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Università Telematica Pegaso Il giudizio di legittimità costituzionale: la principale
funzione della Corte costituzionale
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 IL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITÀ DELLE LEGGI E DEGLI ATTI AVENTI FORZA DI
LEGGE DELLO STATO E DELLE REGIONI ------------------------------------------------------------------------- 3
2 IL SINDACATO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE -------------------------- 5
2.1. RILEVANZA E NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITÀ ----------------------- 7
3 IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE -------------------------------- 9
4 LE DECISIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE -------------------------------------------------------------- 13
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18
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1 Il controllo di costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle
Regioni
Tra le funzioni della Corte costituzionale elencate nell’articolo 134, il controllo di
costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni rappresenta
quella più importante, in quanto il contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale riguarda il giudizio
di legittimità costituzionale. Quanto alle modalità di accesso al giudizio di legittimità costituzionale
Il nostro ordinamento esclude la possibilità che siano i singoli cittadini o altri soggetti privati a
rivolgersi direttamente alla Corte a tutela dei propri diritti.
Si può accedere al controllo di costituzionalità o in via principale (o diretta o d’azione) o in
via incidentale (o indiretto o in via d’eccezione). Attraverso il primo, i soggetti legittimati chiedono
alla Corte un controllo di tipo astratto. Attraverso il secondo, è solo il giudice a quo che può adire la
Corte, dal momento che la questione di costituzionalità nasce nel corso di un processo davanti ad un
giudice che dovendo applicare una legge di dubbia costituzionalità, sospende il proprio giudizio e
rinvia la questione alla Corte. Esso si collega dunque alle forme di controllo concreto.
“Il controllo denominato astratto non trae generalmente origine da un procedimento
giudiziario, prescinde dalla tutela dei diritti dei consociati e mira ad offrire una garanzia della
Costituzione di carattere obiettivo, nel senso che effettua un raffronto fra norme di grado diverso
(legislative e costituzionali) a prescindere dalle conseguenze applicative. Il controllo detto concreto
riguarda una norma di legge storicamente applicabile da un giudice nel corso di un qualsiasi
giudizio, in cui sono in discussione interessi concreti dei singoli consociati e verte sulla conformità
della applicazione delle leggi rispetto ai precetti costituzionali. Il primo, plausibile solo nei sistemi
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accentrati e attivabile su ricorso, mira ad offrire una garanzia della costituzione di carattere
oggettivo; il secondo principalmente a tutelare i diritti soggettivi dei singoli”. 1
I nostri costituenti hanno quindi optato per una soluzione intermedia tra il modello austriaco,
che riservava il controllo di costituzionalità ad un apposito organo attivato con ricorso diretto
(controllo accentrato con sindacato in via principale) ed il modello austriaco, in cui il controllo di
costituzionalità era riconosciuto in capo ad ogni giudice e poteva essere attivato soltanto all’interno
di un giudizio.
1 A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto pubblico, Torino
2009, pp. 662-663.
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2 Il sindacato di legittimità costituzionale in via incidentale
La via più comune di accesso al processo costituzionale è quella incidentale o in via
d’eccezione: nel corso di un giudizio dinanzi ad un’autorità giurisdizionale, la questione di
legittimità costituzionale viene sollevata da una delle parti o rilevata d’ufficio dallo stesso giudice.
Questo tipo di sindacato di legittimità costituzionale è un controllo di tipo successivo, in quanto
interviene su leggi e atti già in vigore che continueranno a produrre i propri effetti sino alla
declaratoria di incostituzionalità. Si attua quindi una sorta di favor legis, in quanto sino a quando la
Corte non dichiari illegittima la legge, essa si presume valida ed applicabile. In alcuni ordinamenti,
invece, quali quello francese, esiste il controllo preventivo di legittimità costituzionale, in quanto la
Corte può pronunciarsi prima dell’entrata in vigore della legge. In altri ancora, quale quello
statunitense, il cosiddetto controllo diffuso di costituzionalità permette anche ai giudici comuni di
disapplicare la legge incostituzionale.
