Organizzare i non organizzati

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ORGANIZZARE i non organizzati Idee ed esperienze per il sindacato che verrà SUPPLEMENTO AL NUMERO 12/2013 DI RASSEGNA SINDACALE - POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN A. P. D.L. 353/03 (CONV. L.46/04) ART. 1, COMMA 1, DCB - ROMA

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Idee ed esperienze per il sindacato che verrà

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Idee ed esperienze per il sindacato che verrà

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N oi abitiamo le stanze di una “maison institutionelle” (sistemapolitico e giuridico, partiti, sindacati, eccetera) che abbiamoereditato e nelle quali siamo abituati ad aggirarci con

superficiale familiarità e confidenza, dando troppe cose come scontate. Di generazione in generazione ci trasmettiamo i compiti dell’ordinariamanutenzione, ci esercitiamo nelle opere di adattamento ai nuovi gusti e alle nuove esigenze, ci tramandiamo per così dire, la conoscenza degli arredi, dimenticando progressivamente il sapere sulle fondamenta, sui muri maestri e sulle travi portanti.Quando la “maison institutionelle” minaccia di crollare e i saperidell’ordinaria manutenzione non bastano più, nasce l’esigenza di riportare alla luce i disegni e i progetti, i calcoli e i modelli dei costruttori, di capire le logiche architettoniche discusse e realizzate, di conoscere i materiali utilizzati dai fondatori.Ogni crisi di rifondazione chiama ed esige il recupero del punto di vistagenetico. Oggi è la radicalità della crisi del sindacato e del sistema politicodell’Europa contemporanea che ci costringe a scavare dentro le “origini”.

Pino Ferraris, 1992

Pino Ferraris (1933-2012) è stato un intellettuale e attivista del movimento o-peraio e democratico. Originario di Biella, Pino è stato segretario della federa-zione torinese del Partito Socialista di Unità Proletaria per poi unirsi, all’iniziodegli anni settanta, all’Ufficio Studi della Cgil allora diretto da Vittorio Foa. Suc-cessivamente ha insegnato sociologia presso l’Università di Camerino.Pino ci ha lasciato un anno fa. Ha lasciato contributi di eccezionale valore sullastoria del movimento operaio in Italia e in Europa. Grazie alle testimonianze diPino anche i più giovani hanno potuto riscoprire le origini del mutualismo edelle Camere del Lavoro. Questa raccolta è dedicata a lui. E alla sua passione e curiosità per qualsiasi e-sperimento sociale capace di avvicinarci agli ideali di libertà, eguaglianza e par-tecipazione che hanno ispirato la sua vita.

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PREFAZIONETra bilancio e rilancioElena Lattuada..................................................................................................................................7

PARTE PRIMALa Cgil e la sfida della ricomposizione della rappresentanzaIlaria Lani.........................................................................................................................................9

PARTE SECONDA Dal community organizing al rilancio del movimento sindacale: esperimenti americani, britannici e tedeschi

• Lezioni americane. Ovvero come rilanciare il sindacato facendone un movimento sociale Alessandro Coppola.........................................................................................................................17

• Workers win when they organise! Tecniche di organising nel Regno Unito Fabio Ghelfi....................................................................................................................................26

• Le campagne dei giovani Metaller in GermaniaLisa Dorigatti..................................................................................................................................31

PARTE TERZA Tra lavoro e consumo: le campagne per i diritti globali

• Le “vertenze” della Campagna Abiti PulitiDeborah Lucchetti ..........................................................................................................................35

• Mobilitare l’opinione pubblica per cambiare i comportamenti delle imprese:l'esperienza Original Marines Giuliana Mesina.............................................................................................................................40

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INDICE

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PARTE QUARTA Le esperienze di sindacalizzazione del lavoro disperso: la Cgil che innova

• Giovani e sindacato: la campagna Giovani NON+ disposti a tuttoLuca De Zolt ...................................................................................................................................42

• Giovani, precari e professionisti si coalizzano: l'esperienza del comitato “Il nostro tempo è adesso” Claudia Pratelli..............................................................................................................................48

• Professionisti sempre meno liberi si organizzano: cosa vogliono e cosa chiedono al sindacatoDaniele Di Nunzio.........................................................................................................................54

• Fermare la svendita dei praticanti e dei collaboratori degli studi professionali: la campagna “conilcontratto.it”Alessio Di Labio,.............................................................................................................................60

• La truffa dell’associazione in partecipazione: la campagna “dissociati” Daria Banchieri e Roberto D'Andrea...............................................................................................62

• Lottare contro il caporalato, nel territorio: il “sindacato di strada” e la campagna “Invisibili” Roberto Iovino e Ivan Sagnet..........................................................................................................66

PARTE QUINTA Riattivare il territorio

• Il lavoro di educatore, il mestiere del sindacato Carlo Antonicelli.............................................................................................................................71

• Camere del lavoro, ritorno all’antico per costruire il nuovo: i nuovi spazi diaggregazione rivolti a giovani e precari. Interviste ai protagonisti dei progetti pilotaa cura di Ilaria Lani .......................................................................................................................74

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L eggendo “Organizzare i non orga-nizzati” è facile accorgersi del suomolteplice significato.

È innanzitutto il “bilancio” di un percorsodi elaborazione e sperimentazione prodottoin questi anni dai giovani della Cgil. Unpercorso che ha saputo, nel suo complesso, in-teragire con tutta l’organizzazione e interro-garla sui contenuti e le pratiche necessarie perparlare alle nuove generazioni, e più in ge-nerale per organizzare tutti quei soggetti og-gi invisibili e, spesso, marginalizzati.Possiamo definirlo anche un “manuale”, ric-co di storie, esperienze, esperimenti, tentati-vi, che ci aiutano ad immaginare nuovistrumenti per ricomporre una rappresen-tanza sempre più disgregata.Non si tratta di strade sicure, ma di speri-mentazioni che abbiamo e dobbiamo con-tinuare a saper cogliere, implementare, va-lutare, adattare ed estendere. Abbiamo biso-gno di ascoltare in modo attento le doman-de di innovazione per sedimentarle e, so-prattutto, per renderle parte dell’attività or-dinaria. Includere le nuove generazioni ne-cessita, infatti, di uno sguardo profondo suicambiamenti avvenuti nel mercato del la-voro per leggere la complessità e le molteplicicondizioni che lo contraddistinguono. Una, e ormai più generazioni, sono state in-trappolate in una condizione di precarietà edi umiliazione, costrette a lavori saltuari, u-sa e getta, sottopagati, sotto-inquadrati, sen-za diritti né ammortizzatori, pur in presen-za di elevata scolarità e competenze.Ciò significa che intere generazioni non han-

no conosciuto le tutele previste dai contratticollettivi e sono state costrette ad accettarecondizioni di lavoro peggiori, abituandosi avivere in completa solitudine il proprio lavo-ro e il rapporto con il datore di lavoro, o peg-gio ancora ad essere messi in competizionel’uno con l’altro. Altri ancora hanno vistomortificata la loro professionalità attraversoun lavoro “formalmente autonomo”, che inrealtà appare molto poco libero, vincolato al-le esigenze produttive e privo di tutele.Agli occhi di moltissimi di questi lavoratorie lavoratrici le lotte contro la precarietà, o-rientate solo alle modifiche legislative, sonorisultate distanti ed inefficaci: si pone con ur-genza l’esigenza di coniugare l’azione diriforma e modifica della legislazione attua-le con un’azione contrattuale inclusiva, ca-pace di guardare alle tante differenze checontraddistinguono le diverse condizioni dilavoro, estendendo diritti universali.Diritti universali da rendere esigibili per tut-te le tipologie di lavoro attraverso l’applica-zione del contratto collettivo nazionale di la-voro, in primo luogo definendo i minimi re-tributivi, ma anche guardando ai tanti nuo-vi diritti oggi più che mai necessari, come laformazione continua, l’autonomia profes-sionale e il suo riconoscimento.Saremo capaci di affermare la nostra rap-presentanza e la nostra autorità contrattua-le solo se riusciremo a far vivere diritti tra co-loro che sono più fragili: le tante figure pre-carie che, loro malgrado, sono diventate “ca-vie” di un modello senza vincoli e tutele.Costruire alleanze nel mondo del lavoro è al-

PREFAZIONE

Tra bilancio e rilancioELENA LATTUADA segretario confederale Cgil

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PREFAZIONE8

la base della confederalità che da sempre haguidato il sindacato italiano: oggi più chemai abbiamo bisogno di recuperare forza epotere contrattuale assumendo come impe-gno strategico l’estensione della contratta-zione all’intera platea di lavoratori e lavo-ratrici, colpendo i tanti abusi che ci sono e ri-conoscendo, nel contempo, forme e tipologiediverse di prestazioni.Alcuni accordi, anche molto recenti, ci dico-no che ciò è possibile: l’estensione di buonepratiche, la valorizzazione degli accordi conuna loro applicazione puntuale ed attentanel tempo, l’allargamento della rappresen-tanza a soggetti oggi non ricompresi, sonotutti passaggi che possono permettere unanuova stagione di contrattazione. Questoimpegno straordinario nella contrattazioneinclusiva deve essere accompagnato da poli-tiche di re-insediamento che sappiano scom-mettere sulla partecipazione di tutti i soggetticon forme e modalità anche diverse da quel-li tradizionali. Diversamente rischiamo dinon avere luoghi di incontro ed ascolto utilia comprendere bisogni e condizioni semprepiù eterogenei. La necessità di costruire nuo-ve strategie di re-insediamento ci interrogaprofondamente anche su come ripensare ilfunzionamento della nostra organizzazio-ne alla luce dei cambiamenti avvenuti ne-gli ultimi venti anni; oggi più che mai ab-biamo bisogno di immaginare un insedia-mento sociale nel territorio per riattivare tut-te le energie disperse.Le esperienze degli spazi di aggregazione peri giovani nelle Camere del Lavoro sono unprimo tentativo per ripensare le forme dellapartecipazione e per riconnettere la tutelaindividuale con l’azione collettiva.Le storie e le esperienze di “community or-ganising” nei paesi anglosassoni ci racconta-no metodi molto efficaci di re-insediamen-to che non sono poi così lontani dalle cam-

pagne di sindacalizzazione che alcune no-stre categorie hanno realizzato in questi an-ni. Così come un altro spunto interessantearriva dalle sinergie che alcune categoriehanno costruito con le campagne interna-zionali che promuovono, attraverso il con-sumo responsabile e la pressione dell’opinio-ne pubblica, la tutela dei diritti fondamen-tali nelle filiere globali del lavoro. Laddoveil valore del prodotto è sempre più spesso con-nesso all’immagine del marchio non è, in-fatti, trascurabile un rapporto con chi ac-quista e consuma.Infine, tra le pagine di questo libro c’è un pri-mo racconto e bilancio dell’azione della no-stra organizzazione nel coinvolgimento deigiovani e dei precari attraverso la campagna“Giovani NON+ disposti a tutto”, il comi-tato “Il nostro tempo è adesso”, le iniziativenelle scuole e il tentativo di aprirci al mondodelle professioni. Un patrimonio di esperien-ze che ha messo in discussione schemi conso-lidati di azione della Cgil, ma che ha ancheprovato a costruire strumenti di comunica-zione e socializzazione innovativi. Si è trat-tato di un tentativo che ha aperto molte por-te di comunicazione e che ha, soprattutto, di-mostrato che le nuove generazioni non sonocerto individualiste o apatiche: di fronte adun patrimonio di impegno, abbiamo fattofatica a scorgere le domande e le richieste checi venivano poste, perché, forse, poco abitua-ti alle inusuali e multiformi espressioni dipartecipazione dei giovani.Il cambiamento su cui è necessario cimen-tarsi nell’immediato futuro deve quindipartire da queste due necessità: dalla capa-cità di costruire spazi di partecipazione edaggregazione nelle nostre strutture, scevri daformalismi e riti poco accoglienti, così comedalla capacità di raccogliere istanze e biso-gni trasformandoli in azione, contrattazio-ne, tutela individuale e collettiva.

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“Il sindacato rappresenta solo i pen-sionati”: quante volte sentiamo ri-

petere questo luogo comune?Dietro a tale raffigurazione si nasconde ildesiderio di minare quella che è stata lagrande forza del sindacato italiano: la suaconfederalità.La sola esistenza di oltre 2 milioni e mez-zo di pensionati iscritti alla Cgil diventa ilpretesto per presupporre la rottura delvincolo di solidarietà: si insinua infatti u-na insanabile contrapposizione di inte-ressi e, quindi, una delegittimazione delruolo stesso del sindacato confederale.Eppure molti sembrano scordare che laconfederalità è l’elemento fondativo del-la nostra struttura organizzativa, nata dal-le Camere del Lavoro, ancora prima chedalle Federazioni di Categoria.Ma quanto c’è di vero dietro questa raffi-gurazione? Come è cambiato il mondo dellavoro? E sulla base di questo come è cam-biata la composizione della rappresentan-za del sindacato? Quanto il sindacato rie-sce ad esercitare il suo ruolo confederale ea ricomporre il mondo del lavoro?Per attivare una riflessione di questo ti-po è necessario bandire stereotipi: biso-gna riflettere attentamente sui cambia-menti avvenuti nella platea di lavoratri-ci e lavoratori e su come questi incidono

sulla nostra effettiva rappresentatività.L’assetto del mercato del lavoro è cam-biato radicalmente, basti pensare alla ri-duzione delle dimensioni d’impresa: so-no circa 3 milioni e mezzo i lavoratori im-piegati in aziende sopra i 250 addetti, po-co più di 2 milioni tra 50 e 249 addetti,circa 1 milione e seicento mila tra i 20 e i49 addetti e circa 10 milioni nelle azien-de sotto i 20 dipendenti. Questo dato non è affatto irrilevante ri-spetto al nostro insediamento e alla no-stra contrattazione che, evidentemente,nelle piccole aziende è molto più fragile,se non inesistente. Contemporaneamente sono esplosemolteplici tipologie di lavoro precario:non solo il lavoro a tempo determinato,che raggiunge le 2 milioni e mezzo di u-nità, ma anche le forme del lavoro para-subordinato che continuano a crescere emoltiplicarsi, lasciando intere generazio-ni senza alcun riferimento contrattuale eorfane della maggior parte dei diritti ele-mentari. Senza considerare gli effetti del-la crisi sul tasso di disoccupazione e il ri-catto occupazionale che ne consegue, inparticolare per i giovani. Secondo l’Istat,dal 2007 ad oggi gli occupati under 35sono diminuiti di 1 milione e mezzo di u-nità, mentre con l’allungamento dell’età

PARTE PRIMA

La Cgil e la sfida della ricomposizione della rappresentanzaILARIA LANIresponsabile politiche giovanili Cgil

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pensionabile è aumentata l’occupazionedegli over 55.In sintesi, l’Italia ha sempre più un mer-cato del lavoro frammentato, segmenta-to, diseguale.Ma quale è la correlazione tra le dinami-che del mercato del lavoro e la nostra rap-presentatività? Per uscire dal sentito dire è opportunosvolgere un rigoroso lavoro di confrontotra i dati, affinché ogni ragionamento siasufficientemente sostanziato.

ALCUNI DATI CHE FOTOGRAFANO LA NOSTRA RAPPRESENTANZAUtilizzando l’anagrafe nazionale degli i-scritti alla Cgil è possibile avere una foto-grafia della nostra rappresentanza. La ri-levazione che segue si riferisce all’anno2012 ed è stata effettuata i primi di mar-zo 2013: il campione preso in considera-zione fra i lavoratori attivi è di 1.357.131iscritti, quasi il 50% dei 2.716.519 lavo-ratori attivi iscritti alla Cgil nello stessoanno. Possiamo tranquillamente affer-mare che questo campione inizia ad esse-re statisticamente rilevante.Innanzitutto abbiamo indagato la consi-stenza dei giovani iscritti: i giovani fino a35 anni sono circa il 21,2% degli attivi.Se volessimo avere un numero assolutopotremmo quantificarlo indicativamen-te in circa 575 mila unità. Per farci un’idea del grado di aderenza al-la effettiva composizione del mercato dellavoro è necessario comparare i nostri da-ti alla fotografia degli occupati: nel pri-mo semestre 2012 i lavoratori dipen-denti fino ai 34 anni sono il 27,5% deltotale dei dipendenti. I riflessi della composizione del mercatodi lavoro sono ben visibili anche nellapercentuale di giovani iscritti presenti

nelle singole categorie: la prima è Nidilcon una quota del 40,2% dei giovani i-scritti sul totale, poi la Filcams con29,6%, la Fillea con il 27%, la Flai con il23,5%, la Filt con il 23,4%, la Slc con il23,1%, la Fiom con il 21,7%, la Fisaccon il 18%, la Filctem con il 17,5% e in-fine le due categorie pubbliche che han-no maggiormente risentito del bloccodelle assunzioni Fp 9,2% e Flc 8,7%. Il tasso di sindacalizzazione calcolato sultotale dei lavoratori dipendenti, consi-derato che nel primo semestre 2012 so-no poco più di 17 milioni, è di circa il12% (per calcolarlo dagli iscritti attivi so-no stai tolti coloro che hanno perso il la-voro, sono in mobilità o in disoccupa-zione). Possiamo calcolare per approssi-mazione anche il tasso di sindacalizza-zione dei dipendenti fino a 35 anni chesi attesta intorno al 9%.Il principale motivo del minore tasso disindacalizzazione dei giovani deriva dalfatto in che questa fascia di età c’è unaincidenza maggiore dei contratti a ter-mine (che sono il 50% degli under 24 eil 20% degli under 34) e come è noto inquesti casi c’è una paura ad iscriversi alsindacato dovuta alla ricattabilità delrapporto di lavoro.Infatti, la cosa che colpisce dei dati su gliiscritti Cgil fino a 35 anni è che la maggiorparte di loro lavora a tempo indetermina-to. Se guardiamo il tipo di iscrizione pos-siamo constatare che la maggior parte so-no iscrizioni con delega di lavoratori di-pendenti a tempo indeterminato (o ex di-pendenti percettori di disoccupazione emobilità), le tessere dirette di lavoratoriprecari o disoccupati sono solo il 3%.Questo vale anche per le classi di età piùgiovani: tra 31 e 35 anni le tessere direttesono il 4,2%, tra i 26 e 30 anni siamo sul

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5,2%, tra i 21 e i 25 siamo sul 6,3%.Guardando direttamente ai rapporti dilavoro (seppur la metà del campione èsprovvista di questa indicazione) vedia-mo che il 91,8% dei nostri iscritti è a tem-po indeterminato, il 5,46% è a tempo de-terminato, lo 0,2% ha un contratto disomministrazione, lo 0,36% apprendi-stato o contratto di inserimento, lo 0,4%le forme della parasubordinazione.Se guardiamo alla consistenza dei con-tratti precari nel mercato del lavoro rile-viamo facilmente quanto sia sottodi-mensionata la sindacalizzazione di questefigure, in particolare per quanto riguardail lavoro parasubordinato. Registriamoinvece un incremento dei disoccupati do-vuto ovviamente ai processi di espulsio-ne dal mercato del lavoro.Gli iscritti alla categoria Nidil sono per il52% disoccupati, per il 24,77% lavora-tori in somministrazione, per il 14,12%collaboratori, per il 2,78% partite iva, peril 0,30% associati in partecipazione, peril 5,69% altre tipologie.In sintesi questi numeri ci dicono che lanostra rappresentanza è sostanzialmenteinsediata nel lavoro standard e fatica an-cora a trovare forme e modi per arrivarealle aree della precarietà: da questo derivala difficoltà a rappresentare i giovani.Se questo dato è stato fin’ora trascurato o-ra ciò non è più possibile visto il trend diassunzioni con contratti precari (oltrel’80%).Infine, bisogna tenere presente che ora-mai una quota considerevole degli i-scritti alla Cgil proviene dall’azione ditutela individuale operata con i servizi equindi il legame “politico/ideale” conl’organizzazione risulta piuttosto debo-le e occorrono strumenti specifici perrafforzarlo.

LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA E LA ROTTURA MANIFESTATA CON LE ULTIME ELEZIONI POLITICHEI cambiamenti del mercato del lavoro ciraccontano un pezzo di verità. Ma nontutta. La nostra società è profondamentecambiata anche nella percezione dellarappresentanza e nella modalità di parte-cipazione. Questo non perché il cuoredegli uomini e delle donne sia stato im-provvisamente colpito da desideri indivi-dualistici, ma perché è cambiato il rap-porto con l’agire collettivo all’interno dellavoro e nella società stessa. Difficile usa-re queste poche pagine per approfondiretemi così impegnativi senza rischiare didire banalità, ma qualche ragionamentoè bene tenerlo presente.Da anni parliamo della crisi delle formedella rappresentanza, siano esse le istitu-zioni, i partiti, le organizzazioni sociali.L’avvento della crisi economica ha acce-lerato questo processo e le ultime elezio-ni politiche hanno manifestato una verae propria rottura. La paura, la solitudine, la sfiducia, la rab-bia, la competizione sono tutti senti-menti che hanno prevalso nelle relazionisociali e hanno fatto sì che le personesmarrissero la fiducia nei confronti delleorganizzazioni di rappresentanza. A volte sembra che di fronte ai gravi pro-blemi sociali molte persone oscillino tral’interiorizzazione totale della colpa e lasua completa esternalizzazione. È comese la complessità (e la confusione) detta-ta dalla modernità spezzasse agli occhi de-gli individui la catena delle responsabilitàe ognuno di noi fosse portato ad assu-merle tutte su se stesso o scaricarle com-pletamente su gli altri. La condivisionedei rischi e delle responsabilità e la capa-cità di redistribuirli e socializzarli risulta

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al giorno d’oggi sempre più necessaria,ma anche sempre più difficile. Allora ca-pita che per molte lavoratrici e molti la-voratori il sindacato sia il soggetto re-sponsabile del disagio che vivono e al sin-dacato venga chiesto di risolvere il pro-prio problema, senza appello alcuno.Quello che abbiamo osservato in questimesi, ma sopratutto con le ultime elezio-ni politiche è emblematico. Le elezionipolitiche hanno lanciato tanti messaggi,ma tra questi uno è inequivocabile: i cor-pi intermedi hanno perso buona partedella loro legittimazione. Come spiegareinfatti che i partiti che hanno maggior-mente puntato nel rapporto con la so-cietà organizzata (PD/SEL e lista Monti)non hanno ricevuto i consensi sperati einvece hanno recuperato terreno coloroche puntavano, anche se in modo diffor-me, sul rapporto diretto tra popolo e lea-der (Grillo e Berlusconi)?Gli anni del Berlusconismo ci avevano giàabituato a questa tendenza, la novità peròè che questo sentimento intacca per la pri-ma volta anche il campo progressista. La crisi rende ultimativa la domanda diefficacia dell’azione politica e i corpi in-termedi più che una risorsa vengono per-cepiti come un ostacolo, e diventa su-perflua la constatazione che la loro crisidi risultati investe una dimensione piùcomplessa. Nel momento in cui salta in-fatti la catena delle responsabilità e i vin-coli di solidarietà si allentano l’architet-tura dei meccanismi rappresentativi di-venta un orpello e i populismi riescono afare breccia, puntando sul rapporto di-retto con le persone.D’altronde la crisi della rappresentanza ei populismi iniziano a rafforzarsi a vicen-da a seguito dei processi di globalizzazio-ne e finanziarizziazione dell’economia,

ovvero quando i livelli di potere e re-sponsabilità diventano così rarefatti daindebolire e delegittimare la politica na-zionale e il suo sistema di rappresentanzasociale. Un processo quindi che interessaalmeno gli ultimi 20 anni.Agli occhi di molti è difficile afferrare u-na controparte visibile che dia ragione delproprio disagio e induca a prendere par-te ad uno schieramento, la stessa questio-ne sociale e le disuguaglianze non sonopiù direttamente ascrivibili a qualcuno oqualcosa e vengono oscurate dall’ingiu-stizia della “casta”, che diventa simbolica,pur essendo in termini sostanziali unadelle ingiustizie meno rilevanti.I giovani sono figli di questa crisi e hannoconosciuto le organizzazioni di rappre-sentanza solo come il racconto di un’altraepoca, quell’epoca che, a fronte di unarabbia crescente, appare la causa della ter-ribile ingiustizia dei nostri tempi. Non èun caso infatti che il 48% dei giovanissi-mi abbia votato il Movimento 5 stelle eche la condizione di precarietà e disoccu-pazione delle nuove generazioni ponganuovi bisogni di rappresentanza che leforze politiche e sociali tradizionali nonriescono ad interpretare fino in fondo.Questo aspetto riguarda molto anche lefasce del lavoro autonomo e della picco-la impresa che in più occasioni hannomanifestato una domanda di nuova rap-presentanza dei loro interessi.Per uscirne dobbiamo innanzitutto por-ci una domanda essenziale: la crisi dellarappresentanza è anche la crisi dell’azio-ne collettiva?Io penso di no, e i movimenti spontaneidi questi anni ne sono la prova. Lo stes-so Movimento 5 Stelle tiene insieme lacontraddizione di una dinamica perso-nalistica del proprio leader e un attivi-

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smo diffuso nel territorio su temi di in-teresse dei cittadini. Questa contraddi-zione, seppur con approcci totalmentedifferenti, era presente anche nel succes-so di Nichi Vendola alle elezioni regio-nali, quando si è innescato un forte mec-canismo di partecipazione in tutta Italiacon le “Fabbriche di Nichi”.Le formazioni politiche di sinistra e i gran-di soggetti sociali, con punti di vista e o-biettivi ovviamente diversi, devono oggisciogliere il tema delle forme di partecipa-zione e rappresentanza. Questo passaggioè ineludibile se si vuole ricostruire un ter-reno di aggregazione che sappia ri-legitti-mare la rappresentanza. È necessario ride-clinare le forme della partecipazione rap-presentativa offrendo una risposta al biso-gno di partecipazione diretta.Sotto questo profilo la rete ha avuto unimpatto potentissimo rompendo ogniarticolazione e offrendo la possibilità del-l’interazione diretta. Le grandi organiz-zazioni sociali si sono rapportate con larete mostrando in ogni occasione il ti-more dell’interattività, come se fosse il“cavallo di Troia” per far saltare il propriosistema e i ruoli ad esso rispondenti. D’al-tro canto come ci conferma la vicenda delMovimento 5 Stelle la partecipazione di-retta e l’utilizzo della rete non assolvonoaffatto al bisogno di democrazia, anzi so-no sottoposti al grosso rischio di una pe-ricolosa manipolazione.Le forme della partecipazione devonoquindi essere aggiornate e ripensate ade-guandole alle domande della nostra epo-ca, agli strumenti e ai livelli di potere chesi sono rideterminati. Le ragioni dell’azione collettiva non ven-gono meno, ma come sempre non pos-sono essere sovradeterminate, devononutrirsi del desiderio di costruire “comu-

nità di destino” che rispondano, anche inmaniera disordinata e sfuggevole, ai biso-gni che ognuno porta con sé.

LE PRIORITÀ PER CAMBIARE IL SINDACATO. IN MEGLIOLa Cgil sta già affrontando una fase di ne-cessario cambiamento. Ma come semprela direzione del cambiamento non è af-fatto neutra. In ballo ci sono valori fon-dativi quali la natura del sindacato, l’in-sediamento sociale e territoriale, l’auto-rità contrattuale, la visione confederale.A mio parere per rilanciare questi valoribisogna puntare oggi su alcune prioritàqualificanti che diano un segno preciso.

1. Contrattazione inclusivaUna intera generazione è entrata nel mer-cato del lavoro senza aver mai visto né co-nosciuto un contratto nazionale. Una ge-nerazione che non sa cosa sia una giustapaga, il diritto ad ammalarsi, a fare figli, ariposare, a scioperare. Questo esercito diriserva è stato l’ultimo anello della catenasu cui scaricare i rischi e i costi della pro-duzione per poi diventare all’occorrenzalo strumento per mettere in discussione idiritti di tutti. Così come è successo negliultimi venti anni con le delocalizzazioni,gli appalti, le esternalizzazioni, le subfor-niture e potremmo continuare a lungo.La nostra rappresentanza e il nostro po-tere contrattuale si è indebolito proprionel momento in cui si è rotto il vincolodi solidarietà: così la nostra azione con-trattuale si è concentrata in un com-prensibile atteggiamento difensivo deidiritti acquisiti e abbiamo consentito chesi scaricassero tutte le contraddizioni sucoloro che si apprestavano ad entrare nelmondo del lavoro. Siamo tutti consapevoli dell’assedio che

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sta subendo la contrattazione collettiva, eproprio per questo diventa necessario in-dividuare una strategia nuova.Identificare la “contrattazione inclusiva”quale nuova frontiera è una scelta mol-to importante e non possiamo attende-re un minuto di più nel dare segnali for-ti e concreti.Contrattazione inclusiva significa ricom-porre la filiera dei diritti, includendo le ti-pologie di lavoro non dipendenti nei con-tratti nazionali, e sancire in primo luogoper tutti una giusta retribuzione, ma an-che l’individuazione di nuovi diritti lega-ti alla formazione, all’autonomia, alla pro-fessionalità. Deve essere infatti il sindaca-to ad interrogare le imprese rispetto al-l’innovazione dei processi produttivi enon limitarsi a subire le “non scelte” di po-litica industriale. Contrattazione inclusi-va non significa solo occuparsi delle di-verse tipologie contrattuali, ma guardareall’intero ciclo produttivo e utilizzare i li-velli di maggior forza sindacale per stabi-lire condizioni di lavoro decenti per i seg-menti più deboli, per esempio le impresein appalto o in subfornitura. Contrattazione inclusiva significa guar-dare alle politiche pubbliche siano esse na-zionali o territoriali per ridurre le disparità:pensiamo per esempio al sistema pensio-nistico o agli ammortizzatori sociali e aquanta iniquità viene scaricata su coloroche hanno carriere fragili e discontinue.Infine, contrattazione inclusiva significarappresentanza inclusiva, ovvero si ponela necessità di garantire diritti sindacalianche alle lavoratrici e ai lavoratori preca-ri. Come è evidente la possibilità di san-cire regole certe di democrazia e rappre-sentanza è un passaggio necessario persalvare l’intero sistema contrattuale: con-sentirebbe di dare forza e certezza alla

contrattazione e legittimare l’azione sin-dacale. Proprio per questo non possiamopermetterci che 4 milioni di lavoratori ri-mangano esclusi dalla vita democraticanei loro luoghi di lavoro.

2. Investimento straordinario nelreinsediamento e nell’organizzazionedel lavoro discontinuoLa contrattazione inclusiva potrà trova-re forza e legittimazione solo se accom-pagnata da una coerente strategia di rein-sediamento. Significa costruire iniziati-ve mirate per rendere trasparente, rico-nosciuta e partecipata nei singoli settorila nostra battaglia per la contrattazioneinclusiva. Le campagne di sindacalizza-zione che vengono raccontate nelle pagi-ne che seguiranno ne sono un esempio.Ma significa anche costruire un reinse-diamento sociale nel territorio che sap-pia riaggregare le differenti figure rispet-to ai loro bisogni per costruire coalizionisociali e battaglie locali. Su questo ci so-no molti esempi nelle pagine che verran-no, dalla “Laane” americana alle espe-rienze degli spazi giovani sorti in alcuneCamere del Lavoro.Una operazione di reinsediamento diquesto tipo necessita di risorse economi-che ed umane.Nella necessaria, e peraltro già avviata, rior-ganizzazione della struttura Cgil è neces-sario non solo spostare risorse dal centro alterritorio, ma spostare risorse dall’attivitàordinaria a quella straordinaria. Come sap-piamo non è affatto semplice visto che at-tualmente l’attività ordinaria fa fatica adauto-sostenersi, considerato il crescente bi-sogno di tutela dei lavoratori e la contem-poranea riduzione delle risorse dovute allacrisi economica ed occupazionale.Però si tratta di una strada obbligata per

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esplorare nuove forme organizzative edessere sempre più rappresentativi. Se lascelta di fondo è il potenziamento del ca-rattere confederale e solidaristico dell’or-ganizzazione, diventa necessario utilizza-re questo parametro per incrementare ilfondo di reinsediamento e riformarlo af-finché sia utilizzato unicamente per pro-getti dal carattere straordinario, che ven-gano monitorati e valutati nel tempo.Ovviamente anche la nostra struttura or-dinaria deve essere capace di scelte corag-giose, a partire dal necessario ricambio ge-nerazionale e dall’ingresso di giovani qua-dri all’interno della Cgil (ci dovrebbe esse-re quantomeno l’obiettivo minimo di rap-presentare quel 21% di giovani iscritti).Infine, se l’imperativo è quello di orga-nizzare con più forza il lavoro discontinuo(disoccupati e precari) devono essere af-frontati i nodi strutturali, da troppi annirinviati, rispetto alla sua rappresentanza.Questa stagione passata ha reso evidentequanto sia necessaria la solidarietà e quin-di la responsabilità delle categorie nel far-si carico dei problemi dei lavoratori pre-cari, ma, allo stesso tempo, è riduttivo esemplicistico pensare che fasce di lavora-tori sempre più mobili e discontinui pos-sano essere curati esclusivamente dalle ca-tegorie. Occorre immaginare una riorga-nizzazione che preveda contemporanea-mente maggiore responsabilizzazionedelle categorie e una forte azione di coor-dinamento e rappresentanza che investail livello confederale, sia sul piano nazio-nale, che su quello territoriale.

