre 2017

Abbonamenti Annuale ordinario: e 16,00Annuale sostenitore: e 25,00

In copertina: Adorazione dei pastoriRivisitazione dell’opera di Correggio di Alfonso RussoRetro copertina: Padre Manzella (Roberto Satta 2017)

S o m m a r i oEDITORIALE

3 DIO MIO DIO MIO PERCHÈ MI HAI ABBANDONATO di Angelo Ammirati

MAGISTERO

6 L’AMORE NEL MATRIMONIO: UN CAMMINO DI CRESCITA NELLA RECIPROCA DONAZIONE di p. Gianni Pinna osb

VITA ECCLESIALE

10 ORISTANO, 23 OTTOBRE AUGURI PER LA COMMEMORAZIONE di P. Paolo Atzei

11 OMELIA, COMMEMORAZIONE 80° ANNIVERSARIO DI MORTE DEL SERVO DI DIO G.B. MANZELLA di Mons Arcivescovo Gianfranco Saba

14 PADRE MANZELLA AD ALÀ DEI SARDI di P. Piero Pigozzi cm

17 GLI OTTANT’ANNI DELLA CHIESA PARROCCHIALE DI STINTINO di Mons. Giancarlo Zichi

CARISMA

21 IL GETSEMANI NELLA CONTEMPLAZIONE MISTICA DI MADRE ANGELA. IL CALICE DELLA PASSIONE di suor Maria Carmela Tornatore

LECTIO DIVINA

24 DOMENICA IV DI PASQUA “SE TU SEI IL CRISTO...” di p. Agostino Nuvoli osb

BIOETICA

26 IL NEOPLATONISMO di Salvatore Pisu

MISSIONE AD GENTES

29 MADAGASCAR. DIARIO MISSIONARIO ARRIVO ALL’AEROPORTO DI TANANARIVE di Suor Leonarda Pintus

30 MADAGASCAR. RENDIAMO GRAZIE A DIO di Suor Leonarda Pintus

31 MADAGASCAR. IL NOSTRO VIAGGIO IN MADAGASCAR di Enzo ed Elisabeth Caruso

NOTIZIE DELL’ISTITUTO

32 UN “SI” PER SEMPRE, NEL “SI” DI GESÙ di suor Maria Rita Cordeschi

34 IL RITO DELLA PROFESSIONE di Francesca Sanna

35 RICORDANDO SUOR ANTONINA PIRAS di Suor Anna Mameli

CULTURA E TRADIZIONI SARDE

36 L’ESTREMA INDIGENZA DEL POPOLO SARDO di Angelo Carboni

PIANETA CARCERE

39 “VI DO UN COMANDEMENTO NUOVO: CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI. COME IO HO AMATO VOI” di Danila Pittau

ATTUALITÀ

42 “ECCO. IO VI ANNUNCIO UNA GRANDE GIOIA” di Isa Sarullo

44 LE REGOLE RACCONTATE AI BAMBINI: PER UNA CULTURA DELLA LEGALITÀ di Angela Baio

TESTIMONIANZE

46 TESTIMONIANZA di Mons Agostino Saba

47 “NON PIANGERE.. È UN ANGIOLETTO DEL PARADISO... di Francesca e Giovanni Angioni

Dio mio Dio mioperchè mi hai abbandonato?

Il Periodico PADRE MANZELLA OGGI, si sostiene anche con la partecipazione di Voi lettori.Chi desidera contribuire, in allegato troverete il bollettino postale. c/c postale n°12206074Per il rinnovo dell’abbonamento, specificare se è nuovo abbonato.Intestato a: Istituto Suore del Getsemani “Periodico Padre Manzella Oggi”. La Segreteria

PadreMANZELLAOggi

PREGO PER ME

CHE NON VENGA MAI MENO

NEI MOMENTI DELLA PROVA...[di Angelo Ammirati

Padre Francesco visita le zone colpite dal sisma

Page 3: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADRE MANZELLA Oggi 5

Notiamo che, in mezzo alla desolazionegenerale per la morte di Lazzaro, Gesùnon si lascia trasportare dallo sconforto.Pur soffrendo Egli stesso, chiede che sicreda fermamente; non si rinchiude nelpianto, ma, commosso, si mette incammino verso il sepolcro. Non sifa catturare dall’ambiente emotivorassegnato che lo circonda, maprega con fiducia e dice: ‘Padre, tirendo grazie’. Così, nel misterodella sofferenza, di fronte al qualeil pensiero e il progresso si infran-gono come mosche sul vetro,Gesù ci offre l’esempio di comecomportarci: non fugge la soffe-renza, che appartiene a questavita, ma non si fa imprigionare dalpessimismo”. Contemplando conattenzione questo fatto eccezio-nale della vita ridonata a Lazzaro,Papa Francesco prosegue l’omeliadicendo attorno al sepolcro: “av-viene così un grande incontro-scontro. Da una parte c’è lagrande delusione, la precarietàdella nostra vita mortale che, attra-versata dall’angoscia per la morte,sperimenta spesso la disfatta,un’oscurità interiore che pare in-sormontabile. La nostra anima,creata per la vita, soffre sentendoche la sua sete di eterno bene èoppressa da un male antico eoscuro. Da una parte c’è questa disfattadel sepolcro. Ma dall’altra parte c’è lasperanza che vince la morte e il male esi chiama: Gesù”...

Alla stessa fonte che alimenta la spiritua-lità di Papa Francesco, attinge PadreManzella. Entrambi bevono la stessaacqua che disseta: Gesù Cristo. E tuttonella vita, allora, acquista un sapore di-

verso. L’arsura della sete che impoveri-sce e brucia tante anime provate dallasofferenza, possono trovare conforto esperanza in Colui che ci è sempre vicino,

ci sostiene, ci incoraggia dicendo: iosono sempre con te, non avere paura, lamia mano è pronta a sorreggerti quandosei stanco, quando la strada è buia e de-serta e il pericolo è dietro ogni angolo.

Grande impressione hanno susci-tato le immagini di profughi migrantiche infreddoliti, affamati, ricoperti dimiseri stracci, percorrevano a piedisentieri di montagna ricoperti dineve.Ebbene, scorgere i figli piccoli, an-ch’essi infreddoliti, che con viso se-reno, mano nella mano del padre,procedevano talvolta incespicandosui sassi del sentiero, mostravanotuttavia un viso sereno, pieno di fi-ducia e abbandono nella personache era al loro fianco. Ci avrebbepensato il papà a scongiurare i pe-ricoli, a soccorrerli, prendendoli inbraccio.Padre Manzella, scrivendo ad unasua fedele Agnese Zucca, in meritoal dolore che le anime affrontanonella loro vita, così si esprime: “Ca-rissima figlia in Gesù Maria...non èche le anime vicine molto a Gesùnon sentano il dolore: il dolore sisente. Eh, non sarebbe dolore! Masi riceve da Dio. Si piange, si con-fida. San Paolo diceva: “Ho tanti do-lori, di dentro, di fuori, dai falsifratelli ecc. mi viene perfino a tedio

la vita. Ma colui che consola gli umili miha consolato con la venuta di Tito”. Eccoche l’apostolo sente il tedio della vita e ilbisogno di essere consolato da un suodiscepolo, Tito. Così noi possiamo sen-tire, si i dolori, ma sentirli con Gesù. Chisoffre con Gesù, soffre meno i dolori. Peresempio: una bambina s’inquieta peruna bambola. Un grande non ci bade-rebbe. Quando un bambino piange pernulla i grandi ridono. Così i cristiani de-boli piangono per una parola ingiuriosa.San Francesco la chiama un po’ di aria.Così pure Gesù provò un’anima con ma-lattie mortali, con perdita di beni, di per-sone care. Sopportò tutto con perfettauniformità, e allora la fece partecipe deidolori della sua passione. I dolori per itiepidi sono disgrazie, per i forti son re-gali. Così si lamenterebbe chi sente do-lore ad un piede. Invece fu un regalo asan Francesco le stigmate nelle mani,nei piedi, nel costato. Quante cose vorreidire. Tu vedi questa lettera incominciataa Sassari, finita a Cagliari. Perdonami se

PADRE MANZELLA Oggi 4

E d i t o r i a l e

non fui pronto scrivere. Ora, prega per labuona riuscita degli esercizi”.1

Queste esortazioni elargite da PadreManzella a coloro che volevano prose-guire sulla strada della santità, scaturi-scono da un’esperienza vissutaintimamente e giornalmente dal Missio-nario nell’accettare la sofferenza comemezzo di santificazione personale. Lesofferenze che affliggevano l’anima e ilcorpo di Padre Manzella, erano non soloaccettate, ma spesso anche ricercate vo-lutamente, perché costituivano lo stru-mento più efficace per convertire eriappacificare col Signore quelle animepiù recalcitranti che incontrava nelle suemissioni. Il digiuno, la sete, la stan-chezza, erano compagne fidate nellapredicazione giornaliera delle missioni. Eil frutto non tardava ad arrivare. Nellapesca miracolosa che di sera intrapren-deva nelle case dei più poveri e lontani

dai sacramenti, era sempre abbondanteperché supportata dalla preghiera e dallapenitenza, sua e delle anime elette, allequali non si stancava di chiedere aiuto.È vero. L’uomo con le sole sue forze nonva lontano. La fiducia e l’abbandononella Provvidenza sono gli antidoti persuperare ogni ostacolo ed avvicinare leanime al Signore.Analoghe esortazioni Padre Manzella ri-volge ad un’altra sua fedele: Maria An-tonia Sedda di Bono, scrivendole:“Carissima in Gesù e Maria...mi ricordosempre di te e della tua tosse, dei tuoiattacchi, che fai spaventare la gente, deltuo amore per Gesù e pei patimenti. Ove

trovo vero e sincero amore di Gesù, trovoancora vero amore ai patimenti. Il patireha una relazione diretta coll’amore, cheamare e patire è la stessa cosa. Sembrastrano ciò che dicono certi santi: o patireo morire.È strano per i mondani, per i poco cri-stiani e per tante divote, le quali credonoche toccare il cielo col dito se riescono afare un ringraziamento di comunionecon qualche lacrima. ... Coraggio, dun-que, Mariantonia. I tuoi dolori finirannopresto, finiranno tardi, non importa, infine ai dolori della vita v’è sempre Gesùcolle braccia aperte che ci aspetta; nelmezzo dei dolori della vita, vi è sempreGesù che conforta; v’è sempre il divinoamore. Se è segno d’amore da parte tuasopportar bene il dolore; è pur segno diamore da parte di Dio somministrarecontinui dolori. Gesù poteva terminare lasua vita mortale con un giorno di trionfo.

Tutti lo avrebbero desiderato; tutti lo im-maginavano. Ma quanto è diversa la sa-pienza di Dio da quella degli uomini. Eglitermina una vita di bontà, di miracoli, diamore per tutti gli uomini, la terminasulla croce. Oh croce, dunque, che tantosei cara al mio Gesù, mi accompagni intutti i giorni della mia vita.E l’ultimo dei miei giorni sia per mel’estremo del patimento. Oh dolore, vo-luttà dei santi, io ti saluto. Di che cosaparlerò con Mariantonia se non di dolori?Tu sempre nel tuo letto, sempre fra milleprivazioni, tu sei pure la diletta del cuoredi Gesù. Le lunghe notti, le lunghe gior-nate dolorose, corrispondono a una

lunga eternità felice, inebriante, divina. Prega per me Mariantonia, che tantopoco so patire e che pur Gesù mi fa sa-pere che ho ancora molto da patire.Prega per me che non venga meno neimomenti della prova. Faccia Gesù comevuole, son pronto”. 2

Ecco la disposizione dell’animo di PadreManzella di fronte al dolore. Nel mo-mento in cui si soffre, “è strano, maspesso preferiamo stare da soli nellegrotte oscure che abbiamo dentro, anzi-ché invitarvi Gesù; siamo tentati di cer-care sempre noi stessi, rimuginando esprofondando nell’angoscia, leccandocile piaghe, anziché andare da Lui, chedice: ‘Venite a me, voi che siete stanchie oppressi, e io vi darò ristoro... Non la-sciamoci imprigionare dalla tentazione dirimanere soli e sfiduciati a piangerci ad-dosso per quello che ci succede; noncediamo alla logica inutile e inconclu-dente della paura, al ripetere rassegnatoche va tutto male e niente è più comeuna volta. Questa è l’atmosfera del se-polcro; il Signore desidera invece aprirela via della vita, quella dell’incontro conLui, della fiducia in Lui, della risurrezionedel cuore”.3

Nel dolore, come la Madonna sotto lacroce, dobbiamo avere la forza e il corag-gio di alzare lo sguardo e immedesimarciin Colui che non ha conosciuto limiti allasofferenza pendente dalla croce. E a suavolta Gesù, pur con il corpo dilaniato, cir-condato da soldati e ladroni che si beffa-vano di lui, dopo aver guardato suamadre, nel momento estremo, alza losguardo al cielo e si affida alla bontà emisericordia del Padre, invocando il per-dono per coloro che erano stati gli arteficidella sua sofferenza.Ecco: perdono e fiducia nel Padre sonogli antidoti al dolore. E ancora una volta,come i soldati increduli ai piedi dellacroce, vedendo la sua morte serena eascoltando le parole di perdono, dob-biamo fare nostra l’esclamazione cheesce dalle loro labbra: costui veramenteera figlio di Dio. g

Note

1 Erminio ANTONELLO e Roberto ROVERA, a cura di,La carità in azione. Epistolario di Padre Giovanni Batti-sta Manzella, Edizioni Vincenziane, Roma, 2014.2 Ibidem, pagg. 178-1793 Parole di Papa Francesco pronunciate durante lamessa in occasione della visita fatta ai terremotati del-l’Emilia.

E d i t o r i a l e

Papa Francesco e padre Manzella

Masaccio, la crocifissione

Cima da Conegliano, Cristo sostenuto dalla Madonna Nicodemo e San Giovanni evangelista

Page 4: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADREMANZELLA Oggi 7

Papa Francesco vuole approfondi-re la riflessione sulla reciprocitàdell’amore coniugale in vista di

una fedeltà che si traduca nel per sem-pre.Al n. 90 così si esprime, citando propriol’inno della 1a Lettera ai Corinzi: Nel co-siddetto inno alla carità scritto da SanPaolo, riscontriamo alcune caratteristi-che del vero amore:«La carità è paziente, benevola è la ca-

rità; non è invidiosa, non si vanta, nonsi gonfia d’orgoglio, non manca di ri-spetto, non cerca il propriointeresse, non si adira, non tiene contodel male ricevuto, non gode dell’ingiu-stizia, ma si rallegra della verità. Tuttoscusa, tutto crede, tutto spera, tuttosopporta» (1 Cor 13,4-7).Questo si vive e si coltiva nella vita checondividono tutti i giorni gli sposi, tra diloro e con i loro figli. Perciò è preziososoffermarsi a precisare il senso delleespressioni di questo testo, per tentarneun’applicazione all’esistenza concreta diogni famiglia.Il testo passa poi ad esaminare i variaspetti espressi nell’inno:91. La prima espressione utilizzataè macrothymei. La traduzione non èsemplicemente “che sopporta ogni co-sa”, perché questa idea viene espressaalla fine del v. 7. Il senso si coglie dallatraduzione greca dell’Antico Testamen-

to, dove si afferma che Dio è«lento all’ira»(Es 34,6; Nm 14,18). Si mostra quando la personanon si lascia guidare dagliimpulsi e evita di aggredire. Èuna caratteristica del Diodell’Alleanza che chiama adimitarlo anche all’interno del-la vita familiare. I testi in cuiPaolo fa uso di questo termi-ne si devono leggere sullosfondo del libro della Sapien-za (cfr. 11,23; 12, 2.15-18):nello stesso tempo in cui siloda la moderazione di Dio alfine di dare spazio al penti-mento, si insiste sul suo po-tere che si manifesta quandoagisce con misericordia. Lapazienza di Dio è esercizio dimisericordia verso il peccato-re e manifesta l’autentico po-tere.92. Essere pazienti non signi-fica lasciare che ci maltratti-no continuamente, o tollerareaggressioni fisiche, o permet-tere che ci trattino come og-getti. Il problema si pone

quando pretendiamo che le relazionisiano idilliache o che le persone sianoperfette, o quando ci collochiamo alcentro e aspettiamo unicamente che sifaccia la nostra volontà. Allora tutto ci spazientisce, tutto ci portaa reagire con aggressività. Se non colti-viamo la pazienza, avremo sempre dellescuse per rispondere con ira, e alla finediventeremo persone che non sannoconvivere, antisociali incapaci di domi-nare gli impulsi, e la famiglia si trasfor-merà in un campo di battaglia. Per que-sto la Parola di Dio ci esorta: «Scompa-iano da voi ogni asprezza, sdegno, ira,grida e maldicenze con ogni sorta dimalignità» (Ef 4,31). Questa pazienza sirafforza quando riconosco che anchel’altro possiede il diritto a vivere su que-sta terra insieme a me, così com’è. Nonimporta se è un fastidio per me, se alte-ra i miei piani, se mi molesta con il suomodo di essere o con le sue idee, se nonè in tutto come mi aspettavo. L’amorecomporta sempre un senso di profondacompassione, che porta ad accettarel’altro come parte di questo mondo, an-che quando agisce in un modo diversoda quello che io avrei desiderato.Atteggiamento di benevolenza93. Segue la parola chresteuetai, che èunica in tutta la Bibbia, derivatada chrestos (persona buona, che mostrala sua bontà nelle azioni).Però, considerata la posizione in cui sitrova, in stretto parallelismo con il verboprecedente, ne diventa un complemen-to. In tal modo Paolo vuole mettere inchiaro che la “pazienza” nominata alprimo posto non è un atteggiamento to-talmente passivo, bensì è accompagna-ta da un’attività, da una reazione dina-mica e creativa nei confronti degli altri.Indica che l’amore fa del bene agli altri eli promuove. Perciò si traduce come“benevola”.94. Nell’insieme del testo si vede chePaolo vuole insistere sul fatto che l’amo-re non è solo un sentimento, ma che sideve intendere nel senso che il verbo“amare” ha in ebraico, vale a dire: “fareil bene”. Come diceva sant’Ignazio diLoyola, «l’amore si deve porre più nelle

PADREMANZELLA Oggi 6

Ma g i s t e r oM a g i s t e r o

L’amore nel matrimonio: un camminodi crescita nella reciproca donazione

METTERMI IN GINOCCHIO?NO! SOLTANTO UN PICCOLO GESTO,UNA COSINA COSÌ,E L’ARMONIA FAMILIARE TORNA[

di P. Gianni Pinna osb

opere che nelle parole».[106] In questomodo può mostrare tutta la sua fecondi-tà, e ci permette di sperimentare la feli-cità di dare, la nobiltà e la grandezza didonarsi in modo sovrabbondante, senzamisurare, senza esigere ricompense,per il solo gusto di dare e di servire.

Guarendo l’invidia95. Quindi si rifiuta come contrario al-l’amore un atteggiamento espresso conil termine zelos (gelosia o invidia). Signi-fica che nell’amore non c’è posto per ilprovare dispiacere a causa del benedell’altro (cfr. At 7,9; 17,5). L’invidia èuna tristezza per il bene altrui che dimo-stra che non ci interessa la felicità deglialtri, poiché siamo esclusivamente con-centrati sul nostro benessere. Mentrel’amore ci fa uscire da noi stessi, l’invidiaci porta a centrarci sul nostro io. Il veroamore apprezza i successi degli altri,non li sente come una minaccia, e si li-bera del sapore amaro dell’invidia. Ac-cetta il fatto che ognuno ha doni diffe-renti e strade diverse nella vita. Dunquefa in modo di scoprire la propria stradaper essere felice, lasciando che gli altritrovino la loro.96. In definitiva si tratta di adempierequello che richiedevano gli ultimi duecomandamenti della Legge di Dio: «Nondesidererai la casa del tuo prossimo.Non desidererai la moglie del tuo prossi-mo, né il suo schiavo né la sua schiava,né il suo bue né il suo asino, né alcunacosa che appartenga al tuo prossimo»

(Es 20,17). L’amore ci porta a un since-ro apprezzamento di ciascun essereumano, riconoscendo il suo diritto allafelicità. Amo quella persona, la guardocon lo sguardo di Dio Padre, che ci donatutto «perché possiamo goderne» (1Tm 6,17), e dunque accetto dentro di

me che possa godere di un buon mo-mento. Questa stessa radice dell’amore,in ogni caso, è quella che mi porta a ri-fiutare l’ingiustizia per il fatto che alcunihanno troppo e altri non han-no nulla, o quella che mi spin-ge a far sì che anche quantisono scartati dalla società pos-sano vivere un po’ di gioia.Questo però non è invidia, madesiderio di equità.Senza vantarsi o gonfiarsi97. Segue l’espressione per-pereuetai, che indica la vana-gloria, l’ansia di mostrarsi su-periori per impressionare glialtri con un atteggiamento pe-dante e piuttosto aggressivo.Chi ama, non solo evita di par-lare troppo di sé stesso, mainoltre, poiché è centrato neglialtri, sa mettersi al suo posto,senza pretendere di stare alcentro. La parola seguente– physioutai – è molto simile,perché indica che l’amore nonè arrogante. Letteralmenteesprime il fatto che non si “in-grandisce” di fronte agli altri, e

indica qualcosa di più sottile. Non è soloun’ossessione per mostrare le propriequalità, ma fa anche perdere il sensodella realtà. Ci si considera più grandi diquello che si è perché ci si crede più“spirituali” o “saggi”. Paolo usa questoverbo altre volte, per esempio per direche «la conoscenza riempie di orgoglio,mentre l’amore edifica» (1 Cor 8,1). Valea dire, alcuni si credono grandi perchésanno più degli altri, e si dedicano a pre-tendere da loro e a controllarli, quandoin realtà quello che ci rende grandi èl’amore che comprende, cura, sostieneil debole. In un altro versetto lo utilizzaper criticare quelli che si “gonfiano d’or-goglio” (cfr. 1 Cor 4,18), ma in realtàhanno più verbosità che vero “potere”dello Spirito (cfr. 1 Cor 4,19).98. È importante che i cristiani vivanoquesto atteggiamento nel loro modo ditrattare i familiari poco formati nella fe-de, fragili o meno sicuri nelle loro con-vinzioni. A volte accade il contrario:quelli che, nell’ambito della loro fami-glia, si suppone siano cresciuti maggior-mente, diventano arroganti e insoppor-tabili. L’atteggiamento dell’umiltà appa-re qui come qualcosa che è parte del-l’amore, perché per poter comprendere,scusare e servire gli altri di cuore, è indi-spensabile guarire l’orgoglio e coltivarel’umiltà. Gesù ricordava ai suoi discepoliche nel mondo del potere ciascuno cer-

Papa e famiglia

San Paolo

Amoris-Laetitia

Page 5: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADREMANZELLA Oggi 9

ca di dominare l’altro, e per questo diceloro: «tra voi non sarà così» (Mt 20,26).La logica dell’amore cristiano non èquella di chi si sente superiore agli altri eha bisogno di far loro sentire il suo pote-re, ma quella per cui «chi vuole diventa-re grande tra voi, sarà vostro servitore»

(Mt 20,27). Nella vita familiare non puòregnare la logica del dominio degli unisugli altri, o la competizione per vederechi è più intelligente o potente, perchétale logica fa venir meno l’amore. Valeanche per la famiglia questo consiglio:«Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso glialtri, perché Dio resiste ai superbi, madà grazia agli umili» (1 Pt 5,5).È importante approfondire questi testicon una lettura capìta ma che, nella suasemplicità, fa emergere con molta chia-rezza il valore che ciascuno può dare al-le proprie scelte… e non solo nel cam-mino coniugale ma in ogni tipo di rap-porto e di relazione.Continuiamo a esaminare il testo:99. Amare significa anche rendersiamabili, e qui trova senso l’espressio-ne aschemonei. Vuole indicare chel’amore non opera in maniera rude, nonagisce in modo scortese, non è duro neltratto. I suoi modi, le sue parole, i suoigesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi.Detesta far soffrire gli altri. La cortesia «èuna scuola di sensibilità e disinteresse»che esige dalla persona che «coltivi lasua mente e i suoi sensi, che impari adascoltare, a parlare e in certi momenti atacere».[107] Essere amabile non è uno

stile che un cristiano possa scegliere orifiutare: è parte delle esigenze irrinun-ciabili dell’amore, perciò «ogni essereumano è tenuto ad essere affabile conquelli che lo circondano».[108] Ognigiorno, «entrare nella vita dell’altro, an-che quando fa parte della nostra vita,

chiede la delica-tezza di un atteg-giamento non in-vasivo, che rinno-va la fiducia e il ri-spetto. […] El’amore, quantopiù è intimo e pro-fondo, tanto piùesige il rispettodella libertà e lacapacità di atten-dere che l’altroapra la porta delsuo cuore». [109]100. Per disporsiad un vero incon-tro con l’altro, si ri-chiede uno sguar-do amabile posatosu di lui. Questonon è possibile

quando regna un pessimismo che mettein rilievo i difetti e gli errori altrui, forseper compensare i propri complessi. Unosguardo amabile ci permette di non sof-fermarci molto sui limiti dell’altro, e cosìpossiamo tollerarlo e unirci in un proget-to comune, anche se siamo differenti.L’amore amabile genera vincoli, coltivalegami, crea nuove reti d’integrazione,costruisce una solida trama sociale. Intal modo protegge sé stesso, perchésenza senso di appartenenza non si puòsostenere una dedizione agli altri, ognu-no finisce per cer-care unicamentela propria conve-nienza e la convi-venza diventa im-possibile. Una per-sona antisocialecrede che gli altriesistano per sod-disfare le sue ne-cessità, e chequando lo fannocompiono solo illoro dovere. Dun-que non c’è spazioper l’amabilitàdell’amore e del

suo linguaggio. Chi ama è capace di direparole di incoraggiamento, che conforta-no, che danno forza, che consolano,che stimolano. Vediamo, per esempio,alcune parole che Gesù diceva alle per-sone: «Coraggio figlio!» (Mt 9,2). «Gran-de è la tua fede!» (Mt 15,28). «Alzati!»(Mc 5,41). «Va’ in pace» (Lc 7,50).«Non abbiate paura» (Mt 14,27). Nonsono parole che umiliano, che rattrista-no, che irritano, che disprezzano. Nellafamiglia bisogna imparare questo lin-guaggio amabile di Gesù.