Il nostro sistema accentrato fa invece si che sia un solo organo, appunto la Corte
costituzionale, a giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi. Il fatto tuttavia che essa possa
essere adita solo nel corso di un giudizio (tranne nel caso di procedimento in via principale) e che
non possa essere adita direttamente dai singoli (come ad esempio nei casi di impugnazione diretta
alla Corte da parte dei cittadini, presenti in Spagna, Germania e Austria) protegge la legge dal
vaglio di costituzionalità. A ciò si aggiunge che il sindacato di legittimità costituzionale in via
incidentale è un controllo di tipo concreto in quanto non può comportare un giudizio “astratto” sulla
norma, ma solo su una legge applicabile da un giudice nel corso di un giudizio e che riguarda la
tutela dei diritti soggettivi dei singoli. Restano spesso escluse dal controllo di costituzionalità le
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leggi con scarsa aapplicazione giudiziaria, tra cui le leggi di natura prgamozzativa che non incidono
sui rapporti soggettivi dei singoli in modo significativo.
Il giudice legittimato ad instaurare un giudizio di costituzionalità si chiama “giudice a quo”.
Si fanno rientrare nella categoria non solo i giudici appartenenti all’autorità giudiziaria ordinaria
(civile, penale ed amministrativa), secondo un criterio formale, ma tutti i giudici che abbiano dei
requisiti oggettivi, ossia decidano sull’applicazione di una norma in completa terzietà rispetto alle
parti ed in contraddittorio con essa. Ai sensi della sentenza n. 83/1966, è possibile “considerare
autorità giurisdizionale anche organi che, pur estranei all’organizzazione della giurisdizione ed
istituzionalmente adibiti a compiti di diversa natura, siano tuttavia investiti, anche in via
eccezionale, di funzioni giudicanti epr l’obiettiva applicazione della legge, ed all’uopo posti in
posizione super partes, e per un’altra a conferire carattere di giudizio a procedimenti che, quale che
sia la loro natura e le modalità di svolgimento, si compiano però alla presenza e sotto la direzione
del titolare di un ufficio giurisdizionale”.2 La Corte costituzionale ha interpretato in maniera
estensiva i concetti si di giudice che di giudizio, ampliando in questo modo la possibilità che le
leggi vengano dichiarate incostituzionali. La Corte ha infatti incluso tra i giudici, oltre che se stessa,
che nei casi di “autoremissione” può sollevare innanzi a se stessa questioni di costituzionalità
nell’esercizio di una qualunque delle sue competenze (ordd. N. 73/1965 e 22/196, sent. N. 259/1954
e ord n. 44/1978), il pretore quale giudice dell’esecuzione esattoriale (sent. 83/1966), la Corte dei
Conti in sede di parificazione del rendiconto generale dello Stato (sent. N. 121/1966), del Consiglio
2 Citato in A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto
pubblico, Torino 2009, p. 687.
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nazionale forense in sede disciplinare (sent. N. 114/1970), degli arbitri in sede di arbitrato rituale
(sent. N. 376/2001).3
2.1. Rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità
Il giudice a quo, o anche giudice remittente, investe della questione la Corte costituzionale
con un’ordinanza di rimessione, che infatti motiva in merito al tentativo di aver esperito
un’interpretazione adeguatrice conforme alla Costituzione, in merito alla rilevanza e alla non
manifesta infondatezza della questione. Poi notifica l’ordinanza alle parti in causa e al Presidente
del Consiglio dei Ministri (o al Presidente della Regione interessata, in caso di impugnazione di atti
regionali); la comunica a i presidenti delle Camere o del Consiglio regionale interessato e attende
che l’incidente di costituzionalità sia definito dalla Corte costituzionale.
Il giudice a quo, prima di rimettere alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità è
chiamato a svolgere un duplice controllo di rilevanza e non manifesta infondatezza. Il controllo di
rilevanza accerta che l’impugnativa incidentale riguardi questioni che siano pertinenti agli interessi
dibattuti nel giudizio a quo. La rilevanza viene definita dalla legge n. 87 del 1953 la quale precisa
che il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di
legittimità costituzionale e “rappresenta la trasposizione in termini processuali dell’incidentalità (e
concretezza) del giudizio di legittimità costituzionale”.4 “Si tratta di un requisito….che vuole
indicare la pregiudizialità fra processo a quo e processo costituzionale, nel senso che l’applicazione
3 Citato in A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto
pubblico, Torino 2009, p. 688. 4 Cifaldi, lezione VII, La Corte costituzionale, Università telematica Pegaso, p. 13.
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della norma di dubbia costituzionalità deve presentarsi come ragionevolmente indispensabile per la
decisione della controversia concreta, a livello sostanziale (incidendo sul merito della questione) o a
livello processuale (riguardando il rito del processo)”.5 In un secondo momento anche la stessa
Corte costituzionale può effettuare un controllo di rilevanza, assicurandosi che il giudice a quo
abbia verificato la indispensabilità della questione di costituzionalità alla risoluzione della
controversia.
