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Note dal Corso di Geometria Riemanniana SNS – A.A. 2013/2014 Antonio Alfieri Samuele Lancini Giovanni Paolini Alessandra Pluda

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Note dal Corso di Geometria RiemannianaSNS – A.A. 2013/2014

Antonio Alfieri

Samuele Lancini

Giovanni Paolini

Alessandra Pluda

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Indice

Parte 1. Varieta riemanniane 5

Capitolo 1. Varieta riemanniane 71.1. Metriche riemanniane 71.2. Operazioni con le metriche riemanniane 81.3. Costruzioni con le metriche riemanniane 91.4. Isometrie 121.5. Il teorema di Stokes 13

Capitolo 2. Connessioni 192.1. Connessioni su fibrati generici 192.2. Connessioni lineari 202.3. Derivata covariante 222.4. Trasporto parallelo 24

Capitolo 3. La connessione di Levi–Civita 273.1. Torsione di una connessione lineare 273.2. Connessioni compatibili con la metrica 28

Capitolo 4. Curvatura 314.1. Operatore di Riemann e prime proprieta 314.2. Operatori di curvatura algebrici 374.3. Altre nozioni di curvatura 374.4. Formula di Bochner 42

Capitolo 5. Esempi di varieta riemanniane 45

Parte 2. Geodetiche 51

Capitolo 6. Teoria locale delle geodetiche 536.1. Geodetiche per una connessione lineare 536.2. Coordinate normali, coordinate polari e lemma di Gauss 546.3. La distanza riemanniana 56

Capitolo 7. Teoria globale delle geodetiche 597.1. Completezza e teorema di Hopf–Rinow 597.2. Energia 607.3. Campi di Jacobi 657.4. Minimalita delle geodetiche 687.5. Cut locus 71

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4 INDICE

Parte 3. Curvatura e topologia 75

Capitolo 8. Legami tra curvatura e topologia in una varieta 778.1. Teorema di Cartan–Hadamard 778.2. Teorema di Synge 798.3. Teorema di Myers–Bonnet 80

Capitolo 9. Spazi a curvatura costante e spazi localmente conformalmente piatti 839.1. Varieta a curvatura sezionale costante 839.2. Decomposizione ortogonale del tensore di Riemann 879.3. Varieta localmente conformalmente piatte 93

Parte 4. Risultati di confronto e altri teoremi 101

Capitolo 10. Geometria del confronto 10310.1. Preliminari 10310.2. Le equazioni di Riccati 10410.3. Alcuni risultati di confronto 107

Capitolo 11. Teorema di Toponogov 11511.1. Il Lemma di Deformazione 11511.2. Teorema di Toponogov 119

Capitolo 12. Teorema di splitting 127

Parte 5. Appendici 133

Appendice A. Flussi di campi vettoriali e teorema di Frobenius 135A.1. Flussi di campi vettoriali 135A.2. Il teorema di Frobenius 139

Appendice. Bibliografia 147

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Parte 1

Varieta riemanniane

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CAPITOLO 1

Varieta riemanniane

1.1. Metriche riemanniane

Sia M una varieta differenziabile. Una metrica riemanniana su M e un tensoreg ∈ Γ (TM∗ ⊗ TM∗) che risulta essere

(1) simmetrico

gp(X, Y ) = gp(Y,X) per ogni X, Y ∈ TpM ; (1.1.1)

(2) definito positivo

gp(X,X) > 0 per ogni X ∈ TpM, X 6= 0. (1.1.2)

Dunque una metrica riemanniana determina su ogni spazio tangente TpM un prodot-to scalare definito positivo gp : TpM × TpM → R.

Se g ∈ Γ (TM∗ ⊗ TM∗) e una metrica riemanniana su M , presa una carta locale(U, (x1, . . . , xn)), possiamo scrivere g in coordinate locali come

g = gijdxi ⊗ dxj (1.1.3)

per opportune funzioni gij ∈ C∞(U) che in ogni punto p ∈ U danno una matricesimmetrica definita positiva.

Una varieta riemanniana e una varieta differenziabile su cui si e fissata una me-trica riemanniana. Il teorema seguente, che e per cosı dire il “teorema zero” dellageometria riemanniana, assicura che tutte le varieta lisce “ammettono una strutturariemanniana”.

TEOREMA 1.1.1 (Teorema zero della geometria riemanniana). Ogni varieta diffe-renziabile ammette una metrica riemanniana.

DIMOSTRAZIONE. Sia M una varieta differenziabile. Ricordiamo che preso un suoricoprimento aperto U = Uαα∈I , esiste una famiglia di applicazioni differenziabili

φα : M → Rα∈I(detta una partizione dell’unita subordinata al ricoprimento U) che soddisfano:

• 0 ≤ φα ≤ 1;• supp φα ⊂ Uα;• supp φαα e un ricoprimento localmente finito di M ;• per ogni p ∈M , si ha

∑α φα(p) = 1.

Si puo prendere allora

g :=∑α∈I

φα dxiα ⊗ dxjα ∈ Γ (TM∗ ⊗ TM∗) (1.1.4)

7

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8 1. VARIETA RIEMANNIANE

dove (Uα, (x1α, . . . , x

nα))α∈I e un qualsiasi atlante di M e φαα∈I e una partizione

dell’unita subordinata subordinata al ricoprimento Uαα∈I .

OSSERVAZIONE 1.1.2 (Cambiamento di coordinate dei coefficienti di una me-trica). Sia g una metrica riemanniana su M . Preso un aperto coordinato U ⊆ Mse (x1, . . . , xn) e (y1, . . . , yn) sono due sistemi di coordinate su U i coefficienti dellescritture

g = gijdxi ⊗ dxj

g = gαβdyα ⊗ dyβ

sono legati dalla relazione

gαβ =∂xi

∂yα∂xj

∂yβgij. (1.1.5)

Infatti

gαβ = g

(∂

∂yα,∂

∂yβ

)= gij dx

i ⊗ dxj(

∂yα,∂

∂yβ

)= gij dx

i

(∂

∂yα

)dxj

(∂

∂yβ

)= gij

∂xi

∂yα∂xj

∂yβ.

1.2. Operazioni con le metriche riemanniane

In questo paragrafo discutiamo brevemente alcune operazioni che si possono farecon le metriche riemanniane.

1.2.1. Riscalamento di una metrica. Metriche conformi. Sia M una varieta dif-ferenziabile e g una metrica riemanniana su di essa. Fissata una funzione u : M →(0,+∞) di classe C∞, possiamo definire su M una nuova metrica riemanniana ug ∈Γ (TM∗ ⊗ TM∗) ponendo

ug(v, w)p := u(p) g(v, w)p p ∈M, v,w ∈ TpM. (1.2.1)

Diremo che la metrica ug cosı ottenuta e una metrica conforme alla metrica g. E’ im-mediato verificare che “essere conformi” e una relazione di equivalenza sullo spaziodelle metriche riemanniane di M .

1.2.2. Pull–back di una metrica riemanniana. Siano M ed N due varieta diffe-renziabili e g ∈ T 2(M) una metrica su M . Presa un immersione f : N →M definiamoil pull–back di g per f come la metrica f ∗g ∈ T 2(N) definita mediante la formula

f ∗g(v, w)p := g (dfp(v), dfp(w))f(p) per ogni p ∈M, v,w ∈ TNp. (1.2.2)

OSSERVAZIONE 1.2.1 (Scrittura in coordinate locali del pull–back di una metri-ca). Sia (U, (x1, ..., xn)) una carta di M e (V, (y1, ..., yn)) una carta di N tale che f(V ) ⊆U . Calcoliamo le coordinate della metrica pull–back f ∗g sull’aperto coordinato V . Se

g = gij dxi ⊗ dxj su U

f = (f 1, . . . , fn) nelle coordinate scelte

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1.3. COSTRUZIONI CON LE METRICHE RIEMANNIANE 9

allora

(f ∗g)ij (p) = f ∗g

(∂

∂yi

∣∣∣∣p

,∂

∂yj

∣∣∣∣p

)= g

(dfp

(∂

∂yi

∣∣∣∣p

), dfp

(∂

∂yj

∣∣∣∣p

))f(p)

= g

(∂fk

∂yi(p)

∂xk

∣∣∣∣f(p)

,∂f l

∂yj(p)

∂xl

∣∣∣∣f(p)

)f(p)

=∂fk

∂yi(p)

∂f l

∂yj(p) g

(∂

∂xk

∣∣∣∣f(p)

,∂

∂xl

∣∣∣∣f(p)

)f(p)

=∂fk

∂yi(p)

∂f l

∂yj(p) gkl (f(p)) .

Dunque,

f ∗g =∂fk

∂yi∂f l

∂yj(gkl f) dyi ⊗ dyj. (1.2.3)

1.3. Costruzioni con le metriche riemanniane

Sia (M, g) una varieta riemanniana. In questa sezione vediamo alcune costruzionicanoniche che possiamo fare su M una volta che abbiamo fissato la metrica g.

1.3.1. Misurare le lunghezze dei vettori tangenti e gli angoli tra questi. Per ognip ∈M l’applicazione

TpM × TpM → R

〈v, w〉p := gp(v, w)

e un prodotto scalare definito positivo. Quindi risultano definite quantita come lalunghezza di un vettore tangente v ∈ TpM

|v| := 〈v, v〉1/2p (1.3.1)

o l’angolo compreso tra due vettori tangenti v, w ∈ TpM

∠(v, w) := arccos

(〈v, w〉|v| · |w|

). (1.3.2)

1.3.2. Operatori musicali. L’operatore [ (bemolle) e definito come l’operatore cheassocia ad un campo di vettori X ∈ Γ(TM) la 1–forma

X[p(v) = g (Xp, v) per ogni p ∈M, v ∈ TpM. (1.3.3)

Siccome in ogni p ∈ M la forma bilineare gp e non degenere, l’operatore bemolle einvertibile. Il suo inverso, l’operatore ] (diesis), associa ad una 1–forma ω ∈ Γ(TM∗) ilcampo di vettori ω] caratterizzato dalla relazione

ωp(v) = g(ω]p, v

)per ogni p ∈M, v ∈ TpM. (1.3.4)

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10 1. VARIETA RIEMANNIANE

OSSERVAZIONE 1.3.1 (Operatore bemolle in coordinate locali). Sia X ∈ Γ(TM)un campo di vettori. Fissata una carta locale (U, (x1, . . . , xn)) calcoliamo i coefficientidella scrittura in coordinate locali della 1–forma X[. Se

X = X i ∂

∂xi

si ha che

X[i = X[

(∂

∂xi

)= g

(X,

∂xi

)= g

(Xj ∂

∂xj,∂

∂xi

)= Xjg

(∂

∂xj,∂

∂xi

)= Xjgji

e quindi che

X[ = Xjgji dxi. (1.3.5)

OSSERVAZIONE 1.3.2 (Operatore diesis in coordinate locali). Sia ω ∈ Γ(TM) una1–forma. Fissata una carta locale (U, (x1, ..., xn)) calcoliamo i coefficienti della scritturain coordinate locali

ω] = X i ∂

∂xi

Ora, seω = ωidx

i

si ha che

ωi = ω

(∂

∂xi

)= g

(ω],

∂xi

)= Xjg

(∂

∂xj,∂

∂xi

)= Xjgji

Se indichiamo con gij le entrate dell’inversa della matrice di entrate gij possiamoscrivere: Xj = ωi g

ij . Se ne deduce in definitiva che:

ω] = ωj gji ∂

∂xi. (1.3.6)

ESERCIZIO 1.3.3. Verificare che presa una 1–forma ω ∈ Γ(TM∗) e una funzionef ∈ C∞ vale la formula ω]f = df

(ω])

= ω(df [).

In generale, presi k, l ≥ 0 e i ∈ 1, ..., k + 1 possiamo definire l’operatore bemolle

Γ(T kl M

)→ Γ

(T k+1l−1 M

)come l’operatore che associa ad un (k, l) tensore T il tensore T [ che agisce su

X1, ..., Xk+1 ∈ Γ(TM)

ω1, ..., ωl−1 ∈ Γ(TM∗)

secondo la formula

T [ (X1, ..., Xk+1, ω1, ..., ωl−1) = T(X1, ..., Xi, ..., Xk+1, ω1, ..., ωl−1, X

[i

). (1.3.7)

Analogamente, presi k, l ≥ 0 e i ∈ 1, ..., l possiamo definire l’operatore diesis

Γ(T kl M

)→ Γ(T k−1

l+1 M)

mediante la formula

T ] (X1, ..., Xk−1, ω1, ..., ωl+1) = T(X1, ..., Xk−1, ω

]i , ω

1, ..., ωi, ..., ωl−1). (1.3.8)

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1.3. COSTRUZIONI CON LE METRICHE RIEMANNIANE 11

ESEMPIO 1.3.4 (Abbassare l’indice in alto di un tensore (3,1)). Supponiamo cheT sia un tensore (3,1) su M . Se applichiamo a T l’operatore bemolle otteniamo untensore (4,0). Fissata una carta locale (U, (x1, ..., xn)) vogliamo trovare un espressioneesplicita per i coefficienti della scrittura in coordinate locali T [ in funzione di quelli diT . Ora, se

T = T lijk dxi ⊗ dxj ⊗ dxk ⊗ ∂

∂xl

T [ = Tijkl dxi ⊗ dxj ⊗ dxk ⊗ dxl

si ha che

Tijkl = T [(∂

∂xi,∂

∂xj,∂

∂xk,∂

∂xl

)= T

(∂

∂xi,∂

∂xj,∂

∂xk,

(∂

∂xl

)[)

= T

(∂

∂xj,∂

∂xk,∂

∂xl, glmdx

m

)= glmT

(∂

∂xj,∂

∂xk,∂

∂xl, dxm

)= glmT

mijk.

Dunque, in definitiva

T [ = glmTmijk dx

i ⊗ dxj ⊗ dxk ⊗ dxl.

1.3.3. Forma di volume indotta da una metrica riemanniana. Se M e orientatadefiniamo la forma di volume riemanniano come l’n–forma dV che nelle coordinate diuna carta orientata (U, (x1, ..., xn)) e data dall’espressione√

det gij dx1 ∧ ... ∧ dxn. (1.3.9)

OSSERVAZIONE 1.3.5. La forma dV e ben definita. Infatti se (U, (x1, ..., xn)) e (W, (y1, ..., yn))sono due carte orientate di M , su U ∩W si ha che

√det gij dx

1 ∧ ... ∧ dxn =√

det gij det

(∂xk

∂yα

)dy1 ∧ ... ∧ dyn

=

√det gij det

(∂xk

∂yα

)2

dy1 ∧ ... ∧ dyn

=

√det

(∂xk

∂yα

)det gij det

(∂xk

∂yβ

)dy1 ∧ ... ∧ dyn

=

√det

(∂xi

∂yαgij

∂xj

∂yβ

)dy1 ∧ ... ∧ dyn

=√

det gαβdy1 ∧ ... ∧ dyn.

Preso un aperto D ⊆M definiamo il suo volume riemanniano mediante la formula

Vol(D) :=

∫D

dV.

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12 1. VARIETA RIEMANNIANE

1.3.4. Distanza geodetica. Se γ : I →M e una curva liscia definiamo la lunghezzadi γ come

L (γ) :=

∫I

|γ(t)|dt. (1.3.10)

Presi p, q ∈ M definiamo la distanza geodetica tra p e q (che indicheremo con d(p, q))come l’inf delle lunghezze delle curve lisce regolari a tratti che congiungono p e q.

TEOREMA 1.3.6. La distanza geodetica d(p, q) definisce su M una metrica compatibilecon la topologia di M .

1.4. Isometrie

In questa sezione introduciamo le applicazioni che preservano la struttura rie-manniana e ne studiamo le prime proprieta elementari. Nel seguito (M, g) e (N, h)denotano due varieta riemanniane e f : N →M un applicazione liscia tra esse.

DEFINIZIONE 1.4.1. Preso p ∈ N diciamo che f e un’isometria in p se

h(v, w)p = g(dfp(v), dfp(w))f(p) per ogni v, w ∈ TpN. (1.4.1)

Diciamo che f e un isometria locale in un intorno di p ∈ N se esiste un suo intorno in ognipunto del quale f e un’isometria, e che e un isometria globale se lo e in ogni punto di N . Perfinire diremo che f e un isometria se e un diffeomorfismo che risulta essere un’isometria inogni punto di N .

OSSERVAZIONE 1.4.2. Un diffeomorfismo f : N →M e un isometria se e solo se ilpull–back della metrica g per f coincide con la metrica h.

Vediamo alcune proprieta elementari delle isometrie.

TEOREMA 1.4.3. Se f : N → M e un isometria tra due varieta riemanniane orientateallora

dVN = ±f ∗dVM (1.4.2)

a seconda che f preservi o meno l’orientazione.

DIMOSTRAZIONE. Sia (U, (x1, ..., xn)) una carta di M e (V, (y1, ..., yn)) una carta diN tale che f(V ) ⊆ U . Siccome h = f ∗g, si trova che

dVN =√

dethαβ dy1 ∧ ... ∧ dyn

=

√det

(∂fk

∂yα(gkl f)

∂f l

∂yβ

)dy1 ∧ ... ∧ dyn

=

√det

(∂fk

∂yα

)det (gkl f) det

(∂f l

∂yβ

)dy1 ∧ ... ∧ dyn

=√

det (g f)ij

∣∣∣∣det

(∂fk

∂yα

)∣∣∣∣ dy1 ∧ ... ∧ dyn.

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1.5. IL TEOREMA DI STOKES 13

D’altra parte,

f ∗dVM = f ∗(√

det gij dx1 ∧ ... ∧ dxn

)=√

det (g f)ij df1 ∧ ... ∧ dfn

=√

det (g f)ij det

(∂fk

∂yα

)dy1 ∧ ... ∧ dyn.

COROLLARIO 1.4.4. Se esiste un’isometria tra due varieta riemanniane (M, g) ed (N, h)allora: Vol(M) = Vol(N).

TEOREMA 1.4.5. Se f : M → N e un isometria tra due varieta riemanniane allora f eun isometria nel senso metrico della distanza geodetica. In altre parole f si ha che

dM(p, q) = dN(f(p), f(q)) (1.4.3)

per ogni p, q ∈M .

DIMOSTRAZIONE. Basta osservare che se γ : I → M e una curva liscia e f eun’isometria allora

L(f γ) =

∫I

∣∣∣∣d (f γ)

dt

∣∣∣∣ dt =

∫I

⟨d (f γ)

dt,d (f γ)

dt

⟩ 12

dt

=

∫I

⟨dfγ(t)γ(t), dfγ(t)γ(t)

⟩ 12 dt =

∫I

〈γ(t), γ(t)〉12 dt

=

∫I

|γ(t)|dt = L(γ).

In realta vale anche l’inverso del teorema precedente, di cui per il momento ri-mandiamo la dimostrazione.

TEOREMA 1.4.6 (Myers–Steenrod). Se f : M → N e un isometria nel senso metricodella distanza geodetica allora f e un isometria nel senso riemanniano. In particolare in talcaso f risulta anche essere di classe C∞.

1.5. Il teorema di Stokes

Per enunciare il teorema di Stokes nel modo piu generale possibile, ci serve il con-cetto di varieta con bordo. Prima di tutto indicheremo con Hn il semispazio superioredi Rn, ovvero

Hn :=(x1, . . . , xn

)∈ Rn t.c. xn ≥ 0

.

Il bordo ∂Hn di Hn e l’iperpiano di equazione xn = 0, ovvero il bordo topologicoconsiderando la topologia standard.

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14 1. VARIETA RIEMANNIANE

DEFINIZIONE 1.5.1. Sia M un insieme. Una n–carta di bordo e una coppia (U, φ) doveU ⊆ M e φ e una bigezione tra U e un aperto V di Hn tale che V ∩ ∂Hn 6= ∅. Una n–carta interna e una coppia (U, φ) dove U ⊆ M e φ e un omeomorfismo tra U e un apertoV di Hn tale che V ∩ ∂Hn = ∅. Le n–carte interne non sono altro che le usuali n–carte,poiche l’interno di Hn e diffeomorfo a Rn. Due n–carte (U, φ) e (V, ψ) (di bordo o interne) sidicono compatibili se hanno domini disgiunti o se φ(U ∩ V ) e ψ(U ∩ V ) sono aperti di Hn

e l’applicazioneψ φ−1 : φ(U ∩ V )→ ψ(U ∩ V )

e liscia (ossia, si puo estendere in un intorno aperto del bordo in modo liscio). Un insiemeM si dice varieta con bordo di dimensione n se e data una famiglia A = (Uα, φα)α din–carte (di bordo o interne) a due a due compatibili per cui M =

⋃α Uα, si richiede inoltre che

la topologia indotta da A su M sia di Hausdorff e a base numerabile. La famiglia A si chiaman–atlante con bordo. E immediato verificare che il bordo topologico ∂M di M e costituitoda quei punti p ∈ M tali per cui φ(p) ∈ ∂Hn per ogni carta (U, φ) dell’atlante con p ∈ U ,mentre l’interno M = M \ ∂M contiene i punti p ∈ M tali per cui φ(p) ∈ Hn \ ∂Hn perogni carta (U, φ) dell’atlante con p ∈ U . Si osservi che M e una varieta differenziabile (senzabordo). Inoltre anche ∂M e una varieta (senza bordo) di dimensione n − 1, scegliendo comeatlante quello formato dalle carte (Uα ∩ ∂M, φα|Uα∩∂M) per ogni (U, φ) ∈ A, identificando∂Hn con Rn−1.

Discutiamo qui di seguito l’orientabilita sulle varieta con bordo.

DEFINIZIONE 1.5.2. Un atlante orientato per una varieta con bordo e un atlante i cuideterminanti dei cambi di coordinate sono ovunque positivi. Le varieta con bordo si diconoorientate se ammettono un atlante orientato.

Il bordo di una varieta orientata e automaticamente orientato:

LEMMA 1.5.3. Siano U0, U1 due aperti di Hn con Ui ∩ ∂Hn 6= ∅ e F ∈ C∞(U0, U1) undiffeomorfismo con determinante della matrice jacobiana positivo. Allora il determinante dellamatrice jacobiana di

F := F |U0∩∂Hn : U0 ∩ ∂Hn → U1 ∩ ∂Hn

e positivo, dove vediamo F come diffeomorfismo tra aperti di Rn−1.

DIMOSTRAZIONE. E comodo spezzare x = (x′, xn) ∈ Rn con x′ ∈ Rn−1 e analoga-mente F = (F ′, F n) con F ′ = (F 1, . . . , F n−1); cosı F (x′) = F (x′, 0) per le x nel dominioopportuno. Sappiamo che per ogni x ∈ U0 ∩ ∂Hn vale

0 < det

(∂F i

∂xj

)(x) = det

∂F∂x′

(x′) ∂F ′

∂xn(x′, 0)

∂Fn

∂x′(x′, 0) ∂Fn

∂xn(x′, 0)

.

Il fatto che F manda il bordo nel bordo implica che F n ≡ 0 su U0 ∩ ∂Hn. Percio

∂F n

∂xn(x′, 0)

∂F

∂x′(x′) > 0 .

Infine F manda il semispazio superiore nel semispazio superiore, quindi il segno (co-stante) di ∂Fn

∂xn(x′, 0) deve essere positivo (F n deve crescere rispetto a xn almeno in un

intorno del bordo).

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1.5. IL TEOREMA DI STOKES 15

Il Lemma qui sopra ci permette di concludere che l’atlante indotto per restrizionesu ∂M da un atlante orientato di M e a sua volta orientato.

DEFINIZIONE 1.5.4. Sia M una varieta di dimensione n con atlante orientato A. In-dicheremo con ∂A l’atlante orientato indotto per restrizione su ∂M . Diremo orientazioneindotta su M l’orientazione indotta da ∂A se n e pari, quella opposta se n e dispari.

Con una costruzione analoga a quella fatta nel caso di varieta senza bordo, si puointrodurre lo spazio tangente di una varieta con bordo. Di conseguenza, si possonointrodurre i tensori su varieta con bordo. Se ω e una forma differenziale definiamoω|∂M := ι∗ω.

Supponiamo ora che M sia una varieta con bordo orientata di dimensione n e siaη ∈ Ωn (M) con supporto compatto. Anche per le varieta con bordo risulta essere bendefinito l’integrale ∫

M

η.

Analogamente, se ω e una (n − 1)–forma su M a supporto compatto, la restrizioneω|∂M permette di calcolarne

∫∂M

ω|∂M , che per convenzione denoteremo∫∂M

ω,

sottointendendo le restrizione. Sempre per convenzione si pone∫∂M

ω = 0 quando∂M = ∅. Siamo dunque pronti al

TEOREMA 1.5.5 (di Stokes). Sia M una varieta con bordo orientata di dimensione ne consideriamo ∂M con l’orientazione indotta. Allora per ogni ω ∈ Ωn−1 (M) a supportocompatto vale ∫

M

dω =

∫∂M

ω.

DIMOSTRAZIONE. La dimostrazione procede in tre passi: vedremo il caso di Rn,poi diHn e infine arriveremo alla tesi. Supponiamo dunque cheM = Rn. Per linearitaci si puo limitare al caso in cui ω = fdx1∧· · ·∧dxn−1. Si ha dω = (−1)n−1 ∂f

∂xndx1∧· · ·∧

dxn e applicando il teorema di Fubini∫Rndω = (−1)n−1

∫Rn−1

(∫R

∂f

∂xndxn)dx1 . . . dxn−1

= (−1)n−1

∫Rn−1

(limt→+∞

f(x′, t)− f(x′,−t))dx1 . . . dxn−1 = 0

(1.5.1)

in quanto f ha supporto compatto per ipotesi. Essendo Rn senza bordo, abbiamoverificato la tesi in questo primo caso.

Supponiamo ora che M = Hn e scriviamo

ω =n∑j=1

gjdx1 ∧ · · · ∧ dxj ∧ · · · ∧ dxn.

Cosı facendoω|∂Hn = gndx

1 ∧ · · · ∧ dxn−1,

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16 1. VARIETA RIEMANNIANE

perche dxn e identicamente nulla sul bordo. Di conseguenza∫∂Hn

ω = (−1)n∫Rn−1

gn(x′, 0)dx1 . . . dxn−1,

dove il segno tiene conto della definizione data di orientazione indotta (il cambio diorientazione produce un cambio di segno nell’integrale). Il differenziale esterno di ωe

dω =n∑j=1

(−1)j−1 ∂gj∂xj

dx1 ∧ · · · ∧ dxn.

In particolare quando j < n si ha∫R

∂gj∂xj

dxj = limxj→+∞

gj(x1, . . . , xj, . . . , xn)− gj(x1, . . . ,−xj, . . . , xn) = 0 (1.5.2)

per compattezza del supporto di gj . Quindi per Fubini∫Hn

∂gj∂xj

dx1 ∧ · · · ∧ dxn

=

∫ +∞

0

(∫Rn−2

(∫R

∂gj∂xj

dxj)dx1 . . . dxj . . . dxn

)= 0.

(1.5.3)

Inoltre per il caso j = n osserviamo∫ +∞

0

∂gn∂xn

dxn = limt→+∞

gn(x′, t)− gn(x′,−t) = −gn(x′, 0).