Distacco generoso 101. Abbiamo detto molte volte che peramare gli altri occorre prima amare séstessi. Tuttavia, questo inno all’amore af-ferma che l’amore “non cerca il propriointeresse”, o che “non cerca quello cheè suo”. Questa espressione si usa purein un altro testo: «Ciascuno non cerchil’interesse proprio, ma anche quello de-gli altri» (Fil 2,4). Davanti ad un’afferma-zione così chiara delle Scritture, bisognaevitare di attribuire priorità all’amore persé stessi come se fosse più nobile deldono di sé stessi agli altri. Una certapriorità dell’amore per sé stessi può in-tendersi solamente come una condizio-ne psicologica, in quanto chi è incapacedi amare sé stesso incontra difficoltà adamare gli altri: «Chi è cattivo con séstesso con chi sarà buono? [...] Nessu-no è peggiore di chi danneggia sé stes-so» (Sir 14,5-6).102. Però lo stesso Tommaso d’Aquinoha spiegato che «è più proprio della ca-rità voler amare che voler essere ama-ti»[110] e che, in effetti, «le madri, chesono quelle che amano di più, cercanopiù di amare che di essere ama-

PADREMANZELLA Oggi 8

Ma g i s t e r oM a g i s t e r o

te».[111] Perciò l’amore può spingersioltre la giustizia e straripare gratuita-mente, «senza sperarne nulla»(Lc 6,35), fino ad arrivare all’amore piùgrande, che è «dare la vita» per gli altri(Gv 15,13). È ancora possibile questagenerosità che permette di donare gra-tuitamente, e di donare sino alla fine? Si-curamente è possibile, perché è ciò chechiede il Vangelo: «Gratuitamente avetericevuto, gratuitamente date» (Mt10,8).Senza violenza interiore103. Se la prima espressione dell’inno ciinvitava alla pazienza che evita di reagirebruscamente di fronte alle debolezze oagli errori degli altri, adesso appareun’altra parola – paroxynetai – che si ri-ferisce ad una reazione interiore di indi-gnazione provocata daqualcosa di esterno. Sitratta di una violenza in-terna, di una irritazionenon manifesta che cimette sulla difensiva da-vanti agli altri, come sefossero nemici fastidiosiche occorre evitare. Ali-mentare tale aggressivitàintima non serve a nulla.Ci fa solo ammalare e fi-nisce per isolarci. L’indi-gnazione è sana quandoci porta a reagire di fron-te a una grave ingiustizia,ma è dannosa quandotende ad impregnare tutti i nostri atteg-giamenti verso gli altri.104. Il Vangelo invita piuttosto a guarda-re la trave nel proprio occhio(cfr. Mt 7,5), e come cristiani non pos-siamo ignorare il costante invito dellaParola di Dio a non alimentare l’ira:«Non lasciarti vincere dal male»(Rm 12,21). «E non stanchiamoci di fa-re il bene» (Gal 6,9). Una cosa è sentire la forza dell’aggressi-vità che erompe e altra cosa è accon-sentire ad essa, lasciare che diventi unatteggiamento permanente: «Adiratevi,ma non peccate; non tramonti il sole so-pra la vostra ira» (Ef 4,26). Perciò, nonbisogna mai finire la giornata senza farepace in famiglia. «E come devo fare lapace? Mettermi in ginocchio? No! Sol-tanto un piccolo gesto, una cosina così,e l’armonia familiare torna. Basta unacarezza, senza parole. Ma mai finire lagiornata in famiglia senza fare la pace!».[112]La reazione interiore di fronte a

una molestia causata dagli altri dovreb-be essere anzitutto benedire nel cuore,desiderare il bene dell’altro, chiedere aDio che lo liberi e lo guarisca: «Rispon-dete augurando il bene. A questo infattisiete stati chiamati da Dio per avere ineredità la sua benedizione» (1 Pt 3,9).Se dobbiamo lottare contro un male,facciamolo, ma diciamo sempre “no” al-la violenza interiore. I passi successivi,che stiamo per esaminare, ci mettono difronte alla esclusività dell’uso della no-stra volontà personale, base di quellametodologia evangelica che ci immettenella dimensione del “divino” personal-mente vissuto.105. Se permettiamo ad un sentimentocattivo di penetrare nelle nostre viscere,

diamo spazio a quel rancore che si anni-da nel cuore. La frase logizetai to ka-kon significa “tiene conto del male”, “selo porta annotato”, vale a dire, è ranco-roso. Il contrario è il perdono, un perdo-no fondato su un atteggiamento positivo,che tenta di comprendere la debolezzaaltrui e prova a cercare delle scuse perl’altra persona, come Gesù che disse:«Padre, perdona loro perché non sannoquello che fanno» (Lc 23,34). Invece latendenza è spesso quella di cercaresempre più colpe, di immaginare sem-pre più cattiverie, di supporre ogni tipodi cattive intenzioni, e così il rancore vacrescendo e si radica. In tal modo, qual-siasi errore o caduta del coniuge puòdanneggiare il vincolo d’amore e la sta-bilità familiare. Il problema è che a voltesi attribuisce ad ogni cosa la medesimagravità, con il rischio di diventare crudeliper qualsiasi errore dell’altro. La giustarivendicazione dei propri diritti si trasfor-ma in una persistente e costante sete di

vendetta più che in una sana difesa del-la propria dignità.106. Quando siamo stati offesi o delusi,il perdono è possibile e auspicabile, manessuno dice che sia facile. La verità èche «la comunione familiare può essereconservata e perfezionata solo con ungrande spirito di sacrificio. Esige, infatti,una pronta e generosa disponibilità ditutti e di ciascuno alla comprensione, al-la tolleranza, al perdono, alla riconcilia-zione. Nessuna famiglia ignora comel’egoismo, il disaccordo, le tensioni, iconflitti aggrediscano violentemente ea volte colpiscano mortalmente la pro-pria comunione: di qui le molteplici evarie forme di divisione nella vita fami-liare». [113]

107. Oggi sappiamoche per poter perdona-re abbiamo bisogno dipassare attraversol’esperienza liberantedi comprendere e per-donare noi stessi. Tan-te volte i nostri sbagli, olo sguardo critico dellepersone che amiamo,ci hanno fatto perderel’affetto verso noi stes-si. Questo ci induce al-la fine a guardarci daglialtri, a fuggire dall’af-fetto, a riempirci dipaure nelle relazioni in-

terpersonali. Dunque, poter incolpare glialtri si trasforma in un falso sollievo. C’èbisogno di pregare con la propria storia,di accettare sé stessi, di saper conviverecon i propri limiti, e anche di perdonarsi,per poter avere questo medesimo atteg-giamento verso gli altri.108. Ma questo presuppone l’esperien-za di essere perdonati da Dio, giustificatigratuitamente e non per i nostri meriti.Siamo stati raggiunti da un amore previoad ogni nostra opera, che offre sempreuna nuova opportunità, promuove e sti-mola. Se accettiamo che l’amore di Dioè senza condizioni, che l’affetto del Pa-dre non si deve comprare né pagare, al-lora potremo amare al di là di tutto, per-donare gli altri anche quando sono statiingiusti con noi. Diversamente, la nostravita in famiglia cesserà di essere un luo-go di comprensione, accompagnamentoe stimolo, e sarà uno spazio di tensionepermanente e di reciproco castigo. g

Continua

Il Perugino, lo sposalizio della Vergine Maria

Il matrimonio della Vergine

Amare significa rendersi amabili

Page 6: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADRE MANZELLA Oggi 10 PADRE MANZELLA Oggi 11

V i t a E c c l e s i a l e V i t a E c c l e s i a l e

Nell’80° anniversario della santamorte del Servo di Dio Padre Gio-vanni Battista Manzella, prego la

Trinità Santissima di dare alla ChiesaTurritana fede salda, paziente e gioiosa,carità perfetta perché continui a pregareper la conclusione della Causa di Beati-ficazione, e a sperare che i silenzi, gliostacoli, le delusioni momentanee nonsiano invano, ma tutto concorra a gloriaonore e lode e grazie di Dio Uno e Trino:Padre, Figlio, Spirito Santo.

Padre Manzella ha tanto amato questomistero divino di amore, lo ha celebrato,lo ha servito nei piccoli e nei poveri, di-venendo un perfetto contemplativo inazione.Auguri per la commemorazione dell’80°anniversario della morte di Padre Man-zella. Che sia un anno da inanellareverso quel tempo di Dio che tutti pre-ghiamo e auspichiamo, perché Sassarie la Sardegna vedano riconosciute dallaChiesa quelle virtù umane e cristianeche il Servo di Dio ha saputo armoniz-zare e restituire nella ininterrotta operadi evangelizzazione nell’Isola.

Vi benedico di cuore,sempre memore e grato.Buona commemorazione!

Il 23 ottobre del 1937 Giovanni Batti-sta Manzella qui a Sassari consu-mava la sua vita terrena; il giorno

successivo venivano celebrati i suoi fu-nerali, con una partecipazione viva eforte del popolo di Dio, nel Duomo dellacittà. L’Arcivescovo dell’epoca, monsi-gnor Arcangelo Mazzotti, lo definì «l’in-carnazione della misericordia, dellabontà e della carità». Una definizionenon solo teorica ma la sintesi di una vita,che per noi oggi appare tanto significa-tiva alla luce del Magistero di PapaFrancesco e delle domande sempre piùesigenti della vita sociale nella qualeoggi viviamo. La Parola del Signore, che abbiamoascoltato nel vangelo, ci presenta l’esal-tazione da parte di Gesù dell’uomo cheha un cuore aperto verso il proprio fra-tello. Egli deplora la situazione di coluiche è attaccato dalla malattia della cu-pidigia per esaltare il valore della gra-tuità, della generosità e dellacondivisione anche dei beni materiali.Gesù non vuole sostenere un atteggia-mento unicamente orientato verso di sé!La vita di Giovanni Battista Manzella sipresenta - da quanto gli storici, i biografie i testimoni della sua esistenza ci hannotramandato - un esempio vivo di unuomo, di un religioso, di un sacerdoteche ha orientato tutta la propria esi-stenza al primato di Dio e all’amore versoi fratelli, in particolare verso i più poverie i più disagiati.La richiesta, perciò, che abbiamo ascol-tato nel vangelo di oggi: di’ a mio fratelloche divida con me l’eredità (Lc 12,13),

è una richiesta che non è volta alla con-divisione ma alla costruzione di beni perse stessi con una chiusura agli altri eanche con una contraddizione; mentrel’altro è chiamato fratello la relazione conil fratello è caratterizzata dalla divisione,dalla separazione, dal bisogno di custo-dire per sé.Gesù non si presta a questo servizio poi-ché egli vuole mostrare che i doni delCreatore sono per tutta la famiglia

umana buoni, ma diventano tali nellaconcretezza della vita nel momento incui questi beni sono al servizio di unbene comune, di un bene che è aperto,di un bene che non è rinchiuso. Arric-chirsi davanti a Dio è la sorgente percondividere e dividere i beni e le ric-chezze della terra, poiché ci aiuta ad en-trare nella logica di Dio.La vita di padre Manzella è proprio defi-nita dalla centralità di Dio nella sua esi-

di P. Paolo Atzei

Oristano, 23 ottobre 2017

M. Rev. Da e cara Madre Pinuccia“Il Signore ti dia pace”!

Omelia - Commemorazione

80o anniversario di morte del servo di DioPadre Giovanni Battista Manzella

LE NOTTI ATTRAVERSATE

DAL MANZELLA SONO STATE SEGNATE

DALLA CRESCITA DELLA FEDE

IN UN DIO FEDELE[di Mons. Arcivescovo Gianfranco saba

Concelebrazione presieduta da mons. arcivescovo Gianfranco Saba

Sacerdoti concelebranti

Page 7: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADREMANZELLA Oggi 13

stenza, nelle diverse stagioni della suavita. Divenire modello di Cristo, un reli-gioso che intendeva donarsi totalmenteper raggiungere la vetta di santità che in-dividuava nel martirio del quotidiano.Egli affermava: i religiosi in cielo sono deimartiri perché sulla terra si sono eserci-tati ad essere conformi a Cristo.La mistica della conformazione a Cristomediante l’adesione piena dell’intelli-genza, degli affetti e della volontà aGesù, che ha amato i suoi che erano nelmondo sino alla fine, ha caratterizzato laspiritualità del Manzella, sia a livello per-sonale che come formatore dei futuripresbiteri, accompagnatore dei presbi-

teri e maestro di vita cristiana.Tutto questo, però, egli lo hasperimentato dentro le criticitàdella vita, dentro le concrete si-tuazioni relazionali, gli avvicen-damenti, i trasferimenti, imandati ricevuti dai suoi supe-riori. Egli ha sperimentato pro-gressivamente l’esigenza dicrescere nella maturità dellafede, di cui ci parla l’apostoloPaolo nella lettera ai Romani.Abramo di fronte alla promessadi Dio non esitò per incredulità,ma si rafforzò nella fede e diedegloria a Dio pienamente con-

vinto che, quanto Egli aveva promesso,era anche capace di portarlo a compi-mento.E le notti attraversate dal Manzella sonostate segnate dalla crescita della fede inun Dio fedele. E perciò anche oggi egli èun modello di vita sacerdotale, di vita difede, perché la notte della fede, dove avolte sembrano avere valore le sole forzeumane, è la forza superiore, la forzaprincipale.Egli ha vissuto un’obbedienza sostenutodalla grazia della trasfigurazione, chepone in relazione la disponibilità dellavolontà umana con la volontà salvificadi Dio.Lo Spirito Santo ha irradiato la sua vitadi un fuoco d’amore così profondo daaccogliere, con generosità d’animo esguardo illuminato dallo Spirito Santo, idiversi passaggi del ministero sacerdo-

tale e religioso.Diviene così per noi unmaestro affinché sappiamo leggere quo-tidianamente la nostra vita alla luce dellaParola del Signore.Come ci ricorda Papa Francesco, ancheoggi la vita consacrata, se vuole mante-nere la sua missione profetica e il suo fa-scino, deve essere innanzitutto unascuola di fedeltà a Dio. Ma questo valeper ciascuno di noi, perché possiamomantenere la freschezza e la novità dellacentralità di Gesù che ci dà quella capa-cità di essere sempre in quella progres-siva azione di apertura verso gli altri.Un altro aspetto, che mi pare caratterizzila vita interiore ed esteriore del Manzella,è quello di essere stato un apostolo delleperiferie. La sua testimonianza, comequella di San Vincenzo, ci invita ad es-sere sempre in cammino. Ed egli haviaggiato tanto nella Sardegna e, ancor

prima di raggiungere la Sarde-gna, nella Penisola.La sua stessa vita ha iniziato ildeclino definitivo - come sap-piamo - mentre si trovava ad Ar-zachena, impegnato nellapredicazione in vista della visitapastorale del vescovo AlbinoMorera.Si è speso per amore di Cristoad alleviare le sofferenze del-l’uomo, reso schiavo dalla po-vertà, dalla malattia e da sistemidi vita sociale che non offrivanoalcuna accoglienza, soprattuttoalle persone più deboli e più fra-

PADREMANZELLA Oggi 12

V i t a E c c l e s i a l e V i t a E c c l e s i a l e

gili. Si coglie nella sua opera la rispostaprofetica come espressione tangibile diuna mistica della carità, che, mentre an-nuncia il Vangelo, edifica concretamenteall’interno della società strutture e spazidi riferimento per la promozione dellacrescita della tutela della personaumana fragilizzata. E tutto questo egli lo ha edificato, daquanto si può evincere dal suo epistola-rio, anche attraverso, se non principal-mente, un’opera di formazione interioredelle coscienze.Guardando con lucidità la storia del-l’uomo, alla luce della Parola, ha cosìdato vita a delle opere animate dallafede. Come ci ricorda San Vincenzo, alcuore della famiglia che si ispira ai valoridella carità, c’è la ricerca dei più mise-rabili e abbandonati. Questa ricerca haaltresì caratterizzato la sua missione. Egli

aveva trasformato inun concreto pro-gramma di vita ilmandato del Signore:Andate, ecco io vimando.Quanto di più pre-zioso, la ricchezza piùgrande che egli aveval’ha messa a disposi-zione dei fratelli: lasua stessa vita, nontenendola per sestesso ma donandolaagli altri.Per questo, anche

oggi, egli è per ciascuno di noi un mo-dello di donazione totale, un modello disacrificio, un modello di passione e di in-telligenza evangelica. Ricordava monsi-gnor Fraghì nel ’48: la sua missione nonaveva limiti, in chiesa, nelle piazze, intreno, in carrozza, in cavallo o a piedi.Dovunque sentiva la necessità di dare itesori della fede a chi ne aveva bisogno.Un’altra dimensione, infine, del suo mi-nistero è quello di sentirsi un uomo po-vero e fragile al servizio della causadell’amore di Cristo. In alcuni testi delsuo epistolario, emerge la piena consa-pevolezza della fragilità fisica sin dallasua giovinezza, quand’era studente, epoi successivamente, anche dell’as-senza di forze.Percepisce, tuttavia, l’interiore convin-zione e la ferma decisione di dedicaretutto se stesso per la causa del Vangelo.Colui che risponde al Signore con gene-rosità, non è spinto dalla coscienza diessere un superuomo o una super-donna, ma di essere nelle mani di Dioche, come con Abramo, lo conducenella vita.La risposta alla vocazione, qualunqueessa sia, passa attraverso un progressivosuperamento di se stessi mediante lapreghiera prolungata di adorazione el’ascesi personale, elementi centralidella spiritualità di Padre Manzella.Consapevole di essere un chiamato, uneletto, povero per i poveri, fragile per ri-sollevare chi è più fragile di lui. g

Omelia dell'arcivescovo

Assemblea partecipante

Coro Fedeli, devoti

In cripta per pregare e intercedere

Page 8: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADREMANZELLA Oggi 15PADREMANZELLA Oggi 14

V i t a E c c l e s i a l e V i t a E c c l e s i a l e

Mentre a Buddusò, Pattada e nelGoceano Padre Manzella pre-dicò fin dal 1904, ad Alà dei

Sardi giunse per la prima volta soltanto19 anni dopo, nel marzo 1923, e poiancora nel 1926. Furono due predica-zioni particolarmente fruttuose.Nel 1923, egli si trovava a Buddusò peruna intera quaresima, come documen-tano due lettere alle nipoti suor Linda esuor Annetta. Scriveva alla prima:“Buddusò (Sassari) 23 Febbraio 1923.Carissima, fino a Pasqua sono in que-sto paese …. Fino a Pasqua scrivimi aBuddusò (Sassari)…”.E ad Annetta, due giorni dopo, aggiun-geva: “Ora sono a Buddusò, a 700 m.sul livello del mare. Freddo e vento enebbia in quantità. Mi fermerò sino aPasqua”.Il Registro economico parrocchiale diAlà dei Sardi1, invece, ci informa cheegli predicò anche in paese un “Ottava-rio in quaresima”2. I Verbali delle localiFiglie di Maria precisano che proprio inquella settimana vi istituì l’associazionemariana, come veniamo a conoscere inoccasione della celebrazione del suotrentesimo anniversario nel 1953. Infat-ti, in data 1° febbraio si annotava:“Quest’anno ricorre il trentennio dellanostra fondazione, dobbiamo preparar-ci affinché questa data sia per noi un ri-cordo perenne”3.Ma la data esatta di fondazione è ripor-tata soltanto nella circostanza del loropassaggio canonico da “Figlie di Mariadi Sant’Agnese” a “Figlie di Maria Im-macolata”, avvenuto nel 1955: “L’anno1923 – 20 marzo in Alà dei Sardi ed inpresenza del Signor Giovanni BattistaManzella, prete della Missione, e del

Teol. Giovanni Cherchi, Parroco di Alàdei Sardi, fu istituita la Pia Unione Fi-glie di Maria sotto la protezione diSant’Agnese V. M.”. Quindi, Padre Manzella, per rispettarele intenzioni del parroco Teologo Gio-vanni Cherchi, diede inizio soltanto allaPia Unione Figlie di Maria di San-t’Agnese legata alla medesima basilicaromana, e non all’omonima associazio-ne vincenziana nata dalle apparizionidella Medaglia Miracolosa.

Di quell’Ottavario manzelliano non sap-piamo altro; tuttavia risultò particolar-mente proficuo. Tra le primissime asso-ciate si distinsero le sorelle Giovanna eLucia Rosa Casu, la prima morta in con-cetto di santità già nell’Anno Santo1925, la seconda nell’Anno Mariano1954, il 30 giugno, ugualmente ritenutaun fiore di santità.Un’altra, Antonia Corda (1896-1984),già l’anno seguente maturava la voca-zione vincenziana, datata 15 marzo

1924, e fu la prima Figlia della Caritàalaese. Ne facevano parte anche Rai-monda Pigozzi (cresima e prima comu-nione il 21 giugno 1910 a 6 anni, allievaFdM il 20/03/1923, aspirante FdM il30/04/1923 e Figlia di Maria il7/10/1923), Antonia Mette (cresima e

prima comunione il 24 luglio 1915 a 10anni, allieva FdM il 23/3/1923, aspiran-te FdM il 30/4/1923 e Figlia di Maria il7/10/1923) e Corda Giovanna (cresimae prima comunione 1l 15/8/1911, aspi-rante FdM il 27/5/1923 e Figlia di Mariail 7/10/1923). Formate alla spiritualitàmanzelliana de “la vergine nel secolo”,negli anni Cinquanta sarebbero diven-tate anche valide collaboratrici pastoraliparrocchiali.