Anche il controllo di non manifesta infondatezza, che riguarda appunto la fondatezza della
questione di costituzionalità, spetta al giudice a quo, il quale non si sostituisce tuttavia alla Corte,
che in un sistema di sindacato accentrato di costituzionalità è l’unico organo costituzionalmente
preposto ad essere “giudice delle leggi”. “Il potere del giudice remittente si limita ad una
valutazione sommaria (delibazione) della questione, per rilevare che esista prima facie almeno un
plausibile dubbio di costituzionalità ed escludere, invece, le questioni prive di un minimo di serietà
e di ponderazione. Tale forma di controllo costituisce, comunque, un elemento di sindacato diffuso
che va ad inserirsi nel sistema di controllo accentrato delineato dalla nostra Costituzione in quanto
al giudice a quo è comunque assegnato un potere di filtro”.6
Al duplice controllo di rilevanza e non manifesta infondatezza, la giurisprudenza
costituzionale ha aggiunto un ulteriore onere per il giudice a quo, quello di cercare tutti gli
strumenti ermeneutici possibili per interpretare la norma impugnata in modo conforme alla
Costituzione, e dunque non lesivo dei parametri costituzionali invocati (la cosiddetta interpretazione
adeguatrice).
5 A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto pubblico, Torino
2009, pp. 688-689. 6 A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto pubblico, Torino
2009, p. 689.
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3 Il giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Il giudizio di legittimità costituzionale in via principale (o diretta o d’azione), si è molto
diffuso a partire dalla riforma del titolo V, parte II della Costituzione, che ha delineando un quadro
sufficientemente incerto del riparto di competenze tra Stato e regioni, ha favorito un aumento del
numero di ricorsi diretti alla Corte, che invece si è sempre più dedicata, sin dagli albori, al giudizio
di costituzionalità in via incidentale. La Corte ha via via infatti chiarito l’interpretazione delle
competenze residuali, e ha coniato categorie quelli quella di “materia trasversale” (si pensi ad
esempio alla giurisprudenza in materia ambientale.
Il giudizio di costituzionalità in via principale può essere attivato su ricorso diretto in un
termine decadenziale da parte di soggetti specificamente legittimati ad agire. L’accesso diretto alla
Corte costituzionale è riconosciuto allo Stato, alle Regioni e alle Province autonome di Trento e
Bolzano, che presentano un ricorso, preceduto per lo Stato da una delibera del Consiglio dei
Ministri e per la Regione da una delibera della Giunta regionale. Attraverso il ricorso, si instaura un
ricorso tra parti. A differenza del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, quello in
via principale ha dunque carattere contenzioso, e quindi per essere attivato c’è bisogno che una
delle due parti (il ricorrente) si costituisca. Il giudizio, infatti si estingue se le parti determinano la
cessazione della materia del contendere. Gli enti locali sono esclusi sia dal ricorso diretto alla Corte
sia da un intervento in giudizio che ampli il contraddittorio tra parti, che la Corte riserva
esclusivamente alla parte ricorrente e a quella resistente. L’unica apertura nei confronti degli anti
locali “riguarda la possibilità di stimolo allo Stato o alla Regione a promuovere il ricorso di
costituzionalità, mediante un potere di proposta riconosciuto alla Conferenza Stato-Città e
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Autonomie locali (rispetto allo Stato) e al Consiglio delle autonomie locali (rispetto alle regioni) dal
nuovo testo degli articoli 31 e 32 della l. n. 87/1953 per come modificati dalla legge n. 131/2003).
Analogamente al giudizio di costituzionalità in via incidentale, il giudizio di costituzionalità
in via principale ha carattere successivo (ossia avviene dopo l’entrata in vigore della legge ordinaria
dello Stato o delle regioni), ma a differenza di esso ha carattere astratto e non concreto, ossia
permette un controllo di conformità della norma impugnata con i precetti costituzionali che
prescinde dalla sua concreta applicazione in un giudizio in corso.
Esso è disciplinato dall’articolo 127 della nostra Costituzione, secondo il quale: “Il Governo
quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la
questione di legittimità costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. La Regione,
quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda
la sua competenza può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte
costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di
legge”.
