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1 NUOVE APPLICAZIONI DEL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ IN AMBITO PENALE MILITARE Ten. Col. Sebastiano LA PISCOPÌA, Consigliere giuridico delle Forze armate SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Rischi applicativi del nuovo art. 1393 del Codice dell’Ordinamento Militare da parte del Comandante, oltre l’orizzonte edittale dell’art. 260 del Codice Penale Militare di Pace. - 3. La nuova esimente della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis del Codice Penale alla luce della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sui giudicati della Corte Militare d’Appello. - 4. Conclusioni. 1. Introduzione. Nulla poena cum lege ? La ben nota massima di Ulpiano 1 è qui volutamente evocata con un’innovata formula provocatoria nel tentativo di suscitare una curiosa aspettativa nei lettori su quali possano essere gli scenari applicativi e le possibili conseguenze, in prospettiva sia fattuale che giurisdizionale, del recente ampliamento delle responsabilità del praetor 2 di diritto penale militare nella sua duplice veste laica di Comandante e togata di Giudice militare sui diversi piani sanzionatori: rispettivamente, disciplinare e penale. Al riguardo si noterà, in primis, dall’analisi delle norme in trattazione, che la sanzione potrebbe anche non esserci in presenza di un fatto delittuoso e, per l'appunto, della relativa norma incriminatrice che integra reati conosciuti come tali dall’ordinamento giuridico militare. L’autore 3 ritiene quindi particolarmente interessante analizzare le recenti normative che rappresentano delle novità di assoluto rilievo nel panorama delle - ora ampliate - potestates proprie delle Autorità militari e della Magistratura militare. In particolare, l’obiettivo principale del secondo paragrafo sarà quello di tratteggiare brevemente, ma con spirito critico e con ampiezza di vedute, quali valutazioni/considerazioni dovrebbe verosimilmente effettuare il Comandante di corpo prima di esprimere una decisione in merito ad un possibile provvedimento disciplinare da emanare nelle more della definizione di un giudicato penale su un proprio dipendente. Come si vedrà, infatti, il mutato quadro normativo di riferimento 4 , ha ora posto il Comandante su una sella curulis piuttosto scomoda per la non remota possibilità - a differenza di quanto sino ad ora accaduto per le sanzioni disciplinari ex art. 260 del Codice Penale Miliare di Pace (C.P.M.P.) 5 - di 1 Nulla poena sine lege: Digesto 50, 16, 131. 2 Inteso nel suo senso etimologico di ciceroniana memoria come Magistrato investito di imperium e iurisditio. Si noti, al riguardo, che era proprio l’autorità dotata di imperium che in epoca repubblicana, individuava nel praetor anche il comandante in capo (da prae ire) della fanteria romana. Il richiamo a tale arcaica “fusione” dell’autorità pubblica dotata di poteri coercitivi è quella alla quale, non a caso, il presente studio fa riferimento nell’affrontare i possibili riflessi dei differenti e graduati ambiti delle potestà sanzionatorie tipiche del diritto penale militare. 3 Che qui scrive - come di consueto nelle proprie pubblicazioni scientifiche - nella sua veste di libero interprete delle normative oggetto di studio, non esprimendo alcun orientamento ufficiale del Ministero della Difesa. 4 Dopo la riscrittura del menzionato art. 1393 del Codice dell’Ordinamento Militare. 5 L’istituto, come noto, ha lo scopo di snellire le attività dei Tribunali militari, mediante l’utilizzo dell’autorità dei Comandanti che con la sanzione disciplinare attuano un’efficiente funzione repressiva ed intimidatrice garantendo, al contempo, maggior riserbo a fatti che possano pubblicamente ledere l’immagine ed il prestigio delle Forze Armate.

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NUOVE APPLICAZIONI

DEL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ

IN AMBITO PENALE MILITARE

Ten. Col. Sebastiano LA PISCOPÌA, Consigliere giuridico delle Forze armate

SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Rischi applicativi del nuovo art. 1393 del Codice

dell’Ordinamento Militare da parte del Comandante, oltre l’orizzonte edittale dell’art. 260 del

Codice Penale Militare di Pace. - 3. La nuova esimente della particolare tenuità del fatto ex art. 131

bis del Codice Penale alla luce della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sui giudicati

della Corte Militare d’Appello. - 4. Conclusioni.

1. Introduzione.

Nulla poena cum lege ? La ben nota massima di Ulpiano1 è qui volutamente evocata con

un’innovata formula provocatoria nel tentativo di suscitare una curiosa aspettativa nei lettori su

quali possano essere gli scenari applicativi e le possibili conseguenze, in prospettiva sia fattuale che

giurisdizionale, del recente ampliamento delle responsabilità del praetor2 di diritto penale militare

nella sua duplice veste laica di Comandante e togata di Giudice militare sui diversi piani

sanzionatori: rispettivamente, disciplinare e penale.

Al riguardo si noterà, in primis, dall’analisi delle norme in trattazione, che la sanzione potrebbe

anche non esserci in presenza di un fatto delittuoso e, per l'appunto, della relativa norma

incriminatrice che integra reati conosciuti come tali dall’ordinamento giuridico militare.

L’autore3 ritiene quindi particolarmente interessante analizzare le recenti normative che

rappresentano delle novità di assoluto rilievo nel panorama delle - ora ampliate - potestates proprie

delle Autorità militari e della Magistratura militare.

In particolare, l’obiettivo principale del secondo paragrafo sarà quello di tratteggiare brevemente,

ma con spirito critico e con ampiezza di vedute, quali valutazioni/considerazioni dovrebbe

verosimilmente effettuare il Comandante di corpo prima di esprimere una decisione in merito ad un

possibile provvedimento disciplinare da emanare nelle more della definizione di un giudicato penale

su un proprio dipendente.

Come si vedrà, infatti, il mutato quadro normativo di riferimento4, ha ora posto il Comandante su

una sella curulis piuttosto scomoda per la non remota possibilità - a differenza di quanto sino ad ora

accaduto per le sanzioni disciplinari ex art. 260 del Codice Penale Miliare di Pace (C.P.M.P.)5 - di

1 Nulla poena sine lege: Digesto 50, 16, 131. 2 Inteso nel suo senso etimologico di ciceroniana memoria come Magistrato investito di imperium e iurisditio. Si noti, al

riguardo, che era proprio l’autorità dotata di imperium che in epoca repubblicana, individuava nel praetor anche il

comandante in capo (da prae ire) della fanteria romana. Il richiamo a tale arcaica “fusione” dell’autorità pubblica dotata

di poteri coercitivi è quella alla quale, non a caso, il presente studio fa riferimento nell’affrontare i possibili riflessi dei

differenti e graduati ambiti delle potestà sanzionatorie tipiche del diritto penale militare. 3 Che qui scrive - come di consueto nelle proprie pubblicazioni scientifiche - nella sua veste di libero interprete delle

normative oggetto di studio, non esprimendo alcun orientamento ufficiale del Ministero della Difesa. 4 Dopo la riscrittura del menzionato art. 1393 del Codice dell’Ordinamento Militare. 5 L’istituto, come noto, ha lo scopo di snellire le attività dei Tribunali militari, mediante l’utilizzo dell’autorità dei

Comandanti che con la sanzione disciplinare attuano un’efficiente funzione repressiva ed intimidatrice garantendo, al

contempo, maggior riserbo a fatti che possano pubblicamente ledere l’immagine ed il prestigio delle Forze Armate.

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dover emanare, se necessario, un atipico quanto poco onorevole giudizio di “remissione di

sanzione”6.

