Ora va in scena il flauto U - euterpevenezia.it · la fantasia per parlare del flauto e della sua...

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U NA SUGGESTIVA IPOTESI vuole che la mu- sica sia nata come pratica magica. Jules Combarieu scrisse, nel 1909, un bel libro La musique e la magie dove viene esaminata in termi- ni rigorosi questa congettura che appare la più fon- data tra le varie che tentano di spiegare l’origine del- la musica, considerandola potente mezzo a dispo- sizione dell’uomo per agire sul cosmo, sui regni vi- sibili ed invisibili celesti ed inferi. Le parole «incan- to» e «carmen», illecito maleficio nel latino arcaico, ci confermerebbero questo aspetto dell’arte dei suoni. Nell’antica musica greca gli strumenti musicali erano distinti a seconda dell’etos, lo stato d’animo che indu- cevano nell’ascoltatore. Gli strumenti a corda erano portatori di razionalità apollinea, di l’equilibrio, mentre quelli a fiato, cari a Dio- niso, di estasi bacchica e di perdita della coscienza. Que- sta antichissima distinzione ha lasciato tracce nel corso dei secoli e pifferai incantatori nonché flauti magici (vedi Mo- zart) abbondano nelle nostre storie. Ma lasciamo il regno del - la fantasia per parlare del flauto e della sua storia, sperando di re- stare immuni da incantesimi. Con la parola flauto si tende ad in- dicare, nel linguaggio comune, ogni sorta di strumenti a fiato che invece l’organologia distingue per il meccani- smo impiegato nella produzione del suo- no come ad esempio l’ancia doppia (oboe, fagotto), l’ancia semplice (clarinetto), il boc- chino (tromba). Secondo questo criterio spetta la de- nominazione di flauto agli strumenti a «suono di ta- glio», prodotto dall’effetto generato dalla separazio- ne di un flusso d’aria emesso dalle labbra del suona- tore su di uno spigolo, il bordo di un foro – come nel flauto traverso – o su di un sottile cuneo come nel flauto dolce. In orchestra, per flauto si intende esclusivamente il flauto tra- verso con il sistema di chiavi per la chiusura dei fori inventa- to a metà Ottocento da Theobald Boehm e fatto di una lega di metallo prezio- so, argento, oro o plati- no. Anche il «flauto di Pan» con le sue cannucce di altezza diversa legate as- sieme ha diritto a tutti gli effetti alla qualifica di flauto. Il flauto dolce Ricostruire l’atto di nascita di questo flauto (come peraltro del traverso) è impresa ardua. Sembra fosse presente in Cina già nel IX sec. Nella musica colta europea venne inizialmente impiegato il flauto dolce mentre quello traverso conobbe for- tuna nella versione militare (il «fiffaro») con canneggio sotti- le che lo rendeva particolarmente squillante. Era suonato nel- le fanfare dei soldati svizzeri e tedeschi con accompagnamen- to di timpani e tamburi. Il FD più antico giunto sino a noi è stato trovato tra le fonda- menta di una casa del XV sec. A Dordrek (Olanda): ha otto fori ed è cilindrico. Nel rinascimento lo strumento era ricavato da un unico pezzo di legno (acero, bosso, susino ecc…) e «taglia- to» per avere diversa altezza (soprano tenore, alto, basso ). Sa- rà solo successivamente, in epoca barocca, che verrà costru- ito in due sezioni. L’importanza che il FD ebbe nel rinasci- mento è dimostrata dai trattati che ne parlano diffusamen- te da quello di Virdung (1511) ad Agricola (1529) sino a Van Eyck (1646), il famoso improvvisatore cieco dalla nascita. Ma al FD spetta un notevolissimo primato: La Fontegara di Silvestro Ganassi dal Fontego, pubblicato a Venezia nel 1535, è il primo metodo mai apparso per uno strumen- to ed è dedicato proprio al FD. Ricordiamo che Vene- zia fu sede nel XV e XVI sec. di raffinata produzione di strumenti a fiato (ma anche a corda liuti, tiorbe ecc.) tal - ché non è un caso che La Fontegara sia stata pubblicata in questa città. Claudio Monteverdi nell’organico del suo Orfeo (Mantova 1607) inserisce un flauto dolce specifi- cando «alla vigesima seconda». In termini moder- ni un flauto soprano in Do4 ( ventidue note sopra il Do1 ). Ma nel Vespro della Beata Vergine (1610) è im- piegato anche un traverso. La popolarità del FD ini - ziò a declinare nel periodo barocco in favore del più flessibile traverso (o traversiere). Il flauto traverso La prima testimonianza di questo strumento nel rinascimento italiano si trova in un libro di gastronomia Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale (Ferrara 1549) di Girolamo di Messisburgo. Nella cena che Ercole d’Este imbandì in onore del padre Alfonso I erano presenti, per dilettare i commensali, numerosi strumenti, tra i quali suonarono, alla fine del - la cena , «quattro flauti alla alemanna». Il trat - tato più antico dove viene descritto ed esamina- to è Musica Instrumenta- lis deudsh (1529) di Martin Agricola. Ora va in scena il flauto di Francesco Rizzoli Dal frontespizio di La Fontegara di Silvestro Ganassi dal Fontego, Venezia 1535. 68 — cose di musica cose di musica / gli strumenti dell'orchestra – 11 gli strumenti dell'orchestra – 11