3. Cambiare la cultura organizzativaPoter fare scelte strategiche di questo tipoè necessario cambiare anche alcuni aspet-ti della nostra cultura organizzativa.Una delle osservazioni ricorrenti è che i

funzionari della Cgil devono essere piùpresenti nei posti di lavoro, organizzareassemblee, esercitarsi in contesti periferi-ci. Questo è molto vero, ma non basta.Abbiamo bisogno di dare respiro all’or-ganizzazione moltiplicando gli spazi dipartecipazione.Oggi il nostro modello organizzativo e dipartecipazione tende ad essere troppoverticale e ingessato per una società sem-pre più orizzontale e fluida. Gli spazi peresprimere attivismo all’interno del sinda-cato troppo spesso coincidono esclusiva-mente con gli incarichi funzionariali ocon la presenza negli organi direttivi espesso non ci sono modalità più infor-mali e orizzontali di partecipazione. An-che le assemblee nei luoghi di lavoro o gliattivi dei quadri e dei delegati rischiano diessere occasioni rituali. Peraltro solo unaplatea ristretta di lavoratrici e lavoratoriha la possibilità di partecipare alle assem-blee in azienda o agli attivi provinciali:magari perché non ha diritti sindacali op-pure perché non c’è un insediamento nelproprio luogo di lavoro. È quindi neces-sario immaginare delle forme di attiva-zione che coinvolgano iscritti e simpatiz-zanti in iniziative mirate siano esse cam-pagne, singole battaglie, momenti di ap-profondimento ed elaborazione. Imma-giniamo forme di coinvolgimento diret-te e più orizzontali che possano mettere avalore le competenze e le sensibilità deisingoli compagni.Infatti sarebbe lecito chiedersi come maiin questi anni si è sviluppato un forte at-tivismo da parte del mondo giovanile at-traverso la rete, i movimenti, l’associazio-nismo, i comitati e questa ricchezza è sta-ta intercettata così poco dalla Cgil.Questo punto diventa decisivo e non èsolo un problema relativo agli strumenti

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utilizzati (per intendersi quanto deve es-sere privilegiata l’interazione online, ri-spetto a quella off line), ma alla culturaorganizzativa e agli spazi che si intendo-no aprire, consapevoli che la partecipa-zione non è mai un pericolo, ma una ine-sauribile risorsa, se ovviamente viene sa-puta valorizzare nel modo opportuno.Solo in questo modo la Cgil può diven-tare più permeabile alle istanze che simuovono al di fuori e può realmente riat-tivare territorio. Questa per esempio è ladomanda di fondo che è emersa con le e-sperienze territoriali della campagna gio-vani NON+ disposti a tutto o con gli spa-zi di aggregazione nelle Camere del La-voro di cui parleremo ampiamente nel-l’ultima parte di questa pubblicazione.È bene precisare un aspetto: quando im-maginiamo queste forme di partecipa-zione, sappiamo bene che esse devono ac-costarsi e non certo sostituire la strutturaattuale. È piuttosto evidente infatti che lastruttura verticale e articolata della Cgilne garantisce forza e solidità ed è stata peranni anche la garanzia della rappresenta-tività. Proprio questo ultimo aspetto og-gi è entrato in crisi. Per questo immagi-niamo di accostare alla struttura consoli-data alcune azioni straordinarie, orizzon-tali e agili sul modello della “task force”,per intercettare i segmenti che oggi cisfuggono e renderli parte integrante del-l’organizzazione.Questo concetto richiama l’immagine diun animale che spesso viene usato comemetafora delle grandi organizzazioni dirappresentanza: l’elefante. L’elefante è unanimale lento ai cambiamenti, ma è an-che forte e solido, con una lunga memo-ria. Certo l’elefante non potrà mai essererapido e scattante però sopperisce a que-sto bisogno con la proboscide che gli con-

sente di raggiungere qualsiasi cosa. La C-gil dovrebbe riorganizzarsi guardando aquesta immagine e potenziando la pro-pria proboscide con azioni straordinarie esperimentali, capaci di arrivare anche nel-le aree più periferiche della nostra società.

Il sindacato che verràIl Segretario Generale della Cgil SusannaCamusso nell’intervista-libro “Il lavoroperduto” alla domanda quale sia stato ilsuo miglior risultato afferma: “Certo, chegiovani non più disposti a tutto sia di-ventata realtà della nostra organizzazioneche si sia aperta una discussione nuova suigiovani lo ritengo un bel risultato”. Sicu-ramente in questi anni una discussionenuova si è aperta e i giovani quadri han-no fatto emergere un punto di vista cherappresenta una ricchezza sia per l’oggi,che per il futuro.Molte delle esperienze raccontate in que-sta pubblicazione nascono, come pergemmazione, dalla campagna “GiovaniNON+ disposti a tutto” e sono esperi-menti innovativi per la Cgil per il tipo disoggetti mobilitati, per i contenuti solle-vati, per le forme utilizzate. La campagnain questi due anni ha seguito un cammi-no fatto di sentieri nuovi nel tentativo dirispondere alle tante domande che passodopo passo sono emerse. Il “sindacato che verrà” non può fare ameno di queste domande, dell’urgenza edella curiosità che le contraddistingue, ese anche un esperimento può non fun-zionare la scelta che vi è dietro diventa ir-reversibile. Di queste scelte la Cgil ha bi-sogno se vuole rinnovarsi davvero escommettere fino in fondo sulla proprianatura di sindacato generale.

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“Organizzare i disorganizzati”. Eraquesto il titolo di un numero

speciale della rivista molecoleonline e diuna giornata di studio dedicata alle nuo-ve pratiche di sindacalizzazione e attiva-zione sociale celebrata alla festa estiva deigiovani della Cgil nell’estate del 2011.Quel titolo era il frutto di una suggestio-ne in fondo banale, ma di cui si sentivaevidentemente il bisogno. L’idea era quella di tornare a guardare allavoro sindacale attraverso la lente del po-tere, quello degli individui sulle proprievite e quello dei gruppi sociali sull’insie-me dell’organizzazione sociale. In questaprospettiva, nel contesto di una societàdemocratica e pluralista, l’impegno perla giustizia e per l’eguaglianza non pote-va limitarsi all’obiettivo della redistribu-zione della ricchezza, ma doveva - sem-pre di più - porre quello della redistribu-zione del potere. Il potere è frutto anchedella capacità di organizzarsi e, agli occhidei promotori di quelle iniziative, i grup-pi sociali che erano “disorganizzati” era-

no probabilmente privi di potere: occor-reva quindi “organizzare i disorganizza-ti”, studiando e immaginando nuove for-me di azione collettiva capaci di permet-tere ai deboli e agli esclusi di accedere al-la loro “fetta” di potere e di controllo sul-l’organizzazione sociale. L’interesse per leesperienze di “community organizing” –nei campi sindacale, dell’attivismo socialee dei movimenti urbani – maturate in di-versi paesi nasceva da quella suggestione.In questa sede presento e discuto alcunedelle strategie di rivitalizzazione portateavanti dai sindacati americani. Strategieche, attingendo alla tradizione del com-munity organizing, si sono costruite at-torno al concetto di potere e che, comevedremo, hanno più di un suggerimen-to da offrire alla riflessione sul futuro delsindacato nel nostro paese e in Europa.

LEZIONI AMERICANEFra gli anni novanta e duemila, negli Usa,matura un cambiamento profondo nel-le strategie e nei funzionamenti quoti-

PARTE SECONDA

Dal community organizing al rilancio del movimentosindacale: esperimenti americani,britannici e tedeschi

Lezioni americane. Ovvero come rilanciare il sindacatofacendone un movimento socialeALESSANDRO COPPOLAPolitecnico di Milano

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diani delle organizzazioni sindacali. L’o-rigine della svolta è senza dubbio la cri-si delle stesse organizzazioni sindacali.Sia chiaro il contesto regolativo profon-damente diverso dal nostro, sebbene ten-denzialmente convergente: un sistemadi relazioni industriali sempre più diffi-cile e ostile ai sindacati; alcune normechiave che rendono difficile la sindaca-lizzazione; il carattere prevalentementeaziendale della contrattazione in un qua-dro istituzionale fortemente federalisti-co. In questo quadro, il sindacato ame-ricano arriva agli anni 90 dello scorso se-colo decisamente dimagrito: il tasso disindacalizzazione è ormai ridotto a cir-ca il 12%, un livello che diviene di mol-to inferiore se si considera il solo setto-re privato. S’impone quindi una svolta.Nel dibattito che si svilupperà all’inter-no dell’American Federation of Labor(Afl-Cio) emergono due scelte strategi-che: la forte espansione dell’investimentoin campagne di sindacalizzazione in di-rezione di immigrati e lavoratori pove-ri da una parte, e la rivitalizzazione – permolti versi la creazione ex novo – dellestrutture territoriali del sindacato dal-l’altra. Alla fine degli anni duemila, do-po quindici anni di sperimentazione diqueste linee strategiche, secondo moltiosservatori una componente crescentee consistente del movimento sindacaleamericano si sarà lasciata alle spalle il mo-dello del cosiddetto business unionism– con il suo minimalismo corporativo –a favore del social movement e com-munity unionism: invece di “servire” gliiscritti esistenti si favorirà l’attrazione dinuovi iscritti, al posto della mera pre-servazione della presenza nei settori incui il sindacato risultava in declino sipunterà a una strategia di insediamen-

to nel settore dei servizi dominati prin-cipalmente da una manodopera immi-grata e marginalizzata.

IL RITORNO DELLA CULTURA DEL COMMUNITY ORGANIZING:LA CAMPAGNA JUSTICE FOR JANITORSSul primo passaggio è fondamentale unriferimento storico: il patrimonio di pra-tiche organizzative cui attinge il sinda-cato americano della svolta è quello delcosidetto Community organizing, percome esso fu sistematizzato e messo inpratica dal suo fondatore Saul Alinsky,una figura molto influente nella storiadel progressismo americano. Nello sto-rico distretto del meatpacking della Chi-cago degli anni trenta, Alinsky era statoprotagonista di uno dei più straordinariesempi di sindacalizzazione e di costru-zione comunitaria della storia america-na. Al centro della sua ricetta stava l’ideache l’azione politica e sociale democra-tica dovesse avere come fine fondamen-tale quello della costruzione del poterefra i deboli e gli esclusi. Questo andavacostruito sulla base della percezione chedei propri interessi avevano le stesse po-polazioni mobilitate prima ancora chesulla base di schemi culturali “di impor-tazione”, sul coinvolgimento del territo-rio in tutte le sue forme, sulla tessitura dicoalizioni sociali larghe ed in una certamisura inusuali ed infine sulla laboriosacostruzione di leadership naturali ed “in-digene” che fossero espressioni direttadei gruppi mobilitati. Dagli anni trentain avanti, la tradizione del communityorganizing ha animato decenni di batta-glie progressiste nel paese – dal movi-mento per i diritti civili ai movimenti peri diritti di welfare – per poi, sulla sogliadegli anni novanta, dare un contributo

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fondamentale alla rivitalizzazione delmovimento sindacale e di conseguenzadel progressismo americano culminan-ti nella vittoria di Obama nel 2008. Le politiche perseguite dalla Service Em-ployees International Unions, un’orga-nizzazione sindacale attiva nel settore deisrivizi “poveri”, rappresentano efficace-mente questa evoluzione. Nel 1990, Seiudecideva di investire il 30% del suo bi-lancio nella costruzione di campagne disindacalizzazione di lavoratori non sin-dacalizzati che impiegassero le tecnichedel community organizing. La nuovastrategia prevedeva che gli organismi na-zionali del sindacato assistessero, con delpersonale qualificato, le sedi locali nellacostruzione delle campagne locali. L’in-troduzione di meccanismi premiali do-veva poi favorire l’emergere delle buonepratiche e la loro disseminazione. Nel1990 Seiu lancerà in California la cam-pagna Justice for Janitors, che ben pre-sto sarà assunta come la rappresentazio-ne perfetta del nuovo corso sindacale.Con Justice for Janitors, i lavoratori im-migrati concentrati nei servizi poveri - inquesto caso le centinaia di migliaia di la-voratori delle pulizie nell’area metropo-litana di Los Angeles - una volta visti co-me inorganizzabili, diventavano il pri-mo obiettivo di un’aggressiva campagnadi sindacalizzazione. La campagna si strutturerà attorno adalcuni principi chiave: 1) l’individua-zione del territorio quale arena privile-giata del dispiegarsi dell’azione sindaca-le data la frammentazione e l’inagibilitàsindacale dei luoghi di lavoro; 2) il for-te investimento su un ruolo attivo degliiscritti e poi dei lavoratori in via di sin-dacalizzazione anche per mezzo di atti-vità di leadership development, vale a

dire l’individuazione e la formazione dinuovi leader fra i lavoratori e non solo;3) l’esemplarità e visibilità delle inizia-tive nell’ambito di un’efficace strategiadi comunicazione; 4) la costruzione dialleanze sul territorio con altri attori so-ciali, a partire dalle comunità migranti,ed infine 5) l’inquadramento della bat-taglia sindacale in una narrazione di re-gistro universalistico che addirittura mo-bilitava la categoria del diritti umani nelrappresentare le inaccettabili condizio-ni di lavoro dei janitor. L’esito della cam-pagna sarà la sindacalizzazione di circa60.000 lavoratori – che equivarrà allafirma di centinaia di contratti collettivie di un contratto di settore per l’area me-tropolitana – e sul lungo periodo, se-condo molti osservatori, l’inizio della ri-vitalizzazione del movimento sindacalee di quello progressista a Los Angeles. Ilmodello di Justice for Janitors verrà re-plicato in centinaia di campagne di sin-dacalizzazione in tutto il paese, facendodi Seiu un caso eccezionale di rilanciodel movimento sindacale. Contestual-mente, il lancio delle cosiddette corpo-rate campaign, orientate a una specificaazienda, integrerà il modello di Justicefor Janitors: in questo caso i sindacati ri-correranno a tattiche esterne e interneal posto di lavoro in modo da esercitareuna forte pressione esterna sull’impre-sa, anche coinvolgendo i media e altriattori locali e nazionali; cercheranno diinfluenzare l’opinione pubblica in mo-do nuovo premendo su clienti, sussi-diarie, subappaltatori, sistema bancario;ricorreranno a molto lavoro di ricerca einformazione – anche con l’assunzionedi personale addetto a tempo pieno - persvelare le strategie aziendali anche pro-ponendo scelte manageriali alternative.

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LA RISCOPERTA, O MEGLIO LA SCOPERTA DEL TERRITORIO: L’ESEMPIO DELLA “LAANE”Come abbiamo detto, la seconda di-mensione organizzativa della svolta ri-guarderà la costruzione di nuove cam-pagne di “contrattazione territoriale”. Fi-no alla svolta degli anni novanta, Il sin-dacato americano era stato caratterizza-to da un modello organizzativo netta-mente “verticale”, con una bassa strut-turazione “territoriale” e “confederale”.Sono diverse le ragioni che spingerannoil sindacato americano a mettere in di-scussione questa eredità scoprendo la di-mensione territoriale. Questa assumeràimportanza per via della frammentazio-ne e terziarizzazione dell’economia cherendeva obsoleto il modello del businessunionism, e anche per la sempre mag-giore influenza delle amministrazioni lo-cali nelle scelte economiche sociali in uncontesto fortemente federalistico comequello americano. Più complessivamen-te, sarà la tematizzazione del nesso fra l’in-tensificarsi dello sfruttamento sul luogodi lavoro e la crescente incapacità di assi-curarsi la riproduzione sociale fuori dalluogo di lavoro a spingere il sindacato inquella direzione: il lancio di campagnesu temi quali il living wage, la salute, lecondizioni ambientali e abitative, la re-sponsabilità sociale d’impresa sarà il ri-sultato di questo passaggio fondamenta-le. Il sindacato americano si ri-territoria-lizzerà perché si sarà, in una certa misu-ra, ri-socializzato determinando così l’av-vento di un nuovo strumento, la cam-pagna territoriale, e di un nuovo sogget-to, la coalizione territoriale. Il primo pas-so di questa strategia sarà la rivitalizza-zione dei Central Labour Council, il se-condo passo sarà l’investimento nella na-scita di nuove strutture – i cosiddetti

think-and-do thank – che si sono rivela-ti, specie in alcuni casi, la struttura chia-ve protagonista della svolta. I think-and-do thank, come suggerito dal nome, so-no agili organizzazioni locali animate daricercatori-attivisti che trattano i temi del-la politica locale in termini strategici: in-dividuare priorità per il movimento sin-dacale e, più in generale, per il movimentoprogressista a livello locale; costruire lecondizioni per un’azione sindacale e so-ciale di successo capace di mutare i ter-mini del dibattito politico locale; in-fluenzare il processo elettorale e di con-seguenza cambiare le politiche pubbli-che. Per chiarire senso, funzione e fun-zionamento di queste strutture mi limi-terò all’esempio del think-and-do thankpiù noto, vale a dire la Los Angeles Al-liance for a New Economy (Laane). Laa-ne nasce nei primi anni novanta su ini-ziativa di Here – un’altra organizzazionesindacale attiva nel settore dei servizi –raccogliendo un primo nucleo di ricer-catori e attivisti di area progressista. Neiprimi anni di vita, Laane svolge ricerchesu temi quali le condizioni di lavoro nelsettore dei servizi e le politiche economi-che dell’amministrazione comunale, pro-ducendo studi e rapporti largamente pub-blicizzati capaci di esercitare influenzasull’opinione pubblica locale. Da questolavoro si risalirà poi alla formulazione diuna vera e propria agenda sociale e sin-dacale poi messa in pratica attraverso l’or-ganizzazione di aggressive campagne ter-ritoriali. Fra gli anni novanta e gli anniduemila, su iniziativa di Laane, sono rea-lizzate una campagna per il consegui-mento di una norma locale sul living wa-ge e una campagna per la sindacalizza-zione dei 50.000 lavoratori dell’aeroportodella città. Successivamente, Laane de-

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cide di aprire una linea di attività sul te-ma delle politiche urbanistiche interve-nendo attivamente, sempre in stretto col-legamento con le organizzazioni sinda-cali, nel dibattito attorno ad alcuni gran-di progetti urbani che offrono l’oppor-tunità di gettare le basi di coalizioni lo-cali capaci di partecipare da posizioni diforza ai relativi processi negoziali. L’esi-to di questo impegno è l’elaborazione el’introduzione effettiva di un nuovo di-spositivo contrattuale – il cosiddettoCommunity Benefits Agreement (Cba)– che ha permesso alle coalizioni localidi ottenere, rendendoli legalmente esi-gibili, consistenti miglioramenti nellaqualità sociale e ambientale dei proget-ti. È importante precisare come tutti que-sti successi si siano prodotti entro il qua-dro d’azione e la narrazione proposte daLaanedi cui queste sono le direzioni fon-damentali: 1) il legare fortemente le que-stioni sindacali a scelte politiche territo-riali e a scelte etiche generali; 2) il pro-durre saperi e informazioni sul territo-rio – anche per mezzo del coinvolgi-mento degli ambienti della ricerca - ca-paci di riequilibrare i rapporti di forzafra sindacato, movimenti locali, interes-si datoriali e poteri politici attraverso unforte ed informato appello all’opinionepubblica; 3) il costruire coalizioni terri-toriali non strumentali che si basino supiattaforme che non siano una “lista del-la spesa” bensì il frutto di una forte di-namica partecipativa e del riconosci-mento di tutti gli attori; 4) l’allargare inmodo fondamentale la platea dei parte-cipanti – iscritti e non iscritti al sindaca-to – democratizzando il processo di for-mulazione delle priorità e puntandoespressamente alla formazione di nuovileader e attivisti.

IL SENSO DELLE LEZIONI AMERICANE Per comprendere a fondo il senso dellasvolta compiuta dai sindacati statuni-tensi è fondamentale esplicitarne la pre-condizione culturale. Di fronte al rischiodell’estinzione, i settori più avanzati delsindacato hanno compreso che era ne-cessario un cambiamento radicale di stra-tegia: occorreva ricostituire le basi stessedel potere sindacale che, negli anni, eraandato vistosamente riducendosi. Pote-re è qui la parola chiave: le condizioni incui operava il sindacato si erano talmen-te degradate da rendere impossibile la ri-cerca della legittimità nella dinamica del-le relazioni con gli altri attori; occorrevain altre parole mutare le condizioni dicontesto dal basso verso l’alto. L’assun-zione del patrimonio del community or-ganizing è discesa da questo assunto. Lapartecipazione, l’attivazione degli iscrit-ti, l’impegno straordinario nelle campa-gne di sindacalizzazione e l’investimen-to su nuovi leader sono diventati gli stru-menti per la ricostruzione del potere deilavoratori e dei gruppi sociali esclusi. Que-sti strumenti erano funzionali al cam-biamento della dinamica negoziale, daconseguire anche per mezzo dell’aper-tura di nuove arene che, in qualche mi-sura, “sorprendessero” gli avversari diso-rientandoli. Complessivamente, nellenuove arene come in quelle vecchie, l’i-dea era quella di non ottenere un risul-tato a “porte chiuse” se lo si poteva otte-nere con l’attivazione delle persone e conil massimo coinvolgimento dell’opinio-ne pubblica. Nelle campagne citate nonsi chiedeva alle persone di fungere dacomparse di un percorso deciso dai diri-genti, ma viceversa di essere protagoni-sti attivi delle decisioni. Questo perché,nella linea del community organizing,

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ogni battaglia sociale ha necessariamen-te due obiettivi: ottenere risultati nel bre-ve termine, ma anche ottenerli secondomodalità che permettano il rafforzamentodel capitale sociale, politico e organizza-tivo a disposizione di obiettivi da conse-guire nel medio e lungo termine. Per fa-re questo occorre poi costruire coalizio-ni e farlo in un modo che sia, per così di-re, sincero: i sindacati hanno cessato dipraticare una linea opportunistica cheprevedeva la richiesta di sostegno alle pro-prie priorità definite in solitudine e han-no iniziato a sperimentarsi nella costru-zione di autentiche coalizioni fra attoridiversi cui erano riconosciuti eguali le-gittimità e peso. L’avvento di questa nuo-va strategia ha implicato un ingente spo-stamento di risorse, una profonda evo-luzione nella cultura sindacale e un for-te cambiamento nei rapporti con il par-tito di riferimento, che si è trovato a farei conti con un sindacato deciso a impor-re le sue priorità, a mobilitarsi per far pre-valere i candidati che ne sposassero le te-si e a divenire un attore locale influentee per nulla timoroso di giocare un ruoloautonomo, anche nei confronti di am-ministrazioni locali democratiche. Perintenderci sulla portata di questa svolta,la scissione sindacale, poi parzialmenteriassorbita, del 2005 si è consumata sul-le dimensioni finanziarie da attribuire al-l’investimento nelle campagne di orga-nizing: gli scissionisti di Change to Winproponevano di impiegarvi il 75% men-tre la dirigenza di Afl-Cio era “colpevo-le” di volersi fermare sotto il 50%. Ma il cambiamento, nelle sue varie for-me, non è stato indolore. Le nuove stra-tegie hanno dovuto fronteggiare una dif-fusa resistenza interna, riconducibile neisuoi fenomeni alla cosiddetta “legge di

ferro dell’oligarchia” formulata dal so-ciologo Robert Michels all’inizio del No-vecento. Le logiche burocratiche e di ce-to presenti, in misura più o meno pato-logica, in qualsiasi organizzazione nonpotevano che presentarsi come ostacolisulla strada del cambiamento: 1) l’enfa-si sulla partecipazione e sulla costruzio-ne di nuova leadership implicava infattiuna redistribuzione del potere ed un al-largamento della base decisionale, e inparticolare in direzione di gruppi stori-camente marginalizzati; 2) il ri-orienta-mento delle risorse verso la sindacalizza-zione di nuovi settori e territori implica-va l’abbandono o il ridimensionamentodi attività che erano maggiormente ri-spondenti agli istinti di auto-conserva-zione dei gruppi dirigenti; infine 3) l’en-fasi sull’adozione di nuove pratiche ecompetenze organizzative, anche dadiffondere con l’immissione di nuovopersonale di estrazione diversa da quellatradizionale, metteva in crisi routines eposizioni di potere consolidate. Le resi-stenze sono state vinte anche grazie a com-portamenti virtuosi dei gruppi dirigen-ti: il problema delle resistenze interne èstato reso oggetto di dibattito franco al-l’interno dell’organizzazione e le leader-ship nazionali hanno reso possibile il cam-biamento anche attraverso l’immissionedi figure esterne, di grande autorevolez-za, capaci di arginare le resistenze. In par-ticolare a rivelarsi fondamentale è statala provenienza di molti dei nuovi leadere attivisti da altri movimenti sociali. Que-sto nuovo personale non era abituato almodello del business unionism, mentreaveva familiarità con modelli alternatividi mobilitazione collettiva fondati sulconcetto della costruzione del potere frai gruppi sociali di riferimento, era por-

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tatore di un rapporto più disinvolto ecreativo con il tema delle tattiche di mo-bilitazione e, infine, di una naturale cul-tura delle alleanze con altri soggetti.

REIMMAGINARE LA CGILCosa possiamo farne in Italia di questelezioni americane? Prendiamo l’esem-pio della contrattazione sociale territo-riale, che era una delle scelte qualifican-ti di recenti congressi e conferenze d’or-ganizzazione della Cgil. Il rapporto frareinsediamento organizzativo e con-trattazione sociale è evidente. Purtrop-po, il quadro che emerge dall’ultimo rap-porto sul tema a cura dell’Ires non èconfortante. Nel rapporto si sottolinea-no molte questioni critiche. La prima èla ristrettezza del numero e della qualitàdei soggetti che partecipano alla con-trattazione sociale territoriale: il coin-volgimento delle organizzazioni di ca-tegoria è molto basso come molto esi-gua è la presenza di soggetti del terzo set-tore e più in generale dell’associazioni-smo. La seconda è la forte “parzialità so-ciale” della contrattazione sociale, sulfronte della formulazione delle piat-taforme, ma ancora di più su quello del-la costruzione effettiva degli accordi; aquesto proposito gli autori del rappor-to del 2011 sottolineano come ci si tro-vi di fronte “a una contrattazione socia-le che con difficoltà riesce a intercettaree promuovere i bisogni e le esigenze deisoggetti non maggioritari e non tradi-zionali, in particolare donne, giovani,immigrati” (Cgil, Ires, Spi Cgil, 2011).La terza è la preoccupante debolezza par-tecipativa che caratterizza la contratta-zione sociale sul territorio: nella stra-grande maggioranza dei casi si tratta diprocessi gestiti dai gruppi dirigenti, sen-

za nessun vero coinvolgimento né delcorpo degli iscritti né della generalità deicittadini e dei gruppi sociali cui si fa ri-ferimento. Questi nodi critici rimanda-no a molti degli ingredienti della strate-gia di rivitalizzazione promossa dal sin-dacato americano: attivazione degli iscrit-ti e dei cittadini, costruzione di coali-zioni larghe, impegno a fare emergere ledomande collettive dormienti dei grup-pi sociali più deboli, capacità di mette-re in gioco risorse e conoscenze che esi-stono nel corpo sociale e che aspettanosolo di essere sollecitate, abilità nel risa-lire in generalità e nel connettere temi econdizioni che normalmente vengonopresentati come fra loro separati. Daquanto detto consegue, quindi, un ri-pensamento profondo delle politicheorganizzative della Cgil e, in particola-re, di quelle di “reinsediamento”. Oc-corre passare da un modello nel qualequeste sono troppo spesso intese comeinvestimento straordinario in direzionedella mera estensione delle strutture or-dinarie della Cgil a un modello nel qua-le il reinsediamento sia, viceversa, inte-so come investimento nell’innovazionesociale e organizzativa, da situare sui ver-santi più critici dell’agenda sociale e sin-dacale, finalizzato a mettere attivamen-te in discussione il funzionamento or-dinario dell’organizzazione. Da questopunto di vista, non è un caso che moltidegli esperimenti portati avanti negliUsa suggeriscano l’immagine dell’incu-batore: rimandino ovvero al desiderio dicreare strutture e situazioni in una qual-che misura parallele a quelle ordinarienelle quali far maturare pratiche inno-vative poi destinate a influenzare e tra-sformare i funzionamenti ordinari del-le organizzazioni. I programmi di rein-

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sediamento dovrebbero quindi costi-tuire non un’estensione della Cgil com’èoggi, ma la realizzazione prefigurativa diquella che il gruppo dirigente e il corpodegli iscritti immaginano possa essere laCgil fra vent’anni: immaginare, ecco laparola chiave. Come nel caso america-no, a essere necessario è una sorta di con-trappunto fra una forte e rinnovata au-torevolezza e capacità d’orientamentodel centro confederale nazionale – giu-stificato sulla base della necessità di ga-rantire l’attuazione della linea strategi-ca dell’allargamento della base socialedel sindacato – e di una più spiccataproattività e creatività delle strutture ter-ritoriali capaci di approfittare degli spa-zi di auto-determinazione generati pro-prio su iniziativa nazionale. In questa se-de mi limiterò a ipotizzare quattro pos-sibili progetti innovativi.

1. Il primo, un programma dimo-strativo volto alla costruzione dicampagne di contrattazione so-ciale e territoriale a livello urba-no e/o metropolitano che inter-vengano espressamente sui limiti ri-levati dal Rapporto Ires del 2011 equi richiamati. Le Campagne do-vrebbero puntare ad attivare deter-minati gruppi sociali oggi sotto-rap-presentati ricorrendo e veri percor-si di partecipazione, a coinvolgereattivamente saperi locali e mondodella ricerca e a costruire coalizionisociali sul territorio. Si lavori in par-ticolare alla creazione di spazi in-novativi e flessibili, nei quali si fac-cia ricerca-azione sul modello deithink-and-do e che abbiano la ca-pacità di coinvolgere e attivare ri-sorse locali ora dormienti: pensate

all’incredibile patrimonio d’intelli-genza collettiva rappresentato daitanti ricercatori e attivisti che nellenostre città hanno scarse occasionidi impiegare il loro patrimonio diconoscenze in termini “pubblici”.

2. La seconda, si individuino un nu-mero limitato di territori urbanie metropolitaninei quali alle con-dizioni di perifericità territoriale siuniscano condizioni di perifericitàsociale: deprivazione economica,inadeguatezza dei servizi pubblici,crisi della vita quotidiana, condi-zioni di povertà e disagio diffusi. Sicostruiscano in questi territori deiprogetti di reinsediamento che pren-dano a pretesto l’apertura di una se-de – una “camera del lavoro” di ti-po nuovo al cuore dei territori delnon lavoro e dell’esclusione – perlanciare campagne di attivazione frale popolazioni residenti che ripren-dano alcuni insegnamenti della tra-dizione del community organizing.Si affianchi al personale sindacaledel personale nuovo, anche di estra-zione diversa da quella sindacale, se-lezionandolo in modo rigoroso e sistabilisca un bilancio per la pro-mozione delle attività sottoponen-dolo a criteri stringenti di valuta-zione. Le attività dovrebbero pun-tare allo sviluppo di leadership nel-la popolazione – nativa e immigra-ta - attraverso l’organizzazione dicampagne territoriali che affronti-no i nodi della deprivazione terri-toriale: i servizi pubblici, l’abitarein senso lato, l’occupazione.

3. La terza, si immagini un numerolimitato di progetti di reinsedia-mento legati allo sviluppo di for-

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me di “contrattazione inclusiva”,progetti di contrattazione di sito oancor di più di filiera che affronti-no contestualmente la necessità diconfrontarsi con il governo di pro-cessi produttivi molto complessi intermini concreti e creativi e quelladi ricomporre il quadro dei diritti edelle tutele lungo il ciclo produtti-vo. La contrattazione di filiera im-plica, infatti, un salto di qualità nel-l’azione sindacale sul territorio: nel-la formazione di nuove figure sin-dacali dotate di competenze com-plesse; nella capacità di svolgere fun-zioni sofisticate di formazione, mo-nitoraggio e valutazione; nello svi-luppo della dimensione della ricer-ca, dell’informazione e dell’anima-zione nei confronti dell’opinionepubblica; nello sviluppo di compe-tenze sul governo dei processi pro-duttivi; nella creazione di una nuo-va arena partecipativa a cavallo del-le strutture tradizionali.

4. Da ultimo, un progetto innovati-vo per il centro confederale.Per ri-qualificare e innovare il centro con-federale, rendendolo anche adeguatoalle nuove politiche di reinsedia-mento, si pensi a un sistema inno-vativo di coinvolgimento di giova-ni ricercatori e attivisti. Si chiaminoborse di ricerca e azione e siano in-titolate a donne e uomini della Cgilche si sono distinti nell’opera di sin-dacalizzazione e d’inclusione di nuo-vi gruppi sociali. Si organizzi una se-lezione nazionale dei candidati, conun gruppo di valutatori di prestigio,e si assegni ogni anno un numero li-mitato di borse biennali a giovani ri-cercatori e attivisti qualificati che va-

dano a integrare alcuni dipartimentichiave del centro confederale anchein vista del lancio dei progetti cheabbiamo ipotizzato.

Quanto proposto in questa sede non èné da intendere come necessariamentealternativo a tutto quello che si fa oggi– molte esperienze interessanti e so-stanzialmente coerenti con la prospet-tiva illustrata in questo contributo so-no discusse in questa raccolta – né co-me esaustivo degli obiettivi di una nuo-va politica di reinsediamento: basti pen-sare a quanto si dovrebbe e potrebbe fa-re su precariato e immigrazione. Sonoperò proposte esemplificative della lo-gica che questa dovrebbe seguire: la lo-gica è quella di progetti che non esten-dano l’esistente, ma che creino il nuo-vo, che non abbiano l’obiettivo di “pre-sidiare” il territorio, ma di riattivarlo,che non rendano possibile una gestio-ne oligarchica dei processi, ma che im-plichino un allargamento consistente evalutabile della platea – di individui edi gruppi sociali – di chi decide. Que-sto implica anche un cambiamento del-l’approccio nei risultati attesi: i proget-ti ipotizzati richiedono un’organizza-zione che non pretenda sempre risulta-ti immediati in termini di iscritti e dientrate finanziarie, e che sia quindi ca-pace di sostenere un investimento dilungo periodo che generi risultati piùdi natura qualitativa che quantitativa.Un investimento che sarebbe però alcuore del rilancio di una strategia so-ciale del sindacato: costruire potere frai deboli e gli esclusi, creare nuove gene-razioni di dirigenti e attivisti, essere ri-conosciuti come una forza di progres-so che persegue l’interesse generale.