Nel secondo paragrafo, poi, l’autore affronterà la dibattuta introduzione nel Codice Penale della

nuova esimente della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis del Codice Penale (C.P.), nella

consapevolezza dell’estrema complessità della materia, assumendosi il difficile onere di tentare di

indagare la ratio di alcune recentissime pronunce della Corte Suprema di Cassazione su giudizi

della Corte Militare d’Appello.

E’ auspicabile che tali pronunce degli Ermellini, seppur prive del massimo apporto valoriale

nomofilattico7, possano aiutare studiosi ed operatori del diritto e, perché no, Comandanti, ad

orientarsi nel difficile campo della emergente valutazione del cosiddetto principio di offensività.

Si evidenzia, infine, che il presente studio nelle sue conclusioni non illuminerà certezze

argomentative o afflati di vicinanza ad autorevoli riferimenti dottrinari, ma potrà solo

eventualmente contribuire a stimolare una serena riflessione sugli istituti de qua, lasciando integra

nei lettori l’autonomia di discernimento, di dubbio e di giudizio.

2. Rischi applicativi del nuovo art. 1393 del Codice dell’Ordinamento Militare da parte del

Comandante, oltre l’orizzonte edittale dell’art. 260 del Codice Penale Militare di Pace.

Al fine di poter meglio apprezzare la straordinaria rilevanza della “riscrittura” dell’art. 1393 del

D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 668, avvenuta ad opera dell’art. 15, comma 1 della legge 7 agosto 2015, n.

124, si riportano, a seguire, per mere finalità sistematico-comparative, i “testi antitetici” che

caratterizzano l’evoluzione normativa dell’art. 1393 in parola.

Art. 1393 (Sospensione del procedimento disciplinare) (testo originario):

“1. Se per il fatto addebitato al militare è stata esercitata azione penale, ovvero è stata disposta

dall’autorità giudiziaria una delle misure previste dall’articolo 915, comma 19, il procedimento

6 Trattasi di termine “non tecnico” liberamente coniato dall’autore per esigenze di caratterizzazione espressiva

dell’istituto ex art. 1393 del Codice dell’Ordinamento Militare. 7 Trattandosi di pronunce di singole Sezioni e non delle Sezioni Unite. Giova evidenziare, tuttavia, come lo stesso

Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione abbia di recente innovativamente affermato, “…se è vero

che il numero esorbitante dei ricorsi e dei conseguenti contrasti che inevitabilmente insorgono all’interno della Corte

di cassazione, esaltano e rendono sempre più prezioso il ruolo delle Sezioni unite in vista di una sintesi

dell’interpretazione giurisprudenziale che assicuri il valore del precedente attraverso l’autorevolezza della decisione,

tuttavia non può negarsi che alla formazione del diritto vivente contribuiscano in maniera significativa le Sezioni

semplici, che si trovano giornalmente a dover interpretare una realtà in continua e talvolta frenetica mutazione,

assicurando un’evoluzione equilibrata del diritto volta a superare ora la fissità di soluzioni legislativamente

predeterminate ora l’inattualità delle risposte giudiziarie.” Cfr. http://www.cortedicassazione.it/cassazione-

resources/resources/cms/documents/Rassegna_Penale_2013.pdf. Cfr., inter alia, ZAGREBELSKY, La dottrina del

diritto vivente, in Giur. cost., 1986, I, 1152 ss.; MENGONI, Diritto vivente, in Dig. civ., VI, Torino, 1990, 450 ss.;

Morelli, Il «diritto vivente≫ nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giust. civ., 1995, 169 e segg.; ed

AMOROSO, I seguiti delle decisioni di interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale nella giurisprudenza di

legittimità della Corte di cassazione, in Riv. trim. dir. pubb., 2008, 769 ss.. Come noto, per l'art. 65 del R. D. 12 del 1941, la funzione nomofilattica della Cassazione si articola in due specifiche

sottofunzioni, quali quella di garantire l'attuazione della legge nel caso concreto, realizzando il profilo giurisdizionale in

senso stretto e quella di fornire indirizzi interpretativi uniformi tesi a mantenere/configurare, nei limiti del possibile,

l’omogeneo riferimento unitario dell’ordinamento giuridico, attraverso una sostanziale uniformazione della

giurisprudenza, storicamente attuata dalle Sezioni Unite, anche se, come appena evidenziato, tale rigidità ermeneutica

pare in fase di progressivo superamento. 8 Cfr. Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale in Rassegna della Giustizia Militare, 2015, n. 3. 9 Art. 915 (Sospensione precauzionale obbligatoria)

“1. La sospensione precauzionale dall'impiego è sempre applicata nei confronti del militare se sono adottati a suo

carico:

a) il fermo o l'arresto;

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disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale o di prevenzione e, se già

iniziato, deve essere sospeso.

2. In caso di prosecuzione del procedimento disciplinare, si tiene conto del decorso dei termini

perentori antecedente il provvedimento di sospensione.”

Art. 1393 (Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale) (testo novellato):

“1. In caso di procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione

ai quali procede l'autorità giudiziaria, si applica la disciplina in materia di rapporti fra

procedimento disciplinare e procedimento penale di cui all'articolo 55-ter del decreto legislativo 30

marzo 2001, n. 165.10”

Ciò che, prima facie, emblematicamente traspare è il sostanziale cambio di denominazione

dell’articolo che da “Sospensione del procedimento disciplinare” diventa “Rapporti fra

procedimento disciplinare e procedimento penale”.

L’originaria formulazione dell’art. 1393 aveva, come visto, una perentoria chiarezza espositiva: “il

procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale o di

prevenzione e, se già iniziato, deve essere sospeso”.

Nonostante l’inequivocabile impossibilità per il Comandante di Corpo di attivare, o di proseguire, il

procedimento disciplinare nei confronti dei militari imputati in un procedimento penale, non sono

però mancati nella prassi applicativa della norma11, purtroppo, casi in cui vi sia stato un differente

tentativo di approccio ermeneutico dei Comandanti poco avveduti/illuminati, o semplicemente mal

consigliati, nei confronti, persino, di dipendenti con le stellette che non erano neppure stati sentiti

come persone informate sui fatti dalla Magistratura militare, o addirittura contabile.

b) le misure cautelari coercitive limitative della libertà personale;

c) le misure cautelari interdittive o coercitive, tali da impedire la prestazione del servizio;

d) le misure di prevenzione provvisorie, la cui applicazione renda impossibile la prestazione del servizio.” 10 Art. 55-ter (Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale).

“ 1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorita'

giudiziaria, e' proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravita',

di cui all'articolo 55-bis, comma 1, primo periodo, non e' ammessa la sospensione del procedimento. Per le infrazioni

di maggiore gravita', di cui all'articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, l'ufficio competente, nei casi di particolare

complessita' dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di

elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, puo' sospendere il procedimento disciplinare fino al

termine di quello penale, salva la possibilita' di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del

dipendente.

2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il

procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al

dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'autorita'

competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilita' della

pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione

all'esito del giudizio penale.

3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile

di condanna, l'autorita' competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive

all'esito del giudizio penale.

Il procedimento disciplinare e' riaperto, altresi', se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto

addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne e' stata applicata

una diversa.

4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare e', rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta

giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla

presentazione dell'istanza di riapertura ed e' concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La

ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell'addebito da parte dell'autorita'

disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell'articolo 55-bis. Ai fini delle

determinazioni conclusive, l'autorita' procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le

disposizioni dell'articolo 653, commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale.” 11 Secondo il principio del tempus regit actum dal 9 ottobre 2010 al 28 agosto 2015.