Il testo dell’articolo 127 Cost. crea una disparità tra Stato e regioni relativamente ai motivi
del ricorso, ponendo il primo in posizione di ricorrente “privilegiato” nel momento in cui gli si
consentiva di promuovere la questione di legittimità costituzionale nel caso in cui la Regione avesse
esorbitato la propria sfera di competenze senza necessariamente dimostrare di esser stato leso
dall’azione ultra vires, come deve invece fare la Regione ai sensi dell’articolo 127 secondo comma.
La giurisprudenza costituzionale ha ulteriormente accentuato il carattere asimmetrico tra
stati e regioni. Precisando nella sentenza n. 274/2003 quanto già ribadito prima della riforma del
titolo V, ossia che “mentre lo Stato può impugnare una legge regionale per qualsiasi vizio (quindi
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quando le norme regionali si pongono in contrasto con qualsiasi norma costituzionale e non solo
con quelle che disciplinano la competenza), le regioni possono impugnare le leggi statali solo
qualora siano lesive di una loro competenza o quando, pur non essendo direttamente lesive,
producano comunque una lesione della loro autonomia”.7
E’ stata la riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta con la legge di revisione
costituzionale no. 3/2001 ad equiparare la posizione di Stato e regioni sia in merito ai termini di
decadenza entro i quali presentare ricorso (prima la regione poteva agire soltanto entro 30 giorni)
che in merito alla natura successiva del controllo, che prima era contemplata soltanto per i ricorsi
attivati dalle Regioni. Prima della riforma, infatti, lo Stato poteva ricorrere nei confronti delle leggi
regionali prima dell’entrata in vigore delle leggi regionali, così da evitare l’entrata in vigore delle
stesse in caso di sentenza di accoglimento. Questo accadeva nelle more di una fase necessaria epr
l’integrazione dell’efficacia delle leggi regionali, abolita dalla riforma, che era il visto da parte del
Commissario del Governo, da apporsi dopo l’approvazione della legge da parte del Consiglio
regionale secondo quanto previsto dalla vecchia formulazione dell’articolo 127 Cost. Il
Commissario rinviava infatti il progetto di legge al Consiglio regionale, e quindi non apponeva il
visto, nel caso in cui il Governo riteneva che la Regione avesse agito ultra vires. Se il Consiglio,
anziché conformarsi alla volontà governativa per ottenere il visto, decideva comunque di non
modificare il progetto di legge e riapprovarlo a maggioranza assoluta dei suoi componenti, il
Governo poteva promuovere la questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte
costituzionale.
7 A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto pubblico, Torino
2009, p. 710.
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Ai sensi dell’articolo 123 comma 2 Cost. l’apposizione del visto da parte del Commissario
del Governo non è richiesta nemmeno per lo Statuto regionale, approvato, ai sensi dell’art. 123
comma2, dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti
con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Tuttavia, “Il
Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti
regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione”. (123 comma
2). Il ricorso dello Stato è ancora preventivo anche quando ad essere impugnato dunque è lo Statuto
di una regione a statuto ordinario o una legge siciliana.
Anche la giurisprudenza costituzionale ha cercato di rimuovere queste disparità, specie
riguardo ai motivi del ricorso. “La Corte, infatti, aveva riconosciuto che le Regioni potevano
impugnare le leggi statali non solo quando erano direttamente lesive della loro competenza, ma
anche quando queste ultime, sia pur non direttamente lesive, andavano ad incidere indirettamente
sulla loro autonomia. L’esempio classico di tale tipo di vizio è dato da una legge statale che preveda
un beneficio economico finanziario solo a favore di alcune regioni. Tale legge, pur non violando
nessuna norma sulla competenza, ma ponendosi in contrasto solo con il principio di eguaglianza,
risulta tuttavia lesiva dell’autonomia regionale in quanto le risorse finanziarie rappresentano lo
strumento per rendere effettiva l’autonomia”.8
8 A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto pubblico, Torino
2009, pp. 709-710.
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4 Le decisioni della Corte costituzionale
Le decisioni della Corte costituzionale assumono la forma della sentenza e della ordinanza.
Pur non essendo chiara la distinzione tra le due categorie, le ordinanze sono in genere decisioni di
ordine processuale e le sentenze sono decisioni di merito. Le decisioni che accolgono la questione
di costituzionalità sono sempre adottate con sentenza.