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L’adesione al sindacato sta declinandoin molte parti d’Europa. In molti sta-

ti dell’UE una porzione considerevole ein aumento della forza lavoro non ha maiaderito ad un sindacato, tant’è che oggipezzi importanti del mercato del lavorosono disorganizzati. Conseguenza di ciòè che i sindacati, fatta media su scala eu-ropea, sono al livello minimo di rappre-sentatività dal 1950 ad oggi. In questo quadro la rete costituita dallaConfederazione sindacale europea rac-coglie, con le ottantadue organizzazio-ni sindacali che vi aderiscono, più di ses-santa milioni di lavoratori. Si tratta pro-babilmente della rete sociale organizza-ta più fitta e più diffusa che esiste in Eu-ropa oggi. Risulterebbe impressionan-te la forza di questa rete se le organizza-zioni sindacali riuscissero ad invertire latendenza che vede ridurre i tassi di affi-liazione e partecipazione.Strategie di (re)insediamento sindacalesono state attuate in molti paesi e il ten-tativo di generare un’inversione di ten-denza è in corso da ormai diversi anni. Laquestione però non si risolve nel riuscirea portare a casa un numero maggiore dideleghe sindacali, bensì nel trovare la stra-da per un maggiore coinvolgimento e unamaggiore partecipazione delle lavoratri-ci e dei lavoratori alla costruzione dellarappresentanza e della forza contrattua-le. In sostanza si tratta di far sì che un nu-mero significativo di lavoratori e lavora-trici decidano di divenire attivisti sinda-

cali e di portare avanti la campagna di co-struzione del sindacato in un’impresa, inun settore o in un territorio.Organising punta a questo, e per quan-to riguarda il sindacato britannico dal1997 ha significato supporto attivo conl’istituzione della Organising Accademydella Tuc. L’esperienza è stata ripresa dalsindacalismo australiano e, soprattutto,statunitense. In questi paesi le strategiedi organising hanno portato a risultatiinteressanti, ma soprattutto hanno da-to una risposta, non risolutiva ma par-ziale, all’endemica debolezza sia delle or-ganizzazioni sindacali di quei paesi, siadelle condizioni dei lavoratori.Anche nel Regno Unito l’organising èrisultata l’opzione da seguire a causa del-la negazione dell’agibilità sindacale inun posto di lavoro in cui il sindacatonon sia sostenuto dalla maggioranza deilavoratori. Le leggi antisindacali deglianni ‘80 e un mercato del lavoro so-stanzialmente liberista offrivano unalunga serie di buone ragioni ai Britan-nici per tentare quanto adottato da or-ganizzazioni sindacali sorelle nei duemondi anglosassoni oltreoceano.An-cora, la decentralizzazione della con-trattazione collettiva e il basso livello dicopertura che raggiunge nel Regno Uni-to sono un incentivo a ricercare l’e-spansione della sindacalizzazione piut-tosto che a focalizzarsi sul consolida-mento dell’esistente. La Trade UnionCongress ha scelto di dare priorità ad

Workers win when they organise! Tecniche di organising nel Regno UnitoFABIO GHELFIresponsabile dipartimento internazionale Cgil Lombardia

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un’organizzazione basata su campagnedi insediamento e sull’incoraggiamen-to all’attivismo dei lavoratori iscritti alsindacato. Lo scopo dell’organising è fornire al sin-dacato strumenti tattici e strategici perentrare nei posti di lavoro grazie al con-tatto e al convincimento dei lavoratori,aiutarli a divenire protagonisti della tu-tela dei propri diritti, dar loro supportonella negoziazione e miglioramento del-le condizioni di lavoro, nella creazione diun nucleo sindacale nell’impresa, che sin-dacalizzi il più possibile e renda più forteil sindacato stesso. L’insegnamento di tec-niche e conoscenze adatte a fare tutto ciòè la missione attribuita alla OrganisingAccademy dalla Tuc (il sito inglese dellaOrganising Academy della Tuc offre al-cune interessanti informazioni su cosa sial’organising e spiega quale scopo hannostrategie di questo tipo per rafforzare ilsindacato nei posti di lavoro e nella so-cietà più in generale). Rispetto a come sipossa tracciare una definizione di orga-nising i britannici sono molto chiari e di-retti e non si sottraggono ad un briciolodi senso dell’umorismo. Infatti nel lorosito la prima frase che definisce queste tat-tiche e strategie di sindacalizzazione dicegrosso modo che, presi dieci attivisti chepratichino l’organising e chiesto loro dicosa si tratti, le risposte saranno proba-bilmente tutte diverse.

L’ORGANISING È UN SOFTWARE LIBEROIl primo punto di forza di questo ap-proccio all’insediamento sindacale è chenon c’è una regola d’oro, e tanto menouna formula scientifica a cui appoggiar-si. Esperienze di organising e ricerche sul-l’organising possono aiutare ad elabora-re una strategia complessa per fare sin-

dacato o aggregazione sociale organiz-zando la partecipazione dei lavoratori,ma non sarebbero efficaci se pretendes-sero di insegnare a fare tutto nello stessomodo. La metafora del free software èquella che riesce a definire meglio lo spi-rito dell’organising. Come un free softwa-re, l’organising è qualcosa a disposizionedi tutti e che tutti possono arricchire emodificare a seconda delle proprie esi-genze e del contesto in cui operano.L’idea di poter implementare e contri-buire richiama altre caratteristiche che so-no invece pilastri necessari di questo mo-do di organizzare l’insediamento sinda-cale. La creatività è un elemento fonda-mentale: per trovare il modo giusto, persaper differenziare e articolare l’interven-to, per riuscire a inventare modi di co-municare, per fare pressione, per rende-re visibili e forti lavoratori che non han-no rappresentanza organizzata. Per fareorganising bisogna muoversi in conti-nuazione in una free-apathy zone nellaquale essere dinamici, dotarsi di inventi-va e competenze ma soprattutto parteci-pare, e nella quale non è concesso esserepassivi e inattivi. L’elemento della parte-cipazione è infatti un ingrediente fonda-mentale della riuscita di una campagnadi organising: l’attivismo e il coinvolgi-mento diretto dei lavoratori nelle fasi del-la campagna sono determinanti per nonincorrere in un fallimento.Se l’idea che sta alla base dell’prganisingè quella di acquisire potere per far rispet-tare i propri diritti, è ineluttabile che lapartecipazione sia fondamentale. Essarappresenta il fattore di forza di cittadinie lavoratori da contrapporre al potere eser-citato attraverso il controllo di vaste ri-sorse economiche. L’organising infatti hale sue origini nelle campagne sociali del-

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le comunità povere degli Stati Uniti.Un esame dell’organising è quindi un’in-teressante opportunità per una riflessio-ne sul modello sindacale che si mette inatto nel proprio paese, a partire dalla con-sapevolezza che nessun modello è trasfe-ribile in quanto tale e che le ricette pro-poste spesso non sono adeguabili. Repli-care acriticamente un modo di fare sin-dacato nato e sviluppatosi in contesti nor-mativi e sociali differenti, sarebbe un gros-solano errore. Molto più interessante èinvece focalizzarsi sugli ingredienti checompongono la ricetta, ovvero gli stru-menti utilizzati e la mentalità che con-traddistingue questo tipo di azione. Essipossono essere il denominatore, spessocomune ad altre culture sindacali, con ilquale creare un raffronto costruttivo.La mentalità dell’Organising si basa suuna concezione dinamica e progettuale,nonché flessibile e creativa, dell’attivitàdi insediamento sindacale, delle tattichee degli strumenti. A ciò si aggiunge laconsapevolezza di dover non solo con-vincere ad iscriversi al sindacato, ma a di-ventare attivisti della campagna in corsoin nome dei propri diritti. Alcuni aned-doti aiutano a rendere meglio l’idea:1. Nel film di Ken Loach “Brad & Ro-

ses” sulla campagna di sindacalizza-zione dei pulitori di Los Angeles, ilprotagonista, un organiser del sin-dacato, ha un momento di svolta nel-la sua opera di sindacalizzazionequando riesce a sapere dove abitanoi lavoratori. Inizia un’opera di con-vincimento minuziosa, fatta finan-che di visite a casa dei lavoratori e del-le lavoratrici, per poter illustrare lo-ro la proposta del sindacato in unluogo sentito come sicuro senza ri-schio di rappresaglia dell’impresa.

2. Una giovane sindacalista scozzese,coordinatrice del gruppo di organi-ser del suo sindacato, ha raccontatoche, nel corso di una loro campagna,dal momento che i lavoratori e le la-voratrici migranti, ai quali si rivol-gevano, vivevano in gran numero inuna roulottopoli, gli organiser hannoaffittato una roulotte. Due di loro han-no vissuto per alcuni mesi in mezzoalla comunità, costruendo così il rap-porto di prossimità e di fiducia ne-cessario ad avviare la campagna.

3. Tra le molte slide usate per fare for-mazione sull’organising, ve n’è unache regala in un colpo d’occhio l’im-magine di quale complessità cerca disfruttare un campagna di organisingper spingere un’impresa a negozia-re. Questa slide mostra come intor-no all’impresa vi siano molti puntisensibili, legati alla sua filiera pro-duttiva e ai suoi interessi economi-ci. Agire su questi punti sensibili puòcreare molta pressione sull’impresastessa. Dunque divengono impor-tanti appaltatori e fornitori, l’im-magine che l’impresa vuole dare disé all’esterno, gli investimenti colla-terali che compie sul mercato, le al-tre imprese o istituzioni a cui vendei propri servizi; ancora, quale è l’as-setto societario e proprietario del-l’impresa, quale comunità di citta-dini interagisce con essa, lavorando-vi, usufruendo dei servizi. Quale at-teggiamento e quanta attenzionel’impresa presta ai media e alla co-municazione esterna. Tutti questielementi e gli altri individuati (ri-cordarsi sempre della metafora delfree software) possono essere puntidi intervento di una campagna.

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GLI STRUMENTIDopo la mentalità vengono gli strumenti,molteplici e vari. Sono identificabili in treassi o insiemi nei quali si articolano innu-merevoli tecniche, saperi e competenze.La comunicazione è fondamentale,quindi tutti i mezzi e i metodi di comu-nicazione divengono importantissimi.Comunicare bene vuol dire usare bene imedia, sapendo interessarli, rendendosivisibili e offrendo una immagine positi-va, costruttiva e forte della propria cam-pagna - in Olanda hanno fatto flash-mobproiettando sui palazzi nelle zone dellostruscio le interviste dei lavoratori che ri-vendicavano i propri diritti. La strategia di comunicazione va però ol-tre. L’aggregazione e la partecipazione degliinteressati alla rivendicazione è ovviamen-te necessaria, quindi bisogna lavorare mol-to per tenere insieme i lavoratori, far scatu-rire processi di responsabilizzazione e soli-darietà. Per questo comunicare vuol direprima di tutto saper parlare direttamentecon i lavoratori e le lavoratrici fino a coin-volgerli uno ad uno, rilevare il fabbisogno

che darà vita alla rivendicazione, ascoltarli. Secondo asse, la ricerca. Le giuste informa-zioni permettono di pianificare bene le stra-tegie e di usare bene le risorse. Nello staff diuna campagna di organising ci sono sem-pre dei ricercatori che facendo indagine e-conomica e sociale aiutano a centrare lepriorità per orientare una campagna; nelcaso delle singole imprese, ad individuare igià citati punti sensibili oppure, in un set-tore, a selezionare le imprese da investirecon una campagna vincente che producaun effetto a cascata sull’intero settore.Vi è infine un terzo pilastro, la pianificazio-ne e il project management dell’intera cam-pagna. Questo strumento diviene necessa-rio per realizzare un percorso complesso earticolato in diverse azioni, con obiettivi fi-nali ed intermedi, con un monitoraggiocostante dell’andamento del progetto. Lacampagna diviene, dunque, un progetto ecome tale va gestita. Avrà delle fasi che sisusseguiranno, dei tempi di realizzazione.Un gruppo sarà incaricato della realizzazio-ne del progetto, ne faranno parte personecon competenze e ruoli diversi: organizza-tori sindacali, esperti di comunicazione, ri-cercatori, qualcuno incaricato di tessere lenecessarie alleanze sociali con la comunitànella quale vivono i lavoratori e che può fa-re pressione sulla controparte, formatori,personale amministrativo ed esperti difund-raising che operino per evitare l’esau-rimento delle risorse.

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Campaign Phase 1 Phase 2 Phase 3 Phase 4 Phase 5Element R & D Outreach PublicCampaign Create Victory

Targeting Base Building Escalation Crisis SettlementResearch/CorporateWorker OrganizingMember Mobilization/ActionLegalRegulatoryMediaPoliticalCommunity

Altri tipidi attività

Finanziatori/Investitori

Consumatori/Clienti

Istituzionie normative

Comunità Lavoratori

Proprietari

Fornitori

Media

Impresa

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Forse realizzare una gant chart e traccia-re un organigramma dettagliato può es-sere percepito come eccessiva tecnicizza-zione, ma solo in apparenza irrigidisce lostile, al contrario una buona organizza-zione rende più facile valorizzare ediffondere i frutti della creatività che, co-me già si è detto, è elemento primarionell’organising.Nello specifico britannico, l’obiettivo o-perativo dell’istituto creato è reclutare eformare un quadro di organizzatori sin-dacali nel corso di dodici mesi modulatiper fornire conoscenze e competenze ne-cessarie a sviluppare e realizzare campagnedi insediamento efficaci. Quindici anni diesperienza dell’Organising Accademyhanno permesso di mettere a fuoco i pre-gi e i problemi di questo strumento.È significativo che le campagne svolte inquesti anni non abbiano rivoluzionato ilquadro del sindacalismo britannico, pertornare ai livelli di affiliazione degli anni‘70, con le tendenze di affiliazione d’og-gi, servirebbero ben più che decadi. E-merge chiaramente che il numero di ri-sorse e attivisti dediti all’organising è an-cora troppo basso per incidere sostanzial-mente. D’altra parte è evidente, oltre chemolto importante, che la pratica dell’or-ganising permette di innescare un cam-biamento culturale nelle organizzazionisindacali. A partire dall’aprire la contrad-dizione tra organising (insediarsi e mobi-litare) e servicing (fornire tutela indivi-duale e servizi), per poi risolverla, anzi e-liminarla, perché nella strategia di inse-diamento e tutela che opera il sindacato idue aspetti possono coesistere e interagi-re proficuamente.Le scelte attuate dai sindacati aderenti al-la Tuc sono state poi differenti. Tgwu, o-ra costituitasi in Unite dopo la fusione con

Amicus, ha sempre rigettato una strategiabasata sull’intervento nella singola impre-sa, mentre ha privilegiato l’opzione setto-riale. Dal 2004, la strategia di organisingdi Unite ha previsto la formazione speci-fica di cento organisers sulle caratteristi-che di settori selezionati. Il sindacato si èavvalso di ricerca economica sia focalizza-ta su singole imprese sia a livello di settoreper tentare di individuare i settori di mag-giore sviluppo nel futuro prossimo e là so-no state indirizzate le risorse.La strategia ha prodotto alcuni risultati intermini di insediamento e di rafforza-mento del sindacato, è stato raggiunto l’o-biettivo di diecimila nuove tessere all’an-no e sono stati vinti diversi contenziosisulla legittimazione del sindacato da par-te delle imprese. La scelta di Gmb è stata invece opposta,anziché creare un nucleo separato di or-ganisers, l’organising è stato introiettatonell’organizzazione, affinché non sussi-stesse il rischio di separazione tra le cam-pagne e l’attività di rappresentanza, tute-la e negoziazione svolta dal sindacato. Ciòha permesso una assai rapida diffusionedella conoscenza dell’organising, ma haesposto le campagne al grosso problemadella disponibilità di tempo e concentra-zione dei funzionari assegnativi, perchépresi dall’attività quotidiana e dall’agen-da degli altri impegni sindacali.La visione britannica, espressa nella Or-ganising Accademy, è, in fin dei conti, untentativo di riscoprire le origini e i legamidel mondo del lavoro con i movimentisociali, di ridefinire le organizzazioni sin-dacali come strutture di mobilitazionecon lo scopo di stimolare l’attivismo deipropri membri e generare campagne sulposto di lavoro e in senso ampio per lagiustizia sociale.

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Per lungo tempo, nella discussioneaccademica e in larga parte del di-

scorso pubblico, è stata avanzata l’ideache il modello organising fosse adattosostanzialmente solo a quei contesti ca-ratterizzati da uno scarso coinvolgimentoistituzionale delle organizzazioni sinda-cali, un’attitudine manageriale sostan-zialmente ostile e un sistema di contrat-tazione collettiva basato sulla singola im-presa. Che fosse, insomma, un model-lo organizzativo troppo “americano”,troppo “anglosassone” per avere un sen-so anche alle nostre latitudini. Questadiscussione ha avuto un punto di svol-ta nel momento in cui riflessioni e pri-me sperimentazioni pratiche, esplicita-mente riferite al modello organising,hanno cominciato ad avere luogo anchein diversi paesi del Nord Europa: PaesiBassi e Germania in testa.Perché questo tipo di modello organiz-zativo stia diventando sempre più im-portante nel dibattito sindacale di paesiin cui le organizzazioni dei lavoratori han-no sempre goduto di strutture istituzio-nali, in grado di garantire influenza e spa-zi di partecipazione, si spiega con la sem-pre maggiore erosione di questo sistemaistituzionale. Prendendo come esempiola Germania, i sindacati affiliati alla Dgb,la maggiore confederazione tedesca, han-no perso circa 5 milioni di iscritti dal 1990e il tasso di sindacalizzazione raggiungeormai poco più del 20%. Circa il 40%dei lavoratori opera in un’azienda che nonapplica contratti collettivi. Il lavoro pre-

cario è fortemente in ascesa e il 22% deiposti di lavoro rientra nella categoria deilow wage jobs, con retribuzioni inferioriai 2/3 del salario mediano. Nonostante per lungo tempo (e per cer-ti versi tuttora) le organizzazioni sinda-cali abbiano sostanzialmente “vissutosugli allori” delle strutture istituzionali,quest’evidente erosione della loro posi-zione istituzionale ha aperto la strada aduna discussione su come rinnovare l’a-zione sindacale e, a tal proposito, l’e-sempio di sindacati come il Seiu negliStati Uniti è diventato un punto di rife-rimento fondamentale. Il messaggio è molto semplice: di frontead un contesto istituzionale profonda-mente trasformato è necessario che nuo-ve modalità di azione entrino nelle prati-che delle organizzazioni sindacali. Perchéle Istituzioni funzionino e continuino aprodurre risultati positivi per chi lavora,devono essere sostenute da una forte e au-tonoma base associativa del sindacato equando necessario da forme di conflitto.Quando queste due dimensioni si allon-tanano, qualsiasi struttura istituzionalepuò essere rapidamente rovesciata o di-ventare semplicemente uno strumentoattraverso cui i rappresentanti dei lavora-tori ratificano decisioni prese altrove. Apripista, in questo senso, è stato il sin-dacato dei servizi Ver.Di, che rappre-senta settori (fra i quali la grande distri-buzione) dove l’incidenza del lavoro pre-cario e mal pagato è molto alta e le tra-dizionali strutture di rappresentanza dei

Le campagne dei giovani Metaller in GermaniaLISA DORIGATTIPhD Università degli Studi di Milano

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lavoratori sono spesso inesistenti. Tut-tavia, anche nel cuore del modello te-desco di relazioni industriali, la discus-sione su come si costruisce ed esercita ilpotere nei luoghi di lavoro e su come sipuò invertire il processo di sbilancia-mento dei rapporti di forza ha avuto sem-pre più peso. E la risposta, anche qui, èorganising. Ovviamente, ciò che si in-tende per organising, in termini di azio-ne pratica, è piuttosto diverso nelle azien-de meccaniche tedesche rispetto alle dit-te di pulizia americane, ma alcuni ele-menti di fondo sono gli stessi: enfasi sul-la partecipazione dei lavoratori e sul re-clutamento di settori non organizzatidella forza lavoro, rafforzamento dellecapacità di mobilitazione del sindacatoe maggiore presenza nella discussionepubblica. Costruire rapporti di forza at-traverso un nuovo rapporto con i lavo-ratori e un nuovo approccio all’eserciziodel conflitto.

LE CAMPAGNE CONTRO LA PRECARIETÀDue esempi sono utili a capire cosa si in-tende, entrambi relativi a campagne por-tate avanti dall’Ig Metall sul tema del la-voro precario. Negli ultimi cinque an-ni, infatti, l’Ig Metall ha avviato due cam-pagne mirate alla riduzione della preca-rietà nelle aziende del settore. Una di-retta ai lavoratori interinali, l’altra ai gio-vani apprendisti. L’obiettivo della campagna “Stesso lavo-ro, stesso salario” è stato quello di rag-giungere la parità di trattamento per i la-

voratori interinali.1 L’elemento più im-portante della campagna è stato il cam-bio di focus rispetto all’obiettivo dell’a-zione sindacale. Fino al 2007, infatti, ti-tolare della contrattazione con le agenzieinterinali era un gruppo di contrattazio-ne, a guida confederale, composto da rap-presentanti dei singoli sindacati di cate-goria. Anche il reclutamento e la costru-zione di strutture di rappresentanza azien-dale era focalizzato sulle agenzie. La cam-pagna, al contrario, si concentra sul luo-go di lavoro effettivo e non su quello for-male e va a concentrare risorse sulle azien-de utilizzatrici. Questo per due ordini dimotivi. In primis, perché la struttura trian-golare che caratterizza il lavoro interina-le rende difficili la costruzione di struttu-re di rappresentanza e il processo di sin-dacalizzazione, dal momento che moltoraramente i lavoratori interinali, appar-tenenti ad una stessa agenzia, vengono incontatto l’uno con l’altro. Anche nei ca-si in cui, il consiglio d’azienda si costitui-va all’interno di un’agenzia, spesso i la-voratori o non ne erano informati o nonlo vedevano come un elemento efficace,poiché non lo potevano contattare. Perquesto motivo, come anche sottolineatodall’Ig Metall, i rapporti di forza nel set-tore erano fortemente sbilanciati a favo-re delle agenzie e i risultati contrattualinon potevano che essere scarsi. Al centro del nuovo approccio sta inve-ce l’idea di andare ad agire dove l’orga-nizzazione (ma anche gli stessi lavorato-ri) continua a mantenere i rapporti di for-

PARTE SECONDA

1 La normativa sulla somministrazione di lavoro in Germania prevede che ai lavoratori interinali venga applica-to il principio di parità di trattamento, ma lascia aperta la possibilità di derogare a questa norma attraverso lastipula di contratti collettivi con le agenzie interinali. Ovviamente, ciò ha favorito l’emergere di contratti colletti-vi con standard retributivi inferiori rispetto a quelli vigenti, nelle imprese che utilizzano lavoro interinale. Emble-matico, in questo senso, è il fatto che, in una fase di forte contrazione della copertura della contrattazione col-lettiva nel resto dell’economia tedesca, il settore interinale mostri un tasso di copertura superiore al 90%.

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za più equilibrati, ossia nelle aziende uti-lizzatrici e attraverso le strutture di rap-presentanza già presenti in azienda. Co-me ha sottolineato lo stesso Wetzel, però,questo approccio prevede un profondocambiamento di mentalità dei consiglid’azienda, abituati, spesso, a vedersi co-me rappresentanti dei soli lavoratori sta-bili e, a volte, ad utilizzare il lavoro pre-cario come cuscinetto nelle fluttuazionidi mercato. La campagna è importante,quindi, perché costruisce un nuovo con-cetto – politico e non giuridico – di azien-da e pone con forza il tema della ricom-posizione del lavoro all’interno delleaziende. In primo luogo, superando pra-tiche contrattuali che negli anni prece-denti avevano, in maniera più o menoesplicita, utilizzato il lavoro precario co-me cuscinetto protettivo nei confrontidelle oscillazioni di mercato. La campagna si e basata su due pilastri.Da un lato, la stipula di contratti azien-dali migliorativi delle normative di leg-ge e dei contratti collettivi del settore in-terinale (simile a quanto fatto dalla Fiomnel 2003 con la campagna dei pre-con-tratti). Dall’altro, un’azione di agendasetting, di ridefinizione del dibattito pub-blico e politico in grado di costruire lecondizioni per una radicale riforma nor-mativa sui due temi in questione. Soprattutto su questo secondo punto,ossia sulla capacita di costruire il dibat-tito pubblico, si è concentrata la secon-da campagna, costruita questa volta dal-l’associazione giovanile del sindacato deimetalmeccanici (Ig Metall Yugend) e fo-calizzata sugli apprendisti. Obiettivo del-la campagna “Operation Uebernahme”(operazione assunzione) era appunto de-finire delle regole che favorissero l’as-sunzione a tempo indeterminato dei gio-

vani apprendisti dopo il loro percorso diformazione. Vista la crescente precarietàche sempre più caratterizza il mercatodel lavoro anche in Germania e le diffi-cili prospettive occupazionali degli ap-prendisti (solo il 50% viene assunto atempo indeterminato), il tema dell’as-sunzione era considerato assolutamen-te centrale. L’ideazione della campagna è stata pre-ceduta da una rilettura dei testi di SaulAlinsky e da numerosi seminari di for-mazione diretti agli iscritti e agli attivi.La campagna ha avuto l’obiettivo dirafforzare il processo di organizzazionedegli apprendisti, sia in termini di iscri-zione al sindacato, sia in termini di co-struzione di spazi in cui essi potesseroesprimere le proprie istanze attraversomodalità a loro consone (blitz, azioni di-rette, sit-in), molto scenografiche e dalgrande impatto mediatico. Le iniziati-ve, costruite nel quadro della campagna(ormai più di 300 su tutto il territoriofederale) e la costante presenza alle ini-ziative sindacali e ai cortei (il blocco ne-ro-giallo degli Azubis, gli apprendisti, èuno dei più attivi e divertenti) sono riu-scite, inoltre, a orientare il dibattito po-litico sul tema. Secondo il segretario del-l’Ig Metall Yugend, Eric Leiderer, infat-ti, fino a quel momento in Germania siparlava di offerta di posti di apprendi-stato (anche quella costantemente in ca-lo, nonostante il modello tedesco ven-ga spesso preso ad esempio anche in Ita-lia) e non del futuro degli apprendisti.Grazie alla campagna, invece, il tema èentrato con forza nell’agenda politicadel Paese, tanto da costringere l’associa-zione datoriale di categoria, Gesamt-metall, a giustificare l’operato delle pro-prie aziende.

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PARTE SECONDA34

PRIMI SUCCESSI CONTRATTUALII primi successi contrattuali sono statiriportati nell’ultimo rinnovo del con-tratto collettivo di settore nel maggiodel 2012.Per quanto riguarda il lavoro interinale,il nuovo contratto collettivo prevede unrafforzamento dei diritti di co-determi-nazione dei consigli di fabbrica nell’as-sunzione di lavoratori interinali da par-te delle aziende utilizzatrici e un mecca-nismo per garantirne l’assunzione di-retta dopo 18 o 24 mesi di missione. Unsecondo pilastro è il meccanismo di bo-nus contrattato dall’Ig Metall con l’as-sociazione datoriale delle agenzie inte-rinali. Il contratto prevede che gli inte-rinali assegnati ad aziende metalmecca-niche ricevano un extra, crescente a se-conda della durata dell’assegnazione con-tinuativa in azienda, che avvicina la lo-ro retribuzione a quella dei colleghi as-sunti direttamente. Per quanto riguarda gli apprendisti, ilnuovo contratto collettivo di settore haintrodotto il principio secondo cui gliapprendisti che vengono formati all’in-terno delle imprese siderurgiche devo-no essere assunti con un contratto a tem-po indeterminato alla fine del percorsodi apprendistato. Possibilità di deroga-re a questo principio generale esistonoper le aziende che formano apprendistiin misura maggiore rispetto alle loro ne-cessità produttive e che si trovino in con-dizione di un’oggettiva impossibilità eco-nomica ad assumere. Anche in questocaso, comunque, resta all’apprendista ildiritto di essere assunto presso quell’a-zienda per un periodo di anno. Le de-roghe devono essere in ogni caso con-cordate con il consiglio d’azienda, i cuipoteri in termini di co-determinazione

delle politiche del personale vengonoquindi ulteriormente rafforzati.Dall’analisi di questi due casi, un ele-mento, a mio avviso, molto significati-vo è, inoltre, che le due campagne sonostate caratterizzate dalla presa di coscienzadel fatto che il sindacato può pensare diavvicinare i lavoratori precari solamen-te se è in grado di offrire loro una pro-spettiva di miglioramento delle condi-zioni di lavoro. E questo attraverso lostrumento principe dell’azione sinda-cale, ossia la contrattazione. Questo in-treccio fra dimensione pubblica e azio-ne contrattuale è, infatti, fondamenta-le per la comprensione e la valutazionedelle campagne portate avanti dall’or-ganizzazione dei metalmeccanici. La scel-ta di andare ad agire mobilitando la di-mensione mediatica non è mai sgancia-ta dalla pratica della contrattazione ma,anzi, ne costituisce un rafforzamento eun elemento decisivo nella costruzionedei rapporti di forza. Che, alla fine, è ilcuore della lezione dell’organising.