Raccogliendo queste ultime uguaglianze otteniamo∫Hn

dω = (−1)n−1

∫Hn

∂gn∂xn

dx1 . . . dxn

= (−1)n−1

∫Rn−1

(∫ +∞

0

∂gn∂xn

dxn)dx1 . . . dxn−1

= (−1)n∫Rn−1

gn(x′, 0)dx1 . . . dxn−1 =

∫∂Hn

ω,

(1.5.4)

che prova la tesi anche in questo secondo caso.Infine se M e qualsiasi, consideriamo un suo atlante orientato A = (Uα, φα)α e

supponiamo, a meno di restringere le carte e utilizzare dilatazioni, che φα(Uα) coinci-da con Rn oHn. Sia dunque ραα una partizione dell’unita subordinata a tale atlante.Scriviamo ω =

∑α ραω e per linearita e sufficiente provare la tesi su ραω. Quest’ultima

ha supporto compatto contenuto in Uα e, ricordando che il differenziale commuta con

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1.5. IL TEOREMA DI STOKES 17

il pull–back, si ha la tesi in quanto per i due passi iniziali∫M

d(ραω) =

∫Uα

d(ραω) =

∫φα(Uα)

(φ−1α

)∗d(ραω)

=

∫φα(Uα)

d((φ−1

α )∗(ραω))

=

∫∂φα(Uα)

(φ−1α )∗(ραω)

=

∫φα(∂M∩Uα)

(φ−1α )∗(ραω) =

∫∂M

ραω.

(1.5.5)

COROLLARIO 1.5.6 (Green). Sia D ⊂ R2 un aperto limitato di R2 tale per cui ∂D sial’immagine di una curva semplice σ ∈ C∞([0, 1],R2). Allora∫

σ

fdx1 + gdx2 =

∫D

(∂g

∂x1− ∂f

∂x2

)dx1dx2.

DIMOSTRAZIONE. E sufficiente applicare il teorema di Stokes alla 1–forma diffe-renziale ω = fdx1 + gdx2.

COROLLARIO 1.5.7 (Teorema delle Divergenza). Sia (M, g) una varieta riemannianaorientata con bordo e sia X ∈ C∞M un campo vettoriale a supporto compatto. Allora∫

M

divX =

∫∂M

〈X, ν〉 dS,

dove ν e la normale indotta di ∂M e dS e l’elemento di volume riemanniano su ∂M indottoda g|∂M .

DIMOSTRAZIONE. Usando Stokes, ci bastera osservare che d(Xyωg) = divX ωg e〈X, ν〉 dS = ι∗(Xyωg). La prima uguaglianza e un semplice conto in coordinate locali,per la seconda basta notale che se (t, xi) sono coordinate su M per le quali ∂M e datoda t = 0, allora sia il membro destro sia il membro sinistro dell’uguaglianza prendonola forma X0dx1 ∧ · · · ∧ dxn−1.

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CAPITOLO 2

Connessioni

2.1. Connessioni su fibrati generici

In questo capitolo mettiamo a punto un pezzo fondamentale del macchinario tec-nico che useremo in seguito. Introdurremo infatti la nozione di connessione che inbuona sostanza formalizza il concetto di “dare una regola” per prendere le derivatedelle sezioni di un fibrato vettoriale. Cominciamo quindi con una definizione.

DEFINIZIONE 2.1.1 (Connessione). Sia M una varieta differenziabile e π : E →M unfibrato vettoriale su di essa. Una connessione sul fibrato E e un’applicazione

∇ : Γ(TM)× Γ(E)→ Γ(E)

(X, Y ) 7→ ∇XY

tale che:(1) ∇ e C∞(M)–lineare in X ;(2) ∇ e R–lineare in Y ;(3) per ogni X ∈ Γ(TM), Y ∈ Γ(E) e ogni f ∈ C∞(M) vale la formula

∇X(fY ) = X(f)Y + f∇XY. (2.1.1)

Presa una connessione∇, il valore della sezione∇XY in un punto p ∈M dipendesolo dal comportamento locale della sezione Y e dal valore del campo vettoriale Xnel punto p. Per l’esattezza vale la seguente proposizione.

PROPOSIZIONE 2.1.2. Sia ∇ e una connessione su E. Presi X1, X2 ∈ Γ(TM), Y1, Y2 ∈Γ(E) e p ∈M se

X1(p) = X2(p) e Y1 ≡ Y2 in un intorno di p

allora(∇X1Y1)p = (∇X2Y2)p .

In particolare, se ∇ e una connessione la scrittura (∇XY )p ha senso anche se Y edefinito solo localmente e X solo nel punto p ∈M .

ESERCIZIO 2.1.3. Provare la proposizione precedente.

OSSERVAZIONE 2.1.4 (Scrittura locale delle connessioni). Sia ∇ connessione suE. Supponiamo che U sia un aperto coordinato di M su cui E risulta essere banale.Fissate delle coordinate (x1, .., xn) su U e una banalizzazione locale ξ1, ..., ξn di E suU , se

X = X i ∂

∂xi

e un campo di vettori su U eY = Y jξj

19

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20 2. CONNESSIONI

una sezione di E su U , si ha che

∇XY = ∇Xi ∂

∂xi

(Y jξj

)= X i∇ ∂

∂xi

(Y jξj

)= X i

(∂Y j

∂xiξj + Y j∇ ∂

∂xiξj

)Dunque se definiamo i coefficienti Γkij mediante la formula

∇ ∂

∂xiξj := Γkijξk

si ha che

∇XY = X i

(∂Y k

∂xi+ Y jΓkij

)ξk. (2.1.2)

I coefficienti Γkij sono detti i simboli di Christoffel della connessione∇.

2.2. Connessioni lineari

Una connessione lineare su una varieta differenziabile M e semplicemente unaconnessione sul suo fibrato tangente. Buona parte delle volte, nella pratica, ci si trovaa lavorare con connessioni di questo tipo (per esempio, nel seguito, vedremo che suuna varieta riemanniana e “naturalmente” definita una connessione lineare canonica,la connessione di Levi–Civita che e per l’appunto una connessione sul fibrato tangen-te). In questa sezione studiamo alcune proprieta elementari e descriviamo alcunecostruzioni di uso comune con le connessioni lineari.

OSSERVAZIONE 2.2.1 (Scrittura locale delle connessioni lineari). Sia ∇ una con-nessione lineare su M e (U, (x1, ..., xn)) una carta locale di M . Presi X = X i ∂

∂xie

Y = Y i ∂∂xi

campi di vettori su U , si ha che

∇XY = X i

(∂Y k

∂xi+ Y jΓkij

)∂

∂xk(2.2.1)

dove i coefficienti Γkij sono i simboli di Christoffel della connessione ∇ che, ricordia-mo, sono definiti dall’equazione

∇ ∂

∂xi

∂xj:= Γkij

∂xk.

OSSERVAZIONE 2.2.2 (Formula di cambiamento di carta per i simboli di Christof-fel). Sia ∇ una connessione lineare su M , U un aperto coordinato di M , (x1, ..., xn) e(y1, ..., yn) due sistemi di coordinate su U . Vogliamo capire in che relazione sono isimboli di Christoffel della connessione∇ nei due sistemi di coordinate. Supponiamoche

∇ ∂

∂xi

∂xj= Γkij

∂xk(2.2.2)

∇ ∂∂yα

∂xβ= Γγαβ

∂yγ. (2.2.3)

Allora, poiche

∇ ∂

∂xi

∂xj= Γkij

∂xk= Γkij

∂yγ

∂xk∂

∂yγ

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2.2. CONNESSIONI LINEARI 21

∇ ∂

∂xi

∂xj=∂yα

∂xi∇ ∂

∂yα

(∂yβ

∂xj∂

∂yβ

)=∂yα

∂xi

(∂

∂yα

(∂yβ

∂xj

)∂

∂yβ+∂yβ

∂xj∇ ∂

∂yα

∂yβ

)=∂yα

∂xi∂

∂yα

(∂yβ

∂xj

)∂

∂yβ+∂yα

∂xi∂yβ

∂xj∇ ∂

∂yα

∂yβ

=∂2yβ

∂xi∂xj∂

∂yβ+∂yα

∂xi∂yβ

∂xjΓγαβ

∂yγ

=

(∂2yγ

∂xi∂xj+∂yα

∂xi∂yβ

∂xjΓγαβ

)∂

∂yγ

si ha che

∂2yγ

∂xi∂xj+∂yα

∂xi∂yβ

∂xjΓγαβ = Γkij

∂yγ

∂xk.

Se ne deduce in definitiva che vale la formula

Γkij =∂xk

∂yγ∂2yγ

∂xi∂xj+∂xk

∂yγ∂yα

∂xi∂yβ

∂xjΓγαβ. (2.2.4)

Il seguente lemma garantisce che una connessione lineare su M induce delle con-nessioni su tutti fibrati tensoriali T lk (M) in modo tale che opportune condizioni dicompatibilita siano soddisfatte.

LEMMA 2.2.3 (Estensione delle connessioni lineari). Se ∇ una connessione linearesu M allora per ogni k, l ≥ 0 esiste un unica connessione

∇ : Γ(TM)× T lk (M)→ T lk (M)

tale che:

(1) se f ∈ T 00 (M) = C∞(M) allora

∇Xf = X(f) (2.2.5)

(2) vale la formula di Leibniz

∇(α⊗ β) = ∇α⊗ β + α⊗∇β (2.2.6)

(3) per ogni operatore di contrazione Cji si ha che

Cji (∇Xτ) = ∇X

(Cji τ)

(2.2.7)

ESERCIZIO 2.2.4. Dimostrare il lemma di estensione delle connessioni lineari. [Hint:dedurre che delle connessioni che soddisfano le proprieta della tesi soddisfano le

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22 2. CONNESSIONI

formule:

∇X 〈ω, Y 〉 = 〈∇Xω, Y 〉+ 〈ω,∇XY 〉(∇Xτ)

(ω1, ..., ωl, Y

1, ..., Y k)

= X(τ(ω1, ..., ωl, Y

1, ..., Y k))

−∑i

τ(ω1, ...,∇Xωi, ..., ωl, Y

1, ..., Y k)

−∑i

τ(ω1, ..., ωl, Y

1, ...,∇XYi, ..., Y k

)quindi utilizzare tali formule per definire le connessioni cercate.]

ESEMPIO 2.2.5 (Scrittura locale della connessione indotta sul duale). Sia ∇ unaconnessione lineare su M e (U, (x1, ..., xn)) una carta locale di M . Cerchiamo unaformula per i coefficienti Gij

k della scrittura

∇ ∂

∂xidxj = Gj

ikdxk

in funzione dei simboli di Christoffel Γkij su U della connessione∇. Ora, siccome

tr

(∇ ∂

∂xi

(dxj ⊗ ∂

∂xk

))= ∇ ∂

∂xi

(tr

(dxj ⊗ ∂

∂xk

))= ∇ ∂

∂xi(δjk) =

∂xi(δjk) = 0

tr

(∇ ∂

∂xi

(dxj ⊗ ∂

∂xk

))= tr

(∇ ∂

∂xidxj ⊗ ∂

∂xk+ dxj ⊗∇ ∂

∂xi

∂xk

)= tr

(Gjildx

l ⊗ ∂

∂xk+ Γlikdx

j ⊗ ∂

∂xl

)= Gj

iltr

(dxl ⊗ ∂

∂xk

)+ Γliktr

(dxj ⊗ ∂

∂xl

)= Gj

ilδlk + Γlikδ

jl = Gij

k + Γjik

si ha cheGjik = −Γjik.

2.3. Derivata covariante

Nel seguito M denota una varieta differenziabile e ∇ una connessione lineare sudi essa.

DEFINIZIONE 2.3.1. Sia γ : I → M una curva liscia. Un campo di vettori lungo γ eun’applicazione differenziabile V : I → TM tale che: V (t) ∈ Tγ(t)M per ogni t ∈ I.

Presa una curva liscia γ : I → M indicheremo con T (γ) l’insieme dei campi tan-genti lungo γ. Si osservi che T (γ) ha una naturale struttura di modulo su C∞(I) (equindi di R–spazio vettoriale).

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2.3. DERIVATA COVARIANTE 23

OSSERVAZIONE 2.3.2. Se γ : I → M e una curva liscia un esempio di campo divettori lungo γ e il suo campo velocita γ(t) che opera come segue

γ(t)f =d (f γ)

dt(t) (2.3.1)

al variare di f ∈ C∞(M) e di t ∈ I .

OSSERVAZIONE 2.3.3. Se γ : I →M e una curva liscia una larga classe di campi divettori lungo γ e dato dai campi del tipo

V (t) := Xγ(t) t ∈ I

dove X e un fissato campo di vettori definito in un intorno del supporto di γ. Uncampo di vettori lungo γ di questo tipo e detto estendibile (e in tal caso si dice che X eun estensione di V ).

Il teorema seguente e il risultato principale di questa sezione.

TEOREMA 2.3.4 (Derivata covariante lungo curve). Presa una curva liscia γ : I →Mesiste un unico operatore,

D : T (γ)→ T (γ)

tale che (indicando con DtV il vettore (DV )t):

(1) D e R–lineare;(2) per ogni f ∈ C∞(I) vale la formula

Dt(fV ) = fV (t) + fDtV ; (2.3.2)

(3) se V (t) e un campo estendibile e X e una sua estensione vale la formula

DtV = ∇γ(t)X. (2.3.3)

L’operatore definito dalla proposizione precedente detto derivata covariante lungoγ rispetto alla connessione∇.

Dalle proprieta della derivata covariante si deduce immediatamente che questo eun operatore locale nel senso che: presa una curva liscia γ : I → M e un intervalloJ ⊆ I si ha che

DtV = Dt(V |J) per ogni t ∈ J, V ∈ T (γ)

dove D indica l’operatore di derivata covariante associato alla curva γJ .

OSSERVAZIONE 2.3.5 (Derivata covariante lungo curve in coordinate locali). Sia(U, (x1, ..., xn)) una carta locale di M e γ : I → M una curva liscia con supporto con-tenuto in U . Preso un campo di vettori lungo la curva, V ∈ T (γ), possiamo scrivereV (t) in coordinate locali come

V (t) = V i(t)∂

∂xi

∣∣∣∣γ(t)

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24 2. CONNESSIONI

Usando le proprieta formali che definiscono la derivata covariante si trova allora che

DtV = Dt

(V i(t)

∂xi

∣∣∣∣γ(t)

)= V i(t)

∂xi

∣∣∣∣γ(t)

+ V i(t) Dt

(∂

∂xi

∣∣∣∣γ(t)

)

= V i(t)∂

∂xi

∣∣∣∣γ(t)

+ V i(t)∇γ(t)∂

∂xi

= V i(t)∂

∂xi

∣∣∣∣γ(t)

+ V i(t) γj(t)

(∇ ∂

∂xj

∂xi

)γ(t)

= V i(t)∂

∂xi

∣∣∣∣γ(t)

+ V i(t) γj(t)

(Γkji

∂xk

)γ(t)

= V i(t)∂

∂xi

∣∣∣∣γ(t)

+ V i(t) γj(t) Γkji(γ(t))∂

∂xk

∣∣∣∣γ(t)

=(V i(t) + V i(t) γj(t) Γkji(γ(t))

) ∂

∂xk

∣∣∣∣γ(t)

.

Quindi l’operatore di derivata covariante lungo una curva γ puo essere espresso incoordinate locali mediante la formula

DtV =(V k(t) + V i(t) γj(t) Γkji(γ(t))

) ∂

∂xk

∣∣∣∣γ(t)

. (2.3.4)

ESERCIZIO 2.3.6. Dimostrare il teorema di esistenza della derivata covariante uti-lizzando la formula trovata sopra.

2.4. Trasporto parallelo

Sia M una varieta differenziabile e∇ una connessione lineare su di essa. Preso uncampo vettoriale V lungo una curva γ diciamo che V e parallelo lungo γ rispetto allaconnessione∇ se DtV ≡ 0.

Un fatto fondamentale riguardo i campi paralleli e che ogni vettore in TpM con ppunto di una curva γ, puo essere esteso ad un campo parallelo lungo questa.

PROPOSIZIONE 2.4.1 (Trasporto parallelo). Data una curva liscia γ : [t0, T ] → M eV0 ∈ Tγ(t0)M esiste un unico campo V ∈ T (γ) parallelo lungo γ tale che V (t0) = V0. Talecampo di vettori e detto il trasporto parallelo di V0 lungo γ.

DIMOSTRAZIONE. Cominciamo col caso in cui il supporto di γ e contenuto in ununico aperto coordinato U ⊆ M . Fissate delle coordinate (x1, ..., xn) sull’aperto U lecondizioni

DtV = 0

V (t0) = V0

in coordinate locali diventano(V k(t) + V i(t) γj(t) Γkji(γ(t))

)∂∂xk

∣∣γ(t)

= 0

V (t0) = V i0

∂∂xi

∣∣γ(t)

.

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2.4. TRASPORTO PARALLELO 25

Dunque per ottenere l’esistenza e l’unicita dell’estensione parallela in questo casobasta osservare che il sistema (lineare) di ODE,

V k(t) + V i(t) γj(t) Γkji(γ(t)) = 0 k = 1, . . . , n

V (t0)k = V k0 k = 1, . . . , n

ha un unica soluzione.Nel caso generale, per ottenere un campo V (t) che soddisfa le richieste, suddivi-

diamo l’intervallo I in sottointervalli Is = [ts, ts+1] in modo tale che per ogni s la curvaγs := γ|Is abbia supporto contenuto in un singolo aperto coordinato di M . Poi defi-niamo induttivamente dei campi Vs(t) lungo le curve γs prendendo le soluzioni deisistemi:

DtV0 = 0

V0(t0) = V0

. . .DtVs = 0

Vs(ts) = Vs−1(ts)

. . .

A questo punto il trasporto parallelo di V0 lungo γ e dato dal campo definito ponendo

V (t) = Vs(t) se t ∈ Is.

Fissata una curva liscia γ : [0, T ]→M definiamo l’operatore di trasporto parallelolungo γ

P : Tγ(0)M → Tγ(T )M

mediante la formulaP (V ) = V (T ) ∈ Tγ(T )M

dove V (t) ∈ T (γ) indica il trasporto parallelo di V ∈ Tγ(0)M lungo la curva γ.

ESERCIZIO 2.4.2. Provare che l’operatore di trasporto parallelo P : Tγ(0)M →Tγ(T )M lungo una curva liscia γ : [0, T ]→M e un isomorfismo lineare.

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CAPITOLO 3

La connessione di Levi–Civita

3.1. Torsione di una connessione lineare

Sia M una varieta differenziabile e ∇ una connessione lineare su essa. Definiamola torsione di∇mediante la formula

T∇ (X, Y ) = ∇XY −∇YX − [X, Y ] (3.1.1)

dove X, Y ∈ Γ(TM) sono due campi di vettori su M .Una connessione lineare ∇ si dice simmetrica se T∇ ≡ 0. In altre parole una

connessione e simmetrica se vale la formula

∇XY −∇YX = [X, Y ] (3.1.2)

per ogni X, Y ∈ Γ(TM).

OSSERVAZIONE 3.1.1 (Condizione di simmetria in coordinate locali). Un facilecalcolo mostra che l’operatore T∇ : Γ(TM)×Γ(TM)→ Γ(TM) eC∞(M)–multilineare.Una connessione lineare ∇ determina quindi un tensore T∇ ∈ Γ (T 2

1M). Presa unacarta locale di M denotiamo con Γkij i simboli di Christoffel della connessione ∇.Vogliamo trovare un espressione esplicita per i coefficienti della scrittura in coordinate

T∇ = T kij dxi ⊗ dxj ⊗ ∂

∂xk(3.1.3)

del tensore T∇. Ora, poiche

T∇(∂

∂xi,∂

∂xj

)= ∇ ∂

∂xi

∂xj−∇ ∂

∂xj

∂xi−[∂

∂xi,∂

∂xj

]= ∇ ∂

∂xi

∂xj−∇ ∂

∂xj

∂xi= Γkij

∂xk− Γkji

∂xk=

=(Γkij − Γkji

) ∂

∂xk

si ha che

T kij = dxk(T∇(∂

∂xi,∂

∂xj

))= dxk

((Γlij − Γlji

) ∂

∂xl

)= Γkij − Γkji. (3.1.4)

Quindi si ha che una connessione lineare ∇ e simmetrica se e soltanto se, in ognisistema di coordinate, i suoi simboli di Christoffel soddisfano la relazione

Γkij = Γkji (3.1.5)

cioe sono simmetrici in i e j.

27

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28 3. LA CONNESSIONE DI LEVI–CIVITA

3.2. Connessioni compatibili con la metrica

Sia (M, g) una varieta riemanniana. In questa sezione vediamo come la scelta del-la metrica g determina un unica connessione lineare su M che soddisfa opportunecondizioni di compatibilita .

DEFINIZIONE 3.2.1. Una connessione lineare ∇ si dice compatibile con la metrica g seper ogni X, Y, Z ∈ Γ(TM) vale la formula

∇X (g(Y, Z)) = g (∇XY, Z) + g (Y,∇XZ) . (3.2.1)

OSSERVAZIONE 3.2.2 (Condizione di compatibilita con la metrica in coordinatelocali). Vediamo come esprimere la condizione di compatibilita in coordinate locali.Sia∇ una connessione lineare suM compatibile con la metrica g. Preso U ⊆M apertocoordinato di M e un sistema di coordinate (x1, . . . , xn) su U si ha che

∂xk

(g

(∂

∂xi,∂

∂xj

))= g

(∇ ∂

∂xk

∂xi,∂

∂xj

)+ g

(∂

∂xi,∇ ∂

∂xk

∂xj

)= g

(Γlki

∂xl,∂

∂xj

)+ g

(∂

∂xi,Γlkj

∂xl

)= Γlki g

(∂

∂xl,∂

∂xj

)+ Γlkj g

(∂

∂xi,∂

∂xl

).

Dunque, in un qualsiasi sistema di coordinate, i simboli di Christoffel di una connes-sione compatibile con la metrica sono legati ai coefficienti della metrica dalla relazionedifferenziale:

∂gij∂xk

= Γlki glj + Γlkj gli. (3.2.2)

Ovviamente tali condizioni sui simboli di Christoffel sono anche sufficienti affinchela connessione sia compatibile con la metrica.

Il seguente teorema e cosı importante da meritarsi il nome di teorema fondamentaledella geometria riemanniana.

TEOREMA 3.2.3 (Teorema fondamentale della geometria riemanniana). Su unavarieta riemanniana esiste un unica connessione lineare ∇ (detta connessione di Levi–Civita)che risulti essere:

(1) simmetrica

∇XY −∇YX = [X, Y ] per ogni X, Y ∈ Γ(TM); (3.2.3)

(2) compatibile con la metrica

∇X (g(Y, Z)) = g (∇XY, Z) + g (Y,∇XZ) per ogni X, Y, Z ∈ Γ(TM). (3.2.4)

OSSERVAZIONE 3.2.4 (Simboli di Christoffel della connessione di Levi–Civita).Troviamo un espressione esplicita per i simboli di Christoffel della connessione diLevi–Civita. Sia (M, g) una varieta riemanniana e∇ la sua connessione di Levi–Civita.Presa una carta locale indichiamo con Γkij i simboli di Christoffel di∇ in tali coordinate

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3.2. CONNESSIONI COMPATIBILI CON LA METRICA 29

e con gij i coefficienti della metrica. Per quanto visto sopra le condizioni di simmetriae compatibilita sulla connessione∇ impongono le relazioni

∂gij∂xk

= Γlki glj + Γlkj gli (3.2.5)

Γkij = Γkji. (3.2.6)Permutando ciclicamente gli indici nella condizione di compatibilita si trovano lerelazioni

∂gjk∂xi

= Γlij glk + Γlik gjl,

∂gij∂xk

= Γlki glj + Γlkj gil,

∂gki∂xj

= Γljk gli + Γlji gkl,

da cui sommando a segni alterni, per le condizioni di simmetria, concludiamo che

∂gjk∂xi− ∂gij∂xk

+∂gki∂xj

= Γlij glk + Γlik gjl − Γlki glj − Γlkj gil + Γljk gli + Γlji gkl

= Γlij glk + Γlji gkl = 2 Γlij gkl.

Dunque se indichiamo con gkl i coefficienti dell’inversa della matrice (gij) dei coeffi-cienti della metrica, vale la formula

Γlij =1

2gkl(∂gjk∂xi

+∂gki∂xj− ∂gij∂xk

). (3.2.7)

ESERCIZIO 3.2.5. Dimostrare il teorema fondamentale della geometria riemanniana fa-cendo vedere che che i simboli Γkij della formula di sopra definiscono effettivamenteuna connessione lineare su M , simmetrica e compatibile con la metrica.

ESEMPIO 3.2.6 (Connessione di Levi–Civita di metriche conformi). Sia (M, g) unavarieta riemanniana. Fissata u : M → [0,+∞) applicazione C∞, consideriamo lametrica g = ug conforme alla metrica g. Presa una carta (U, (x1, . . . , xn)) cerchiamouna relazione tra i simboli di Christoffel della connessione di Levi–Civita Γ

k

ij dellametrica g in funzione di quelli di g. Ora per la formula vista sopra si ha che

Γk

ij =1

2

gkm

u

(∂(ugjm)

∂xi− ∂(ugij)

∂xm+∂(ugmi)

∂xj

)=

1

2

gkm

u

((∂u

∂xigjm + u

∂gjm∂xi

)−(∂u

∂xmgij + u

∂gij∂xm

)+

(∂u

∂xjgmi + u

∂gmi∂xj

)).

Dunque se denotiamo con Γkij i simboli di Christoffel della connessione di Levi-Civitadella metrica g si ha che

Γk

ij =1

2

gkm

u

(∂u

∂xigjm −

∂u

∂xmgij +

∂u

∂xjgmi + 2u Γmij gmk

)

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30 3. LA CONNESSIONE DI LEVI–CIVITA

da cui segue la formula

Γk

ij = Γkij +1

2

gkm

u

(∂u

∂xigjm −

∂u

∂xmgij +

∂u

∂xjgmi

).

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CAPITOLO 4

Curvatura

4.1. Operatore di Riemann e prime proprieta

Sia (M, g) una varieta riemanniana di dimensione n ∈ N, ∇ la connessione diLevi–Civita.

Calcoliamo inizialmente l’hessiano di una funzione f ∈ C∞ in coordinate locali,

Hfij = ∇2ijf = ∇idfj =

∂2f

∂xi∂xj− Γkij

∂f

∂xk.

Osserviamo che e simmetrico, grazie alla simmetria del simbolo di Christoffel Γkijin i e j.

Passiamo ora a calcolare l’hessiano di un campo di vettori, ricordando che∇iXj =

(∇X)ji = ∂Xj

∂xi+ ΓjikX

k .