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Ad avviso dell’autore, la storica formulazione della norma in parola era proprio finalizzata ad

evitare imprudenti12 e dannosi13 “approcci poco garantisti” su un piano disciplinare in assenza di:

- fumus e di prove documentali o testimoniali atte a motivare compiutamente/esaustivamente il

provvedimento;

- di sentenze passate in giudicato emanate dai competenti Organi della Magistratura Militare.

Vero è che visti i lunghi tempi spesso necessari per giungere alla definizione dei procedimenti

penali, risultava talvolta difficile per il Comandante di corpo (magari nel frattempo succedutosi più

e più volte) assicurare la puntuale esecuzione al disposto dell’art. 1398 del C.O.M.14 che, come

noto, prevede l’instaurazione senza ritardo del procedimento disciplinare, pur con le temperanze

sulle “cadenze d’intervento” introdotte al primo comma dello stesso art. 1393 dall’art. 4 comma 1,

lettera qqq) del D.Lgs. 24 febbraio 2012 n. 20.

Tuttavia, la precedente norma rappresentava - a modesto avviso di chi scrive - una tutela per i

Comandanti di corpo che non sempre sono dei “fini giuristi”15 e che, purtroppo, non possono quasi

mai avvalersi del prezioso ausilio di autorevole dottrina in materia16 che faccia da “guida” ai

volenterosi legal advisors.

Il nuovo testo dell’art. 1393 non pare altrettanto “garantista” né nei confronti dell’inquisito, né nei

confronti del Comandante.

La digressione del testo letterale della norma in parola, appositamente integralmente su riportata,

evidenzia infatti un’inversione di marcia decisa17 - attesa la storica e crescente specialità

riconosciuta all’ordinamento giuridico militare - che ha colto di sorpresa persino i rari cultori della

materia.

Pertanto pur in presenza di un “titolo” dell’art. 55 ter che fa espresso ed esclusivo riferimento a

giudizi penali, sembra pluasibile annoverare tra i fatti in relazione ai quali procede l’autorità

12 Per il Comandante di corpo. 13 Per il militare sottoposto al procedimento disciplinare. 14 Art. 1398 (Procedimento disciplinare).

“ 1. Il procedimento disciplinare deve essere instaurato senza ritardo:

a) dalla conoscenza dell'infrazione;

b) ovvero dall'archiviazione del procedimento penale;

c) ovvero dal provvedimento irrevocabile che conclude il processo penale;

d) ovvero dal rinvio degli atti al comandante di corpo al termine di inchiesta formale.

2. Il procedimento disciplinare si svolge, anche oralmente, attraverso le seguenti fasi:

a) contestazione degli addebiti;

b acquisizione delle giustificazioni ed eventuali prove testimoniali;

c) esame e valutazione degli elementi contestati e di quelli addotti a giustificazione;

d) decisione;

e) comunicazione all'interessato.

3. L'autorita' competente, se ritiene che sussistono gli estremi per infliggere la sanzione della consegna di rigore,

procede a norma dell'articolo 1399.

4. La decisione dell'autorita' competente e' comunicata verbalmente senza ritardo all'interessato anche se l'autorita'

stessa non ritiene di far luogo all'applicazione di alcuna sanzione.

5. Al trasgressore e' comunicato per iscritto il provvedimento sanzionatorio contenente la motivazione, salvo che sia

stata inflitta la sanzione del richiamo.

6. La motivazione deve essere redatta in forma concisa e chiara e configurare esattamente l'infrazione commessa

indicando la disposizione violata o la negligenza commessa e le circostanze di tempo e di luogo del fatto.

7. L'autorita' procedente, se accerta la propria incompetenza in relazione all'irrogazione della sanzione disciplinare,

deve darne immediata comunicazione all'interessato e all'autorita' competente rimettendole gli atti corredati di una

sintetica relazione.

8. Le decisioni adottate a seguito di rapporto sono rese note al compilatore del rapporto stesso. 15 Espressione tipica dello studioso Ten. Col. Anselmo BASSARELLO. 16 Come noto quasi inesistente, oltre che spesso pauca di interpretazioni analitiche di qualificato pregio scientifico. 17 Verosimilmente originata da esigenze di razionalizzazione in ambito pubblica amministrazione.

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giudiziaria18, anche quelli di cui si occupa la sola Magistratura contabile in presenza di danni

patrimoniali caratterizzati dall’assenza nell’inquisito dell’elemento psicologico del dolo.

Tale previsione, seppur non insindacabile, parrebbe ampliare la platea dei potenziali destinatari del

procedimento disciplinare anche ai militari che, nei casi di cui all’art. 55 bis comma 119 diversi da

18 Di cui al summenzionato art. 55 ter del D.Lgs. n. 165/2001 al quale l’art. 1393 del C.O.M. “si omologa”. 19 Art. 55 bis (Forme e termini del procedimento disciplinare).

“ 1. Per le infrazioni di minore gravita', per le quali e' prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero

verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per piu' di dieci giorni, il

procedimento disciplinare, se il responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni

del comma 2. Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili

con sanzioni piu' gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge secondo le

disposizioni del comma 4. Alle infrazioni per le quali e' previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita

dal contratto collettivo.

2. Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di

comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al

comma 1, primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l'addebito al dipendente

medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di

un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di

almeno dieci giorni. Entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, puo' inviare una

memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per

l'esercizio della sua difesa. Dopo l'espletamento dell'eventuale ulteriore attivita' istruttoria, il responsabile della

struttura conclude il procedimento, con l'atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni

dalla contestazione dell'addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento

del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento e' prorogato in misura corrispondente. Il differimento

puo' essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente

comma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio

del diritto di difesa.

3. Il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare e' piu' grave

di quelle di cui al comma 1, primo periodo, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all'ufficio

individuato ai sensi del comma 4, dandone contestuale comunicazione all'interessato.

4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti

disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il predetto ufficio contesta l'addebito al dipendente, lo convoca per

il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la

sanzione da applicare e' piu' grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al

doppio di quelli ivi stabiliti e salva l'eventuale sospensione ai sensi dell'articolo 55-ter. Il termine per la contestazione

dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale

l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del

procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta

da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma

comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del

diritto di difesa.

5. Ogni comunicazione al dipendente, nell'ambito del procedimento disciplinare, e' effettuata tramite posta

elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente dispone di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mano.

Per le comunicazioni successive alla contestazione dell'addebito, il dipendente puo' indicare, altresi', un numero di fax,

di cui egli o il suo procuratore abbia la disponibilita'. In alternativa all'uso della posta elettronica certificata o del fax

ed altresi' della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di

ritorno. Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. E' esclusa l'applicazione di termini

diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti nel presente articolo.

6. Nel corso dell'istruttoria, il capo della struttura o l'ufficio per i procedimenti disciplinari possono acquisire da

altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento. La predetta

attivita' istruttoria non determina la sospensione del procedimento, ne' il differimento dei relativi termini.

7. Il lavoratore dipendente o il dirigente, appartenente alla stessa amministrazione pubblica dell'incolpato o ad una

diversa, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento

disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall'autorita' disciplinare

procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti, e' soggetto all'applicazione, da parte dell'amministrazione

di appartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione,

commisurata alla gravita' dell'illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni.

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quelli di indebito oggettivo ex art. 2033 del Codice Civile20, si trovino destinatari di un “invito a

dedurre” emesso dal Magistrato della Corte dei conti, pur in assenza di un’avvenuta attivazione di

un procedimento penale.