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Dal 1970, l’industria dell’abbiglia-mento ad alta intensità di lavoro è

fuggita verso paesi emergenti e in via disviluppo a bassi salari: il 60% di tutti i ca-pi di abbigliamento sono oggi prodottiin Asia. L’industria dell’abbigliamentofornisce occupazione a 60 milioni di la-voratori (soprattutto donne). Purtrop-po, la crescita economica è andata di pa-ri passo con le violazioni dei diritti uma-ni, compresi i diritti civili, politici e so-cio-economici. Anche se la prospettivadi generare reddito per (nuovi) gruppi dilavoratori, soprattutto donne, è il prere-quisito per la realizzazione dei diritti so-cioeconomici, i salari nel settore dell’ab-bigliamento sono al di sotto dei livelli disussistenza, le condizioni di salute e si-curezza sono spesso terribili, gli straor-dinari eccessivi e la discriminazione e lemolestie sessuali sono fatti comuni. Inol-tre, le frequenti violazioni del diritto al-la libertà di parola, di riunione e di asso-ciazione da parte dei datori di lavoro so-no spesso amplificate dal fatto che neipaesi produttori è troppo spesso assentela garanzia di tutela dei diritti umani. Peresempio, il 90% delle esportazioni delBangladesh coinvolge l’industria del-l’abbigliamento, mentre i suoi 3 milio-

ni di lavoratori guadagnano i salari piùbassi nel mondo. Quando nel 2010 mi-gliaia di lavoratori sono scesi in piazzaper chiedere salari equi hanno incontra-to la sistematica repressione del governo,violando il diritto fondamentale dei ma-nifestanti alla libertà di parola, ad un giu-sto processo e alla protezione contro gliarresti arbitrari. I lavoratori che esercita-no i loro diritti umani - e coloro che so-no impegnati a loro difesa - spesso van-no incontro ad una severa repressione:licenziamenti senza giusta causa, mole-stie, azioni legali, prigionia, liste nere, mi-nacce, violenze e persino omicidi. InCambogia, quando nel 2010 i leader sin-dacali hanno annunciato uno scioperonazionale per l’aumento dei salari, sonostati minacciati con la reclusione da par-te dello stato e hanno ricevuto minaccedi morte anonime. I membri del sinda-cato in una fabbrica indiana hanno fron-teggiato la repressione da parte del lorodatore di lavoro, mentre la polizia ha rea-gito con la minaccia di violenza fisica el’arresto. Nell’agosto del 2010 questo èsfociato in un attacco brutale a 60 lavo-ratrici e nel sequestro di un sindacalista.La produzione di abbigliamento spessoavviene nei paesi con una lunga storia di

PARTE TERZA

Tra lavoro e consumo:le campagne per i diritti globali

Le “vertenze” della Campagna Abiti Puliti DEBORAH LUCCHETTI portavoce Campagna Abiti Puliti

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violazioni di diritti umani, dove le auto-rità statali comunemente aiutano i pro-prietari delle fabbriche a sopprimere i di-ritti sindacali. Per esempio, le guardie mi-litari erano di stanza nelle fabbriche inTurchia e in Honduras nel 2009 per in-timidire lavoratori e impedire loro di sta-bilire legittimi sindacati. E in Banglade-sh, dove la produzione di abbigliamen-to è fondamentale per la ricchezza delpaese, molti imprenditori tessili siedonoin parlamento impendendo nei fatti unostrutturale avanzamento sul piano dei di-ritti. La Clean Clothes Campaign2 haoggi l’obiettivo di sostenere i difensoridei diritti umani, che sempre più devo-no affrontare intimidazioni, vessazionie persecuzioni mentre documentano lestesse violazioni dei diritti e cercano disostenere l’auto-organizzazione dei la-voratori danneggiati da una globalizza-zione che premia solo i profitti e le gran-di imprese. La sua azione risponde per-fettamente al monito del rappresentan-te speciale dell’Onu su Imprese e Dirit-ti Umani John Ruggie, quando ponemassima enfasi sulla necessità di identi-ficare meccanismi credibili di denunciaper i lavoratori, i sindacalisti e i difenso-ri dei diritti umani nel contesto globalee sottolinea sia il dovere delle imprese dirispettare i diritti umani in tutte le lorooperazioni che quello dei governi di pro-teggere i propri cittadini contro gli abu-si del mercato. Molte sono le campagneche la Ccc ha lanciato in più di vent’an-ni di attività, intuendo che la solidarietàinternazionale fra consumatori consa-

pevoli dei paesi del “Nord” e lavoratoriiper-sfruttati dei “Sud” del mondo pote-va essere la chiave di volta di un nuovoimpulso alla organizzazione dei lavora-tori e dei sindacati, spiazzati dai processidi globalizzazione che avevano mandatoin soffitta la cassetta degli attrezzi del ‘900.Finita l’epoca delle grandi fabbriche sin-dacalizzate e delle grandi rivendicazionisociali rese possibili dalla compresenza diassetti democratici efficaci, di benessereeconomico diffuso (naturalmente con-centrato nella cara vecchia Europa e neipaesi occidentali a scapito del resto delmondo) e di mercati ancora regolati, ci siè trovati di fronte ad una frantumazionedel mondo del lavoro. La globalizzazio-ne ha portato con sé una rapida riorga-nizzazione del mercato del lavoro a livel-lo internazionale, mettendo in crisi tut-te le conquiste sociali raggiunte nel ‘900nelle società privilegiate. Rapidamente ilavoratori italiani, europei e statunitensisi sono trovati a competere con quelli ci-nesi, bengalesi e africani, in una corsa ver-so il basso che sta trascinando tutti versouna nuova era preindustriale quando, an-cora, i diritti sociali erano tutti da inven-tare. Le multinazionali hanno vinto, com-plici i governi e le istituzioni internazio-nali, e si sono dedicate alla nuova con-quista del mondo, senza le regole e i ba-vagli che fino alla liberalizzazione del com-mercio internazionale limitavano la cir-colazione di merci e capitali. Se a questosi aggiunge la finanziarizzazione dell’e-conomia e la progressiva perdita di con-trollo sull’economia di carta che oggi con-

PARTE TERZA

2 La Clean Clothes Campaign è un network europeo presente in 15 paesi con coalizioni molto diverse fra loro cheincludono ONG, associazioni ambientaliste e organizzazioni femministe, gruppi di consumo critico e, talvolta, isindacati. Il segretariato internazionale ha sede ad Amsterdam, dove è nata la campagna nel 1989. La rete coo-pera strettamente con 250 gruppi che rappresentano i lavoratori in Asia, Africa, Est Europa. In Italia è rappresen-tata dalla Campagna Abiti Puliti - www.abitipuliti.org

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ta molto di più di quella reale, emerge unosganciamento definitivo fra chi consumae chi produce, fra territori e mercato, fraeconomia e interessi generali. Il lavoro haperso potere e soggettività sociale ed è tor-nato ad essere pura merce da scambiaresui mercati internazionali al minor prez-zo possibile. Di qui l’importanza di darevoce a chi non ne ha, a quei milioni di la-voratori scomparsi nelle pieghe delle fi-liere internazionali, invisibili agli occhidelle società opulente che beneficiano delloro lavoro senza saperlo e invisi a quellidei paesi emergenti vincitori della com-petizione globale che li utilizzano comecarne da macello.Ecco perché dalla fine degli anni ‘80 laClean Clothes Campaign fa pressionesulle imprese leader dell’abbigliamentoe dello sport perché riconoscano gli stan-dard minimi internazionali dell’Ilo. Lofa attraverso le Azioni Urgenti, un siste-ma di pressione pubblica e internazio-nale basato sulle segnalazioni dirette deilavoratori e dei sindacati dei paesi di pro-duzione che si rivolgono alla Ccc per ot-tenere giustizia in situazioni che altri-menti sarebbero ignorate dall’opinionepubblica locale. Tale pressione ha forte-mente contribuito allo sviluppo di codi-ci di condotta finalizzati a garantire il ri-spetto dei diritti lungo l’intera filiera pro-duttiva; codici che tuttavia le stesse im-prese non sono in grado di fare poi ri-spettare, mettendo in luce la necessità diun cambiamento strutturale ancora lon-tano. In effetti, non sono sufficienti lescelte di imprese individuali di stampovolontaristico ma occorre un cambia-mento del modello di business, a parti-re dalla responsabilità sociale di chi si po-siziona al top della catena produttiva.Senza dimenticare il ruolo dei governi

che devono proteggere i cittadini, alme-no quanto favoriscono gli investimenti,attuando politiche pubbliche a favore deidiritti fondamentali e delle comunità.La Clean Clothes Campaign in Italia na-sce formalmente nel 2005 da quattro or-ganizzazioni promotrici, da sempre im-pegnate nella promozione dei diritti dellavoro: il Centro Nuovo Modello di Svi-luppo, il Coordinamento Nord/Sud delMondo, Fair e Manitese. Ma la collabo-razione era cominciata già dal 1998, quan-do alcune delle organizzazioni promo-trici già collaboravano con la CleanClothes Campaign internazionale, comesoggetti attivi del movimento italiano delconsumo critico. Attraverso le prime im-portanti campagne contro lo sfruttamentodel lavoro minorile in Sicilia e in Turchiariscontrato nelle filiere produttive di Be-netton nel 1998 (che portò alla firma diun accordo tra Benetton, il licenziatarioturco e i sindacati italiani e turchi) e quel-la verso la Kappa, scoperta a produrre par-te del suo abbigliamento sportivo in Bir-mania nel 2002, si è via via consolidatoun lavoro di monitoraggio e pressionesulle imprese del settore che ha generatouna crescente consapevolezza nell’opi-nione pubblica italiana sempre più inte-ressata a conoscere cosa si nasconde die-tro l’etichetta dei propri vestiti. Nel cor-so degli ultimi anni si è, inoltre, consoli-data una nuova modalità collaborativatra Abiti Puliti e i sindacati tessili italianiche ha prodotto esiti interessanti e inedi-ti nel rapporto fra imprese e società civi-le, oltreché fra lavoratori sindacalizzatioperanti nella stessa filiera produttiva. Va-le la pena qui ricordare l’importante ca-so che coinvolse Prada e il suo fornitoreturco Desa che sfociò in una campagnapubblica europea. Le lavoratrici sindaca-

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lizzate delle Desa furono al centro di unaserie di azioni di sensibilizzazione pub-bliche davanti ai negozi di Prada nelleprincipali città europee e, grazie all’im-pegno della Filtea-Cgil, incontrarono leRsu di Prada in Italia. Un incontro im-portante a rappresentare quel ponte soli-daristico indispensabile che dovrebbe qua-lificare in maniera permanente le strate-gie negoziali con le imprese di oggi. Per-ché senza una visione di sistema che legai destini e i diritti dei lavoratori lungo l’in-tera catena di fornitura, è difficile man-tenere fede all’idea di un sindacato uni-versalista e capace di difendere il lavoroad ogni latitudine. I diritti fondamenta-li, infatti, sono tali solo se validi per tuttie, come i beni comuni, non sono minac-ciati dalla loro estensione.Tra le campagne più recenti, vogliamoraccontare quella sulla sabbiatura che haportato decine di grandi marchi inter-nazionali ad abolire ufficialmente la pe-ricolosa tecnica produttiva e quella sul-le Olimpiadi, che ha prodotto uno sto-rico accordo per la libertà di associazio-ne sindacale in Indonesia.

STOP AI KILLER JEANSLa sabbiatura è un processo abrasivo perlisciare o formare superfici dove la sab-bia è sparata ad alta pressione. La sab-biatura è tradizionalmente usata nelle co-struzioni, per le opere in metallo e cera-mica. La sabbia naturale contiene siliceminerale. Nonostante i rischi per la sa-lute, secondo la direttiva comunitaria, lasabbiatura è consentita a condizione chei materiali abrasivi contengano meno del-lo 0,5% di silice, negli Stati Uniti menodell’1% e, a patto che siano forniti di-spositivi di protezione. In particolare, èdefinito come sabbiatura dei jeans il pro-

cesso erosivo/abrasivo applicato al denim,da compressori ad aria che soffiano sab-bia sotto pressione per candeggiare il de-nim. Secondo il Comitato Turco di Soli-darietà con i Lavoratori della Sabbiatura(Turkish Solidarity Committee of Sand-blasting Labourers), la sabbia utilizzataper tale impiego in Turchia contiene fi-no all’80% di silice. In molti paesi comeBangladesh e Cina, la sabbiatura dei jeansviene effettuata manualmente. Così i la-voratori usano pistole per sparare la sab-bia ad alta pressione sui jeans e la polverefinisce nell’ambiente. L’esposizione allasilice provoca la silicosi ai polmoni se i la-voratori inalano la polvere, e questo puòessere fatale per i lavoratori in periodi diincubazione di 3-6 mesi. Nella sola Tur-chia i medici del Comitato si aspettano5mila possibili casi di silicosi, tutti anni-dati nelle pieghe nel mercato del lavoroinformale che affligge l’80% dei lavora-tori tessili turchi. Dal 2010 la Ccc con-duce una campagna internazionale di suc-cesso che ha costretto decine di grandimarchi della moda a dichiarare pubbli-camente il bando della tecnica. In Italiala campagna ha coinvolto le maggiori im-prese italiane della moda e del lusso: Be-netton, Replay, Versace, Gucci, Armani,Diesel, D&G, Prada e Cavalli. Tutte han-no bandito la sabbiatura tranne D&G.Mentre Gucci è stata la prima a farlo, do-po avere aperto le porte dei fornitori ita-liani alla Ccc e alla Filtea-Cgil, insiemecoinvolte nella visita ispettiva alle lavan-derie incaricate delle finiture del denim.Un confronto trilaterale produttivo cheha visto allo stesso tavolo impresa, societàcivile e sindacato ad affrontare un pro-blema grave e complesso che travalicavai confini nazionali. La campagna ha avu-to grande riscontro mediatico3, anche la

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celebre trasmissione “Le Iene” ha dedi-cato un’inchiesta alla campagna regi-strando uno share dell’11% (auditel2.989.000) http://www.abitipuliti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=314:le-iene-per-abi-ti- puliti&catid=94 :jeans-sabbiati&Ite-mid=29. Non è tuttavia sufficiente di-chiarare pubblicamente l’abolizione del-la sabbiatura perché questa sia davveroeliminata dalle filiere produttive inter-nazionali. Come ha messo in luce, nel2012, il rapporto “Deadly Denim”4, ilproblema della sabbiatura persiste, no-nostante il bando. In nessuno dei 7 sta-bilimenti bengalesi sotto inchiesta la sab-biatura è stata definitivamente abolita e,spesso, viene eseguita di notte in mododa non dare nell’occhio. I principali mar-chi identificati dai ricercatori sono H&M,Levi’s, C&A, D&G, Esprit, Lee, Zara eDiesel, la totalità dei quali, ad eccezionedi Dolce & Gabbana che ha sempre ri-fiutato di fornire informazioni sulle suetecniche produttive, sostiene di avere abo-lito l’uso della sabbiatura nelle proprie fi-liere internazionali. I risultati del rapporto indipendente vo-luto dalla Ccc non sminuiscono il valoredei risultati raggiunti dalla campagna sul-la sabbiatura, che è riuscita in pochi me-si a portare all’attenzione del grande pub-blico e dell’industria un gravissimo pro-blema sconosciuto ai più e ignorato. Sem-mai, evidenziano la necessità di organiz-zare dei processi di cambiamento strut-turali, che richiedono il continuo coin-

volgimento di tutti i portatori di interes-se, a partire dai lavoratori. Senza i lavora-tori organizzati, senza il loro protagoni-smo strategico e il coinvolgimento diret-to dei luoghi di lavoro, nessun cambia-mento, duraturo e profondo, è possibile.Nel caso della sabbiatura, senza un im-pegno vero delle imprese a modificare lostile dei loro prodotti, insieme ai tempi eai costi di produzione per permettere aifornitori di adottare metodi alternativiche comportano lavorazioni più sicure,l’uso clandestino o alla luce del sole dellasabbiatura continuerà a mettere a rischiola vita dei lavoratori, soprattutto in queipaesi ove è più deficitario un sistema dicontrollo pubblico e democratico. Perqueste ragioni la campagna sulla sabbia-tura continua, rivolgendo la sua atten-zione ai decisori politici che hanno l’ob-bligo di intervenire per vietare la sabbia-tura come ha già fatto nel 2009 il gover-no turco. Solo misure pubbliche chiara-mente orientate a scoraggiare per leggel’uso della tecnica, unite alla responsabi-lità diretta delle imprese che adottino mec-canismi di monitoraggio efficaci, po-tranno eliminare la sabbiatura di fatto.Tale processo deve avvenire in collabora-zione con le organizzazioni sindacali lo-cali/di fabbrica e le organizzazioni nongovernative in ogni paese dal quale le im-prese si riforniscono, a conferma del nuo-vo orizzonte multistakeholder alla basedelle forme organizzative necessarie adaffrontare le sfide poste dalla globalizza-zione nel XXI secolo.

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3 Segnaliamo fra i tanti: il principale giornale svizzero 20’ online http://www.20min.ch/ro/news/monde/story/Fi-ni-le-sablage-pour-user-les-jeans-15412116, TV5 Monde http://www.tv5.org/cms/chainefrancophone/info/p-1911-redir.htm?&rub=15&xml=newsmlmmd.90b601fdd7472900dfb40c117fa7e0b2.b1.xml, The Guardianhttp://m.guardian.co.uk/world/2011/aug/10/italian-fashion-killer-jeans-sandblasting?cat=world&type=article.4Deadly Denim è un rapporto di ricerca condotto dall’Amrf per conto della Ccc nel 2011. L’indagine ha coinvolto 7fabbriche bengalesi di cui sono stati intervistati 73 lavoratori.

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La Filcams, come Federazione di Ca-tegoria che si occupa delle lavora-

trici e dei lavoratori del terziario, e in par-ticolar modo del commercio, da tempoha avviato una riflessione approfonditasul consumo e sui consumi. Il modello di produzione e consumo del-l’Occidente è ormai in crisi, incapace ie-ri come oggi di coniugare crescita conequità, per questo diventa sempre piùurgente mettere in agenda il tema delladisuguaglianza e la necessità di un cam-biamento culturale profondo. Siamoben consapevoli, tuttavia, che la que-stione non è semplificabile, soprattuttoassumendo il punto di vista di chi neitempli del consumo e negli sfavillanticentri commerciali ci lavora.Trovare una nuova saldatura tra stili divita e pratica politica, senza dimentica-re il diritto al lavoro dignitoso, dentro aun mondo del terziario che sia davverosostenibile, ci ha spinto a cercare vie nuo-ve, a mettere in rete pratiche e sapienze,a ricostruire filiere. Se davvero siamo quello che consumia-mo, dovremmo cominciare a chiedercicosa significa essere consumatori, oggiche è cresciuta anche la coscienza da par-te dei singoli individui di avere, proprioin quanto consumatori, il potere di giu-dicare e sanzionare le imprese con le scel-te effettuate sul mercato. Sotto alcuni aspetti, le scelte esercitatedurante lo shopping possono essere con-

siderate realmente delle scelte di tipo po-litico, soprattutto in una fase di disin-canto da parte dei cittadini nei confrontidella rappresentanza politica “classica”:il mercato capitalistico non è in grado digarantire a tutti gli stessi standard di be-nessere e produce forti disuguaglianzesociali, si rende pertanto necessario svi-luppare maggiormente la dimensioneetica e proiettarla globalmente, al di fuo-ri dei confini nazionali. Per questo e altri evidenti motivi, la Fil-cams ha deciso di collaborare con “Abi-ti Puliti” alla campagna di pressione“Raccontiamo il loro incubo”, portan-do a conoscenza dell’opinione pubbli-ca italiana quanto avviene in Indonesia,in una fabbrica della filiera di OriginalMarines, noto marchio di abbigliamentoper bambini. Imap, la società che possiede il marchioOriginal Marines, non ha impianti pro-duttivi e come tutte le imprese distri-butive moderne ottiene i suoi capi d’ab-bigliamento da fornitori sparsi in tuttoil mondo, in particolare Cina e Indone-sia. Uno dei suoi principali fornitori èPt Sce, impresa localizzata in Indonesia,che si contraddistingue per il disprezzodei diritti dei lavoratori. Su 1400 di-pendenti, solo il 10% è assunto a tem-po indeterminato. Tutti gli altri sonoprecari, “per essere ricattati meglio”. Equando, nel 2012, un gruppo di lavo-ratori ha osato formare un sindacato

Mobilitare l’opinione pubblica per cambiare i comportamenti delle imprese: l’esperienza Original MarinesGIULIANA MESINAsegretaria Filcams Cgil

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aziendale indipendente, è scattata la rap-presaglia: 42 lavoratori, per la maggiorparte aderenti al sindacato sono stati li-cenziati illegalmente.Questa forma di licenziamento “seletti-vo” e il tentativo palese di eliminare i sin-dacati “scomodi” ci ha ricordato quan-to il problema della democrazia nei luo-ghi di lavoro sia generalizzato, e quantoanche nel nostro paese sia ancora diffi-cile da affermare, come la vicenda dellaFiom in Fiat ha dimostrato. Tra l’altro,abbiamo anche verificato, tristemente,che il proprietario dell’azienda tessile in-donesiana è un imprenditore italiano ela cosa ci ha convinto ancora di più a ten-dere una mano ai sindacati locali.A novembre 2012, insieme ad alcuniesponenti della Campagna “Abiti Puli-ti” abbiamo incontrato una rappresen-tanza di Imap per indicare i passi che l’a-zienda avrebbe dovuto compiere per in-durre Pt Sce, il fornitore indonesiano, acomportamenti corretti. La presenza del-la Filcams era un segno concreto del no-stro interesse verso i temi della globaliz-zazione che, nel commercio e soprattut-to nella moda, vedono ormai da tempoaziende italiane costruire profitti sullosfruttamento dei paesi in via di sviluppoe meno presidiati da un punto di vista ditutele e diritti dei lavoratori.Purtroppo però, a seguito dell’incontro,non ci sono state iniziative concrete e inostri riferimenti internazionali e in lo-co ci hanno testimoniato la prosecuzio-ne di atteggiamenti discriminatori.Alla fine, abbiamo deciso di denuncia-re pubblicamente l’accaduto, coinvol-gendo la cittadinanza nella campagna“Raccontiamo il loro incubo”: chiun-que, attraverso il sito raccontiamoillo-roincubo.abitipuliti.org, potrà manda-

re una lettera alla dirigenza dell’aziendaitaliana, chiedendogli di firmare il pro-tocollo sulla Libertà di Associazione sin-dacale già siglato da importanti marchiinternazionali che operano in Indone-sia e, alla dirigenza del fornitore indo-nesiano chiedendo che si Ponga fine aqualunque atto di violenza o di intimi-dazione ai danni dei lavoratori della PtSc Enterprises e, che si firmi il Protocollosulla Libertà di Associazione.La campagna si pone come obiettivo an-che il reintegro dei 42 lavoratori licen-ziati arbitrariamente, la fine di ogni for-ma di lavoro straordinario forzato (an-che noto come “lavoro esteso” o “ore fe-deltà”) e di ogni attività discriminatoriaai danni delle donne lavoratrici.“Se tutti i sogni dei bambini diventasse-ro realtà, il mondo sarebbe pieno di bal-lerine, astronauti ed eroi con i superpo-teri”: questo lo slogan della recente cam-pagna pubblicitaria di Original Marines.Non chiediamo tanto, ci basterebbe unmondo in cui quei bambini, divenutiadulti, non venissero sfruttati e mal-trattati all’interno di filiere internazio-nali utilizzate da aziende dell’occidentericco e privilegiato.Ecco perché abbiamo voluto racconta-re l’incubo delle lavoratrici e dei lavora-tori indonesiani, e perché sempre di piùla Filcams è impegnata in iniziative in-ternazionali, di cooperazione e di infor-mazione. Vogliamo aiutare la globaliz-zazione dei diritti.

Link utiliIl sito della campagna: raccontiamoilloroincubo.abitipuliti.orgIl sito di Abiti Puliti: www.abitipuliti.orgLa pagina Facebook: https://www.facebook.com/CampagnaAbitiPuliti

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IL CONTESTO IN CUI NASCE LA CAMPAGNALa campagna “Giovani NON+ dispostia tutto” non è la prima campagna dellaCgil rivolta ai giovani. Sarebbe impropriodarle una definizione di questo tipo, per-ché molti e vari sono stati i tentativi dellaCgil di parlare al mondo giovanile negliultimi decenni.La campagna ha invece il primato reale diessere stato il primo tentativo di effettivamobilitazione dei giovani, cioè non havoluto semplicemente veicolare un mes-saggio della Cgil ai giovani, ma si è postal’obiettivo di far derivare da questa co-municazione un coinvolgimento attivodei giovani nel sindacato.La campagna nasce in un contesto in cuil’argomento affrontato, il rapporto tragiovani e lavoro, è gettonatissimo da al-meno un decennio. Non c’è ministro, Presidente della Re-pubblica, Papa o opinionista che non ciabbia speso sopra qualche parola. Il temava forte anche nei talk show televisivi, iquali rispecchiano e rimandano il leit-motiv in voga intorno al tavolo di quasitutte le famiglie italiane: i figli che non

trovano lavoro, i figli che non si manten-gono da se, i figli che non fanno figli etc.Conosciamo le ragioni di un interesse co-sì forte: negli ultimi decenni infatti il rap-porto tra i giovani e mondo del lavoro nonha fatto che peggiorare. Dal lavoro sotto-pagato, al lavoro sotto inquadrato, passan-do per la precarietà, si è arrivati alla disoc-cupazione giovanile strutturale, che gli ul-timi dati ci dicono essere arrivata al 36,5%.L’emergenza della disoccupazione giova-nile campeggia a grossi caratteri ogni die-ci giorni sulle pagine dei quotidiani na-zionali, ma anche chi lavora non sta be-ne: i dati Ocse ci parlano di un’Italia incui si rimane al di sotto della soglia dellapovertà fino a oltre ai 40 anni, il che si-gnifica, nell’ipotesi più rosea, assenza diautonomia dal proprio nucleo famiglia-re di partenza.I dati e le statistiche ci descrivono anche ladifficoltà dei giovani di trovare un lavoroin cui spendere le proprie competenze: so-lo 1/3 dei laureati fa un mestiere attinen-te ai propri studi. E in Italia i numero dilaureati, più basso rispetto alla media Eu-ropea, è tornato a calare nel 2012.

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Le esperienze di sindacalizzazionedel lavoro disperso: la Cgil che innova

Giovani e sindacato: la campagna Giovani NON+ disposti a tuttoLUCA DE ZOLT Filcams Roma e Lazio/coordinamento politiche giovanili

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Nelle pieghe di questi dati si leggono le in-giustizie dell’immobilità sociale e dell’im-possibilità di riscatto per chi proviene dacontesti meno agiati: non solo il figlio del-l’operai non diventa dottore ma, anche selo diventa, prenderà comunque meno intermine di reddito del coetaneo che è a suavolta figlio di un dottore o di un profes-sionista. Di fronte a questo quadro dram-matico, che peggiora di mese in mese mache perdura da diversi anni, sono aumen-tati i dati, le analisi, le rappresentazionimediatiche, ma non certo le soluzioni.La politica e le istituzioni si sono limitatea commenti fatalisti, quando non offen-sivi, e quella che è di fatto la più grandebomba socioeconomica del nuovo mil-lennio rimane inesplosa.In 20 anni, invece di far uscire i giovanidalla trappola della precarietà e dall’as-senza di autonomia della famiglia, mediae istituzioni si sono limitata ad aumenta-re l’asticella del confine tra gioventù edetà adulta: da 25 a 30, poi a 35, in qual-che caso si arriva ai 40.E mentre la condanna a rimanere giova-ni viene reiterata, la colpa di questo statodi eterna giovinezza viene data ai giovanistessi: dai “bamboccioni” di TommasoPadoa Schioppa, al più classico “mam-moni” di Anna Maria Cancellieri, fino al-lo “choosy” di Elsa Fornero, passando perle ben più colorite espressioni di RenatoBrunetta “l’Italia peggiore” e di MichelleMartone “sfigati” e per l’interesse delmondo della cultura e dello spettacolocon il “vittimismo” di Paolo Villaggio.Dichiarazioni che hanno destato scalpo-re e indignazioni, ma che accarezzano econsolidano una diffusa convinzione,cioè quella che alla fine, se uno non ce l’hafa, in fondo, è colpa sua.È la massima che è andata per la maggio-

re a partire dagli anni 80 e che ha forgia-to più di una generazione nel mito delself-made-men, del successo costruitosull’individualismo.È sociologia spiccia, ma ben ci aiuta a ca-pire il perché delle frasi di tanti illustri mi-nistri e opinionisti, che se lette nell’insie-me spiegano come mai non è esplosa labomba sociale di cui abbiamo parlato al-l’inizio: quella che è in corso è una grandeoperazione di mobbing generazionale.Un mobbing che mira a mortificare le a-spettative di una (e più) generazione e adimpedire la solidarietà delle altre. E cheporta le persone ad accettare condizionidi lavoro e di vita molto al di sotto delleproprie speranze e previsioni, rendendoaccettabili stipendi da fame e lavori di-stanti dal percorso formativo nel quali sisono spesi anni di fatiche.Così per centinaia di migliaia di giovaniè diventato normale dover essere dispostia tutto, a lavorare gratis, senza diritti, concontratti farlocchi, ad orari impossibili, acottimo, a chiamata, in attesa che unalunga e incerta gavetta conducesse al po-sto fisso. Magari molti hanno pensato diaver sbagliato percorso formativo o di do-ver realmente fare 3-4 tirocini gratuiti peressere ammessi al “mercato del lavoro”. La Cgil è arrivata oggettivamente tardinel comprendere la portata di questi fe-nomeni, vivendo per molti anni nell’er-rata convinzione che la precarietà riguar-dasse solo specifici settori del mondo dellavoro e che fosse pertanto sufficiente ar-ginarne la diffusione o cancellarla elimi-nando una legge.Questa impostazione ha inciso anche nel-la comunicazione e nell’approccio alla sin-dacalizzazione dei lavoratori giovani “nonstandard”: i messaggi che la Cgil dava era-no tesi a sottolineare la negatività dei con-

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tratti aticipi, contrapponendovi quellistandard, spesso caricando la responsabi-lità della “liberazione” dalla precarietà aidiretti interessati, consigliando loro di ri-volgersi al sindacato, ma senza prospetta-re una soluzione collettiva. È un approc-cio che ricordiamo impietosamente de-scritto nel film di Paolo Virzì “Tutta la vi-ta davanti” tratto dal libro esordio di Mi-chela Murgia “Il mondo deve sapere”.La Cgil non è di fatto risuscita a scalfirequell’operazione di mobbing di cui ab-biamo detto sopra, spesso scivolando es-sa stessa in una rappresentazione dellaprecarietà come un problema individua-le, quasi psicologico, scatenando negli in-terlocutori più la pietà che l’attivismo.

OBBIETTIVI E FASI DELLA CAMPAGNA GIOVANI NON+ DISPOSTI A TUTTOLa campagna giovani NON + disposti atutto è partita innanzitutto come tentativodi rovesciare una rappresentazione media-tica, una narrazione della precarietà che a-veva intrappolato anche la Cgil ponendosicome ostacolo nella sindacalizzazione deigiovani. Per fermare un’operazione dimobbing è necessario che l’individuo sirenda conto del sopruso che gli viene infer-to, e che riesca a dare nome e responsabilitàdel suo disagio al suo carnefice, in modo u-nivoco. Come abbiamo detto la rappre-sentazione mediatica della precarietà e delrapporto dei giovani e mondo del lavoro hal’effetto invece di annacquare le catene diresponsabilità, di colpevolizzare l’individuostesso, ad abbassare il livello di aspettative.Quante volte ci è capitato di vedere di as-sistere a un talk show o a un programmadi approfondimento alla storia strappala-crime del precario, spesso senza volto, pernon metterne ulteriormente a repenta-glio la posizione.

È una rappresentazione che non lasciascampo, soffocante, che con la campagnaNON+ abbiamo voluto scalfire. Il fattoche sia stata la Cgil a porre in essere questainversione semantica, questo rovesciamen-to di messaggi, non è stato affatto scontato.La distanza del sindacato dai giovani èstata spesso romanzata per strumentaliattacchi da parte dei teorici dell’inutilitàe dannosità dell’azione sindacale nell’e-poca contemporanea, ma ha, come ognileggenda, un solido fondo di verità.I giovani che si affacciano al mondo dellavoro non trovano facilmente la stradache li porta al sindacato. Nel 2009 la do-manda più sbagliata nei (discutibili) testd’ingresso per l’accesso all’università è sta-ta quella su “che cos’è la Cgil?”. Nella pre-carietà il sindacato è debole, ostacolatodalla fragilità dei rapporti di lavoro e dal-la frammentazione delle condizioni.Questa debolezza ha scatenato una certadiffidenza o nel peggiore dei casi ha tra-sformato il sindacato nel soggetto colpe-vole rispetto all’aumento della precarietà.Ecco perché la campagna “GiovaniNON + disposti a tutto” ha avuto un e-sordio nell’anonimato, senza loghi ne ri-ferimenti alla Cgil.L’obiettivo numero uno era infatti quellodi far parlare del problema della precarietànel modo giusto, di richiamare l’attenzio-ne, non di pubblicizzare la posizione dellaCgil come era stato fatto in altre campa-gne. Si è tentato, parafrasando il popolaredetto, di mettere il carro dietro ai buoi.La prima fase della campagna, del tuttoanonima, ha comportato la diffusione diannunci di lavoro indecenti sia nel web eche per strada.Si è trattata della prima campagna di“guerriglia marketing” realizzata dalla Cgil, cioè attraverso un utilizzo molto

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forte dei social network e del web attra-verso la diffusione del messaggio in mo-do virale, anonimo, favorendo lo scam-bio tra gli utenti. L’elaborazione e la rea-lizzazione della campagna non sono statiimprovvisati, al contrario ci si è rivolti aun gruppo di professionisti della comu-nicazione, capeggiati dall’art director Fa-bio Ferri, che ci hanno consentito di cu-rare ogni dettaglio del messaggio in mo-do che fosse impattante e nello stessotempo coerente con gli obiettivi politicidella campagna.È stato necessario impiegare una decina dipersone in questa operazione, sia interni al-l’organizzazione sia simpatizzanti, che inmodo volontario hanno lavorato sul webe nella diffusione dei materiali cartacei.Gli annunci indecenti sono stati diffusiattraverso una finta società di colloca-mento la “Giovani Disposti a Tutto” chesi proponeva di risolvere il problema dellavoro attraverso la disponibilità totale.Un sito realizzato ad hoc presentava la so-cietà con metafore esplicite riferite alla di-sponibilità a piegarsi a qualsiasi richiesta,mentre gli annunci comparivano sia suisocial network, che sui siti di offerta-do-manda di lavoro. In questo modo si è at-tirata l’attenzione di decine di migliaia diinternauti che hanno cominciato a scri-vere alla finta agenzia descrivendo proprieesperienze, inviando spontaneamente ve-ri annunci scandalosi quanto quelli in-ventati e solidarizzando con l’iniziativa.La maggior parte degli utenti ha colto lanatura provocatoria dei messaggi, ma ci so-no stati utenti che hanno pensato l’agen-zia di collocamento fosse vera, reagendo siacon l’indignazione sia, in pochissimi casi,addirittura con l’invio dei propri Cv.In questa fase tutti i volontari hanno agi-to anonimamente, attraverso profili fitti-

zi creati nei social network, in modo danon ricondurre l’operazione alla Cgil.La seconda fase, anch’essa anonima, ha a-vuto il via dopo una decina di giorni dal-l’uscita degli annunci e dopo che l’ecomediatica aveva raggiunto le più impor-tanti testate giornalistiche.Un fittizio attacco hacker all’agenzia“Giovani disposti a tutto” ha bollato conil marchio NON + il sito e gli annunci,dando voce a tutte le reazioni indignazio-ne che erano emerse nei giorni preceden-ti di fronte alla loro diffusione.Si è trattato di un passaggio centrale dellacampagna, in cui l’indignazione ha trova-to uno sfogo in un messaggio non più so-lo individuale: gli annunci indecenti ave-vano creato un meccanismo di riconosci-mento dentro una denuncia che avevatradotto migliaia di storie e di vissuti in unpotente messaggio di rabbia collettivo.A questo messaggio seguiva ora un’affer-mazione di riscatto: l’indisponibilità di-ventava la risposta allo sfruttamento e al-le offese, trasformando l’indignazione inuno spiraglio di azione collettiva. È proprio l’elemento dell’indisponibilitàche ha fornito il terreno di congiunzionedelle tante esperienze di precarietà e sfrut-tamento che si sono affacciate alla cam-pagna, riuscendo così a rendere palesi glielementi di un’esperienza comune e nonristretta nei confini dell’individualità.Gli annunci indecenti sono stati unospecchio delle condizioni del lavoro nelquale i giovani si sono riconosciuti, e que-sto riconoscimento gli ha resi protagoni-sti di un processo di svelamento.Per questo dal sito della campagna il pri-mo messaggio di svelamento dei Giova-ni NON+ disposti a tutto si intitolava“Da solo non ti salvi”.La Cgil si è rivelata solo nell’ultima fase

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come promotrice dell’iniziativa, destan-do scalpore e curiosità: molto basso è sta-to invece il numero di messaggi di dis-senso. A dimostrazione che non esiste u-na pregiudiziale dei giovani nei confron-ti del sindacato, ma che è necessario atti-vare gli strumenti e le proposte giuste.I “Giovani NON + disposti a tutto” sonoquindi diventati la Cgil, indicando la di-rezione verso la quale mettere a frutto quelsentimento di riscatto che la campagna a-veva preparato con le due fasi precedenti.