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Una suggestiva ipotesi vuole che la mu-sica sia nata come pratica magica. Jules Combarieu scrisse, nel 1909, un bel libro

La musique e la magie dove viene esaminata in termi-ni rigorosi questa congettura che appare la più fon-data tra le varie che tentano di spiegare l’origine del-la musica, considerandola potente mezzo a dispo-sizione dell’uomo per agire sul cosmo, sui regni vi-sibili ed invisibili celesti ed inferi. Le parole «incan-to» e «carmen», illecito maleficio nel latino arcaico, ci confermerebbero questo aspetto dell’arte dei suoni. Nell’antica musica greca gli strumenti musicali erano distinti a seconda dell’etos, lo stato d’animo che indu-cevano nell’ascoltatore.

Gli strumenti a corda erano portatori di razionalità apollinea, di l’equilibrio, mentre quelli a fiato, cari a Dio-niso, di estasi bacchica e di perdita della coscienza. Que-sta antichissima distinzione ha lasciato tracce nel corso

dei secoli e pifferai incantatori nonché flauti magici (vedi Mo-zart) abbondano nelle nostre storie. Ma lasciamo il regno del-la fantasia per parlare del flauto e della sua storia, sperando di re-stare immuni da incantesimi.Con la parola flauto si tende ad in-

dicare, nel linguaggio comune, ogni sorta di strumenti a fiato che invece

l’organologia distingue per il meccani-smo impiegato nella produzione del suo-no come ad esempio l’ancia doppia (oboe,

fagotto), l’ancia semplice (clarinetto), il boc-chino (tromba). Secondo questo criterio spetta la de-nominazione di flauto agli strumenti a «suono di ta-glio», prodotto dall’effetto generato dalla separazio-ne di un flusso d’aria emesso dalle labbra del suona-

tore su di uno spigolo, il bordo di un foro – come nel flauto traverso – o su di un sottile cuneo come nel flauto dolce. In orchestra, per flauto si intende esclusivamente il flauto tra-verso con il sistema di chiavi per la chiusura dei fori inventa-to a metà Ottocento da Theobald Boehm e fatto di una lega di metallo prezio-so, argento, oro o plati-no. Anche

il «flauto di Pan» con le sue cannucce di altezza diversa legate as-sieme ha diritto a tutti gli effetti alla qualifica di flauto.

Il flauto dolceRicostruire l’atto di nascita di questo flauto (come peraltro

del traverso) è impresa ardua. Sembra fosse presente in Cina già nel IX sec. Nella musica colta europea venne inizialmente impiegato il flauto dolce mentre quello traverso conobbe for-tuna nella versione militare (il «fiffaro») con canneggio sotti-le che lo rendeva particolarmente squillante. Era suonato nel-le fanfare dei soldati svizzeri e tedeschi con accompagnamen-to di timpani e tamburi.