Se Z ∈ Γ (TM), allora∇Z e un tensore di tipo (1, 1).Sia ora T un tensore di tipo (1, 1), ossia T = T ji dx

i⊗ ∂∂xj

, allora∇T sara un tensoredi tipo (2, 1), e si ha

∇T (X, Y, α) = (∇XT ) (Y, α) = X (T (Y, α))− T (∇XY, α)− T (Y,∇Xα) ,

dove X , Y sono campi e α e una 1–forma.Se scegliamo T = ∇Z, dalla riga precedente abbiamo

∇∇Z (X, Y, α) = X (∇Z (Y, α))−∇Z (∇XY, α)−∇Z (Y,∇Xα)

= X (α (∇YZ))− α (∇∇XYZ)− (∇Xα) (∇YZ)

= (∇Xα) (∇YZ) + α (∇X (∇YZ))− α (∇∇XYZ)− (∇Xα) (∇YZ)

= α [∇X (∇YZ)−∇∇XYZ] = α[∇2Z (X, Y )

]dunque

∇2X,YZ =

(∇2Z

)(X, Y ) = ∇X∇YZ −∇∇XYZ .

In coordinate locali, si ha

∇2ijX

k = ∇i

((∇X)kj

)=

∂xi

(∂Xk

∂xj+ ΓkpjX

p

)+ (∇X)ks Γsji

∂xs− (∇X)sj Γkis

∂xk

=∂ΓkpjX

p

∂xi+ Γkpj

∂Xp

∂xi− (∇X)sj Γkis

∂xk.

In entrambi i casi si vede che l’hessiano di un campo non e simmetrico, e si ha∇2ijX 6= ∇2

jiX .

31

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32 4. CURVATURA

Si puo allora vedere come la curvatura di una varieta produca un difetto di sim-metria negli hessiani dei campi di vettori, sebbene questo non sia geometricamente ilmodo piu intuitivo per introdurre il concetto di curvatura.

DEFINIZIONE 4.1.1 (Operatore di Riemann). Sia (M, g) una varieta riemanniana didimensione n e sia∇ la sua connessione di Levi–Civita. L’operatore di Riemann relativo a duecampi di vettori X, Y ∈ Γ (TM) e la mappa

R (X, Y ) : Γ (TM)→ Γ (TM)

definita da

R (X, Y )Z = ∇2Y,XZ −∇2

X,YZ

= ∇Y∇XZ −∇∇YXZ −∇X∇YZ +∇∇XYZ= ∇Y∇XZ −∇X∇YZ −∇(∇YX−∇XY )Z

= ∇Y∇XZ −∇X∇YZ −∇[Y,X]Z .

OSSERVAZIONE 4.1.2. Si noti la posizione dei campi Y,X . Talvolta in letteratura sitrova questa definizione con X e Y invertiti, noi seguiremo [2].

PROPOSIZIONE 4.1.3. L’operatore di Riemann R (X, Y )Z e un tensore (3, 1), ossia lamappa

R : Γ (TM)× Γ (TM)× Γ (TM)→ Γ (TM)

e C∞ (M)–lineare in tutte le sue variabili.

DIMOSTRAZIONE. Che l’operatore di Riemann sia C∞ (M)–lineare in X e in Y eovvio dalla definizione di hessiano, infatti si ha che

∇2fX,YZ = f∇2

X,YZ = ∇2X,fYZ .

Dobbiamo dunque solo verificare che lo sia anche in Z,

∇2X,Y (fZ) = ∇X∇Y fZ −∇∇XY fZ

= ∇X (Y fZ + f∇YZ)− (∇XY ) f · Z − f (∇∇XYZ)

= X (Y (f)Z) + Y f∇XZ +Xf∇YZ + f∇X∇YZ

− (∇XY ) f · Z − f (∇∇XYZ)

= f (∇X∇YZ −∇∇XYZ) + (XY f − (∇XY ) f)Z

+Y f∇XZ +Xf∇YZ .

Da cio si deduce che

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4.1. OPERATORE DI RIEMANN E PRIME PROPRIETA 33

R (X, Y ) (fZ) = ∇2Y,X (fZ)−∇2

X,Y (fZ)

= f (∇Y∇XZ −∇∇YXZ) + (Y Xf − (∇YX) f))

−f (∇X∇YZ −∇∇XYZ)− (XY f − (∇XY ) f)Z

= f(∇2Y,XZ −∇2

X,YZ)

+ (Y Xf −XY f)Z

− (∇YX) fZ + (∇XY ) fZ

= f(∇2Y,XZ −∇2

X,YZ)

+ [Y,X] fZ

= fR (X, Y )Z ,

che conclude la dimostrazione.

ESEMPIO 4.1.4. Se consideriamo come varieta riemanniana (Rn, g), dove g e lametrica euclidea canonica, allora l’operatore di Riemann e nullo.

Infatti, fissata una base ortonormale globale e1, . . . , en, sia Z ∈ Γ (TRn), Z =Zjej . Si ha

∇RnX Z = Xk∇ek

(Zjej

)= Xk

(∂Zj

∂xkej + Zj∇ekej

)= Xk ∂Z

j

∂xkej ;

∇Y∇XZ = ∇Y

(Xk ∂Z

j

∂xkej

)=

(Y l∂X

k

∂xl∂Zj

∂xk+ Y lXk ∂2Zj

∂xl∂xk

)ej ;

∇Y∇XZ −∇X∇YZ =

(Y l∂X

k

∂xl∂Zj

∂xk−X l∂Y

k

∂xl∂Zj

∂xk

)ej = [Y,X]

(Zj)ej = ∇[Y,X]Z ;

dunque R (X, Y )Z = 0.

OSSERVAZIONE 4.1.5. L’operatore di Riemann e invariante per isometrie. Se H :M1 → M2 e un’isometria tra due varieta riemanniane con operatori di Riemann R1 eR2 si ha 〈R1 (X, Y )Z,W 〉p = 〈R2 (dHp (X) , dHp (Y )) dHpZ, dHpW 〉H(p) (esercizio).

Ovviamente, una varieta riemanniana con operatore di Riemann identicamentenullo non puo essere isometrica a una varieta con operatore di Riemann non nullo.

Espressione in coordinate locali. Calcoliamo l’espressione in coordinate localidell’operatore di Riemann.

Sia (M, g) una varieta riemanniana di dimensione n, siano (x1, ... , xn) coordinatelocali attorno a p ∈ (Mn, g) e siano

∂∂xj

i campi coordinati;

allora

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34 4. CURVATURA

R

(∂

∂xi,∂

∂xj

)∂

∂xk= ∇2

ji

∂xk−∇2

ij

∂xk

=

(∇ ∂

∂xj∇ ∂

∂xi

∂xk−∇∇ ∂

∂xj

∂xi

∂xk

)−(∇ ∂

∂xi∇ ∂

∂xj

∂xk−∇∇ ∂

∂xi

∂xj

∂xk

)= ∇ ∂

∂xj∇ ∂

∂xi

∂xk−∇ ∂

∂xi∇ ∂

∂xj

∂xk= ∇ ∂

∂xjΓlik

∂xl−∇ ∂

∂xiΓljk

∂xl

=∂

∂xjΓlik

∂xl+ ΓmikΓ

ljm

∂xl− ∂

∂xiΓljk

∂xl+ ΓmjkΓ

lim

∂xl;

quindi

R = Rlijkdx

i ⊗ dxj ⊗ dxk ⊗ ∂

∂xl,

con

Rlijk = ΓmikΓ

ljm − ΓmjkΓ

lim +

∂Γlik∂xj−∂Γljk∂xi

.

In certi casi risulta piu utile considerare la versione (4, 0) dell’operatore di Rie-mann che andiamo ora a definire, detto tensore di Riemann o di curvatura (4, 0).

DEFINIZIONE 4.1.6. Presi X, Y, Z,W ∈ Γ (TM), definiamo il tensore (4, 0) come

R 〈X, Y, Z,W 〉 = g (R (X, Y )Z,W ) .

In coordinateR = Rijkmdx

i ⊗ dxj ⊗ dxk ⊗ dxm ,Rijkm = gmlR

lijk .

Andiamo ora ad analizzare alcune proprieta algebriche del tensore di Riemann.

Prima identita di Bianchi. Presi X, Y, Z ∈ Γ (TM) vale la seguente identita:

R (X, Y )Z +R (Y, Z)X +R (Z,X)Y = 0 , (4.1.1)

o equivalentemente:

R (X, Y, Z,W ) +R (Y, Z,X,W ) +R (Z,X, Y,W ) = 0 ,

ed infine l’espressione in coordinate locali

Rijkl +Rjkil +Rkijl = 0 .

DIMOSTRAZIONE. Sostituendo aRiem (X, Y )Z , Riem (Y, Z)X , Riem (Z,X)Y ladefinizione di operatore di Riemann e svolgendo i calcoli si ottiene:

∇Y∇XZ −∇X∇YZ −∇[Y,X]Z +∇Z∇YX −∇Y∇ZX −∇[Z,Y ]X

+∇X∇ZY −∇Z∇XY −∇[X,Z]Y

= ∇Y [∇XZ −∇ZX] +∇Z [∇YX −∇XY ] +∇X [∇ZY −∇YZ]

−∇[Y,X]Z −∇[Z,Y ]X −∇[X,Z]Y

= ∇Y [X,Z] +∇Z [Y,X] +∇X [Z, Y ]−∇[Y,X]Z −∇[Z,Y ]X −∇[X,Z]Y

= [Y, [X,Z]] + [Z, [Y,X]] + [X, [Z, Y ]]

= 0

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4.1. OPERATORE DI RIEMANN E PRIME PROPRIETA 35

dove si e usata l’identita di Jacobi. Segue la tesi.

Proprieta di simmetria ed antisimmetria. Valgono le seguenti proprieta:i) Proprieta di antisimmetria nelle prime due entrate

R (X, Y, Z,W ) = −R (Y,X,Z,W )

Rijkl = −Rjikl

ii) Proprieta di antisimmetria nelle ultime due entrate,

R (X, Y, Z,W ) = −R (X, Y,W,Z)

Rijkl = −Rijlk

iii) Proprieta di simmetria per scambio della prima e seconda coppia

R (X, Y, Z,W ) = R (Z,W,X, Y )

Rijkl = Rklij

DIMOSTRAZIONE. i) L’antisimmetria delle prime due entrate segue subitodalla definizione.

ii) Per dimostrare l’antisimmetria delle seconde due entrate e sufficiente dimo-strare che R (X, Y, Z, Z) = 0 .

Infatti se R (X, Y, Z, Z) = 0 si ha

R (X, Y, Z,W ) = R (X, Y, Z +W −W,W )

= R (X, Y, Z −W,W ) +R (X, Y,W,W )

= R (X, Y, Z −W,W + Z − Z)

= R (X, Y, Z −W,Z)−R (X, Y, Z −W,Z −W )

= R (X, Y, Z, Z)−R (X, Y,W,Z)

= −R (X, Y,W,Z) .

Dimostriamo allora che R (X, Y, Z, Z) = 0:utilizzando la definizione

R (X, Y, Z, Z) =⟨∇Y∇XZ −∇X∇YZ −∇[Y,X]Z|Z

⟩= 〈∇Y∇XZ|Z〉 − 〈∇X∇YZ|Z〉 −

⟨∇[Y,X]Z|Z

⟩A questo punto, poiche ∀W,U, V ∈ Γ (TM) si ha

W (〈U, V 〉) = 〈∇WU |V 〉+ 〈U,∇WV 〉 ,

otteniamo〈∇Y∇XZ|Z〉 = Y (〈∇XZ|Z〉)+〈∇XZ|∇YZ〉 = Y

(12X (|Z2|)

)+〈∇XZ|∇YZ〉 ;

inoltre⟨∇[Y,X]Z|Z

⟩= 1

2[Y,X] (|Z2|) ;

dunque abbiamo

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36 4. CURVATURA

R (X, Y, Z, Z) = Y

(1

2X(∣∣Z2

∣∣))+ 〈∇XZ|∇YZ〉 −X(

1

2Y(∣∣Z2

∣∣))−〈∇YZ|∇XZ〉 −

1

2[Y,X]

(∣∣Z2∣∣)

= Y

(1

2X(∣∣Z2

∣∣))−X (1

2Y(∣∣Z2

∣∣))− 1

2[Y,X]

(∣∣Z2∣∣)

=1

2[Y,X]

(∣∣Z2∣∣)− 1

2[Y,X]

(∣∣Z2∣∣)

= 0 .

iii) Per dimostrare questa proprieta di simmetria scriviamo quattro volte l’iden-tita di Bianchi:

0 = R (X, Y, Z,W ) +R (Y, Z,X,W ) +R (Z,X, Y,W )

+R (Y, Z,W,X) +R (Z,W, Y,X) +R (W,Y, Z,X)

+R (Z,W,X, Y ) +R (W,X,Z, Y ) +R (X,Z,W, Y )

+R (W,X, Y, Z) +R (X, Y,W,Z) +R (Y,W,X,Z)

= 2R (Z,X, Y,W ) + 2R (Y,W,Z,X) ,

quindiR (Z,X, Y,W )−R (Y,W,Z,X) = 0 ,

da cui la tesi.

Le proprieta di simmetria e antisimmetria del tensore di Riemann fanno sospettareche per conoscere l’intero tensore sia sufficiente sapere come si comporta su alcuneparticolari quaterne di vettori.

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4.3. ALTRE NOZIONI DI CURVATURA 37

4.2. Operatori di curvatura algebrici

DEFINIZIONE 4.2.1. Chiamiamo operatore di curvatura algebrico R : TpM × TpM ×TpM × TpM → TpM una qualunque forma quadrilineare che verifichi

1) l’identita di Bianchi (4.1.1);2) R (X, Y, Z, T ) = −R (Y,X,Z, T ) ;3) R (X, Y, Z, T ) = −R (X, Y, T, Z) ;4) R (X, Y, Z, T ) = R (Z, T,X, Y ) .

OSSERVAZIONE 4.2.2. L’operatore R0 : TpM × TpM × TpM × TpM → R definito da

R0 (X, Y, Z, T ) = g (X,Z) g (Y, T )− g (X,T ) g (Y, Z) =

(g ? g

2

)(X, Y, Z, T )

e un operatore di curvatura algebrico.

4.3. Altre nozioni di curvatura

DEFINIZIONE 4.3.1. Sia (M, g) una varieta riemanniana di dimensione n ∈ N, p ∈ M ,X, Y ∈ TpM linearmente indipendenti.

Definiamo la curvatura sezionale del piano π ⊂ TpM , π = span(X, Y ),

Secp (X, Y ) =Rp (X, Y,X, Y )

|X|2 |Y |2 − 〈X, Y 〉2.

PROPOSIZIONE 4.3.2. La definizione di curvatura sezionale dipende solo dal 2–piano diTpM generato da X e da Y, non dipende dalla scelta di X e Y .

La curvatura sezionale ha un’interessante interpretazione geometrica, ma la suaimportanza deriva soprattutto dal fatto che il tensore di Riemann R ci permette dicalcolare la curvatura sezionale e viceversa la curvatura sezionale determina comple-tamente il tensore di Riemann.

TEOREMA 4.3.3. SianoR,R′ due operatori di curvatura algebrici, poniamo Secp (X, Y ) =R(X,Y,X,Y )

|X|2|Y |2−|〈X,Y 〉|2 e Sec′p (X, Y ) = R′(X,Y,X,Y )

|X|2|Y |2−|〈X,Y 〉|2 .Allora Secp (X, Y ) = Sec′p (X, Y ) se e solo se R = R′ .

DIMOSTRAZIONE. Se R = R′ si ottiene ovviamente che le due curvature sezionalicoincidono.

Supponiamo ora Secp (X, Y ) = Sec′p (X, Y ).Allora

R (X + Z, Y,X + Z, Y ) = R′ (X + Z, Y,X + Z, Y )

e quindiR (X + Z, Y, Y,X + Z) = R′ (X + Z, Y, Y,X + Z)

per ogni X, Y, Z ∈ Γ (TM).Per cui

R (X, Y, Y,X) + 2R (X, Y, Y, Z) +R (Z, Y, Y, Z)

= R′ (X, Y, Y,X) + 2R′ (X, Y, Y, Z) +R′ (Z, Y, Y, Z)

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38 4. CURVATURA

e percio R (X, Y, Y, Z) = R′ (X, Y, Y, Z).Dunque

R (X, Y +W,Y +W,Z) = R′ (X, Y +W,Y +W,Z)

per ogni X, Y, Z,W ∈ Γ (TM), per cui

R (X, Y,W,Z) +R (X,W, Y, Z) = R′ (X, Y,W,Z) +R′ (X,W, Y, Z) ,

e quindi

R (X, Y, Z,W )−R′ (X, Y, Z,W ) = R (Y, Z,X,W )−R′ (Y, Z,X,W ) .

Dunque la quantita R (X, Y, Z,W )−R′ (X, Y, Z,W ) e invariante per permutazionicicliche dei primi tre elementi. Per la prima identita di Bianchi

3 [R (X, Y, Z,W )−R′ (X, Y, Z,W )] = 0 ,

da cui la tesi.

Calcoliamo la curvatura sezionale dell’operatore R0 definito nel paragrafo prece-dente:

Sec(R0)p (X, Y ) =

R0 (X, Y,X, Y )

|X|2 |Y |2 − |〈X, Y 〉|2=g (X,X) g (Y, Y )− g (X, Y ) g (Y,X)

g (X,X) g (Y, Y )− g (X, Y ) g (Y,X)= 1 .

DEFINIZIONE 4.3.4. Una varieta riemanniana ha curvatura sezionale costante k ∈ R seSecp (π) = k per ogni p ∈M e per ogni 2–piano π ⊂ TpM .

COROLLARIO 4.3.5. Una varieta riemanniana ha curvatura sezionale costante (k ∈ R)se e solo se R (X, Y, Z, T ) = kR0 (X, Y, Z, T ) in ogni punto e ∀X, Y, Z, T .

In una carta locale si scrive allora Rijkl = k (gikgjl − gilgjk).

DIMOSTRAZIONE. Se vale R (X, Y, Z, T ) = kR0 (X, Y, Z, T ) combinando il fattoche Sec(R0)

p (X, Y ) = 1 con la definizione di curvatura sezionale si ottiene il risultatorichiesto.

Supponiamo invece che Secp (π) = k per ogni p ∈ M e per ogni 2–piano π ⊂ TpM

. Secp (π) = k[Sec

(R0)p (X, Y )

]da cui

R (X, Y,X, Y )

|X|2 |Y |2 − |〈X, Y 〉|2= k

R0 (X, Y,X, Y )

|X|2 |Y |2 − |〈X, Y 〉|2,

e quindi R (X, Y,X, Y ) = kR0 (X, Y,X, Y ), per il Teorema 4.3.3.

DEFINIZIONE 4.3.6. ∀X, Y ∈ Γ (TM) poniamo

Ric (X, Y ) = tr (Z 7→ R (X,Z)Y ) .

In coordinate si ha

Ric (X, Y ) = gijR

(X,

∂xi, Y,

∂xj

),

Rjl = gikRijkl .

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4.3. ALTRE NOZIONI DI CURVATURA 39

L’operatoreRic : Γ (TM)×Γ (TM)→ C∞ (M) eC∞ (M)–lineare in tutte le sue entrate,cioe e un tensore (2, 0) simmetrico (Rij = Rji).

Chiamiamo Ric (X, Y ) tensore di Ricci.

Abbiamo visto che il tensore di Riemann e la curvatura sezionale possono esseredeterminati uno dall’altro. Viene naturale chiedersi se anche il tensore di curvaturadi Ricci sia in qualche modo collegato con la curvatura sezionale. Vediamo ora comesi scrive questo legame.

OSSERVAZIONE 4.3.7. Sia X ∈ TpM un vettore unitario, allora

Ricp (X, Y ) =n−1∑i=1

R (X,Ei, Y, Ei) =n−1∑j=1

Secp (X,Ei)

dove (E1, ..., En−1) completano X ad una base ortonormale di TpM.

DEFINIZIONE 4.3.8. Definiamo R : M→R come

R = tr (X 7→ Ric (X, ·)) ,

in coordinate locali si scrive R = gijRij .Chiamiamo R curvatura scalare.

Il tensore di curvatura di Ricci ha 10 componenti indipendenti per n = 4, ne ha 6per n = 3, e una sola per n = 2.

In dimensione 2 e 3 il numero delle componenti indipendenti del Riemann coin-cide con quelle del Ricci, in dimensione 4 invece il Ricci ne ha significativamentemeno.

Seconda identita di Bianchi. Siano X, Y, Z,W, T ∈ Γ (TM), R il tensore di Rie-mann (4, 0), allora

(∇XRm) (Y, Z,W, T ) + (∇YRm) (Z,X,W, T ) + (∇ZRm) (X, Y,W, T ) = 0

ossia, in coordinate,

∇iRjklm +∇jRkilm +∇kRijlm = 0 .

DIMOSTRAZIONE. Scriviamo il tensore di Riemann in coordinate locali:

Rjklm =

(∂Γqjl∂xk− ∂Γqkl∂xj

+ ΓqjlΓqkp − ΓqklΓ

qjp

)gqm ,

∇iRjklm =∂Rjklm

∂xi− ΓqijRqklm − ΓqikRjqlm − ΓqilRjkqm − ΓqimRjklq .

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40 4. CURVATURA

Sommiamo i tre addendi

∇iRjklm +∇jRkilm +∇kRijlm

=∂Rjklm

∂xi− ΓqijRqklm − ΓqikRjqlm − ΓqilRjkqm − ΓqimRjklq

+∂Rkilm

∂xj− ΓqjkRqilm − ΓqjiRkqlm − ΓqjlRkiqm − ΓqjmRkilq

+∂Rijlm

∂xk− ΓqkiRqjlm − ΓqkjRiqlm − ΓqklRijqm − ΓqkmRijlq

= 0

da cui la tesi.

Abbiamo gia discusso le proprieta algebriche del tensore di Riemann, abbiamovisto inoltre che soddisfa la seconda identita di Bianchi, che e un’identita differenziale.Sono di grande importanza anche le versioni contratte di questa identita:

Identita di Bianchi contratte. Partendo dall’identita

∇iRjklm +∇jRkilm +∇kRijlm = 0

e contraendolo con gkl otteniamo:

0 = gkl∇kRijlm −∇iRjm +∇jRim = gkl∇kRlmij −∇iRjm +∇jRim

quindidiv (Riem)mij = ∇iRjm −∇jRim .

Nel caso in cui div (Riem) = 0 allora

∇iRjm = ∇jRim .

Contraendo nuovamente con gim:

0 = gimgkl∇kRijlm − gim∇iRjm + gim∇jRim = −gkl∇kRlj − (divRic)j +∇jR

si ha la seguente identita detta Lemma di Schur:

2divRic = ∇R .

Questa identita puo essere scritta equivalentemente nella forma

∇i

(Rij −

1

2gijR

)= 0 .

Il tensore che appare nell’equazione e il tensore di Einstein Eij ,

Eij = Rij −1

2gijR .

E l’unico tensore a divergenza nulla che puo essere costruito dalla metrica e dallesue derivate prima e seconda e gioca un ruolo centrale nelle equazioni di Einstein peril campo gravitazionale.

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4.3. ALTRE NOZIONI DI CURVATURA 41

TEOREMA 4.3.9. Sia (M, g) una varieta riemanniana connessa di dimensione n con n ≥3.

Supponiamo che ∀p ∈ M, ∀π , π′ 2–piani di TpM , Sec (π) = Sec (π′), cioe Φ ∈ C∞(M)tale che

Rp (X, Y, Z,W ) = Φ (p)R0p (X, Y, Z,W ) .

Allora Φ e costante.

DIMOSTRAZIONE. Per ipotesi si ha R (X, Y, Z,W ) = Φ (p)R0 (X, Y, Z,W ) .Derivando la relazione precedente otteniamo

∇XR (X, Y, Z,W ) = X (Φ (p)) ·R0 (X, Y, Z,W ) + Φ (p)∇XR0 (X, Y, Z,W )

= X (Φ (p)) ·R0 (X, Y, Z,W ) ,

e utilizzando la seconda identita di Bianchi abbiamo

0 = ∇hRijkl +∇iRjhkl +∇jRhikl

=∂Φ

∂xh(gikgjl − gilgjk) +

∂Φ

∂xi(gjkghl − gjlghk) +

∂Φ

∂xj(ghkgil − ghlgik) .

Contraendo con gik otteniamo

0 =∂Φ

∂xh(n− 1) gjl −

∂Φ

∂xhgjl +

∂Φ

∂xjghl −

∂Φ

∂xj(n− 1) ghl

=∂Φ

∂xh(n− 2) gjl −

∂Φ

∂xj(n− 2) ghl .

Contraendo infine con gjl:

0 = (n− 2) (n− 1)∂Φ

∂xh.

Percio Φ e costante.

DEFINIZIONE 4.3.10. Una varieta riemanniana si dice varieta di Einstein se il suo tensoredi curvatura di Ricci e un multiplo della metrica, ossia Rij = λgij per qualche λ ∈ C∞ (M)

TEOREMA 4.3.11. Sia (M, g) una varieta di Einstein di dimensione n ∈ N con Ric = λg.Allora λ e costante. In particolare la sua curvatura scalare e costante se n ≥ 3.

DIMOSTRAZIONE. Per la definizione di varieta di Einstein vale Rij = λgij perqualche λ ∈ C∞ (M); prendendo la traccia di questa equazione si ha

R = λn

da cuiλ =

R

n.

Prendendo la divergenza e usando il Lemma di Schur si ha∇R

2= ∇λ

da cui∇R

2=∇Rn

da cui la tesi.

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42 4. CURVATURA

4.4. Formula di Bochner

Da ora in poi utilizzeremo la convenzione di Einstein di sommare sugli indiciripetuti.

OSSERVAZIONE 4.4.1. Ricordiamo che se T e un tensore di tipo (3, 2) del qualevogliamo fare il laplaciano, si ha

∆T pqijk = gst∇s∇tTpqijk ,

pi in generale per Z tensore di tipo(pq

)vale ∆Z

j1...jpi1...iq

= gst∇s∇tZj1...jpi1...iq

.

Formula di Bochner. Vale la formula

∆ |∇f |2 = 2 |∇∇f |2 + 2Ric (∇f,∇f) + 2 〈∇∆f |∇f〉 (4.4.1)

DIMOSTRAZIONE. Calcoliamo

∇i∇j∇kf −∇j∇i∇kf = Rijkl∇lf

∇i∇j∇kf = ∇i∇k∇jf

quindi∇i∇k∇jf −∇j∇i∇kf = Rijkl∇lf .

Da cui, contraendo con gik otteniamo

∆∇jf −∇j∆f = Rjl∇lf

Quindi

∆ |∇f |2 = ∇k∇k |∇f |2

= ∇k∇k (∇jf∇jf)

= ∇k (2∇k∇jf · ∇jf)

= 2∇k∇k∇j · ∇jf + 2 (∇k∇jf) · (∇k∇jf)

= 2 (∆∇jf) · ∇jf + 2 |∇∇f |2

= 2 (∇j∆f +Ricij∇jf) · ∇jf + 2 |∇∇f |2 =⇒quindi

∆ |∇f |2 = 2 |∇∇f |2 + 2Ric (∇f,∇f) + 2 〈∇∆f |∇f〉 .

OSSERVAZIONE 4.4.2. Nella dimostrazione della formula di Bochner abbiamo ot-tenuto la seguente formula di scambio delle derivate:

∆∇f = ∇∆f +Ric (∇fi)

OSSERVAZIONE 4.4.3. Se λ e un autovalore di −∆ su una varieta riemanniana(M, g) di dimensione n compatta, allora λ ≥ 0.