LA CAMPAGNA GIOVANI NON+ DISPOSTI A TUTTO DIVENTA RETE: LIMITI E POTENZIALITÀQuesto percorso si è tradotto nei mesisuccessivi nella creazioni di nodi locali del-la campagna, ovvero il luogo di incontrodi tutti i contatti raccolti sul web per pro-vare a trasformarli in partecipazione.Questo passaggio da reale al virtuale nonè stato così semplice, proprio perché pre-vedeva un grosso lavoro di attivazione cheè riuscito solo in alcune città. Infatti molte Camere del Lavoro non era-no predisposte ad accogliere questa do-manda di partecipazione sia per la man-canza di giovani quadri attivi nel percorsodella campagna, sia per una evidente diffi-coltà a comprendere forme e modalità di a-zione molto lontane da quelle tradizionali. Laddove i nodi sono stati avviati la cam-pagna ha attivato i suoi destinatari e inmolti casi continua ancora oggi ad essereun prezioso strumento di aggregazione.In particolare sono stati attivati nodi aRoma, Pisa, Firenze, Trieste, Bergamo,Napoli, Salerno, Forlì, Parma, Lecce, Pa-lermo, Sicilia e nelle Marche. In questiterritori i giovani NON + disposti a tut-to sono diventati reti di partecipazionepreziose, concentrandosi soprattutto sul-la contrattazione sociale, sul problema

della rappresentanza dei precari, sulla sin-dacalizzazione dei lavoratori “non stan-dard”. Pensiamo per esempio alla cam-pagna straordinaria per impugnare entroi nuovi termini del collegato lavoro i con-tratti precari illegittimi, o a “Babbo Pre-cario” l’iniziativa rivolta alle commesse eai commessi durante le feste natalizie, oancora ai tanti flash mob e alle campagnedi denuncia effettuate nelle città. Sono e-sperienze che pongono visivamente ilproblema di come rendere accessibile lavita dell’organizzazione fuori dai mecca-nismi consolidati basati soprattutto sul-l’appartenenza di categoria.Ovviamente si tratta di esperienze nonstrutturate e dal carattere straordinarioche avevano bisogno di uno sbocco intermini di azione sindacale. Infatti l’ag-gregazione di giovani e precari non era diper sé sufficiente senza un forte rapportocon le categorie e le strutture dell’orga-nizzazione. Inoltre in alcuni territori lastessa Nidil non era presente o comun-que riscontrava lo stesso limite di rappor-to con le categorie. Questo limite è sem-pre stato presente nell’azione della cam-pagna e ha fatto emergere l’urgenza di a-prire un dibattito dentro l’organizzazio-ne sulle forme della rappresentanza e l’a-zione di contrasto alla precarietà. Anche sulla base di questa esigenza nascel’idea di aprire degli “spazi giovani” nellecamere del lavoro (vedi approfondimen-to su gli spazi giovani curato da Ilaria La-ni), una sorta di evoluzione dei nodi lo-cali della campagna per integrare questaattività di aggregazione con le strutture dicategoria e il sistema servizi.

DENUNCIA, PROTESTA, PROPOSTAInsieme all’opera di denuncia emergesubito l’esigenza di costruire occasioni

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specifiche di mobilitazione. In quel pe-riodo la campagna Giovani NON+ di-sposti a tutto e la rivista molecoleonli-ne.it avevano facilitato l’attivazione dirapporti con altre realtà di giovani, pre-cari, professionisti. Nacque l’idea di co-struire una “rete di reti” finalizzata ad u-na mobilitazione sul tema della preca-rietà. I Giovani NON+ disposti a tuttosono riusciti così a diventare il colletto-re per dare vita al comitato “Il nostrotempo è adesso” e alla manifestazionedel 9 aprile 2011 (vedi articolo di Clau-dia Pratelli).Infine per la campagna si poneva l’ur-genza di costruire una solida agenda ri-vendicativa. La Cgil infatti non aveva maiveicolato un proposta complessiva ri-spetto al superamento della condizionedi precarietà, ma sempre singole richiesteche spesso non avevano avuto un forteimpatto comunicato. Da questa esigen-za e dopo un periodo di elaborazione conle varie strutture della Cgil viene presen-tata nel novembre 2011 la campagna“Diritti, non più parole” che accompa-gnerà tutta la stagione successiva. Proprioin quei mesi infatti prendeva vita il Go-verno Monti e si era aperta la partita del-la riforma del mercato del lavoro. I Gio-vani NON+ disposti a tutto si pongonol’obbiettivo di fare un lavoro di con-troinformazione e controproposta, a par-tire dalla campagna di svelamento sulcontratto unico “Inganno Unico” e in-sieme alle altre realtà del comitato orga-nizzano vari iniziative di protesta.

LE CAMPAGNE MIRATE DI SINDACALIZZAZIONE: TIROCINANTI,ASSOCIATI, PRATICANTILa campagna NON+ disposti a tutto siproponeva un lavoro di mobilitazione in

generale contro lo sfruttamento giovani-le. A partire dall’esperienza della campa-gna emergeva l’esigenza di fare azioni mi-rate su singoli temi. Da qui nasce l’ideadelle campagne mirate di sindacalizza-zione rispetto a specifiche condizionicontrattuali/lavorative, in particolare sul-le priorità dettate dagli stessi “utenti” at-traverso un circolo virtuoso.È il caso della campagna “NON +stagetruffa”, che ha visto la Cgil impegnarsi inun terreno al limite tra lavoro e forma-zione, quello degli stage e dei tirocini. So-no stati i numerosi messaggi e le segnala-zioni arrivati alla pagina facebook e al si-to dei giovani NON+ disposti a tutto aorientare la Cgil verso un impegno mi-rato sulla regolamentazione degli stage edei tirocini, diventati veri e propri stru-menti per mascherare sfruttamento e la-voro gratuito.Gli stagisti nel nostro Paese sono centi-naia di migliaia (si va per stime, non es-sendoci dati censiti certi) e abitano quo-tidianamente i luoghi di lavoro.Eppure, anche a fronte di parossisticheinterpretazioni televisive che hanno por-tato in auge il tema, la Cgil non si era maioccupata frontalmente del problema.La campagna NON+ stage truffa ha pro-dotto un’elaborazione del sindacato sul te-ma della regolamentazione degli stage, an-che con il contributo di reti e associazionidi stagisti, e ha attrezzato l’organizzazionea gestire l’abuso di queste forme di forma-zione-lavoro attraverso la contrattazione. In Sicilia i Giovani NON+ disposti a tut-to-Cgil hanno promosso una raccolta fir-me per una legge regionale di iniziativapopolare per la regolamentazione deglistage, “Firmiamo gli stage”, che ha rag-giunto l’adesione di oltre 12000 cittadini.Le sperimentazioni avviate dalla campa-

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gna hanno successivamente coinvolto lecategorie, in particolare Nidil e Filcams,con l’obiettivo di aggredire in modo piùdiretto il tema dell’ampliamento dellacontrattazione alle figure escluse (campa-gna “Dissociati” e campagna “Conilcon-tratto.it” di cui ne parleranno Banchieri,D’Andrea, Di Labio). La campagna “Giovani NON + disposti atutto” ha senz’altro prodotto un forte im-

patto esterno ed ha rafforzato l’immaginedella nostra confederazione, ma ha avutoanche una funzione interna: ha reso evi-dente per la Cgil la necessità di individuarestrumenti e pratiche adeguate per recupe-rare la propria rappresentanza e il propriopotere negoziale nei settori in cui il sinda-cato è più debole, al fine di ricostruire unarappresentanza più forte in tutto il mondodel lavoro.

LA POSSIBILITÀ E L’URGENZA: LA MANIFESTAZIONE DEL 9 APRILE 2011Era l’inverno del 2011. La crisi economi-ca cominciava a scaricare sull’occupazionele sue conseguenze più violente. Esplode-vano le ore di cassa integrazione; diventa-va prepotente il processo di “sostituzione”di lavoro stabile con lavoro a termine; au-mentava la disoccupazione. Ma soprattut-to emergeva, netto, il profilo dei più pena-lizzati: i giovani. Massicciamente precari,disoccupati, neet. E senza alcuno stru-mento di protezione sociale. Eppure Il movimento dei ricercatori equello degli studenti nell’autunno prece-dente, la gigantesca manifestazione delledonne il 13 febbraio, le rivoluzioni gene-razionali del mondo arabo suggerivano lapossibilità di un cambiamento radicale.Un cambiamento fondato, prima che sututto il resto, su attori nuovi e diversi: sulprotagonismo di categorie fino ad alloraperiferiche e prive di voce. Proprio nel momento in cui si palesavanopiù meschine le “miserie del presente”

sembravano dischiudersi “le ricchezze delpossibile”.Questo è il contesto nel quale matura ilComitato “Il nostro tempo è adesso|la vi-ta non aspetta”, una delle prime esperien-ze di organizzazione di reti, associazioni ecoordinamenti di lavoratrici e lavoratoriprecari, free lance, partite iva. L’obiettivosu cui si costituisce alla fine di Febbraio2011 è l’organizzazione di una grande ma-nifestazione di giovani e precari per il 9 A-prile dello stesso anno. Una manifestazio-ne contemporaneamente “tematica” e “ge-nera(ziona)le”. Questa inedita rete, che as-socia altre reti oltre a singole persone, si daun nome lanciando un appello alla mobi-litazione: il momento generativo non è u-na conferenza stampa, nè un’assembleafondativa, ma una accurate scelta di paro-le e simboli. In quelle parole risiede la suaidentità ibrida, così come nelle firme in cal-ce all’appello, firme di persone rappresen-tative di altrettante reti: dai giornalisti pre-cari agli archeologi, dai dottorandi ad uncollettivo di studiose-attiviste di politica

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Giovani, precari e professionisti si coalizzano:l’esperienza del comitato “Il nostro tempo è adesso”CLAUDIA PRATELLIFlc Cgil/coordinamento politiche giovanili

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delle donne, dai portuali interinali agli sta-gisti, dai cervelli fuggiti ai giovani impren-ditori “cacciati” ed altri ancora. Si trattava di un esperimento mai tentatoin quelle forme. Nel nostro paese i “giova-ni” capaci di manifestarsi sulla scena pub-blica, erano stati fino ad allora quasi esclu-sivamente gli studenti. I “giovani” lavora-tori, inoccupati, disoccupati accomunatida un presente o un futuro di precarietànon avevano, invece, trovato molte occa-sioni di espressione collettiva. L’obiettivovero, allora, era costruire un movimento,non solo una manifestazione. Si trattava diproporre un racconto generazionale, unarappresentazione comune capace con-temporaneamente di astrarsi dalle pecu-liarità delle diverse condizioni professionalio contrattuali, ma nella quale fosse possi-bile identificarsi in modo immediato. Nederivava l’esigenza di costruire la parteci-pazione all’iniziativa attraverso canali ine-diti: non attraverso una struttura organiz-zativa radicata e consolidata, ma adottan-do pratiche capaci di assicurare visibilità.La posta in gioco era alta, concreta e im-mediata: rivendicare il diritto non solo alfuturo, ma a vivere dignitosamente la pro-pria vita ne qui ed ora. Il 9 aprile 2011, dopo un mese di azioni eflash mobs che avevano attirato la curiositàdei media e dell’opinione pubblica, mani-festarono circa 30.000 persone a Roma.Diverse decine di migliaia in tutta Italia. Mail successo di quella giornata non derivavadai numeri: se ne rese conto la stampa mol-to prima degli organizzatori, dedicando al-l’iniziativa una robusta copertura mediati-ca; e se ne resero conto gli attori del dibatti-to pubblico intorno alla precarietà che non

mancarono di interloquire con il nascentemovimento. Il segno visibile e decisivo del-la riuscita dell’esperimento fu il prosieguodell’impegno del comitato ben oltre la ma-nifestazione del 9 Aprile. Impegno che hagenerato per più di un anno e mezzo unapresenza costante del Comitato nel dibat-tito pubblico e che, nel corso della sua traiet-torie e alla fine di questo, ha gemmato nuo-ve e ulteriori esperienze di impegno e par-tecipazione, così come processi di innova-zione delle reti che lo hanno animato5.L’esperienza del Comitato, oltre ad avereun valore intrinseco, rappresenta un espe-rimento di forme di aggregazione, prati-che politiche e azione collettiva. Un espe-rimento originale –nonostante l’evidentecontaminazione con i movimenti che lohanno preceduto – di organizzazione so-ciale e politica su un terreno poco abitatodai soggetti tradizionali della rappresen-tanza come i partiti e i sindacati. In parti-colare rileva la peculiare infrastruttura or-ganizzativa e la strategia politica di rappre-sentazione di sé.

ESPERIMENTI DI ORGANIZZAZIONE: LA CONNESSIONE DELLE MICRORETI L’esperienza del comitato non nasce evi-dentemente dal nulla. La sua gestazione èrintracciabile nelle tante esperienze asso-ciative e di autorganizzazione da parte dilavoratrici e lavoratori precari sorte neglianni precedenti. A dispetto della rappre-sentazione prevalente, che voleva i precaricompletamente privi di momenti colletti-vi, i primi dieci anni del terzo millenniohanno visto numerosi esperimenti di con-nessione tra lavoratrici e lavoratori precaridello stesso settore o categoria professio-

5 A questo proposito è emblematica la campagna conilcontratto.it promossa dalla Filcams-Cgil e i NON+ assiemea reti di precari aderenti al comitato, rivolta ai praticanti, collaboratori e p.iva degli studi professionali.

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nale, sia dentro le organizzazioni sindaca-li, che al di fuori da esse. Si è trattato spes-so di aggregazioni episodiche, nate in oc-casioni di vertenze o problemi specifici esubito dissoltesi, ma non solo. All’ombradella retorica del disimpegno dei giovani edella refrattarietà all’impegno sindacale daparte dei precari, sono nate reti e associa-zioni spesso di modeste dimensioni e pri-ve di struttura organizzativa nel senso piùtradizionale, tuttavia molto attive e pio-niere di nuove forme di azione collettiva.Ciò non nega la oggettiva frammentazio-ne dell’universo dei giovani e dei precari,ma da conto del fatto che non si tratta dicorpo statico e apatico, ma di un magmanel quale maturano esperimenti nuovi.La campagna Giovani NON+ disposti atutto, promossa dalla Cgil nel 2010, ha difatto costituito la piattaforma di incontroper molte di queste diverse esperienze. Inmodo né preordinato, né intenzionale at-traverso le iniziative promosse dai NON+sono maturate relazioni di scambio e con-fronto che hanno costruito i presuppostiper creare la rete. Ciò è stato possibile perl’identità “ibrida” della campagna 2giova-ni NON+ disposti a tutto”, la cui forza or-ganizzativa risiedeva in una capacità ag-gregante data da legami deboli, ma diffu-si; ma interessata dai principi organizzati-vi più tradizionali della Cgil.Proprio la comparsa e di questa campagnaha consentito di valorizzare le “microreti”di precari e di scommettere sul loro poten-ziale di relazioni, contatti e aggregazione.L’infrastruttura organizzativa del Comita-to, infatti, seppure fragile, contava sulla ra-mificazione in ambiti professionali moltodiversi tra loro e grazie a tale capillarità sul-la possibilità di intercettare, sia a livello fi-sico che in termini di immaginario, unaplatea ampia di persone.

Insieme alla spontaneità di tale processoha pesato, tuttavia, la scelta consapevoleda parte del coordinamento giovani del-la Cgil, di svolgere una funzione di con-nettore, e quella, altrettanto consapevo-le delle reti aderenti di prendere parte adun progetto più largo e articolato delproprio. In termini tradizionali si direb-be che si è trattato di una “cessione di so-vranità” da parte delle diverse reti dispo-nibili ad andare oltre di sé, con le rinun-ce in termini di contenuti e protagoni-smo che questo comporta. In realtà la di-namica innescata derivava dall’esigenzacomune di costruire un orizzonte nuovodi partecipazione impegno che produ-cesse una trasformazione e un crescitacollettiva. “Da solo non ti salvi” è stato u-na delle parole d’ordine su cui si è co-struito il Comitato, valida non solo ri-spetto all’importanza per i giovani e iprecari di mettersi in rete, ma anche ri-spetto alla necessità che associazioni, re-ti e organizzazioni, pure molto diverse,facessero altrettanto. Il precipitato di tutto questo non è stato“solo” organizzativo. Dopo la scoperta (en-tusiasmante!) che tante reti piccole poteva-no dar vita ad un movimento grande, ne èvenuta un’altra. Anche l’elaborazione e laproposta politica potevano trarre beneficiodall’avere maternità e paternità plurime. Come molte delle esperienze di movi-mento incentrate sul bisogno di autorap-presentazione, anche quella del Comitato,temevano i suoi animatori, rischiava di in-frangersi sulla pars construens. Non è sta-to così. Perché al bisogno di rappresenta-zione si sono associate competenza e desi-derio di sperimentare una produzione col-lettiva di sapere. Per questo alla Manifesta-zione del 9 Aprile è seguita nell’autunnosuccessivo un’assemblea nazionale di gio-

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vani e precari, svolta a Roma, il cui obiet-tivo è stato lanciare un decalogo di propo-ste per liberarsi della precarietà. Dieci proposte studiate, approfondite e di-scusse collettivamente a partire da compe-tenze diverse e spesso complementari. Nella costruzione di tale decalogo si è pro-dotto un momento cruciale di alfabetizza-zione politica collettiva, perché si è inne-scato un processo generativo in senso pro-prio. Non è stato irrilevante che un taleprocesso generativo di sapere e propostacollettiva, intrinsecamente politico, si siaattivato nel momento in cui il Paese era"costretto" ad un governo tecnico.

RICOSTRUIRE L’IMMAGINE DAI FRAMMENTI. LA RAPPRESENTAZIONE PRIMA DELLA RAPPRESENTANZALa realtà polverizzata della generazione dicui fa parte e cui si rivolge il Comitato de-termina una caratteristica del tutto pecu-liare della sua azione politica: l’esigenzafondante di costruire la propria identità so-ciale. Si tratta di un problema che non siponeva nel modello della partecipazionepolitico-sindacale del Novecento dovel’impegno si strutturava partire da identitàsociali date dalla collocazione nella strut-tura sociale degli interessi. Per la “genera-zione precaria” (come la definiscono i me-dia) il fatto di sperimentare un’esistenza in-stabile e precaria – nella quale il lavoro, ilreddito e quindi la propria autonomia so-no a termine – rende difficile la definizio-ne della propria soggettività sociale di ap-partenenza, del proprio ruolo nel mondo,dei propri interessi, dei bisogni e addirit-tura dei desideri. Ecco che la rappresenta-zione di sé diviene azione politica prelimi-nare ad ogni tentativo di rappresentanza.

Il compito con cui si cimenta il Comitato,allora, è la costruzione di un racconto ge-nerazionale, una rappresentazione di séche scopre il viso, si mostra e si nomina. Neè prova tutta la comunicazione del comi-tato, il cui primo atto è la realizzazione delvideo appello di lancio della manifestazio-ne, costruito sulla sequenza di volti e di-scorsi di ragazze e ragazze impegnati nelprogetto6. Si tratta di un cambiamento di non pococonto rispetto alle pratiche prevalenti finoad allora adottate dagli attivisti sul temadella precarietà. I primi movimenti impe-gnati sul tema, sorti a partire dagli anni2000, avevano adottato, a fini di denun-cia, una rappresentazione di sè “mimica”,nel senso di “rappresentazione teatrale dicaratteri e personaggi”. Si trattava di rap-presentazioni che eleggevano il tratto del-la “invisibilità” dei precari a cifra caratteri-stica con la quale comunicarsi al mondo.In questa chiave si possono leggere le ma-schere bianche che hanno accompagnatonel primo decennio del nuovo millennioquasi tutte la iniziative sulla precarietà e chesono diventate il simbolo di vertenze notecome Eutelia e ISPRA; così come, seppu-re in modo diverso, l’esperienza delle “tu-te bianche” mimava la condizione fanta-sma di chi non ha volto né voce. Il comitato, al contrario, esalta la diversitàdei nomi, delle storie e dei corpi. Questomostrarsi attraverso l’incarnazione nei cor-pi è molto di più di una battaglia di au-toaffermazione: comporta una contesadello spazio pubblico perché “svelando”nuovi attori li legittima e ne determina l’ac-cesso ai processi politici. Si tratta di unabattaglia politica ingaggiata sul terreno del-l’immateriale, orientata a svelare la colo-

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6 Realizzato da Camilla Gorgoni: http://www.youtube.com/watch?v=N2-loAzpDjI

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nizzazione del simbolico e condotta con glistrumenti della comunicazione. Obietti-vo ultimo: ricostruire un immaginario ge-nerazionale diverso. Diverso. Questo è il punto. Fin dall’emer-gere del tema la rappresentazione preva-lente di giovani e precari (concetti e sog-getti diversi, tuttavia altamente sovrappo-sti nella realtà empirica contemporanea)ondeggia tra due poli diversi, ben sintetiz-zati da due esponenti di Governi tra lorolontani (non solo diacronicamente): bam-boccioni e sfigati. La stampa, la politica eanche non poche analisi sociologiche av-valorano una tipizzazione grossolana emacchiettistica che rende impossibile unriconoscimento comune da parte della ge-nerazione chiamata in causa. “Generazio-ne mai”, “Generazione senza futuro”,“Generazione perduta" sono alcune delleetichette più frequenti nel dibattito pub-blico dei primi anni del 2000; i servizi gior-nalistici sulla precarietà –quelli più illumi-nati – mostrano collaboratrici di call cen-ter con neonati sulle ginocchia e seno sco-perto che denunciano il procrastinatosvezzamento causa l’esoso costo degli o-mogeneizzati; nei talk show televisivi sultema, - quelli meno illuminati -, la fa spes-so da padrone il lamento di benpensanti egenitori dalla schiena dritta che denuncia-no il carattere rammollito dei pargoli ita-liani, accomodati sulle coccole della vitacon i genitori fin oltre i 30anni.Per rovesciare questa standardizzazione ir-realistica il Comitato decide, nel raccontodi sé, di attingere ad un campo semanticoignorato dalle raffigurazioni precedenti: ilvalore. Si tratta di mettere in luce altre ca-ratteristiche proprie delle generazioni piùgiovani, le più istruite e qualificate che lastoria abbia conosciuto: competenti, crea-tive, indispensabili. Ne è esempio calzan-

te un brano dell’appello per la manifesta-zione del 9 Aprile, che recita:"Siamo la grande risorsa di questo paese.Eppure questo paese ci tiene ai margini.Senza di noi decine di migliaia di impreseed enti pubblici, università e studi profes-sionali non saprebbero più a chi chiederebraccia e cervello e su chi scaricare i costidella crisi. Così il nostro paese ci spreme eci spreca allo stesso tempo."Qui la denuncia dell’essere messi all’ango-lo, si accompagna alla rivendicazione delproprio valore e della propria indispensa-bilità: nella definizione “risorsa” (valore ag-giunto) si riconosce l’opposto di ciò che ècomunemente associato a quella di “pre-cario”: scoria. Su questa idea di una gene-razione sfruttata ma di valore, tenuta in fi-la, ma insorgente; si costruisce l’immagi-nario del comitato.Colori, parole e pratiche di azione rispon-dono, in fondo a questo sentimento fon-damentale. Lo esemplifica bene il manife-sto prodotto e affisso per promuovere lamanifestazione del 9 Aprile. Il colore giallo fluo del manifesto, sceltofuori da ogni retorica vittimistica, sugge-risce un’idea di energia, riscatto e azione;il simbolo esclamativo allude ad una pre-sa di parola decisa e netta; Il titolo nomi-na un sentire collettivo di urgenza: viverela propria vita adesso. Si tratta di una sfi-da anche alle retoriche sul diritto al futu-ro per i giovani, utilizzate spesso comescusa per disimpegnarsi rispetto al pre-sente dei giovani. Lo slogan, infine, pone l’istanza del movi-mento: una domanda di liberazione da u-na condizione che contamina la vita inte-ra delle persone. Anche le pratiche adottate rispondono a-gli stessi criteri. Ne sono un esempio mol-te delle iniziative realizzate dal comitato in

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preparazione della manifestazione del 9Aprile e successivamente. Si tratta di flashmobs, azioni, blitz e performances, nate epensate per suscitare curiosità e partecipa-zione attiva da parte di coloro che le in-contrano e per essere rilanciate sul webtramite video realizzati in tempo reale. Inquesta capacità diffusiva della comunica-zione, nell’immediatezza con cui si resti-tuisce l’azione realizzata a chi non c’era(tramite i media e i social media) risiede lacapacità aggregativa del comitato e la sua"struttura organizzativa": l’incontro consimpatizzanti e attivisti avviene sul webgrazie a un video capace di suscitare in chilo osserva un rispecchiamento e anche unsorriso. La scelta inequivoca, infatti, èquella di adottare un registro ironico, ac-cattivante, come strategia alternativa alleliturgie “barricadere” o alla retorica dellalamentazione.La prima di questo tipo è stata realizzatain occasione dei festeggiamenti per il 150°anniversario dell’unità d’Italia7: allestita u-na grande porta tricolore davanti a PiazzaColonna (a pochi metri dalle celebrazio-ni ufficiali), sulle note della canzone “ven-go anch’io, non tu no”, l’iniziativa coin-volgeva una quindicina di giovani attivi-sti del comitato in fila davanti alla portasorvegliata da tre anziani signori, che im-pedivano loro di entrare. Immediato il si-gnificato dell’esclusione generazionale de-nunciata in occasione di una festa che do-veva essere di tutti. Il clima giocoso, checoinvolse molti passanti nel gioco di co-struire e ricostruire la fila armati di fi-schietti e stelle filanti, consentiva di veico-lare una denuncia molto seria rispetto al-la marginalizzazione di giovani e precari

in un paese che non riconosce loro dirittie una piena cittadinanza.Di tenore analogo anche il “Guerrilla Fil-ming”8 realizzato a ridosso della manife-stazione: una proiezione abusiva e nonpreannunciata, sui muri della città di vi-deo, brani di film e cortometraggi. Primanella cornice di Piazza Navona, poi nellapiazza centrale del Rione Monti e dopoancora nel quartiere “giovane” del Pigne-to, sono stati proiettati a più riprese spez-zoni di film e di serie televisive sul temadella precarietà del lavoro e del costo del-la cultura, oltre che un video appello allapartecipazione alla manifestazione inprogramma. L’iniziativa aveva la duplicefinalità di promuovere la manifestazioneintroducendone il tema centrale (la de-nuncia della precarietà del lavoro) e por-re il tema dell’accesso a un diritto che èanche un valore sociale: quello alla cultu-ra. In questa azione, quindi, coesistevanodenuncia e rivendicazione e pratica del-l’alternativa, con la messa a disposizionegratuita e imprevista di un “cineforum”.Si tratta di un esempio emblematico del-la costruzione di una di quelle forme ditoghetherness in cui si mescolano deside-rio-bisogno di espressività, di voice e di u-nirsi agli altri [Amin 2008]. Il guerrilla fil-ming, infatti, coniuga una natura espres-siva (promuovere comunità) con finalitàstrumentali (promuovere una manifesta-zione), mettendo insieme, pur momen-taneamente, un pubblico nel quale susci-tano commenti e conversazioni, stimola-no riflessioni, sorprendono e scuotono,innescando i processi di consapevolezzapreliminari alla partecipazione e all’azio-ne politica.

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7 Realizzato da Camilla Gorgoni: http://www.youtube.com/watch?v=N2-loAzpDjI8 Realizzato da Camilla Gorgoni: http://www.youtube.com/watch?v=N2-loAzpDjI

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LA CONDIZIONE DEI PROFESSIONISTINegli ultimi anni è aumentato il numerodi professionisti in seguito alla maggiorerichiesta di lavoro qualificato nella pro-duzione di beni e servizi. Man mano chei processi produttivi aumentavano dicomplessità è diventato sempre più diffi-cile delimitare il campo del “professioni-smo” e oggi identifica lavoratori autono-mi e dipendenti, quadri e consulenti, ar-tigiani e chi svolge mansioni concettuali,singoli individui e team.Come ha mostrato una ricerca dell’Ires,svolta per la Filcams e la Consulta del La-voro Professionale Cgil, i lavoratori che sidefiniscono “professionisti” appartengonoa una molteplicità di settori e operano conuna grande varietà di contratti. Ciò che ca-ratterizza un professionista non è l’apparte-nenza a un settore o l’utilizzo di una deter-minata tipologia contrattuale ma è la forteidentificazione in un mestiere qualificato ela propensione a svolgerlo nella manierapiù autonoma possibile, allo scopo di offri-re un servizio altamente specializzato.Dunque, interessarsi ai professionisti signi-fica interessarsi al ruolo della conoscenza, aldesiderio di autodeterminazione dei lavo-ratori e, in generale, al modello di sviluppoitaliano. Una sfida quanto mai importan-te perché l’aumento dei professionisti è an-dato di pari passo con un peggioramentocontinuo della loro condizione, in un siste-ma competitivo giocato sulla bassa qualitàdel lavoro e dei beni prodotti.Al di là della forma contrattuale con cui o-

perano, i professionisti vivono una crisi didiritti e prospettive che caratterizza tutto ilmondo del lavoro. In particolare, la ricercadell’Ires mostra che gran parte dei profes-sionisti autonomi vive una posizione diforte subordinazione rispetto al commit-tente e al mercato, non riesce a contrattarele proprie condizioni di lavoro pur avendouna forte propensione all’indipendenza, èfuori dalle protezioni sociali, ha un reddi-to insufficiente e in molti casi rischia la po-vertà. Per i più giovani, inoltre, la fase di ac-cesso alla professione comporta un perio-do di intenso sfruttamento, dove l’esigen-za di formazione propria dell’apprendista-to o del praticantato è trasformata in un la-voro subordinato a basso costo.Dall’indagine emerge che il professioni-smo autonomo non è più lo stesso perchéla capacità di contrattare del singolo neiconfronti delle aziende è diminuita: i rap-porti di forza sono enormemente sbilan-ciati in favore dei committenti e in Italia siè intervenuti poco dal punto di vista legi-slativo o contrattuale per riequilibrare laparte contraente che si stava indebolendo.La solitudine davanti al proprio destino èuna condizione diffusa tra i professionistiautonomi che sono ridotti a essere unostrumento a basso costo nelle mani deicommittenti, fuori dai sistemi di rappre-sentanza e di protezione fondamentali.

ESPERIENZE DI AUTO-ORGANIZZAZIONE E RETIPer superare queste difficoltà i professio-nisti hanno iniziato a organizzarsi co-

Professionisti sempre meno liberi si organizzano: cosa vogliono e cosa chiedono al sindacatoDANIELE DI NUNZIO Ires Cgil

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struendo delle azioni collettive capaci diguardare sia alla specificità del propriomestiere che ai problemi più generali dellavoro, nell’intento di rafforzare la pro-pria rete e di costruire dei rapporti con leforme tradizionali della rappresentanza.Di seguito racconteremo alcune di que-ste esperienze, fra le tante, per mostrare ledinamiche organizzative, le proposte e ilsenso della loro azione per il sindacato.L’Associazione Nazionale Archeologiènata nel 2005 sui cantieri dell’alta velo-cità della Roma-Napoli dove decine di ar-cheologi hanno condiviso degli spazi fisi-ci in cui conoscersi e organizzarsi, supe-rando l’isolamento di queste figure checaratterizza i cantieri tradizionali. L’Anaha 400 soci fondatori e circa 1800 iscrit-ti. Una delle richieste principali è quellaper il “riconoscimento della professione”che, come spiega Salvo Barrano, non si-gnifica volere un ordine professionale madefinire delle forme di accreditamento,come degli elenchi pubblici presso il Mi-nistero dei Beni Culturali, vincolando l’i-scrizione a dei titoli e al rispetto di un co-dice deontologico. Gran parte dei pro-blemi che si trovano ad affrontare sonoquelli comuni a tutti i lavoratori delle co-struzioni. Gli appalti al massimo ribassoportano alla riduzione dei compensi pertutte le figure professionali, più o menoqualificate. Allo stesso modo si pone lanecessità di una migliore programmazio-ne dello sviluppo urbano attraverso deiluoghi democratici di confronto.Iva sei Partita è nata nel 2010 dalla vo-lontà di un ristretto gruppo di architetti eingegneri che ha iniziato con un sito webper creare uno spazio di incontro, supe-rando la solitudine di queste figure che o-pera da casa o nei micro-studi italiani. Ilsito ha oggi circa 20mila contatti al mese.