I commi 2 e 3 del su richiamato art. 55 ter del D.Lgs. n. 165/2001, evidenziano poi un ventaglio di

possibilità concesse al Comandante di corpo finalizzate a “rimuovere” o a “riallineare” la sanzione

disciplinare irrogata, all’esito del giudizio penale.

Al riguardo giova evidenziare che data la speciale21 natura dell’ordinamento militare e la grande

incisività che sia una sanzione disciplinare, sia un apparentemente ininfluente lieve abbassamento di

una singola voce delle “note caratteristiche”22 può avere sulle prospettive di carriera del militare, il

rischio insito nel corpus di questo nuovo art. 1353 del C.O.M. è che verosimilmente, in molti casi,

un eventuale annullamento delle sanzioni disciplinari inflitte, vedrà irrimediabilmente compromessa

la reputazione e/o la carriera del personale interessato dall’applicazione della norma che, non a

caso, fu concepita nel lontano 2001 per il solo comparto civile della P.A. che ha una non

comparabile struttura ordinativa, oltre che progressioni di carriera non verticistiche ed

assolutamente differenti anche dal punto di vista concorsuale.

Al riguardo il Comandante di corpo che dovrà valutare attentamente caso per caso ogni singola

fattispecie sanzionatoria, potrebbe esporsi al rischio concreto di ricorsi gerarchici ex D.P.R. 24

novembre 1971, n. 1199, oltre che di azioni civili per il risarcimento del danno per perdita di

chance23.

8. In caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un'altra amministrazione pubblica, il procedimento

disciplinare e' avviato o concluso o la sanzione e' applicata presso quest'ultima. In tali casi i termini per la

contestazione dell'addebito o per la conclusione del procedimento, se ancora pendenti, sono interrotti e riprendono a

decorrere alla data del trasferimento.

9. In caso di dimissioni del dipendente, se per l'infrazione commessa e' prevista la sanzione del licenziamento o se

comunque e' stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso

secondo le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici

non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.” 20 Cfr., sia concesso, Sebastiano LA PISCOPIA “Sulla responsabilità amministrativo patrimoniale negli Organismi

tipici del Ministero Difesa” su www.contabilita-pubblica.it, a pag. 4 e ss.. 21 Si noti che l’art. 19 della legge 183/2010, appena successiva all’entrata in vigore del C.O.M., in linea con la

specificità del ruolo delle Forze Armate che traspare dal corpus stesso del C.O.M. e del relativo regolamento, ossia del

D.P.R. n. 90/2010, dispone:

“ 1. Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela

economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di

polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in

dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle personali limitazioni, previsti da leggi e regolamenti,

per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza intrema ed esterna,

nonchè per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti.

2. La disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti

legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie.

3. Il Consiglio centrale di rappresentanza militare (COCER) partecipa, in rappresentanza del personale militare, alle

attività negoziali svolte in attuazione delle finalità di cui al comma 1 e concernenti il trattamento economico del

medesimo personale.”.

Cfr. DE LEVERANO Luigi Francesco, La specificità della condizione militare, Informazioni della Difesa, n. 3/2001,

http://www.difesa.it/InformazioniDellaDifesa/periodico/IlPeriodico_AnniPrecedenti/2011/Documents/Rivista%203-

2011/3_Articolo2.pdf. 22 Si osservi, al riguardo, che il c.d. “abbassamento delle note caratteristiche”, seppur non tassonomicamente ascrivibile

fra le sanzioni disciplinari ex art. 1358 del C.O.M., è un forte strumento sanzionatorio nelle mani dei superiori

gerarchici del militare reo di comportamenti lievemente non conformi alle norme sul servizio e la disciplina. 23 La chance è, come affermato dalla giurisprudenza, anche essa un bene, un'entità giuridicamente ed economicamente

valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, purché ne sia provata la sussistenza anche secondo un

calcolo di presunzione e probabilità (Cfr. Cass. n. 6506/1985; Cass. n. 8458/2000); la lesione della chance è infatti un

danno attuale, che riguarda la possibilità di conseguire un vantaggio (Cass., sent. n. 21619/2007, in Danno e Resp.,

2008, 1, 43). La Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 8443 in data 5 aprile 2013, ha chiarito che qualora il

dipendente risulti in possesso di tutti i requisiti necessari al fine di concorrere all'avanzamento di carriera, ove il datore

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Ciò detto, non pare certo, quindi, che il rapporto di “immedesimazione organica” che vede il

Comandante come parte indissolubile di quel “ramo esclusivo” della Pubblica Amministrazione

rappresentato dalle Forze Armate, basti di per se a tutelare il Comandante stesso da non temerarie

liti volte a dimostrare la responsabilità personale del summenzionato “decisore laico” in un giudizio

civile di risarcimento del danno.

L’aleatorietà e l’inadeguatezza dell’applicazione del menzionato art. 55 ter del D.Lgs. n. 165/2001

traspaiono anche dal richiamo24 fatto al comma 1 del summenzionato art. 55 ter alla disciplina del

già citato art. 55 bis relativamente alle infrazioni di minore gravità.

E’ di dimostrata evidenza palmare, infatti, che il D.Lgs. n. 66/2010 ed il D.P.R. n. 90/2010

rappresentano un unicum sotto un profilo disciplinare, ossia lex specialis in materia dopo che tali

norme hanno pressoché integralmente recepito e novellato la legge n. 382/1978 ed il D.P.R. n.

545/1986.

Per tale ragione come può - con buona pace del letterale richiamo imposto dalla norma - applicarsi

alle Forze Armate il generale art. 55 bis del D.Lgs. n. 165/2001 ?

Frustra probatur quod probatum non relevat !

Quali sarebbero poi le infrazioni di minore gravità di una condotta per la quale manca persino la

fase istruttoria di un giudizio penale ? Quelle per cui è prevista una pena superiore nel massimo a

sei mesi ex art. 260 del C.P.M.P. o quelle ex art. 131 bis del C.P.25 che individua le condotte di

particolare tenuità offensiva in quelle che prevedono una pena edittale non superiore nel massimo a

cinque anni ?

Al riguardo, non pare ultroneo evidenziare che il sottosistema della legislazione penale militare è

ormai condivisibilmente integrato nel sistema penale generale di cui ha connotazione

“complementare” come legge speciale relativa ad un determinato settore ai sensi degli artt. 15 e 16

del C.P..