“Alla Tomba di Padre Manzella”Il 20 maggio 1953, nel trentesimo difondazione, quest’associazione realizzòanche un pellegrinaggio celebrativo allatomba di Padre Manzella. Il Verbale neriportò queste impressioni: “Quest’anno ricorre il trentennio da chefu eretta la Pia Unione Figlie di Maria inAlà dei Sardi. Si è festeggiata tale ricorrenza in data 20maggio 1953 recandoci a Sassari. Il pri-mo nostro pensiero fu quello di visitarela Tomba di Padre Manzella. Genuflesse

accanto a Lui, ciascuna di noi ha fatto ipropositi più belli di frutti spirituali, e coni cuori palpitanti di gioia, ansiose diesprimere la nostra riconoscenza versoil fondatore della nostra associazione: OPadre Manzella, Tu che godi il santo pa-radiso, ricordati di noi misere creature

che ancora lottiamo su questa terra se-minata di triboli e spine, donaci quel co-raggio necessario per combattere la no-stra battaglia spirituale, e fa’ che possia-mo essere vittoriosi di Satana per potertiseguire e godere il premio riservato aglieletti”. Alà dei Sardi 20 maggio 1953”.

Nella successiva festa del-l’Immacolata, il parrocoDon Giuseppe Maria Ad-dis (1910-1974) volle ri-cordare il fondatore PadreManzella riecheggiandoneanche il proclama “la ver-gine nel secolo” . Così tro-viamo nel Verbale: “8 Di-cembre 1953: Festa del-l’Immacolata e trentesimoanniversario della Fonda-zione delle Figlie di Maria.Si fece Novena per tutte leGiovani e Triduo di Eserci-zi Spirituali per le Figlie diMaria, culminati nella Co-munione generale dellaMessa dell’Immacolata.Furono accolte nell’Asso-ciazione 12 aspiranti e 6furono accolte ufficial-mente come Figlie di Ma-ria. Nel pomeriggio, Con-ferenza di Don Addis Di-rettore su ‘La verginità nel

Padre Manzella ad Alà dei Sardi

A 71 ANNI IL SUO FISICO

AVVERTIVA ORMAI I SEGNI

DELLA STANCHEZZA

E DEGLI ACCIACCHI SENILI[di P. Pietro Pigozzi

Padre Manzella in missione

Ala dei Sardi chiesa di Sant'Agostino

Ala dei Sardi chiesa di san Giovanni

Page 9: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADRE MANZELLA Oggi 17PADRE MANZELLA Oggi 16

V i t a E c c l e s i a l eV i t a E c c l e s i a l e

Il paese di Stintino ha origine in se-guito all’attuazione dell’editto regio del28 giugno 1885, secondo il quale gli

abitanti dell’isola dell’Asinara dovevanoabbandonare quelle terre entro la metàdi agosto di quello stesso anno, al fine diimpiantarvi un Lazzaretto e una Coloniapenale agricola.Puntualmente il 15 di agosto quarantacinque famiglie residenti a Cala d’Oliva,anziché’ disperdersi nei territori dellaNurra e di Porto Torres, acquistanonuove terre dirimpetto all’isola, in unluogo che, per la sua caratteristica aforma di budello, veniva chiamato Istin-tino, modificandosi poi definitivamentein Stintino. Con i loro poveri averi porta-rono dall’isola anche i simulacri dell’im-macolata Concezione e della BeataVergine della Difesa, che al momentovennero custoditi nei locali della tonnara,in attesa della costruzione della chiesanel nuovo paese.I simboli religiosi che accompagnaronola triste partenza dei profughi sono au-tentica testimonianza della loro viva fedee singolare devozione verso la VergineSantissima rimasta fiorentissima sino ainostri giorni. Nella visita pastorale dell’Asinara svoltasinell’ anno 1703 l’arcivescovo turritanoGiuseppe Sicardo, primo prelato che amemoria degli isolani giungeva nella loroterra, faceva verbalizzare le testimo-nianze di alcuni abitanti sulla condizionespirituale dei fedeli. La totalità degli in-terrogati confermarono che nell’isola vi-vevano continuativamente oltre sessantapersone e che malauguratamente non viesisteva chiesa ne’ cimitero ne’ tanto-

meno parroco; i morti venivano sepoltisulla riva del mare e i nuovi nati riceve-vano il battesimo con grande ritardo. Nel febbraio 1760 l’arcivescovo CarloCasanova scrivendo alla Segreteria diGuerra di Cagliari dichiarò che non fossenecessario destinare agli abitanti del-l’isola un parroco perché quasi tuttihanno residenza e casa a Sassari e in di-versi periodi dell’anno le loro famiglierientravano in città. Potevano in tal modorecarsi nella propria parrocchia per rice-vere i sacramenti, completare l’istru-zione religiosa ed adempiere al precettopasquale.Per di più durante il periodo di transu-manza, i pastori che operavano nell’isolaavevano a disposizione in maniera sta-bile un sacerdote da lui inviato, al con-trario in quello stesso anno il Consigliodel Comune di Sassari ritenne che“ormai era tempo di rendere stabile lapresenza di un parroco all’Asinara”.Infatti per qualsiasi necessità spiritualeci si doveva recare a Sassari, in partico-

lar modo per il battesimo e per le solen-nità di Pasqua e di Pentecoste, mentreper otto mesi l’anno un confessore cele-brava messa nelle piccole cappelle an-nesse alle modeste abitazioni.Sette anni dopo il ministro Lorenzo Bo-gino manifestava all’ arcivescovo turri-tano Giulio Cesare Viancino di volerrealizzare il progetto di colonizzazionedell’Asinara per mettere a frutto le terre.Il piano prevedeva anche il sistema dipoter garantire il sostentamento per ilparroco e altri sacerdoti occorrenti “perla cura e direzione spirituale delleanime”.Purtroppo questo progetto rimase sola-mente sulla carta. Viancino, nonostanteil suo impegno per realizzarlo, così com-mentò l’insuccesso: “La popolazione ches’era intrapresa all’Asinara e’ assai scon-certata; sta’ per cadere e sono andativani tanti progetti per mancanza di mi-sure e quattrini”.Bisogna attendere al giugno del1842 peraver notizie più precise e più confortanti,

mondo’ e Benedizione Eucaristica conApertura ufficiale dell’Anno Mariano”.Don Addis ne scrisse questa relazioneper la rivista “Ali Azzurre”, conservatanegli archivi parrocchiali:“Festa dell’Immacolata e trentesimoAnniversario della fondazione. ...Tale data segna una tappa luminosanella vita della Congregazione, per l’ani-ma santa del suo fondatore Padre Man-zella. La festa fu organizzata con intelli-genza d’amore dalle Dirigenti e dallebuone consorelle. Nove giorni di pre-ghiera raccolsero anime giovanili ai pie-di della madre comune, per implorarele celesti benedizioni.

Gli ultimi tre giorni che precedettero lafesta furono consacrati ai Santi Spiritua-li Esercizi, dettati dalla parola, facile epersuasiva del Rev. Parroco e DirettoreDon Giuseppe Addis. Vi abbiamo notatolarga partecipazione di giovani parroc-chiane, nel cui volto era rispecchiata lapromessa di un avvenire più cristiano epiù coerente ai principi morali.La festa così ben preparata doveva ne-cessariamente avere un tono di spiri-tualità e di intimità Mariana. Durante laS. Messa tutte quelle che avevano par-tecipato ai Santi Esercizi ricevettero Ge-sù nel loro cuore, quale sigillo dei buonipropositi formulati. Subito dopo si svol-se commovente la cerimonia di ricezio-

ne di dodici Aspiranti e di sei novelle Fi-glie di Maria.Nel pomeriggio il Rev. Direttore tenneuna conferenza dal titolo ‘La vergine nelmondo’. Si chiuse felicemente la giorna-ta con la Benedizione Eucaristica. L’apertura dell’Anno Mariano nel giornodella nostra festa, per tutte le Consorellee per tutte le giovani di buona volontà,sia benevolo auspicio di un anno e diuna vita sempre più marianamente vis-suta. Alà dei Sardi 8 dicembre 1953.Don G. Addis”.Il frutto più bello di quell’anno celebrati-vo fu lo sbocciare della vocazione reli-giosa e vincenziana per la giovane Fio-

renza Devilla, che l’anno seguente en-trava tra le Figlie della Carità.

La missione manzelliana del 1926.Quell’unica missione manzelliana adAlà del 1926 fu anche l’ultima sua pre-dicazione che concluse i 22 anni dimissioni popolari predicate a tempopieno. A 71 anni il suo fisico avvertivaormai i segni della stanchezza e degliacciacchi senili.Per quattro mesi, da marzo fino a tuttogiugno 1926, aveva fatto il cappellanoagli operai nel cantiere della Diga sulCoghinas, rientrandone a Sassari conforti dolori reumatici. Fu necessario ri-correre ai bagni termali, prima a For-

dongianus e, nel settembre, a San Ca-sciano.Nel mese di ottobre, tuttavia, insiemecon padre Giuseppe Sandri, predicò lamissione di Alà, che risultò piuttosto im-pegnativa. Fu ospitato in casa delle so-relle Pigozzi, note e tutti come “zia Pin-na e zia Satta”, le quali vollero perpe-tuarne il ricordo conservando semprelinda e intatta “la stanza di Padre Man-zella”, come la chiamavano. Restano due i ricordi di quella missione:l’accoratezza con cui predicava dal pul-pito contro quelle donne conviventi soloper non perdere il vitalizio dei maritimorti in guerra; ma anche la sua dispo-nibilità e pazienza nell’avvicinare gli uo-mini, sia di sera tardi che persino all’al-ba, per regolarizzare tali situazioni conle sue famose “pesche a domicilio”. Efurono tanti i matrimoni benedetti inquella missione. Fu quella predicazioneche rivelò agli alaesi la santità di PadreManzella. Nel 1953, forse come riverbero del pel-legrinaggio sassarese delle Figlie di Ma-ria, anche due chierichetti discutevanodella santità del Servo di Dio.La loro conclusione fu che ormai anchePadre Manzella, essendo già morto esanto, bisognava già chiamarlo “santoManzella!”. Uno di quei due chierichettiero proprio io, che, due anni dopo,mandato dal parroco nel Seminario vin-cenziano di Scarnafigi (CN), superai su-bito la nostalgia della Sardegna al ve-dermi tra le mani proprio il libro della vi-ta di Padre Manzella.Quella lettura nei primi giorni di vita pie-montese, durante il mio primo ritiro spi-rituale di tre giorni, mi tranquillizzò su-bito: il Seminario di Scarnafigi era pro-prio per me, perché vi era passato an-che Padre Manzella, che iniziai a consi-derare anche come mio modello sacer-dotale. g

Note

1 Cfr. Libro di Amministrazione della Chiesa Parroc-chiale del villaggio di Alà essendo Rettore il bacelliereLuigi Leoni d’Aggius, anno1923:” Ottavario in quaresi-ma predicato dal Sig. Manzella”.2 Cfr. Registro dell’Amministrazione Parrocchiale,1923: “Ottavario in quaresima predicato dal Sig. Man-zella”.3 Cfr. Registro dei Verbali, riunione del 12 aprile 1953.

Gli ottant’annidella chiesa parrocchiale di StintinoAttività pastorale della chiesa turritana tra l’Asinara e Stintino

“NON VENISSE MENO

NEGLI STINTINESI LA FEDE

E IL SENSO MORALE”[di Mons. Giancarlo Zichi

Alà dei Sardi

Chiesa Immacolata concezione, foto dell’altare, prima della ristrutturazione del 1984

Page 10: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADREMANZELLA Oggi 19PADREMANZELLA Oggi 18

V i t a E c c l e s i a l eV i t a E c c l e s i a l e

erezione della parrocchia, attende viva-mente la costruzione della nuova chiesa.Questa venne benedetta dall’arcivescovoDiego Marongiu Del Rio durante la visitapastorale nell’ isola il 23 settembre 1873sotto il titolo di Immacolata Concezione.Cinque giorni dopo sempre nella chiesaparrocchiale di Cala d’Oliva venne lettoalla popolazione il Regolamento dellanuova Confraternita, che lo stesso arci-vescovo aveva eretto canonicamente inquella parrocchia, sotto l’invocazionedella SS. Vergine della Difesa.In quell’occasione venne eletto dai con-fratelli il priore al quale venne conse-gnato il relativo stendardo.Don Marginesu si attivò perché venissecostruita anche la chiesa della Madonnadelle Grazie presso Fornelli. Di fatto egli

stesso benedì la prima pietra il 18 aprile1874 e dopo circa sette mesi, grazie“alle premure e lo zelo” del sacerdoteGiovanni Porqueddu, che la iniziò e con-dusse a termine. In questa impresa “ fuappoggiato alla sola generosa pietà deifedeli e alla costanza degli abitanti diFornelli i quali soprattutto si eccitaronoa comperarvi con quei sacrifici che sonola vera espressione del sentimento reli-gioso”. Verrà incaricato meritatamentedal vicario generale lo stesso Porqueddua benedire il 12 ottobre dello stessoanno la nuova costruzione.In quegli anni gli abitanti dell’isola veni-vano dunque assistiti spiritualmente eculturalmente in maniera più che soddi-sfacente. Come si è detto fu costituita laparrocchia comprendente tutto il territo-rio isolano, assicurata la presenza di unsacerdote per l’assistenza spirituale, laformazione umana e cristiana e l’inse-

gnamento delle nozioni di base della lin-gua italiana, ricostruite chiese che sta-vano andando in rovina (fatta eccezionela chiesa di S. Lucia a Cala Reale chemons. Marongiu nella sua visita pasto-rale trovò “ in cattivissimo stato e minac-ciante rovina).Tutto sembrava promettere un futuroricco di nuovi traguardi in tutti i campiquand’ ecco quasi d’improvviso giunseper gli isolani l’ordine di dover lasciare laloro terra.Questi, “messisi sotto gli auspici e pro-tezione della Città di Sassari”, ricevonogli interventi immediati dal sindaco Raf-faele Garzia per risolvere le più urgentinecessità. Il 27 agosto 1885 il sindacoinvia a Stintino l’ingegnere del comune,Gavino Canalis, per determinare il peri-

metro del nuovo paese, tracciare le viee dividere il suolo in tanti lotti quanti sene richiedono per costruirvi le abitazioni“delle famiglie che ora si riuniscono e diquelle che in avvenire accrescersi”. Glisfollati chiesero che lo stesso sindacopresenziasse all’atto “solenne” del-l’estrazione a sorte dei lotti; questi, poi-ché era impossibilitato a recarvisi,delegò il consigliere Pasquale Ghera,che presenziò all’estrazione e senza la-sciar passare molto tempo si diede l’av-vio alla costruzione delle case. Per gliabitanti mancava l’elemento principaleper un villaggio: la chiesa.Cinquantasei firmatari, di cui oltre lametà analfabeti, il 17 settembre 1888scrissero una lettera all’arcivescovo Ma-rongiu Delrio con le seguenti ferventiespressioni: “Già sono trascorsi tre annie la borgata principia a popolarsi ed ac-crescere il numero degli abitanti accre-

sciuta ancora dagli ovili circonvicini,nulla si può desiderare giacche’ col ri-sparmio delle nostre fatiche si accudisceai principali bisogni che possono occor-rere alle famiglie, però manca l’elementodell’educazione quale sarebbe la Reli-gione; abituati e credenti in quella fedeche ci insegnarono i nostri genitori man-tenemmo saldi i nostri principi i quali,per quanto ci sia dato, tentiamo d’infon-derli ai nostri figli, ma ripetiamo mancal’elemento: la chiesa”.Per l’addobbo dell’edificio sacro, aggiun-sero nello scritto, si possiede tutto ciòche occorre, essendo stato portato conloro dalle chiese dell’Asinara, e custoditoin un magazzino presso la Tonnara, ma“oggi minaccia di andare in sfacelo”.Infine raccomandarono al vescovo di

voler intervenire presso l’au-torità civile giacche’ ha pro-messo di intervenire consollecitudine per assecon-dare i loro voti, ma fino a quelmomento non avevano otte-nuto alcunché.Appena cinque giorni dopo,l’arcivescovo scrisse al sin-daco di Sassari informandoloche più volte “quei buoni iso-lani, dei quali conosco aprova la religiosità e la inno-cenza dei costumi come diun popolo patriarcale”, loavevano pregato perché in-tervenisse presso le autoritàcivili in modo che provvedes-

sero sia all’edificazione della Borgatache alla costruzione della Chiesa.Per questi motivi sollecitava ancora illoro intervento.Nei primi mesi del 1890 il Comune diSassari fece compilare un progetto perla costruzione della chiesa di Stintino perinviarlo al Governo allo scopo di aver unsussidio. In realtà il Governo aveva asse-gnato lire dodicimila per l’esproprio dellachiesa parrocchiale di Cala d’Oliva edelle altre cappelle esistenti nell’isola, larestante parte della somma occorrentel’avrebbe data il Comune. In tal senso il 12 novembre 1991 l’arci-vescovo Marongiu scrisse al sindacoperché garantisse l’intera somma, ancheperché i soldi del suddetto esproprio siriferivano ad opere fatte costruire con leofferte dello stesso vescovo e dei fedeliparticolarmente di Sassari, per cui insi-ste fermamente che il denaro andasse a

quando cioè il vescovo Alessandro Do-menico Varesini si recò nell’isola persvolgere la visita pastorale. Si viene in-fatti a conoscere che nei decenni prece-denti erano state erette la chiesa dellaVergine delle Grazie nelle Bocche, poichiamate Fornelli; quella di S. Lucia aCala Reale “tutta rovinosa e mal tenuta”;infine quella di Cala d’Oliva “passibil-mente tenuta intitolata alla ImmacolataConcezione”.In tutti i luoghi di culto l’arcivescovo am-ministrò la cresima. Nel salutarli il ve-scovo fece annotare nel verbale di visita:“non abbiamo potuto a meno di loroesternare il nostro dispiacere in vederliprivi d’un pastore che li istruisse nellaLegge Santa e li dirigesse nella via del Si-gnore”. Nonostante il suo immediato im-pegno per far erigere la parrocchianell’isola, il progetto per il momento nonpoté essere realizzato. Bisognò atten-dere sino al 1867, tre anni esatti dopo lasua morte. In realtà Varesini, qualcheanno dopo la visita pastorale a PortoTor-res, all’Asinara e nel restante territoriodella Nurra, scrisse alla Cancelleria realeperché venisse attuato il piano di ere-zione di parrocchie in ognuno di questiluoghi. In particolare il Ministero di Gra-zia e Giustizia de’ Culti, con l’interventodel Consiglio Provinciale di Sassari, si in-teressò a costituire la parrocchia a Calad’ Oliva. L’iter burocratico fu lungo ecomplesso anche perché si presenta-rono due opzioni. Creare una parrocchiadipendente da Porto Torres che avrebbeassicurato ad inviare un vice parrocoche risiedesse nell’isola per svolgere lefunzioni religiose e l’insegnamento ele-mentare. Oppure istituire una parroc-chia indipendente a Cala d’Oliva coltitolo di Immacolata Concezione.All’inizio di gennaio del 1867 ci fu l’ac-cordo tra il Ministero competente e lacuria di Sassari al fine di istituire la par-rocchia a Cala d’ Oliva, mentre l’Ammi-nistrazione provinciale di Sassari avevadestinato al futuro titolare in qualità dicappellano un assegno annuo quello diL. 600 e contemporaneamente comemaestro quello di 300 lire annue.Il Ministero delle Finanze assegnavainoltre un piccola parte di terreno de-maniale perché servisse come dotazionealla erigenda parrocchia e quale sito percostruire la canonica. A tale scopo il pre-fetto sollecitava alla Curia di Sassari checomunicasse il cappellano.

È interessante notare che in calce allastessa lettera si trovano scritte dallastessa mano le seguenti osservazioni.“Bisogna insistere non solo nella conve-nienza, ma nella nell’assoluta necessitàdi una parrocchia nella località dell’Istin-tino, abbracciando la regione della Nurrae la gran distanza da Sassari e Porto Tor-res. Come pure di dare un assegno alparroco non inferiore a lire mille, do-vendo provvedersi dell’alloggio e di unassegno per le spese del culto non po-tendosi fare assegnamento nei parroc-chiani essendo poverissimi”. Era questoil progetto del Varesini che l’autorità ci-vile oramai desiderava attuare.Finalmente l’8 settembre 1867 fu fir-mato il regio decreto di istituzione dellaparrocchia.

Negli anni di attesa del decreto, il padrecappuccino Francesco Antonio Berlin-guer di Sassari, “ che avendo da piùanni frequentato l’isola seppe cattivarsiintera la stima e la fiducia di quei popo-lani”, tenne viva la fede degli asinaresialimentando in loro una profonda devo-zione alla Madonna invocata col titolo diBeata Vergine della Difesa.Il 24 dicembre 1864 la devozione allaVergine toccò il momento più ferventeed entusiasmante quando il padre cap-puccino accompagnò la prima volta il si-mulacro della Vergine della Difesa allachiesa di Cala d’Oliva. Inoltre il 1 gen-naio dell’anno successivo, dopo aver ot-tenuto formale autorizzazione dal vicariomons. Diego Marongiu, Ella fu procla-mata Protettrice di tutta l’isola alla pre-senza dei membri del Consiglio

Comunale, delle due società di pescatorie pastori e della popolazione giunta dallevarie zone dell’isola acclamante festantealla Vergine “con sentimenti di vera pietàe religione”.Si potrebbe supporre che il padre Anto-nio Francesco Berlinguer per alcunimesi svolse le veci di parroco, giacchévenne a morire alla fine di gennaio del1868. Dopo qualche tempo fu nominatoquale vicario parrocchiale il sacerdoteQuirico Marginesu, uomo energico,pronto ad assistere spiritualmente i suoifedeli e deciso al lottare con tutte le forzeper difendere i diritti della Chiesa. Il 29marzo 1870 scrisse al vicario generaledella diocesi turritana per descrivere lecondizioni in cui versava l’oratorio diCala d’Oliva “fabbricato da più un secolo

da pochi pescatori Camoglini”, del tuttoinsufficiente a contenere non solo i fedeliprovenienti dalle frazioni della Reale edei Fornelli, bensì i soli della vicina re-gione.Per di più rischia di rovinare “a motivodelle grosse piene che l’investono nell’in-verno, di maniera che le sue fonda-menta sono ricoperte al di fuori più di unpalmo e le pareti dell’interno ammuffitesempre dal grand’ umido”.Per poter risolvere una simile situazionechiede alla Curia l‘autorizzazione di poterpromuovere una sottoscrizione per rac-cogliere la somma di L. Mille nella spe-ranza che Governo e Provinciaconcorrano in modo da poter raggiun-gere la rimanente parte di seimila lire.Nel frattempo non mancò di far presenteche la popolazione, ottenuto il decreto di

Cala d’Oliva

Page 11: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

Nella contemplazione di MadreAngela sulla tragica notte diGesù nel Getsemani, seguendo

passo passo il suo itinerario mistico, citroviamo di fronte ad una scena ben co-nosciuta e rappresentatada svariati artisti nelle loroopere: Gesù in terribilelotta con il male, tutto ba-gnato e intriso nel propriosangue, solo, immerso inuna profonda ed este-nuante preghiera maunito alla volontà d’amoredel Padre, disposto adobbedire sino in fondoper la redenzione umana.Una scena che MadreAngela osserva con gliocchi dell’anima e conl’unione affettiva dello spi-rito. Una grazia specialeche Dio le riserva per sestessa e per il carismadelle future spose delGetsemani, la cui mis-sione sarà quella di con-dividere i sentimenti diGesù agonizzante e pro-lungarne l’azione espia-trice, nonché la forzadell’amore misericordiosoe la potenza della carità riparatrice.Ancora una volta è l’immagine del san-gue di Cristo ad impressionare losguardo mistico di Angela, presentatonel calice dall’angelo della consolazione:è il calice che il Padre stesso gli prepara,è il calice dell’amara sofferenza dove si

rivelerà il senso di una incomprensibilee paradossale volontà.