Come racconta Paola Ricciardi, una del-le fondatrici, l’associazione è stata forma-lizzata di recente ed è nata come un grup-po di auto-aiuto e di informazione – so-prattutto per adempiere alle questioniamministrative e orientarsi nella giunglaburocratica – e solo nel tempo è matura-ta una consapevolezza sulle lotte comuni.I problemi che affrontano sono quellipropri delle partite iva e di chi lavora nel-le costruzioni. La dimensione degli studiprofessionali è piccola: in media contano1,2 dipendenti ma in realtà sono presen-ti numerosi falsi lavoratori autonomi. C’èun’illegalità diffusa e, anche, una manca-ta regolamentazione nella definizione deicompensi e il sistema degli appalti a bas-so costo alimenta le condizioni peggiori.Una delle loro iniziative ha utilizzato illinguaggio degli architetti e ingegneri perdenunciare le difficoltà e favorire un pro-cesso di identificazione dei lavoratori inuna condizione comune. Hanno rico-struito il Modulo di Le Corbusier a gran-dezza naturale – rappresentando un uo-mo con il braccio alzato che serve per de-finire le proporzioni dell’architettura –per denunciare un’architettura che non èa “misura di uomo”. A ogni tacca corri-spondeva un’angheria: non avere le ferie,non avere pagati gli straordinari, non a-vere il diritto ad ammalarsi e l’ultima tac-ca, la mano in alto, indicava che la misu-ra era colma.Errori di stampa è un coordinamento digiornalisti precari di Roma creato alla finedel 2010 sulla spinta di coordinamenti na-ti in altre regioni italiane. Giornalisti pre-cari e free-lance si sono conosciuti sul cam-po, nella città, e sono partiti da un grupporistretto di circa 15 persone per poi au-mentare pur mantenendo una strutturainformale, mentre in altri luoghi d’Italia si

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sono formalizzati instaurando delle colla-borazioni con le Assostampa locali dellaFnsi. Una delle prime iniziative è stataquella di costruire un appello-manifestocon le rivendicazioni centrali: l’indennitàdi disoccupazione per i contratti atipici; l’i-stituzione del “bacino dei precari” e di unrappresentante dei collaboratori in seno alCdr in tutte le aziende editoriali; la regola-mentazione degli stage; l’applicazione ditariffari equi per i collaboratori. L’ultimaproposta, l’equo compenso, è stata appro-vata dal Parlamento ed entrerà in vigorequest’anno segnando un importante ri-sultato nelle mobilitazioni dei giornalisti.Tra le molte lotte condotte, è stata fatta u-na campagna contro i contratti-truffa inRai e contro la clausola di gravidanza cheimponeva la scissione del contratto in ca-so di maternità, che è stata abolita dopoun’intensa campagna mediatica. Le con-dizioni di lavoro dei giornalisti hanno unimpatto sulla qualità dell’informazione,come racconta Viola Giannoli, una delleorganizzatrici di Errori di Stampa. Miglio-rare le condizioni dei giornalisti significagarantire una informazione più libera. Perfarlo è necessario favorire l’inclusione ditutti i lavoratori nell’organizzazione delgiornale così come nella scelta dei proprirappresentanti.La Rete dei Redattori Precari (ReRe-Pre) nasce da un’assemblea tenuta a Mi-lano nel 2008 con circa cinquanta perso-ne, per denunciare le condizioni dei la-voratori editoriali e nel tempo si è estesain altre città con un punto di riferimentounico dato dal sito web. Lottano control’esternalizzazione selvaggia dei servizi e-ditoriali e per migliorare le opportunitàdi contrattazione per i collaboratori, inparticolare per quanto riguarda compen-si, tempi e modalità di lavoro. È stato

messo a punto un “tariffario del redatto-re” che stabilisce in maniera indicativa illivello di una retribuzione adeguata pertipo e carico di lavoro, al fine di aiutare ilavoratori a valutare la congruità dei com-pensi percepiti. Le iniziative principali so-no di denuncia, per smascherare lo sfrut-tamento nascosto dietro i prodotti edito-riali, come quando, nel Natale 2010, èstato consegnato del carbone ai verticidell’Associazione degli Editori Italiani oquando, verso la fine del 2012, è statascritta una lettera aperta all’assessore allacultura del Comune di Milano per de-nunciare il precariato su cui si fonda unsettore strategico per la città.Rimanendo nel campo editoriale, i tra-duttori da tempo si sono organizzati e do-po otto anni di collaborazione con il Sin-dacato Nazionale Scrittori hanno costi-tuito l’associazione Strade, il Sindaca-to Traduttori Editoriali. Strade ha pro-dotto numerose iniziative sul piano dellatutela individuale, per soddisfare una do-manda di servizi che è crescente nel pro-fessionismo autonomo: una mutua per latutela sanitaria; un servizio di assistenzafiscale e legale; seminari di aggiornamen-to; convenzioni con scuole e aziende diweb-marketing per avere degli sconti. Aquesti servizi stanno già aderendo altre as-sociazioni e alcuni sono aperti anche ainon iscritti. Per quanto riguarda la tutelacollettiva, Strade ha siglato a fine 2012 unprotocollo di intesa con la Slc Cgil, chestabilisce una collaborazione per tutte leazioni rivendicative e le trattative con-trattuali di settore, offrendo anche un’i-scrizione agevolata al sindacato. Strade haanche definito un decalogo per le azien-de, al fine di disciplinare al meglio le fasidel processo produttivo delle traduzioni.Proprio nel settore editoriale è stata av-

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viata una collaborazione tra Slc, ReRePre,Strade e Ires Emilia Romagna, per ese-guire un’indagine nazionale sulle condi-zioni dei lavoratori raccogliendo più dimille questionari, al fine di costruire del-le campagne comuni sulla base di una co-noscenza condivisa dei bisogni.Uno dei primi passi per riuscire a organiz-zarsi è proprio quello di conoscere i biso-gni dei lavoratori. La pratica dell’inchiestaè molto diffusa tra i professionisti, perchésono spesso degli “invisibili” nei processiproduttivi e hanno delle esigenze moltodiversificate anche nell’ambito dello stes-so settore, a partire dal desiderio di essereautonomi o dipendenti. Hanno iniziatocon delle ricerche anche altre reti di pro-fessionisti: l’Ana promuove un censimen-to periodico (il primo è stato subito dopola fondazione, nel 2006); Errori di Stam-pa ha promosso un censimento sul preca-riato romano denunciando i compensiindegni che costringono molti giornalistisotto la soglia di povertà; Iva sei Partita hasvolto un’indagine per dimostrare la dif-fusione delle false partita iva (più del 70%secondo i risultati).

LE COALIZIONI E IL RAPPORTO CON IL SINDACATOLe collaborazioni tra le reti sono fre-quenti. I rapporti più intensi sono tra leprofessioni che operano nello stesso pro-cesso produttivo, come nel caso della col-laborazione tra redattori e traduttori, tragiornalisti e fotoreporter, tra architetti eingegneri. Questo tipo di rapporti consentono di a-vanzare delle riflessioni comuni su unospecifico settore. Proprio questa capacità di guardare al-l’insieme del processo produttivo per-mette di tessere delle relazioni con i sin-

dacati di categoria, che sono andate in-tensificandosi negli ultimi due anni. Adesempio, la Filcams ha collaborato conIva sei Partita per il rinnovo del Contrat-to Collettivo Nazionale degli studi pro-fessionali nel quale, per la prima volta, so-no state inserite tutele e regole per prati-canti, partita iva e collaboratori. Slc, co-me visto prima, collabora in manieracontinuativa con i redattori e i tradutto-ri. La Fisac ha costituito l’AssociazioneProfessionisti Assicurazioni e Credito (A-pac), rivolta a figure come i promotori fi-nanziari, i periti e i produttori assicurati-vi (circa 200mila addetti nel settore) conl’obiettivo di andare verso la riunificazio-ne dei diritti tra autonomi e dipendenti.O ancora, tra le tante, possiamo citare l’e-sperienza della Filleache si è dotata di unUfficio Restauro e Archeologia per la di-fesa dei diritti di queste figure professio-nali, al fine di includere nel contratto del-l’edilizia le loro specificità, per garantireuna “libera scelta” della forma contrat-tuale, una migliore organizzazione del la-voro, un adeguato percorso formativo.Questo ha portato a una maggiore atten-zione per le figure professionali altamen-te qualificate e per le partite iva nella piat-taforma per il rinnovo del contratto edi-le, siglata con Cisl e Uil. La Cgil a livello confederale è ampia-mente impegnata nel tentativo di ricon-durre le problematiche specifiche deiprofessionisti a una visione generale delmondo del lavoro. Con la presenza di Nidil la Cgil ha mes-so a disposizione uno spazio di incontroe di consulenza per tutti i professionistiche operano in forma autonoma e si è at-tivata per tutelare coloro che sono vittimadi abusi contrattuali.La Consulta del Lavoro Professionale

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della Cgil, attiva dal 2010, cerca di ali-mentare un confronto permanente tra laCgil e le associazioni dei professionisti persostenere l’allargamento della rappresen-tanza nelle categorie e l’estensione dellacontrattazione. In breve tempo la Con-sulta è riuscita a costruire un’ampia par-tecipazione delle reti autorganizzate e at-tualmente conta la presenza di 62 asso-ciazioni. Oltre a collaborare con le cate-gorie, la Consulta ha cercato di struttura-re un programma di indirizzo condivisocon le associazioni per promuovere delleproposte legislative, come nel caso dellaregolamentazione delle associazioni pro-fessionali non riconosciute o per la rifor-ma del sistema previdenziale.Agenquadri rappresenta i quadri e le al-te professionalità – assunte con qualsiasiforma contrattuale – in collaborazionecon le categorie sindacali. L’obiettivo èquello di rompere l’isolamento di questefigure che sono spinte alla trattativa in-dividuale, contribuendo all’innovazionedella contrattazione e favorendo un dia-logo sociale che necessariamente deve in-teressare anche le figure più qualificatedei cicli produttivi. Lo sportello dell’A-genquadri Lombardia istituito presso laCamera del Lavoro di Milano vuole of-frire una tutela individuale collaborandocon le categorie e i servizi della Cgil, equesta esperienza si sta diffondendo an-che nelle altre regioni, con una prossimaapertura nel Lazio. Inoltre, Agenquadriha costituito Picap, un gruppo di Pron-to Intervento per la Contrattazione del-le Alte Professionalità che ha lo scopo disupportare le categorie in ogni fase dellacontrattazione. Un momento di forte coesione tra le retie il sindacato si è avuto in occasione dellemanifestazioni promosse dal Comitato

de “Il Nostro Tempo è Adesso”nel cor-so del 2011, dove le istanze dei professio-nisti si sono unite a quelle del precariatodiffuso, comportando la definizione diun’ampia piattaforma costruita tra il web,i flash mob e le assemblee. Il sindacato hagiocato un ruolo determinante – attra-verso il Dipartimento Politiche Giova-nili e la Campagna Giovani NON+ di-sposti a tutto – per superare la fram-mentazione tra i lavoratori, creando unacontinuità tra le istanze dei professionisti,quelle dei precari e quelle generali delmondo del lavoro.Altri tentativi di collaborazione tra pro-fessionisti sono alimentati da soggetti co-me Acta (Associazione Consulenti Ter-ziario Avanzato) o il Quinto Stato (unacoalizione di reti di professionisti) che cer-cano di creare servizi e proposte comuniper i lavoratori del terziario avanzato, conuna prospettiva di forte indipendenza.In particolare, il Quinto Stato ha costrui-to una proficua collaborazione con i la-voratori dello spettacolo del Teatro ValleOccupato di Roma, per creare delle atti-vità di co-working e, più in generale, perriflettere sul ruolo della cultura nello spa-zio pubblico, avanzando delle piattafor-me per un diverso sviluppo urbano.

PROSPETTIVE DI NUOVO DIALOGO SOCIALELe forme di organizzazione e rappresen-tanza che erano proprie dei professionistisi sono destrutturate e oggi, accanto agliattori tradizionali come gli ordini e i sin-dacati, si sviluppano sempre di più retiauto-organizzate che vogliono romperel’isolamento dei professionisti precari,che chiedono tutele e spazi di dialogo so-ciale più inclusivi dove esprimersi.Le preoccupazioni dei professionisti au-tonomi investono ogni aspetto del lavo-

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ro. Vogliono avere libertà di scelta nelcontratto, compensi equi, regolamenta-re i tempi di pagamento, definire l’orga-nizzazione del lavoro, disciplinare l’ac-cesso alla professione, salvaguardare il fu-turo previdenziale, accedere a una for-mazione permanente, al credito, a soste-gni e tutele in caso di malattia, infortu-nio, maternità, disoccupazione. Inoltre, i professionisti chiedono un rico-noscimento del proprio mestiere e delleproprie qualifiche, per valorizzare il lororuolo nel processo produttivo ma ancheil loro ruolo sociale, prestando attenzio-ne a temi quali la libertà d’informazione,l’edilizia sostenibile, la valorizzazione delpatrimonio artistico e culturale, la tuteladella salute, la responsabilità sociale delleimprese e così via.A questi bisogni si accompagna la neces-sità di costruire nuove modalità di nego-ziazione, per riequilibrare i rapporti diforza dentro e fuori i luoghi di lavoro, o-perando con due obiettivi complemen-tari: lottare contro il falso lavoro autono-mo e, al tempo stesso, valorizzare il piùpossibile il lavoro autonomo dandogli tu-tela e rappresentanza, per ricomporre ilmondo del lavoro ed evitare il dumpingcontrattuale.Come mostra la ricerca dell’Ires, le ri-chieste dei professionisti sono rivolte adun ampio ventaglio di soggetti: il legisla-tore (22%), le associazioni (13,5%), l’a-zione congiunta di sindacato e associa-zioni (15%), gli ordini (29%), la contrat-tazione collettiva (8%). La maggior par-te delle richieste riguarda compiti che, nelnostro Paese, sono propri del sindacato eche necessitano di un’estensione dellarappresentanza, intesa sia come inclusio-ne nella contrattazione sindacale dei bi-sogni dei professionisti, sia come un al-

largamento del dialogo sociale attraversoil coinvolgimento di tutti gli attori inte-ressati, costruendo spazi sempre più de-mocratici di confronto. Allo stesso mo-do, il sindacato potrebbe favorire la colla-borazione con i professionisti per favori-re l’estensione dei servizi.Come abbiamo visto, l’auto-organizza-zione su base professionale rimane unapratica inevitabile, poiché l’identificazio-ne nel mestiere resta lo strumento più for-te per costruire le mobilitazioni. Eppure,l’auto-organizzazione si accompagna a u-na collaborazione con gli altri attori, inun processo di continue alleanze e conta-minazioni, al fine di salvaguardare le spe-cificità professionali ma anche di costrui-re delle lotte generali, che riguardano l’in-sieme di un ciclo produttivo, un settore,un territorio, finanche i diritti di tutti i la-voratori al di là della tipologia contrat-tuale con cui operano. Il sindacato gioca un ruolo fondamen-tale in questi processi. I percorsi dei pro-fessionisti si intrecciano con quelli delsindacato generale, perché le tutele e idiritti che chiedono sono a rischio pertutti i lavoratori. E perché i problemi deiprofessionisti interessano il modello disviluppo nella sua complessità, conside-rando la qualità del lavoro nel dispiegar-si dei processi produttivi e nel rapportocon lo spazio pubblico. L’innovazionedel dialogo sociale è già in atto e deve es-sere favorita per costruire dei percorsi dinegoziazione sempre più inclusivi e de-mocratici, capaci di creare relazioni con-tinue, piattaforme e spazi comuni tra re-ti, associazioni, istituzioni e sindacato,favorendo la ricomposizione del mon-do del lavoro partendo dall’affermazio-ne di diritti fondamentali per tutti lavo-ratori.

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PARTE QUARTA60

IL CONTESTOLa campagna conilcontratto.it nasce a se-guito del rinnovo del Contratto Colletti-vo Nazionale (Ccnl) degli studi profes-sionali stipulato tra Confprofessioni e Fil-cams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs Uil. Halo scopo di informare i lavoratori sui con-tenuti del nuovo Ccnl e di far sì che ci siala partecipazione dei diretti interessati al-la trattativa in corso.La sinergia delle competenze di Nidil Cgil, Giovani NON+ disposti a tutto-Cgil, Filcams Cgil e la collaborazione conassociazioni di partite Iva, praticanti e gio-vani avvocati è parte fondamentale diquesta esperienza. Iva sei partita è una as-

sociazione di architetti ed ingegneri che la-vorano a partita iva, un movimento ete-rogeneo all’interno del quale alcuni chie-dono di veder riconosciuta la propria con-dizione di lavoro di fatto subordinato, al-tri di poter accedere a una professione real-

mente libera. L’associazione Sesto Pianoinvece si pone l’obiettivo di denunciare lacondizione di precarietà e sfruttamentodei giovani avvocati e praticanti che ten-tano di accedere alla professione.Uno studio dell’Università La Sapienzadel 2011 ha rilevato che i lavoratori ati-pici subordinati e parasubordinati sonopiù di 5,5 milioni e che circa il 45% diquesti guadagna meno di 15.000 € l’an-no. Il ricorso all’aiuto dei genitori divie-ne una forma di ammortizzatore socialeindispensabile: solamente la metà (il46,2%) non ha degli aiuti mentre il35,1% li ha qualche volta e uno su cin-que (18,1%) spesso.

La maggior parte di questi professionistilavora per più committenti e non si puòconsiderare un lavoratore dipendente, nevuole esserlo. Anzi, il 65,8 % si conside-ra un lavoratore autonomo con scarse tu-tele, ritiene che sia fondamentale avere

Fermare la svendita dei praticanti e dei collaboratoridegli studi professionali: la campagna “conilcontratto.it”ALESSIO DI LABIO Filcams Cgil

<10.000 10.000-15.000 15.000-20.000 20.000-30.000 >30.000 Non indica TotaleArea giuridica 30,9 12,2 13,7 20,9 19,4 2,9 100Area economica 11,0 18,0 13,0 30,0 24,4 4,0 100Area gestionale 12,8 23,1 18,8 22,2 22,2 0,9 100amministrativaArea tecnica 19,0 21,4 16,7 19,9 21,3 1,7 100Area socio-sanitaria 21,9 17,2 23,4 14,1 20,3 3,1 100e assistenzialeCultura e spettacolo 40,8 23,7 11,8 9,2 10,5 3,9 100Informazione 35,4 24,2 17,2 14,1 5,1 4,0 100ed editoriaInterpreti e traduttori 26,0 24,1 19,4 15,0 10,8 4,7 100Docenti ed educatori 35,5 32,3 16,1 3,2 3,2 9,7 100Ricercatori 26,3 26,3 5,3 21,1 21,1 0,0 100non specificatiOperai e artigiani 30,0 20,0 20,0 30,0 0,0 0,0 100Media 23,0 21,6 17,0 18,5 17,2 2,9 100

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garanzie di tutela in casi di malattia einfortunio o maternità, ma al contempovuole difendere l’autonomia della profes-sione. Se quindi è innegabile che sia mol-to diffuso l’abuso di rapporti di lavoro a-tipici che nascondono rapporti di lavorodipendente è altrettanto vero che in alcu-ni settori, sicuramente in quello degli stu-di professionali, l’autonomia professio-nale sia un condizione irrinunciabile.Allo stesso modo il praticantato e il tiro-cinio sono tappe fondamentali del per-corso formativo per poter esercitare laprofessione. Il rischio però è che per pra-ticanti e tirocinanti si vada oltre l’abuso ela mancanza di tutele, basta guardare larecente reintroduzione nella riforma fo-rense del praticantato gratuito, un prov-vedimento anacronistico e perfino incontraddizione con quanto previsto dal-la recente riforma Fornero. I neolaureatiche tentano di inserirsi nel mondo del la-voro sono costretti a prestare attività gra-tuita, senza diritti, tutele e welfare, oltreche chiamati a svolgere prevalentementemansioni dequalificanti.Nelle esperienze esistenti la contrattazio-ne ha ottenuto preziose stabilizzazioni insingoli contesti lavorativi che, pur consi-derate un importante risultato e un o-biettivo da continuare a perseguire, nonsono riuscite, in assenza di una più largaregolamentazione e protezione socialedei lavoratori non dipendenti, ad offrirela possibilità di migliorare le tutele col-lettive o individuali esistenti. Insomma,l’assenza diffusa di una regolamentazio-ne collettiva indebolisce e rende moltodifficile l’allargamento della rappresen-tanza tra i lavoratori precari o atipici e trai professionisti. Allo stesso modo la de-bolezza di rappresentanza rende più dif-ficile l’azione collettiva.

LA CONTRATTAZIONENell’ultimo rinnovo del Ccnl degli studiprofessionali le organizzazioni sindacalihanno preteso e ottenuto un demando acontrattare diritti collettivi anche per pra-ticanti, tirocinanti, partite iva e collabo-ratori, finora non contemplati dal con-tratto. L’obiettivo è quello di dare un’i-dentità contrattuale, quindi collettiva, al-la moltitudine di figure atipiche che ope-rano in questo settore. Una nuova strate-gia contrattuale inclusiva, finalizzata al-l’estensione di tutele e diritti universalianche a lavoratrici e lavoratori non di-pendenti, in coerenza con la proposta chela Cgil ha portato avanti con la Consultadelle professioni.Un primo obiettivo è condividere con lecontroparti strumenti di contrasto all’a-buso del lavoro autonomo. Per i “veri au-tonomi” non titolari di studio, dovrannoessere individuate tutele e diritti oggi nonriconosciuti. Si cercherà inoltre di con-trattare forme di equo compenso ai pra-ticanti di studio utilizzando anche l’isti-tuto dell’apprendistato, prendendo comeriferimento il salario previsto per il livellodi “quadro”. Per le collaborazioni e le al-tre forme di lavoro atipico si rivendica ilriconoscimento dei diritti fondamentaliprevisti per i lavoratori dipendenti e for-me di retribuzione adeguate alla profes-sionalità. Per tutti si vorrebbe estendere ilwelfare contrattuale come l’assistenza sa-nitaria integrativa.

LA CAMPAGNA CONILCONTRATTO.ITIn supporto alla trattativa è stata avviatala campagna conilcontratto.it il cui fulcroè il sito. In rete il sindacato organizza larappresentanza sperimentando un luogodiverso. Questo risponde all’esigenza diincontrare persone che hanno una di-

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mensione lavorativa individuale e sonodifficilmente intercettabili attraverso glistrumenti classici a disposizione della C-gil. Il sito, oltre a dare aggiornamenti sul-la trattativa in corso e a fornire riferimen-ti contrattuali e di legge, è lo strumentoattraverso il quale le lavoratrici ed i lavo-ratori possono denunciare la propria si-tuazione individuale, porre interrogativie fare proposte. La campagna viene inol-tre promossa attraverso i social network.Si sono svolti, e si continueranno a pro-grammare, incontri sui territori con le as-sociazioni studentesche e le lavoratrici edi lavoratori del settore, un’occasione di fa-re vere e proprie assemblee. Il rapporto sulterritorio è indispensabile visto che alcunirisultati potrebbero essere ottenuti pro-

prio a questo livello: il Ccnl demanda allacontrattazione regionale un importanteruolo di ampliamento di diritti e tutele; i-noltre molte competenze sono delle re-gioni (di recente la regione toscana ha ap-provato una legge che stabilisce la retribu-zione minima di 500 € per tirocinantipraticanti). In questa direzione sono statifinanziati appositi progetti finalizzati allacostruzione di una struttura di compe-tenze e luoghi per organizzare la rappre-sentanza di questi lavoratori.Il lavoro fin qui svolto ha arricchito l’e-sperienza di tutti gli attori coinvolti ed e-videntemente è solo parte iniziale di unprogetto che dovrà continuare oltre i pri-mi risultati contrattuali, anche attraversol’implementazione della campagna.

Tra le tipologie contrattuali di cui laCgil ha chiesto l’abolizione c’è quel-

la del contratto di associazione in par-tecipazione. Una tipologia ad elevatorischio di precarietà, che formalmenterende i lavoratori soci dell’azienda pres-so la quale operano, ma che di fatto rap-presenta uno strumento di elusione so-stanziale di lavoro dipendente, col qua-le numerosi esercizi commerciali han-no evitato per anni di assumere com-messe e commessi secondo quanto pre-visto dal Ccnl.L’utilizzo di questa forma contrattuale sitraduce per le aziende in un notevole ri-sparmio sul costo del lavoro, e per i lavo-

ratori significa retribuzioni sotto ai mini-mi tabellari, incertezze di reddito, totalemancanza di tutele e ammortizzatori so-ciali in caso di licenziamento.

COME FUNZIONA L’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONEIl contratto di associazione in partecipa-zione, disciplinato dall’articolo 2549 delcodice civile, stabilisce infatti che l’asso-ciante (imprenditore) attribuisca all’asso-ciato (lavoratore) una partecipazione agliutili dell’azienda. L’associato può dare siaun apporto di carattere economico, siaun apporto di lavoro, come accade nellaquasi totalità dei casi.

La truffa dell’associazione in partecipazione: la campagna “dissociati” DARIA BANCHIERI*e ROBERTO D’ANDREA** *Filcams Cgil ** Nidil Cgil

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La normativa dice che laddove il contrattonon specifichi la quota di utili spettanti al-l’associato, essa deve essere calcolata in pro-porzione al valore dell’apporto dato dal-l’associato rispetto al valore dell’impresa. Ilcalcolo è effettuato sulla base dei criteri divalutazione del bilancio dell’impresa. È facile dunque, per le imprese che adot-tano questa tipologia contrattuale, ri-sparmiare sul costo del lavoro e compri-mere i salari.L’associante ha diritto ad essere informatosull’andamento dell’azienda e ad esercita-re i controlli. L’associato ha diritto al ren-diconto periodico della gestione dell’im-presa. In teoria. Questo però non avvienemai nella pratica: di fatto ciò che si verificaè che al lavoratore viene dato uno stipen-dio fisso a discrezione del datore di lavoro,con il rischio che questo diminuisca inqualsiasi momento con la scusa del calo deirisultati aziendali. Fra i vari lavoratori (piùspesso lavoratrici) che si sono rivolti alla Cgil si sono registrati casi in cui, a causa difurti ai negozi, agli associati veniva comu-nicato un “saldo negativo” con relativa ri-chiesta di partecipazione alle perdite.In aggiunta il costo dei contributi previ-denziali, per il datore di lavoro, è ancorapiù basso di quello previsto per i collabo-ratori a progetto: infatti esso è ripartito inmisura del 55% a carico dell’azienda e del45% a carico del lavoratore. Ed è di con-seguenza più alto per il lavoratore.

LA NASCITA DELLA CAMPAGNA “DISSÒCIATI!”:PRESENZA NELLE STRADE E SUL WEBUna delle forme, insomma, peggiori fra icontratti “atipici”: molteplici sono state,infatti, le richieste di tutela giunte alle se-di di NidiL, della Filcams e agli UfficiVertenze della Cgil. Da qui l’idea delledue strutture di lanciare una iniziativa

specifica di contrasto agli abusi dell’asso-ciazione in partecipazione, in coordina-mento con la campagna “GiovaniNON+ disposti a tutto”.La campagna è nata con un triplice o-biettivo: quello di informare quanti piùlavoratori possibili sulle insidie che si na-scondono dietro a questo tipo di contrat-to, quello di raccogliere segnalazioni daparte dei lavoratori allo scopo di dar vitaa confronti aziendali volti a guadagnare lacorretta applicazione dei contratti nazio-nali e quello di rafforzare la richiesta, neiconfronti della politica, di interventonormativo su questa tipologia.Di conseguenza la campagna, lanciatacon una conferenza stampa l’11 novem-bre 2011 dai due segretari generali di Fil-cams e Nidil, Franco Martini e FilomenaTrizio, si è strutturata su due fronti: quel-lo mediatico e quello territoriale.Per circa un mese, a ridosso delle festivitànatalizie, presidi si sono tenuti nei centricommerciali e nelle vie dello shopping ditutta Italia: in tali occasioni veniva conse-gnato il materiale informativo della cam-pagna a lavoratori e avventori dei negozi. La presenza fisica in particolare nei centricommerciali si è rivelata strategica ma altempo stesso complessa, dal momentoche ci si scontra con l’impossibilità di te-nere iniziative negli spazi antistanti – vi-sta la natura privata delle intere aree – ladifficoltà di individuare accessi pubblici(a molti di questi luoghi si accede diretta-mente da rampe stradali o autostradali),l’ampiezza e la dispersività degli spazi. Il decentramento degli spazi commercia-li dai centri storici ai centri commerciali(tendenza che ora si sta invertendo) hacreato dei siti che l’antropologo franceseMarc Augé definisce ‘non-luoghi’, in cuila sfida per il sindacato è ancora più diffi-

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cile: siamo in grado di entrare in relazio-ne, informare, rappresentare e tutelare chilavora in queste realtà? Luoghi spesso dif-ficilmente raggiungibili, infinitamentegrandi ma costituiti da imprese piccolis-sime, in cui i lavoratori dipendono da de-cine di imprese diverse, pur lavorandotutti nello stesso posto: l’associazione inpartecipazione viene imposta infatti allecommesse dei franchisee dell’abbiglia-mento ma anche ai baristi, viene usata neinegozi di accessori ma talvolta anche nel-la ristorazione.La presenza diretta nei centri commer-ciali e nelle vie delle città che hanno unaforte presenza di attività commerciali è dicerto stata utile a incontrare chi fino adoggi non è riuscito a trovare il sindacato:un vero e proprio “investimento”, per af-fermare diritti e avviare percorsi di con-trattazione.Un investimento che ha però dato i suoifrutti grazie alla presenza contemporaneadella campagna su internet. Contempo-raneamente alle iniziative “fisiche” è sta-to infatti lanciato il sito www.dissociati.it,uno spazio web che, oltre a contenere no-tizie, riferimenti normativi e aggiorna-menti sull’associazione in partecipazionee sulla campagna del sindacato, offre lapossibilità di inviare una segnalazione,anche in forma anonima, di aziende cheabusano di tale contratto.In pochi mesi sono state centinaia le se-gnalazioni giunte al sito, e si è venuta co-sì a comporre una sorta di “black list” diaziende, che sono state poi contattate dalsindacato per chiedere una verifica a fron-te delle informazioni sull’utilizzo impro-prio del contratto di associazione in par-tecipazione.La maggior parte di segnalazioni è stata fat-ta da lavoratori di grandi catene del com-

mercio, in particolare dei settori dell’abbi-gliamento e dell’arredamento, spesso im-piegati in punti vendita in franchising.La campagna è proseguita nei mesi suc-cessivi, e forte della buona risonanza me-diatica ottenuta, ha contribuito a squar-ciare il velo sulle trappole dell’associazio-ne in partecipazione, fino a quel mo-mento fenomeno sconosciuto ai più, no-nostante riguardasse oltre 50 mila perso-ne in tutta Italia.

LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO,NESSUNA PORTATA ANTIELUSIVA PER GLI ASSOCIATIIl disegno di legge del consiglio dei mi-nistri del governo Monti, che aveva ap-pena cominciato a mettere mano allariforma del mercato del lavoro, ipotizza-va in un primo momento la possibilità diabolire tout-court l’associazione in par-tecipazione, mantenendola in essere so-lo per i coniugi o i familiari di primo gra-do. Durante il successivo passaggio par-lamentare il testo di legge ha subito ulte-riori peggioramenti, a causa di emenda-menti bipartisan, che hanno invece te-nuto in vita l’istituto, ponendo sola-mente alcune limitazioni al suo utilizzoche di fatto lasciano inalterata la possibi-lità per le aziende di abusare di questa ti-pologia contrattuale.Nello specifico è ancora insufficiente, dalpunto di vista normativo, il limite che èstato posto a tre unità per “attività”, sen-za specificare se per attività si intenda l’a-zienda, o il negozio o punto vendita. La-sciando quindi la possibilità di utilizzareesclusivamente questa tipologia, in con-siderazione della dimensione media deinegozi, della molteplicità delle ragioni so-ciali, dell’utilizzo del franchising. Se poiconsideriamo la previsione, contenuta

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nella l. 92/2012, che dal computo dei tre,oltre ai familiari, vanno esclusi anche irapporti di lavoro certificati alla data dientrata in vigore della legge, è chiaro chela portata antielusiva di questa normati-va è pressoché nulla.

LE SINERGIE NELL’ORGANIZZAZIONEIn poco più di un anno, la campagna dis-sociati.it è riuscita a metterci in contattoe ad iscrivere centinaia di lavoratori di a-ziende che prima non erano sindacalizza-te, e soprattutto ad avviare trattative conalcune di queste, fino ad ottenere in alcu-ni casi la trasformazione dei rapporti dilavoro da associato a dipendente a tempoindeterminato. Ciò è stato realizzabile at-traverso un uso consapevole e strategicodi internet, dei media diretti e indiretti e-vitando accuratamente quell’odiosa spet-tacolarizzazione del precariato che è invoga ultimamente.Questo percorso è stato possibile soprat-tutto attraverso il costante e continuocoordinamento (fino ad essere a voltequotidiano) fra Nidil e Filcams naziona-li. E successivamente, a seguito dellaproiezione sul territorio degli effetti degliaccordi nazionali sottoscritti, questocoordinamento si sta rafforzando anchein molte Camere del Lavoro.

NO, NON SEI SU “SCHERZI A PARTE”Quest’approccio diretto nei confronti dichi non era mai entrato in contatto colsindacato, o che quando lo aveva fattonon aveva trovato risposte adeguate, è sta-to utile non solo alla diffusione della con-sapevolezza e del ruolo dell’organizzazio-ne sindacale, ma in particolare ha ridatoai lavoratori che abbiamo organizzato ilsenso che “si può fare”, che non tutto èperduto, che insieme ci si difende meglio,

che il sindacato non è una costola di unqualche ente previdenziale che cala dal-l’alto, ma sei tu che ti organizzi coi tuoicolleghi.In alcuni tavoli aperti a seguito delle se-gnalazioni giunte alle strutture, una delleprime cose che abbiamo ottenuto è statal’agibilità sindacale. Ciò per consentirci dientrare o ri-entrare nei luoghi di lavoro,per costruire il percorso con chi ce lo ave-va sollecitato. E questo è avvenuto anchenelle catene che hanno più punti vendita,con la conseguenza che alcuni lavoratori -altri da quelli che ci avevano contattato -hanno ricevuto visite da parte dei nostrifunzionari quando ancora non era a tuttinoto il percorso che si stava delineando. Inuna di queste visite ai negozi dopo un pri-mo imbarazzo una lavoratrice, alla notiziadell’avvio del percorso di stabilizzazioneha commentato, un po’ incredula inizial-mente, “Che? Davvero? Ma che stiamo suscherzi a parte?”. E non solo non era uno scherzo, ma inquel centro commerciale il passaparola hafatto sì che si siano rivolte alla Cgil anchele lavoratrici di altre vetrine.