Infatti

−∆Φ = λΦ quindi−∫M

∆Φ · Φdµ = λ∫M

Φ2dµ

−∫M

∆Φ · Φdµ =∫M|∇Φ|2 dµ

da cui λ ≥ 0.

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4.4. FORMULA DI BOCHNER 43

Si noti che λ = 0 se e solo se Φ e costante.

TEOREMA 4.4.4 (di Lichnerowicz). Sia (M, g) una varieta riemanniana di dimensione ncompatta e sia λ > 0 un autovalore di−∆, ossia esiste Φ ∈ C∞ (M) tale che−∆Φ = λΦ; sup-poniamo che Ric ≥ k (n− 1) g con k > 0 (∀X ∈ Γ (TM) : Ric (X,X) ≥ k (n− 1) |X|2 g ),allora λ ≥ nk.

DIMOSTRAZIONE. Calcoliamo, usando la formula di Bochner (4.4.1),

0 =1

2

∫M

∆ |∇Φ|2 dµ

=

∫M

|∇∇Φ|2 +Ric (∇Φ,∇Φ) + 〈∇∆Φ|∇Φ〉 dµ

≥∫M

|∇∇Φ|2 dµ+ k (n− 1)

∫M

|∇Φ|2 dµ− λ∫M

|∇Φ|2 dµ

≥ 1

n

∫M

(∆Φ)2 dµ+ [k (n− 1)− λ]

∫M

|∇Φ|2 dµ

= [nk − 1]n− 1

n

∫M

|∇Φ|2 dµ .

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CAPITOLO 5

Esempi di varieta riemanniane

ESEMPIO 5.0.5 (Spazio euclideo). Consideriamo una varieta M di dimensione nche ammetta un atlante formato da un’unica carta di coordinate (xi), come ad esem-pio uno spazio vettoriale finito dimensionale o un aperto di Rn. Su M possiamointrodurre la metrica euclidea

g = gij dxi ⊗ dxj := δij dx

i ⊗ dxj. (5.0.2)

Si deve fare attenzione al fatto che in generale δij e δij , a differenza di δij , nonsono quantita tensoriali, ossia su una varieta con piu carte, in generale la (5.0.2) nondefinisce una metrica. Questo fatto crea spesso incompatibilita con le notazioni diEinstein riguardo alla somma sugli indici ripetuti. Nel nostro caso la varieta ha unacarta sola, quindi δij e un tensore definito globalmente e, per essere coerenti con laconvenzione di Einstein, nei conti successivi cercheremo di mantenere la posizionedegli indici. Ad esempio un’uguaglianza come αi = δkiΓlkl non verra sostituita conαi = Γlil ond’evitare l’abbassamento degli indici.

Poiche le gij euclidee sono costanti, i simboli di Christoffel sono identicamentenulli:

Γkij ≡ 0.

La connessione di Levi–Civita e descritta su due campi vettoriali X = X i ∂∂xi

e Y =

Y j ∂∂xj

tramite

∇XY = X i∂Yj

∂xi∂

∂xj,

che corrisponde all’usuale divergenza in Rn. L’annullarsi dei simboli di Christoffelporta all’annullamento del tensore di curvatura, del Ricci e della curvatura scalare.Come ben noto, la geodetica σ uscente da p = (p1

0, . . . , p,n0 ) con velocita v = vi ∂

∂xj|p

e data in coordinate da σi(t) = xi0 + t vi per i t ∈ R in cui tale espressione ha senso,infatti

∇σ′σ′ = vi

∂vj

∂xi∂

∂xj= 0.

Come corollario, la mappa esponenziale expp : TpM → M e data da in coordinate daxi(v) = vi e coincide con l’identita nel caso di M = V spazio vettoriale, con la solitaidentificazione TpV w V .

ESEMPIO 5.0.6 (Sfere). Sia S := Sn−1R la sfera di Rn centrata nell’origine e di raggio

R > 0. Denotiamo con ι : S → Rn la sua inclusione. Costruiremo su S una strutturariemanniana a curvatura scalare costante positiva. Sia geucl = δijdx

i ⊗ dxj la metricaeuclidea di Rn, allora l’immersione ι permette induce una metrica g := ι∗geucl su S.

Sia p = (p1, . . . , pn) ∈ S ⊂ Rn, tramite dι immergiamo TpS in Rn. Applicando ilTeorema del rango su F : Rn → R, F (x) = ‖x‖2, la precedente inclusione diventa piu

45

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46 5. ESEMPI DI VARIETA RIEMANNIANE

esplicita:

TpS w ker dFp =

(vi) ∈ Rn |

n∑i=1

pivi = 0

.

Adottando l’identificazione qui sopra, il prodotto scalare di v, w ∈ TpS ⊂ Rn e sem-plicemente g(v, w) =

∑ni=1 v

iwi, ossia e il prodotto scalare di Rn ristretto alla sfera. Sesi vogliono fare i conti in coordinate locali, e comodo utilizzare l’atlante stereografi-co e, per semplicita, faremo solo i conti utilizzando la proiezione dal polo Nord, dicoordinate (xαN), nelle cui coordinate l’inclusione ι prende la forma

x1 =2R2x1

N

‖xN‖2 +R2, . . . , xn−1 =

2R2xn−1N

‖xN‖2 +R2, xn = R

‖xN‖2 −R2

‖xN‖2 +R2.

Da qui a fine esempio, gli indici latini prendono valore da 1 a n, quelli greci da 1 an− 1. Avendo l’espressione locale di ι, possiamo calcolare le coordinate locali di g:

g = ι∗(δij dx

i ⊗ dxj)

=n∑i=1

ι∗dxi ⊗ ι∗dxi

=n∑i=1

(∂xi

∂xαNdxαN

)⊗

(∂xi

∂xβNdxβN

)=

4R4

(R2+‖xN‖2)2

n−1∑α=1

dxαN ⊗ dxαN ,

quindi scrivendo g = gαβ dxαN ⊗ dx

βN , abbiamo

gαβ =4R4

(‖xN‖2+R2)2δαβ.

Osserviamo che la metrica indotta sulla sfera S privata di un polo si puo pensaread un cambio conforme della metrica euclidea di Rn−1 proprio tramite le coordinatestereografiche. Per il calcolo dei simboli di Christoffel, e sufficiente conoscere

∂γgαβ =−16R4xγNδαβ

(‖xN‖2 +R2)3,

da cui si ricava

Γγαβ =1

2gγε(∂αgβε + ∂βgαε − ∂εgαβ)

=−2

‖xN‖2 +R2

(xαNδ

γβ + xβNδ

γα − x

γNδαβ

).

Proseguendo con i conti in coordinate stereografiche, si puo trovare l’espressione diRαβγδ. Per semplicita, riportiamo solo il tensore di Ricci. Si ha

Ricαβ =4R2(n− 2)

(‖xN‖2 +R2)2δαβ.

Si osservi che Ric = 1(n−2)R2 g. La curvatura scalare di Sn−1

R ⊂ Rn e data da

S = gαβRicαβ =(n− 1)(n− 2)

R2> 0

costante positiva. E noto che le geodetiche sono date dalle circonferenze di raggiomassimo. Per verificarlo, osserviamo che le rotazioni di Rn inducono delle isometrie

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5. ESEMPI DI VARIETA RIEMANNIANE 47

di (S, g) in se, pertanto possiamo ridurci a provare che la circonferenza di raggio mas-simo che parte dal polo nord con derivata parallela alla prima coordinata cartesiana euna geodetica. A meno di riparametrizzarla con velocita unitaria, tale circonferenzamassima σ : R→ S ⊂ Rn e data da

σ1(t) = R sin(t), σ2(t) = 0, . . . , σn−1(t) = 0, σn(t) = R cos(t).

Per provare che e una geodetica, possiamo utilizzare il fatto che la connessione suuna ipersuperficie e la proiezione (la componente tangente) della connessione dellospazio ambiente, cioe che

∇Sn−1

X Y =(∇RnX Y )> ,

e mostrare che (∇0σ′σ′) (σ(t)) = λσ(t), oppure possiamo scrivere le equazioni in coor-

dinate stereografiche e controllare le equazioni geodetiche. Preferiamo continuarecon i conti, scegliendo la seconda possibilita . La curva σ in coordinate stereograficheassume la semplice forma

xαN(t) = δα1R cos(t)

1− sin(t).

Derivando otteniamo

xαN(t) = δα1R

1− sin(t)e xαN = δα1

R cos(t)

(1− sin(t))2.

Poiche le componenti di σ sono quasi tutte nulle, le equazioni geodetiche si riduconoa provare xαN(t) + Γα11(σ(t))(x1

N(t))2 = 0, cioe

δα1R cos(t)

(1− sin(t))2− δα1

cos(t)

R

(R

1− sin(t)

)2

= 0,

di immediata verifica. Una volta noto il fatto che le geodetiche sono date dalle circon-ferenze di raggio massimoR, sappiamo calcolare la mappa esponenziale. Osserviamoche il raggio di iniettivita in p vale πR per ogni p ∈ Sn−1

R . Infatti da tale valore in poitutte le geodetiche di velocita unitaria uscenti da p si incontrano in −p.

ESEMPIO 5.0.7 (Spazi iperbolici). Vogliamo costruire un esempio di varieta rie-manniana completa a curvature sezionale costante negativa. Consideriamo l’apertodi Rn

Hn :=

(x1, . . . , xn) |xn > 0

e dotiamolo della metrica

gH :=c2

(xn)2geucl =

c2

(xn)2

n∑i=1

dxi ∧ dxi,

dove c > 0 e una costante fissata. La varieta riemanniana cosı costruita e denotata(Hn, gH) e prende il nome di spazio iperbolico. La metrica scelta e una trasforma-zione conforme della metrica euclidea, pertanto i simboli di Christoffel si calcolanofacilmente e sono dati da

Γkij = − 1

xn(δni δ

kj + δnj δ

ki − δijδkn

).

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48 5. ESEMPI DI VARIETA RIEMANNIANE

Da essi si ricava il tensore di curvatura, che tracciato genera

Ricij = −n− 1

(xn)2δij.

Di conseguenza la curvatura scalare e

S = −n(n− 1)

c2< 0.

La varieta riemanniana (H, gH) e completa e lo studio delle geodetiche e ben noto:fissiamo p = (pi) ∈ H e una direzione v = (vi) ∈ TpH ' Rn. Vogliamo calcolare latraiettoria della geodetica σvp uscente da p con velocita v, sorvolando sulla sua para-metrizzazione che sappiamo dover essere data dall’ascissa curvilinea rispetto gH. Leequazioni geodetiche per σ prendono la forma

σk = 2σnσk/σn, per k = 1, . . . , n− 1

σn =((σn)2 −

∑n−1r=1 (σr)2

)/σn

Dobbiamo distinguere due casi: se v e parallelo all’asse xn allora il supporto di σvp ela semiretta di Hn parallela all’asse xn e passante per p, infatti in questo primo casoσr = 0 per r = 1, . . . , n−1, quindi l’unica equazione geodetica non banale da verificaree

σn = (σn)2/σn. (5.0.3)

Usiamo il fatto che tale geodetica andra parametrizzata con ascissa curvilinea, ossia‖σ(t)‖2 = ‖v‖2 che, nel caso della retta verticale, diventa c2 (σn)2 = ‖v‖2(σn)2. Combi-nando tale equazione con la sua derivata σn = ‖v‖2σ/c2, otteniamo la (5.0.3), da cui latesi.

Supponiamo adesso che v non sia parallelo all’asse xn e ricaviamo il supporto diσvp . Sia π il 2–piano passante per p individuato dai vettori en := (0, . . . , 0, 1) e v. Sivuole provare che il supporto di σvp e la semicirconferenza ottenuta intersecando conH l’unica circonferenza contenuta in π, passante per p, tangente a v in p e che incontral’iperpiano xn = 0 formando un angolo retto. Prima di procedere con la dimostra-zione, osserviamo che la metrica gH e invariante rispetto alle isometrie euclidee diH che non variano l’ultima componente. Di conseguenza non e restrittivo assumerep = (0, . . . , 0, pn) e v = (v1, 0, . . . , 0, vn). Poiche la traiettoria delle geodetiche e inva-riante rispetto la lunghezza del vettore v, possiamo anche assumere v = (1, 0, . . . , 0, λ).Ci siamo di fatto ridotti al caso del piano iperbolico di coordinate (x, y) := (x1, xn). Lasemicirconferenza e data dalle equazioni xr = 0 per r = 2, . . . , n− 1 e da

(x− λpn)2 + y2 = (pn)2(1 + λ2), (5.0.4)

mentre la riparametrizzazione per lunghezza d’arco rispetto gH diventa

c2(x2 + y2

)= y2(1 + λ2). (5.0.5)

Si tratta solo piu di utilizzare le formule (5.0.4) e (5.0.5) per provare le equazioni geo-detiche. Per la forma dei simboli di Christoffel, alcune equazioni geodetiche sonobanalmente soddisfatte grazie all’annullarsi delle componenti della curva diverse da

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5. ESEMPI DI VARIETA RIEMANNIANE 49

x e y. Le equazioni che restano da verificare sonoyx = 2xy

yy = y2 − x2.

Riscriviamo la (5.0.4) come

y =√

(pn)2(1 + λ2)− (x− λpn)2, (5.0.6)

quindi deriviamo e facciamone il quadrato:

y2 =(x− λpn)2x2

(pn)2(1 + λ2)− (x− λpn)2.

Sostituiamo y2 utilizzando la (5.0.5) e semplifichiamo:

x2 =y2

(pn)2c2

((pn)2(1 + λ2)− (x− λpn)2

)=

y4

(pn)2c2.

Cio significa che la quantita x/y2 e costante e di conseguenza e sufficiente derivareper ottenere xy − 2xy = 0, che e la prima equazione richiesta. Dalla (5.0.6) e dal fattoche x = y2/(pn)2, otteniamo

y =(λpn − x)y

(pn)2e y =

(λpn − x)2y − y3

(pn)4,

quindi

yy =(λpn − x)2y2

(pn)4− y4

(pn)4= y2 − x2,

e ci siamo. Ci sono altri modelli per il piano iperbolico, ossia varieta riemanniane(N, h) isometriche a (H, gH), ciascuna delle quali si ottiene costruendo un diffeomorfi-smo ψ : N → H e ponendo su N la metrica h := ψ∗gH. Vediamo il piu celebre di questimodelli: il disco di Poincare. Sia

Dn :=

(y1, . . . , yn) ∈ Rn |

n∑i=1

(yi)2 < c

la palla aperta di Rn di raggio c e consideriamo la funzione

ψ : Dn → Hn

data in coordinate da

x1 =2c2y1∑n−1

β=1(yβ)2 − (yn − c)2

. . .

xn−1 =2c2yn−1∑n−1

β=1(yβ)2 − (yn − c)2

xn = cc2 −

∑nj=1(yj)2∑n−1

β=1(yβ)2 − (yn − c)2.

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50 5. ESEMPI DI VARIETA RIEMANNIANE

Tale funzione e un diffeomorfismo, con inversa data da

yβ =2c2xβ∑n

i=1(xi)2 + 2cxn + c2, per β = 1, . . . , n− 1

yn = c

∑ni=1(xi)2 − c2∑n

i=1(xi)2 + 2cxn + c2.

Ne segue che (Dn, gD) e isometrico a (Hn, gH) dove

gD = ψ∗gH =4c2(

c2 −∑n

j=1(yj)2)2

n∑i=1

dxi ⊗ dxi. (5.0.7)

Un terzo modello isometrico ottenibile mediante questa costruzione e dato dall’iper-boloide ellittico

Y n :=

z ∈ Rn+1 | (zn + 1)−

n∑i=1

zi = c2, zn+1 > 0

dotato della metrica indotta dallo spazio euclideo Rn+1.

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Parte 2

Geodetiche

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CAPITOLO 6

Teoria locale delle geodetiche

6.1. Geodetiche per una connessione lineare

In questo capitolo ci dedicheremo allo studio delle geodetiche, che sono, per unavarieta riemanniana, l’analogo dei segmenti per Rn. I risultati piu basilari, riguardantiperlopiu proprieta locali delle geodetiche, saranno richiamati senza le dimostrazioni;per una trattazione piu dettagliata, si puo consultare [1].

DEFINIZIONE 6.1.1. Sia ∇ una connessione lineare su una varieta M , e sia D la cor-rispondente derivata covariante. Una curva liscia γ : I → M (con I intervallo di R) e unageodetica per∇ se D(γ) = 0.

In coordinate locali, detta γ(t) = γk(t) ∂∂xk|γ(t), l’espressione per D(γ) e la seguente:

D

(γk

∂xk

∣∣∣γ

)(t) = γk(t)

∂xk

∣∣∣γ(t)

+ γk(t) γj(t) Γljk(γ(t))∂

∂xl

∣∣∣γ(t)

=(γk(t) + Γkjl(γ(t)) γj(t) γl(t)

) ∂

∂xk

∣∣∣γ(t).

Di conseguenza,D(γ) e identicamente nulla se e solo se γ e una soluzione del seguentesistema di equazioni differenziali ordinarie:

γk(t) + Γkjl(γ(t)) γj(t) γl(t) = 0 per k = 1, . . . , n.

A partire da questa osservazione, sfruttando i classici risultati di esistenza e unicitaper equazioni differenziali ordinarie, si dimostra il seguente teorema.

TEOREMA 6.1.2. Sia ∇ una connessione lineare su M . Fissati p ∈ M e v ∈ TpM ,esiste una e una sola geodetica massimale γv : [0, a) → M di classe C∞ tale che γv(0) = p eγv(0) = v.

Alla luce di questo risultato, denotiamo d’ora in avanti con γv la geodetica massi-male uscente da p con velocita iniziale v. Osserviamo che, per ogni λ ∈ R, la curvaσ(t) = γv(λt) e a sua volta una geodetica (si tratta di una verifica diretta della Defini-zione 6.1.1) ed esce da p con velocita λv. Di conseguenza, γλv(t) = γv(λt). Geometrica-mente, questo significa che, se due geodetiche escono da uno stesso punto con velocitauna multipla dell’altra, allora ciascuna si ottiene dall’altra tramite una riparametriz-zazione affine. In particolare, se γv e definita almeno fino a un tempo τ > 0, alloraγτv e definita almeno fino al tempo 1. Come vedremo all’inizio della Sezione 6.2, legeodetiche relative alla connessione di Levi–Civita di una varieta riemanniana hannosempre velocita costante.

ESEMPIO 6.1.3. Determiniamo le geodetiche su due varieta riemanniane partico-larmente semplici: Rn e Sn (con le metriche standard e le relative connessioni di Levi–Civita). Nel caso di Rn, i simboli di Christoffel sono identicamente nulli; pertanto,

53

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54 6. TEORIA LOCALE DELLE GEODETICHE

l’equazione delle geodetiche si riduce a

γk(t) = 0 per k = 1, . . . , n.

Le soluzioni di quest’equazione, cioe le geodetiche su Rn, sono date dalle rette affini.Leggermente piu complicato e il caso di Sn, che conviene immaginare come sottova-rieta riemanniana di Rn+1 nel modo usuale. Siano p un punto di Sn e v un vettore nonnullo in TpSn. Indichiamo con π il 2–piano di Rn+1 contenente 0, p e la retta per l’ori-gine con direzione v. La riflessione φ rispetto al piano π, ristretta a Sn, e un’isometriadi Sn in se stesso che fissa p e v. Quindi, per unicita delle geodetiche, φ deve mandareγv (la geodetica uscente da p con velocita iniziale v) in se stessa. Il luogo di punti fissidi φ e π ∩ Sn ∼= S1. Pertanto, la geodetica γv deve percorrere la circonferenza π ∩ Sncon velocita costante |v|.

Definiamo ora l’insieme

E = v ∈ TM | γv e definita almeno fino al tempo 1e l’applicazione exp: E →M , chiamata mappa esponenziale, data da

exp(v) = γv(1).

In seguito indicheremo con expp la restrizione di exp a E∩TpM , per un qualsiasi p ∈M .

TEOREMA 6.1.4. Sia ∇ una connessione lineare su M .(1) E e un intorno aperto di M in TM , ed exp: E →M e di classe C∞.(2) Per ogni p ∈M e v ∈ TpM , la geodetica massimale uscente da p con velocita iniziale

v e data da γv(t) = expp(tv).

Il differenziale di expp nell’origine 0p di TpM risulta particolarmente semplice dacalcolare: identificando T0pTpM con TpM nel modo canonico, risulta infatti che

d expp(0p)[v] =d

dtexpp(tv)

∣∣∣t=0

=d

dtγv(t)

∣∣∣t=0

= γv(0) = v.

In altre parole, d expp(0p) e l’identita di TpM . Di conseguenza, applicando il teoremadi inversione locale, si ottiene il seguente risultato.

PROPOSIZIONE 6.1.5. Sia ∇ una connessione lineare su M . Per ogni p ∈ M esiste unintorno Vp di 0p in TpM tale che, detto Up = expp(Vp), la restrizione di expp a Vp sia undiffeomorfismo tra Vp e Up.

6.2. Coordinate normali, coordinate polari e lemma di Gauss

Nel seguito saremo sempre interessati al caso in cui ∇ sia la connessione di Levi–Civita di una metrica riemanniana. Di conseguenza, d’ora in poi si assumera sempreche (M, g) sia una varieta riemanniana e che∇ sia la sua connessione di Levi–Civita.

Le geodetiche su una varieta riemanniana sono sempre parametrizzate per unmultiplo della lunghezza d’arco, ovvero hanno velocita costante. Cio puo essere diret-tamente verificato derivando |γ|2 rispetto al tempo, dove γ e una qualsiasi geodetica:

d

dt|γ(t)|2 =

d

dtgγ(t)

(γ(t), γ(t)

)= 2gγ(t)

((Dγ)(t), γ(t)

)= 0;

nella seconda uguaglianza si e usata la compatibilita della connessione di Levi–Civitacon la metrica, mentre nella terza si e usata la definizione di geodetica.

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6.2. COORDINATE NORMALI, COORDINATE POLARI E LEMMA DI GAUSS 55

Dalla Proposizione 6.1.5 si deduce che, per ε sufficientemente piccolo, la mappaesponenziale ristretta alla palla Bε(0p) ⊆ TpM e un diffeomorfismo con l’immagine.Definiamo allora il raggio di iniettivita di p:

injrad(p) = supε > 0 | expp e un diffeomorfismo tra Bε(0p) e la sua immagine.Per ε < injrad(p), l’immagine di Bε(0p) tramite la mappa esponenziale si dice pallageodetica. Analogamente, l’immagine di ∂Bε(0p) si dice sfera geodetica. Infine, l’imma-gine di un intorno stellato di 0p su cui expp e un diffeomorfismo si dice intorno normaledi p.

Il fatto che la mappa esponenziale sia un diffeomorfismo in un intorno dell’origineconsente di definire delle particolari coordinate su M , chiamate coordinate normali. Siap ∈ M , e sia B = e1, . . . , en una base ortonormale di TpM rispetto alla metricagp. Sia inoltre Φ: TpM → Rn l’isomorfismo lineare dato dalla scrittura in coordinaterispetto alla base B. Allora, detto Up l’intorno di p definito nella Proposizione 6.1.5, lecoordinate

(x1, . . . , xn)(q) = Φ(exp−1

p (q))

per q ∈ Upsi dicono coordinate normali centrate in p. Come ora vedremo, in coordinate normalila metrica assume, nel punto p, una forma particolarmente semplice.

PROPOSIZIONE 6.2.1. In coordinate normali rispetto a un punto p ∈ M , valgono leseguenti identita :

(1) gij(p) = δij ;(2) Γkij(p) = 0;(3) ∂

∂xkgij(p) = 0.

DIMOSTRAZIONE. Sia B = (e1, . . . , en) la base ortonormale scelta di TpM . Comin-ciamo con la verifica della prima relazione:

gij(p) = gp

(∂

∂xi

∣∣∣p,∂

∂xj

∣∣∣p

)= gp

((d expp)0p(ei), (d expp)0p(ej)

)= gp(ei, ej) = δij.

Osserviamo ora che la geodetica γv, uscente da p con velocita iniziale v = vj ∂∂xj

, siscrive in coordinate normali nel modo seguente:

γjv(t) = t vj.

Sostituendo questa scrittura nell’equazione delle geodetiche, e valutandola per t = 0,si trova:

Γkij(p) vivj = 0;

poiche questo ragionamento si applica per qualsiasi v ∈ TpM , si deduce che Γkij(p) = 0.La terza relazione, infine, si ottiene dalla seconda utilizzando la formula (3.2.7).

Una conseguenza di questo risultato e che, al prim’ordine, non e possibile distin-guere g dalla metrica piatta. Ovviamente non esistono sempre delle coordinate in cuianche le derivate seconde della metrica si annullano, dal momento che le derivateseconde sono legate alla curvatura.

Lo spazio tangente TpM e a sua volta dotato di una struttura di varieta riemannia-na, con la metrica piatta gp (mediante l’identificazione canonica di Tv(TpM) con TpMper ogni v ∈ TpM ). In generale non ci si puo aspettare che la mappa esponenziale sia

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56 6. TEORIA LOCALE DELLE GEODETICHE

anche un’isometria tra Vp e Up, in quanto la metrica di M in un intorno di p non e ne-cessariamente piatta. Tuttavia conserva i prodotti scalari con vettori “radiali”, comeasserisce il seguente lemma.

LEMMA 6.2.2 (Gauss). Siano p ∈M e v ∈ Vp. Allora, per ogni w ∈ TpM , si ha che

g expp(v)

(d expp(v)[v], d expp(v)[w]

)= gp(v, w).

Un’interpretazione del Lemma di Gauss e data dall’esistenza di un altro parti-colare sistema di coordinate locali: le coordinate polari riemanniane. Per costruirle,fissiamo un punto p ∈ M e chiamiamo Ψ: (0, ε) × Sn−1 → Bε(p) \ p la mappa datada

Ψ(r, v) = expp(rv),

per un qualche fissato ε < injrad(p). Definiamo allora le coordinate polari riemannia-ne su un sottoinsieme di Bε(p) \ p, componendo Ψ−1 con una qualsiasi carta localeξ per Sn−1:

(r, θ1, . . . , θn−1)(q) = ξ(Ψ(q)).

Per esempio, si puo prendere come carta per Sn−1 la proiezione stereografica ξ : Sn−1 \w → Rn−1; in questo caso, le coordinate polari riemanniane non risultano definitesui punti di Bε(p) appartenenti alla geodetica uscente da p con velocita iniziale w.

A livello di notazione, indichiamo con r l’indice relativo alla coordinata radiale r,e con j ∈ 1, . . . , n − 1 l’indice relativo alle coordinate angolari θ1, . . . , θn−1 su Sn−1.L’utilita delle coordinate polari riemanniane e data dalla seguente proposizione, chenon e altro se non una semplice rilettura del Lemma di Gauss.

PROPOSIZIONE 6.2.3. In coordinate polari riemanniane (r, θ1, . . . , θn−1) rispetto a unpunto p ∈M , si ha che:

(1) grr = 1;(2) grj = 0 per j = 1, . . . , n− 1.