O mio Signore, caro e unico mio amore,il tuo magnanimo cuore non conoscechi dubita che tu possa respingere il ca-lice del dolore, l’immolazione perfetta ditutto te stesso nella tua passione. Gesù,accettato il calice, è assalito da nuova egrande tristezza. Di quel cuore amantee penante si fa più intenso il terrore acui è in preda, e che sempre più va au-mentando.1

La vera lotta che Gesù compie è nei con-fronti della tentazione che, come uomo,lo assale: la passione e la morte chedovrà affrontare si manifestano come il

dono del Padre, un dono terribile, inac-cettabile umanamente, della sua vo-lontà. Come può il Figlio di Dio rifiutarequesto dono? Come può resistere a tantaangoscia? Nel Getsemani che il Figlio di Dio cono-sce i peccati di tutti gli uomini; è qui che

su di lui si è scaraventato tutto il male delmondo; qui Gesù diviene, per obbe-dienza al Padre, ladro, assassino, adul-tero, bugiardo, sacrilego, bestemmiatore,calunniatore e ogni altro genere di pec-catore.

Un quadro terribile gli si para davanti evede, come in orrida figura, le nostreiniquità, vede i peccati commessi sindalla creazione del mondo, la disobbe-dienza dei nostri progenitori che coin-volsero l’umana famiglia nella lororovina.Vede il mite Gesù che l’onore dovutosoltanto a lui, viene tributato a idoli in-fami, vede i peccati di scandalo e idanni che da esso ne derivano alla so-

cietà, e per esso il trionfodel vizio, nasconde lavirtù! Vede l’amabile Gesùle ingiurie e i disonori chegli si fanno, sente al vivo lebestemmie e le maledi-zioni che gli si danno,vede e sente il rammaricoper i sacrilegi e le profana-zioni, e a tutto questo siaggiungono i supplizi cuiva incontro.2

Gesù ha obbedito sino allafine per amore e si è rico-perto di ogni orrore, pur difare il volere del Padre esalvare l’umanità interadalla perdizione eterna.Nel calice della passioneGesù vede l’immensità deldolore causato dai peccatidegli uomini, bere da quelcalice significa assumerlointeramente, superandoogni ripugnanza conl’estremità del suo amore

misericordioso.«Non a tutti è consentito di capire la sof-ferenza di Gesù nella passione dell’ago-nia, quest’oceano di carità dove ognicolpa viene sommersa per riemergeretrasfigurata dalla misericordia divina!Proprio perché è il Figlio, Egli sente pro-

PADRE MANZELLA Oggi 20 PADRE MANZELLA Oggi 21

C a r i sm a

beneficio della nuova borgata col co-struire la chiesa. “Trattasi di Religione eGiustizia” fece osservare il pastore. Nenacque una lunga e penosa vertenza inquanto il Comune di PortoTorres preten-deva quella somma; alla fine nonostantel’impegno e la grinta di don Quirico Mar-ginesu il Comune di Sassari se ne im-

possessò. L’arcivescovo, allora perché“non venisse meno negli Stintinesi lafede e il senso morale”, incoraggiò la co-struzione di un magazzino da parte degliabitanti in via Marco Polo, ove oggi sitrova il Centro culturale; esso fu comple-tato nel 1893. Intanto il 6 di gennaio diquello stesso anno lo stesso arcivescovofirmava il relativo decreto di erezione par-rocchiale sempre col titolo di ImmacolataConcezione, mentre il decreto regio fuemanato il 4 giugno dello stesso anno.Fu nominato parroco lo stesso QuiricoMarginesu, il quale dopo otto anni diinattività della Confraternita della Beata

Vergine della Difesa, la fece rivivere perun impegno spirituale sempre più vivo eper continuare ad essere la mano destradel parroco.Non poteva mancare l’apporto pastoraledi p. Giovanni Battista Manzella. Vi pre-dicò le missioni nel 1912, 1919 e nel1931 lasciando a ricordo le croci in

legno a Punta di La Crozzitta e a l’Isolottudi la Crozzitta. Era legato da profondaamicizia col parroco Emilio Dettori(1916-1919), il quale si rivolse al vincen-ziano perché preparasse una piantinadella erigenda chiesa. Oggi la Fotocopiadel disegno e’ posseduto dalle SuoreManzelliane. In esso padre Manzella hasegnato la proporzione tra il magazzinoche al momento veniva utilizzato comeoratorio e il nuovo edificio decisamentepiù ampio.Don Dettori lo pregò di comporre untesto per invogliare le persone delle varielocalità ad offrire somme per la costru-

zione della chiesa, dal momento che iparrocchiani erano poverissimi. Il testofu fatto stampare in forma di cartolinaper diffondere l’iniziativa.Tra le altre cose vi si legge: “Tu non saiche in Sardegna v’ e’ un paese senzachiesa. Gesù abita in un magazzino... Lacasa più brutta che c’è in paese è la casaove abita il Re del cielo. Essa fuori è ru-stica, di dentro più ancora; grossi travi in-gombrano il soffitto, graticci e cannesorreggono le tegole; il pavimento co-perto di antichi e polverosi mattoni; cosìstretta che non basta alla popolazione...”Il parroco successivo Campus Anto-nio(1925-1933) il 7 luglio 1930 scrissedirettamente a Benito Mussolini, capodel Governo, dopo aver ripetuto leespressioni più incisive del testo delManzella, aggiunse: “Gli abitanti di Stin-

tino, per non restar privi dei conforti re-ligiosi, edificarono una provvisoriachiesa-baracca, che ancora funziona daparrocchia”.Prega l’autorità suprema costituita di in-tervenire perché il podestà di Sassariprovveda senza indugio.Spetterà al parroco Vittorio Prunas(1933-1992) seguire passo passo la co-struzione della chiesa assistendo mons.Arcangelo Mazzotti mentre benedicevala prima pietra il 25 ottobre 1934 sino almomento solenne della consacrazioneavvenuta il 19 dicembre del 1937. Cosìla chiesa parrocchiale di Stintino neigiorni 16, 17, 19 dicembre ha celebratol’evento. g

C a r i sm a

Pietro Perugino, Gesù al Getsemani

Il Getsemani nella contemplazione mistica di Madre Angela

Il Calice della Passione

NON A TUTTI

È CONSENTITO DI CAPIRE

LA SOFFERENZA DI GESÙ[di Suor Maria Carmela Tornatore

Sthintineddi negli anni 60

Anni ‘40 della chiesa della Immacolata Concezione

Page 12: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADRE MANZELLA Oggi 22 PADRE MANZELLA Oggi 23

C a r i sm a C a r i sm a

A rendere ancora più amaro il calicedella sofferenza di Cristo, è la visionedell’ingratitudine umana e del rifiuto ditanti ad accogliere la salvezza: secondola logica del mondo la redenzione è unprocesso autosalvifico e l’uomo non habisogno di Dio per la propria vita, tanto-meno per la propria salvezza.Nel Getsemani vi è il capovolgimento to-tale di questa logica autodistruttiva, percui la vita non può trovare altro sboccoche il vuoto del non-senso, la sofferenzafine a se stessa, la condanna senza sal-vezza, la vita senza eternità.Nell’Orto degli ulivi la superbia è defini-

tivamente vinta dall’apparente disfatta diGesù e dall’umile abbandono alla vo-lontà del Padre. «In Cristo, data la sua natura e la sua li-bera determinazione, non c’era nullache facesse opposizione all’amore.Egli visse ogni istante della sua esistenzain abbandono senza riserve all’amore di-vino. Facendosi uomo, Egli però hapreso su di sé tutto il fardello del pec-cato umano, abbracciandolo con il suoamore misericordioso e nascondendolonella sua anima: nell’Ecce venio, con cuiiniziò la sua vita terrena, rinnovando poiespressamente questa sua missione nelsuo Battesimo e nel Fiat del Getse-mani… Nella passione e morte di Cristoi nostri peccati sono stati arsi. Se acco-gliamo con fede questa verità, accet-tando fedelmente e senza riserve il

Cristo tutto intero, in modo da sceglieree da percorrere la via dell’imitazione diCristo, Egli attraverso la sua Passione emorte ci condurrà alla gloria della risur-rezione».8

Nella contemplazione della notte piùdrammatica che un cuore umano possavivere, Madre Angela ascolta il gemitoangosciato di Gesù, vede il viso pallido estravolto dal panico dell’Uomo-Dio, par-tecipa sensibilmente allo strazio dellasua anima, sgomentata da tanto dolore.Anch’ella è tormentata dal pericolo in cuisi trovano le anime che non “trarrannoprofitto”, perché hanno scelto di vivere

senza Dio.L’ansia di redenzione le fa fremere ilcuore e ne invoca audacemente la sal-vezza.Ma, a tormentare ancor più il sofferenteGesù, s’aggiunge un’altra grandissimapena, più angosciosa e amara della suastessa passione, ed è che tantissimeanime non trarranno profitto dal fruttodella sua Redenzione, e che il suo cosìgrande patire non gioverà per loro.Tu li vedi, caro e amato mio Gesù,quelli che violeranno la tua santalegge, disprezzeranno il tuo santonome e lo bestemmieranno, calpeste-ranno il tuo sacro corpo percotendolonei tuoi ministri.Tu, finalmente, le vedi, caro mio Gesù,queste anime correre alla perdizione,all’inferno!

O mio Gesù, mio Divin Redentore,eterno divino amore, sento spezzarmisinel petto il cuore, per il gran dolore cheprovo. Perché mai, mio Salvatore, inquesta notte, avendomi concesso distare unita a te, Tu, mio Gesù, mi fai ve-dere un così triste spettacolo! Oh, comesoffre il mio cuore, amato mio Signore!Oh se mi fosse concessa e data una cosìdolce speranza che tutti, proprio tutti sisalvassero.9

Nell’oscurità della notte del Getsemani,in cui la sofferenza si scontra con il si-lenzio inesorabile di Dio, la lotta nellapreghiera diviene affannata e stremante,la tentazione sempre più violenta e at-taccante, ecco che un barlume di lucefiltra nelle tenebre della solitudine. � la ri-sposta che ogni uomo attende nell’at-timo in cui la speranza viene meno:Gesù è la risposta.Gesù è la luce che illumina ed inondaogni getsemani umano, perché in Luiogni lotta porta alla vittoria come la provasuprema di un amore eccezionale. Inquella notte tutto sembrava condurrealla morte, ed invece era la strada versola vita.10

Si delinea attraverso questa singolareesperienza mistica di Madre Angela, lasua inconfondibile chiamata a vivere nelFiat voluntas tua; ella non si sottrae e ri-mane, nella notte del Getsemani, la fe-dele sposa, l’anima eletta, la vaga rosadel suo Caro Gesù.

O mio Diletto, deh! Che io non conoscaaltra via, né altra strada che questa: dalCenacolo al Getsemani, dal Getsemanial Calvario e questo sia mia dimora di ri-poso, finché non arrivi il gran giorno diunirmi a Te, mio Sovrano Re, nel tuoRegno.11 g

Note

1 MARONGIU ANGELA, L’Ora Santa. Un’ora con Gesù nelGetsemani, Istituto Suore del Getsemani, Sassari,2003, pag. 50.2 Ibidem, pp. 50-51.3 BENEDETTO XVI, Gesù di Nazareth, Vol. II, LEV, Cittàdel Vaticano, 2011, pag. 175.4 Ibidem, pp. 49-50.5 Ibidem, pp. 47-48.6 GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 27 aprile 1994.7 MARONGIU ANGELA, L’Ora Santa, cit., pp. 48-49.8 EDITH STEIN, Scientia Crucis, Ediz. OCD, Roma,1998, pag. 207.9 MARONGIU ANGELA, L’Ora Santa, cit., pp. 51-52.10 Cfr. EDITH STEIN, Scientia Crucis..., cit. pag. 50.11 MARONGIU ANGELA, Lettera a Leontina, 1° ottobre1912.

fondamente l’orrore, tutta la sporcizia ela perfidia che deve bere in quel calicea Lui destinato: tutto il potere del pec-cato e della morte. Tutto questo Eglideve accogliere dentro di sé, affinché inLui sia privato di potere e superato».3

Allo stesso modo riecheggia Madre An-

gela in una mistica implorazione:

Oh, rimira, anima mia, il caro Gesù inor-ridire all’avvicinarsi di quel calice pienodi terrore! Che farà egli mai? Lo rigetteràda sé? Non è forse quello il calice chemise nel suo cuore tanto orrore? Non èforse quello il calice per cui supplicò ildivin Padre di allontanarlo da sé? E ora,vedi il buon Gesù trangugiarlo sino al-l’ultima stilla.4

Angela partecipa alla tragicità di questanotte perché realmente chiamata a starecon Gesù, tenergli compagnia, consolareil suo cuore lacerato e umiliato dalla vi-sione terrificante dei peccati degli uo-mini. Ecco come lo esprime nellapreghiera mistica dell’Ora santa:

Io considero e vedo il mio Gesù prostratoa terra e umiliato a tal punto che nonosa levare il suo sguardo al Cielo, perchésembra vedersi ricoperto delle iniquitàdi tutti gli uomini, che ha preso adespiare sopra se stesso.L’Eterno Padre pare che non veda da-vanti a sé che le sembianze dei pecca-tori, e permette che la sua divinagiustizia si armi con tutto il suo furorecontro di lui. Oh, che in tanto abban-dono e fra tanti dolori non si troverà al-

cuno che porga qualche conforto al-l’agonizzante mio Signore! 5

Nel tentativo ingenuo di alleviare la sof-ferenza umana di Cristo, Angela si ri-volge all’angelo consolatore e lo invita aintercedere presso Dio: quanto ancora il

caro Gesù deve soffrireper espiare i peccatinon suoi?Lo spirito immolativo edi riparazione spingeAngela ad offrirsi alPadre in un gesto ditotale consegna, con-sapevole della suacondizione di pecca-trice, indegna e meri-tevole di soffrire, persostituire il suo dolorea quello del suo Sposoagonizzante. «Un altro principiofondamentale dellafede cristiana è la fe-condità della soffe-renza e quindi la

chiamata, di tutti coloro che soffrono, adunirsi all’offerta redentrice di Cristo.La sofferenza diventa così offerta, obla-zione: come è avvenuto ed avviene intante anime sante. [...] InLui trovano la forza di accet-tare il dolore con santo ab-bandono e fiduciosaobbedienza alla volontà delPadre. E sentono nasceredal loro cuore la preghieradel Getsemani: “Non ciòche io voglio, o Padre, maciò che vuoi tu” (Mc 14,36)».6

In quella notte di grandesconforto, di pianto e lotta,sangue e vittoria, anime fe-deli e generose sono chia-mate a soffrire con Gesù e amostrargli amore e compas-sione.L’angelo diviene così il sim-bolo di coloro che si fannocarico del dolore e della lottacontro il male, di tanta soffe-renza non consolata nep-pure da Dio, che tace in unoscandaloso e incomprensi-bile silenzio. Il momento piùinaccettabile è, infatti, il si-

lenzio del Padre che lascia il Figlio inun’estrema desolazione e solitudine, maè proprio qui che il divino è attraversatonella profondità dell’essere dalla realtàumana.

L’angelo tiene in una mano il calice, econ l’altra accenna al Cielo per indicareche è volontà del Padre suo che il caroGesù beva il calice fino all’ultima goccia.O angelo santo, come puoi rimanere da-vanti a Lui, senza commuoverti alla vistadel mio Signore? Non vedi tu quanto sof-fre il caro Gesù, l’amato del mio cuore!Ritorna, ritorna all’eterno Padre e digliche si ritenga soddisfatto di quanto hagià sofferto e tuttora soffre il mio e tuoSignore. Riprendi questo calice ripienodi sangue che il mio Gesù ha già versatoe versa ancora dall’immacolato e inno-cente suo corpo.Non basta forse una sola goccia per la-vare i peccati che si commettono in tuttoil mondo dai peccatori?E non è forse sufficiente, mentre l’amatoGesù è tutto intriso di sangue, e nonversa soltanto una goccia, ma rivoli disangue? Padre Santo, non scaricare iltuo furore sul tuo Figlio, ma su noi chesiamo indegni di comparire davanti a teper il peccato.7

Madre Angela

Orazio Borgianni Cristo nel giardino del Getsemani

Tintoretto, l'orazione di Gesu al Getsemani

Page 13: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

L e c t i o D i v i n a

PADRE MANZELLA Oggi 24 PADRE MANZELLA Oggi 25

L e c t i o D i v i n a

Allora i Giudei gli si fecero attornoe gli dicevano: «Fino a quandoterrai l’animo nostro sospeso?

Se tu sei il Cristo, dillo a noi aperta-mente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto e noncredete; le opere che io compio nelnome del Padre mio, queste mi dannotestimonianza; ma voi non credete, per-ché non siete mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce eio le conosco ed esse mi seguono. Io doloro la vita eterna e non andranno maiperdute e nessuno le rapirà dalla mia

mano. Il Padre mio che me le ha date èpiù grande di tutti e nessuno può rapirledalla mano del Padre mio. Io e il Padresiamo una cosa sola». I Giudei portarono di nuovo delle pietreper lapidarlo. Gesù rispose loro: «Vi ho fatto vederemolte opere buone da parte del Padremio; per quale di esse mi volete lapi-dare?».Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamoper un’opera buona, ma per la bestem-mia e perché tu, che sei uomo, ti faiDio».Rispose loro Gesù: «Non è forse scrittonella vostra Legge: Io ho detto: voi sietedei? Ora, se essa ha chiamato dei co-loro ai quali fu rivolta la parola di Dio (ela Scrittura non può essere annullata),a colui che il Padre ha consacrato emandato nel mondo, voi dite: Tu be-stemmi, perché ho detto: Sono Figlio diDio? Se non compio le opere del Padremio, non credetemi; ma se le compio,anche se non volete credere a me, cre-dete almeno alle opere, perché sap-piate e conosciate che il Padre è in me

e io nel Padre». Cercavano allora di prenderlo di nuovo,ma egli sfuggì dalle loro mani. Ritornòquindi al di là del Giordano, nel luogodove prima Giovanni battezzava, e quisi fermò. Molti andarono da lui e dicevano: «Gio-vanni non ha fatto nessun segno, matutto quello che Giovanni ha detto di co-stui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.I pregiudizi accecanoLe autorità giudaiche invece di far festae gioire per la guarigione di un “ciecofin dalla nascita”, hanno come lorounica preoccupazione quella di insce-nare un processo a Gesù:” Se tu sei ilCristo, diccelo con franchezza”.Egli risponde che più volte ha cercatodi dirlo loro apertamente; ma essi resiciechi dai loro pregiudizi non gli hannomai dato alcun credito, imprigionaticome erano nel buio della loro volutacecità.Ora Gesù, luce del mondo, cerca in tuttii modi di togliere anche dai loro occhiquelle squame che glieli tengono sigil-

lati, affinché finalmentepossano vedere sul suovolto l’immagine delPadre ed in essa l’iden-tità più profonda ed in-tima dei suoi figli. Il discepolo nasce e cre-sce nell’ascolto“Essere discepoli” diGesù significa chel’umanità di una donna edi un uomo, a qualsiasietnia possano apparte-nere, non nasce in modoautoctono o addiritturaper pressione di autoritàesterna, sia essa reli-giosa o culturale, masgorga e si sviluppanell’ascolto della Suavoce, nella piena consa-pevolezza di quanto già ilsalmista ricordava:” A tegrido, Signore; non re-stare in silenzio, mio Dio,perché, se tu non miparli, io sono come chi

Domenica IV di Pasqua “se Tu sei il Cristo…”(Gv 10,24-42)

scende nella fossa” (Sal 27,1).Un ascolto quindi che li segna nell’in-timo della loro persona e quindi li“spinge” a camminare dietro a Lui neisentieri della vita.L’arco dell’esistenza terrena del cri-stiano sarà quindi come un pro-cesso di profonda trasfigurazione, ilgioioso e coraggioso passaggio dapresuntuose prestazioni di stamporeligioso e moralistico a un vivereche profuma dell’amore di Cristo.Progressivamente sarà il fuoco diquesto amore ad incendiare deci-sioni, scelte, comportamenti e rela-zioni, fino a dire anche noi stupiti,con Paolo:” Sono stato crocifissocon Cristo e non sono più io chevivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivonella fede del Figlio di Dio, che miha amato e ha dato sé stesso perme” (Gal 2,20).Lui mi conosce e mi dà la vitaGesù ci indica la fonte donde scatu-risce una realtà impossibile all’ini-ziativa solitaria dell’uomo: “Io leconosco e dò loro la vita per sem-pre” (10,27). Colui che ha fiducia in-condizionata in Lui, il Figlio man datodal Padre, riceve da Lui la vita che nonha fine (3,16). È la sua stessa vita di Fi-glio che elargisce a ogni creatura affin-

ché non perisca nessuno di coloro cheil Padre gli ha dato (6,39).È la nuova nascita attraverso lo Spiritoche completa in esse l’opera creatrice

del Padre e dà la capacità di diventarerealmente suoi figli:” A quanti però l’-hanno accolto, ha dato potere di diven-tare figli di Dio” (1,12). Da questo dono

del Padre alle sue creature, tramite l’of-ferta incondizionata del suo figlio Gesù,ne derivano due conseguenze. Innanzi-tutto la loro esistenza non sarà inelutta-bilmente risucchiata dal nulla, giacché

la qualità di vita che Egli comunica èpiù forte della morte:” Dio infatti hatanto amato il mondo da dare il suo Fi-glio unigenito, perché chiunque crede

in lui non muoia, ma abbia la vitaeterna” (3,16). Inoltre non saranno piùin balia di coloro che disprezzano e cal-pestano la vita, come i ladri o i nemici,

perché Gesù, contrariamente al lorocomportamento, è il pastore che di-fende i suoi al caro prezzo della vita:”Io sono il buon pastore. Il buon pastoreoffre la vita per le pecore”. (10,11).Padre e Figlio fanno uso dello stessopotere, della stessa forza: quello di unamore più forte della stessa morte, ul-timo e viscerale nemico dell’uomo.È Gesù la via al PadreUna volta che la stirpe umana si è con-gedata dalla mediazione di Mosè e iProfeti, il nuovo santuario che rende ilPadre presente nella storia dell’umanitàè Gesù, il Figlio.Il Padre manifestandosi in Lui e attra-verso il suo Spirito, amore leale e fe-dele, fa realizzare al Figlio le sue “operebelle”, completando così il disegno ini-ziale della creazione.È Lui, Gesù, ormai la luce radiosa delPadre, il volto splendente di Dio, per cuinon ci sono altre istanze, altre scorcia-toie per arrivare direttamente al Padre,come pretendeva l’apostolo Filippo econ lui tanti suoi seguaci dei nostritempi:” Da tanto tempo sono con voi etu non mi hai conosciuto, Filippo? Chiha visto me ha visto il Padre. Come puoidire: Mostraci il Padre?” (14,9). g

VI HO FATTO VEDERE MOLTE

OPERE BUONE DA PARTE DEL PADRE

MIO; PER QUALE DI ESSE

MI VOLETE LAPIDARE?[di P. Agostino Nuvoli

in quel luogo molti credettero...