Il FD più antico giunto sino a noi è stato trovato tra le fonda-menta di una casa del XV sec. A Dordrek (Olanda): ha otto fori ed è cilindrico. Nel rinascimento lo strumento era ricavato da un unico pezzo di legno (acero, bosso, susino ecc…) e «taglia-to» per avere diversa altezza (soprano tenore, alto, basso ). Sa-rà solo successivamente, in epoca barocca, che verrà costru-ito in due sezioni. L’importanza che il FD ebbe nel rinasci-mento è dimostrata dai trattati che ne parlano diffusamen-te da quello di Virdung (1511) ad Agricola (1529) sino a Van Eyck (1646), il famoso improvvisatore cieco dalla nascita.

Ma al FD spetta un notevolissimo primato: La Fontegara di Silvestro Ganassi dal Fontego, pubblicato a Venezia nel 1535, è il primo metodo mai apparso per uno strumen-to ed è dedicato proprio al FD. Ricordiamo che Vene-zia fu sede nel XV e XVI sec. di raffinata produzione di strumenti a fiato (ma anche a corda liuti, tiorbe ecc.) tal-ché non è un caso che La Fontegara sia stata pubblicata in questa città.

Claudio Monteverdi nell’organico del suo Orfeo (Mantova 1607) inserisce un flauto dolce specifi-cando «alla vigesima seconda». In termini moder-ni un flauto soprano in Do4 ( ventidue note sopra il Do1 ). Ma nel Vespro della Beata Vergine (1610) è im-

piegato anche un traverso. La popolarità del FD ini-ziò a declinare nel periodo barocco in favore del più flessibile traverso (o traversiere).

Il flauto traversoLa prima testimonianza di questo strumento

nel rinascimento italiano si trova in un libro di gastronomia Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale (Ferrara 1549) di Girolamo di Messisburgo. Nella cena che Ercole d’Este imbandì in onore del padre Alfonso I erano presenti, per dilettare i commensali, numerosi strumenti, tra i quali suonarono, alla fine del-la cena , «quattro flauti alla alemanna». Il trat-

tato più antico dove viene descritto ed esamina-to è Musica Instrumenta-

lis deudsh (1529) di Martin

Agricola.

Ora va in scenail flauto

di Francesco Rizzoli

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Ciò che distingue il traverso dal flauto dolce è la grande esten-sione che secondo Agricola arriverebbe a tre ottave (contro l’ot-tava più una sesta del FD). Ma lo stesso Agricola ridimensio-na, nella seconda edizione del suo trattato (1545), la reale esten-sione a due ottave più una quinta visto che le note più acute so-

no così intense e fischianti da non poter essere usa-te nella pratica musicale. È la velocità del flusso d’aria prodotto dal suonatore che determina l’al-tezza della nota, dalla prima ottava, «vento me-diocri», via via crescendo con «veloci», «velocio-ri», e «velocissimo».

Un’altra caratteristica importantissima del tra-verso è la capacità di suonare un «piano» o un «forte», cosa impossibile al FD e determinante nella pratica della musica barocca. Jacquest Hot-teterre (Parigi 1674-1763), flautista della chambre du roy ebbe un ruolo di grande importanza sia co-me didatta che come costruttore di strumen-ti. A quest’epoca due chiavi sono presen-ti ad aiutare la diteggiatura dell’esecu-tore .Presente nell’orchestra di Giam-battista Lully in quella di Dresda e all’Operà di Parigi, Bach, Haendel, Telemann scriveranno pagine di

grande bellezza per il traverso. Ma lo strumento godrà di una grande popolarità nella seconda netà del Settecento, grazie ad un regale di-lettante: Federico II di Hohen-zollern, detto il Grande, re di Prussia dal 1740 al 1786.