Le ordinanze si dividono in ordinanze di inammissibilità, con riferimento alla sussistenza
di un errore che impedisce la decisione della questione nel merito (errore che può riguardare il non
previo esaurimento di un’interpretazione adeguatrice, l’impugnazione dei un atto che non ha forza
di legge, la non rilevanza della questione nel giudizio a quo); ordinanze a carattere
interlocutorio, che dunque non entrano nel merito del giudizio ma rimettono la questione al giudice
a quo o per acquisire una maggiore contezza dei fatti che hanno portato al giudizio (si parla in tal
caso di ordinanze istruttorie, finalizzate ad esempio a conoscere la prassi applicativa della norma
impugnata o le conseguenze finanziarie di una eventuale declaratoria di incostituzionalità) o per
fare in modo che venga corretto un vizio sanabile (tra cui la mancanza di una notifica) o perché vi è
stato un caso di ius superveniens, ossia di una modifica legislativa della norma impugnata che
potrebbe avere effetti sul controllo di rilevanza della questione; ordinanze di manifesta
infondatezza, sono decisioni di merito che risolvono in via definitiva il giudizio, che occorrono in
genere quando il caso è identico ad altro già deciso in precedenza con sentenza di rigetto.
Le sentenze si dividono principalmente in sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto. Le
sentenze di rigetto, che quindi ritengono che la normativa impugnata non è difforme dalla
Costituzione, hanno un effetto limitato, di carattere processuale, che dunque non serve a rendere la
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norma stessa indisponibile ad eventuali futuri giudizi di legittimità costituzionale, accertandone una
volta per tutte la legittimità. “Ad essere dichiarata non fondata è piuttosto la questione sollevata, per
come prospettata e configurata di quella norma, rispetto a quel parametro rebus sic stantibus: si
tratta cioè di una accertamento inter partes, solo rispetto al casi specifico che l’ha determinata…Si
tratta, quindi, di un effetto processuale limitato a quel singolo giudizio, per quella data questione
(principio del ne bis in idem). Come ha limpidamente rilevato la corte “l’effetto preclusivo alla
riproposizione di questioni nel corso dello stesso giudizio deve ritenersi operante soltanto allorché
risultino identici tutti e tre gli elementi che compongono la questione (norme impugnate, profili di
incostituzionalità dedotti, argomentazioni svolte a sostegno della ritenuta incostituzionalità)” (così
sent. N. 225/. 2994)”.9 Esiste un particolare caso di sentenze di rigetto (dette sentenze monitorie)
attraverso la quale la sentenza di rigetto è accompagnata da un monito o da na esortazione dei
confronti del legislatore, che potrebbe rimuovere situazioni di incostituzionalità che però non
permettono alla corte di adottare una decisione di accoglimento (perché ad esempio lesiva di altri
principi costituzionali).
Essendo il giudice costituzionale libero nella sua attività di interpretazione della norma
costituzionale, che non è vincolata né all’interpretazione data dal giudice a quo nel giudizio in via
incidentale né dal ricorrente nel giudizio in via principale, l’armamentario decisionale costruito
dalla giurisprudenza costituzionale ha creato una nuova categoria: le sentenze interpretative di
rigetto. Questa sentenza si conclude “con una declaratoria di non fondatezza, ma nella misura in cui
il significato normativo ritenuto non illegittimo del testo in questione sia quello individuato dalla
Corte. Abbiamo così una pronuncia di rigetto, che precisa nella motivazione l’interpretazione
9 A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto pubblico, Torino
2009, p. 692.
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costituzionalmente conforme”.10
In virtù del loro essere pronunce di rigetto, le sentenze in questione
forniscono un’interpretazione della norma costituzionale che non vincola tutti gli operatori giuridici,
ma ha sicuramente un valore persuasivo nei confronti dei giudici che non siano il giudice
remittente. Proprio per far fronte a questa scarsa vincolatività interpretativa, la COrte ha fatto
ricorso alle sentenze interpretative di accoglimento, “pronunciando l’incostituzionalità di una
disposizione, se ed in quanto se ne ricavi una data norma, eliminando, quindi, tale possibile
interpretazione con l’efficacia propria della sentenza di accoglimento (erga omnes ed ex tunc).”11
Con la sentenza di accoglimento, la Corte giudica fondata l’eccezione di costituzionalità,
riscontrando una non conformità della norma impugnata al parametro costituito dalle norme di
rango costituzionale. Se con la sentenza di accoglimento secca la Corte dichiara incostituzionale
una determinata disposizione, e con la sentenza interpretativa di accoglimento essa dichiara
incostituzionale un particolare significato delle disposizione, la COrte ha cominciato con le proprie
sentenze ad intervenire in modo positivo:
a) eliminando solo parti della disposizione in questione. E’ questo il caso delle sentenze di
accoglimento parziale o riduttivo, che espungono dal testo un inciso o una frase;
b) aggiungendo norme non testualmente previste. E’ il caso delle sentenze additive, “con le
quali viene dichiarata l’illegittimità costituzionale della omessa previsione di qualcosa che
avrebbe dovuto essere previsto dalla legge”.12
10
A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto pubblico,
Torino 2009, p. 697. 11
A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto pubblico,
Torino 2009, p. 698. 12
Ivi, p. 700. Gli autori menzionano ad esempio la declaratoria di incostituzionalità dell’articolo 7 della legge n.