Guarigione del cieco

Il rotolo della legge

Page 14: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

confronto alla bellezza che suscita prima-riamente stupore e sconvolgimento), e sequalcuno lo desidera, gli è subito dispo-nibile”. A questo movimento che con-serva e insieme crea, l’uomo rispondecon la nostalgia dell’Uno e l’amore per lapropria origine che lo genera. L’Uno può diventare nostro collaboratoree per questo noi lo invochiamo. L’Unoperciò è al di sopra dell’essere, al di sopradel pensiero e al di sopra della vita, nelsenso che è super essere, super pen-siero, supervita. In esso (Uno) tutto èmeta. Dall’Uno derivano tutte le altrecose. Egli si chiede per quale motivol’Uno, che non aveva bisogno di niente,

non è rimasto in se stesso? È questa forsela domanda più interessante della meta-fisica e quella di più ardua soluzione. Nelrispondere Plotino usa immagini rimastenella storia della filosofia per la loro bel-lezza ed importanza. Ma queste immaginihanno necessità di essere esplicitate inconcetti altrimenti perdono la loro decisi-vità. La prima è quella della luce. La de-rivazione delle cose dall’Uno èrappresentata come un irraggiarsi dellaluce da una fonte luminosa in forma dicerchi successivi, degradanti in lumino-sità, senza che la fonte perda la sua. Ilprimo cerchio dopo la fonte è rappresen-tato dal Nous o Spirito, che è la seconda

ipostasi. Il successivo cerchio è l’anima,la terza ipostasi. L’ulteriore cerchio rap-presenta la materia, che coincide anchecon lo spegnersi della luce. Altre imma-gini sono, il fuoco che emana calore, lasostanza odorosa che emana profumo, ilvivente che genera. Altre immagini sonoquelle del fiume e quella dell’albero.Un’ulteriore immagine è quella dei cerchiconcentrici, dove il centro è l’Uno, la se-conda ipostasi è un cerchio immobile,mentre la terza ipostasi è un cerchio mo-bile. Ma queste immagini hanno fattosviare molti autori, per cui Plotino è statoaccusato di essere panteista, monista,emanazionista e la processione un atto

necessitato della stessaessenza dell’Uno. Puòforse la luce non emanarela sua luminosità, puòforse un corpo profumatonon emanare profumo? Èproprio qui che le imma-gini traggono in inganno.Plotino distingue due dif-ferenti tipi di attività del-l’Uno: l’attività che derivadall’ente. Quella dell’enteè l’attività che serve amantenere se stesso, chelo fa rimanere se stesso.L’attività che procededall’Uno è quella per cuine viene un’atra realtà. Apartire da queste conside-razioni Reale va in dire-zione opposta rispetto aPlotino. Egli ritiene chel’attività dell’Uno consisteproprio nel voler essereciò che è, ossia nella li-bertà di essere quello cheè. E l’attività che procede

dall’Uno è una necessità posta da un attolibero, la conseguenza di un atto libero.La processione è una necessità che pro-cede da un atto libero. La seconda ipostasi: il NousPlotino definisce la seconda ipostasi “Diosecondo”, che presuppone la divinità delprimo come suo fondamento. Egli la ca-ratterizza attraverso il nesso tra padre efiglio per sottolineare la dipendenza dellaseconda ipostasi dalla prima. Con la ge-nerazione della seconda ipostasi si ge-nera anche un altro tipo di attività, che èquella del rivolgersi al principio da cui cia-scuna ipostasi deriva per guardarlo e con-templarlo. Il Nous rivolgendosi all’Uno si

feconda di lui, riempendosi. Il Nous dap-prima è indeterminato e informe, e guar-dando all’Uno si determina. Oltreall’attività del rivolgersi, questa attività siriflette su se medesima già fecondata.Questa duplicità spiega la nascita delmolteplicità. Il molteplice nasce solo al-l’interno di questa seconda ipostasi, malo Spirito non vede l’Uno come molte-plice, bensì vede se stesso come molte-plice.La terza ipostasi: l’animaAnche per lo Spirito Plotino si rifà aglistessi moduli usati per descrivere la suaattività. C’è un’attività che lo Spirito rivolgea se stessa e una che esce fuori di lui. Laseconda attività è possibile grazie allaprima: grazie al rivolgersi a se stesso loSpirito è capace di produrre qualcos’altroda se. Ma l’anima che procede dallo Spi-rito non può essere se stessa se non con-templa lo Spirito. L’atto del pensaredell’anima consiste nel fatto che lo Spiritoè contemplato dall’anima. Essa trae tuttoquello che pensa e attua dalla contem-plazione dello Spirito. Ma l’anima guar-dando lo Spirito e attraverso lo Spiritovede l’Uno, il bene. Questo è il supremofondamento della realtà dell’anima: essaattraverso lo Spirito vede il bene e diventaessa stessa boniforme, cioè conforme albene. È proprio in questo aggancio al-l’Uno attraverso lo Spirito è il fondamentosupremo della realtà dell’anima. Abbiamodetto che l’Uno per poter pensare devefarsi Spirito, così l’anima pensa nella mi-sura in cui guarda e contempla lo Spirito.Ma la sua essenza non consiste nel pen-sare, bensì nel dar vita a tutte le altre coseche sono, nell’ordinarle, nel governarle, equesto ordinare e governare coincide conil produrle. L’Uno, perciò, è dovuto diven-tare Spirito per pensare, ed è dovuto di-ventare anima per produrre tutte le cose.Le iposastasi successive, in un certosenso, sono l’Uno stesso, e, d’altra parte,se ne differenziano, in quanto sono pro-prio differenziazioni della potenza del-l’Uno. L’anima si trova in una posizioneintermedia rispetto alle ipostasi superioriè il sensibile. È la realtà che confina conil sensibile. Potremmo dire che essa hadue volti, è orientata in due direzioni,verso lo Spirito e verso la materia. Questonon deve indurci a pensare che Plotinoritenga l’anima un misto di corporeo e in-corporeo. Vediamo di spiegare meglioquesto concetto. L’anima produce il sen-sibile e, producendolo, entra per così

PADREMANZELLA Oggi 27

Plotino nacque a Licopoli. La datadovrebbe essere il 205 d. C. Nel232 iniziò interamente a dedicarsi

alla filosofia ad Alessandria. Nel 244giunse a Roma. Tra il 253 e il 269 com-pose i suoi trattati. Morì nel 270 all’età di66 anni. Egli fa tesoro ti tutta la filosofiaprecedente, in particolare di Platone, cheegli considera la figura più convincentecon cui identificarsi, e Aristotele, al qualenon risparmia critiche. Plotino, partendoda spunti plotiniani ante litteram sia inPlatone che nel neopitagorismo, giungead una vera e propria rifondazione dellametafisica classica. Per Aristotele il principio ultimo del realeera l’essenza (Ousia) e l’intelligenza delmotore immobile. Per Plotino è l’uno. Egli,nella descrizione dell’uno, si rifà all’unodel Parmenide platonico, dell’essenza edella stessa intelligenza. Ogni ente è talein virtù dell’uno. Come potrebbe esserciun ente senza essere uno? Allora occorrechiedersi da che cosa derivi questa lorounità? Per Plotino tutti gli enti fisici rice-vono la loro unità dall’anima. Ma l’animada l’unità ma non è essa stessa l’unità.Nel caso dell’anima, come in quella deicorpi e di tutti gli altri enti, abbiamo duetermini: anima più unità, corpo più unitàetc. D’altra parte è molteplice anchel’anima unica e in essa esistono molte po-tenze: ragionare, aspirare, percepire. Per-ciò l’anima introduce l’unità in altro ma,allo stesso tempo, riceve da altro la suaunità. Essa la riceve dal Nous plotinianocon il motore immobile. Il Nous è il primofondamento immobile di ogni mutamentoo processualità, essa è pensiero del pro-prio pensiero. Anche il Nous però si ripre-senta lo stesso problema sorto perl’anima. Il Nous, o, secondo la tradizione

italiana più adeguata, lo Spirito, non puòessere l’uno perché implica molteplicità:dualità di pensante e pensato, moltepli-cità di idee. Esso rappresenta la totalitàdella realtà intellegibile.La prima ipostasi: l’uno.Nel ricercare il fondamento delle cose,occorre, perciò, risalire dal mondo fisicoall’anima (che è l’ipostasi più bassa),dall’anima allo Spirito (che è la secondaipostasi) e dallo Spirito ad un principioulteriore scevro da ogni molteplicità, as-solutamente semplice.Esso è l’ipostasi prima, ilPrincipio Imprincipiato,l’assoluto.La caratteristica fonda-mentale dell’uno è l’infini-tudine. Qui si inizia avedere la differenza tra lametafisica plotiniana equella platonico-aristote-lica. Solo alcuni filosofiavevano fatto cenno all’in-finito, e questi erano pre-socratici.Ma loro intendevano la in-finitudine in dimensione fi-sica. Mentre in Platone eAristotele l’infinitudinecomportava imperfezione. Il principio primo era il li-mite, mentre la materia erainfinità. Aristotele aveva di-chiarato inconcepibilel’esistenza dell’infinito inatto, egli lo riteneva possi-bile solo in potenza. Plo-tino riprende l’idea diinfinitudine dei naturalisti, che è un’infi-nitudine spazio-temporale e la rifonda suun piano immateriale, che era un’infini-tudine spazio-temporale e la rifonda suun piano immateriale. L’infinito plotinianonon è perciò un infinito spazio-temporale,non è legato alla quantità, ma esso è in-teso come illimitata potenza, non nelsenso di potenzialità, ma di attività. È in-sieme potenza è atto puro, atto metafisicoprimo e supremo. L’uno è creatore di semedesimo e di tutte le altre cose. È il fon-damento che costituisce e insieme man-tiene l’essere. Egli crea l’altro dalla propriasovrabbondanza, ma rimane al di là ditutto, è trascendenza e insieme Imma-

nenza che forma e opera in tutto. Nonpuò essere identificato con nulla di quelloche esiste. Egli perciò non si trova in nes-sun luogo ma, allo stesso tempo, è ovun-que. Per e determinazione. L’uno nonpuò essere nemmeno il motore immobile,perché anche questa Ousia e finita e de-terminata. Per questo motivo Plotinoparla di Uno al di là dell’essere, al disopra del pensiero. Il principio supremoperciò non solo trascende il mondo fisico,ma trascende ogni forma di finitudine,

compresa quella finitudine di cui Platonee Aristotele avevano investito l’intellegibilee la stessa intelligenza. L’uno è ineffabilee, per questo motivo, innominato. Anchequando Plotino cerca di parlarne positi-vamente, egli ne parla in senso analogico.L’uno è assolutamente semplice, ma nonnel senso di povertà, ma al contrario diinfinita potenza. Un altro termine che Plo-tino usa per definire l’Uno è quello diBene, ma non un particolare bene, bensìil bene in se, il bene stesso. Non perchéegli abbia bisogno di qualche cosa, manel senso di bene per tutte le altre cose.Egli ne parla in questi termini: “il bene èun che di dolce, gradevole e delicato (in

PADREMANZELLA Oggi 26

B i o e t i c a B i o e t i c a

Il Neoplatonismo

IL PRINCIPIO PRIMO

ERA IL LIMITE,MENTRE LA MATERIA

ERA INFINITÀ”[di Salvatore Pisu

Raffaello - Aristotele e PlatonePlotino

Page 15: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

Si realizza subito di essere in un al-tro mondo. La musica africananell’auto che ci accompagna all’-

hotel rompe il silenzio della notte in unacittà che già dorme.La nostra camera: odore di fumo inten-so, due brande, un piccolo bagno, ungeco nel water ci dà il benvenuto; l’ac-qua fredda della doccia ci invita ad an-dare subito a letto. Dentro di me un misto tra gioia e timore.

Arrivo ad AntsirabeImpatto con la città: strade asfaltate,strada in terra battuta; ville e capanne;auto e piedi scalzi che percorrono le viedella città con a bordo uomini più “for-tunati” che possono pagare questo ser-vizio: c’è paga che può retribuire tantafatica? Uomini e donne che vendononelle “bancarelle”, bambini che vendo-no per le strade allungando le loro pic-cole mani per vendere qualche piccolooggetto fatto da loro? Riciclato? Rubato

per poter sfamare le loro piccole boc-che o per portare il ricavato al loro Pa-tron (padrone)? Ci avventuriamo nel mercato alla ricer-ca di un paio di scarpe inoltrandoci inuna fiumana di gente: è il primo contat-to con questo popolo; mille occhi pun-tati su di noi che come una telecamerati seguono e cercano di leggerti dentro:ho paura che riscon-trino in me un certodisorientamento, mi-sto però a familiarità,gioia e serenità. Unbambino seduto sulmarciapiede catturala mia attenzione: oc-chi neri, intensi matristi; addosso pochistracci che arrivanoalle ginocchia; legambe nude e i piediscalzi tenuti fra le pic-cole mani per riscal-darsi. Che faccio? Loaccarezzo? Perchéno! Gli parlo? Non capisco, non mi ca-pisce.

Arrivo al villaggioLa gente si è radunata nel cortile dellacasa delle suore per accoglierci contanto calore e gioia.È un’emozione indescrivibile.

Il mattino seguenteMi ritiro da sola inun angolo del cortileper buttare giùqualche riga sul miodiario. Mentre scrivoi bambini si avvici-nano a me, e con iloro sorrisi cercanoun approccio.Non riesco a resi-stere alle loro sim-patiche provocazio-ni, riuscendo acoinvolgermi nel lo-ro desiderio di gio-care: si divertono anascondersi e corre-re per non farsi

prendere da me. Il frutto più bello diquest’esperienza missionaria è che ali-menta, in chi la vive, la sete di Cristo, ildesiderio di incontrarlo vivo, di toccarloe contemplarlo nelle persone, negli av-venimenti più ordinari, per imparare daLui cosa significa essere missionari. La missione prima che un dare è undarsi senza riserve, senza compromes-

si, condividendo ciò che sei e ciò chehai, come se niente di ciò che gratuita-mente hai ricevuto ti appartenesse. Ma è anche condividere ciò che essinon hanno, accettando che anche letue calcagna vengano spaccate dalfreddo pungente del mattino e della se-ra, e le tue spalle non siano ben riscal-date da un giubbottone.È accettare l’invito a mangiare con loroun pezzo di manioca bollita “condita”con un po’ di polvere rossa sollevatadalle ruote dell’auto in corsa, penetratadai finestrini forzatamente tenuti apertiper il caldo intenso.È accantonare per un attimo le normeigieniche imparate, accogliendo la tene-rezza di una manina infetta che vuoleaccarezzare quel viso stranamentebianco. È perdersi in quel cielo lumino-so di due occhietti neri incuriositi daquell’oggetto che posa sul tuo naso.Come il ritornello di un splendido cantorisuonano nel mio cuore e nella miamente le parole di un grande poeta diDio, missionario in Sardegna: “Non so-no mai così felice come quando sono inmezzo ai poveri (P. Manzella). g

PADREMANZELLA Oggi 29

dire, in commercio, con il corporeo. Essa,pur essendo indivisibile, diventa divisibilenei corpi. Essa partecipa dei corpi pur ri-manendo una. In questo senso essa e di-visa e indivisa, una e molteplice. Con lasua unità molteplice essa produce edelargisce la vita dei corpi, con la sua unitàindivisibile essa li riunisce e li governa.Questa molteplicità la troviamo sia insenso orizzontale, ma anche verticale, insenso gerarchico. Esiste una vera e pro-pria gradazione nell’ambito della psiche.Il principio primo è esclusivamente uno,lo Spirito è uno-molti, l’anima è uno emolti. Nello Spirito ogni idea è tutto lo Spi-rito e nel mondo dello Spirito perciò nonc’è gerarchia, mentre nella sfera del-l’anima sorge determinazione. L’Uno nonpuò essere nemmeno il Motore Immobile,perché anche questa ousia è finita e de-terminata. Per questo motivo Plotinoparla di Uno al di là dell’essere, al disopra del pensiero. Il principio supremoperciò non solo trascende il mondo fisico,ma trascende ogni forma di finitudine,

compresa quella finitudine di cui Platonee Aristotele avevano investito l’intellegibilee la stessa intelligenza. L’Uno è ineffabilee, per questo motivo, gli si danno deter-minazioni prevalentemente negative. Egliè, in qualche modo, innominato. Anchequando Plotino cerca di parlarne positi-vamente, egli ne parla in senso analogico. L’Uno è assolutamente semplice, ma nonnel senso di povertà, ma al contrario, diinfinita potenza. Un altro termine che Plo-tino usa per definire l’Uno è quello diBene, ma non un particolare Bene, bensìil Bene in se, il Bene stesso. Non perchéegli abbia bisogno di qualche cosa, manel senso di Bene per tutte le altre cose.Egli ne parla in questi termini: «il Bene èun che di dolce, gradevole, delicato (in

confronto alla bel-lezza che suscitaprimariamente stu-pore e sconvolgi-mento), e sequalcuno lo desi-dera, gli è subito di-sponibile. A questomovimento checonserva se stessoe insieme crea,l’uomo rispondecon la nostalgia del-l’Uno e l’amore perla propria origineche lo genera. L’uno può diventare nostrocollaboratore e per questo noi lo invo-chiamo. L’Uno perciò è al di sopra dell’essere, aldi sopra del pensiero e al di sopra dellavita, nel senso che è super essere, superpensiero, supervita. In esso (Uno) tuttomèta. Dall’Uno derivano tutte le altrecose. Egli si chiede per quale motivol’Uno, che non aveva bisogno di niente,

non è rimasto inse tesso? È que-sta forse la do-manda piùi n t e r e s s a n t edella metafisicae quella di piùardua soluzione. Nel risponderePlotino usa im-magini rimastenella storia dellafilosofia per laloro bellezza edimportanza.Ma queste im-

magini hanno necessità di essere esplici-tate in concetti altrimenti perdono la lorodecisività. La prima è quella della luce. Laderivazione delle cose dall’uno è rappre-sentata come un irraggiarsi della luce dauna fonte luminosa in forma di cerchisuccessivi, degradanti in luminosità,senza che la fonte perda la sua. Il primocerchio dopo al fonte è rappresentata dalNous come un irraggiarsi della luce dauna fonte luminosa in forma di cerchisuccessivi, degradanti in luminositàsenza che la fonte perda la sua.Il primo cerchio dopo la fonte è rappre-sentato dal Nous o Spirito, che è la se-conda ipostasi. Il successivo cerchio èl’anima, la terza ipostasi. L’ulteriore cer-chio rappresenta la materia, che coincide

anche con lo spegnersi della luce. Altreimmagini sono, il fuoco che emana ca-lore, la sostanza odorosa che emana pro-fumo, il vivente che genera. Altreimmagini sono quelle del fiume e quelladell’albero. Un ulteriore immagine èquella dei cerchi concentrici, dove il cen-tro è l’Uno, la seconda ipostasi è un cer-chio immobile, mentre la terza ipostasi èun cerchio mobile. È proprio qui che leimmagini traggono in inganno. Plotino di-stingue due differenti tipi di attività del-l’Uno: l’attività dell’Ente e l’attività chederiva dall’ente. Quella dell’Ente è l’attivitàche serve a mantiene se stesso, che lo farimanere se stesso. L’attività che procede dall’Uno e quellaper cui dall’Uno ne viene un’atra realtà.A partire da queste considerazioni Realeva in direzione opposta nell’interpreta-zione di Plotino. Egli ritiene che l’attivitàdell’Uno consiste nel voler essere ciò cheè, ossia nella libertà di essere quello cheè. È l’attività che procede dall’Uno è unanecessità posta da un atto libero. La pro-cessione è una necessità che procede daun atto libero. Guardare verso l’assoluto o verso il sen-sibile decide il nostro destino. A questopunto occorre comprendere quali sono lefunzioni dell’anima e come l’anima svolgetali funzioni. Le attività elementari, comela vita vegetativa e animale sono garantitedall’anima dell’Universo. A quest’animaspetta la creazione del mondo, mentrealle altre anime, spetta il compito di vivi-ficare e reggere i corpi. La prima afferma-zione da fare è che l’anima restaimpassibile, essa è capace solo di agire,l’incorporeo infatti non può essere affettodal corporeo. Ma se questo è vero, comeè possibile che la sensazione ci sia, esi-sta? Viene esclusa infatti un’interazione adoppio senso anima e corpo. g

PADREMANZELLA Oggi 28

B i o e t i c a M i s s i o n e a d G e n t e s

Diario MissionarioArrivo all’aeroporto di Tananarive

LA MISSIONE PRIMA

CHE UN DARE

È UN DARSI SENZA RISERVE,SENZA COMPROMESSI[

di Suor Leonarda Pintus sdg

Antananarivo notte

Le bellezze del creato

Aurora boreale

Antsirabe

Page 16: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

M i s s i o n e a d G e n t e s

PADRE MANZELLA Oggi 30 PADRE MANZELLA Oggi 31

M i s s i o n e a d G e n t e s

Carissima Suor Giuliana, È con gioiache accogliamo il suo invito di co-municare a lei e alle care Conso-

relle la nostra esperienza di “ritorno”... inMadagascar e particolarmente in Isifotra.Il nostro viaggio in Madagascar dal 23settembre al 14 ottobre 2017 è stato pernoi come un «Pellegrinaggio». Infatti, peressere sinceri, prima di deciderci a com-prare i due ticket ci siamo posti la do-manda: “È prudente e giusto (a ottantaanni) prenderci tutti i rischi del viag-gio...?”. Ma poi abbiamo sentito che il Si-gnore è con noi e nel suo nome l’abbiamofatto! E adesso che siamo di ritorno a casaci siamo chiesti reciprocamente “Haianche tu sentito la presenza del Signoresui nostri passi in Madagascar, come setoccassimo terra santa”?Riflettendoci infatti è là (e soprattutto aIsifotra) che abbiamo “incontrato “parti-colarmente il Signore, in ogni malato esofferente. La nostra permanenza di tresettimane in Madagascar può conside-

rarsi in diverse tappe. Il giorno dopo il no-stro arrivo a Fianarantsoa il 14 settembre,siamo andati a trovare Suor Angela e lasua Comunità (suor Lydie, Miriame, Holy,Larissah). È stata una vera sorpresa e ci

ha riempito il cuore di gioia e fiducia inun solido futuro della Comunità delleSuore del Getsemani in Madagascar nonsoltanto il vedere la nuova casetta (praticae semplice) quanto l’incontro con quellegiovani malgasce piene di zelo.A Fianarantsoa abbiamo avuto a disposi-zione una camera presso il “Vozamà”,dove abita anche il Fratel Claude. È giàda parecchi anni che abbiamo adottatodieci “Scuole Vozamà” in dieci villaggettinella Diocesi di Fianarantsoa. In uno diquesti villaggi con “Scuola Vozamà” ab-biamo finanziato un pozzo con pompa amano che finalmente dopo due anni èstato inaugurato (con noi) il 29 settembre.Dal 1994 al 2003 abbiamo lavorato comelaici missionari camilliani nella Diocesidi «Ihosy», che è stata fondata nel 1967e che quindi quest’anno commemora ilsuo cinquantesimo anno. L’attuale ve-scovo di Ihosy, Mons. Fulgence Razaka-

rivony, ci ha invitato al giubileotenutosi il 14-15 agosto scorso. È inquesto mese di ottobre che siamostati a Ihosy dove abbiamo visitato ilvescovo Fulgence deponendopresso di lui una somma per contri-buire alla costruzione della casa perla Comunità di Suore malgasce chesaranno incaricate della Scuola diAnkily, le “Suore Missionarie diMaria Immacolata” (chiamateanche “Suore Salesiane”).