La metrica si puo dunque scrivere localmente come

g = dr ⊗ dr + gij dθi ⊗ dθj.

6.3. La distanza riemanniana

Sia (M, g) una varieta riemanniana. Data una curva σ : [a, b] → M di classe C1 atratti, definiamo la sua lunghezza come

L(σ) =

∫ b

a

|σ(t)| dt.

Dalla nozione di lunghezza di curve discende in modo naturale una nozione di di-stanza tra punti della varieta ; tale distanza e definita in questo modo:

d(p, q) = infL(σ) | σ : [a, b]→M di classe C1 a tratti con σ(a) = p, σ(b) = q

.

Il seguente teorema ci assicura che abbiamo effettivamente dotato M di una strut-tura di spazio metrico, e che tale struttura e compatibile con la struttura di varieta.

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6.3. LA DISTANZA RIEMANNIANA 57

TEOREMA 6.3.1. La funzione d appena definita e effettivamente una distanza su M , chia-mata distanza riemanniana, e la topologia indotta da d coincide con la topologia di M comevarieta . Inoltre, se p ∈ M e 0 < ε < injrad(p), la palla geodetica expp(Bε(0p)) coincide conla palla centrata in p di raggio ε rispetto alla distanza d.

Indicheremo d’ora in avanti con Bε(p) la palla geodetica expp(Bε(0p)) centrata inp e di raggio ε, per ε < injrad(p). Il fatto che Bε(p) coincida con la palla riemannia-na e conseguenza del Lemma di Gauss: si puo verificare che, in coordinate polaririemanniane, r(q) e proprio la distanza tra p e q.

Una curva σ : [a, b] → M , di classe C1 a tratti, e detta minimizzante se non vi sonocurve piu corte da σ(a) a σ(b), ovvero se L(σ) = d(a, b). Una curva σ (con le medesimeipotesi di regolarita ) si dice localmente minimizzante se, per ogni t ∈ (a, b), esiste ε > 0tale che σ|[t−ε , t+ε] sia minimizzante.

OSSERVAZIONE 6.3.2. Se σ : [a, b] → M e minimizzante, e anche localmente mini-mizzante. Infatti, se per qualche t, s ∈ [a, b] esistesse una curva τ da σ(t) e σ(s) piucorta di σ|[t,s], allora la curva

γ(u) =

σ(u) per u ∈ [a, b] \ [t, s]

τ(u) per u ∈ [t, s]

sarebbe piu corta di σ.

Le definizioni date ci consentono di enunciare il seguente fondamentale risultato.

TEOREMA 6.3.3. Una curva γ di classe C1 a tratti a valori in M e una geodetica se e solose e localmente minimizzante ed e parametrizzata per un multiplo della lunghezza d’arco.

Si noti che una geodetica e in particolare una curva di classe C∞; di conseguenza,una curva C1 a tratti localmente minimizzante e necessariamente liscia in tutti i punti.

Senza scendere nei dettagli, presentiamo sommariamente le idee principali cheportano alla dimostrazione del Teorema 6.3.3. Supponiamo che γv sia la geodeticauscente da p con velocita iniziale v. In coordinate polari (r, θ) centrate in p si ha che

r(γv(t)) = r(expp(tv)) = tv.

Ora, r(γv(t)) coincide con la distanza tra p e γv(t) per il Teorema 6.3.1; inoltre tv eproprio la lunghezza di γv da p a γv(t), perche le geodetiche hanno velocita costan-te. Dunque γv e minimizzante da p a q = γv(t) fino a quando la distanza di q da pnon supera il raggio di iniettivita di p. Per dimostrare il viceversa si impone che lalunghezza di γ non diminuisca qualora γ sia sottoposta a piccole variazioni: l’essereun punto critico del funzionale lunghezza risulta equivalente al risolvere l’equazionedelle geodetiche.

OSSERVAZIONE 6.3.4. Si puo definire piu in generale la lunghezza di una curvacontinua σ : [a, b]→ X , dove (X, d) e un qualsiasi spazio metrico, come

L(σ) = supd(σ(t0), σ(t1)

)+ d(σ(t1), σ(t2)

)+ · · ·+ d

(σ(tk−1), σ(tk)

),

dove l’estremo superiore e calcolato al variare di k ∈ N e di a = t0 < t1 < · · · < tk = b.Data questa definizione, e possibile migliorare l’enunciato del Teorema 6.3.3: una

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58 6. TEORIA LOCALE DELLE GEODETICHE

qualsiasi curva continua e localmente minimizzante a valori in una varieta rieman-niana e, a meno di riparametrizzazione, una geodetica. Questo fatto e conseguenzadel seguente lemma.

LEMMA 6.3.5. Sia (M, g) una varieta riemanniana, e sia σ : [a, b] → M una curva con-tinua. Se σ e localmente minimizzante, allora a meno di riparametrizzazione continua e diclasse C1 a tratti.

DIMOSTRAZIONE. E sufficiente dimostrare che, per ogni t ∈ [a, b], esiste ε tale cheσ|[t,t+ε) e σ|(t−ε,t] siano di classe C1 a meno di riparametrizzazione. Lo dimostriamoper σ|[t,t+ε), supponendo che t sia diverso da b; l’altro caso e analogo.

Sia p = σ(t), e sia q = σ(s) un punto appartenente ad un intorno normale di p, cons > t e tale che σ sia minimizzante su [t, s]. Chiamiamo σ la restrizione di σ a [t, s]. Siaγ l’unica geodetica minimizzante da p a q (esistenza e unicita sono garantite percheq appartiene ad un intorno normale di p). Allora L(σ) = L(γ), poiche entrambe lecurve sono minimizzanti. Se l’immagine di σ coincide con l’immagine di γ, alloraσ e una riparametrizzazione di γ e abbiamo concluso (σ non puo “tornare indietro”,perche non sarebbe minimizzante). Altrimenti, esiste r = σ(u) con t < u < s chenon appartiene all’immagine di γ. Per compattezza di [t, s], esistono t = t1 < · · · <th = u < th+1 < · · · < tk = s per cui degli opportuni intorni normali U1, . . . , Uk diσ(t1), . . . , σ(tk) costituiscono un ricoprimento dell’immagine di σ. Siano si ∈ (ti, ti+1)tali che σ(si) ∈ Ui ∩ Ui+1 per 1 ≤ i ≤ k − 1. Consideriamo allora la curva σ checoincide con σ sui ti e sugli si, e che sugli intervalli [ti, si] ed [si, ti+1] coincida conle uniche geodetiche minimizzanti (opportunamente parametrizzate). La lunghezzadi σ e minore o uguale a quella σ per costruzione; essendo σ minimizzante, le duelunghezze devono essere uguali. Osserviamo ora che σ e una curva di classeC1 a trattie minimizzante da p a q; dunque, per il Teorema 6.3.3, e una geodetica minimizzante.Ma γ e l’unica geodetica minimizzante da p a q, ed e diversa da σ perche non passaper r. Questo e un assurdo.

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CAPITOLO 7

Teoria globale delle geodetiche

7.1. Completezza e teorema di Hopf–Rinow

Le proprieta delle geodetiche prese in considerazione finora sono esclusivamentedi natura locale. Molti risultati rilevanti in geometria riemanniana si ottengono tut-tavia studiando le “geodetiche lunghe”, esaminando cioe le geodetiche anche da unpunto di vista globale. A tal proposito e utile introdurre il concetto di completezza diuna varieta riemanniana.

DEFINIZIONE 7.1.1. Una varieta riemanniana (M, g) e geodeticamente completa se qual-siasi geodetica γ : [a, b]→M puo essere estesa a una geodetica γ : R→M .

Osserviamo che, per il teorema di esistenza e unicita delle soluzioni per equazionidifferenziali ordinarie, qualsiasi geodetica γ definita su un intervallo chiuso [a, b] puoessere estesa a una geodetica definita su un intorno (a − ε, b + ε). Non e tuttaviagarantito che sia possibile estenderla a tutto R: per esempio, se M = Rn \ 0 (con lametrica piatta indotta da Rn) e x appartiene a M , la geodetica γ(t) = tx definita su[1, 2] non si puo estendere a t = 0; la geodetica, infatti, per t = 0 dovrebbe passaredall’origine, che tuttavia non appartiene a M . Piu in generale, rimuovendo un puntoda una qualsiasi varieta riemanniana si ottiene (per lo stesso motivo) una varieta nongeodeticamente completa. D’altra parte e facile verificare, per esempio, che Rn conla metrica piatta e Sn con la metrica standard sono entrambe varieta geodeticamentecomplete.

TEOREMA 7.1.2 (Hopf–Rinow). Data una varieta riemanniana (M, g), i seguenti fattisono equivalenti.

(1) (M, g) e geodeticamente completa.(2) La mappa esponenziale exp e definita su tutto TM .(3) Esiste un punto p ∈M tale che expp sia definita su tutto TpM .(4) (M,d) e completa come spazio metrico, con la distanza riemanniana.(5) I sottoinsiemi chiusi e limitati di M sono compatti.

Sebbene la completezza geodetica sia equivalente alla completezza in senso me-trico, non e vero che una qualsiasi varieta riemanniana non completa possa esserecompletata nello stesso modo in cui si possono completare gli spazi metrici. Comeesempio, si consideri il “cono senza vertice”

M = (x, y, z) ∈ R3 | x2 + y2 = z2, z > 0,con la metrica indotta dalla metrica piatta di R3. Il completamento di M come spaziometrico e dato da M = M ∪ p, dove p e il vertice del cono. Supponiamo per assur-do che M ammetta una struttura di varieta riemanniana che estenda quella di M ecompatibile con la metrica. La curvatura scalare in tutti i punti di M e nulla, quindi

59

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60 7. TEORIA GLOBALE DELLE GEODETICHE

deve essere nulla anche in p, per continuita . AlloraM e una superficie semplicementeconnessa, completa (per il teorema di Hopf–Rinow) e con curvatura scalare nulla intutti i punti. Questo e sufficiente per concludere che e isometrica a R2 con la metricapiatta (vedi Teorema 9.1.2). Allora M dovrebbe essere isometrica a R2 \ 0; cio e fal-so perche su M ci sono coppie di punti collegati da piu di una geodetica, mentre inR2 \ 0 questo non succede.

PROPOSIZIONE 7.1.3. In una varieta riemanniana completa (M, g), per ogni coppia dipunti p, q esiste una geodetica minimizzante che li congiunge.

DIMOSTRAZIONE. Sia (σk)k∈N una successione di curve di classe C1 a tratti checongiungono p e q, definite su [0, 1] e parametrizzate per un multiplo della lunghezzad’arco, tali che le lunghezze `k = L(σk) convergano a ` = d(p, q) per k → ∞. Si notiche la velocita di σk e in modulo uguale a `k (nei punti di regolarita ).

La famiglia di curve S = σkk∈N e equilipschitziana, perche le velocita sono limi-tate in modulo da m = max`kk∈N. E anche puntualmente relativamente compatta,perche σk(t) appartiene alla palla di centro p e raggio m (rispetto alla distanza rie-manniana), e le palle sono relativamente compatte per il teorema di Hopf–Rinow.Sono pertanto soddisfatte le ipotesi del teorema di Ascoli–Arzela, per cui S e relativa-mente compatto rispetto alla topologia compatto–aperta. Di conseguenza, a meno disottosuccessioni, σk converge uniformemente a a una curva continua σ.

Dati 0 < s < t < 1, si ha che

d(σk(s), σk(t)) ≤ L(σk|[s,t]) = (t− s)`k;passando al limite per k →∞ si ottiene

d(σ(s), σ(t)) ≤ (t− s)`.Allora la lunghezza di σ risulta, per definizione, minore o uguale a `; quindi σ eminimizzante. Di conseguenza, per l’Osservazione 6.3.4, σ e una geodetica minimiz-zante.

7.2. Energia

I risultati visti consentono di caratterizzare le geodetiche come quelle curve che,localmente, minimizzano la distanza tra i punti della varieta . Si pone allora in modonaturale il problema di stabilire sotto quali condizioni le geodetiche smettano di es-sere minimizzanti. Ad esempio, su Rn questo non succede mai; su Sn, invece, tutte legeodetiche uscenti dal polo nord smettono di essere minimizzanti non appena supe-rano il polo sud. Nell’ottica di trovare le condizioni di minimalita per le geodetiche,cominceremo parlando del funzionale energia e dei campi di Jacobi. D’ora in avantilavoreremo solo con varieta riemanniane complete, in modo che le geodetiche sianodefinite su tutto R.

Il funzionale lunghezza ha la proprieta di essere invariante per riparametrizzazio-ne delle curve; cio risulta scomodo quando se ne studiano i minimi, a causa della per-dita di compattezza. Per questo motivo conviene introdurre un secondo funzionale,l’energia di una curva: data γ : [a, b]→M , definiamo

E(γ) =1

2

∫ b

a

|γ(t)|2dt.

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7.2. ENERGIA 61

Come si puo facilmente verificare, l’energia non e invariante per riparametrizzazione.Di conseguenza non e ragionevole studiare i minimi di E al variare di tutte le curve aestremi fissati, mentre possiamo farlo fissando anche l’intervallo che viene utilizzatoper parametrizzare le curve. Dati due punti p, q ∈M e un intervallo [a, b] ⊆ R, sia

Ωa,bp,q = γ : [a, b]→M | γ(a) = p, γ(b) = q.

Energia e lunghezza di una curva γ ∈ Ωa,bp,q sono tra loro legate. Infatti, applicando

la disuguaglianza di Cauchy–Schwarz, si ottiene:

2E(γ) =

(∫ b

a

|γ(t)|2dt)·(

1

b− a

∫ b

a

1 dt

)≥ 1

b− a

(∫ b

a

|γ(t)|dt)2

=

(L(γ)

)2

b− a.

L’uguaglianza, inoltre, si ha se e solo se |γ|2 e proporzionale a 1, cioe se e solo se γ eparametrizzata per un multiplo della lunghezza d’arco. Cio significa che, a lunghezzafissata, l’energia e minima quando la curva e parametrizzata per un multiplo dellalunghezza d’arco.

Il legame tra minimi del funzionale lunghezza e minimi del funzionale energia eulteriormente precisato nella seguente proposizione.

PROPOSIZIONE 7.2.1. Sia γ una curva in Ωa,bp,q. Allora γ minimizza E su Ωa,b

p,q se e solo seminimizza L ed e parametrizzata per un multiplo della lunghezza d’arco.

DIMOSTRAZIONE. Abbiamo gia visto che, se γ minimizza E, allora e parametriz-zata per un multiplo della lunghezza d’arco. Le curve γ parametrizzate per lunghezzad’arco sono caratterizzate dalla relazione

2E(γ) =

(L(γ)

)2

b− a.

Di conseguenza, i minimi dell’energia coincidono con i minimi della lunghezza.

Prima di proseguire, enunciamo un risultato tecnico che sara utile poco piu avanti.Come notazione, se H : N → M e una funzione liscia tra varieta, indichiamo conT (H) l’insieme dei campi di vettori lungo H (ovvero le sezioni del fibrato pull–backH∗(TM)). Osserviamo che, se X ∈ Γ(TN), possiamo definire un campo X ∈ T (H)nel seguente modo:

Xp = dHp(Xp).

LEMMA 7.2.2. Siano (M, g) una varieta riemanniana ed N una varieta liscia. Sia inoltreH : N →M una funzione di classeC∞. Esiste ed e unico un operatore∇ : Γ(TN)×T (H)→T (H), per il quale utilizziamo la notazione (X, Y ) 7→ ∇XY , che soddisfa le seguenti proprieta:

(1) e C∞(N)-lineare nella prima componente;(2) e R-lineare nella seconda componente, e soddisfa la regola di Leibniz

∇X(fY ) = X(f)Y + f ∇XY ∀ f ∈ C∞(N);

(3) se Y e localmente estendibile in un intorno U di p ∈ N , ovvero esiste Y ∈ Γ(TM)

tale che Y (q) = Y (H(q)) per ogni q ∈ U , allora

(∇XY )p =(∇dHp(Xp)Y

)H(p)

.

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62 7. TEORIA GLOBALE DELLE GEODETICHE

Inoltre, l’operatore∇ soddisfa le seguenti altre proprieta :

(4) ∇XY −∇YX = [X, Y ] ∀X, Y ∈ C∞(N);(5) X

(g(Y, Z)

)= g(∇XY, Z) + g(Y,∇XZ) ∀X ∈ C∞(N) e Y, Z ∈ T (H);

(6) R(X,Y )Z = ∇Y∇XZ −∇X∇YZ +∇[X,Y ]Z ∀X, Y ∈ C∞(N) e Z ∈ T (H).

Si noti che l’operatore ∇ introdotto nel precedente lemma e una connessione sulfibrato H∗(TM) (per le proprieta (1) e (2)).

Torniamo ora allo studio dei minimi dell’energia. In tal senso e utile introdurre ilconcetto di variazione.

DEFINIZIONE 7.2.3. Sia γ : [a, b]→M una curva. Una variazione di γ e un’applicazionedi classe C∞

H : [a, b]× (−ε, ε)→M

tale che H(s, 0) = γ(s) per ogni s ∈ [a, b].

Data una variazione H , indichiamo per comodita con γt : [a, b]→ M la curva defi-nita da γt(s) = H(s, t). L’idea e che la variabile t ∈ (−ε, ε) parametrizzi una famigliadi curve “vicine” a γ, mentre s ∈ [a, b] parametrizza ciascuna delle curve.

Su [a, b] × (−ε, ε) sono definiti i due campi di vettori ∂∂s

e ∂∂t

, che in ogni punto(s, t) formano, insieme, una base dello spazio tangente. Le loro immagini tramite dHdanno due campi di vettori definiti lungo H , che chiamiamo ∂

∂se ∂∂t

, conformementealle notazioni di prima:

∂s(s, t) = dH(s,t)

(∂

∂s(s, t)

),

∂t(s, t) = dH(s,t)

(∂

∂t(s, t)

)Il campo ∂

∂se dato dalla velocita della curva γt al tempo s, cioe γt. Il campo ∂

∂tindica

invece la velocita con cui sta variando la curva γt al tempo fissato s.

OSSERVAZIONE 7.2.4. Data una variazione H di γ, ad essa e associato il campo divettori lungo γ dato da Y (s) = ∂

∂t(s, 0). Tale campo codifica la velocita con cui si sta

variando ogni punto della curva γ. Viceversa, dato un campo di vettori Y lungo γ, sipuo costruire la variazione data da

H(s, t) = expγ(s)(t Y (s));

il campo ∂∂t

associato a tale variazione e coincide effettivamente con Y per t = 0: ognipunto di γ viene variato lungo la geodetica uscente con velocita iniziale data da Y .Inoltre, ad una variazione a estremi fissati (cioe con H(a, t) = γ(a) e H(b, t) = γ(b) perogni t) corrisponde un campo Y lungo γ con Y (a) = 0 e Y (b) = 0.

Nei calcoli tenderemo ad omettere la valutazione in s e t, per esempio scrivendo∂∂s

al posto di ∂∂s

(s, t), per non appesantire la notazione. Indicheremo inoltre con Ds laderivata covariante lungo le curve γt (per le quali il parametro che varia e s) e con Dt

la derivata covariante lungo le curve γs.

OSSERVAZIONE 7.2.5. Se X e un campo di vettori lungo H , allora

∇ ∂∂sX = DsX e ∇ ∂

∂tX = DtX.

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7.2. ENERGIA 63

Infatti, l’operatore X 7→ ∇ ∂∂sX soddisfa le proprieta della derivata covariante lungo

le curve γt (per il Lemma 7.2.2), dunque deve coincidere con essa. Lo stesso vale perla seconda uguaglianza.

PROPOSIZIONE 7.2.6 (Variazione prima del funzionale energia). Sia γ : [a, b] → Muna curva, con (M, g) varieta riemanniana. Sia H una variazione di γ, e sia Y il campo divettori lungo γ associato alla variazione H . Allora

d

dtE(γt)

∣∣∣t=0

= g(Y, γ)∣∣∣s=bs=a−∫ b

a

g(Y,Dsγ) ds.

In particolare, se H e una variazione a estremi fissati,

d

dtE(γt)

∣∣∣t=0

= −∫ b

a

g(Y,Dsγ) ds.

DIMOSTRAZIONE. Dalle definizioni segue immediatamente che

d

dtE(γt) =

d

dt

1

2

∫ b

a

g(γt, γt) ds =d

dt

1

2

∫ b

a

g

(∂

∂s,∂

∂s

)ds =

1

2

∫ b

a

d

dtg

(∂

∂s,∂

∂s

)ds.

Dato che[∂∂s, ∂∂t

]= 0, per la proprieta (4) del Lemma 7.2.2 si ha che Dt

∂∂s

= Ds∂∂t

.Quindi, per la compatibilita tra la metrica e la derivata covariante, si ha che

1

2

∫ b

a

d

dtg

(∂

∂s,∂

∂s

)ds =

∫ b

a

g

(Dt

∂s,∂

∂s

)ds =

∫ b

a

g

(Ds

∂t,∂

∂s

)ds

=

∫ b

a

(d

dsg

(∂

∂t,∂

∂s

)− g

(∂

∂t,Ds

∂s

))ds

= g

(∂

∂t,∂

∂s

) ∣∣∣s=bs=a−∫ b

a

g

(∂

∂t,Ds

∂s

)ds.

Mettendo insieme le due catene di uguaglianze e valutando in t = 0 si ottiene latesi.

Una conseguenza di questa Proposizione e che, se γ e una curva minimizzante perE su Ωa,b

p,q, allora ∫ b

a

g(Y,Dsγ) ds = 0

per ogni campo Y lungo γ che sia nullo agli estremi. Da cio si deduce facilmente cheDsγ = 0, ovvero che γ e una geodetica. Con la Proposizione 7.2.1, questo ragiona-mento fornisce una dimostrazione di una delle due implicazioni del Teorema 6.3.3 (lecurve minimizzanti con velocita costante sono geodetiche).

Una geodetica minimizzante a estremi fissati deve soddisfare anche la seguentecondizione sulla derivata seconda dell’energia:

d2

dt2E(γt)

∣∣∣t=0≥ 0 per qualsiasi variazione H di γ.

Pertanto siamo interessati a ricavare anche una formula per la variazione seconda del-l’energia, quantomeno nel caso in cui γ sia una geodetica. Per comodita di notazione,indichiamo DsY con Y ′.

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64 7. TEORIA GLOBALE DELLE GEODETICHE

PROPOSIZIONE 7.2.7 (Variazione seconda del funzionale energia). Siano (M, g) unavarieta riemanniana e γ : [a, b] → M una geodetica. Sia H una variazione di γ, e sia Y ilcampo di vettori lungo γ associato alla variazione H . Allora

d2

dt2E(γt)

∣∣∣t=0

= g

(γ, Dt

∂t

∣∣∣t=0

) ∣∣∣s=bs=a

+

∫ b

a

(|Y ′|2 −R(γ, Y, γ, Y )

)ds.

In particolare, se H e una variazione a estremi fissati,

d2

dt2E(γt)

∣∣∣t=0

=

∫ b

a

(|Y ′|2 −R(γ, Y, γ, Y )

)ds.

DIMOSTRAZIONE. Cominciamo con alcuni passaggi analoghi a quelli svolti perricavare la variazione prima dell’energia:

d2

dt2E(γt) =

1

2

∫ b

a

d2

dt2g(γt, γt) ds =

1

2

∫ b

a

d2

dt2g

(∂

∂s,∂

∂s

)ds

=

∫ b

a

g

(Dt

∂s,Dt

∂s

)ds +

∫ b

a

g

(DtDt

∂s,∂

∂s

)ds.

Ricordando la relazione Ds∂∂t

= Dt∂∂s

, il primo dei due integrali diventa, valutato pert = 0: ∫ b

a

g

(Dt

∂s,Dt

∂s

)ds∣∣∣t=0

=

∫ b

a

g

(Ds

∂t,Ds

∂t

)ds∣∣∣t=0

=

∫ b

a

g(DsY,DsY ) ds =

∫ b

a

|Y ′|2 ds.

Riscriviamo ora il secondo integrale, scambiando le derivate covarianti (il che com-porta la comparsa di un termine di curvatura, per la proprieta (6) del Lemma 7.2.2):∫ b

a

g

(DtDt

∂s,∂

∂s

)ds =

∫ b

a

g

(DtDs

∂t,∂

∂s

)ds

=

∫ b

a

g

(DsDt

∂t,∂

∂s

)ds−

∫ b

a

g

(R

(∂

∂t,∂

∂s

)∂

∂t,∂

∂s

)ds

=

∫ b

a

d

dsg

(Dt

∂t,∂

∂s

)ds−

∫ b

a

g

(Dt

∂t,Ds

∂s

)ds−

∫ b

a

R

(∂

∂t,∂

∂s,∂

∂t,∂

∂s

)ds

= g

(Dt

∂t,∂

∂s

) ∣∣∣s=bs=a−∫ b

a

g

(Dt

∂t,Ds

∂s

)ds−

∫ b

a

R

(∂

∂s,∂

∂t,∂

∂s,∂

∂t

)ds.

Valutando in t = 0, l’addendo intermedio si annulla (perche γ e una geodetica); siottiene quindi

d2

dt2E(γt)

∣∣∣t=0

= g

(γ, Dt

∂t

∣∣∣t=0

) ∣∣∣s=bs=a−∫ b

a

R (γ, Y, γ, Y ) ds,

e si ha la tesi. Se H e una variazione a estremi fissati, il termine di bordo si annullaperche dH(s,a)

(∂∂t

)= 0 e dH(s,b)

(∂∂t

)= 0.

Coerentemente con la notazione che gia abbiamo utilizzato, indichiamo DsY′ con

Y ′′, per un qualsiasi campo di vettori Y lungo una curva.

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7.3. CAMPI DI JACOBI 65

7.3. Campi di Jacobi

DEFINIZIONE 7.3.1. Sia γ : [a, b] → M una curva. Sullo spazio vettoriale dei campi divettori lungo γ nulli agli estremi, definiamo la forma indice in questo modo:

I(X, Y ) = −∫ b

a

g(X, Y ′′ +R(γ, Y )γ

)ds.

La forma indice I(X, Y ) e una forma bilineare, la cui forma quadratica associata ela seguente:

I(Y, Y ) = −∫ b

a

g(Y, Y ′′ +R(γ, Y )γ

)ds

= −∫ b

a

g(Y, Y ′′)ds−∫ b

a

g(Y, R(γ, Y )γ

)ds

=

∫ b

a

g(Y ′, Y ′)ds−∫ b

a

g(Y, R(γ, Y )γ

)ds

=

∫ b

a

(|Y ′|2 −R(γ, Y, γ, Y )

)ds.

La formula fornita dalla Proposizione 7.2.7, nel caso in cui la variazione avvenga aestremi fissati, si puo quindi riscrivere in questo modo:

d2

dt2E(γt)

∣∣∣t=0

= I(Y, Y ).