Per tale ragione il summenzionato art. 260 del C.P.M.P. individua quindi, come affermato da

autorevole dottrina26, “un meccanismo procedurale di ripartizione dinamica tra reato e illecito

disciplinare fornito dalla cd. richiesta di procedimento del comandante di corpo per una

determinata categoria di reati militari, in cui l’assoggettamento a sanzione penale dipende da una

scelta discrezionale dell’organo titolare del potere disciplinare (art. 260 del codice penale militare

di pace). Un istituto estremamente problematico ma indicativo dell’origine del diritto penale

militare come maturazione dell’originario statuto disciplinare del militare sul quale sono stati

innestati istituti propri del diritto penale in senso stretto con finalità di garanzia per rendere

determinati comportamenti punibili solo se tipici e con il rito processuale proprio della sanzione

penale.”.

di lavoro preferisca un altro dipendente senza prendere in debita considerazione i requisiti del dipendente escluso

(magari illegittimamente, per via di una sanzione disciplinare infondata), dovrà farsi carico del ristoro del danno per

perdita di chance. La Suprema Corte ha, infatti, evidenziato che l'avanzamento di carriera di un lavoratore a discapito di

un altro, richiede obbligatoriamente che il datore di lavoro motivi la propria scelta. Al riguardo quale motivazione potrà

mai fornire un Comandante di corpo che sia costretto a rimuovere una sanzione disciplinare per effetto di una mancata

sanzione penale ex art. 55 ter commi 2 e 3 del D.Lgs. n. 165/2001? Anche in tale ipotesi dovrà riconoscersi al

danneggiato la risarcibilità del danno costituito dalla diminuita capacità lavorativa pro futuro giusta i principi che

presiedono alla determinazione del nesso di causalità fra pregiudizio e condotta lesiva. (Cass. civ., Sez. III, 29

novembre 2012, n. 21245). 24 Da un punto di vista legistico, non sarebbe risultato superfluo precisare nell’art. 1353 del C.O.M. la “speciale

normativa” applicabile/da applicare nel caso di sanzioni disciplinari da infliggere al personale militare, derogatoria

all’art. 53 bis del D.Lgs. n. 165/2001. 25 Che sarà ampiamente esaminato nel prossimo paragrafo. 26 Cfr. Massimo NUNZIATA, latribuna.it – Rivista penale n. 2 / 2007.

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Pertanto, nel caso di reati “di minore gravità”, verosimilmente assimilabili a quelli connotati da

“particolare tenuità” (se includibili per i criteri di “frammentarietà”27 e di “specialità”28 della legge

penale militare nel sistema sanzionatorio dell’art. 131 bis del C.P.) sarà possibile per il Comandante

di corpo esorbitare gli esistenti limiti alla propria funzione sanzionatoria disciplinare ? In altri

termini, potrà egli superare la casistica di reati che prevedono una pena edittale superiore nel

massimo a sei mesi, per attuare uno “sconfinamento” volto a ricomprendere fattispecie criminose

che prevedono una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni ?

Ad avviso di chi scrive ciò potrebbe essere consentito al Comandante nelle more della definizione

di un procedimento penale, in vigenza del combinato disposto degli artt. 1353 del C.O.M. e 131 bis

del C.P., in quanto la “condizione di procedibilità” ex art. 260 C.P.M.P. è “alternativa” all’esercizio

dell’azione penale29, mentre quest’ultima non preclude l’azione disciplinare per “fatti tenui” che

integrano reati per cui è prevista una pena inferiore nel massimo a cinque anni.

L’autore non ritiene tuttavia opportuno esprimere al riguardo una valutazione di merito lasciando,

come accennato in premessa, libertà di giudizio e di coscienza ai Comandanti di corpo.

Per i “decisori laici” purtroppo non c’è né giurisprudenza, né conforto di alcun Ufficio Massimario

Militare, bensì, al momento, solo queste modeste note dottrinarie di stimolo prudenziale ad una

riflessione attenta.

Pare altresì appropriato evidenziare che la stessa applicazione da parte dei Comandanti della “causa

di non procedibilità” ex art. 260 C.P.M.P. non sembra caratterizzata da una condivisa ed uniforme

interpretazione in ambito interforze in quanto nella prassi, per alcuni Comandanti pare preminente

non superare il termine perentorio massimo di sei mesi imposto dalla norma dando ex abrupto la

propria disponibilità a valutare in futuro, se del caso, l’inflizione di una sanzione disciplinare,

mentre per altri non sembra opportuno rischiare la proiezione di una possibile errata sensazione nel

Magistrato militare relativamente ad un avvenuto apprezzamento30 del fumus del reato, pur in

assenza di elementi di prova tipici delle fasi istruttorie (tanto del procedimento disciplinare, quanto

di quello penale).

27 Infatti il diritto penale militare nascendo storicamente come strumento per la tutela del servizio e della disciplina

militare, comprende solo le violazioni di beni ed interessi lesi o messi in pericolo che risultino tipizzate nel catalogo

delle incriminazioni militari. 28 Per il NUNZIATA, op. cit.: “Il connotato di specialità della legge penale militare, ricorre sotto più profili. La legge

penale militare è speciale rispetto alla legge penale comune in primo luogo in relazione ai soggetti che ne sono

destinatari: non il cittadino, ma il cittadino in armi, il militare. Quindi è speciale perché destinata ad una categoria

soggettiva speciale. Ma è speciale anche perché è aggiuntiva rispetto alla legge penale comune. Inoltre gli istituti che

ritroviamo nella parte generale e le disposizioni incriminatrici che ritroviamo anche nella parte speciale, il cd.

Catalogo delle incriminazioni, non di rado sono specializzazioni degli istituti e delle incriminazioni che si rinvengono

nel codice penale comune.”. 29 Sul punto, illuminante appare la sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sez. I bis, del 15 maggio 2015: “In

tema di reati militari, la richiesta del Comandante di corpo, necessaria ai fini della procedibilità di reati per i quali il

codice penale militare di pace stabilisce la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, è atto

formale e irrevocabile, soggettivamente amministrativo e subordinato ai requisiti espressamente richiesti dalla legge

penale (forma scritta, sottoscrizione dell'autorità competente; presentazione al P.M. entro un mese dal giorno in cui la

detta autorità ebbe notizia del fatto). Pertanto, la richiesta in questione si configura come vero e proprio atto

processuale idoneo a rimuovere un limite all'esercizio dell'azione penale, ed è inserita nell' "iter" del processo penale,

con la conseguenza che ad esso non è applicabile l'obbligo di motivazione imposto dalla L. n. 241 del 1990, art. 3 per

gli atti amministrativi direttamente incidenti nella sfera giuridica sostanziale del destinatario (Sez. 1, n. 13998

dell'8/11/1999, P.M. in proc. Ricci, Rv. 214824; Sez. 1, n. 728 del 6/12/1996, dep. 3/2/1997, P.G. mil. in proc.

Gargiulo, Rv. 206665). E' stato precisato che l'attribuzione della facoltà di richiesta di procedimento, ai sensi dell'art.

260 c.p.m.p., al Comandante del corpo o ad altro ente superiore, risponde a criteri di certezza e razionalità affinchè sia

sempre identificabile il soggetto titolare del potere di scelta ed apparendo giusto che sia il comandante del corpo a

valutare l'opportunità o meno di perseguire condotte di limitato disvalore, contemplate nei reati individuati dal citato

art. 260 (Sez. 1, n. 22699 del 14/4/2004, Cogoni, Rv. 228506).” 30 Da parte del Comandante stesso.

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Per altri Comandanti, ancora, sembra invece indispensabile avvalersi del supporto esperienziale del

P.M. di turno.

A sommesso avviso di chi scrive, non sembrerebbe ininfluente un’autorevole chiarificazione

ermeneutica al riguardo espressa dai competenti Organi della Magistratura militare31.

In conclusione, a modesto giudizio dell’autore, l’ordinamento giuridico militare non avvertiva il

bisogno di un tale ius superveniens che aggiunge un ulteriore titanico peso decisorio sulle spalle dei

Comandanti di corpo.

Che Athena esca dalla testa di Zeus32 !

3. La nuova esimente della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis del Codice Penale alla

luce della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sui giudicati della Corte

Militare d’Appello.