Nonostante tutto il lavoro che l’attendevaa Fianarantsoa, Suor Angela ci ha con-dotto a Ihosy dove andava a termine lariunione dei Padri insieme con il Vescovo.Il giovedì 5 ottobre, dopo l’incontro con il

Vescovo, siamo partiti per Isifotra, con-dotti dal bravo Padre Francesco.L’accoglienza a Isifotra di Suor Gianninae Comunità (Suor Charline e Clorida)nonché di tutta la popolazione è statacommovente: è stato come un “ritorno”in famiglia. Ed è stato per noi molto im-portante che la sera stessa abbiamo ce-lebrato l’Eucarestia nella chiesa dove tantidi loro hanno ricevuto l’annuncio del Van-gelo, il Battesimo. E dove la comune fede

nel Gesù Risorto ci ha unitisempre di più con loro.Dopo una buonissima cena,Suor Giannina ha avuto labontà e delicatezza di offrircila camera da letto dove ave-vamo dormito tanti anni edove siamo stati svegliatitante notti per casi urgenti. Ilgiorno seguente, dopo laSanta Messa, Suor Gianninaci ha mostrato come l’operaè sviluppata, a nostra mera-

viglia e gioia. Dopo la visita del villaggio,la fila della gente che voleva visitarci (conuova, riso, galline...) non voleva averefine. Purtroppo non abbiamo avutotempo di ascoltare e parlare più a lungocon loro. È un peccato che Suor Leo-narda non sia stata in Isifotra in questigiorni! Il terzo giorno, dopo la Santa Eu-carestia e una buona colazione, SuorGiannina ha avuto la bontà di ricondurcia Ihosy. E così ci siamo congedati da Isi-fotra con tristezza nostalgica ma anchecon grande gratitudine nel vedere come“l’opera del Signore” si sia sviluppata ar-monicamente. Che il Signore protegga gliabitanti e le Suore di Isifotra.Elisabeth e Enzo Caruso. g

Isifotra. Elisabeth, Enzo esuor Giannina

Elisabeth e Enzo accolti calorosamente

In ascolto della Parola

“Rendiamo sempre grazie aDio per tutti voi, ricordandovinelle nostre preghiere e te-

nendo continuamente presenti l’opero-sità della vostra fede, la fatica dellavostra carità e la fermezza della vostrasperanza nel Signore nostro Gesù Cri-sto”. (1Ts 1,2-3)Queste parole dell’apostolo mi toccanoprofondamente nel mio vivere quoti-diano. La fatica della carità non solo perle condizioni disagiate in cui viviamo:strade che non esistono, siccità, isola-mento, epidemie, carestie, ma una fa-tica che è data dall’ essere testimonioculari dell’ingiustizia umana e dell’indif-ferenza di molti che stanno a guardare,

permettendo che i poveri siamo semprepiù poveri e i ricchi sempre più ricchi.Ma c’è chi, per grazia di Dio, è chiamatoa condividere con gli ultimi ansie, dolori,fatiche, insicurezze, partecipando al lorosilenzio. La mente, il cuore, il corpo, le

energie del missionario sono rapiti dal“grido del povero” che si fa sentire comeun fuoco ardente dentro di noi e che nonsi può contenere (Ger 20).E noi, che siamo chiamati a essere dei

ponti tra Dio e l’uomo, dopo aver ascol-tato questo grido, lo presentiamo alPadre. E come Dio risponde a questogrido? Con la carità, che non è elemosinao beneficenza, ma è Amore, dove l’altronon è l’oggetto del mio amore ma la sor-

gente stessa; la sorgente nondel tuo donare, ma del tuo do-narti come Gesù ci ha inse-gnato: “il corpo che io darò è lamia carne... Fate questo in me-moria di me...Perché da que-sto sapranno che siete mieidiscepoli”.Mi viene in mente Valisoa unadonna di 35 che pesava 32 kg.Penso che oltre alla tubercolosiavesse di tutto, forse ancheHIV. La nostra sorella è mortaqualche giorno fa. Ringrazio ilSignore di averla conosciuta,anche se per poco, ma mi dàgioia sapere che è morta digni-tosamente avendo ricevutotutte le attenzioni che ogni ma-lato merita. Ho sempre im-presso l’abbraccio che midiede il giorno che arrivò al di-spensario. Dopo averle fatto la

doccia, mentre aspettavamo Clodineche era andata a prendere una coperta,poiché’ non riusciva a stare in piedi, leappoggiai le mani sulle mie spalle e letenevo la schiena, ma era così deboleche dovette aggrapparsi forte al miocollo per non cadere; e la tosse si alter-nava all’affanno.Difronte a tutto questo io sento che lamia vita non è sacrificio (molti mi vo-gliono convincere di questo), ma è gioiaimmensa perché per me la sorte è ca-duta su luoghi deliziosi (Sl 16), qui con ipoveri più poveri, semplicemente perservirli, e senza mai dimenticare chetutto ciò che la Provvidenza passa èdono. g

Rendiamo grazie a Dio

MA ERA COSÌ DEBOLE

CHE DOVETTE AGGRAPPARSI FORTE

AL MIO COLLO PER NON CADERE[di Suor Leonarda Pintus sdg

Stanze di degenza

Refettorio per degenti

Madagascar suor Leonarda in villaggio

Il nostro viaggio in Madagascar

È STATA UNA VERA SORPRESA

E CI HA RIEMPITO IL CUORE

DI GIOIA E FIDUCIA[di Enzo ed Elisabeth

Page 17: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADREMANZELLA Oggi 33

“Imiei pensieri non sono i vostripensieri, le vostre vie non sonole mie vie. Quanto il cielo sovra-

sta la terra, tanto le mie vie sovrastanole vostre vie, i miei pensieri sovrastano ivostri pensieri” (Is 55,8-9). L’oracolo diIsaia, con l’immagine della distanza ver-tiginosa che separa il cielo dalla terra,esprime la lontananza dell’agire e delpensare di Dio da quello dell’uomo.Questo però, non perché Dio sia troppoalto e distaccato per noi, ma proprioperché ha scelto uno spazio illimitatod’amore in cui farsi cercare, trovare einvocare, accorciando per primo il diva-rio tra Lui e gli uomini e degli uomini traloro. Così il Creatore del cielo e della ter-ra scelse che la sua altezza si abbassas-se alla nostra indegnità grazie al dono disuo Figlio, volto della sua infinita miseri-cordia. Queste parole di Isaia, procla-mate nella liturgia della Parola durantela messa della professione solenne,esprimono bene ciò che il mio cuore ela mia mente provano al pensiero deldono ricevuto con larghezza dal Signo-re, dono che mai nessuno potrebbemeritare per la sua preziosa bellezza eindicibile grandezza. Nel tempo di preparazione che ha pre-ceduto il rito mi ritrovavo spesso a riflet-tere sulla mia vita e sul senso della miachiamata.Così, in modo semplice e inaspettato,sentivo lentamente concretizzarsi unqualcosa che prima sembrava tanto di-stante e scontato, quasi un passo obbli-gato. Tante volte in passato mi ero chie-sta: “Perché fare una professione uffi-ciale, non abbiamo già scelto di seguireCristo?”. Per comprendere questo pas-

saggio così importante è fondamentaleil cammino lento e fecondo del percorsoformativo, che puntualizza e concretiz-za sulla propria pelle ogni passo, persi-no il più piccolo tassello apparentemen-te insignificante, ma spesso determi-nante per la realizzazione dell’opera fi-nale nella sua interezza.Ed è proprio questo itinerario di crescitaumana e spirituale, che abbraccia tuttala vita, a dare senso e solidità alla nostrarisposta personale alla chiamata delMaestro. “Professare” davanti alla Chie-sa significa, per ogni consacrato, di-

chiarare oggi al mondo la propria identi-tà di persone che appartengono a Dio intutto e per sempre, che desiderano lo-darlo con la propria vita e che richiama-no la realtà della vita eterna con il Si-gnore. Anime che ricapitolano il creatoverso Dio e portano Dio verso il creato,come ponti viventi tra il cielo e la terraper ricordare ai fratelli la strada e la me-ta, e questo attraverso un vincolo eter-no, un patto d’amore sigillato nel san-gue di Cristo Sposo.Quando, per grazia, ho cominciato aprendere coscienza di questa altissimachiamata, allora ho iniziato a compren-

dere che niente è scontato, ma tutto tro-va il suo senso in un continuo camminosempre più profondo di libertà interiore.Nessun uomo, nessuna donna puòvantare il merito di seguire Cristo e il do-no ricevuto nasce proprio dalla gratuitàdell’amore infinito di Dio che viene atoccare la nostra bassezza plasmandodi senso l’esistenza e rendendoci crea-ture per gli altri: «Gesù ti fa uscire da testesso, ti decentra e ti apre agli altri, noisiamo, per così dire, “spostati”, siamoal servizio di Cristo e delle Chiesa».1

Niente di tutto ciò che sono e vivo oggi

come consacrata sarebbe stato possibi-le all’infuori di questo cammino d’amo-re sempre vivo e attuale, di questo lentomorire e sperare davanti al mistero diDio. E il cammino lo si percorre insiemealle sorelle che il Signore ha voluto por-re al mio fianco sin dal momento in cuiha pronunciato il mio nome e ha con-cesso che seguissi la sua voce. Sonograta infinitamente a Suor Pierina Morit-tu, la Maestra di formazione della nostraCongregazione, che ha saputo con pa-zienza, fermezza e amore guidare e ac-compagnare ogni mio passo in tuttiquesti anni sin dal mio ingresso in co-

PADREMANZELLA Oggi 32

N o t i z i e d e l l ’ I s t i t u t o N o t i z i e d e l l ’ I s t i t u t o

Un “Si” per sempre, nel “Si” di GesùProfessione Solenne di Suor Maria Rita

HO COMPRESO L’IMPORTANZA DI

RISPONDERE “SI”, NON PER

UN’INIZIATIVA PERSONALE, MA PER

AVER RISPOSTO LIBERAMENTE

ALL’INVITO DI GESÙ[di Suor Maria Rita Cordeschi

munità e a Suor Maria Carmela Tornato-re che condivide con noi la vita nellapiccola comunità del Noviziato “SantaMaria di Nazareth”. Riconobbero da su-bito in me un’inquietudine profonda allaquale dare senso e nome ed entrambesono state, e tutt’ora sono per me, una

continua esperienza di comunione,unione e condivisione nelle gioie e neidolori, nella comprensione e nelle diffi-coltà, pur nella diversità generazionalee caratteriale che ci contraddistingue.In questa piccola grande comunità, in-serita nel contesto comunitario dellaCasa Generalizia delle Suore del Getse-mani e, quindi, con la vicinanza e il so-stegno di tutte le altre sorelle di cammi-

no, ho imparato e continuo ad appren-dere a “seguire più da vicino Gesù Cri-sto in spirito di adorazione e di ripara-zione”2 nel Getsemani, a partire proprioda chi mi sta accanto, lasciandomi in-terpellare dall’invito del Signore di resta-re per vegliare e pregare, condividendo

la sua agonia. Ho compreso l’importanza di risponde-re “si”, non per un’iniziativa personale,ma per aver risposto liberamente all’in-vito di Gesù di andare dietro i suoi pas-si, e quando mi sono sentita amata perla prima volta davvero da un Dio cheavevo scoperto come Padre e che mispalancava le sue braccia nonostante lemie fragilità e autonomie. Questo primo

passo per l’ingresso in Comunità, oggi èmaturato nella consapevolezza e nellaspecificità di un carisma di appartenen-za in cui offrire insieme la nostra volontàin un continuo esercizio di espropriazio-ne di sé, nella certezza che Cristo perprimo ci ha aperto la strada scegliendola sofferenza per salvarci. Quanti Getse-mani di agonia si possono vivere e in-contrare ancora, in ogni tempo e, inparticolare, nella mia esperienza perso-nale, nel volto sofferente del povero,dello straniero, dei malati, ma anche diogni anima senza volto che vive nell’as-senza di Dio.Il dono più bello, però, è scorgere inquei volti il volto stesso di Cristo, nono-stante le sofferenze, che mi infonde unforte senso di eternità. Mi sento chiama-ta ad essere un’amante grata e indegna,consapevole che solo nella rinuncia a sési può tutto ricevere e tutto ridonare conabbandono, gioia e fiducia e, oggi, comesposa per sempre. Noi, già consacrati mediante il Battesi-mo, con il titolo speciale della professio-ne perpetua ci consacriamo più intima-mente al Signore. Facendo memoria delmio Battesimo come non pensare ai se-mi di fede che il Padre ha voluto sparge-re a piene mani nel grembo della mia fa-miglia di origine, lì dove per la prima vol-ta ho imparato a pregare e a cercare ilSignore. Ogni seme piantato che muorenella terra prima o poi spunterà al caloredel sole di Cristo e Lui solo sa quanto glisono grata per avermi dato la vita in unafamiglia credente e con genitori dalla fe-de forte.Chi non dimentica le proprie origini hapiù chiaro dinanzi a sé il cammino dacompiere e la meta da raggiungere. Tan-ti volti che hanno segnato le mie originiora mi precedono proprio in quel cieloche sovrasta la terra e nel nome di GesùRisorto intercedono per noi insieme aisanti e ai nostri Fondatori, allora davveroposso dire con certezza e gioia che il Si-gnore ha accorciato le distanze delle suevie, si è lasciato trovare vicino. g

Note

1 Cf. Papa Francesco, Rallegratevi, Lettera circolare aiconsacrati e alle consacrate, 5.2 Costituzioni delle Suore del Getsemani, art. 119, for-mula della professione dei voti.

Un Si per sempre

Suor Mria Rita con il vescovo e i sacerdoti

Professione perpetua di suor Maria Rita

Page 18: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

Anche suor Antonina Piras ha segui-to Gesù con un sì gioioso e costan-

te. Tutti i chiamati scegliendo la vita con-sacrata, o meglio accettando l’invito diGesù a seguirlo, sono stati affascinati daun ideale che aveva come centro Dio.Con la vita “religiosa” abbiamo seguitoLui in modo totale ed esclusivo e siamodiventate sue, capaci, con l’aiuto dellaGrazia, di amarlo “con cuore indiviso”.Anche la scelta della famiglia religiosa, al-la quale apparteniamo, ha all’origine unaGrazia divina. Tutto avviene in modo mi-sterioso, talvolta nel completo capovolgi-mento dei progetti personali o familiari.Così è successo anche alla nostra conso-rella suor Antonina. Forse aveva 18 anniquando padre Manzella le predisse chesarebbe entrata a far parte della sua Con-gregazione. Con un “no” deciso a questa propostacredeva di aver risolto il problema dellasua vita, forse formandosi una famiglia oforse realizzando qualche altro sogno cheportava in cuore; ma Dio aveva un altroprogetto per lei. È Lui infatti che sceglienoi e non il contrario. Ognuno di noi èchiamato a lavorare nella vigna del Signo-re che è la Chiesa, ed è chiamato all’oravoluta da Dio e secondo i disegni dellasua divina elezione: “Vuoi essere perfet-to? vieni e seguimi” (Mt 19,21). “Venite vi farò pescatori di uomini…” (Mt28,20). Così la vita dei consacrati e di tuttii chiamati diviene una testimonianza nelmondo dell’amore di Dio e della bellezzae santità della “sequela Cristi” che donaall’apostolo una fecondità inesauribile.Questa misteriosa appartenenza al Signo-re, mentre ci riempie di gioia e gratitudi-ne, ci sollecita ad ascoltare Gesù, a se-guirne i desideri e a prendere con Lui lacroce della salvezza. È Lui che ci dona laforza di pronunciare il nostro sì e di ri-

spondere ai cenni della divina volontà,senza arrenderci mai, non scoraggiate nédeluse, ponendo ogni nostra sicurezzasolo e sempre in Dio. Questo è il misterodi luce che è alla base di ogni chiamata equesta è la forza che ha sostenuto la no-stra consorella suor Antonina. Di temperamento forte ed esuberante, lagiovane allegra e sbarazzina, ormai affer-rata da Cristo, ha lasciato tutto e tutti: laparrocchia, la Schola cantoru, le amichee la cara famiglia allaquale era e resteràsempre legata da unforte affetto. La vitaconsacrata, come cer-ti pensano, non ci sra-dica dagli affetti fami-liari, anzi li purifica, liillumina e li rafforza,arricchendoli di unprofondo senso so-prannaturale. Non èmancato chi si è chie-sto: “come ha fatto avivere sotto obbedien-za, fedele alle regoledella vita religiosa?”Data la sua esuberanza non sembravadavvero la persona più adatta per chiude-re la sua vita in un Convento. Spesso pen-siamo così perché ragioniamo secondocategorie troppo umane, dimenticandoche Dio “fa cose grandi” e con la sua Gra-zia trasforma in forza la nostra debolezza.Ce lo conferma S. Paolo (II Cor. 12) e lavita di tanti santi. Suor Antonina ha dettoil suo sì convinto e generoso, fiduciosadell’aiuto di Dio e costantemente deside-rosa di lasciarsi invadere dai sentimenti diGesù e dallo Spirito Santo del Getsemaninella carità e nella uniformità alla volontàdel Padre, per la salvezza delle anime eper la propria santificazione. Nel cammi-no della virtù non sono mancate le provee le difficoltà, ma cercava e trovava l’aiutonella preghiera, nell’amore alla Madonnae nell’esempio di santità dei nostri Fonda-tori padre Manzella e madre Angela.Dal suo diario spirituale emerge il deside-rio costante e il proposito di ogni giornoper migliorare se stessa e testimoniaresempre più l’amore di Cristo. Ha amato laComunità, Superiori e Consorelle. Ha

amato fratelli che ha incontrato nei lunghianni di apostolato. Per circa 50 anni haservito Dio nei fratelli malati come infer-miera presso la Clinica S. Benedetto a Ca-gliari, tra gli anziani a Bonorva e nelle va-rie Scuole Materne, sempre entusiasta esimpatica, ovunque seminava allegria eottimismo cristiano. A Casa Madre ha por-tato avanti per anni un perfetto lavoro dimaglieria, secondo lo spirito di padreManzella che desiderava che le Suore

con il lavoro e con le piccole industrieprovvedessero ai bisogni della Comunità,delle opere e dei poveri.Suor Antonina oltre alla preghiera e ai variimpegni, dedicava tempo alla lettura eamava raccontare attirando l’attenzionedi piccoli e grandi. A Casa Madre anima-va spesso i momenti di ricreazione comu-nitaria con un carisma tutto suo. Aveva lavocazione della gioia e la capacità di tra-sformarla in apostolato. Un altro dono cheoso definire “virtù talvolta eroica” era lacapacità di chiedere perdono ogni voltache in qualche maniera aveva procuratoqualche dispiacere a chiunque e la capa-cità di offrire il perdono con vera carità achi aveva dato a lei un dispiacere.All’età di 86 anni, sofferente di cuore, ilSignore l’ha chiamata alla gloria del suoRegno di Amore e di Pace. Siamo certeche con la sua preghiera veglia sui suoicari, sulla stimata nipote, chiamata anchelei a seguire il Signore tra le figlie di SanPaolo, e pregherà tanto per la Comunitàche ha amato e aiutato con vera gioia ededizione. g

PADREMANZELLA Oggi 35

Il 24 settembre 2017, nella Chiesadel SS. Sacramento, Suor Maria RitaCordeschi ha fatto la professione per-

petua dei voti religiosi. La celebrazioneeucaristica presieduta dal Vescovo Pao-lo Atzei, in quei giorni ancora Ammini-stratore Apostolico della nostra Arcidio-cesi di Sassari, e concelebrata da diver-si sacerdoti diocesani e religiosi, ha vi-sto la partecipazione di numerosi fedeli.L’assemblea variegata composta dallesorelle della Congregazione delle Suoredel Getsemani, dai parenti di Suor Ma-ria Rita e dagli amici, ha partecipato alvivo all’emozione di questa solenne ce-lebrazione così carica di emozioni. Il rito della professione solenne che sisvolge, secondo il canone liturgico, su-bito dopo la liturgia della parola, preve-de alcuni passaggi nei quali la professaesprime, rispondendo ad alcune do-mande del Vescovo, il suo desiderio diconsacrarsi per sempre al Signore. Aciò ha fatto seguito la preghiera litanica,durante la quale tutta la Chiesa si uni-sce nel chiedere l’intercessione deiSanti, affinché sostengano la candidatanel suo proposito. Infine, la formula del-la professione che, esprimendo la spe-cificità carismatica della famiglia religio-sa di appartenenza, denota, anche at-traverso il gesto di firmare sull’altare laformula scritta, il compiersi di un pattod’amore perenne tra Dio e l’anima cheha deciso di consacrarsi per sempre aLui.Il Vescovo, durante l’omelia, ha volutorichiamare il cammino spirituale di SuorMaria Rita. Inoltre, riprendendo il con-tenuto della solenne benedizione cheha impartito su di lei durante il rito, havoluto sottolineare la gratuità del dono

del Signore espressa dal suo agire mi-sericordioso lungo tutto il corso dellastoria della salvezza. Misericordia che siesprime totalmente nel dono del Figlio,Sposo della Chiesa Sposa, la quale “or-nata di gemme, fiorisce con la sua va-rietà di carismi”. La mia scelta di abbracciare fin da pic-cola lo scautismo, mi ha insegnato co-me prima cosa a dire “Eccomi!”. È que-sto, infatti, il motto delle giovani cocci-nelle, delle bambine cioè che si approc-ciano per la prima volta con questo fan-tastico mondo. Crescendo ho fatto ditutto ciò un vero e proprio stile di vita,

improntato al servizio al prossimo e a fa-re del mio meglio in ogni circostanza, fi-no a diventare educatrice e testimonedella fede. Non sono nuova perciò acerte chiamate perché considero anchela mia una vocazione. Ma ciò che mi hatrasmesso una giovane amica, così di-versa da me per carattere, modi di fare ea volte di pensare va oltre la semplicechiamata… ho trovato in una novizia,poi suora, un’autentica sorella capace difarmi emozionare davvero pronuncian-do il suo famoso, fatidico “Eccomi!”.Mi è stato chiesto di esprimere con que-ste poche righe i sentimenti provati ilgiorno in cui Maria Rita ha fatto i voti

perpetui. Bè, ho provato gioia, la stessache i suoi occhi sprigionavano; ho senti-to una forte emozione, come quella del-la comunità che si stringeva intorno alei; ho avvertito amore, quello con la Amaiuscola che solo chi crede, prova! Misono sentita piccola, si piccola, perchénonostante la gioia, l’emozione, l’amore,io giovane 2.0 non avrei mai il coraggiodi concedermi pienamente a Lui! Tante volte ci domandiamo se nella so-cietà di oggi che tutti definiscono “liqui-da”, è possibile fare scelte concrete edurature nel tempo e il più delle volte ciabbandoniamo invece a promesse steri-

li che però ci fanno stare, apparente-mente, bene. Ho provato sulla mia pellequel pomeriggio del 24 settembre chenon siamo soli, che il Signore ci prendeper mano e ci invita a fare della nostravita un capolavoro e non è una frase fat-ta, è l’atmosfera vissuta in quella ceri-monia che mi fa dire con il cuore apertoche nulla è impossibile a Dio. Mi è statochiesto di esprimere i sentimenti che hoprovato: è in questi momenti che credodi essere una persona ricca, non mimanca niente e niente chiedo di più alSignore se non una fede autentica co-me quella di una persona così diversada me, ma autenticamente sorella! g

PADREMANZELLA Oggi 34

N o t i z i e d e l l ’ I s t i t u t o N o t i z i e d e l l ’ I s t i t u t o

HO AVVERTITO AMORE,QUELLO CON LA A MAIUSCOLA

CHE SOLO CHI CREDE, PROVA! [di Francesca Sanna

Il Rito della Professione

La Professione perpetua di suor Maria Rita

Ricordando suor Antonina Piras“Gesù salì sul monte, chiamò a Sé quelli che volle, ed essi lo seguirono… (Mc 3,13)

HA AMATO FRATELLI CHE HA

NCONTRATO NEI LUNGHI ANNI DI

APOSTOLATO. PER CIRCA 50 ANNI

HA SERVITO DIO[di Suor Anna Mameli sdg

Lu Bagnu, suor Antonina Piras la seconda da sinistra

Page 19: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADRE MANZELLA Oggi 37

C u l t u r a e t r a d i z i o n i S a r d e

PADRE MANZELLA Oggi 36

C u l t u r a e t r a d i z i o n i S a r d e

L’estrema indigenza e povertàdella popolazione sarda, ancoragravata dal sistema feudale,

venne ulteriormente compromessadall’esosa politica fiscale dei governantipiemontesi. L’aspetto più sorprendente,per la storia religiosa della Sardegna, è illento, ma progressivo, tentativo di laiciz-zazione portato avanti dalle tendenze eformazione anticlericali di alcuni gover-nanti e ministri dei Savoia.