Osserviamo che, se γ e una geodetica e Y = λγ con λ ∈ R costante, allora Y ′ = 0(per l’equazione delle geodetiche) eR(Y, γ, Y, γ) = λ2R(γ, γ, γ, γ) = 0 (per le proprietadi antisimmetria del tensore di Riemann); di conseguenza, I(Y, Y ) = 0. Questo e ra-gionevole, perche una variazione H associata ad Y (nel senso precisato dall’Osserva-zione 7.2.4) e quella che associa a t la geodetica γt ottenuta traslando temporalmenteγ di λt, dunque E(γt) e costante al variare di t.

DEFINIZIONE 7.3.2. Sia γ : [a, b] → M una geodetica. La corrispondente forma indiceI si dice degenere se esiste un campo di vettori Y lungo γ, non identicamente nullo ma nulloagli estremi, tale che

Y ′′ +R(γ, Y )γ = 0.

Comprendere in quali situazioni la forma indice sia degenere e di importanza cru-ciale per lo studio delle geodetiche lunghe. Andando in questa direzione, diamo dueulteriori definizioni.

DEFINIZIONE 7.3.3. Sia γ una geodetica da p a q. Si dice che q e coniugato a p lungo γse la forma indice associata a γ e degenere.

DEFINIZIONE 7.3.4. Sia γ : [a, b]→ M una geodetica e sia Y un campo di vettori lungoγ, non necessariamente nullo in a e b. Y si dice campo di Jacobi se soddisfa l’equazionedifferenziale ordinaria

Y ′′ +R(γ, Y )γ = 0.

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66 7. TEORIA GLOBALE DELLE GEODETICHE

Fissati i dati iniziali Y (a) e Y ′(a), l’equazione che definisce i campi di Jacobi am-mette esattamente una soluzione. E piu difficile stabilire se esistano soluzioni conY (a) e Y (b) entrambi nulli (condizione affinche I sia degenere), e in effetti non sonoin generale garantite ne l’esistenza ne l’unicita .

Esaminiamo ora alcune proprieta dei campi di Jacobi.

PROPOSIZIONE 7.3.5. Sia γ : [a, b]→M una geodetica, con (M, g) varieta riemanniana.Sia inoltre Y un campo di Jacobi lungo γ.

(1) Se Y (a) = 0 e Y ′(a) = λγ(a) per qualche λ ∈ R, allora Y (s) = λ(s − a) · γ(s) perogni s ∈ [a, b].

(2) Se Y (a) e Y ′(a) sono entrambi ortogonali a γ(a), allora Y (s) e Y ′(s) sono ortogonalia γ(s) per ogni s ∈ [a, b].

(3) Detta γ(s) = γ(λs) una riparametrizzazione di γ, il campo di vettori

Y (s) = Y (λs)

e di Jacobi lungo γ. In particolare, la definizione di punti coniugati non dipende dallaparametrizzazione della geodetica γ.

DIMOSTRAZIONE. (1) Il campo Y (s) = λ(s− a) γ(s) soddisfa l’equazione peri campi di Jacobi e le condizioni iniziali, quindi deve essere uguale a Y perunicita della soluzione. Infatti, Y

′′= 0 (la derivata di γ e nulla per l’equazione

delle geodetiche) eR(γ, Y )γ = 0 (per l’antisimmetria del tensore di Riemann).(2) Sia F (s) = g(Y (s), γ(s)). Calcoliamo le derivate prima e seconda di F , te-

nendo conto del fatto che γ soddisfa l’equazione delle geodetiche e che Y ′′ siricava dall’equazione per i campi di Jacobi:

F ′ = g(Y ′, γ) + g(Y,Dsγ) = g(Y ′, γ);

F ′′ = g(Y ′′, γ) + g(Y ′, Dsγ) = g(Y ′′, γ)

= −g(R(γ, Y ) γ, γ

)= −R(γ, Y, γ, γ) = 0.

Per ipotesi, F (a) = 0 e F ′(a) = 0. Pertanto, essendo F ′′ identicamente nulla,F stessa deve essere identicamente nulla. Cio significa che Y (s) e ortogonalea γ(s) per ogni s. Lo stesso vale per Y ′(s), perche anche F ′ e identicamentenulla.

(3) Basta verificare che Y soddisfi l’equazione dei campi di Jacobi. Osserviamoche Y ′′(s) = λ2Y ′′(λs) e

R(

˙γ(s), Y (s))

˙γ(s) = R(λγ(λs), Y (λs)

)λγ(λs)

= λ2R(γ(λs), Y (λs)

)γ(λs).

Quindi l’equazione dei campi di Jacobi per Y non e altro che quella per Ymoltiplicata per λ2 e valutata in λs.

L’introduzione dei campi di Jacobi e motivata dal modo in cui abbiamo riscrittola forma indice, la quale a sua volta descrive la variazione seconda del funzionaleenergia. Il risultato seguente descrive come i campi di Jacobi siano proprio i campiche vengono prodotti dalle variazioni geodetiche.

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7.3. CAMPI DI JACOBI 67

PROPOSIZIONE 7.3.6. Sia γ : [a, b]→M una geodetica, con (M, g) varieta riemannianacompleta. Se H : [a, b] × (−ε, ε) → M e una variazione geodetica di γ (cioe se γt e unageodetica per ogni t), allora il campo di vettori Y lungo γ associato ad H e un campo di Jacobi.Viceversa, se Y e un campo di Jacobi lungo γ, allora esiste una variazione geodetica H di γassociata ad Y .

DIMOSTRAZIONE. Cominciamo dalla prima parte: siano quindi H una variazionegeodetica di γ e Y (s) = ∂

∂t(s, 0). Allora

Y ′′ = DsDs∂

∂t

∣∣∣t=0

= DsDt∂

∂s

∣∣∣t=0

= DtDs∂

∂s

∣∣∣t=0

+R

(∂

∂t,∂

∂s

)∂

∂s

∣∣∣t=0.

Poiche la variazione e geodetica, Ds∂∂s

= 0 in ogni punto (s, t). Di conseguenza,rimane solamente il termine di curvatura:

Y ′′ = R

(∂

∂t,∂

∂s

)∂

∂s

∣∣∣t=0

= R(Y, γ)γ = −R(γ, Y )γ.

Quindi Y e un campo di Jacobi.Per dimostrare il viceversa, consideriamo un campo di Jacobi Y e costruiamo una

variazione geodetica H ad esso associata. Sia σ : (−ε, ε)→ M la geodetica con σ(0) =γ(a) e σ′(0) = Y (a). Siano inoltre X0 e X1 i due campi paralleli lungo σ con X0(0) =γ(a) e X1(0) = Y ′(a), e sia X(t) = X0(t) + tX1(t). Come variazione prendiamo allora

H(s, t) = expσ(t)

(sX(t)

).

Chiaramente si tratta di una variazione geodetica, perche γt non e altro che la geode-tica uscente da σ(t) con velocita iniziale X(t). Di conseguenza, il campo Y associatoad H e necessariamente un campo di Jacobi. Per dimostrare che Y coincide con Y , epertanto sufficiente verificare che si abbia Y (a) = Y (a) e Y ′(a) = Y ′(a). In effetti:

Y (a) =∂

∂t(a, 0) =

∂H

∂t(a, t)

∣∣∣t=0

= σ′(a) = Y (a);

Y ′(a) = Ds∂

∂t(a, 0) = Dt

∂s(a, 0) = DtX(t)

∣∣∣t=0

=

=(DtX0(t)︸ ︷︷ ︸

0

+X1(t) + t ·DtX1(t)︸ ︷︷ ︸0

)∣∣∣t=0

= X1(0) = Y ′(0).

Quindi la variazione H ha le proprieta desiderate.

Si noti che, nel caso in cui Y (a) = 0, σ e la geodetica costante in p e X(t) e unacurva in TpM .

COROLLARIO 7.3.7. Sia p un punto di una varieta riemanniana completa (M, g). Sianoinoltre u, v ∈ TpM , γ(s) = expp(sv) la geodetica radiale uscente da p con velocita iniziale v,e Y un campo di Jacobi lungo γ con Y (0) = 0 e Y ′(0) = u. Allora, identificando gli spazitangenti TsvTpM e TpM , si ha che

Y (s) = (d expp)sv(su).

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68 7. TEORIA GLOBALE DELLE GEODETICHE

DIMOSTRAZIONE. Consideriamo la variazione H(s, t) = expp(s(v + tu)

)di γ. Es-

sendo γt la geodetica uscente da p con velocita iniziale v + tu, H e una variazionegeodetica. La Proposizione 7.3.6 garantisce allora l’esistenza di un campo di Jacobi Yassociato ad H , ovvero tale che

Y (s) =∂H(s, t)

∂t

∣∣∣t=0

= (d expp)sv(su).

E pertanto sufficiente mostrare che Y coincide con Y , e per fare questo basta verificareche si abbia Y (0) = 0 e Y ′(0) = u:

Y (0) =∂

∂t(0, 0) =

p︷ ︸︸ ︷H(0, t)

∂t

∣∣∣t=0

= 0;

Y ′(0) = Ds∂

∂t(0, 0) = Dt

∂s(0, 0) = Dt(v + tu)

∣∣∣t=0

= u.

Quest’ultimo risultato consente di dedurre informazioni sul differenziale dellamappa esponenziale, anche in punti diversi dall’origine, a partire dal comportamentodei campi di Jacobi.

PROPOSIZIONE 7.3.8. Sia p un punto di una varieta riemanniana completa (M, g), e siav ∈ TpM . Allora d(expp)v e singolare se e solo se expp(v) e un punto coniugato a p lungo lageodetica radiale γv(t) = expp(tv). In particolare, se non esistono punti coniugati a p, alloraexpp e un diffeomorfismo locale in ogni v ∈ TpM .

DIMOSTRAZIONE. Si tratta di un’immediata conseguenza del Corollario 7.3.7: esufficiente ricordare che expp(v) e coniugato a p se e solo se esiste un campo di Jacobi(non costantemente nullo) lungo γv che si annulli agli estremi.

7.4. Minimalita delle geodetiche

Una geodetica su una varieta riemanniana completa non rimane necessariamenteminimizzante per tutti i tempi. Dati p ∈M e v ∈ TpM , sia

Iv = t ∈ [0,+∞) | γv e minimizzante su [0, t] ,dove ricordiamo che γv e la geodetica uscente da p con velocita iniziale v. Per leproprieta locali delle geodetiche, Iv e un intorno destro di 0. Inoltre, se t 6∈ Iv, ladistanza tra p e γv(t) e strettamente minore di L(γv|[0,t]); per continuita della distanza,cio accade anche per tempi in un intorno di t. Questo significa che Iv e chiuso. In altreparole, se una geodetica non rimane minimizzante per tutti i tempi, allora esiste unultimo punto fino alla quale e ancora minimizzante.

Come vedremo, ci sono essenzialmente due ragioni per cui una geodetica smet-ta di essere minimizzante: una legata alla geometria globale della varieta, l’altra dicarattere differenziale. Cominciamo ad esaminare la prima delle due.

PROPOSIZIONE 7.4.1. Sia (M, g) una varieta riemanniana, e sia γ : [a, b + ε]→ M unageodetica, con γ(a) = p e γ(b) = q. Supponiamo che esista una geodetica minimizzante γda p a q che sia diversa da γ (anche a meno di riparametrizzazione). Allora γ non puo essereminimizzante su [a, b+ ε].

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7.4. MINIMALITA DELLE GEODETICHE 69

DIMOSTRAZIONE. Supponiamo per assurdo che γ sia minimizzante. Senza perdi-ta di generalita, assumiamo che γ sia definita su [a, b], con γ(a) = p e γ(b) = q. Essendosia γ che γ minimizzanti da p a q, devono essere parametrizzate per lo stesso multiplodella lunghezza d’arco. Consideriamo la curva σ : [a, b+ ε]→M cosı definita:

σ(t) =

γ(t) per t ∈ [a, b],

γ(t) per t ∈ [b, b+ ε].

Per costruzione, anche σ e minimizzante su [a, b+ε], ed e inoltre parametrizzata per unmultiplo della lunghezza d’arco; quindi e una geodetica. In particolare, deve esseredi classe C∞. Tuttavia γ(b) e diverso da γ(b), perche altrimenti le due geodetiche γe γ coinciderebbero; pertanto la derivata destra e la derivata sinistra di σ in b sonodiverse, e questo e un assurdo.

Il secondo motivo per cui una geodetica possa smettere di essere minimizzantee strettamente legato alla teoria dei campi di Jacobi, che abbiamo sviluppato nellasezione precedente.

TEOREMA 7.4.2. Sia (M, g) una varieta riemanniana completa, e sia γ : [a, b]→ M unageodetica parametrizzata per lunghezza d’arco, con γ(a) = p e γ(b) = q. Se esiste s0 ∈ (a, b)tale che γ(s0) e coniugato a p lungo γ, allora esiste una variazione H di γ a estremi fissati taleche L(γt) < L(γ) ed E(γt) < E(γ) per ogni t 6= 0 sufficientemente piccolo. In particolare, γnon e minimizzante.

DIMOSTRAZIONE. Supponiamo per semplicita a = 0 e b = 1. Essendo γ(s0) coniu-gato a p, esiste un campo di Jacobi non banale lungo γ tale che Y (0) = 0 e Y (s0) = 0.Vogliamo costruire, a partire da Y , dei campi Yα (non necessariamente di Jacobi) conYα(0) = 0 e Yα(1) = 0 per i quali si abbia I(Yα, Yα) < 0. Un qualsiasi campo Yα conqueste proprieta ha associata una variazione Hα a estremi fissati tale che

d2

dt2E(γt)

∣∣∣t=0

< 0,

ovvero per cui l’energia di γt e strettamente minore di quella di γ, per t 6= 0 suf-ficientemente piccolo. Di conseguenza, anche le lunghezze risultano strettamenteminori: (

L(γt))2

b− a≤ 2E(γt) < E(γ) =

(L(γ)

)2

b− a.

Osserviamo che Y ′(s0) e non nullo perche Y (s0) = 0 (altrimenti Y sarebbe nullolungo tutta la curva). Sia Z1(s0) = −Y ′(s0); estendiamo poi Z1 parallelamente lungoγ. Sia θ : [0, 1]→ R una funzione liscia tale che θ(0) = θ(1) = 0 e θ(s0) = 1. DefiniamoZ(s) = θ(s)Z1(s) e, per α > 0,

Yα =

Y (s) + αZ(s) se s ∈ [0, s0];

αZ(s) se s ∈ [s0, 1].

Il campo Yα, definito lungo γ, e continuo in s0 perche Y (s0) = 0. Se dimostria-mo che I(Yα, Yα) < 0 per α > 0 sufficientemente piccolo, allora si potra conclude-re approssimando gli Yα con dei campi Yα di classe C∞ in modo che valga ancoraI(Yα, Yα) < 0.

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70 7. TEORIA GLOBALE DELLE GEODETICHE

Verifichiamo allora che si abbia I(Yα, Yα) < 0 per α sufficientemente piccolo.

I(Yα, Yα) =

∫ 1

0

(|Y ′α|2 −R(Yα, γ, Yα, γ)

)ds =

∫ 1

0

(|αZ ′|2 −R(αZ, γ, αZ, γ)

)ds+

+

∫ s0

0

(|Y ′|2 −R(Y, γ, Y, γ)

)ds+ 2

∫ s0

0

(g(Y ′, αZ ′)−R(Y, γ, αZ, γ)

)ds.

Esaminiamo separatamente ciascuno dei tre integrali. Il primo di essi e uguale a

α2

∫ 1

0

(|Z ′|2 −R(Z, γ, Z, γ)

)ds = α2I(Z,Z).

Il secondo, integrando per parti e utilizzando l’equazione dei campi di Jacobi per Y ,si riscrive come∫ s0

0

d

dsg(Y, Y ′)−g(Y, Y ′′)−R(Y, γ, Y, γ)︸ ︷︷ ︸

0

ds = g(Y, Y ′)∣∣∣s=s0s=0

= 0.

Il maniera del tutto analoga, il terzo integrale diventa

∫ s0

0

d

dsg(Z, Y ′)−g(Z, Y ′′)−R(Y, γ, Z, γ)︸ ︷︷ ︸

0

ds = 2α g(Z, Y ′)∣∣∣s00

=

= 2α g(Z1(s0), Y ′(s0)

)= −2α g

(Y ′(s0), Y ′(s0)

)= −2α |Y ′(s0)|2.

Mettendo insieme tutti i risultati, otteniamo che

I(Yα, Yα) = α2I(Z,Z)− 2α |Y ′(s0)|2 = −2α |Y ′(s0)|2 + o(α).

Essendo |Y ′(s0)|2 > 0, questa espressione e strettamente negativa per α > 0 sufficien-temente piccolo.

Per esempio, sulla sfera S2 con la metrica standard, le geodetiche uscenti dal polonord sono minimizzanti fino al polo sud. Al polo sud smettono di essere minimiz-zanti, sia perche incontrano altre geodetiche, sia perche il polo sud e il polo nord sonoconiugati.

Per concludere lo studio della minimalita delle geodetiche lunghe, mostriamoche non vi sono altre ragioni (oltre a quelle descritte nella Proposizione 7.4.1 e nelTeorema 7.4.2) per cui una geodetica possa smettere di essere minimizzante.

TEOREMA 7.4.3. Siano (M, g) una varieta riemanniana completa e p un punto di M . Siaγ una geodetica uscente da p, minimizzante fino a un punto q e che non sia piu minimizzanteoltre q. Allora si verifica almeno una delle seguenti due possibilita :

(1) esiste una geodetica minimizzante γ da p a q, diversa da γ (anche a meno di ripara-metrizzazione);

(2) q e coniugato a p lungo γ.

DIMOSTRAZIONE. Supponiamo di non essere nel primo caso: γ e allora l’unicageodetica minimizzante da p a q. Assumiamo senza perdita di generalita che γ(s) =exp(sv) con γ(0) = p, γ(1) = q e, di conseguenza, |v| = d(p, q). Sia qε = γ(1 + ε), perε > 0. Per ipotesi, γ non e minimizzante tra p e qε; sia allora γε(s) = exp(svε) unageodetica minimizzante tra p e qε, con γε(0) = p e γε(1) = qε.

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7.5. CUT LOCUS 71

Per continuita della distanza, L(γε) deve tendere a L(γ) per ε → 0. Per compat-tezza, esiste una successione εk → 0 tale che vεk converga a un qualche w ∈ TpM .Per la dipendenza continua dai dati iniziali delle soluzioni delle equazioni differen-ziali ordinarie, γεk tende a una geodetica da p a q con velocita iniziale w e lunghezzaL(γ) = d(p, q) (dunque minimizzante). Poiche abbiamo assunto che vi sia un’unicageodetica minimizzante da p a q, necessariamente w deve essere uguale a v.

Supponiamo per assurdo che q non sia coniugato a p lungo γ. Allora (d expp)v einvertibile, dunque expp e un diffeomorfismo locale tra un intorno di v in TpM e unintorno di q in M . Tuttavia si ha che, per ogni k,

expp(v(1 + εk)

)= exp(vεk) = qεk .

Essendo v(1 + εk) diverso da vεk (per costruzione, vεk non puo essere multiplo di v),questa relazione fa sı che expp non possa essere iniettiva in alcun intorno di v, assurdo.

7.5. Cut locus

Ricordiamo, dall’inizio della Sezione precedente, che abbiamo definito Iv comel’insieme (chiuso) dei tempi entro i quali la geodetica γv rimane minimizzante. Siaρ(v) = sup Iv l’ultimo tempo per cui γv e minimizzante (eventualmente +∞, se γv nonsmette mai di essere minimizzante). Osserviamo che ρ(λv) = 1

λρ(v) per ogni λ ∈ R;

quindi ρ e completamente determinata dal suo valore sulla sfera unitaria Sn−1p di TpM .

Definiamo allora ρ come la restrizione di ρ alla sfera unitaria Sn−1p in TpM .

PROPOSIZIONE 7.5.1. Data una varieta riemanniana completa (M, g) e un punto p ∈M ,la funzione ρ : Sn−1

p → (0,+∞] appena definita e continua.

DIMOSTRAZIONE. Sia v ∈ Sn−1p . Verifichiamo la continuita di ρ in v. Per semplicita

assumiamo che ρ(v) < +∞; il caso ρ(v) = +∞ e analogo. Sia t = ρ(v), e sia q = γv(t).Supponiamo per assurdo che esista una successione vk → v di elementi di Sn−1

p

tale che ρ(vk) > t + ε, per qualche ε > 0. Sia t = t + ε. Essendo le geodeticheγvk minimizzanti fino al tempo t, si ha che d(p, γvk(t)) = L(γvk |[0,t]) = t. Per k → ∞,γvk(t) tende a γv(t); quindi, per continuita della distanza, d(p, γvk(t)) tende a d(p, γv(t)).Dunque si ha anche che d(p, γv(t)) = t, per cui γv e minimizzante fino al tempo t. Cioe impossibile, perche abbiamo assunto che ρ(v) fosse uguale a t.

Supponiamo ora per assurdo che esista una successione vk → v di vettori in Sn−1p

con ρ(vk) < t − ε, per qualche ε > 0. In altre parole, le geodetiche γvk non sonominimizzanti fino al tempo τ = t − ε; chiamiamo qk = γvk(τ). Siano allora wk ∈ Sn−1

p

tali che γwk sia una geodetica minimizzante da p a qk. Ogni geodetica γwk raggiunge ilcorrispondente punto qk dopo un tempo τk = d(p, qk).

La successione di punti qk converge a q = γv(τ). La geodetica γv e minimizzantefino a q; quindi, per continuita della distanza, τk → τ = d(p, q). A meno di sotto-successioni possiamo assumere che wk converga ad un vettore w ∈ Sn−1

p . Osservia-mo che, passando al limite la relazione γwk(τk) = qk, si ottiene che γw(τ) = q. Perla Proposizione 7.4.1, la geodetica γv puo rimanere minimizzante oltre q soltanto sew = v.

Abbiamo allora cheqk = expp(τvk) = expp(τkwk),

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72 7. TEORIA GLOBALE DELLE GEODETICHE

e le successioni di vettori (τvk)k∈N e (τkwk)k∈N convergono entrambe a τv in TpM .Inoltre, per definizione dei wk, si ha che τvk 6= τkwk per ogni k. Quindi expp non puoessere iniettiva in un intorno di τv; di conseguenza, (d expp)τv non ha rango massimo.Per la Proposizione 7.3.8, cio significa che q = expp(τv) e coniugato a p lungo γv.Allora, per il Teorema 7.4.2, γv non puo essere minimale oltre q; questo e assurdo.

Come conseguenza del risultato appena ottenuto, essendo Sn−1p compatto, ρ ha

un minimo ρmin. Esso e il raggio della piu grande palla entro la quale le geodeticheuscenti da p sono minimizzanti. Dal momento che tale valore dipende dal punto pche e stato scelto, lo indichiamo d’ora in avanti con ρmin(p).

PROPOSIZIONE 7.5.2. Siano (M, g) una varieta riemanniana completa e p un punto diM . Allora ρmin(p) coincide con il raggio di iniettivita di p.

DIMOSTRAZIONE. Per il Teorema 6.3.1, le geodetiche uscenti da p con velocita uni-taria rimangono minimizzanti per un qualsiasi tempo inferiore al raggio di iniettivitadi p. Quindi ρmin(p) ≥ injrad(p).

Viceversa, supponiamo che v e w siano due vettori di modulo strettamente inferio-re a ρmin(p). Allora le geodetiche γv e γw sono minimizzanti almeno fino a un tempo1 + ε, per qualche ε > 0; quindi, per la Proposizione 7.4.1, expp(v) deve essere diversoda expp(w). Per arbitrarieta di v e w, la mappa expp risulta essere iniettiva sulla pallaBρmin(p)(0p) ⊆ TpM .

Per il Teorema 7.4.2, non esistono punti coniugati a p a distanza minore di ρmin;quindi, per la Proposizione 7.3.8, la mappa expp e un diffeomorfismo locale in tutti ipunti di Bρmin(p)(0p). Su questa palla, dunque, expp risulta essere un diffeomorfismocon l’immagine. Di conseguenza, injrad(p) ≥ ρmin(p).

Introduciamo ora il cut locus di un punto, in una varieta riemanniana completa.

DEFINIZIONE 7.5.3. Sia (M, g) una varieta riemanniana completa. Dato un punto p ∈M , sia Up = v ∈ TpM | ρ(v) > 1. Definiamo allora il cut locus differenziale di p comeCut df

p = ∂Up e il cut locus di p come Cutp = expp(∂Up).

PROPOSIZIONE 7.5.4. Sia (M, g) una varieta riemanniana completa, e sia p ∈M . AlloraCutp ∪ expp(Up) = M e Cutp ∩ expp(Up) = ∅.

DIMOSTRAZIONE. Dato un qualsiasi punto q di M , per la Proposizione 7.1.3 esisteuna geodetica minimizzante γv da p a q. Se γv rimane minimizzante anche oltre q, al-lora q appartiene a expp(Up); altrimenti, q appartiene a Cutp. Quindi Cutp∪ expp(Up) =M .

D’altra parte, supponiamo che esista q ∈ Cutp ∩ expp(Up). Allora q = expp(v) =expp(w), con v ∈ Cutp ew ∈ Up. In q arrivano, al tempo t = 1, le due geodetiche diverseγv e γw; dunque, per la Proposizione 7.4.1, nessuna delle due puo essere minimizzanteoltre q. Ma γw e minimizzante fino al tempo ρ(w) > 1, assurdo.

La mappa expp |Up e quindi una carta, centrata in p, che copre tutti i punti di Meccettuato quelli che si trovano nel cut locus di p. Si puo dimostrare, utilizzando ilteorema di Fubini, che il cut locus ha sempre misura di Lebesgue nulla. Cio rende pos-sibile il calcolo di integrali suM mediante la singola carta expp |Up . Osserviamo inoltreche, come semplice conseguenza della Proposizione 7.5.4, l’insieme Cutp e un retratto

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7.5. CUT LOCUS 73

per deformazione di M \ p. Per concludere, enunciamo e dimostriamo un’ultimaimportante proprieta del cut locus.

PROPOSIZIONE 7.5.5. Sia (M, g) una varieta riemanniana completa, e sia p ∈M . Dettadp : M → R la funzione distanza dal punto p, si ha che d2

p e liscia su M \ Cutp.

DIMOSTRAZIONE. La composizione d2p expp, ristretta ad Up, non e altro che la

distanza al quadrato dall’origine di TpM (rispetto al prodotto scalare gp). Essendoquesta una funzione liscia, ed essendo expp |Up un diffeomorfismo con l’immagine, sideduce che d2

p e a sua volta una funzione liscia.

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Parte 3

Curvatura e topologia

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CAPITOLO 8

Legami tra curvatura e topologia in una varieta

8.1. Teorema di Cartan–Hadamard

La teoria delle geodetiche lunghe consente di ricavare interessanti relazioni tra lacurvatura di una varieta e la sua topologia. Il primo risultato di questo tipo che an-diamo ad esaminare e il teorema di Cartan–Hadamard, che consente di dedurre, sottol’ipotesi di curvatura sezionale negativa, che la topologia del rivestimento universaledella varieta non puo che essere quella di Rn. Al teorema vero e proprio premettiamoil seguente lemma.

LEMMA 8.1.1. Siano (M, g) e (N, h) varieta riemanniane, conM completa, e supponiamoche ϕ : M → N sia un’isometria locale. Allora ϕ e un rivestimento riemanniano e N ecompleta.