Un regale dilettanteNella residenza di Sans-

Souci a Postdam Federico II ebbe come maestro il ce-lebre Joaquin Quantz e co-me accompagnatore al cembalo, negli anni dal 1740 al 1767, nienteme-no che Carl Philip Ema-nuel Bach. Charles Bur-ney (1746-1814), uno dei

fondatori della storiogra-fia musicale, nel suo libro

Viaggio Musicale in Ger-mania e nei Paesi Bassi ci racconta di una sua

visita a Sans-Souci ver-so la fine del 1773, dove assistet-te ad un concerto del regale flau-tista. Quantz, il maestro, segna-va il tempo con la mano all’ini-zio di ogni movimento ed ave-va altresì il compito di dire «bra-vo» al termine delle parti solisti-che e delle cadenze. Burney loda «l’embouchure» del sovrano sot-tolineandone la chiarezza. Sem-bra che Federico II non tolleras-se critiche di sorta. Si racconta che Carl Philipp Emanuel Bach commentando un complimento che un ambasciatore aveva rivol-to al re «che ritmo!» con un sus-

surrato «che ritmi!» – nel senso che non teneva il tempo – si gio-cò aumenti di stipendio ed altro.

Quantz, autore dell’Arte di suonare il flauto traverso fu anche co-struttore di strumenti, impresa che si rivelò assai vantaggiosa (cento ducati per ogni nuovo flauto). Questi strumenti aveva-no solo due chiavi.

EvoluzioneNell’Ottocento il «traversiere» di Quantz e di Federico II di-

venne flauto traverso nel senso moderno.C’è un drammatico progressivo cambiamento nella diteg-

giatura e Theobald Boehm (1794-1881), un orafo e bravissi-mo flautista, realizzerà alla fine un sistema di chiavi che per-metteranno un’agilità straordinaria allo strumento per il qua-le è ormai preferito il metallo di diverse leghe ed è separabile in tre parti (testata, parte media, piede. Il flauto che mise a punto nel 1846 differisce ben poco da quello che vediamo oggi nel-le nostre orchestre).

Ai tempi di Boehm non tutti i flautisti si mostrarono entusia-sti della novità, che cambiava radicalmente la diteggiatura, ma i grandi vantaggi furono presto evidenti.

Nel Novecento lo strumento è tra i preferiti dai compositori che gli dedicheranno capolavori come Syrinx di Claude Debussy o la Se-

quenza di Lucia-no Berio per non par-lar del famoso Density 21,5 di Edgard Varèse (21,5 g/cm3 è la densità del pla-tino). Interpreti come Jean Pier-re Rampal, Severino Gazzello-ni, James Galway non solo hanno riproposto al pubblico lavo-ri del passa-to, ma han-no ispi-rato pa-gine di g r a n d e suggestio-ne e conforma-te al loro vir-tuosismo ed agli effetti nuo-vi che hanno sa-puto trarre dal lo-ro strumento. ►

Produzione del suono

È un fatto singolare che la fisica che sta alla base della emissione del suono di un flauto (dolce o traverso) – ma anche di una chiave forata o di una bottiglia vuota – rappresenti uno dei capitoli più ardui della fluidodinamica del moto turbolento.Quando il flusso d’aria proveniente dalle labbra del suonatore si separa sullo spigolo dell’imboccatura, si formano, con una determinata frequenza, dei piccoli vortici. La loro frequenza di apparizione eccita i modi propri di risonanza dell’aria contenuta nella camera dello strumento che a loro volta, con un meccanismo di feedback (retroazione), condizionano le frequenze di formazione dei vortici. Se muovete velocemente nell’acqua di una vasca una mano con le dita aperte, sentirete come le dita inizino a vibrare per effetto dei vortici che si formano ai lati. È il medesimo meccanismo che avviene – mutatis mutandis – nell’imboccatura del vostro flauto.Meglio non pensarci e suonare!La chiusura e apertura dei fori determina poi l’altezza della nota fondamentale emessa modificando le dimensioni del canneggio.