Di fatto, si voleva relegare la religione aun fatto meramente individuale, evitan-do che la Chiesa interferisse con la vitadei cittadini, formandoli secondo i prin-cipi religiosi. Un processo che segneràprofondamente ed avrà un impatto alta-mente negativo sui rapporti tra stato epapato, ma soprattutto sulla vita dellagente del nascente stato italiano e delvecchio continente. La spiritualità dei

sardi, allora senz’altro più saldamenteradicata che adesso, specialmente dellacomponente più umile, costituì un au-tentico baluardo a questa tensione diimpostazione secolare. Ma, proviamo aseguire gradatamente l’evoluzione dellevicende, soffermandoci in particolaresui fatti più aderenti al tema di questocontributo. Nel 1759, Carlo EmanueleIII nominò il ministro Bogino responsa-bile della direzione politica degli affariche riguardano la Sardegna, tra le altree, talvolta importanti, riforme, ottenne lalimitazione dei poteri del clero. Il percor-so di secolarizzazione, nel regno dei Sa-voia, segnò il suo apice quasi un secolodopo, quando, nel 1850, il parlamentopiemontese, presieduto da MassimoD’Azeglio, approvò le leggi Siccardi cheprevedevano l’abolizione di antichi privi-legi come il foro ecclesiastico, un tribu-

nale che sottraeva alla giustizia laica gliuomini di Chiesa, la cosiddetta mano-morta, l’inalienabilità dei beni ecclesia-stici, e il diritto d’asilo per le chiese e iconventi. In Sardegna, quest’ultimaprerogativa venne mantenuta, nell’an-noso scontro tra la legge scritta e il codi-ce di “su connotu” sino alla prima metàdel secolo scorso; per fare un esempio,all’interno dei santuari di San Cosimo di

Mamoiada e San Francesco di Lula,banditi e ricercati potevano circolare li-beramente, e venivano tacitamente vie-tati ogni tipo di violenza e “disamista-de”, durante i giorni delle feste. Le leggiSiccardi aprirono un lungo contenziosotra chiesa e stato; l’arcivescovo di Torinovenne processato e condannato ad unmese di carcere per aver invitato il cleroalla disobbedienza. Per riallacciarci al-l’amministrazione del Bogino, di rilievofu la creazione dei Monti Frumentari odi Pietà, cioé dei magazzini comunalinei quali i contadini potevano acquista-re le sementi ad un prezzo calmierato.Lo stesso ministro vessò la popolazionecon un esorbitante carico di tasse, econtrastò il fenomeno del banditismo,sviluppatosi come reazione a questemisure politiche, soprattutto nel Logu-doro e Anglona. La sua politica repressi-va nei confronti di questo fenomeno, lospinse ad erigere una forca nella granparte dei paesi, come monito alla genteche spesso sosteneva apertamentequeste bande di ribelli, dove impiccarepubblicamente i briganti catturati. Ov-viamente, le radici del banditismo sonopiù complesse! I sardi non tardano adassociare, per omofonia, il suo nome aquello di “su buzinu”, inteso, preceden-temente, come il diavolo e/o i boia daipopolani. In realtà, il termine deriva dallatino “bucinum”, un tipo di tromba, ilcui suono accompagnava i condannatia morte al patibolo.Nel 1760 stabilisce l’obbligo dell’usodella lingua italiana, in sostituzione del-lo spagnolo, nelle scuole e negli atti uffi-ciali. Chi ha letto il numero scorso, saquanto questa politica linguistica fosseavallata dai vescovi sardi provenientidalle terre d’oltremare del regno dei Sa-voia.Non é affatto difficile capire, quanto ilprocesso di italianizzazione, abbia avutoun impatto devastante su una popola-zione segnata da significative sacche diignoranza e analfabetismo, ed abituataad esprimersi, sia nella vita sociale chenelle forme di creatività religiosa, esclu-sivamente in sardo; infatti, il castiglianoera una prerogativa della nobiltà e delclero.Nel settore dell’istruzione furono riorga-

nizzati gli studi universitari e le scuolesecondarie; nel 1764 fu riaperta l’uni-versità di Cagliari, l’anno seguente quel-la di Sassari, che vennero chiuse daglispagnoli prima del loro abbandono del-l’isola. Nonostante queste iniziative, ri-masero irrisolti il problema del controllodella Chiesa sul campo dell’istruzione, e

quello dell’analfabetismo.Ci fu una ripresa anche nel campodell’architettura ecclesiastica, uno degliesempi più significativi é la chiesa par-rocchiale di San Paolo Apostolo ad Ol-bia, ricostruita su un impianto di strut-tura basso-medievale, in uno stile origi-nale, con influenze locali. Per combat-tere lo spopolamento, nel 1738, il reCarlo Emanuele III aveva autorizzato ilpassaggio di un numeroso gruppo dipescatori di Pegli, con le loro famiglie,dall’isola di Tabarka, di fronte alla costatunisina, a quella di San Pietro, perchévittime di continue vessazioni barbare-sche. Il centro di Carloforte deve il suonome al re; nel 1771 venne fondata Ca-lasetta e nel 1808 Santa Teresa di Gal-lura, sulla vecchia borgata marinara diLungoni. Negli stessi anni, una piccolacolonia di greci si insedia a Montresta;altri tentativi di insediamento, comequelli dell’Asinara e del Salto di Quirra,ebbero poca vita e fortuna.Arrivò il periodo, in seguito agli effettidella rivoluzione francese, in cui l’interocontinente europeo venne scosso da ri-petute ondate rivoluzionarie. Interessarelativamente a questo approccio, la ri-gidità e intransigenza del movimentogiacobino e cercare di approfondire fat-ti, personaggi e date dei moti sardi, senon per le decisioni adottate a riguardo

dei privilegi della nobiltà, la soppressio-ne degli ordini religiosi, la confisca deiloro beni e di quelli nobiliari per coprirecosti e debiti del nuovo stato sociale. Aquesti movimenti non fu estranea laSardegna, che negli anni che vanno dal1793 al 1796, in particolare, fu scossada sommosse e rivolte che culminarono

con la cacciata dei piemon-tesi dall’isola, il 28 aprile1794. In Sardegna la ribel-lione ebbe comunque unosviluppo ed intenti diversi dalresto del continente. Infatti,la popolazione sarda, già col-pita dalla scarsità di raccoltinegli anni 1793-1795, fuquasi obbligata nel tentativodi coinvolgere e mobilitarenella lotta antifeudale nonsolo contadini e villici, ma colcoinvolgimento anche di set-tori della piccola nobiltà e delclero, di qui la partecipazio-ne ai moti antifeudali di nu-merosi sacerdoti come i par-

roci Gavino Sechi di Florinas, Aragonezdi Sennori, Francesco Sanna Corda,rettore di Torralba (ucciso in un conflittoa fuoco, sotto la torre aragonese di Lun-goni, durante un ennesimo e fallito ten-tativo di sottrarre l’isola al duro giogopiemontese, nel 1802), Francesco Mu-roni di Semestene, che, come sostienelo storico Carta Raspi, “conoscevano lemiserie e talvolta subivano le stesse an-

gherie dai baroni e dai loro ministri”.L’isola era oggetto continuo di attacchida parte dei pirati barbareschi; ci fu untentativo sventato di attacco alle costedell’arcipelago maddalenino; nel 1798,ebbe successo il saccheggio di Carlofor-te, quando oltre 900 dei suoi abitantivennero catturati, portati a Tunisi e ri-dotti in schiavitù. Soltanto nel 1803,grazie all’intermediazione di personalitàpolitiche e religiose, i superstiti furonoliberati. In quegli anni, era un aspettocomune per i sardi, notare i frati merce-dari aggirarsi nei paesi, intenti a fare laquestua per poter pagare il riscatto deiprigionieri in ostaggio ai pirati. Il re Car-lo Emanuele IV, venne colpito da unacrisi mistica, nel 1802 abdicò in favoredel fratello Vittorio Emanuele. CarloEmanuele si prodigò per la restaurazio-ne della Compagnia di Gesù, che erastata soppressa nel 1773 dal papa Cle-mente XIV, per diversi e poco chiaremotivazioni. Tra le accuse loro rivoltec’erano indubbiamente i privilegi di cuil’ordine godeva, come l’esenzione dalpagamento delle decime, il continuocontrasto coi vescovi e con altri ordinireligiosi dell’epoca, inoltre, all’ordineveniva imputato l’eccesso di autonomiae, grazie alle 700 scuole sparse nelmondo, tra le quali diverse nell’isola,comprese le due università, la troppavicinanza al potere, non esclusivamen-te religioso e culturale.Nel 1814 l’ordine verrà ripristinato e,

IL RE CARLO EMANUELE IV, VENNE

COLPITO DA UNA CRISI MISTICA,NEL 1802 ABDICÒ IN FAVORE

DEL FRATELLO VITTORIO EMANUELE.[di Angelo Carboni

L’estrema indigenza del popolo sardo

Famiglia segnata dall’indigenza

Il Ministro Bogino

Olbia, chiesa San Paolo apostolo

Page 20: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADREMANZELLA Oggi 39

pochi mesi dopo, il vecchio re intra-prenderà il noviziato da Gesuita, a Ro-ma.La Sardegna era ciclicamente alle presecon carestie, pestilenze, calamità natu-rali, incursioni piratesche e guerre (ilservizio di leva obbligatorio era stato in-trodotto dal ministro Bogino). Nel 1812,una devastante carestia, preceduta daun’epidemia di vaiolo, colpì l’isola; nelCampidano viene ancora tristemente ri-cordata come “su famini de s’annu do-xi”. La farina era introvabile e il prezzodel pane salì alle stelle; chi poteva, cer-cava di stemperare i morsi della fame,raccogliendo le poche erbe sopravvis-

sute alla terribile annata.Quando terminavano la cottura del pa-ne, le nostre anziane “coghidoras” reci-tavano questa invocazione:

Ave Maria grazia plena,totu sas animas nd’essan dae pena,

sos presoneris dae cadena,e nois dae su pecadu mortalee veniale.Totu su mundu si potat cunvertire esalvaree a Bois, Gesus meu, bos potan totulaudare!

Una formula, che più che col pane, pa-re legata alle tristi vicende degli anni ap-pena descritti.A questo periodo risalgono le informa-zioni dei “quinque libri” parrocchialisull’alto tasso della mortalità infantile, ilnumero delle natalità, spesso, si disco-stava poco dal numero dei morti; rile-

vante era pure la per-centuale dei vedovi(le donne erano piùesposte alla morte acausa della vita distenti o durante ilparto), che, spinti dalbisogno, si risposava-no pochi giorni dopoil decesso del coniu-ge. Sono senz’altroda mettere in relazio-ne a queste vicende“sas doighi parau-las”; una preghierache veniva recitata

solo in casi diestrema ne-cessità, care-stie gravi, ca-tastrofi natu-rali, epidemie,oppure pertramandarle,ed é con que-sto intentoche la si vuoleproporre. Tut-te le invoca-zioni prece-denti veniva-no ripetutedurante losvolgersi dellasupplica:

Naraminde una,pius podet Deus, chi no sole e luna.Naraminde duas,sas duas taulas de Moisé,cando faleit Cristos a pé in terrafina a Gerusalé,nende: in Deus babbu, in Deus fizu e

Ispideru Santu,Ammen.Naraminde tres,sas tres Marias,sas duas taulas de Moisé,cando faleit Cristos a pé in terra fina a Gerusalé,nende ...Naraminde bator,sos bator Evangelistas,sas tres Marias, sas duas taulas ...Naraminde chimbe,sas chimbe piaes de Cristos,sos bator Evangelistas,sas tres Marias,sas duas taulas de Moisé ...Naraminde ses,sas ses picas de s’abba postasin candidesa,sos chimbe ...Naraminde sete,sos sete donos de s’Ispideru Santu,sas ses picas de s’abba ...Naraminde oto,sas oto beatitudines, sos sete donos ...Naraminde noe,sos noe coros de sos Anghelos,sas oto ...Naraminde deghe,sos deghe Cumandamentos, sos noecoros ...Naraminde undighi,sas undighimiza virzines,sos deghe ..Naraminde doighi,sos doighi Apostulos,sas undighimiza virzines ...

Non semplice andare al cuore ed origi-ne di questa preghiera, certamente, sinota immediatamente la presenza dielementi del Vecchio e Nuovo Testa-mento.San Girolamo, eremita e traduttoredall’ebraico della Vulgata, sostenevache i libri della Bibbia sono le sillabedella Parola. Adesso come allora, ri-prendendo una stupenda espressionedi un anonimo padre della chiesa, vis-suto nel V secolo, “la preghiera é la lucedell’anima, la vera conoscenza di Dio, lamediatrice fra Dio e gli uomini”, e, sicu-ramente, quelle dei nostri avi ne sonoun autentico e semplice esempio. g

PADREMANZELLA Oggi 38

P i a n e t a C a r c e r eC u l t u r a e t r a d i z i o n i S a r d e

«Vi do un comandamento nuo-vo: che vi amiate gli uni glialtri. Come io ho amato voi,

così amatevi anche voi gli uni gli altri.Da questo tutti sapranno che siete mieidiscepoli: se avete amore gli uni per glialtri.» (GV 13-34) Nel bosco la luce filtra a tratti lieve e tre-molante. A tratti intensa e accecante. Iraggi del sole giocano fra i rami e le fo-glie disegnando intrecci e arabeschi diluce, con il pulviscolo che danza in mi-nuscoli granelli d’oro.E c’è profumo di erbe e di fiori. E c’èodore di muffa e di morte. La vita non sivede ma si avverte. Tutto è un fremere eun rimandare. Tutto è ovatta o rombo.Un albero cade e nella sua caduta tra-volge ciò che lo circonda. Il boato è as-sordante e la sinfonia della distruzioneesplode con rumori disarmonici e sgra-ziati. Al boato segue il silenzio totale.Le creature del bosco intimorite si fer-mano e aspettano nascoste nell’ombrache il pericolo cessi.Forse l’albero era vecchio ed è cadutoperché la sua vita ha concluso il ciclovitale. Forse era cresciuto in una zonaimpervia dove la terra era poca e le radi-ci hanno lottato disperatamente avvin-ghiate alla roccia, per resistere e far so-pravvivere l’albero.Forse era cresciuto per errore, con unseme portato da un vento sconsiderato,sul bordo di un crepaccio e quello stes-so vento per tutta la sua vita lo avevafrustato facendolo crescere storto espezzandolo infine definitivamente. For-se ancora quello era un bell’albero sanoe rigoglioso, poi però il fulmine ignaro

nella sua corsa folle vi si era abbattutosopra distruggendolo. Oppure ancora,un uomo era passato di là e aveva deci-so che quell’albero faceva al caso suo, elo aveva fatto rovinare al suolo per sod-disfare i suoi scopi.Noi vediamo ciò che ne resta. Non co-nosciamo la storia dell’albero. E non ciimporta. È una storia finita nell’econo-mia del bosco, un cumulo di materiainutile che andrà a decomporsi, divora-ta nell’umidità nascosta, da creatureche spesso ci fanno orrore e che nonvogliamo vedere.Lo scavalchiamo e passiamo oltre conlo sguardo proteso verso l’alto. Incantatidall’azzurro del cielo che fa da sfondo alverde delle foglie o rapiti dalla bellezzadei fiori fragili e colorati. Dimentichiamopresto quel che resta dell’albero e la di-struzione che la sua caduta ha portatoattorno a sé.Lontano dai nostri passi, la vita pietosasi veste di erba verdee silenziosa. Un’er-betta tenera e sempli-ce che piano pianocirconda la poveracorteccia in rovina ela avvolge. E la sostie-ne preparando la ter-ra affinché accolgaun nuovo seme, op-pure nutrendo quelleradici che sembrava-no morte così che mi-racolosamente ungermoglio si riaffacci.E con paziente lavoriol’albero rinasca. Di-verso certo, forse piùcontorto ma bello eforte come e più diprima. Passando an-cora da quelle parti,col tempo potremovedere quello che hapreso il posto dell’al-bero caduto.Può darsi che ci sof-fermeremo ad ammi-rare un nuovo tronco

che fieramente si erge puntando verso ilcielo, o un bel cespuglio di more profu-mate. E non ci accorgeremo neanchestavolta di quei semplici fili d’erba cheaccolgono teneramente i nostri piedi.Le nostre scarpe li calpesteranno, e lorosapranno piegarsi e restituirci un morbi-do tappeto su cui camminare.Ma poi si rialzeranno, avvezzi ad esserecalpestati e sempre in silenzio, lontanidagli sguardi di ammirazione dei pas-santi continueranno a fare il loro lavorounico e prezioso nell’economia del bo-sco. Così nella realtà della società civile,uomini e donne nati contorti o sfortuna-ti, cadono continuamente e cadendoportano la rovina attorno a sé.La loro caduta fa eco e rimbomba urlatanei telegiornali e nei quotidiani, e nellosfacelo della loro vita che cade in pezziemergono frammenti di sordidezza e dioscenità che ci fanno orrore e che nonvogliamo conoscere. Passiamo oltre e

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiategli uni gli altri. Come io ho amato voi

Mamoiada, chiesa di San Cosimo

Cottura del pane nel forno a legna

“COME L’AMORE CRESCE DENTRO

DI TE, COSÌ CRESCE LA BELLEZZA.PERCHÉ L’AMORE

È LA BELLEZZA DELL’ANIMA”[di Danila Pittau

Luce che irradia

Page 21: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

PADRE MANZELLA Oggi 41

P i a n e t a C a r c e r e

PADRE MANZELLA Oggi 40

P i a n e t a C a r c e r e

lasciamo che tutto ciò che rifiutiamo siarichiuso nel ventre di mostri di cementoe acciaio lontano dai nostri sguardi edalle nostre vite.Eppure nelle periferie sociali, nei luoghidel degrado, nelle carceri, nei centri peranziani, nei centri per disturbati menta-li, in mezzo alla vergogna e alla soffe-renza, uomini e donne lavorano silen-ziosi raccogliendo e risanando le feritedi quelli rifiutati anche perché nella lorovita hanno per primi rifiutato, ferito e di-strutto. Questi uomini e donne agiscono

senza giudizio, ma con il cuore pieno dipietà e di umanità.Nessuno li nota, entrano ed esconostanchi, talvolta scoraggiati, incapaci didare risposte razionali a quello che ac-cade, ma sempre pronti a passare oltree a non perdere la speranza.Alcuni sono religiosi, sorelle e sacerdotiche per scelta hanno consacrato tutta laloro vita all’amore per i fratelli, altri sonovolontari o operatori che agiscono spintida motivazione di fede o scientifiche.Ma tutti sono accomunati dal desideriodi non abbandonare gli abbandonati.La macchina burocratica è pesante eschiaccia nei suoi ingranaggi chi vi ri-mane incastrato.Il giudizio della società civile verso colo-ro che hanno sbagliato, che hanno falli-to, che hanno perduto la capacità di ra-ziocinio è impietoso e imbevuto di pau-ra e diffidenza.

Non ci sono sconti e in questo climapieno di difficoltà gli operatori si con-frontano con le storie talvolta irrisolvibilidi chi è nell’ombra e fa orrore. Le curepartono da quelle materiali del fornireabbigliamento, tabacco, schede telefo-niche, biglietti per il ritorno in famiglia,assistenza ai familiari, eccetera, a quel-le morali di conforto spirituale e di assi-stenza psicologica.Le recenti ricerche scientifiche di carat-tere sociologico e psicologico affermanoche l’esperienza che distrugge la capa-

cità di distinguere il bene dal male nonè tanto la sofferenza, nei confronti dellaquale si può imparare a procurarsi glistrumenti per farvi fronte, ma la man-canza d’amore. Il bambino e anchel’adulto privati dell’esperienza di relazio-ni d’amore subiscono delle modificazio-ni del loro io, possono perdere l’autosti-ma e diventare incapaci di provare em-patia. Col tempo il deterioramento pro-segue e genera conflitti interni cheaprono la mente al disturbo psichico, oalla paura che genera rabbia e sfiducia.Il vuoto interiore si apre fino a diventareuna voragine, e l’uomo perde la partepiù umana di sé. La droga, l’alcool, ilgioco e il crimine diventano strumenticon cui l’animo disturbato cerca di sop-perire alla mancanza che sempre più lodivora, con il risultato che l’aridità si fadeserto che diventa lo scenario usualein cui l’animo tormentato si adatta a vi-

vere. Ma la mancanza d’amore si puòcurare con l’amore. E anche l’animalepiù feroce sperimentando una relazioned’amore trova la pace e modifica il suocomportamento. Oggi la direzione so-cioeducativa della società civile apparesempre più orientata verso una giustiziariparativa, con misure alternative al car-cere e in genere con la creazione dicentri dove l’uomo sofferente ritrovi ladimensione originaria attraverso un am-biente empatico e accogliente. Per il cre-dente il messaggio dell’amore non è co-

sa nuova. «Vi do un comandamento nuo-vo: che vi amiate gli uni gli altri.Come io ho amato voi, così ama-tevi anche voi gli uni gli altri. Daquesto tutti sapranno che sietemiei discepoli: se avete amore gliuni per gli altri.» (GV 13,34)

«Questo è il mio comandamen-to: che vi amiate gli uni gli altri,come io vi ho amati. Nessunoha un amore più grande di que-sto: dare la vita per i propri ami-ci. Voi siete miei amici, se fareteciò che io vi comando.Non vi chiamo più servi, perchéil servo non sa quello che fa ilsuo padrone; ma vi ho chiamatiamici, perché tutto ciò che houdito dal Padre l’ho fatto cono-scere a voi. Non voi avete sceltome, ma io ho scelto voi e vi hocostituiti perché andiate e por-

tiate frutto e il vostro frutto rimanga; per-ché tutto quello che chiederete al Padrenel mio nome, ve lo conceda.Questo vi comando: amatevi gli uni glialtri.» (GV 15,12-17)

Gesù per primo con il comandamentonuovo, precisava che amare gli altri co-me se stessi è il comandamento più im-portante di tutti, e con questo esaltava emetteva in rilievo l’importanza dell’amo-re sopratutto.Così a Bancali, applicando il messaggiodel Cristo cominciato grazie a Suor Giu-liana e alla Caritas, a braccetto con leneuroscenze, proseguiamo il progetto diarteterapia che prevede la realizzazionedelle icone con i detenuti che hanno ilcoraggio di mettersi in gioco.Perché per essere artisti occorre esserecoraggiosi. Occorre imparare a essereumili e a sopportare la fatica dell’ap-

prendimento della tecnica.Occorre imparare a sperimentare la pa-zienza e la costanza assieme alla fru-strazione per la lentezza nel raggiungi-mento del risultato. Occorre imparare asopportare il confronto con il compagnopiù capace trasformandolo da antagoni-sta in compagno di viaggio ideale.Occorre soprattutto imparare a vederese stessi come persone competenti edegne di ammirazione. E forse per colo-ro che sono avvezzi al disprezzo anchequesta è una condizione molto difficileda sopportare.Però dopo un anno e mezzo di attività,nell’atelier di Bancali, la bellezza delleopere realizzate cresce assieme allasoddisfazione che i detenuti dimostranonel vedersi sempre più competenti.Nell’atelier in un clima operoso e serenoi detenuti artisti lavorano sempre piùautonomamente all’interno di una fer-rea cornice di regole.Organizzati in una struttura lavorativa distretta collaborazione, imparano la tec-nica artistica riscoprendo capacità chenon sapevano possedere, e nel contem-po imparano a darsi un valore e a ri-spettare e apprezzare i compagni rico-noscendo i meriti e le peculiarità di cia-scuno. L’arte contatta le emozioni e

consente a ciascuno di confrontarsi conla propria interiorità.E permette soprattutto di entrare in con-tatto con il proprio lato oscuro e di po-terlo osservare trasformato e risanato.La ferita curata diventa gioiello preziosoe il dolore si stempera in pietà e tene-

rezza. La vicinanza con la bellezza edu-ca all’amore. Anche Sant’Agostino ave-va individuato il legame profondo fra labellezza e l’amore e infatti scriveva:“Come l’amore cresce dentro di te, così

cresce la bellezza. Perché l’amore è labellezza dell’anima.“Ma l’amore è un sentimento che siesprime nella relazione e nell’offerta disé all’altro. E si esprime soprattutto conla gratuità del dono che non distingue il

merito. L’amore lavora in silenzio attra-verso le persone che ne fanno il farodella loro vita. Non compie azioni eroi-che ma sopporta ogni giorno il peso del-la quotidianità e rende bello ogni istan-te. Insegna la pazienza e la trasparenzae si carica del rischio dell’essere respin-

to, poiché non teme di andare contro-corrente e di non seguire le mode. Allo-ra ancora riferendoci alle parole di Gesùleggiamo nel Vangelo:“Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo

per un peccatore convertito, che pernovantanove giusti che non hanno biso-gno di conversione.” Dobbiamo perciòpensare che talvolta dobbiamo cercaredi essere un po’ “meno giusti,” e lascia-re che il nostro cuore si apra e sappiaperdonare e accogliere quel peccatoreper permettergli di cambiare strada eintraprendere il cammino che porta allaverità e alla salvezza. Allora anche noisaremo strumenti di quell’amore che cihanno insegnato e che talvolta per pre-giudizio o per paura ci dimentichiamodi professare.Allora dobbiamo imparare ad abbassarelo sguardo verso quelli che sono più inbasso di noi, e ad ascoltare il suono si-lenzioso dell’erba che cresce nel boscoe magari farci noi stessi erba e donarequello che possiamo, anche la nostracomprensione a ogni essere vivente. Al-lora attraversando il bosco ci accorgere-mo di particolari che prima non avrem-mo mai notato e finalmente saremo ingrado di conoscere e di apprezzare unabellezza nuova, rinnovata e fatta anchedi parti oscure e sofferenti. Allora e soloin questo modo seguiremo il comanda-mento nuovo e riempiremo il nostrocuore di bellezza e di amore. g

Danila Pittau arteterapeuta, counselor,affrescatrice, artista.