903/1977 “nella parte in cui non prevede che il diritto all’astensione dal lavoro e il diritto al godimento dei riposi
giornalieri, riconosciuti alla sola madre lavoratrice siano riconosciuti anche al padre lavoratore ove l’assistenza della
madre al munore sia divenuta impossibile per decesso o grave infermità (sent. 1/1987)
Università Telematica Pegaso Il giudizio di legittimità costituzionale: la principale
funzione della Corte costituzionale
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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c) Sostituendo un frammento di norma nella disposizione. E’ il caso della sentenza sostitutiva,
che nel dichiarare incostituzionale un frammento del testo della disposizione, che viene
eliminato, aggiunge un nuovo frammento in sostituzione di esso per garantire comunque la
immediata applicabilità della disposizione.
Tutte queste sentenze sono state chiamate manipolative o para-legislative, dato il grado di
interferenza della Corte nella funzione legislativa, costituzionalmente riservata al Parlamento.
L’effetto della sentenza di accoglimento è più pervasivo di quello della sentenza di rigetto,
in quando essa elimina la norma impugnata dall’ordinamento nel momento in cui ne dichiara la
illegittimità costituzionale. Nonostante l’articolo 136 Cost. stabilisca che la norma dichiarata
incostituzionale cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, la
decisione di incostituzionalità ha efficacia retroattiva. Questa scelta è estremamente coerente con il
sindacato di costituzionalità di tipo incidentale. Dovendo infatti la Corte affrontare questioni
relative a norme che devono essere in concreto applicate all’interno di un giudizio, sospeso proprio
per la dubbia costituzionalità della norma, una declaratoria di incostituzionalità ex nunc proibirebbe
alla norma di esplicare i suoi effetti proprio all’interno del giudizio nel corso del quale è stato
sollevato l’incidente di costituzionalità. L’unico limite posto alla retroattività della declaratoria di
incostituzionalità è rappresentato dai rapporti esauriti, ossia dai rapporti definiti in maniera
irreversibile dal punto di vista giuridico.
Anche ai giudizi sulle leggi si applica il principio generale del diritto processuale ne eat
iudex ultra petita partium (cosiddetto principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato).
Tuttavia, la legge n. 87 del 1953, proprio nel momento in cui sancisce cha la Corte dichiari
espressamente quali sono le disposizioni legislative dichiarate illegittime, pone una eccezione
consentendo alla Corte di “dichiarare altresì incostituzionali, nella medesima decisione, “le altre
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disposizioni legislative la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata”; si
tratta della c.d. illegittimità costituzionale consequenziale, con cui si può estendere d’ufficio
l’incostituzionalità a disposizioni identiche, confermative, applicative, collegate, o, anche, analoghe,
rispetto a quella impugnata ed annullata (cfr. ad es. sentt. Nn. 86/1999 e 450/2000).13
13
A. Celotto e F. Modugno, La giustizia costituzionale, in F. Modugno (a cura di) Lineamenti di diritto pubblico,
Torino 2009, p. 696.
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Bibliografia
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Celotto, A., La Corte costituzionale, Bologna, 2004.
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Falcon, G., Contestazione e contrattazione di legittimità: aspetti di prassi e spunti
ricostruttivi per l’applicazione dell’art. 127 della Costituzione, in Giurisprudenza
Costituzionale, 1980.
Modugno, F. (a cura di), Lineamenti di diritto pubblico, Torino 2009.
Romboli, R. (a cura di), Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2002-2004),
Torino 2005.
Ruggeri, A. e Spadaro A., Lineamenti di giustizia costituzionale, III edizione, Torino 2004.
Zagrebelsky, G., La giustizia costituzionale, Bologna 2008.