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Poiché per flauto può intendersi sia quello traverso che quello dolce, abbiamo rivolto alcune domande ad autore-voli rappresentanti dei due strumenti, Monica Fin-

co per il traverso e Giovanni Toffano per quello dolce, gentili colleghi che ringrazio, entrambi titolari della cat-tedra dei rispettivi strumenti al Conservatorio «Bene-detto Marcello» di Venezia. Molte domande sono rivol-te a entrambi le cui risposte sono distinte dalla lettera f. (Finco) e t. (Toffano).

Quali sono le caratteristiche che distinguono un buon flauto da uno strumento mediocre?

f. Il flauto traverso oggi gode di tecnologie di costruzio-ne piuttosto avanzate: si possono trovare strumenti da stu-dio, la scelta è molto variegata, dotati di buona attendibilità in quanto a suono ed intonazione, oltre che a discreta precisio-ne meccanica. Il flauto professionale viene nobilitato dall’uso di metalli preziosi e dalla cura artigianale con il quale viene perfezio-

nato ogni particolare, specie per quan-to riguarda la testata, da cui dipende la produzione del suono. Un buon flau-to, in ultima analisi, è completo sotto ogni profilo e permette all’esecutore la massima espressione delle proprie po-tenzialità sonore e tecniche.

t. Un buon flauto deve essere prima di tutto una copia fedele di uno strumen-

to storico, quindi avere non solo l’aspetto esteriore, ma soprattutto il timbro e le carat-

teristiche foniche dello strumento di cui è co-pia. Se si tratta invece di un flauto dolce de-

stinato all’impiego nella musica contempora-nea, è opportuno che abbia una buona estensione, un suono ricco, facilità e prontezza nell’emissione delle note in tutta l’estensione. Lo strumento mediocre ha un timbro opaco, povero di armonici, non è preciso

nell’intonazione e ha difficoltà a ottenere alcune note del registro acuto.

Suonando flauti storici o comunque d’epoca, che confronto potete fare con quel-li di oggi? Avete esperienze particolari in proposito?

f. Ho avuto l’opportunità di suonare la copia moderna di un tra-versiere e, molti anni fa, un flauto sistema Ziegler, in ambo i casi di legno; il paragone è difficile, sono strumenti troppo diversi dal flauto Boehm in uso attualmente.

t. Purtroppo ho avuto la possibilità di suonare solo i flauti rina-scimentali dell’Accademia Filarmonica di Verona. Mi ha stupito la straordinaria ricchezza di armonici, che non ho mai riscontra-to in alcuna copia moderna. Quanto invece agli strumenti «stori-ci» copia di originali, se la copia è fedele, si ha la piacevole sensa-zione di avere lo strumento giusto per suonare la musica dell’epo-ca. Si dovrebbe tuttavia avere uno strumento diverso per diver-se epoche e addirittura, nell’ambito dello stesso periodo storico, strumenti diversi per i diversi stili. Ad esempio, uno o più flau-ti per il primo Seicento, un flauto per il Sei/Settecento francese, un altro per il Sei/Settecento inglese, un altro ancora per il Sette-cento tedesco.

I vostri strumenti possono essere fatti con materiali diversi, il traverso con le-ghe d’oro, d’argento, platino, legno d’ebano ecc…, quello dolce può essere di bos-

so, ciliegio, susino, di avorio e, popolarissimo, di plastica. C’è un effettivo riscon-tro nella qualità del suono o le differenze sono inapprezzabili nella maggior par-te dei casi ?

f. Il flauto traverso viene costruito in vari materiali, come ac-cennato prima: si parte dalle leghe miste, per passare all’argento, all’oro di diversa caratura (9, 14, 18,24 K), per arrivare, da ultimo, al preziosissmo platino. La differenza è molto vistosa, si passa dal-la sonorità cristallina del flauto d’argento a quella più calda e robu-sta dell’oro. Negli ultimi anni c’è un ritorno all’uso degli strumenti in legno, perloppiù d’ebano, sia nell’impiego orchestrale che soli-stico e cameristico (per repertori racchiusi in specifici periodi sto-

rici); tale scelta garantisce sonorità vellutate e rotonde.t. C’è una grande differenza tra un flauto di plastica e uno di le-

gno ed è molto meglio quest’ultimo, per la ricchezza di armoni-ci e la pastosità del timbro. Tra i vari legni, invece, non ho mai notato sostanziali differenze. La maggior parte dei flauti dolci, dal Cinquecento al Settecento, era costruita in bos-so e quindi vale la pena, secondo me, seguire questa linea anche nelle copie moderne.