Se come brevemente delineato nel precedente paragrafo, per il Comandante di corpo non sarà facile

individuare le infrazioni “di minore gravità” richiamate, di rimando, dal menzionato art. 55 bis del

D.Lgs. n. 165/2001, per il Magistrato militare sarà forse ancor più complesso, in assenza di una

compiuta disciplina sul versante processuale, discernere e soprattutto valutare la portata applicativa

del nuovo art. 131 bis del Codice Penale (Esclusione della punibilità per particolare tenuità del

fatto33) che così recita:

“Nei reati per i quali e' prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero

la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilita' e' esclusa quando, per le

modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo

133, primo comma, l'offesa e' di particolare tenuita' e il comportamento risulta non abituale. L'offesa non puo' essere ritenuta di particolare tenuita', ai sensi del primo comma, quando l'autore

ha agito per motivi abietti o futili, o con crudelta', anche in danno di animali, o ha adoperato

sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in

riferimento all'eta' della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate,

quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il comportamento e' abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale,

professionale o per tendenza ovvero abbia commesso piu' reati della stessa indole, anche se

ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuita', nonche' nel caso in cui si tratti

di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle

circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da

quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini

dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle

circostanze di cui all'articolo 69.

31 Che contempli auspicabilmente anche i non infrequenti casi potenzialmente “processualmente sterili” di coeva

avvenuta “remissione di querela” (seppur verificatasi nel rispetto del principio di “officialità dell’azione penale” ex art.

269 del C.P.M.P.). 32 Il riferimento mitologico è al mal di testa di Zeus che fu risolto dalla fuoriuscita di Athena, dea della saggezza. Cfr. L.

PRELLER, Griechische Mythologie, 4ª ed. di C. Robert, I, Berlino 1887, pp. 184-230.

33 L’istituto della “particolare tenuità del fatto”, di recente introdotto con il d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 si innesta

nell’ambito di un quadro d’interventi normativi tesi a deflazionare il carico giudiziario. In particolare, l’art. 1, comma 1,

lett. m), della legge 17 aprile 2014, n. 67 in materia di pene detentive non carcerarie e di depenalizzazione, aveva infatti

conferito la delega al Governo per «escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene

detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del

comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa

normativa processuale penale».

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La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuita'

del danno o del pericolo come circostanza attenuante.”.

Va rappresentato, ora, che sotto il profilo processuale l’introduzione dell’art. 131 bis C.P. ha

originato l’art. 411 C.P.P. che statuisce che tra gli altri casi di archiviazione deve essere

contemplato anche quello per particolare tenuità del fatto e che se l’archiviazione è richiesta per tale

motivo “il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla

persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e

presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto

alla richiesta. Il giudice, se l’opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell’art. 409,

comma 2, e, dopo aver sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In

mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e. se

accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la

richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi

dell’articolo 409, comma 4 e 5.”.

Quanto al Codice di rito, inoltre, va rilevato che è stato:

- modificato l’art. 469 C.P.P. nel senso che la sentenza di non doversi procedere è pronunciata

anche quando l’imputato non è punibile per la particolarità tenuità del fatto;

- introdotto il nuovo articolo 651 bis C.P.P. che delinea il diritto della persona danneggiata dal

reato con riguardo all’azione civile, statuendo che laddove l’imputato dovesse essere prosciolto

dal reato a lui ascritto per tenuità del fatto, quel fatto rimane definitivamente accertato nella sua

componente lesiva risultando così suscettibile di giudizio davanti al giudice civile.

Si osserva, al riguardo, che tali norme trovano applicazione in ambito processuale anche ai giudizi

nei confronti del personale militare per analoga applicabilità - mutuata dal diritto sostanziale - del

menzionato principio penale di “complementarietà” fissato in materia dall’art. 261 del C.P.M.P..

In via preliminare si farà un cenno al concetto giuridico di “tenuità del fatto” evidenziando che il

dispositivo dell’art. 323 bis C.P.34 relativo alla c.d. “attenuante”, prevede che “Se i fatti previsti

dagli artt. 314, 316, 316 bis, 316 ter, 317, 318, 319, 319 quater, 320, 322, 322 bis e 323 sono di

particolare tenuità, le pene sono diminuite.”.

Con riferimento alla suddetta ”attenuante speciale” prevista dal summenzionato art. 323 bis C.P.,

può affermarsi che “onde valutare la portata del fatto incriminato, e` necessario considerare lo

stesso nella sua globalita`, dovendosi allo scopo considerare ogni caratteristica della condotta e

dell’evento da questa derivato, «insieme alle ragioni che lo hanno determinato e alla personalita`

del suo autore, giacche´ queste si riverberano sul dato oggettivo e finiscono per delinearne gli

esatti contorni». Si e` precisato, inoltre, che ai fini della ricorrenza della circostanza attenuante ex

art. 323 bis c.p. deve aversi riguardo, oltre ad ogni elemento di giudizio di natura oggettiva ed

esterno all’autore, anche agli aspetti di natura soggettiva, inclusi i motivi sottesi alla condotta, che

concorrono a fondare una qualificazione del fatto significativamente attenuata rispetto alle ipotesi

ordinarie previste dalla norma incriminatrice. La «particolare tenuita` del fatto», pertanto, non

puo` essere desunta semplicemente dalla lieve entita` dell’eventuale offesa patrimoniale cagionata

dalla condotta criminosa, in quanto il dato patrimoniale, che pertiene alla circostanza comune di

cui all’art. 62, n. 4, c.p., non e` ne´ decisivo ne´ esclusivo e puo` non essere sufficiente ad integrare

l’attenuante speciale in esame.”35.

Dopo tale doverosa premessa, si osserva che diverso dall’attenuante speciale della tenuità del fatto

è invece l’istituto della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis C.P. su cui si è già espressa,

qualche giorno dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 28/2015, la Corte di Cassazione36

riconducendo tale istituto, sia pure senza offrire un’articolata motivazione, tra le “cause di non

34 Come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. i), n. 1 della legge 27 maggio 2015, n. 69. 35 Cfr. Diritto Penale, Particolare tenuità del fatto e peculato, gennaio 2009.

36 Cfr. Cass., Sez. III, 15 aprile 2015, Mazzarotto, n. 15449.

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punibilità”37 e riconoscendone, in tal guisa, l’applicazione anche ai procedimenti in corso in virtù

dell’art. 2 C.P..

L’istituto in parola non è nuovo nel nostro ordinamento, infatti, come noto, la tenuità del fatto trova

la sua ispirazione nel procedimento penale avanti al giudice di pace ex art. 34 D.Lgs. 28 agosto

2000, n. 274 e, ancora prima, in quello a carico dei minori ex art. 27 del D.P.R. n. 448/1988, ma qui

la causa di non punibilità è ben individuata dalla norma che affida in modo inequivocabile

l’innovata natura di “reati tenui” ai soli reati con una pena edittale inferiore nel massimo a cinque

anni, semplificando così, almeno, l’opera ricognitoria del magistrato penale.

Al riguardo giova evidenziare che l’avallo della piena legittimità costituzionale della legge delega

che ha originato il D.Lgs. n. 28/2015 e la statuizione della diversa natura dell’istituto in parola

rispetto a quello ex art. 34 del D.Lgs. n. 274/2000 sono stati recentemente espressi in termini

perentori dalla Corte Costituzionale: “il legislatore può ben introdurre una causa di

proscioglimento per la particolare tenuità del fatto strutturata diversamente senza richiedere tutte

le condizioni previste dall’art. 34 del D.Lgs. n. 274 del 2000, ed è quello che ha fatto la legge 28

aprile 2014, n. 67…Il legislatore ha conferito al Governo una delega per “escludere la punibilità di

condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a

cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del

comportamento”. Si tratta di una disposizione sensibilmente diversa da quella dell’art. 34 del

D.Lgs. 274 del 2000, perché configura la “particolare tenuità dell’offesa” come una causa di non

punibilità invece che come una causa di non procedibilità, con una formulazione che, tra l’altro

non fa riferimento al grado di colpevolezza e all’occasionalità del fatto (sostituita dalla “non

abitualità del comportamento”), alla volontà della persona offesa e alle varie esigenze

dell’imputato.”.38

A conclusione di questa sommaria descrizione dell’istituto, per dirla con autorevole dottrina39

“L’interprete, chiamato a ricostruire l’ordito normativo, si trova innanzi ad un meccanismo

ambiguo nella natura e nel carattere che rende alquanto gravosa quell’operazione. La distonia,

non coerente con il largo impiego che verrà fatto dell’istituto, sarà fortemente condizionata dalla

giurisprudenza di merito e legittimità a cui è interamente delegata l’equa e corretta applicazione

del nuovo meccanismo.”