Privi della libertà

Se un albero cade fa rumore?

Page 22: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

“Sono nato nudo, dice Dio / af-finché tu sappia spogliarti dite stesso. /Sono nato di notte/

affinché tu creda che posso illuminarequalsiasi realtà…” (Lambert Noben –Pourquoi je suis né).Parole, versi, percorsi di riflessione. IlVerbo incarnato che ci viene incontrocon tutta la straordinarietà del suo “mi-stero trafitto d’amore” (Abbè Pierre),quell’amore che la sua umanità espri-me nel darsi a noi come presenza reale,manifestazione e promessa, senso estrumento. Il suono delle campane del Rorate e icanti dell’Avvento ci preparano all’attesadell’annuncio. E il Verbo si fece carne.Lo sguardo seguirà la stella, la mangia-toia umida di muschio assorbirà il ru-more incerto dei nostri passi affaticati edue piccole mani si tenderanno nell’in-vito all’accoglienza.Notte di festa. Di paramenti bianchi. Didono reciproco tra Dio e noi, tra noi e inostri fratelli.Notte di scelta. Di rifiuto o di affido. An-che quando i passi della vita ci dovesse-ro far seguire impronte che arrivano alGolgota, ai piedi o sul legno di una cro-ce. Anche quando il silenzio di una fedeaddormentata dovesse sbaragliare lenostre certezze, quando i mezzi dellasalvezza dovessero perdere vigore e larelazione con Dio dovesse aprire tutte lefalle della nostra umanità. Allora più che mai la presa con quellemani di carne dovrà farsi più forte permeglio saldare il patto della Salvezzafinale.“Ecco. Io vi annuncio una grande gioia”

(Lc2,10). L’alfa e l’omega. “Sulla stradadi Emmaus…si fermarono col volto tri-ste…”. E il Risorto li rimprovererà (Lc24,17) perché grande gioia sarà anchela Risurrezione.Il lontano diventa vicino nel corpo di unbimbo che è insieme scrigno di eternitàe di morte, di peccato e di santità. Unacondivisione di nascita da donna, sottol’egida di un’umiltà che afferma e con-ferma la nostra dignità di figli di Dio. Unmessaggio scandaloso di umanità divi-na, come scandalosa sarà la morte incroce. Scandalo, pietra d’inciampo, lac-cio, scoglio, trabocchetto. “Molti in-ciamperanno, cadranno e si sfracelle-ranno” (Isaia 8,12-14). Il suo scandalo propone un Dio chescende nella nostra storia, nel buiostesso della nostra morte.Il suo scandalo propone la croce comemisura dell’amore presentando Dio co-me “il vinto”.Il nostro scandalo risiede nel rifiuto del-

la logica di una nascita ordinaria pregnadi straordinarietà e di una croce chesenza sosta piange l’agonia dell’umani-tà. Due eventi per ricostruire l’armonia traun piccolo uomo e un infinito Dio. UnDio che ci consegna lo splendore dellaverità nelle tenere spoglie di un bambi-no che, come tale, è radice di speranza,dono di gioia e di pace. La grande na-scita. Nella carne e nella luce. Nellagrazia e nella salvezza. Prestiamo ascolto all’annuncio perchésarà quella grande gioia a rivestirci dellamissione di messaggeri e testimoni sul-le vie della santificazione. E il sorriso siadolce nei nostri volti, della dolcezza diun pudore bambino che ci rendeva ti-morosi e grati nella carezza alla piccolastatua della grotta in un angolo del pre-sepe. Sia chiara e convinta la nostra ri-sposta al “si” di Dio all’uomo in cui “haposto la sua dimora” (Gv 1,14); sia consapevole della fragilità

PADRE MANZELLA Oggi 42

umana che quel bimbo vorrà condivide-re non solo “stando con noi”, ma “es-sendo come noi”; sia grata nella sorpre-sa della scoperta di una così straordina-ria uguaglianza. E impegniamoci a cercarlo, a trovarlo, ariconoscerlo “in chi soffre e si lamenta/in chi cerca luce lontano da te/…in chimi sta accanto…preoccupato e diso-rientato…isolato senza volerlo”, perchéil nostro volto non vada oltre indifferen-te, il nostro cuore non sia chiuso, il no-stro passo affrettato. Impariamo a fer-marci in ascolto di ogni fratello che in-

contreremo (dalla preghiera dei Vincen-ziani). Saremo, quella notte, ancora una volta“gente”, pastori che come Maria noncomprenderemo tutto, ma faremo teso-ro nel cuore finché anche a noi non sisveleranno i veri significati.Solo allora saremo testimoni credibili diun prodigio visto e udito e poi, ed è fon-damentale, indagato, meditato e vissu-to. Sono passati secoli da quel primoNatale.La Storia ci ha tramandato l’evento e noine traduciamo il racconto nella rappre-sentazione del Presepe.Ma quelle piccole statue, quello spec-

chio stagnante, quel paesaggio fissatonell’immobilismo di un tempo passatovivono in realtà di perenne contempora-neità ogni giorno, ogni ora della nostravita. Così quel giorno è sempre l’hodieda festeggiare tra canti di angeli chedanno continuità al tempo nei suoi2000 anni di vita.Per questo non si spengono mai gli atti-mi di stupore, quelli della scelta, dellestelle comete, dei doni dei re Magi. Edella fratellanza con gli ultimi prediletti. Nell’effimero presente scivolano i confi-ni del tempo spinti dalla sabbia del de-

serto o da una tormenta di neve, sotto lavolta di un cielo invernale illuminato daun occhio divino. E noi contempleremo da una finestraaperta sulla più bella lezione della vita eci sentiremo un po’ Magi, un po’ pasto-ri, un po’ leoni, un po’ pecore, un po’ te-nebra e già un po’ luce. Risuonerannonelle nostre orecchie le parole del pro-feta” Stillate, cieli, dall’alto e le nubi fac-ciano piovere la giustizia; si apra la terrae produca la salvezza e germogli insie-me la giustizia.” (Isaia 45,8). Il nuovotempo, come manna, nutrirà ogni ango-lo della terra e la silente Betlemme di-spiegherà il suo sguardo rassicurante a

conferma della divina presenza. Potre-mo dissetarci tutti con l’acqua racchiu-sa nel cuore della rosa che la leggendanarra fu benedetta con la vita eterna daMaria sulla strada di Nazareth e, comela rosa di Gerico, dopo essere stati tra-scinati sulle onde inospitali dei nostrideserti, troveremo la terra adatta per af-fondare le nostre radici e rifiorire. Sarà un bambino, con tutte le sue vul-nerabilità, ad accompagnarci sulla viadella resurrezione.Natale come vigilanza, per non lasciarsitrascinare dalle correnti; natale come

consapevolezza, rivelazionedi cambiamento, desiderio diBetlemme, vocazione al-l’amore, memoria della Sa-pienza, invito ad attraversarela vita come viaggio, a co-struire la grammatica deldialogo per partorire pace egiustizia.Natale per sorridere e tende-re una mano, per fare silen-zio in modo da ascoltare, perimparare a commuoversi,per avvertire nel cuore i teso-ri dell’inesauribile mistero. Con la fede più ferma e la te-nerezza più partecipe per ildono ricevuto la notte santaci vedrà adagiare accanto al-la vecchia mangiatoia del no-stro presepe una letterinacon parole e scrittura senzatempo:“Caro Gesù Bambino, ti vo-glio tanto bene... proteggimisempre….aiuta i miei genito-ri e tutti quelli che hanno bi-sogno di te….porta la pacenel mondo….se credi che

sia stato/a bravo/a vorrei….vorrei... Vor-rei che ci regalassi lo stupore per la vita,vorrei sempre occhi da bambino per co-gliere la magia delle cose consuete, losfolgorio di una letterina impolveratad’oro, il senso del nostro esistere, la cer-tezza del dopo, il conforto di una manobenedicente per placare le ansie dellaquotidianità…….Vorrei….”Poi ci uniremo all’umanità intera nelcanto:“Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo…giacché ti fece amor povero ancora”.E l’infanzia della nostra spiritualità ci re-galerà ancora un Santo Natale. g

PADRE MANZELLA Oggi 43

A t t u a l i t àA t t u a l i t à

“CARO GESÙ BAMBINO,TI VOGLIO TANTO BENE, PROTEGGIMI

SEMPRE, AIUTA I MIEI GENITORI

E TUTTI QUELLI CHE HANNO

BISOGNO DI TE[di Isa Sarullo

“Ecco. Io vi annuncio una grande gioia” (Lc 2,10)

Altobello Melone sulla strada di Emmaus

Giorgione, Adorazione del Bambino Gesù

Page 23: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

sulla strada del cambiamento”, e le pa-gine dei suoi libri sono una parte di quelgranellino.Mi sono tornati in mente quanti hannocreduto profondamente nella legalità equanti per essa hanno anche sacrificatola vita, don Pino Puglisi, che ho cono-sciuto meglio, attraverso il libro di Ales-sandro D’Avenia, “Ciò che inferno nonè”, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino,e tanti altri conosciuti e no, passati allastoria o dimenticati.Mi sono detta che il ricordo di chi hacreduto nel cambiamento e che fossepossibile educare alla legalità deve es-sere tenuto vivo, perché non sia solouna sterile commemorazione, ma un

vero intervento educativo attraversol’esempio di chi del bisogno di giustiziaha permeato la propria vita.La memoria storica può aiutare a darevita ad una società attenta e consapevo-le, assieme alla cultura e alla partecipa-zione sociale, e far sì che qualcosa cheè rimasto sospeso nel tempo, come la

scomparsa dell’agenda di Paolo Borsel-lino nel 19 luglio 1992, diventi inveceun simbolo per consegnare la storia aglialtri e far scuola di civiltàE così che in luglio, anche questo anno,da Bollate è cominciato un giro ciclisti-co speciale. L’associazione culturale“L’Ora Blu” ha fatto viaggiare in bici laseconda agenda di Borsellino, trovata inun cassetto, 2500km, 23 giorni da Norda Sud, raccogliendo 3000 firme suquella che è stata chiamata “L’agendaritrovata”. Il percorso doveva essere inizialmentepiù breve, ma via via si è trasformato inun pellegrinaggio, accolto con entusia-smo nelle diverse tappe, trovandosi a

farne di nuove, per accogliere le richie-ste delle varie cittadinanze.Numerose associazioni, scrittori, sinda-ci e persone comuni, insegnanti e bam-bini hanno presenziato le tappe e ognu-na è stata interpretata come momentoeducativo, come scuola di vita.Un testimone della legalità che è stato

passato da un paese all’altro, per risve-gliare l’indifferente, lo scettico, chi èall’oscuro dei fatti che compongono lastoria del nostro paese, un mezzo perparlare a tutti di come si può fare cultu-ra di civiltà e democrazia, insomma unascuola itinerante.Potremmo definire il viaggio dell’Agen-da ritrovata come una metafora che re-cupera il senso della dignità oltre chedella memoria.

E solo riappropriandoci del senso dellanostra dignità di uomini, del rispetto perl’altro e nel trasmetterlo alle generazionifuture che favoriremmo una cultura del-la legalità.A volte a dispetto anche di quel che civiene trasmesso dai media, dai giornali,in un imperversare di pressappochismoe superficialità, ma tutto questo richie-de, prima un’acquisizione di competen-ze da parte di noi adulti e una coraggio-sa presa di posizione di fronte a tutto ciòche sappiamo essere, non un valore dadivulgare ma un cavalcare l’onda deiconsensi.È una responsabilità che non possiamodisattendere e il principio che deve ispi-rare i nostri proggetti educativi non puòche essere tanto, tanto amore per la ve-rità e per il sapere, perché “non potran-no mai inventare una bomba che ucci-de l’amore”. g

PADREMANZELLA Oggi 45

Quando eravamo ragazzi e si an-dava a scuola, “buona” o “catti-va”, non sappiamo, si studiava

una materia che si chiamava “Educa-zione civica”. Quanti misteri in questadefinizione, ma esplorandola dentronon era poi così misteriosa, perché inrealtà offriva a noi ragazzi un approccio

alla macchina, questa volta sì davveroimperscrutabile e complicata, degli or-ganismi preposti a governare un popoloin tempi di democrazia. Naturalmentespettava alla buona volontà dell’inse-gnante quanto spazio destinare a questiargomenti o sacrificarli per cedere terre-no alla Storia.

Negli anni questa materia, è finita rele-gata nella soffitta delle cose obsolete,finché qualcuno risvegliandosi da que-sto torpore educativo si è reso contoche:” e no, qui bisogna correre ai ripari,questa vacanza educativa va colmata alpiù presto, per non rischiare di averedomani cittadini incapaci di svolgere unruolo di cittadinanza attiva, per cui è ne-cessario divulgare la conoscenza, lacompetenza e la condivisione di regolein ossequio ad una coscienza veramen-te democratica.Si è cominciato a far nascere e diffon-dere allora i progetti sull’educazione allalegalità, partendo già dalla scuola pri-maria.E proprio alcuni anni fa, mi sono trovatain una cittadina del sud dell’Italia, inuna scuola primaria appunto, a parteci-pare ad un incontro, programmato sullaeducazione alla legalità, con il magistra-

to Gherardo Colombo, dove erano statiinvitati, gli insegnanti, gli alunni e anchei genitori.Nel 2007, Colombo si è dimesso dallamagistratura proprio per dedicarsi acondurre inchieste importanti sul crimi-ne organizzato, sulla mafia e sulla cor-ruzione, ma anche per girare l’Italia per

far conoscere cosa è la giustizia, cosasono le leggi, in maniera semplice echiara ai ragazzi e agli adulti. Ha pubbli-cato da allora diversi libri rivolti a genito-ri e ad educatori, “per vivere tutti insie-me in un paese civile”, perché “educa-re non è facile in genere”, soprattuttoper quel che riguarda le regole e il loromondo.Questo suo intendimento lo ha portato atradurre in libri il progetto, libri scritti dasolo o in collaborazione con insegnantie giornaliste, “Educare alla legalità”, “Ilpeso della libertà”, e con una attenzio-ne rivolta particolarmente ai bambinicon “La Costituzione attraverso le do-mande dei bambini” e poi “Le regoleraccontate ai bambini”, una sapiente esemplice stesura delle regole del mon-do civile, adottato nelle scuole per unapproccio più immediato all’importanzadel rispetto delle leggi per il consegui-mento della libertà di ogni cittadino. Ho sentito una forte ammirazione perchi aveva intrapreso questo camminonel campo educativo e ne aveva fattouna vera missione,” mi sono dimessoper portare il mio granellino di sabbia

PADREMANZELLA Oggi 44

Le regole raccontate ai bambini:per una cultura della legalità

“PER VIVERE TUTTI INSIEME

IN UN PAESE CIVILE”, PERCHÉ

“EDUCARE NON È FACILE IN GENERE”[di Angela di Baio Murales, Falcone e Borsellino

Le regole raccontate

A t t u a l i t àA t t u a l i t à

“Un uomo fa quello che è suo dovere fare,quali che siano le conseguenze personali,quali che siano gli ostacoli, i pericolio le pressioni.Questa è la base di tutta la moralità umana”.

John Fitzgerald Kennedy

Page 24: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

Molto Rev.de Suore del Getsemani Sas-sari

La visita del padre Manzella, sia pu-re solo in foto, è stato un bellissimoregalo.

E’una rivista tutta dedicata a Lui èun’idea magnifica che, è da sperare neaffretti l’iter verso la beatificazione. Lalettura di tante testimonianze dà pureoccasione alla mia, non certo recente,ma ugualmente degna di nota.Poco dopo la scomparsa del PadreManzella, ultimi di ottobre ’37, il nostronipotino di forse cinque mesi, era “spi-rato”, a detta del medico, fra le suebraccia, mentre gli iniettava il siero pre-scrittogli dal professore a Sassari.“Domani mattina … se ci sarà ancora…” aveva detto. Subito avvertito, lo ziodon Antonio, allora direttore spirituale allocale Seminario diocesano, era arrivatocon suo confratello. E levatasi dalla ta-sca una reliquia donatagli dalla MadreCocco il giorno dei funerali del Padre,l’aveva appuntata con uno spillo da ba-lia sulla copertina del bimbo. “Obbli-ghiamo – aveva detto – il padre Manzel-la a fare il miracolo!”.E benedettolo, erano rientrati inseminario. Mentre si preparava lasaletta per visite di condoglianze,come usava allora, ricordai dinon aver visto ancora il bambino.La notizia mi era stata data sullescale da un’inquilina: “Non pian-gere … E’un angioletto del para-diso …”. Ero andata in camera.Il bambino posava al centro dellettone, nel suo abitino bianco, ri-coperto da un velo ugualmentebianco. Avvicinatami, mi ero vistafissare in viso due occhioni quasiridenti. Mi avevano detto che glierano rimasti rovesciati …Uguale sorriso aveva donato aigenitori, accorsi alle mie escla-mazioni di meraviglia.La tristezza, manco a dirlo si erasubito tramutata in gioia. Meravi-glia anche del medico, che nonvedendo arrivare alcuno per ilcertificato di morte, si era voluto

accertare di persona. La malattia nonaveva tardato ad evolversi nel miglioredei modi, lasciandogli però come con-seguenza dei noduli, che avrebbero do-vuto venirgli incisi, e sui quali due volteal giorno si spalmava una pomata, perfarli maturare prima.Volendo dopo qualche tempo far vedereal professore i progressi del bimbo, ilbabbo aveva inviato il fratello sacerdote,per visitare anche la tomba del Padre.Lì giunti, lo zio, prendendo fra le bracciail bambino, l’aveva posato su quellatomba: “Ringrazialo tu del favore chet’ha ottenuto!”.Prima di metterlo a letto, la mamma vo-leva come ogni sera spalmare la poma-ta … ma il collo del bambino era liscio esano, come mai avesse sofferto di alcundisturbo.Il padre Manzella aveva completato ilmiracolo! Giovanni ha conservato sem-pre la devozione al Padre, invocandoloin molte occasioni. Oggi la moglie, tre fi-gli e una nipotina.Anche se quasi tutti i testimoni diquell’avvenimento hanno ormai rag-giunto il padre Manzella e viene sponta-neo invocare pure questi, non ha mai

scordato il suo primo benefattore. Que-sto dichiaro con riconoscenza al Signo-re e al Padre Manzella, augurando unfruttuoso cammino alla Rivista, allaCausa di beatificazione … alle Sue Suo-re. g

In Cristo dev. Francesca AngioniVia Mercato, 6 - 07014 Ozieri

Ps. Non ho conosciuto di persona il pa-dre Manzella, ma mi è sempre stato fa-miliare per la stima e l’affetto con cui hosempre sentito pronunziare il suo no-me.Mi augurero di poterlo presto invocarefra i beati, sebbene, anche per il suo in-tervento “Miracoloso” in mio favorel’abbia sempre visto un grande Amicodi Dio, un Santo.

Con stima. Giovanni Angioni

PADREMANZELLA Oggi 47

Inviata a Signor Sandri il 22. 11. 1937

La sua carissima mi ritorna digaudio. Il suo invito “Facciamocisanti” mi spinge a chiederle mol-

te preghiere. Scrivere su padre Man-zella?Non oso. Io lo conosco poco.

Ricordo di averlo sentito per la primavolta a Cagliari, quando ero chierico,in una conferenza alle dame di Carità,nella Parrocchia di S. Anna. Non homai dimenticato le sue parole. Mi col-pì il “disordine” nel suo discorso, cheinvece attirava per le drammaticitàdelle cose narrate e per lo spirito chelo animava.Ne ebbi una sensazione viva, perchénon somigliava agli altri predicatori(quasi di grido) e riusciva a commuo-vere come nessun altro.Poi non lo vidi più. Lei sa che passa-rono tanti anni e non ci rivedemmo, eavvennero tante cose.Sentivo sempre parlare del padreManzella come di un santo.Quando ebbi la fortuna, in questi ulti-mi anni di essere loro ospite a Sassari,cercai di studiarlo. Desideravo vederein lui i Santi della più nota agiografia,ma non ci riuscivo.Non miracoli, non parole solenni, nongesti di profeta, non mosse di esternadevozione. Tutto diceva che era comegli altri. Il fatto era dovuto a questo: glialtri era i santi figli di san Vincenzo.

Allora continuai la ricerca, e capii chela santità del padre Manzella era neldonarsi tutto, senza chiedere nulla.Ne studiai tutte le mosse, mi piacevasentirlo ridere delle “favole” del padreSandri e di qualche suo alunno pri-mogenito.Lo seguii nel suo lavoro, dalle suesuore, sul suo carrozzino (che mi offrìcon generosità come il mezzo di tra-sporto più acconcio); ne ascoltai leraccomandazioni per tutti gli studentidisperati…lo scoprii in mezzo ai pove-ri (un poema). Volli confessarmi da lui. Non si affan-nò a trovar discorsi solenni ma capiiche la santità di quel Confessore era ilfrutto più squisito di un martirio notosolo a Dio. Perciò persuadeva adamare.Caro Signor Sandri, come vorrei sen-tirle ancora le parole del padre Man-zella! Come le sento ancora…Mi sembra di averlo vicino, e vorreiche questo mio studio, nel quale c’èun tono diverso della sua povera cellamonastica, non gli dispiacesse per-ché troppo comodo…

Il Padre Manzella non avrebberimproverato; non rimprovera-va. Avrebbe chiesto qualchecosina per i suoi asili, sorriden-do.Quel chiedere sorridendo è ilsuo titolo di santità. Così ha po-tuto donare sorridendo, ed hafatto sorridere dove si piangeva. La sua missione incominciaadesso.Quando si reca a pregare sullasua tomba, gli dica che il “Pro-fessore” che lo faceva riderenelle liete conversazioni, ha piùdi tutti brama di quel “suo” sor-riso, che sana e ricrea. g

Mi benedicacon il Padre Manzella.Milano 22. 11. 1937.S. CeciliaOzieri, 23 marzo 2000

PADREMANZELLA Oggi 46

Te s t i m o n i a n z eTe s t i m o n i a n z e

Testimonianza di Mons. Agostino Sabasu Padre Manzella

“Non piangere...è un angioletto del paradiso...”

Page 25: Padre MANZELLA Oggi - Suore del Getsemani · 2017. 12. 23. · PADRE MANZELLA Oggi 5 Notiamo che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare

ll dono prezioso del Natale è la pace, E Cristo è la nostra vera pace.

E Cristo bussa ai nostri cuori per donarci la pace, La pace dell’anima.

Apriamo le porte a Cristo! 

La Redazione del Periodico e la Comunità delle Suore del Getsemani, Augurano un Santo Natale e un sereno e gioioso Anno Nuovo