A quali inconvenienti può andare soggetto uno strumento di qua-lità (rotture, cambio di sonorità, chiavi usurate, ecc…) e che manu-tenzione richiede?

f. Tutti i flauti traversi sono vulnerabili. Molto, pe-rò, dipende dall’attenzione con cui vengono utiliz-zati da chi li suona. Con il tempo, ovviamente, si deteriorano maggiormante i cuscinetti, spesso-ri posti sotto le chiavi per chiudere i fori; è ne-cessaria una puntuale e programmatica manu-

tenzione, direi una volta all’anno, e la sostitu-zione, all’occorrenza, degli elementi usura-ti, onde evitare che lo strumento perda aria impropriamente e venga compromessa la pulizia tecnica e di suono.

t. Tutti i flauti dolci, anche quelli di mediocre qualità, ad eccezione però di

quelli di plastica, vanno soggetti a rotture dovute a cambi improv-visi di temperatura o di umidi-tà. Se il legno è sufficientemen-

te stagionato ci sono meno ri-schi. È importante, comunque, suonare il flauto dolce con cau-tela durante il suo primo mese di vita. Successivamente è ne-cessario oliare lo strumen-

to, almeno un paio di vol-te all’anno, preferibilmen-te con olio di lino crudo.

Cosa cambiereste negli attuali programmi ministeriali dei vo-stri strumenti?

f. Si potrebbe dire mol-to, ma basta sottolineare

il fatto che i programmi del percorso formativo sono fermi

al 1930: mi pare si possa affermare che la musica, lungo il Nove-cento, ha fatto passi da gigante, sono cambiati i linguaggi, è cam-biata la mentalità con la quale relazionarsi con la professione di musicista. Dobbiamo lavorare in questa direzione, aggiornare i programmi, renderli flessibili, ma in particolare modo, e senza perdere ulteriore tempo, allineare la preparazione dei nostri stu-denti agli standard europei.

t. Il programma ministeriale attuale ha un’impostazione cro-nologica che non è produttiva da un punto di vista didattico. In al-tre parole non va bene suonare solo musica del Cinquecento e del

In conversazione con Monica Finco e Giovanni Toffano

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Seicento durante i primi anni di studio e il repertorio del Settecen-to solo alla fine. È invece opportuno affrontare al più presto tutti i repertori, compresa la musica contemporanea, la musica medie-vale e la musica popolare, scegliendo le difficoltà dei brani a secon-da del livello raggiunto dall’allievo.

Ho provato a fare qualche nota sul flauto traverso e mi girava la testa! Dopo quanto tempo si riesce a eliminare questa sensazione?

f. Verissimo, all’inizio può girare la testa, ovvero quando non si ha la consapevolezza dell’aria necessaria per produrre un suono.Ma una volta acquisita la tecinca di emissione e di respirazione, la sensazione di vertigine e di affaticamento sparisce, ragionevol-mente in meno di un mese dall’inizio delle lezioni.