DIMOSTRAZIONE. Sia y un punto di N , e sia ϕ−1(y) = xi | i ∈ I. Detto r > 0 unnumero reale minore del raggio di iniettivita in y, abbiamo che

expy |Br(0y) : Br(0y)→ Br(y)

e un diffeomorfismo. Siano U = Br(y) e Ui = Br(xi) per i ∈ I . Essendo ϕ un’isometrialocale, geodetiche di M vengono mandate in geodetiche di N della stessa lunghezza;di conseguenza, ⋃

i∈I

Ui ⊆ ϕ−1(U).

Fissato ora un qualsiasi indice i ∈ I , consideriamo un vettore v ∈ TxiM e la cor-rispondente geodetica γ su M uscente da xi con velocita iniziale v. Siano inoltrew = dϕxi(v) e γ la geodetica su N uscente da y con velocita iniziale w. Dal momentoche ϕ e un’isometria locale, manda γ in γ (in altre parole, ϕ γ = γ); quindi

expy(dϕxi(sv)

)= expy(sw) = γ(s) = ϕ(γ(s)) = ϕ

(expxi(sv)

).

In altre parole, il seguente diagramma e commutativo:

Br(0xi) Br(0y)

Ui U.

dϕxi

expxi expm

ϕ

La mappa superiore e un’isometria lineare, e la mappa verticale di destra e un dif-feomorfismo; quindi, la composizione passando da sopra e un diffeomorfismo. Diconseguenza, anche la composizione passando da sotto e un diffeomorfismo, e inparticolare lo sono le restrizioni ϕ|Ui : Ui → U .

77

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78 8. LEGAMI TRA CURVATURA E TOPOLOGIA IN UNA VARIETA

Dimostriamo ora che gli Ui sono a due a due disgiunti. Fissati due indici i, j ∈ Idistinti, sia σ una geodetica minimizzante da xi a xj . La composizione ϕ σ e unageodetica da y a y della stessa lunghezza, che deve quindi necessariamente usciredalla palla geodetica Br(y). Quindi

L(σ) = L(ϕ σ) ≥ 2r,

dunque d(xi, xj) ≥ 2r. Cio implica che Ui e Uj sono disgiunti.Facciamo adesso vedere che ϕ−1(U) e proprio uguale all’unione degli Ui. Sia p ∈

ϕ−1(U), e sia q = ϕ(p) ∈ U . Chiamiamo ` la distanza tra q e y, e consideriamo lageodetica minimizzante τ : [0, `] → M da q a y parametrizzata per lunghezza d’arco.Tramite ϕ, τ si solleva alla geodetica τ uscente da p con velocita iniziale dϕ−1

p (τ ′(0)). Altempo `, τ deve passare per uno degli xi; essendo ` < r, cio significa che p appartienead Ui.

Quanto abbiamo mostrato finora e sufficiente per concludere che ϕ e un rivesti-mento. Le geodetiche su N sono immagine di geodetiche su M , le quali si possonoprolungare indefinitamente perche M e completa; quindi anche N e completa.

Osserviamo che l’ipotesi di completezza di M e essenziale. Infatti, consideriamoil rivestimento standard π : S2 → RP2 dato dalla proiezione sul quoziente, dove S2 eRP2 si considerano dotati delle metriche usuali. Se M = S2 \ p e ϕ : M → RP2 e larestrizione di π a M , non e vero che ϕ e un rivestimento (la fibra sopra π(p) ha un solopunto, mentre tutte le altre fibre ne hanno due). L’unica ipotesi del lemma che non esoddisfatta e quella di completezza di M .

TEOREMA 8.1.2 (Cartan–Hadamard). Sia (M, g) una varieta riemanniana completa didimensione n, con sec ≤ 0 in ogni punto. Allora il rivestimento universale di M e diffeomorfoa Rn.

DIMOSTRAZIONE. Per prima cosa, sfruttiamo l’ipotesi sulla curvatura sezionaleper dimostrare che su M non esistono coppie di punti coniugati. Supponiamo perassurdo che vi siamo due punti p e q coniugati lungo una geodetica γ : [a, b]→M da pa q. Allora esiste un campo di Jacobi non banale Y lungo γ che si annulla agli estremi.I campi di Jacobi annullano la forma indice, quindi si ha che∫ b

a

(|Y ′|2 −R(γ, Y, γ, Y )

)ds = 0.

Dal momento cheR(γ, Y, γ, Y ) ha lo stesso segno di sec(γ, Y ), che a sua volta e minoreo uguale a 0 per ipotesi, l’integrando e maggiore o uguale a 0 in ogni punto. PertantoY ′ = 0 per ogni s ∈ [a, b]. Essendo Y un campo di Jacobi, e completamente determina-to da Y (0) = 0 e Y ′(0) = 0, ed e pertanto costantemente nullo. Questo e un assurdo,perche avevamo ipotizzato che Y fosse non banale.

Dall’assenza di punti coniugati segue, per il Corollario 7.3.7, che expp e un diffeo-morfismo locale in ogni v ∈ TpM , per ogni punto p della varieta . Fissiamo allora unpunto p ∈ M , e definiamo gp come la metrica su TpM data dal pull–back di g tramiteexpp. Si noti che gp e effettivamente non degenere in ogni punto di TpM poiche expp eun diffeomorfismo locale.

Le geodetiche su M uscenti da p sono della forma γ(s) = expp(sv) per v ∈ TpM . Diconseguenza, le geodetiche uscenti da 0 ∈ TpM rispetto alla metrica gp sono proprio le

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8.2. TEOREMA DI SYNGE 79

rette per l’origine (per il Lemma di Gauss). Quindi la mappa esponenziale di (TpM, gp)nel punto 0 ∈ TpM e definita su tutto T0TpM ; da cio segue, per il teorema di Hopf–Rinow, che (TpM, gp) e geodeticamente completa. Per definizione di gp, la mappa exppe un’isometria locale tra (TpM, gp) e (M, g). Allora il Lemma 8.1.1 consente di dedurreche expp : TpM → M e un rivestimento liscio. Lo spazio tangente TpM e diffeomorfoa Rn ed e semplicemente connesso, quindi e il rivestimento universale di M .

8.2. Teorema di Synge

Vediamo ora un teorema che consente, per ogni elemento del gruppo fondamen-tale di M , di trovarne un rappresentante che sia dato da una geodetica chiusa. Dalmomento che non siamo interessati a lavorare con un punto base fissato, cosa che einvece richiesta per definire il gruppo fondamentale, le omotopie che utilizzeremonon fisseranno alcun punto base.

DEFINIZIONE 8.2.1. Siano γ0, γ1 : S1 → X due curve continue chiuse, a valori in unospazio topologicoX . Un’omotopia libera tra γ0 e γ1 e una mappa continua Φ: S1× [0, 1]→ Xtale che Φ(s, 0) = γ0(s) e Φ(s, 1) = γ1(s) per ogni s ∈ S1.

TEOREMA 8.2.2. Sia (M, g) una varieta riemanniana compatta. Per ogni classe C dicurve continue chiuse su M a meno di omotopia libera, esiste una geodetica chiusa γ ∈ C lacui lunghezza e minima tra quelle di tutte le curve in C.

DIMOSTRAZIONE. Procederemo in modo analogo alla dimostrazione della Propo-sizione 7.1.3. Sia (γk)k∈N una successione di curve di C tali che `k = L(γk) tenda all’e-stremo inferiore ` delle lunghezze delle curve di C. Modificando localmente le curveγk con omotopie libere, possiamo assumere che ciascuna γk sia geodetica a tratti. Diconseguenza ` e certamente finito; supponiamo inoltre che le γk siano parametrizzatea velocita costante `k. Le ipotesi del teorema di Ascoli–Arzela sono soddisfatte, per-tanto esiste (a meno di sottosuccessioni) il limite uniforme γ della successione (γk)k∈N.Tale curva ha lunghezza ` ed appartiene ancora alla classe C; infatti, preso un numerofinito di palle geodetiche che ricoprono il supporto di γ, per k sufficientemente grandeγk(t) appartiene ad una palla che contiene anche γ(t) (per l’esistenza del numero diLebesgue), e cio consente di trovare un’omotopia libera tra γk e γ. Ne segue anche cheγ e localmente minimizzante (se non lo fosse, esisterebbero curve in C di lunghezzaminore), dunque e una geodetica chiusa.

Il risultato precedente ci consente di dimostrare il teorema di Synge. Esso, come ilteorema di Cartan–Hadamard, mette in luce un’interessante relazione tra curvatura eproprieta topologiche di una varieta (in questo caso, il gruppo fondamentale).

TEOREMA 8.2.3 (Synge). Sia (M, g) una varieta riemanniana compatta, orientabile e didimensione pari, con sec > 0 in ogni punto. Allora π1(M) ∼= 0.

DIMOSTRAZIONE. Supponiamo per assurdo che il gruppo fondamentale di M sianon banale. Detta C una classe di omotopia non banale di curve chiuse, per il Teo-rema 8.2.2 esiste in C una geodetica chiusa γ : [0, 1] → M di lunghezza minima suC. Sia p = γ(0). Sia inoltre P : TpM → TpM l’operatore di trasporto parallelo lungoγ. Osserviamo che P e un’isometria lineare da (TpM, gp) in se stesso, e che conser-va l’orientazione (perche M e orientabile). Essendo γ una geodetica, P manda γ(0)

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80 8. LEGAMI TRA CURVATURA E TOPOLOGIA IN UNA VARIETA

in se stesso. Di conseguenza, poiche il trasporto parallelo conserva l’ortogonalita, ilsottospazio W = γ(0)⊥ di TpM viene a sua volta mandato in se stesso da P . Quin-di P |W : W → W e un’isometria lineare che conserva l’orientazione. Ricordiamo cheuna qualsiasi isometria lineare φ : R2m+1 → R2m+1, con determinante uguale a 1, deveavere almeno un autovettore di autovalore 1. Questo risultato di algebra lineare siapplica a P |W , che pertanto deve fissare un vettore non nullo w ∈ W .

Consideriamo allora il campo Y lungo γ, con Y (0) = w, ottenuto trasportandoparallelamente w. Allora

I(Y, Y ) =

∫ 1

0

(|Y ′|2︸︷︷︸

0

−R(γ, Y, γ, Y )︸ ︷︷ ︸> 0

)ds < 0.

Tuttavia γ minimizza l’energia tra tutte le curve in C, quindi una qualsiasi variazioneH associata a Y deve verificare

d2

dt2E(γt)

∣∣∣t=0≥ 0,

e questo e un assurdo.

Si noti che tutte le ipotesi del teorema di Synge sono essenziali. Infatti: se si assu-messe solamente sec ≥ 0 (invece di sec > 0), un controesempio sarebbe dato dal toroS1×S1 con la metrica piatta; se si rimuovesse l’ipotesi di dimensione pari, RP3 sarebbeun controesempio; se si rimuovesse l’ipotesi di orientabilita, RP2 sarebbe un contro-esempio. Rimuovendo l’ipotesi di orientabilita, si ottengono comunque interessantiinformazioni di carattere topologico, applicando il teorema di Synge al rivestimentoa due fogli (che e orientabile).

COROLLARIO 8.2.4. Sia (M, g) una varieta riemanniana compatta, non orientabile e didimensione pari, con sec > 0 in ogni punto. Allora il suo rivestimento orientabile a due foglie il rivestimento universale, per cui π1(M) ∼= Z2.

Ad esempio, un’altra conseguenza del teorema di Synge e che non esistono me-triche riemanniane a curvatura sezionale strettamente positiva su RP2 × RP2. Os-serviamo che, attualmente, non e noto se esistano metriche riemanniane a curvaturasezionale strettamente positiva su S2 × S2 (congettura di Hopf).

8.3. Teorema di Myers–Bonnet

In questa sezione presentiamo un terzo risultato che collega la curvatura di unavarieta riemanniana alla sua topologia. Piu in particolare vedremo come, assumendoche la curvatura di Ricci sia positivamente limitata dal basso, si possa dedurre che lavarieta e compatta e che il suo gruppo fondamentale e finito. Il modo in cui arrivere-mo a questo risultato e passando attraverso una stima del diametro della varieta ; talestima ci viene fornita dal seguente Teorema.

TEOREMA 8.3.1. (Myers–Bonnet) Sia (M, g) una varieta riemanniana completa di di-mensione n, con Ric ≥ k(n − 1)g per un qualche numero reale k > 0. Allora il diametro diM e minore o uguale a π√

k.

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8.3. TEOREMA DI MYERS–BONNET 81

DIMOSTRAZIONE. Siano p e q due punti di M , e sia γ : [0, `] → M una geodeticaminimizzante da p a q parametrizzata per lunghezza d’arco. Per minimalita, si deveavere I(Y, Y ) ≥ 0 per ogni campo di vettori Y lungo γ che sia nullo agli estremi.

Sia E1 = γ(0), e siano E2, . . . , En ∈ TpM dei vettori che completino E1 ad una baseortonormale di TpM . Chiamiamo allo stesso modo le estensioni parallele lungo γ diquesti n vettori; in particolare, E1(s) = γ(s) perche γ e una geodetica. Definiamo nelseguente modo, per 1 ≤ i ≤ n, dei campi di vettori Yi lungo γ:

Yi(s) = sin(πs`

)Ei(s).

Poiche gli Ei sono campi paralleli lungo γ, le derivate covarianti dei campi Yi siottengono semplicemente derivando sin

(πs`

):

Y ′i (s) =π

`cos(πs`

)Ei(s);

Y ′′i (s) = −π2

`2sin(πs`

)Ei(s).

Per costruzione, gli Yi sono campi nulli agli estremi, quindi I(Yi, Yi) ≥ 0. Calcoliamoallora I(Yi, Yi):

I(Yi, Yi) =

∫ `

0

(|Y ′|2 −R(γ, Y, γ, Y )

)ds

= −∫ `

0

g(Y, Y ′′ +R(γ, Y )γ

)ds

= −∫ `

0

(−π

2

`2sin2

(πs`

)+R(γ, Ei, γ, Ei) sin2

(πs`

))ds.

Essendo gli Ei(s) una base ortonormale di Tγ(s)M per ogni s, si ha chen∑i=1

R(γ, Ei, γ, Ei) = Ric(γ, γ) ≥ k(n− 1) g(γ, γ) = k(n− 1).

Mettendo insieme tutto cio che abbiamo dedotto finora, otteniamo:

0 ≤n∑i=1

I(Yi, Yi) =

∫ `

0

sin2(πs`

)(π2(n− 1)

`2−

n∑i=1

R(γ, Ei, γ, Ei)

)ds

≤∫ `

0

sin2(πs`

)(π2(n− 1)

`2− k(n− 1)

)ds

= (n− 1)

(π2

`2− k)∫ `

0

sin2(πs`

).

Di conseguenza si deve avere π2

`2− k ≥ 0, da cui ` ≤ π√

k.

Abbiamo pertanto dimostrato che la distanza tra due qualsiasi punti di M e al piuπ√k, dunque il diametro di M e minore o uguale a π√

k.

COROLLARIO 8.3.2. Sia (M, g) una varieta riemanniana completa, con Ric ≥ kg per unqualche numero reale k > 0. Allora M e compatta e il suo gruppo fondamentale e finito.

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82 8. LEGAMI TRA CURVATURA E TOPOLOGIA IN UNA VARIETA

DIMOSTRAZIONE. L’intera varieta M e limitata (e chiusa), quindi per il teoremadi Hopf–Rinow e compatta. Applicando il teorema di Myers–Bonnet al rivestimen-to universale riemanniano (M, g) di (M, g), si ottiene che anche M e compatta. Diconseguenza la mappa di rivestimento ϕ : M → M ha fibre finite, quindi π1(M) efinito.

Si noti che la sfera S2R di raggio R = 1√

kcon la metrica standard soddisfa le ipo-

tesi del teorema di Myers–Bonnet con l’uguaglianza, e il diametro e in effetti propriouguale a π√

k.

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CAPITOLO 9

Spazi a curvatura costante e spazi localmente conformalmente piatti

9.1. Varieta a curvatura sezionale costante

Le varieta riemanniane complete a curvatura sezionale costante k, chiamate anche“space–forms”, si possono caratterizzare in modo molto preciso dal punto di vista to-pologico. A meno di riscalare la metrica per un fattore positivo, si puo assumere che kvalga 0, 1 oppure −1; fatta questa assunzione, tutte le space–forms sono quozienti diRn (se k = 0), Sn (se k = 1) oppure Hn (k = −1), tramite l’azione libera e propriamentediscontinua di un opportuno gruppo di isometrie. Questo risultato e un’immedia-ta conseguenza del successivo Teorema 9.1.2. In tutto il capitolo, assumeremo persemplicita che le varieta prese in considerazione siano connesse.

LEMMA 9.1.1. Siano (M, g) e (N, h) varieta riemanniane, e ϕ, ψ : M → N due isometrielocali. Supponiamo che vi sia un punto p ∈ M tale che ϕ(p) = ψ(p) e (dϕ)p = (dψ)p. Alloraϕ = ψ.

DIMOSTRAZIONE. Sia Ω = q ∈ M | ϕ(q) = ψ(q), (dϕ)q = (dψ)q. L’insieme Ω enon vuoto (p vi appartiene) e chiuso in M . Facciamo vedere che e anche aperto.

Sia q ∈ Ω e sia Br(q) una palla geodetica in M , con r < injrad(q). Allora ognipunto q′ ∈ Br(q) e della forma expq(v) per qualche v ∈ Br(0q) ⊆ TqM . Osserviamo cheϕ expq = expϕ(q) (dϕ)q, perche un’isometria locale manda geodetiche in geodetiche;lo stesso, chiaramente, vale per ψ. Di conseguenza,

ϕ(q′) = ϕ(expq(v)

)= expϕ(q)

((dϕ)q(v)

)= expψ(q)

((dψ)q(v)

)= ψ

(expq(v)

)= ψ(q′).

Pertanto Br(q) ⊆ Ω. Dall’arbitrarieta di q ∈ Ω, segue che Ω e aperto. Essendo aperto,chiuso e non vuoto, coincide con l’intera varieta M .

TEOREMA 9.1.2. Sia (M, g) una varieta riemanniana completa, con curvatura sezionalecostante uguale a k ∈ 0, 1,−1. Allora il rivestimento universale riemanniano di M e:

• Rn con la metrica piatta, se k = 0;• Sn con la metrica standard, se k = 1;• Hn con la metrica standard, se k = −1.

La condizione di avere curvatura sezionale costante uguale a k si scrive, in terminidel tensore di Riemann, come R = k (g ? g).

DIMOSTRAZIONE. Caso k = 0. Sia p ∈ M un punto qualsiasi. Consideriamo TpMcome una varieta riemanniana isometrica a Rn, con la metrica piatta gp. Vogliamo di-mostrare che expp : TpM →M e un’isometria locale; una volta fatto cio, il Lemma 8.1.1consente di dedurre che expp e un rivestimento riemanniano.

Sia v ∈ TpM e sia γ : [0, 1] → M la geodetica uscente da p con velocita iniziale v.Come al solito, identifichiamo nel modo canonico gli spazi tangenti TpM e TsvTpM

83

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84 9. SPAZI A CURVATURA COSTANTE E SPAZI LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTI

per ogni s ∈ R. Dato un qualsiasi u ∈ TpM e detto U il campo di vettori lungoγ ottenuto trasportando parallelamente u, definiamo un campo Y lungo γ ponendoY (s) = sU(s). Tale campo soddisfa l’equazione di Jacobi, che in questo caso si riducea Y ′′ = 0 essendo il tensore di Riemann identicamente nullo. Inoltre Y (0) = 0 eY ′(0) = U(0) = u. Quindi, per il Corollario 7.3.7,

(d expp)sv(su) = Y (s).

In particolare, per s = 1, otteniamo che

(d expp)v(u) = U(1).

Applicando lo stesso ragionamento ad un altro vettore w ∈ TpM , la cui estensioneparallela verra indicata con W , ricaviamo l’analoga relazione

(d expp)v(w) = W (1).

Possiamo infine verificare che expp sia un’isometria locale, ovvero che per ogni v ∈TpM il differenziale (d expp)v sia un’isometria lineare tra TvTpM ∼= TpM e Texpp(v)M :

gexpp(v)

((d expp)v(u), (d expp)v(w)

)= gγ(1)

((d expp)v(u), (d expp)v(w)

)=

= gγ(1)

(U(1),W (1)

)= gγ(0)

(U(0),W (0)

)= gp(u,w),

dove, nella penultima uguaglianza, abbiamo usato il fatto che U e W sono ottenutiper trasporto parallelo.

Caso k = −1. Siano p ∈ M e q ∈ Hn. Sia g la metrica standard su Hn, e siaL : (TqHn, gq) → (TpM, gp) una qualunque isometria lineare. Osserviamo che, per ilteorema di Cartan–Hadamard, expq : TqHn → Hn e un diffeomorfismo. Definiamoallora la mappa ϕ : Hn →M in modo che il seguente diagramma commuti.

TqHn TpM

Hn M

L

expq expp

ϕ

Vogliamo dimostrare che ϕ e un’isometria locale, per poi concludere con il Lem-ma 8.1.1.

L’equazione per i campi di Jacobi su M e Y ′′ − Y = 0. Data una geodetica γ(s) =expp(sv) su M e un vettore u ∈ TpM , il campo di Jacobi lungo γ che verifica Y (0) = 0e Y ′(0) = u e pertanto dato da

Y (s) = sinh(s)U(s),

dove U(s) e l’estensione parallela di u lungo γ. Quindi, per il Corollario 7.3.7,

(d expp)v(u) = sinh(1)U(1).

Di conseguenza, dati u,w ∈ TpM ,

gexpp(v)

((d expp)v(u), (d expp)v(w)

)= gγ(1)

(sinh(1)U(1), sinh(1)W (1)

)=

= gγ(0)

(sinh(1)U(0), sinh(1)W (0)

)= sinh2(1) gp(u,w).

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9.1. VARIETA A CURVATURA SEZIONALE COSTANTE 85

Un calcolo analogo vale per lo spazio iperbolico Hn, che ha a sua volta curvaturasezionale costante uguale a −1. Si ottiene quindi che, per ogni v, u, w ∈ TqHn,

gexpq(v)

((d expq)v(u), (d expq)v(w

)= sinh2(1) gq(u,w).

Possiamo finalmente verificare che ϕ e un’isometria locale, ossia che

(dϕ)expq(v) = (d expp)v (dL)v (d expq)−1v

e un’isometria lineare. In effetti, si ha che

gexpp(v)

((dϕ)q(u), (dϕ)q(w)

)= gexpp(v)

((d expp)v (dL)v (d expq)

−1v (u), (d expp)v (dL)v (d expq)

−1v (w)

)= sinh2(1) gp

((dL)v (d expq)

−1v (u), (dL)v (d expq)

−1v (w)

)= sinh2(1) gq

((d expq)

−1v (u), (d expq)

−1v (w)

)= gexpq(v)(u,w).

Caso k = 1. Procediamo in modo molto simile al caso k = −1. La principaledifferenza sta nel fatto che expq : Tq(Sn)→ Sn non e un diffeomorfismo, mentre lo e larestrizione

expq |Bπ(0q) : Bπ(0, q)→ Sn \ −q.Definiamo allora la mappa ϕ come quella che rende commutativo il seguente dia-gramma:

Bπ(0q) TpM

Sn \ −q M,

L|Bπ(0q)

expq expp

ϕ

dove L : (TqSn, gq) → (TpM, gp) e una qualsiasi isometria lineare. La verifica che ϕ siaun’isometria locale e analoga al caso k = −1. Cambiano solo l’equazione per i campidi Jacobi, che in questo caso e Y ′′ + Y = 0, e la corrispondente soluzione, data inveceda Y (s) = sin(s)U(s).

Vorremmo ora estendere ϕ a un’isometria locale su tutto Sn. Per fare cio, scegliamoun qualsiasi punto q′ ∈ Sn \q,−q, poniamo p′ = ϕ(q′) e definiamo la mappa ϕ′ comequella che fa commutare il seguente diagramma.

Bπ(0q′) Tp′M

Sn \ −q′ M

(dϕ)q′ |Bπ(0q′ )

expq′ expp′

ϕ′

Essendo ϕ′ costruita in modo analogo a ϕ, a sua volta risulta essere un’isometria lo-cale. Facciamo infine vedere che ϕ e ϕ′ coincidono dove sono entrambe definite, e

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86 9. SPAZI A CURVATURA COSTANTE E SPAZI LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTI

quindi si incollano dando luogo a un’isometria locale ψ : Sn → M . E semplice ve-rificare che il punto q′ viene mandato in q′ tramite ϕ′. Inoltre, dove le mappe sonodefinite, si ha

(dϕ′)q′ = (d expp′)0p′ (dϕ)q′ (d expq′)

−10q′

= idTq′Sn (dϕ)q′ idTp′M = (dϕ)q′ .

Applicando il Lemma 9.1.1, si ottiene che ϕ e ϕ′ coincidono sull’intersezione deidomini.

Una volta dimostrata l’esistenza di un’isometria locale ψ : Sn → M , concludiamoche e un rivestimento riemanniano grazie al Lemma 8.1.1.

Le varieta con curvatura sezionale costante uguale a zero si dicono spazi flat. Glispazi flat si possono caratterizzare in diversi modi, come si puo vedere nella seguenteproposizione.

PROPOSIZIONE 9.1.3. Data una varieta riemanniana (M, g), le seguenti condizioni sonoequivalenti.

(1) M e flat.(2) Per ogni punto p ∈M , esiste un intorno U di p isometrico a Rn.(3) Per ogni punto p ∈ M , esiste una carta in p nella quale la metrica si scrive come

gij = δij .(4) Per ogni punto p ∈ M , esiste una carta (U,ϕ) in p per la quale i campi ∂

∂xiformano

una base ortonormale in ogni punto q ∈ U .(5) Per ogni punto p ∈ M , esiste una carta in p nella quale i simboli di Christoffel Γkij

sono identicamente nulli.(6) Per ogni punto p ∈M , esistono in un intorno U di p dei campi di vettori E1, . . . , En,

ortonormali in ogni punto q ∈ U , tali che si abbia∇EiEj = 0 per ogni i, j.(7) Per ogni punto p ∈ M , esiste una carta in p nella quale la metrica ha coefficienti gij

costanti.(8) Per ogni punto p ∈ M , esiste un intorno U di p tale che il trasporto parallelo lungo

tutte le curve chiuse in U uscenti da p sia l’identita di TpM .(9) Per ogni punto p ∈ M , esiste un intorno U di p tale che il trasporto parallelo

all’interno di U non dipenda dalla scelta del cammino.

DIMOSTRAZIONE. L’equivalenza tra (2), (3) e (4) e ovvia. Tutte queste implicano la(1) perche Rn ha curvatura nulla, e la (1) implica ciascuna di esse per il Teorema 9.1.2.Quindi le prime quattro condizioni sono equivalenti.

La (2) implica la (5) perche i simboli di Christoffel di Rn sono nulli. La (5) implicala (1) per come e definito il tensore di Riemann a partire dalla connessione di Levi–Civita.