IL NOSTRO RUOLOProprio oggi che al sindacato è negato unruolo autonomo, fondato sulla rappresen-tanza, sulla contrattazione e sulla sua veri-fica democratica (come abbiamo fatto adesempio negli accordi di stabilizzazione de-gli associati, che votano le ipotesi di accor-do), proprio oggi che le altre confedera-zioni scelgono spesso un modello di puracogestione basata sugli enti bilaterali, ab-biamo tentato di declinare quella sceltastrategica dell’unificazione del lavoro checitavamo nell’ultimo congresso della Cgil.La diminuzione complessiva dei salari,dei diritti e delle tutele indebolisce oggi

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tutti i lavoratori, dipendenti o atipici.Ciò è stato possibile col sommarsi di pro-gressivi provvedimenti e norme che han-no spezzettato il mondo del lavoro e re-so più difficile per i lavoratori tutelarsidentro e fuori il rapporto di lavoro: unvero e proprio imbarbarimento dellecondizioni.Questa legislazione contraria al mondodel lavoro è stata lo strumento attraversoil quale è stata data la possibilità al siste-ma economico italiano di basare la com-petizione e la concorrenza sulla riduzio-

ne del costo del lavoro. Con la riduzionedelle tutele, anche attraverso l’elusionedel lavoro dipendente. La legge va modificata e nel frattempostiamo tentando di ottenere risultati con-creti con la contrattazione, anche attra-verso la campagna contrattuale che ab-biamo messo in piedi.Lo spostamento del rischio d’impresa dailavoratori precari alle aziende è anche lostrumento attraverso il quale spingeresulla qualificazione del lavoro, per quali-ficare indirettamente l’intero sistema.

Lottare contro il caporalato, nel territorio: il “sindacato di strada” e la campagna “Invisibili”ROBERTO IOVINO *e YVAN SAGNET ***Ufficio legalità Cgil ** Coordinatore della campagna Invisibili delle campagne di raccolta” - Flai Cgil

Sono invisibili, ma basta girare tra leprincipali campagne di raccolta del

nostro paese per vedere e toccare con ma-no le loro condizioni di vita e di lavoro.Sono molto giovani, ma basta parlare conloro per capire che hanno mille storie daraccontare. Uomini e donne disposti atutto pur di cambiare il proprio destino:disposti a perdere la vita nella rischiosatraversata continentale, a fidarsi di per-fetti sconosciuti che in cambio di migliaiadi euro promettono loro la sicurezza diun tetto e di un lavoro una volta arrivatiin Europa. Da questo mercato delle illu-sioni parte il ricatto del caporalato cui so-no sottoposti in Italia circa quattrocen-tomila9 lavoratori e lavoratrici stranieri –provenienti prevalentemente dall’Africae dall’est europeo – impegnati ogni annonelle diverse stagionalità di raccolta agri-

cola. Principalmente a loro si rivolge Gliinvisibili nelle campagne di raccolta,campagna biennale promossa dalla Flaiche sta attraversando i principali distrettiagricoli del nostro paese, da nord a sud.Una campagna contro il caporalato, losfruttamento e il lavoro nero, che si po-ne l’ambizione di raggiungere due obiet-tivi fondamentali: da un lato la sinda-calizzazione dei lavoratori stranieri inagricoltura, dall’altro l’impegno per lariaffermazione della legalità nel mondodel lavoro come presupposto per il pie-no riconoscimento dei diritti sindacalie di cittadinanza. La fisionomia dello sfruttamento dei ca-porali è ormai noto, spesso è oltre la ridu-zione in schiavitù: irregolarità contrattua-le, lavoro nero o grigio, lavoro a cottimo,trattenuta del 50% della retribuzione. Poi

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ci sono le vere e proprie tasse del caporaleche riducono al minimo il guadagno dellavoratore: cinque euro per il trasporto, al-trettanti per un panino e l’acqua.

GLI OBIETTIVI DELLA CAMPAGNAOrganizzare i disorganizzati, nel caso delsettore agricolo, significa prima di tuttorendere visibili gli invisibili. Per questo lacampagna si avvale di uno strumento fon-damentale di azione sul campo, una pra-tica allo stesso tempo innovativa quantoantica, il sindacato di strada. I luoghi d’in-tervento sono gli stessi presidiati dai ca-porali: le piazze dove si tiene il mercatodelle braccia alle cinque del mattino e ighetti che ospitano migliaia di lavoratoristranieri nelle raccolte intensive stagiona-li. Purtroppo oggi le campagne italianenon sono molto diverse da quelle di un se-colo fa, la mobilità è molto limitata, comeanche l’approvvigionamento dei viveripiù elementari. Esemplare in questo sen-so è la lezione Di Vittorio, prezioso spun-to per l’attualità dei giorni nostri, che in u-na lettera10 al Corriere delle Puglie del1914 definì il lavoro agricolo come strut-turalmente migrante. Secondo Di Vitto-rio di conseguenza anche il sindacato do-veva – ieri come oggi – organizzarsi inmodo tale da intercettare la Transumanzadei lavoratori agricoli che seguono il flus-so delle raccolte stagionali. Anche a que-sto servono i diversi Camper dei dirittidisseminati sui territori interessati dallacampagna, con l’obiettivo di costituire unpresidio sindacale mobile capace di esserepunto di riferimento sistematico per i la-voratori e le lavoratrici delle campagne di

raccolta. Tutto ciò con l’obiettivo di infor-mare i lavoratori sulle previsioni normati-ve dei contratti agricoli, sui loro diritti sin-dacali e sulla retribuzione prevista. Unavolta costruito poi un rapporto di fiduciacon i lavoratori, l’obiettivo è di renderlipienamente consapevoli che il caporalatoè un reato penale, che è possibile denun-ciare, ottenere un permesso di soggiornoin caso di sfruttamento, fare una vertenzaper ottenere una giusta retribuzione. La campagna Gli invisibili nelle campagneè mirata dunque a proporre un interventointensivo e mirato sui territori, con l’obiet-tivo di consolidare la necessità di interven-ti sistematici per combattere il caporalatoe il lavoro nero in agricoltura, entrambi fe-nomeni favoriti dal processo di deregola-mentazione del mercato del lavoro e da u-na contestuale infiltrazione nella sua ge-stione di organizzazioni paramafiose eschiavistiche. Ciò è aggravato da contestiproduttivi, istituzionali e territoriali forte-mente predisposti e tolleranti in merito ta-li fenomeni. Sarebbe sbagliato pensare cheimprenditori, amministratori locali e ope-ratori del settore non siano a conoscenzadel caporalato, della fatiscenza degli allog-gi in cui vivono migliaia di lavoratori, del-l’intreccio che negli ultimi anni è cresciu-to tra malaffare mafioso e gestione illecitadella manodopera. Sono tutti fenomeni,seppur deplorevoli, che hanno visto com-piacenze, silenzi omertosi e complicità.

LE FASI DELLA CAMPAGNADiverse sono le fasi di cui la campagna sicompone: in primis un’azione di solida-rietà e assistenza ai lavoratori maggior-

9 Vd. Agromafie e Caporalato. Primo rapporto (2012) – Parte II – Il ciclo del lavoro agroalimentare. Mappe dei terri-tori a rischio caporalato e sfruttamento lavorativo. - A cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto – Flai Cgil10 Inserita nella raccolta “Le strade del lavoro”, a cura di Michele Colucci, Donzelli Editore (2012)

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mente in difficoltà, costretti a vivere incondizioni fatiscenti e ai limiti della ridu-zione in schiavitù. Come nel caso deighetti organizzati lontani dai centri urba-ni, vere e proprie baraccopoli che ospita-no migliaia di persone. Sono proprio ighetti a essere il centro dello sfruttamen-to lavorativo e esistenziale. È lì che i ca-porali organizzano le squadre, è lì che èpossibile comprare l’acqua e il mangiare,salire su una carretta che ti porterà nellecampagne per la raccolta. Semplicemen-te sono i luoghi del collocamento illega-le, se non sei lì non troverai lavoro. Per ca-pire la condizione disumana dei ghettibasta fare riferimento, sono a titolo e-semplificativo, alle condizioni delle don-ne: all’occorrenza braccianti e in altri mo-menti corpi da inserire nel giro dellosfruttamento della prostituzione. Proprio in questi contesti ai limiti del ri-spetto della dignità umana agisce il sinda-cato. Attraverso il camper e l’azione diret-ta dei sindacalisti prova a far sentire la pro-pria presenza, incentivando percorsi di ri-scatto attraverso la solidarietà e la riaffer-mazione della legalità. Tutto ciò, però, de-ve fare i conti con la follia rappresentatadelle leggi italiane sull’immigrazione.Molti lavoratori sono migranti irregolari,sprovvisti di permesso di soggiorno, l’e-ventuale emersione potrebbe corrispon-dere alla denuncia da parte delle autorità,l’arresto per reato di clandestinità e la con-seguente detenzione in un CIE in vista delprobabile rimpatrio. Anche per questomotivo la presenza del sindacato inizial-mente è vista con sospetto da molti lavo-ratori. Solo con una lenta azione d’inter-mediazione e sensibilizzazione è possibilecostruire un rapporto di fiducia, attraver-so l’utilizzo di vario materiale informativoe di propaganda rigorosamente multilin-

gue. Spesso poi s’incontrano lavoratrici elavoratori che sono entrati in contatto conil sindacato già in passato, in qualche altraraccolta stagionale. Proprio questi ultimispesso e volentieri diventano punti di ri-ferimento per il processo mediazione lin-guistica e di incontro tra le diverse comu-nità presenti. La seconda fase della campagna è invecetesa all’organizzazione dei lavoratori nelsindacato attraverso assemblee e momen-ti di confronto. Convocare assemblee perparlare dei problemi legati al caporalato eallo sfruttamento lavorativo è dunque u-no dei principali obiettivi della campagna.Proprio attraverso un’assemblea è possibi-le cominciare quel difficile percorso di e-mersione dall’invisibilità, nonostante l’o-mertà spesso sia l’atteggiamento preva-lente. Ciò può capitare soprattutto quan-do nelle assemblee sono mimetizzati pro-prio i caporali etnici, presenti con l’obiet-tivo di intimorire i lavoratori. I contenutidel confronto possono sembrare scontati,ma destano sempre reazioni di stupore tragli interlocutori. In particolare quando sitoccano temi come il legame tra un rego-lare contratto di lavoro e il rilascio del per-messo di soggiorno, oppure quando si fariferimento all’esistenza dell’istituto delladisoccupazione agricola e su quali siano irequisiti per accedervi.

I PRIMI RISULTATIUn percorso del genere, improntato suquesti due pilastri – da un lato la sensibi-lizzazione dall’altro l’organizzazione deilavoratori attraverso il sindacato – ha por-tato in questi ultimi due anni diversi ri-sultati. In primis moltissimi lavoratorihanno trovato nel sindacato una spondae un punto di riferimento per l’afferma-zione dei propri diritti attraverso il ripri-

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stino della legalità. Non è un caso, quin-di, che la Flai e la Cgil si siano costituiteparte civile in numerosi e importanti pro-cessi penali, come ad esempio nel proces-so Sabr a Lecce e nel processo Dacia a Ta-ranto. Processi che hanno visto il sindaca-to svolgere un fondamentale ruolo diponte tra i lavoratori, le forze dell’ordine ela magistratura inquirente. Numerosi poisono anche i casi in cui il sindacato agiscelontano dai riflettori, agevolando il per-corso di denuncia e di riscatto dei lavora-tori: succede tuttora a Corigliano Calabroe nel distretto della Sibaritide, a Latina enell’Agro Pontino, a Castelnuovo Scriviain provincia di Alessandria, a Cesena e neldistretto romagnolo. Tutti esempi di ter-ritori in cui il sindacato ha sostenuto le de-nunce di numerosi lavoratori che moltoprobabilmente porteranno a importanticondanne per riduzione in schiavitù,sfruttamento lavorativo, associazione adelinquere, truffa e caporalato.Gli Invisibili è stata anche un’ampia cam-pagna di conoscenza e approfondimentodelle nuove forme di sfruttamento e di ca-poralato, fenomeni entrambi in fortissi-ma espansione negli anni della crisi. L’or-ganizzazione di un tour biennale con l’o-biettivo di presidiare i principali epicentricoinvolti dall’impiego di lavoratori stra-nieri nelle raccolte agricole, ha permessodi raccogliere informazioni inedite e direndere maggiormente consapevoli lestesse strutture sindacali. Un approccio al-l’insegna dell’osservazione dinamica, i cuiesiti sono stati raccolti nel primo rappor-to Agromafie e Caporalato redatto dal-l’Osservatorio Placido Rizzotto. L’indagi-

ne, attraverso apposite mappe degli epi-centri dello sfruttamento e del caporalato,mostra con chiarezza l’esistenza di un flus-so continuo di lavoratori oggetto di unasorta di sfruttamento senza soluzione dicontinuità. Proprio questo flusso sarà allabase delle future tappe estive de Gli Invi-sibili. Nel frattempo la lunga azione pro-posta dal sindacato negli ultimi anni haportato a diverse e positive modifiche le-gislative. Grazie alla lunga campagna NoCap e le tante iniziative promosse sul te-ma11, con il sostegno decisivo del primosciopero dei braccianti stranieri a Nardònell’Agosto 2011, il caporalato è final-mente diventato reato penale. Inoltre re-centemente è stata ratificata dal parla-mento italiano la direttiva UE n.52/200912, che permette oggi di garantire u-na premialità – cioè la concessione di unpermesso di soggiorno temporaneo – peri migranti irregolari che denunciano fe-nomeni di sfruttamento.

NUOVE BATTAGLIELa Flai, però, ha deciso di rilanciare lapropria azione aggredendo un tema fon-damentale: il ruolo del pubblico nell’in-treccio tra domanda e offerta nel merca-to del lavoro. I progressivi processi di de-regolamentazione degli ultimi decenni,hanno fortemente incentivato irregola-rità e illegalità nel settore. Il venir menodel ruolo del pubblico ha rafforzato chiha fatto diventare l’intermediazione ille-cita di manodopera un business da mi-lioni di euro. Anche per questo, contro ifenomeni del lavoro nero e del caporala-to, il sindacato in questi mesi ha speri-

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11 Promossa da Flai e Fillea ha proposto l’introduzione del reato di caporalato nel nostro codice penale. Introduzione avvenuta con il Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, che ha introdotto l’art 603 bis nel C.P. 12 Decreto Legislativo n.109/2012

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mentato diverse soluzioni deterrenti. Co-me, ad esempio, le liste di prenotazioneattive nella provincia di Lecce, un’espe-rienza mirata a incentivare la costruzionedi liste pubbliche e trasparenti (un’espe-rienza non nuova ma sicuramente nonsuperata) di lavoratori e lavoratrici dispo-nibili a un regolare impiego nella raccol-ta stagionale. Le liste, costruite attraversouna sinergia tra mondo dell’imprendito-ria, centri per l’impiego e sindacato, ga-rantiscono l’accesso a incentivi fiscali di-retti agli imprenditori che selezionano lamanodopera attraverso questo meccani-smo. Queste sperimentazioni hanno ri-proposto con forza l’esigenza di una mag-giore centralità del pubblico per garanti-re e certificare un controllo di legalità chein questi anni è venuto meno. In questocontesto si inserisce la recente presenta-zione da parte della Flai di una propostaorganica tesa a rilanciare il ruolo del col-locamento pubblico in agricoltura, perarginare il caporalato e le nuove forme disfruttamento. Più in generale è innegabile che in questiultimi anni il sindacato abbia fatto note-voli passi in avanti nell’organizzazione deilavoratori stranieri in agricoltura, proces-so di cui la campagna Gli invisibili nellecampagne di raccolta ne è sicuramente u-no degli esempi più efficaci. Questo per-corso è stato possibile anche grazie a unasinergia tra il sindacato e una folta rete dioperatori, quali magistrati, rappresentan-ti delle istituzioni, delle forze dell’ordine edella società civile impegnata nel settoredell’accoglienza e nella promozione socia-le della legalità. Molto è ancora da fare, ilpercorso verso la piena organizzazione esindacalizzazione di chi, nel settore agri-colo ma non solo, è vittima di sfrutta-mento e nuova schiavitù è ancora lungo.

Questo nuovo scenario, che vede nume-rosi – seppur parziali – risultati ottenuti,ci consegna un quadro incoraggiante perproseguire e vincere questa battaglia. Ser-virà la capacità di mantenere questo fron-te d’impegno in cima all’agenda d’azionesindacale quotidiana, con l’obiettivo direndere sistematiche le tante sperimenta-zioni attuate in questi anni, e porle a fon-damento di un’idea di sindacato che siproietta nel nuovo millennio con la capa-cità di confrontarsi con la modernità e lesue lampanti contraddizioni.

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Il progetto Giovani e Lavoro è stato svi-luppato dal gruppo giovani della Cdlt

Cgil ex Roma Ovest, in collaborazionecon Katia Scannavini (ricercatrice pres-so la facoltà di Scienze della Comuncia-zione “La Sapienza”), Viviana Peri e Si-mona Cervellini della stessa Cdlt, insie-me ad Flc, segnatamente alle persone diLuigi Celidonio e Serena Di Giacinto.Infine promosso grazie al meritorio aiu-to di Giulietta Ottaviano dell’associazio-ne Proteo FareSapere. Il progetto ha avu-to durata biennale, dal 2008 al 2010.Con il progetto Giovani e Lavoro abbia-mo sperimentato un intervento di em-powerment che aveva tre obiettivi:1. Trasferire conoscenze agli studenti

al fine di orientarsi e avere miglioristrumenti critici per comprenderel’universo lavorativo che li circonda;

2. Ascoltare e instaurare un dialogocon le giovani generazioni per ca-pire quali tipo di bisogni e sogget-tività politico-sociali si manifesta-no nei contesti giovanili;

3. Creare ex-nihilo una struttura diconnessione tra giovani appena fuo-riusciti dalla suola secondaria su-periore e sindacato, con l’obiettivodi diffondere e implementare la re-te di organizzazione e di saperi delsindacato stesso.

La riflessione che ci ha condotto alla scel-ta di lavorare nelle scuole nasce dalla con-statazione che in Italia non c’è solo un in-quietante analfabetismo di ritorno, maanche un analfabetismo civile che ha de-fraudato un’intera società – e in primis igiovani – di molti dei mezzi cognitivi percomprendere le leggi di questo mondo,interpretale e infine vederne il rovescioper poterle trasformare.

IL NOSTRO MODUS OPERANDI. LA RICERCA DI UN NUOVO LINGUAGGIO PER COMUNICARE CON I PIÙ GIOVANIPer ogni scuola sono stati effettuati 4 in-terventi da 2 ore circa ciascuno. Il proget-to è biennale ed indirizzato nelle classi 4°ed è proseguito nell’anno successivo nel-le stesse classi che sono diventate 5°.Il progetto Giovani e Lavoro si è basatosull’assunto che la migliore maniera diimparare è partecipare, identificarsi in e-sempi concreti, ascoltare testimonianze,interagire con gli operatori in maniera“ludica” manipolando concetti comples-si veicolati però da vettori interattivi.Gli interventi si sono strutturati in que-sta maniera:I Intervento. Il contratto, forma di vitademocratica. Attraverso dei giochi, in cuisono coinvolti operatori e studenti, sonostati messi al centro dell’incontro il con-

PARTE QUINTA

Riattivare il territorio

Il lavoro di educatore, il mestiere del sindacato CARLO ANTONICELLICollaboratore CdLT Roma Centro Ovest Litoranea

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cetto di contratto come forma di legamesociale, dal patto cittadino-Stato, al con-tratto matrimoniale, sino al ContrattoNazionale di Lavoro (legge 300).II Intervento. Simulazioni di colloqui dilavoro. Un esperto dell’Ufficio Vertenzemette in luce il rapporto vigente tra Co-stituzione e Statuto dei Lavoratori. Do-podiché un nostro operatore sommini-stra delle offerte di lavoro corredate dacontratti creati ad hoc dal nostro staff cer-cando di mostrare come si legge un con-tratto e dove si annidano le maggiori in-sidie nel rapporto con le parti datoriali.III Intervento. Un po’ di storia (non famai male). Uno storico parla della dina-mica capitale/lavoro dalla fine dei XIX se-colo sino alla globalizzazione con l’ausiliodi testimonianze di delegati e materialeaudiovisivo.IV Intervento.Immaginare il lavoro, ov-vero una società migliore. I ragazzi, su no-stra richiesta, portano una o più immagi-ni di ciò che per loro è il lavoro (quelloche desiderano fare o una rappresenta-zione dello stesso) mentre i nostri opera-tori interagiscono fornendo delle altreimmagini del mondo del lavoro (il mob-bing, lavoro nero, condizione femminilee giovanile ecc).Come si evince dalla struttura degli inter-venti i nostri strumenti sono molteplici. Lariflessione non solo sui contenuti, ma an-che sulla maniera in cui si veicolano glistessi, è per noi fondamentale. “Il mediumè il messaggio” scriveva anni fa MarshallMcLuhan, ma pochi, specie nel sindaca-to, hanno compreso la portata di tale sco-perta sensazionale nella teoria della comu-nicazione. La produzione di creatività èimmanente a qualsiasi messaggio si debbafar circolare. In ragione di tale riflessione ilgruppo giovani della ex Cdlt Roma Ovest

ha anche sviluppato una performance diTeatro Forum dal titolo Capitale Umanoche abbiamo portato al congresso di Ro-ma Ovest e alla Festa dei Diritti Cgil 2010.Una novità assoluta nell’orizzonte creati-vo-comunicativo del sindacato, che po-trebbe essere implementato per struttura-re una stabile comunicazione intergenera-zionale, avvicinando i giovani attraverso illinguaggio performativo dell’arte.Nel lavoro svolto nelle classi quarte sonostati utilizzati altri strumenti: la messa inscena di un monologo di Ascanio Cele-stini (dal titolo “Povera rivoluzione”); vi-sione, analisi e attività ludica su uno piùo testi filmici; intervento di delegati emessa a confronto delle rispettive espe-rienze lungo un arco diacronico dal do-poguerra a oggi.

UN SINDACATO ATTENTO ALL’EDUCAZIONE E ALLA CURA DELLE NUOVE GENERAZIONILa ricchezza più grande e bistrattata d’Ita-lia è il sapere. Quando nel 2008, all’iniziodella crisi, la Cdlt Cgil Roma Ovest halanciato il progetto Giovani e Lavoro in al-cune scuole del territorio romano, la por-tata della crisi non era ancora così chiara.Il sindacato, tenendo aperto un occhio sulmondo degli studenti e della scuola, ha a-vuto molto da imparare. Siamo entraticon la pretesa di fornire una cassetta degliattrezzi per comprendere il funziona-mento del mercato del lavoro; ne siamo u-sciti consapevoli che le false speranze era-no finite e gli studenti lo sapevano – e losanno – molto bene. Ciò che li aspetta èun futuro con meno diritti, meno salario,meno formazione di qualità, più preca-rietà e più sfruttamento. La prima cosa che abbiamo imparato è sta-ta questa: una gelida e lucida consapevo-lezza pervade l’anima di più di una gene-

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razione; anche solo credere in valori comela solidarietà e l’uguaglianza diventa inge-nua velleità. Appare chiaro che se l’oriz-zonte del futuro si chiude perde di sensoanche il percorso educativo dello studen-te: quale motivazione si pretende di trova-re nei giovani quando la formazione non èpiù uno strumento utile ad conquistarsiun posto nel mondo? La scuola stessa ces-sa di funzionare come volano sociale se l’i-tinerario di emancipazione personale nonpassa più attraverso la parola e la cultura.Insistere su questo vissuto esistenziale, peril sindacato, ha significato poter prevederequale spirito stia formando la generazionedi domani, stretta tra la povertà di un la-voro malpagato e l’infelicità di una vita chenon ha potuto scegliersi. Il catalogo di emozioni che le nuove gene-razioni mettono nel bagaglio delle espe-rienze sono frammenti di frustrazione erabbia, gioia mista ad oblio di sé, rassegna-zione e indifferenza. Parlare di diritti in u-na società in cui le diseguaglianze sono in-colmabili diventa patetico. Eppure, chi an-cora crede che la cultura significhi prende-re possesso della propria vita e inventarsi u-na vita migliore, non può che partire sem-pre e comunque dalla scuola. Dentro unasocietà in rapido disfacimento il progettoGiovani e Lavoro è stato un momento diverità; un esperimento felice per appurarequanto sia ampia la distanza tra chi sta peraccedere al mondo del (non) lavoro e il sin-dacato. Ci siamo ritrovati a fare un lavorodi cura della comunità, come dei maestridi strada, accanto ad un’altra delle grandirisorse del paese a cui da più parti si fa laguerra: gli insegnanti. In Italia c’è una miniera di saperi, relazio-ni e persone che usano la mente, il cuore ele mani per tessere insieme i percorsi acci-dentati di studenti, anziani, migranti, vec-

chi e nuovi poveri: dagli educatori ai me-diatori culturali, dalle associazioni alle tan-te persone che in modo volontario inse-gnano la lingua italiana agli stranieri. An-che noi "sindacalisti" abbiamo voluto in-segnare una lingua: quella che sa spiegarecosa sono i rapporti sociali. Compito ar-duo e quanto mai necessario per un sinda-cato che fa sempre più fatica ad insediarsinei posti lavoro, dove il precariato costitui-sce la sfida che ne sancirà la possibilità di vi-vere o la condanna alla marginalità.Se il sindacato entra a scuola è per prova-re ad essere discente e docente ad un tem-po. Anzi, meglio, la funzione pedagogicache il sindacato può assumersi è la media-zione culturale: commutare in parole epratiche condivisibili ciò che il poterevuole tenere da sempre celato, che sia vi-gente un conflitto, una relazione di pote-re sottomissione e resistenza tra capitale,lavoro e vita. Come spiega AlessandroPortelli: “se uno fa il mediatore culturale,questo fa: apre spazi di parola e di ascolto,e allora ecco che la musica, i racconti, lestorie, arrivano, e non li ferma più nessu-no”. Con tutto lo sforzo possibile anchenoi abbiamo cercato di adempiere a que-sto proposito, esercitando discorsi di ve-rità atti a fecondare l’immaginazione de-gli studenti e a costruire la tela di una nuo-va mutualità tra i lavoratori di domani. Il valore del lavoro di cura, che è un attodi amore verso gli altri, non lo si può mi-surare quantitavamente. Eppure esso tie-ne insieme gli affetti, le esperienze, le per-sone e la possibilità di fare della propriavita un atto di bellezza devoto alla felicitàper sé e per gli altri. L’opera di cura dellacomunità è l’attività attraverso cui si puòsperare di costruire un modello di citta-dinanza più colto e consapevole, che diavigore ad una democrazia stanca.

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Un nuovo Piano del Lavoro dovrebbequindi ripartire proprio dal lavoro imma-teriale dei milioni di giovani e meno gio-vani lavoratori e lavoratrici che ogni gior-no producono legame sociale in un paesein liquefazione. Sulla scorta del progettoGiovani e Lavoro una proposta concretapotrebbe proprio partire da qui, ponendoal centro la scuola e la formazione da unparte, e dall’altro restituendo diritti e red-

dito a coloro che già lavorano in condi-zioni impossibili. Le scuole dovrebberoessere aperte per tutto il giorno e fungereda vere e proprie case del quartiere, abita-zione elettiva della comunità, sede dell’in-contro tra cittadini e istituzioni, fungen-do anche da luoghi dove si implementa ilco-working e si possono incontrare servi-zi utili ad accogliere domande di socialitàdi giovani e meno giovani.

IL PROGETTO NAZIONALELa ri-territorializzazione del nostro inse-diamento e il rilancio delle Camere delLavoro sono stati i temi cardine dell’ulti-ma Conferenza di Organizzazione della

Cgil. Non poteva che essere così. I feno-meni della precarietà e della disgregazio-ne del lavoro inducono il sindacato a po-tenziare nuovi livelli e luoghi di ricom-posizione. La disgregazione del lavoro è

Camere del lavoro, ritorno all’antico per costruire il nuovo: i nuovi spazi di aggregazione rivolti a giovani e precaria cura di ILARIA LANIresponsabile politiche giovanili della Cgil

Interviste a Diego Verdoliva -Toolbox Bergamo, Alessandra Stivali - Reset Padova, Andrea Brunetti - Plas Firenze, Fabio Ingrosso - Sportello precario La Sapienza, Luca Toma e Carmen Tarantino - Spazio Sociale del Lavoro di Lecce

TRENTIN Il problema è quello della costruzione del sindacato generale nel territorio. E qui c’è for-se da ritornare al passato, alle camere del lavoro delle origini, che siano in grado di rappre-sentare tutte le figure intermedie, mobili, che cambiano di professione anche nello stesso an-no, e fare del sindacato, della Camera del Lavoro, una rappresentanza generale di tutte que-ste figure. Tipiche e atipiche. È questa la sfida che non vedo ancora affrontata con chiarezzada parte del sindacato.

RANIERI Al contrario si sta affacciando una tendenza a riportare tutto nelle categorie

TRENTIN Questa è una linea suicida, che non porterà da nessuna parte. Non contesto che loro sia-no i protagonisti dei contratti nazionali di categoria. Ma nel territorio possono essere protago-nisti solo tutti assieme, e assieme a quelle figure che ancora sfuggono agli inquadramenti con-trattuali consolidati, ai lavoratori atipici, alle realtà in rapida crescita dei lavoratori immi-grati. E per fare questo non basta contrattare il salario, ma l’assistenza, la formazione, la casa.

(Tratto da “Un pomeriggio di serena bellezza”:dialogo con Vittorio Foa e Andrea Ranieri, marzo 2006)

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infatti figlia della disomogeneità contrat-tuale e delle condizioni lavorative, ma an-che dalla polverizzazione dei luoghi diproduzione con il progressivo ridimen-sionamento della grande fabbrica.Pertanto sono queste due le leve da pre-mere: la riunificazione delle condizionicontrattuali e l’identificazione di nuoviluoghi/dimensioni dell’aggregazione, apartire dall’insediamento territoriale e dal-la costruzione di battaglie che parlino an-che alla condizione sociale delle persone.Mentre sul primo punto si è aperta unaforte discussione all’interno della Cgil (co-sì detta contrattazione inclusiva), sul ri-pensamento delle camere del lavoro e sulrapporto con il territorio manca ancoraun salto di qualità. Al contrario, abbiamospesso l’impressione di un’ulteriore verti-calizzazione dell’organizzazione e l’impe-gno sulla contrattazione sociale territoria-le non è ricambiato da un adeguato coin-volgimento della nostra rappresentanza.Questo atteggiamento non è figlio della di-sattenzione, ma di una cultura organizzati-va che troppo spesso diventa rigida e buro-cratica, tesa a percepire ogni spazio di par-tecipazione necessariamente coincidentecon le strutture statutarie e decisionali. Al difuori degli organismi dirigenti diventa dif-ficile identificare forme di partecipazionepiù libere, in particolare se queste travalica-no le strutture della Cgil (categorie, sistemaservizi etc..). Anche per questo spesso è dif-ficile concepire attività straordinarie comecampagne territoriali o esperienze di con-trattazione di sito o filiera. Per motivi ormai noti è sempre più com-plicato intercettare e coinvolgere i lavora-tori all’interno dei luoghi di lavoro e oc-correrebbe sperimentare ulteriori livelli dipartecipazione e iniziativa. In particolare, le giovani generazioni non

trovano il canale per attivarsi all’internodel sindacato perché intrappolati nellalunga ricerca di impiego o in percorsi la-vorativi sempre più saltuari e discontinui.Eppure molti sarebbero disposti ad atti-varsi o magari lo fanno già attraverso al-tre forme (come ci spieghiamo altrimen-ti l’enorme produzione di blog sulla con-dizione di precarietà?).È quindi necessario ripensare al ruolo del-le Camere del Lavoro, non solo come con-tenitori funzionariali e di servizi, ma anchecome luoghi di socialità e mutualismo, ri-scoprendone il ruolo che hanno avuto al-l’origine, proprio quando l’insediamentoaziendale era ancora molto fragile.In questa direzione l’Ufficio nazionalepolitiche giovanili della Cgil ha presenta-to nel Settembre 2011 un progetto “om-brello” per promuovere nelle Camere delLavoro spazi di aggregazione rivolti aigiovani e ai precari e in poco tempo in di-verse città sono stati inaugurate esperien-ze pilota, anche grazie al sostegno delFondo Nazionale di Reinsediamento.Si tratta di spazi che hanno la funzionemolteplice di connettere la dimensioneinformativa e di servizio, con la dimensio-ne dell’attivismo e della socialità, affinchégli stessi “utenti” possano percepirsi come“protagonisti” di un percorso collettivo.I loro nomi sono già noti: si tratta di Tool-box a Bergamo, Reste a Padova, Plas la ca-sa dei mille lavori a Firenze, Lo Spazio So-ciale del Lavoro a Lecce, Lo Sportello Pre-cario alla Sapienza.Infine, altri progetti sono in corso e stan-no nascendo, ci riferiamo all’esperienza diEnna e ai progetti dell’Emilia e del Lazio.Per raccontare al meglio le esperienzepilota abbiamo redatto delle schede perogni spazio e intervistato i loro giovanifondatori.