Trovate che in Italia ci sia una sufficiente conoscenza del vostro strumento quanto alla sua letteratura, antica e contemporanea ?

f. Il flauto traverso ha assunto popolarità negli anni settanta gra-zie alla grande opera di divulgazione svolta da Severino Gaz-zelloni, malgra-do nel nostro Pa-ese la tradizione flautistica fosse presente da lun-ghissimo tem-po e molti insi-gni flautisti italia-ni si fossero impo-sti anche all’este-ro già dalla me-tà dell’Ottocen-to. La tradizione dunque è lunga, lo strumento è po-polare, ma man-ca la conoscenza più approfondita, manca la visione intellettuale, non per questo da con-siderare «elitaria». Parte della lettera-tura antica e mo-derna è scono-sciuta, per assur-do vengono pub-blicati all’estero la-vori di importanti autori italiani mai pubblicati dai nostri editori. Fortunatamente, da circa un ventennio, esistono alcune associazioni che si sono prese cura di divulgare la conoscenza del flauto in tutti i suoi aspet-ti, pubblicando riviste accuratissime, facendo conoscere i nostri talentuosi flautisti conclamati o emergenti, organizzando incon-tri con i più grandi flautisti di prestigio internazionale.

t. Il flauto dolce è noto in Italia soprattutto perché viene insegna-to nella Scuola Media e spesso odiato dagli alunni. Bisognerebbe far conoscere meglio le potenzialità di questo strumento e divul-gare il repertorio antico e contemporaneo specifico. Da qualche anno esiste anche in Italia una sezione dell’Erta (Europen Recor-der Teachers’ Association) che cerca di diffondere la conoscenza e la pratica del flauto dolce.

Quale paese conta le migliori scuole di flauto a vostro parere?f. Dico sempre che il flauto «parla francese», nel senso che la più

grande e riconosciuta scuola moderna trova origine in Francia, pur riconoscendo che oggi le scuole (sempre e comunque di matrice fran-cese), sono molte. In Italia, in Germania, in Inghilterra, in Svizzera la tradizione didattica è assai consolidata, così come negli Stati Uniti.

t. Attualmente una delle migliori scuole resta ancora quella

olandese, se non altro perché ha la più lunga tradizione didattica. Vi sono comunque ottimi solisti e ottimi insegnanti anche in Da-nimarca, in Germania, in Svizzera e pure da noi, in Italia.

Qual è l’età migliore per iniziare ?f. Si può iniziare a suonare il flauto anche da piccolissimi, gli

orientali ci hanno insegnato molto da questo punto di vista: in Giappone e in Corea ho visto bimbi di tre anni suonare flauti espressamente modificati e resi più corti con un sistema di ritorta della testata. L’età ideale, in ogni caso, si aggira intorno ai 7, 8 anni e in parecchi casi i piccoli vengono fatti iniziare con l’ottavino, ide-ale per le ridotte dimensioni.

t. È meglio cominciare da giovani, anzi da giovanissimi, intorno ai 5, 6 anni. Si può iniziare anche dopo e ottenere ugualmente ot-timi risultati, ma è fondamentale iniziare con un bravo insegnan-te e non da soli. Faccio spesso un paragone sciistico: sulle piste si vedono ormai molte persone scendere veloci e con una discre-

ta disinvoltura. Si distingue però immediatamen-te chi ha preso le-zioni da un mae-stro di sci da chi ha imparato da solo o istruito da genito-ri o da amici. Solo

chi ha imparato da un vero maestro di sci scende con si-curezza e si diverte pure di più.

Quali sono i vostri progetti futuri ?f. Programmi? Suonare, suonare suonare! E lascia-

re in eredità alle nuove generazioni l’amore ed il ri-spetto per la musica e per il nostro strumento... In verità, ci sono molti concerti in vista lungo tutto il periodo estivo, un paio di prime esecuzioni di brani scritti recentemente per me da impor-tanti compositori e una masterclass.

t. Vorrei riuscire a incrementare la presenza di allievi nella scuola di flauto dolce del Con-servatorio di Venezia e, prima di diventare troppo vecchio, creare un gruppo di allievi in grado di riproporre alcune delle più belle pagi-ne del repertorio del flauto dolce, sia antico, sia contemporaneo.

Cari amici,grazie di cuore per la vostra cortese pazienza e speriamo di trovarci assieme a far musica in un futuro non lontano. (f.r.) ◼

Monica Finco e Giovanni Toffano con Francesco Rizzoli( foto di Teresa Rizzoli)

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