E’ per tale ragione che, stanti la carenza della disciplina su un piano processuale e la notevole

portata innovativa dell’istituto40, prescindendo da eventuali preoccupazioni corporative della

Magistratura militare, lo scrivente si soffermerà su alcune recenti pronunce della Corte Suprema di

Cassazione su giudizi della Corte Militare d’Appello, nel tentativo di fornire una possibile chiave di

lettura della norma sotto un profilo nomofilattico.

La prima pronuncia in rassegna è la sentenza della Cassazione in data 15 maggio 2015 della I

Sezione Penale, emanata avverso la sentenza n. 64/2014 della Corte Militare d’Appello di Roma, in

data 24 settembre 2014.

Essa è relativa ad un processo in cui con sentenza resa il 24 settembre 2014, la Corte Militare di

Appello confermava la sentenza del 19 novembre 2013, emessa dal Tribunale Militare di Verona,

che aveva condannato alla pena di mese uno e giorni quindici di reclusione militare l'imputato C.

G., in quanto ritenuto responsabile dei reati di disobbedienza aggravata (….) perché, aviere scelto in

37 Che come noto originano un provvedimento di archiviazione che, benché privo del carattere di definitività, andrà

iscritto nel certificato del casellario giudiziale. Cfr. Annalisa MANGIARACINA, La tenuità del fatto ex art. 131 bis

C.P.: vuoti normativi e ricadute applicative, Diritto penale contemporaneo, 2015. Sulla discendente cripto-condanna

Cfr. F. PICCIONI, Per gli avvocati “armi spuntate” nella strategia, in Guida dir., 2015, n. 15, p. 43, sia pure con

riferimento alla sentenza di proscioglimento predibattimentale. 38 Corte Costituzionale, sent. 3 marzo 2015, n. 25. 39 Antonella MARANDOLA, “I ragionevoli dubbi” sulla disciplina processuale della particolare tenuità del fatto,

Diritto penale e processo, n. 7/2015, pag. 792. 40 Per approfondimenti rimandasi ad autorevolissima dottrina: Alessandro LEOPIZZI, De minimis non curat praetor ?

Il principio di offensività e la nuova esimente della particolare tenuità del fatto, La Giustizia Penale, n. 5 - 2015.

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servizio presso il terzo stormo Aeronautica militare di Villafranca, rifiutava o ometteva di ubbidire

all'ordine attinente al servizio di presentarsi all'infermeria principale di Villafranca per essere

sottoposto a visita circa l'idoneità al servizio militare incondizionato.

Di seguito, puntuale stralcio delle motivazioni della sentenza.

“In sede di discussione la difesa del ricorrente ha invocato l'applicazione del disposto dell'art. 131

bis C.P.. Tale disposizione disciplina la causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto; il

testo normativo che ha introdotto tale istituto, il D.Lgs. n. 28 del 2015, non prevede una

regolamentazione transitoria, ma la natura sostanziale dell'istituto ed i suoi effetti favorevoli per il

reo inducono a ravvisarne l'applicabilità anche con effetto retroattivo a fattispecie concrete di

reato commesse prima dell'entrata in vigore della norma che lo riguarda, secondo la previsione

generale dell'art. 2 C.P., comma 4. Inoltre, a norma dell'art. 609 C.P.P., comma 2, poiché

l'introduzione nell'ordinamento della causa di non punibilità è avvenuta in momento successivo alla

celebrazione del giudizio di appello, il che ne ha precluso materialmente ogni possibilità di

deduzione, deve ritenersi che la stessa sia applicabile, nella sussistenza dei relativi presupposti,

anche in sede di legittimità. Al riguardo, non può prescindersi dalla considerazione del circoscritto

perimetro dei poteri cognitivi, propri del giudizio di cassazione, nel quale non sono consentiti

accertamenti di fatto; pertanto, il concreto riconoscimento della non punibilità per speciale tenuità

del fatto postula la verifica dell'astratta applicabilità dell'istituto alla stregua dei parametri

normativi di riferimento e, in caso di esito positivo, l'annullamento della sentenza impugnata con

rinvio al giudice di merito perché proceda alla relativa declaratoria sulla scorta

dell'apprezzamento in concreto dell'effettiva gravità della fattispecie. In tal senso risulta essersi

pronunciata questa Corte, alle cui affermazioni di principio si ritiene di dover dare continuità per

la loro piena condivisione (sez. 3^, nr. 15449 del 15/4/2015, Mazzarotto, rv. 263308; sez. 3^, n.

21474 del 22/04/2015, Fantoni, rv. 263693). (…).

Esclusa dunque l'astratta incompatibilità dell'istituto col giudizio di cassazione, nel caso di specie

la considerazione in questa sede conducibile induce ad escludere che nei gradi di merito i fatti

siano emersi come di speciale tenuità, dal momento che sono risultati plurimi. Tanto è sufficiente

per escludere i presupposti di applicabilità della causa di non punibilità.”

In definitiva, la sentenza impugnata non merita censure e l'impugnazione va respinta con la

conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.

I due principali aspetti che emergono ictu oculi sono:

- una sentenza d’appello ad un mese e quindici giorni di reclusione militare per gli effetti dell’art.

173 del C.P.M.P., ben al di sotto della soglia prevista dall’art. 131 bis;

- la considerazione della Cassazione che induce ad escludere che nei due gradi di merito, i fatti

emersi siano catalogabili come tenui, per il sol fatto che gli stessi sono risultati plurimi.

E’ interessante notare che la su riportata sentenza evidenzia la forte rilevanza esegetico-negativa

attribuita alla semplice pluralità dei fatti ascritti.

La seconda sentenza in rassegna della I Sezione Penale della Cassazione, emessa anch’essa in data

15 maggio 2015, avverso la Sentenza n. 43/ 2014 della Corte Militare d’Appello di Roma in data 17

settembre 2014, è relativa al processo che si è svolto come di seguito indicato.

Con sentenza del 12.11.2013, il Tribunale Militare di Verona dichiarava R.G. responsabile del reato

continuato e aggravato di furto militare (capo 1) e violata consegna (capo 2) di cui all'art. 81 cpv.

C.P., art. 120 C.P.M.P., art. 230 C.P.M.P., commi 1 e 2, art. 47 C.P.M.P., n. 2 e lo condannava alla

pena di un anno e tre mesi di reclusione militare, concedendogli i doppi benefici di legge.

Con sentenza del 17.9.2014, la Corte Militare di Appello, in parziale riforma della prima decisione,

ha concesso le circostanze attenuanti di cui all'art. 62 C.P., nn. 4 e 6, rideterminando la pena nella

misura di cinque mesi di reclusione militare, confermando nel reato la pronuncia impugnata.