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ESPERIENZE E VALUTAZIONI: LE INTERVISTE AI PROTAGONISTIAbbiamo innanzitutto chiesto ai nostriintervistati quale fosse il bisogno di fon-do che questo progetto aspira ad inter-cettare. Tutti gli intervistati hanno sotto-lineato il problema della frammentazio-ne del lavoro, in particolare quello preca-rio, e l’esigenza di individuare luoghi diaggregazione. Alessandra Stivali afferma“Questo progetto permetterebbe di ag-gregare quelle categorie di lavoratori, so-prattutto precari e con contratti atipici,che difficilmente hanno la possibilità diincontrarsi, discutere circa le loro diffici-li situazioni e iniziare una rivendicazionecollettiva dei diritti, sviluppando così u-na coscienza collettiva”.Un altro bisogno riguarda l’esigenza dicostruire coalizioni con i soggetti del ter-ritorio comespiega Diego Verdoliva: “ilprogetto deve avere la finalità di avvicina-re rappresentato e rappresentante, strin-gendo nuovamente alleanze sul territorio.Dai movimenti sociali, ai sindacati stu-denteschi. Tali alleanze tra la Confedera-zione e altri attori sociali, fortissime finoa qualche decennio fa, vedono perdere diintensità nell’ultimo decennio”.Fabio Ingrosso e giovani quadri della C-gil di Lecce rintracciano invece una dop-pia finalità: esterna ed interna. A questoproposito Luca Toma e Carmen Taranti-no affermano: “Le finalità sono una di ca-rattere esterno, andando a riposizionarel’organizzazione su segmenti del mercatodi lavoro in cui mostriamo difficoltà diinterazione e rappresentanza, misuran-doci quindi con la sfida di intercettare legiovani generazioni, ascoltarne i bisognie trasformarli in vertenzialità collettiva;l’altra di carattere interno, ponendo l’Or-ganizzazione stessa anche di fronte ad al-

cune sue contraddizioni, ponendo conforza la necessità di dotarci di strutture eluoghi fisici dedicati a quanti vivono ilmondo del lavoro in condizioni di mar-ginalità, anche sindacale”.Fabio Ingrosso aggiunge “il progetto na-sce essenzialmente per rispondere a duebisogni: uno di natura interna ed uno dinatura esterna. Il primo è relativo al fattoche il sindacato deve porsi la problemati-ca di rappresentare coloro che fino ad og-gi sono risultati “invisibili”: dare voce aiprecari, rappresentarli, includerli all’in-terno di un ragionamento complessivosu come deve essere il sindacato nell’eradella precarietà esistenziale. Il secondo bi-sogno è relativo alla necessità di metterein moto un meccanismo solidaristico invirtù del quale chi ha i diritti lotta per chigli stessi diritti non li ha”Andrea Brunetti si sofferma sui muta-menti nelle forme di comunicazione e so-cializzazione: “è come se la dimensionedel ruolo sociale fosse stata modellata at-traverso una materia nuova, sicuramentepiù fluida e permeabile, che fa sì che ilprotagonismo sociale degli individui na-sca non tanto dalla necessità dei singoli diesprimere la propria idealità attraverso lestrutture collettive, quanto piuttosto dalbisogno stringente di uscire dall’isola-mento personale, sia esso lavorativo, af-fettivo, culturale. Dalla necessità insom-ma, di trovare attraverso la partecipazio-ne la propria dimensione esistenziale, ol-tre che di speranza. Ciò ha reso la parte-cipazione stessa più liquida e veloce, unostrumento al servizio dell’individuo cheperò, non appena si dissolve la propria“speranza propulsiva”, è già pronto a di-smettere i panni assunti e a ricercarne dinuovi, più rispondenti ai propri bisognio semplicemente più efficaci”.

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Sempre Brunetti aggiunge: “In prima i-stanza Plas è un luogo fisico, accoglientee aperto, a cui poter accedere per avereinformazioni, formazione, servizi. Que-sto sistema di servizi integrati, alcuni giàpresenti all’interno della Camera del La-voro di Firenze e altri introdotti con l’av-vio di Plas, permetteranno di intercetta-re i lavoratori in tutto l’arco delle fasi del-la vita lavorativa, ricercando soprattuttodi ampliare la nostra capacità di tutela in-dividuale. L’obiettivo principale però èpiù ambizioso: dare la possibilità a chiun-que entri nella Camera del Lavoro di po-ter partecipare alla vita dell’organizzazio-ne. Ciò ovviamente non può avveniresenza un progetto politico che permettala trasformazione dello spazio fisico in u-no spazio di aggregazione in cui poter fa-re elaborazione politica, vivendo in mo-do attivo le politiche dell’organizzazione

e introducendone di nuove”.Abbiamo poi chiesto quali sono i limitistrutturali della Cgil che questo progettovuole superare.A questa domanda quasi tutti gli intervi-stati richiamano la necessità di aggiorna-re gli strumenti organizzativi di cui di-spone la Cgil per organizzare il lavoroprecario e disperso. In particolare Fabio Ingrosso afferma: “LaCgil è una macchina molto complessa chesi è evoluta all’interno di regole e struttu-re che ben rispecchiavano il mondo del la-voro. Negli ultimi 15 anni la deregola-mentazione selvaggia del mercato del la-voro non ha visto un adeguamento dellastruttura sindacale in termini di adatta-mento alle nuove condizioni e ai nuovi bi-sogni. Come può un lavoratore estraneoad un contratto collettivo partecipare adun direttivo durante l’orario di lavoro?

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Attivo dall’anno: 2010Promosso da: Camera del Lavoro diBergamoFinanziamento: Cgil Bergamo e fondodi reinsediamentoFinalità: Creazione luogo diaggregazione rivolto ai soggetti nonrappresentati, ascolto dal territorio dellenecessità di rappresentanza sindacale enon, creazione di piattaforme dicontrattazione territorialeAttività effettuate: incontri e campagnepolitico-sindacali, iniziative culturaliquali aperitivi, concerti, mostre, attivitàrivolte agli studenti quali il mercatino dellibro usato e ripetizioni, corsi diformazione, sportello Sol, campagne diassistenza legale.

Numero persone stabilmenteimpegnate nel progetto: 2Obiettivi conseguiti: integrazione serviziCgil (Sol e vertenze). Attivazione delle reti del territorio all’interno dello spazio (giovani artisti e altre realtà associative). Creazione di un coordinamento di collettivi degli studenti per attivare il mercatino libro usato e le mobilitazioni studentesche.Indicatori numerici:• giovani/lavoratori coinvolti: circa 500tra studenti e platea dei servizi Cgil, • pratiche consulenze effettuate: 138pratiche Sol da Marzo 2012, • attivisti che partecipano abitualmentealle attività del progetto: 5/6 attivisti.

TOOLBOX – BERGAMO

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Attivo dal: 18/01/2012Promosso da: Cgil Lecce e Circolo Arci ZEILecce Finanziamento: Camera del Lavoro efondo di reinsediamentoFinalità: aprirci al territorio, andando aposizionArci, anche fisicamente, nei luoghidi aggregazione giovanile e intercettare, “acasa loro”, fasce di lavoratori e cittadiniche non frequentano, in modo naturale espontaneo, le nostre sedi. Questoovviamente per innalzare il dato deltesseramento tra le giovani generazioni, inmaniera trasversale tra le diversecategorie di appartenenza, con attenzioneparticolare verso i naturali frequentatoridello Spazio Sociale Zei: studenti-lavoratori, giovani che muovono i primipassi nel mercato del lavoro,parasubordinati, nuove professioni.Attività effettuate: attività di servizi (Inca,Sol, Servizi fiscali, Uvl, Nidil), attività diconsulenza delle categorie, campagnetematiche, verifica posizione contributiva,attività Giovani Non+ disposti a tutto,organizzazione momenti culturali(presentazione libri, mostra fotografica),organizzazione iniziative politico-sindacali.Attività che si intende intraprendere:organizzazione, nell’ambito delle attivitàludico-formative previste dal circolo Arci-ZEI, di specifiche giornate seminariali(sull’esempio del Progetto Ventimila) ocorsi di formazione inerenti i temi dellavoro, dei diritti sul lavoro, della ricerca edell’orientamento; Spazio Sociale delLavoro “on the road”: programmazione digiornate in cui, attraverso il camper,gazebo o altri mezzi, portare lo Spazioall’esterno, in altri luoghi di aggregazione

giovanile (centri commerciali, luoghi dellavita notturna, Università, insediamentiproduttivi) per allargare la possibilità diintercettare altri giovani.Numero persone stabilmenteimpegnate nel progetto: 8 compagne/i,tra cui 1 responsabile, 3 funzionari deiservizi Cgil, 3 delegati di categoria, 1addetta stampa.Obiettivi conseguiti:Radicamento della Cgil in una zona dellacittà non coperta dalle nostre sedi, unazona frequentata da fasce di lavoratori ecittadini con cui erano evidenti le difficoltàdi interazione; coinvolgimento attivo dialcune categorie che hanno dimostratopazienza, disponibilità, attenzione versotemi e bisogni diversi, nuovi, rispetto allatradizionale attività sindacale;coinvolgimento, in una dimensione più“politica” e confederale di alcunicompagni dei servizi.Limiti/aspetti da migliorare:Rafforzare l’interazione con i soggettiesterni, a partire dal soggetto co-promotore (Arci Zei), con l’obiettivo diattrarre altre realtà presenti nel territorioed attive sul tema delle politiche giovanili(associazioni, partiti politici, reti di studentie lavoratori); rafforzare il coinvolgimentointerno, allargando la partecipazione dialtre categorie e consolidando ledisponibilità già ricevute.Indicatori numerici:• 97 posizioni contributive verificate, • 21 domande di disoccupazione inviatetramite l’Inca, • 30 nuovi tesserati (tra cui 25 al Nidil e 5 Slc),• 12 vertenze attivate,• 114 (730/Unico).

SPAZIO SOCIALE DEL LAVORO - LECCE

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Come può un lavoratore che guadagna800 € al mese senza alcun diritto garanti-to fare attività sindacale? Come può un la-voratore permanentemente ricattabilesvolgere con tranquillità attività sindaca-le? Come può un lavoratore precario scio-perare? Domande a cui tutti assieme do-vremmo dare delle risposte”.Alessandra Stivali aggiunge: “Il progettointende superare la visione, sempre piùdiffusa tra giovani lavoratori, disoccupa-ti e studenti, della nostra organizzazionecome ufficio servizi; si vogliono rilancia-re invece le sedi sindacali e aggregative co-me luogo di incontro e confronto su te-mi legati alle problematiche del mondodel lavoro, come veri centri di elabora-zione politica”.Secondo Andrea Brunetti “Il primo limi-te da superare è quello di una evoluzioneo involuzione che le camere del lavorohanno avuto nel tempo. Se esse sono na-te con lo scopo di essere spazio condiviso,fruibile , aperto, ciò ad oggi non è più ve-ro. Plas vuole essere un avamposto di unaconcezione della Camera del Lavoro di-versa, che sappia tornare ad essere puntodi riferimento sul territorio, nervo vitaledi una società frammentata, centro ricet-tivo delle esigenze dei lavoratori al di làdel luogo e del lavoro che essi svolgono.Per fare questo è necessario un luogo diaggregazione trasversale alle categorie e o-rizzontale nelle prassi organizzative. A-prirsi all’esterno e liberare energie interneperché poi esse, una volta liberate, possa-no contaminare l’organizzazione della lo-ro freschezza”.Abbiamo poi chiesto quale è l’impattoche il progetto sta avendo nel contesto la-vorativo/territoriale.Tutti i ragazzi esprimono valutazioni po-sitive rispetto al ruolo che progressiva-

mente viene sempre più riconosciuto al-lo spazio. Secondo Diego Verdoliva “nel tempo èstato riconosciuto allo spazio il ruolo diattore del territorio, un ruolo aggregati-vo, ma non solo; mi piace pensare a Tool-box come un Hub, un contenitore di i-stanze”. Andrea Brunetti punta sul fattoche le principali realtà di professionisti inpoco tempo hanno deciso di svolgere alPlas le proprie iniziative e Alessandra Sti-vali esprime soddisfazione per l’afferma-zione del sevizio Sol. Inoltre rispetto al rapporto con la città icompagni di Lecce affermano: “La cittàdi Lecce, in particolare, presenta alcunecaratteristiche tipiche delle realtà meri-dionali, quali una struttura sociale e pro-duttiva fragile e frastagliata, caratterizza-ta dall’alto tasso di disoccupazione, spe-cie giovanile, dalla debole partecipazionedelle donne al mercato del lavoro, dallapresenza pervasiva e radicata di economiasommersa ed illegalità diffusa, dalla pre-senza capillare di imprese di piccole e pic-colissime dimensioni. In questo senso loSpazio Sociale sta dimostrando di essereun contenitore di partecipazione e di so-cialità che dobbiamo rendere un puntodi riferimento strutturale e radicato”.Fabio Ingrosso invece affronta l’impattodello sportello all’interno delle propriarealtà lavorativa: “Lo Sportello è un osser-vatorio permanente contro le pressioni, leillegalità, le sopraffazioni che vivono al-l’interno di un luogo del lavoro. Alcuni di-rettori di Dipartimento o di Centri di Ri-cerca oggi sanno che c’è un progetto che liosserva e che non permette loro di averecomportamenti non conformi al correttofunzionamento dell’ateneo e al corretto u-tilizzo dei propri lavoratori”.Abbiamo poi chiesto come questo pro-

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getto è stato recepito dal resto dell’orga-nizzazione e quale sia stato l’impatto in-terno. Su questo punto emergono da par-te di tutti valutazioni positive, seppur conqualche elemento di difficoltà dovuto an-che alla condizione di emergenza in cuiversano le strutture.Diego Verdoliva risponde così: “All’iniziocon diffidenza, la Camera del Lavoro na-viga tra mille problematiche in un conte-sto di crisi economica. Ora il progetto stadando una svolta alle politiche sul terri-torio, in primo luogo per quanto riguar-da le forme di comunicazione. La Cdlt leha fortemente svecchiate”.Su questo punto Luca Toma e CarmenTarantino affermano: “Le potenzialitàdello Spazio sono state, all’interno, sotto-valutate. I tempi serrati del lavoro quoti-

diano, la condizione di emergenza a cuifar fronte a causa della la crisi economica,e quindi occupazionale, impedisce a mol-te strutture interne di vedere le politichegiovanili, e quindi lo Spazio, come unapriorità politica cui dedicare tempo e ri-sorse. Sino ad ora, la gestione dello Spa-zio è stata caratterizzata più dall’impegno,dalla passione e dal volontariato dei sin-goli, che da una strategia radicata e strut-turata che rendesse condivisi ed apprez-zati i risultai raggiunti, e che veicolasse al-l’interno le reali finalità ed ambizioni delprogetto stesso”Andrea Brunetti aggiunge “Certamenteun cambiamento c’è stato. Credo chel’entità di esso non sia stata ancora perce-pita fino in fondo. Innanzitutto c’è ungruppo di persone, quadri, delegati e at-

PARTE QUINTA

Attivo dal: 28 febbraio 2012Promosso da: Flc Cgil Sapienza insieme aiprecari dell’università che hanno animatogli ultimi anni di protesta contro le politichedell’ex Ministro dell’Istruzione Gelmini.Finanziamento: la sede è all’interno deilocali dell’Università, i costi di pubblicitàerano a carico della categoria.Finalità: offrire informazioni utili a tutti ilavoratori precari dell’Ateneo e allo stessotempo garantire e difendere i loro diritti.Assegnisti di ricerca, dottorandi, docenti acontratto, co.co.co, borsisti, ricercatori atempo determinato, specializzandi, lavoro aparcella: si tratta di lavoratori che, senzadiritti e con stipendi miseri, portano avantile funzioni fondamentali dell’Ateneo. L’ideadello Sportello nasce dalla volontà diprovare a sindacalizzare queste figure, chespesso percepiscono il sindacato come un

soggetto che tutela unicamente i cosiddetti“contrattualizzati” e quindi “garantiti”. Attività effettuate: una consulenza fissauna volta a settimana riguardantequalsiasi tipologia di problema di unlavoratore precario; una consulenza legalegratuita; volantinaggi e assemblee percomunicare e discutere tanto iprovvedimenti legislativi nazionali, quantoi problemi riguardanti la vita dell’Ateneoed eventuali iniziative.Attività che si intende intraprendere:consulenza specifica sui nuoviammortizzatori sociali in collaborazione conl’Inca; la preparazione di una campagnaspecifica sulla rappresentanza (èimpensabile che metà dei lavoratoripresenti nell’Università non abbiano unarappresentanza e siano esclusi da qualsiasiforma di partecipazione democratica alle

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tivisti che in quattro mesi ha organizzatopiù di dieci iniziative spaziando su vari te-mi, attivandosi e spendendosi in modovolontario. Il livello del dibattito è cre-sciuto, lo scambio continuo e trasversaleha davvero un valore inestimabile. La Ca-mera del Lavoro non è stata impermea-bile a tutto questo. Al di là della retoricasui giovani, io credo che siano in molti apercepire la necessità di un approccio di-verso. Ci sono molte resistenze è vero, mauna grande Camera del Lavoro è un mec-canismo complesso e non potrebbe esse-re altrimenti. Al tempo stesso la com-plessità della Camera del lavoro è unagrande risorsa per il Plas. I cambiamentiprodotti, seppur non percepiti da tutti,non sono semplici da ignorare o disper-dere, proprio in virtù di questa comples-

sità. Oggi esiste un luogo, visibile dallastrada e dall’interno, in cui chiunque puòvedere un giovane che parla con un ope-ratore. Quel giovane è un disoccupatoche non sta semplicemente compilandouna disoccupazione. Quel giovane sta a-vendo un colloquio orientativo attraver-so il SoL. La sua disoccupazione è un no-stro problema, la nostra capacità di ri-sposta alle sue esigenze è il nostro investi-mento verso il futuro, anche in termini dirappresentanza. Ciò è un cambiamentodi prospettiva da cui non si può tornareindietro, una volta che l’ingranaggio si èmosso. Lo stesso vale per le aperture sera-li. Lo stesso vale per la necessità di viverela Camera del Lavoro come luogo di ag-gregazione. Se ciò è il frutto dell’espres-sione di un rinnovato protagonismo, non

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scelte dell’Ateneo!); l’attivazione di canalicomunicativi nuovi attraverso i socialnetwork.Numero persone stabilmente impegnatenel progetto: sono 11 le personestabilmente impegnate nel progetto delloSportello. Di cui 1 ricercatore a tempodeterminato, 1 lettore di madre linguaprecario, 2 assegnisti di ricerca, 2 lavoratoria progetto, 2 dottorandi, 1 docente acontratto e 2 tecnici amministrativi a tempodeterminato. Inoltre stabilmente collaboraun avvocato del sindacato nelle attività diconsulenza legale.Obiettivi conseguiti: azione di tutelaindividuale (dal pagamento di stipendi noncorrisposti ad interventi determinantisull’orario di lavoro non rispettato,dall’esigibilità del diritto alla maternità airinnovi contrattuali), coinvolgimento diretto

di molti lavoratori precari anche nellagestione stessa dello sportello e delleattività sindacali correlate.Limiti/aspetti da migliorare: tutelarequasi 10.000 lavoratori precari in untessuto metropolitano come quello romanoè missione assai ardua: c’è ancora moltoda fare sul radicamento e sulla “mobilità”dello Sportello stesso. Bisogna considerareche per i lavoratori precari qualsiasi attivitàsindacale durante l’orario di lavoro èimpraticabile, è quindi necessario sceglieresoluzioni alternative: vedersi verso sera,operare sulla rete, mettere in relazioneprecari e lavoratori strutturati del sindacato. Indicatori numerici: • Consulenze effettuate: 120 • Nuovi iscritti alla Cgil: 15• Attivisti che partecipano abitualmentealle attività del progetto: 11

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Attivo dal: Marzo 2012Promosso da: Cgil Camera del lavoro diPadova, Nidil e Filcams, in strettacollaborazione con la Rete degliStudenti medi e Udu-Studenti Per, chegià da qualche anno gestiscono con ilsostegno dello Spi lo spazio diaggregazione Reset.Finanziamento: Camera del Lavoro efondo di reinsediamento nazionale Finalità: migliorare l’attività disindacalizzazione dei soggetti chevivono una discontinuità lavorativa eintensificare il proselitismo neiconfronti dei giovani lavoratori concontratti a termine attraverso ilpotenziamento della sede Reset giàpresente nel territorio padovano dadiversi anni.Gli obbiettivi specifici sono: nuovecampagne di sindacalizzazione incollaborazione tra le categorie (tra cuila campagna Giovani NON+ disposti atutto); servizi e tutela individuale;esperienze di socialità e mutualismonello spazio aggregativo Reset,l’aggregazione tra le reti di precari; larete tra servizi già esistenti el’attivazione del Servizio Sol, momentidi confronto tra lavoratori giovani epensionati per potenziare la valenzaconfederale della contrattazionesociale.Attività effettuate: servizio Sol ecollaborazione con le categorie per lapubblicizzazione e l’implementazionedell’utenza, utilizzo dello spazio perospitare il Forum Precari Padova,progetti con studenti e Spi.

Attività che si intende intraprendere:promozione di ulteriori incontri sulprecariato, la riforma del mercato dellavoro, in collaborazione con lecategorie della Cgil e l’Informagiovanidella città di Padova da effettuarsipresso la sede Reset; implementazionedel servizio Sol presso la sede Reset;Attivazione servizio Partite Iva tramiteReset Padova, Nidil Padova e FilcamsPadova. Numero persone stabilmenteimpegnate nel progetto: 3compagne/i. Di cui 1 operatore perfront office e back office, 2 sindacalistiNidil e Filcams Padova Obiettivi conseguiti: avvicinamento dilavoratori, studenti e disoccupati allesedi sindacali; nuova visibilità efruibilità della sede Reset come luogodi incontro e confronto tra giovanistudenti, precari, lavoratori e categorie.Limiti/aspetti da migliorare:implementare ulteriormente lacollaborazione con le associazionistudentesche per informare e aggregarequelli che saranno i lavoratori deldomani; intensificare ulteriormente lacollaborazione con Nidil e Filcams alfine di intercettare e aggregare unnumero sempre maggiore di lavoratoriprecari con l’obiettivo di creare unacoscienza collettiva.Indicatori numerici:• 82 persone coinvolte in sede disportello per orientamento lavorativo eformativo;• 35 persone coinvolte in assembleepubbliche e sindacali

RESET - PADOVA

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esiste alcun possibile ritorno alla norma-lità precedente”.Abbiamo inoltre fatto qualche domandasulla cultura organizzativa che si è affer-mata con questa esperienza. In particola-re se il progetto ha prodotto la condivi-sione di una nuova cultura organizzativatra le/i compagne/i che vi sono impegna-ti, se per esempio il modello organizzati-vo e di decisione è differente, se è cam-biata la percezione dell’integrazione tradifferenti categorie.I ragazzi di Lecce affermano: “Soprattut-to nella sua fase iniziale, il progetto ha spe-rimentato forme nuove di azione sinda-cale, basate su un approccio orizzontale,facendo venire meno, in un certo senso,ruoli e gerarchie e valorizzando invecel’entusiasmo di cimentarsi con esperienzenuove. Questa è, anche in prospettiva, lachiave del successo di certi spazi, un ap-proccio umile che la Cgil deve mettere incampo, partendo dalla consapevolezzache è necessario muoverci, uscire fuori dailuoghi tradizionali del Sindacato (le Ca-mere del Lavoro, ma anche gli stessi luo-ghi di lavoro dove i giovani entrano confatica sempre maggiore), che è necessarioaffrontare contraddizioni interne e puntidi debolezza. Questo è uno degli aspettiche riteniamo vada potenziato con il coin-volgimento delle categorie.”Fabio Ingrosso in proposito aggiunge: “icompagni e le compagne che hanno ani-mato lo sportello fino ad oggi vengono daesperienze molto differenti tra loro. Al-cuni hanno fatto parte in questi anni deimovimenti sociali, altri vengono dalmondo dell’associazionismo, altri anco-ra non avevano mai fatto politica o altraattività sociale. Il sindacato in questo èun’ottima palestra organizzativa perchése da un lato le sue dimensioni elefantia-

che e poco elastiche risultano inizialmen-te poco funzionali a determinati proget-ti, dall’altro lato inculca una cultura or-ganizzativa di cui beneficia tutto il grup-po. Evidentemente il progetto delloSportello ha un modello differente daquello del sindacato partendo ad esem-pio dal livello decisionale: le decisioninon vengono prese attraverso delegati ocomunque votando, ma costruendo col-lettivamente una posizione condivisa fi-glia di una cultura del consenso parteci-pato. Le nuove generazioni hanno vissu-to all’interno di una società molto indivi-dualistica e all’interno di un’economia e-sasperatamente consumistica. Chi oggivuole impegnarsi all’interno di percorsicollettivi poco digerisce riti e rigidità pre-senti nelle strutture”.Andrea Brunetti afferma: “L’orizzontalitàdel Plas fa sì che esso sia un luogo collet-tivo, in cui anche chi non ricopre un ruo-lo decisionale nell’organizzazione puòprendere parte alle decisioni. Certo, i ruo-li sono importanti, ma Plas è un conteni-tore nuovo che proprio per le modalitàche utilizza, comporta la veicolazione diun nuovo messaggio. Partecipare ad unainiziativa di una categoria al Plas è fruttodi un lavoro intercategoriale. Si travalica-no le logiche di appartenenza salendo suun livello più alto, che esprime la propriaconfederalità non soltanto attraverso i te-mi, ma piuttosto attraverso le pratiche.Plas è, nei fatti, una nuova pratica confe-derale che al di là delle tematiche affron-tate di volta in volta, porta sempre con séun messaggio generale ”.Su questo aspetto punta anche Alessan-dra Stivali che afferma: “Sicuramente ilprogetto ha migliorato il rapporto tra ca-tegorie, servizi e associazioni che vivonola sede Reset, credo però che bisogna an-

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cora lavorare molto perché questo diven-ti la prassi del nostro agire sindacale”. Infine abbiamo chiesto una valutazionerispetto ai “costi/benefici” in relazione aquesta prima fase sperimentale, ma anchecon un occhio nel lungo termine.Ovviamente le risposte sono diversifica-te e commisurate all’ambizione e al costoeconomico del progetto.Inoltre per alcuni progetti i tempi non so-no assolutamente maturi per esprime u-na valutazione. Questo vale in particolare per l’ultimo ar-rivato Plas, rispetto al quale Brunetti ag-giunge: “È troppo presto per poter im-maginare il futuro. Quel che posso affer-mare con certezza è che le domande cheruotano attorno a Plas sono domande acui la Cgil deve rispondere con urgenza.Se Plas sarà lo strumento adatto allora po-trà sostenersi autonomamente”.Più complessa invece la valutazione del“più anziano” Toolbox, rispetto alla qualeVerdoliva afferma che: “Sul piano dei be-nefici ho già detto quanto sia risultato in-novativo il progetto. Credo invece che intermini di costi la Cgil non possa valutarepositivamente il progetto. Infatti la spesaeconomica di una sede apposita nella zo-na centrale della città rischia di essere trop-po onerosa senza finanziamenti esterni. Ilprogetto si può auto-sostenere solo se af-fiancato da entrate extra. Se posso per-mettermi, in assenza di sedi o di finanzia-menti ad hoc, l’unico modello auto-fi-nanziabile è quello dei circoli Arci poichétiene insieme produzioni culturali, rap-presentanza, circoli del dopo-lavoro”.I compagni di Lecce aggiungono: “Se l’a-nalisi costi/benefici deve essere di naturaesclusivamente economico/finanziario,la valutazione è negativa. I costi sono sta-ti maggiori dei benefici (economici) che

se ne sono ricavati. Un dato di cui erava-mo consapevoli fin dalla progettazionedello Spazio, sia per ragioni legate alla no-vità dell’iniziativa, ma anche, e soprattut-to, perché il target di lavoratori e cittadi-ni obiettivo non sono di per sé portatoridi risorse economiche.Il progetto non può sostenersi da solo, hasenza dubbio bisogno di costanti formedi finanziamento “esterno” ed ha, soprat-tutto, la necessità di essere valutato inun’ottica temporale di medio/lungo pe-riodo, anche in relazione ai benefici indi-retti che fa e farà riverberare sull’interastruttura”. Sulla stessa linea anche Alessandra Stiva-li: “A mio avviso è necessario tener contodel difficile momento che vivono le Ca-mere del Lavoro, sempre più luogo in cuisi riversano un numero elevato di perso-ne in grave disagio sociale e lavorativo. Lacrisi si sta riversando anche sulla nostraorganizzazione e questo richiede nuoverisposte sindacali e organizzative. Il pro-getto ha portato a sperimentare un mo-do diverso di fare sindacato, ma richiedeancora tempo per autofinanziarsi com-pletamente”.Ingrosso invece rileva la necessità di col-legare questo progetto al resto dell’attivitàsindacale affinché possa moltiplicare glieffetti e i benefici: “La fase di sperimenta-zione durerà ancora molto tempo. Lemodalità di produrre attività sindacalenell’università sono molteplici e speri-mentare nuovi sistemi d’azione e di co-municazione deve essere elemento cen-trale. Solo essendo curiosi, solo ponen-dosi dubbi, solo interrogandosi quoti-dianamente si può migliorare e crescere.Un progetto che si fonda su solide basipolitiche con una forte interazione contutta la struttura sindacale non può che

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Attivo dal: 25 ottobre 2012.Promosso da: Camera del LavoroMetropolitana di Firenze.Finanziamento: Camera del LavoroMetropolitana di Firenze e fondo direinsediamento nazionale.Finalità: attivare all’interno della sedestorica della camera del lavoro di Firenzeuno spazio, indipendente e visibiledall’eterno, esplicitamente rivolto aigiovani disoccupati, ai lavoratoridiscontinui, ai professionisti. Una casadei mille lavori di oggi in cui organizzarsi,ricevere aiuto, costruire iniziative,immaginare il cambiamento.Attività effettuate: servizi specifici,quali: Sol, Prometeo, consulenza per gliatipici, sportello recupero crediti,gestione Partite Iva, sportello Inca per lacompilazione domande didisoccupazione; attività formative inparticolare seminario formazione partiteIva e corsi di italiano per stranieri; iGiovedì del Plas: iniziative politiche eculturali (con la presenza di concerti eaperitivi), spazio per ospitare altre realtàin particolare la consulta delleprofessioni.Attività che si intende intraprendere:sportello professionisti, ulteriori attivitàformative, counseling individuale e digruppo, esperienze mutualistiche.Numero persone stabilmenteimpegnate nel progetto: 20 di cui• 1 Consulente per lo sportello Sol, chesvolge anche l’attività di orientamentotramite appuntamento; • 1 Consulente per lo sportello FrontOffice per la compilazione delledisoccupazioni;

• 2 Coordinatori politici;• 1 Responsabile comunicazione;• 15 Attivisti provenienti dalle categorie edal mondo delle professioni. Obiettivi conseguiti: apertura dellaCamera del lavoro in orario serale;apertura di un canale partecipativo peri/le giovani delegati/e e funzionari, maanche per semplici iscritti o attivisti,anche provenienti dal mondo delleprofessioni, e sviluppo di un luogo didibattito e di elaborazione orizzontale;apertura di nuovi servizi, rivolti inparticolare a giovani, che possanorispondere alle esigenze della persona intutte le fasi della vita lavorativa, iviincluso l’ingresso nel mercato del lavoroe la ricerca del primo lavoro, i periodi didisoccupazione, quelli di formazione e/oriqualificazione professionale, i periodi dilavoro con contratti atipici, le fasi distabilizzazione; partnership con soggettiesterni per l’implementazione di nuovicorsi di formazione e per l’attività seralecon l’obiettivo di creare una rete disoggetti, vicini alla Cgil, con cui potergiocare un ruolo da protagonistinell’ambito della città; proselitismo enuova rappresentanza per i professionisti.Limiti/aspetti da migliorare:interazione con le categorie. Il Plas non èancora vissuto dalle categorie comeluogo di aggregazione né comestrumento di proselitismo erappresentanza; l’attività serale, privadella possibilità di somministrazione,risulta poco fluida; elaborazione politicaallo scopo di costruire una piattaformaper la contrattazione sociale inclusiva deitemi dei giovani.

PLAS - LA CASA DEI MILLE LAVORI – FIRENZE

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avere dei rendimenti crescenti in terminidi risultati. Un progetto di questo genereperò non si potrà sostenere a lungo da so-lo se non inserito all’interno di una ini-ziativa più generale. Non si può pensaredi risolvere un problema ad un’assegnistadi Roma se il problema si trova anche aPisa piuttosto che a Catania. L’Flc Cgilinveste già da tempo in un Coordina-mento Nazionale Precari che funge dabase d’analisi, di radicamento e di mobi-litazione per quel che riguarda i precaridei comparti della conoscenza. Solo al-l’interno di ragionamenti nazionali gene-rali progetti come lo Sportello Precaripossono trovare linfa vitale per sopravvi-vere e crescere”.Questo primo racconto collettivo trat-teggia con chiarezza la ricchezza di questeesperienze e benché sia prematuro effet-tuare valutazioni, appare chiaro quantosia importante commisurare bene stru-menti e obiettivi specifici adattando ilprogetto al contesto locale. Questa è laprecondizione affinché l’investimento ef-fettuato possa trovare il consenso neces-sario e portare i frutti sperati. Siamo consapevoli che progetti di que-sto tipo funzionano se riescono nel me-dio-lungo termine ad innestare processicomplessi che coinvolgano tutta l’orga-nizzazione: esperienze fragili e allo stessotempo straordinarie che devono poterdiventare ordinarie e consolidarsi, finoad essere un patrimonio comune capacedi generare un cambiamento della cul-tura organizzativa.

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Supplemento al n. 12/2013 di Rassegna Sindacale Direttore responsabile Guido Iocca

Chiuso in tipografia il 15 marzo 2013Stampa Macofin, Roma

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ORGANIZZAREi non organizzati

Idee ed esperienze per il sindacato che verrà

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