Quanto alla motivazione di diniego della concessione della valutazione della “tenuità del fatto”, si

riporta stralcio della stessa: “Va esclusa, in astratto, l'applicabilità della causa di non punibilità di

cui all'art. 131 bis c.p., introdotta con il recente D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 ("particolare tenuità

del fatto"), essendo già emersa dal giudizio di merito la sua esclusione, in considerazione della

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pluralità dei fatti, dell'intensità del dolo, dell'applicazione di una pena superiore al minimo edittale

e della negazione delle attenuanti generiche.”.

Qui in relazione a cinque mesi di reclusione (si badi non cinque anni), si è quindi ritenuto

prevalente valutare ai fini dell’esimente in parola, altri elementi, seppur fondati, quali quelli appena

elencati in motivazione. In tal caso ancora una volta quindi la Cassazione non ha ritenuto di poter

applicare l’art. 131 bis C.P..

La terza sentenza in esame è anch’essa datata 15 maggio 2015 ed è stata emanata avverso la

sentenza n. 19/2014 della Corte Militare d’Appello di Roma in data 1° ottobre 2014.

Lo svolgimento del processo ha visto con sentenza pronunciata in data 1 ottobre 2014 la Corte

Militare di Appello che ha confermato la sentenza del 25 settembre 2013, con la quale il Tribunale

Militare di Roma aveva condannato l'imputato M. M., Maresciallo A.M., previa concessione delle

circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena,

condizionalmente sospesa, di mesi nove di reclusione militare con spese e conseguenze di legge e

non menzione della condanna, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da

liquidarsi in sede civile, in quanto ritenuto responsabile dei reati di ingiurie e minacce aggravate e

continuate e di danneggiamento di edificio militare.

La motivazione, in fattispecie recita: “Esclusa dunque l'astratta incompatibilità dell'istituto col

giudizio di cassazione, nel caso di specie la considerazione in questa sede conducibile induce ad

escludere che nei gradi di merito i fatti siano stati apprezzati come di speciale tenuità, dal momento

che, oltre ad essere plurimi, risultano anche essere stati puniti con pena ben superiore al minimo

edittale in conseguenza della ritenuta sussistenza di due diverse circostanze aggravanti. Tanto è

sufficiente per escludere i presupposti di applicabilità della causa di non punibilità.”

In questo caso viene alla luce un nuovo elemento valutato dai giudici di legittimità: la punizione

oltre i limiti edittali dei reati ascritti per la presenza di circostanze aggravanti.

Dunque ancora una volta, in presenza di una sanzione penale ampiamente al di sotto dei cinque anni

del 131 bis C.P. (nove mesi), nessuna esimente per tenuità è stata concessa.

La quarta ed ultima pronuncia degli Ermellini è la sentenza in data 8 luglio 2015 emessa avverso la

sentenza della Corte Militare d’Appello in data 18 febbraio 2015.

Lo svolgimento del processo ha evidenziato che R.S., Primo maresciallo luogotenente dell'Esercito

italiano, in servizio presso il 2° Reggimento di sostegno di (OMISSIS), è stato condannato alla

pena, ridotta in appello per il riconoscimento dell'attenuante di aver commesso il fatto per i modi

non convenienti usati dal superiore, ritenuta prevalente sulla contestata aggravante di aver agito in

presenza di più militari riuniti, alla pena di un mese di reclusione (in primo grado era stata inflitta

quella di mesi quattro), per aver disobbedito, nella sua qualità di gestore della mensa unificata di

reparto, all'ordine ripetutamente rivoltogli dal Tenente Colonnello, L.A., nel corso di un controllo

amministrativo a cura di una commissione presieduta dallo stesso L.A., di recarsi insieme presso il

Comandante del Reggimento.

Il dispositivo della sentenza di terzo grado recita:

“(…) nel caso di specie, tenuto conto del clima di tensione e di conflittualità tra i due militari in cui

si innesta il pur modesto episodio contestato, idoneo a screditare entrambi i contendenti al cospetto

degli altri militari presenti al fatto, offuscando l'immagine di disciplina ed unità che si addice ai

componenti di un corpo militare, non emerge la particolare tenuità del fatto, idonea a giustificare il

riconoscimento della specifica causa di non punibilità di cui all'art.131 bis c.p., inserito dal D.Lgs.

16 marzo 2015, n. 28, art. 1, comma 2, in vigore dal 2 aprile del corrente anno. Segue il rigetto

della relativa richiesta difensiva.”.

In questo caso siamo in presenza di una condanna ad un mese di reclusione militare, già inflitta in

appello. In particolare anche in questa sentenza della Cassazione emanata a norma dell’art. 609

C.P.P. non viene concessa l’esimente ex art. 131 bis C.P., ma ciò che un po’ sorprende è che qui la

motivazione ne indica la causa nel clima di tensione tra due militari che, offuscando l’immagine di

disciplina e di unità di personale delle Forze Armate, non crea i necessari presupposti di tenuità del

fatto.

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L’occasione pare propizia per evidenziare, in via incidentale, che nella fattispecie in esame, se la

condizione di procedibilità ex art. 260 C.P.M.P. fosse stata mossa dal Comandante di corpo,

verosimilmente si sarebbe evitata sia una sanzione penale, sia un danno d’immagine per

l’Amministrazione della Difesa.

Con specifico riferimento al dispositivo della sentenza si rileva inoltre che, anche in questo caso,

una sanzione penale modesta (un mese) - che è certamente molto distante dai cinque anni stabiliti

dal più volte menzionato 131 bis - non crea i presupposti per la concessione dell’esimente per

tenuità del fatto in presenza di un reato che offusca il decoro e l’immagine di un Corpo militare.

Verrebbe da pensare che allora solo l’art. 260 C.P.M.P. possa in futuro costituire una possibile e

concreta esimente, benché di procedibilità e non di “non punibilità”.

Tuttavia si ritiene che solo l’ulteriore analisi costante ed attenta della giurisprudenza sia di merito,

sia di legittimità, potrà contribuire ad illuminare il quadro, ancora embrionalmente distinto, della

reale portata applicativa dell’istituto de qua.

4. Conclusioni.

In conclusione pare verosimile supporre che siano molti gli spunti di riflessione stimolati nei lettori

dall’esame delle norme che sono state oggetto di approfondimento e di valutazione in queste brevi

note.

Nell’antica Roma si sarebbe forse detto che Giano portatore della civiltà e delle leggi avrebbe

guardato, in questo tempo, con una fronte al difficile compito del Comandante di “prevedere”

l’esito di un giudizio penale al fine di valutare l’eventualità di una sanzione disciplinare ed avrebbe

guardato con l’altra fronte alla nuova gravosa responsabilità dei Magistrati di dispensare o meno

pene per fatti considerabili tenui.

Chi sa se quell’antica divinità romana avrebbe intravisto la risposta al nostro interrogativo iniziale:

nulla poena cum lege ?

Non esiste una risposta certa, ma pare possibile affermare che, almeno con riferimento ai dibattuti

esiti giudiziali del nuovo art. 131 bis del Codice Penale, nonostante l’esistenza di una norma dalle

annunciate finalità deflattive sui reati cosiddetti bagatellari, la pena della reclusione militare possa

essere inflitta o, quantomeno confermata nel supremo giudizio di legittimità.

Ad ogni buon conto, siamo più che confidenti che una serena e competente valutazione su tale

complessa problematica sia già stata compiuta dagli autorevoli Magistrati Militari dei due gradi di

merito i quali, siamo certi, sapranno continuare a decidere secondo scienza e coscienza.