La (5) implica la (6), prendendo Ei = ∂∂xi

. La (6), d’altra parte, implica la (4): se∇EiEj = 0, allora [Ei, Ej] = 0 per ogni i, j; quindi esiste una carta centrata in p per cuisi ha ∂

∂xi= Ei.

La (3) implica ovviamente la (7). La (7) implica la (5) grazie alla formula che lega isimboli di Christoffel della connessione di Levi–Civita ai coefficienti della metrica.

La (2) implica la (8), perche su Rn il trasporto parallelo e l’identita . La (8) implicala (9): il trasporto parallelo da p a q lungo qualsiasi curva, composto con il trasportoparallelo da q a p lungo una qualsiasi curva, deve essere l’identita . Verifichiamo

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9.2. DECOMPOSIZIONE ORTOGONALE DEL TENSORE DI RIEMANN 87

infine che la (9) implichi la (6): fissata una qualsiasi base ortonormale di TpM , questasi puo trasportare parallelamente in un intorno di p; si tratta di una buona definizione,perche il trasporto parallelo non dipende dal cammino, e in questo modo otteniamodei campi di vettori E1, . . . , En che soddisfano la condizione (6).

9.2. Decomposizione ortogonale del tensore di Riemann

Sia A un tensore (4, 0) e supponiamo che valgano le identita :

A (X, Y, Z,W ) = −A (Y,X,Z,W )

A (X, Y, Z,W ) = −A (X, Y,W,Z)

A (X, Y, Z,W ) = A (Z,W,X, Y ) .

Osserviamo che ad A per essere un tensore di curvatura algebrico manca solol’identita di Bianchi.

OSSERVAZIONE 9.2.1. A puo essere visto come un endomorfismo simmetrico diΛ2

(T ∗pM

), cioe A ∈ Sym

(Λ2

(T ∗pM

)).

Infatti preso un elemento β ∈ Λ2 (TM): Aijklβkl ∈ Λ2 (TM).Inoltre per β, γ ∈ Λ2 (TM) si ha

A (β, γ) = Aijklβklγij = Aklijβ

klγij = A (γ, β) .

Fissata una metrica riemanniana g su M , il tensore di Riemann sta nel sottospazioSym2 (Λ (TpM)) di ⊗4

(T ∗pM

).

DEFINIZIONE 9.2.2. Definiamo la mappa di Bianchi come l’endomorfismo b di Sym2 (Λ (TM))che agisce nel seguente modo: dato A ∈ Sym2 (Λ (TM)) e X, Y, Z,W ∈ TpM, si ha

b : Sym2 (Λ (TM))→ ⊗4 (TpM)

b (A) (X, Y, Z,W ) =1

3[A (X, Y, Z,W )− A (Z, Y,X,W )− A (X,Z, Y,W )] .

Dalla definizione di mappa di Bianchi segue che, per le proprieta di A,

b (A) (X, Y, Z,W ) = −b (A) (Y,X,Z,W )

e analogamenteb (A) (X, Y, Z,W ) = −b (A) (X, Y,W,Z) ;

vale anche

b (A) (X, Y, Z,W ) =1

3(A (Z,W,X, Y ) + A (W,X,Z, Y ) + A (X,Z,W, Y ))

= b (A) (Z,W,X, Y ) .

LEMMA 9.2.3. Sia (M, g) una varieta riemanniana e b : Sym2 (Λ (TM)) → ⊗4 (TpM)la mappa di Bianchi, possiamo scrivere la seguente decomposizione

Sym2 (Λ (TM)) = Kerb⊕ Imb .

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88 9. SPAZI A CURVATURA COSTANTE E SPAZI LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTI

DIMOSTRAZIONE. Dato A ∈ (Λ2 (TM)) possiamo considerare B = A − bA. bAappartiene a Imb per come e stato definito. Verifichiamo che B ∈ Kerb : b (B) =bA − b2A = 0 grazie al fatto che la mappa di Bianchi e idempotente. Infatti presoC ∈ Sym2 (Λ2 (T ∗M)), si ha

b (C) (X, Y, Z,W ) =1

3[C (Z,W,X, Y ) + C (W,X,Z, Y ) + C (X,Z,W, Y )]

e

b2 (C) (X, Y, Z,W ) = b

(1

3(C (Z,W,X, Y ) + C (W,X,Z, Y ) + C (X,Z,W, Y ))

)=

1

3(b (C) (Z,W,X, Y ) + b (C) (W,X,Z, Y ) + b (C) (X,Z,W, Y ))

=1

3

(1

3(C (X, Y, Z,W ) + C (Y, Z,X,W ) + C (Z,X, Y,W ))

+1

3(C (Z, Y,W,X) + C (Y,W,Z,X) + C (W,Z, Y,X))

+1

3(C (W,Y,X,Z) + C (Y,X,W,Z) + C (X,W, Y, Z))

)=

1

3

(1

3(C (Z,W,X, Y ) + C (W,X,Z, Y ) + C (X,Z,W, Y ))

+1

3(C (W,X,Z, Y ) + C (X,Z,W, Y ) + C (Z,W,X, Y ))

+1

3(C (X,Z,W, Y ) + C (Z,W,X, Y ) + C (W,X,Z, Y ))

)=

1

3(C (Z,W,X, Y ) + C (W,X,Z, Y ) + C (X,Z,W, Y ))

= b (C) (X, Y, Z,W )

quindi A = B + bA.Verifichiamo ora l’unicita : sia A = B + bA e anche A = C + bD con B,C,D ∈

Sym2 (Λ (TM)); B,C ∈ Kerb. Allora B + bA− C − bD = 0. Quindi

b (B + bA− C − bD) = 0

da cuibB + b2A− bC − b2D = 0⇒ b (B + A− C −D) = 0

e quindiB + A− C −D ∈ Kerb

e poiche B e C stanno nel Ker per ipotesi, allora anche A−D ∈ Kerb, da cui

B + bA− C − bD = 0⇒ B − C = 0

e dunque B = C.Possiamo scrivere A = B + bA e A = B + bD; sottraendo la seconda alla prima si

ottiene bA = bD e dunque la decomposizione e unica.

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9.2. DECOMPOSIZIONE ORTOGONALE DEL TENSORE DI RIEMANN 89

OSSERVAZIONE 9.2.4. La mappa di Bianchi b e g–autoaggiunta: infatti sianoA,C ∈Sym2 (Λ (TM)), allora

g (A, b (C)) = g (b (A) , C) .

DIMOSTRAZIONE. Vediamo che

g (A, b (C)) = Aijkl (b (C))ijkl =1

3Aijkl (Cijkl + Cjkil + Ckijl)

=1

3[AijklCijkl + AkjilCjkil + AikjlCjikl]

=1

3[Aijkl + Ajkil + Akijl]Cijkl = g (b (A) , C) .

Se C ∈ Imb (C = bA per qualche A) e B ∈ Kerb, allora

g (C,B) = g (bA,B) = g (A, bB) = 0

quindi b e una proiezione ortogonale.

LEMMA 9.2.5. Imb = Λ4 (TM).

Se n = 2, 3 , dim (Imb) = 0 (non ci sono 4–forme);se n = 4, dim (Imb) = 1.

DEFINIZIONE 9.2.6. Lo spazio C (T ∗M) = Kerb ⊆ Sym2 (Λ (TM)) e lo spazio deitensori di curvatura algebrici.

Vogliamo calcolare la dimensione dello spazio dei tensori di curvatura algebricaC.

PROPOSIZIONE 9.2.7. Sia (M, g) una varieta riemanniana di dimensione n, allora

dimC (T ∗M) =n2 (n2 − 2)

12

DIMOSTRAZIONE. Abbiamo dimostrato che Sym2 (Λ (TM)) = Kerb⊕ Imb , doveb e la mappa di Bianchi.

Dunque dim (Sym2 (Λ (TM))) = dim (Kerb) + dim (Imb) .Abbiamo visto inoltre che l’immagine di b coincide conΛ4 (TM) e per definizione

lo spazio dei tensori di curvatura algebrici e Kerb.Dunque

dimC = dim(Sym2 (Λ (TM))

)− dim (Λ4 (TM)) .

Se V e uno spazio vettoriale di dimensione p, allora Sym2 (V ) ha dimensione p(p+1)2

.

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90 9. SPAZI A CURVATURA COSTANTE E SPAZI LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTI

Ora V = Λ2 (TM) quindi p = n(n−1)2

da cui

dim(Sym2 (Λ (TM))

)=

1

2

n (n− 1)

2

(n (n− 1)

2+ 1

)=

1

8

[n (n− 1)

(n2 − n+ 2

)].

dim (Λ4 (TM)) =

(n4

)=

n!

4! (n− 4)!

=n (n− 1) (n− 2) (n− 3)

24

dimC =n (n− 1)

24

(3n2 − 3n+ 6− n2 + 5n− 6

)=

n2 (n2 − 2)

12.

DEFINIZIONE 9.2.8. Il prodotto di Kulkarni–Nomizu dei tensori 2–simmetrici h e k e il4–tensore h? k dato da

(h ∧ k) (X, Y, Z,W ) = h (X,Z) k (Y,W ) + h (Y,W ) k (X,Z)

−h (X,W ) k (Y, Z)− h (Y, Z) k (X,W ) ,

(h ∧ k)ijkl = hikkjl + hjlkik − hilkjk − hjkkil .

ESEMPIO 9.2.9. Calcoliamo il prodotto di Kulkarni–Nomizu di gij e gij :

(g ∧ g)ijkl = gikgjl + gjlgik − gilgjk − gjkgil = 2 (gikgjl − gilgjk) = 2Rijkl .

PROPOSIZIONE 9.2.10. Sia (M, g) una varieta riemanniana di dimensione n ∈ N, lamappa

ψg :Sym2 (T ∗M)→ C (T ∗M)

h 7→ h ∧ g

e iniettiva per n > 2.

DIMOSTRAZIONE. Calcoliamo

g (f, h ∧ g) = 4g(tr(1,3)f, h

).

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9.2. DECOMPOSIZIONE ORTOGONALE DEL TENSORE DI RIEMANN 91

Infatti:

g (f, h ∧ g) = fijkl (hikkjl + hjlkik − hilkjk − hjkkil)= 4 (gikfijkl)hjl

= 4g(tr(1,3)f, h

),

tr(1,3) (h ∧ g) = (n− 2)h+ (trh) g

= gik (h ∧ g)ijkl

= gik (hikkjl + hjlkik − hilkjk − hjkkil)= (trh) gjl + nhil − hjl − hkl= (n− 2)hjl + (trh) gjl .

Supponiamo che h sia tale che ψg (h) = 0. Allora

0 = |h ∧ g|2 = g (h ∧ g, h ∧ g)

= 4g(tr(1,3) (h ∧ g) , h

)= 4g ((n− 2)h+ (trh) g, h)

= 4 (n− 2) |h|2 + 4 (trh)2 .

Se n > 2, allora |h|2 = 0 da cui h = 0.

DEFINIZIONE 9.2.11. Data una varieta riemanniana (M, g) di dimensione n ∈ N, iltensore di Schouten di g e definito da

Ag = Ricg −R

2 (n− 1)g .

OSSERVAZIONE 9.2.12. Si ha

tr(1,3)

(Rg −

Ag ∧ gn− 2

)= 0 .

Infatti

tr(1,3)

(Rmg −

Ag ∧ gn− 2

)= Ricg −

1

n− 2((n− 2)Ag + tr (Ag)− g)

= Ricg − Ag −R

2 (n− 1)g

= 0 .

DEFINIZIONE 9.2.13. Data una varieta riemanniana (M, g) di dimensione n ∈ N, iltensore di Weyl di g e dato da

Wg = Rg −Ag ∧ gn− 2

.

Grazie all’osservazione precedente possiamo dire che Wg ∈ Ker(tr

(1,3)|c

).

Il tensore di Weyl ha le stesse simmetrie algebriche del tensore di Riemann.

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92 9. SPAZI A CURVATURA COSTANTE E SPAZI LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTI

OSSERVAZIONE 9.2.14. Se n = 2 la curvatura scalare determina completamente iltensore di curvatura. Se n = 3 il tensore di Ricci determina completamente il tensoredi curvatura.

Infatti, se n = 2 basta osservare che l’unica componente non nulla del tensore diRiemann e R1212. Quindi

Rijkl =R

2(gikgjl − gilgjk) =

R

4(g ∧ g)ijkl .

Se n = 3, dim (C) = 6 e dim (Sym2 (TM)) = 6 quindi ψg e un isomorfismo. Nesegue che ∃!h : ψg (h) = h ∧ g = Rg quindi h = Ag

n−2quindi R = 1

n−2Ag ∧ g . In

particolare, per n = 2, 3, Wg = 0 .

Il nostro scopo iniziale era scrivere una decomposizione ortogonale del tensore diRiemann, a questo punto siamo arrivati a dire che

Rg =Ag ∧ gn− 2

+Wg .

PonendoRic = Ricg −

R

ng

possiamo scrivere

Ag = Ricg −R

2 (n− 1)g =

Ricg +

(1

n− 1

2 (n− 1)

)Rg =

Ricg +

n− 2

2 (n− 1)Rg

da cuiRmg =

R

2n (n− 1)g ∧ g +

1

n− 2

Ric ∧ g +Wg .

TEOREMA 9.2.15. Sia (M, g) una varieta riemanniana di dimensione n ∈ N, allora valela seguente decomposizione ortogonale del tensore di Riemann:

Rg =R

2n (n− 1)g ∧ g +

1

n− 2

Ric ∧ g +Wg .

DIMOSTRAZIONE. Che il Riemann si possa decomporre come nella formula pre-cedente si vede dai passaggi precedenti.

E dunque sufficiente dimostrare che la decomposizione e ortogonale. Per ognih ∈ Sym2 (T ∗M) si ha che

g (Wg, h ∧ g) = 4g(tr(1,3)Wg, h

)= 0

e che

g

(Ric ∧ g, g ∧ g

)= 4g

(tr(1,3) (g ∧ g) ,

Ric

)= 4g

((n− 2) g + ng,

Ric

)= 8 (n− 1) g

(g,

Ric

)= 0

Ripercorrendo i conti si vede che

Sym2 (Λ (TM)) = Λ4 (T ∗M)⊕ ψg (Rg)⊕ ψg(Sym2 (T ∗M)

)⊕W .

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9.3. VARIETA LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTE 93

Siamo quindi riusciti a decomporre il tensore di Riemann in un primo pezzo dipura traccia, un secondo semi senza traccia e l’ultimo a traccia nulla.

Le varieta riemanniane si possono classificare in base alla decomposizione ortogo-nale del loro tensore di Riemann:

i) seRic = 0 e Wg = 0 abbiamo le space–forms;

ii) seRic = 0 si hanno le varieta di Einstein;

iii) se dim (M) ≥ 4 e Wg = 0 abbiamo le varieta localmente conformalmentepiatte (LCF).

9.3. Varieta localmente conformalmente piatte

Sia n ≥ 3, abbiamo la seguente decomposizione del tensore di Riemann in coordi-nate locali:

Rijkl =R

n (n− 1)(gikgjl − gilgjk)−

1

n− 2

(Rikgjl +

Rjlgik −

Rilgjk −

Rjkgil

)+Wijkl .

Ricordiamo cheRij = Rij − R

ngij ; sostituendo sopra otteniamo, sempre in coordi-

nate locali,se n ≥ 4:

Rijkl = − R

(n− 1) (n− 2)(gikgjl − gilgjk)+

1

n− 2(Rikgjl +Rjlgik −Rilgjk −Rjkgil)+Wijkl ,

se n = 3:

Rijkl = Rikgjl +Rjlgik −Rilgjk −Rjkgil −R

2(gikgjl − gilgjk) ,

se n = 2:

Rijkl =R

2(gikgjl − gilgjk)

Vogliamo ora parlare di cambi conformi:

DEFINIZIONE 9.3.1. Sia (M, g) una varieta riemanniana di dimensione n ≥ 3 e siaϕ ∈ C∞ (M); allora g = e2ϕg e chiamata metrica conforme di g.

Vediamo come cambiano le varie quantita che abbiamo precedentemente introdot-to:

partiamo dai simboli di Christoffel:sia g = e2ϕg, allora

Γkij =gkl

2

∂glj∂xi

+∂gil∂xj− ∂gij∂xl

=

e−2ϕgkl

2

(∂glj∂xi

+∂gil∂xj− ∂gij∂xl

)e2ϕ +

(∂ϕ

∂xigjl +

∂ϕ

∂xjgil −

∂ϕ

∂xlgij

)2e2ϕ

= Γkij + δkj

∂ϕ

∂xi+ δki

∂ϕ

∂xj− gkl ∂ϕ

∂xlgij

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94 9. SPAZI A CURVATURA COSTANTE E SPAZI LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTI

Per il Riemann si ha:

Rijkl = e2ϕ(Rijkl − (a ∧ g)ijkl

)con

aij = ∇i∇jϕ−∇iϕ∇jϕ+|∇ϕ|2

2gij

Infatti

ΓmikΓ`jm − ΓmjkΓ

`im

=

(Γmik + δmk

∂ϕ

∂xi+ δmi

∂ϕ

∂xk− gmp ∂ϕ

∂xpgik

)·(

Γljm + δlm∂ϕ

∂xj+ δlj

∂ϕ

∂xm− glq ∂ϕ

∂xqgjm

)−(

Γmjk + δmk∂ϕ

∂xj+ δmj

∂ϕ

∂xk− gmp ∂ϕ

∂xpgjk

)·(

Γlim + δlm∂ϕ

∂xi+ δli

∂ϕ

∂xm− glq ∂ϕ

∂xqgim

)e

∂Γlik∂xj−∂Γljk∂xi

=∂Γlik∂xj

+ δlk∂2ϕ

∂xi∂xj+ δli

∂2ϕ

∂xj∂xk− ∂glp

∂xj∂ϕ

∂xpgik − glp

∂ϕ

∂xp∂gik∂xj− glp ∂2ϕ

∂xj∂xpgik

−∂Γljk∂xi− δlk

∂2ϕ

∂xj∂xi− δlj

∂2ϕ

∂xi∂xk+∂glp

∂xi∂ϕ

∂xpgjk + glp

∂ϕ

∂xp∂gjk∂xi

+ glp∂2ϕ

∂xi∂xpgjk

quindi

Rijkz = glzRlijk

= e2ϕ(Rijkz + Γmikgjz∇mϕ− Γmik∇zϕgjm + giz∇kϕ∇iϕ− glzΓljm∇mϕgik

−gjz|∇ϕ|2gik +∇zϕ∇jϕgik − Γmjkgiz∇mϕ+ Γmjk∇zϕgim − giz∇kϕ∇jϕ

+glzΓlim∇lϕgjkgiz|∇ϕ|2gjk −∇zϕ∇iϕgjk + giz∇i∇kϕ− glz

∂glp

∂xj∇pϕgik

−∇zϕ∂gik∂xj−∇j∇zϕgik − gjz∇i∇kϕ+ glz

∂glp

∂xi∇pϕgjk +∇zϕ

∂gjk∂xi

+∇i∇zϕgjk

)da cui, sviluppando i conti di (a ∧ g)ijkz e passando a coordinate normali, si ottiene latesi.

Per il Ricci si ha:

Rjl = gikRijkl = Rjl − (n− 2) ajl − (tr (a)) gjl

= Rjl − (n− 2)∇j∇lϕ+ (n− 2)∇jϕ∇lϕ−(n− 2

2

)|∇ϕ|2 gjl

−(

∆ϕ− |∇ϕ|2 +n

2|∇ϕ|2

)gjl

= Rjl − (n− 2)∇j∇lϕ+ (n− 2)∇jϕ∇lϕ−(∆ϕ+ (n− 2) |∇ϕ|2

)gjl

Per la curvatura scalare si ha:

R = gikRjl = e−2ϕ(R− (2n− 2) ∆ϕ− (n− 2) (n− 1) |∇ϕ|2

)Vogliamo ora vedere come cambia il tensore di Weyl

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9.3. VARIETA LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTE 95

W = R +R

2 (n− 1) (n− 2)(g ∧ g)− 1

n− 2

(Ric ∧ g

)= e2ϕ R− (a ∧ g)+ e2ϕR− 2 (n− 1 (tra))

2 (n− 1) (n− 2)(g ∧ g)

− e2ϕ

n− 2Ric ∧ g − (n− 2) (a ∧ g)− (tra) (g ∧ g)

= e2ϕW

Il tensore di Weyl e conformalmente covariante.

DEFINIZIONE 9.3.2. Sia (M, g) una varieta riemanniana e A il tensore di Schouten;definiamo il tensore di Cotton come

Cijk := ∇iAjk −∇jAik = ∇iRjk −∇jRik −1

2 (n− 1)(∇iRgjk −∇jRgik)

DEFINIZIONE 9.3.3. Un tensore B si dice di Codazzi se∇iBjk −∇jBik = 0

OSSERVAZIONE 9.3.4. C = 0 se e solo se A e un tensore di Codazzi.

OSSERVAZIONE 9.3.5. Per la seconda identita di Bianchi si ha che∇iRijkl = ∇kRlj−∇lRkj , dunque il tensore di Riemann e un tensore di Codazzi se e solo se ha divergen-za nulla.

Contraendo avevamo che∇iRik = 12∇kR.

PROPOSIZIONE 9.3.6. Se n ≥ 3, allora∇iWijkl = n−3n−2

Cklj .

DIMOSTRAZIONE. Usiamo la precedente uguaglianza per calcolare la divergenzadel tensore di Weyl:

∇iWijkl = ∇kRlj −∇lRkj +∇iR

(n− 1) (n− 2)(gikgjl − gilgjk)

− 1

(n− 2)∇i (Rikgjl +Rjlgik −Rilgjk −Rjkgil)

=

(1− 1

n− 2

)(∇kRlj −∇lRkj)

+

(1

(n− 1) (n− 2)− 1

2 (n− 2)

)(∇kRgjl −∇lRgkj)

=n− 3

n− 2(∇kAlj −∇lAkj)

=n− 3

n− 2Cklj .

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96 9. SPAZI A CURVATURA COSTANTE E SPAZI LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTI

PROPOSIZIONE 9.3.7. Se (M, g) e una varieta riemanniana di dimensione n = 3 e seg = e2ϕg , allora

Aij = Aij − aij .

DIMOSTRAZIONE. Scriviamo il cambio conforme del tensore di Schouten per unavarieta di dimensione 3:

Aij = Rij −R

4gij

= Rij −∇i∇jϕ+∇iϕ∇jϕ−∆ϕgij − |∇ϕ|2 gij

−1

4

[e−2ϕ

(R− (2n− 2) ∆ϕ− (n− 2) (n− 1) |∇ϕ|2

)]e2ϕg

= Rij −1

4Rgij −∇i∇jϕ+∇iϕ∇jϕ−∆ϕgij −

1

2|∇ϕ|2 gij

= Aij −∇i∇jϕ+∇iϕ∇jϕ−∆ϕgij −1

2|∇ϕ|2 gij

= Aij − aij .

PROPOSIZIONE 9.3.8. Se (M, g) e una varieta riemanniana di dimensione n = 3 e seg = e2ϕg , allora

Cijk = Cijk +∇`φRiem`ijk .

DIMOSTRAZIONE. Calcoliamo

Cijk = ∇iRicjk − ∇jRicik −1

4

(gjk∇iR− gik∇jR

)= ∇iRicjk − Ricmk

(δmi ∂jϕ+ δmj ∂iϕ− gmpgij∇pϕ

)−Ricjm (δmi ∇kϕ+ δmk ∇iϕ− gmpgik∇pϕ)

−∇jRicik + Ricmk(δmj ∇iϕ+ δmi ∇jϕ− gmpgij∇pϕ

)+Ricim

(δmj ∇kϕ+ δmk ∇jϕ− gmpgjk∇pϕ

)quindi

−1

4e2ϕ(gjk∇iR− gik∇jR

)= ∇iRicjk −∇kϕRicij −∇iϕRicjk + gmpgikRicjm∇pϕ

+

(−1

4e2ϕ(gjk∇iR− gik∇jR

))−∇jRicik +∇kϕRicij +∇jϕRicik − gmpgjkRicim∇pϕ

= ∇i

(Ricjk −∇jkϕ+∇jϕ∇kϕ−

(∆ϕ + ‖∇ϕ‖2) gkj)

−∇iϕ(Ricjk −∇jkϕ+∇jϕ∇kϕ−

(∆ϕ + ‖∇ϕ‖2) gkj)

+gmpgik∇pϕ(Ricjm −∇jmϕ+∇jϕ∇mϕ−

(∆ϕ+ ‖∆ϕ‖2) gjm)

−∇j

(Ricik −∇ikϕ+∇iϕ∇kϕ−

(∆ϕ+ ‖∇ϕ‖2) gik)

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9.3. VARIETA LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTE 97

+∇jϕ(Ricik −∇ikϕ+∇iϕ∇kϕ−

(∆ϕ+ ‖∆ϕ‖2) gik)

+

(−1

4e2ϕ(gjk∇iR− gik∇jR

))−gmpgjk∇pϕ

(Ricim −∇imϕ+∇iϕ∇mϕ−

(∆ϕ+ ‖∆ϕ‖2) gim)

= ∇iRicjk −∇ijkϕ+∇ijϕ∇kϕ+∇jϕ∇ikϕ− gkj∇i

(∆ϕ+ ‖∇ϕ‖2)

−∇iϕRicjk +∇iϕ∇jkϕ−∇iϕ∇jϕ∇kϕ+∇iϕ(∆ϕ+ ‖∇ϕ‖2) gkj

+gmpgik∇pϕRicjm − gmpgik∇pϕ∇jmϕ+ gik∇jϕ ‖∇ϕ‖2

−(∆ϕ+ ‖∆ϕ‖2) gik∇jϕ

−∇jRicik +∇jikϕ−∇ijϕ∇kϕ−∇iϕ∇jkϕ+ gik∇j

(∆ϕ+ ‖∇ϕ‖2)

+∇jRicik −∇j∇ikϕ+∇iϕ∇jϕ∇kϕ−∇jϕ(∆ϕ+ ‖∇ϕ‖2) gik

−gmpgjk∇pϕRicim + gmpgjk∇pϕ∇imϕ−∇iϕgjk ‖∇ϕ‖2

+(∆ϕ+ ‖∇ϕ|2

)gjk∇iϕ

+

(−1

4e2ϕ(gjk∇iR− gik∇jR

))= ∇iRicjk −∇jRicik −∇iϕRicjk +∇jϕRicik − gkj∇i

(∆ϕ+ ‖∇ϕ‖2)

+gki∇j

(∆ϕ+ ‖∇ϕ‖2)

+gkj∇iϕ(2∆ϕ+ ‖∆ϕ‖2)− gki∇jϕ

(2∆ϕ+ ‖∆ϕ‖2)

−1

4e2ϕ(gjk∇iR− gik∇jR

)+gikg

mp∇pϕRicjm − gjkgmp∇pϕRicim−gikgmp∇pϕ∇jmϕ+ gjkg

mp∇pϕ∇imϕ

−∆ϕgik∇jϕ+ ∆ϕgjk∇iϕ

= ∇iRicjk −∇jRicik −∇iϕRicjk −∇jϕRicik−gkj∇i∆ϕ− gkj∇i ‖∇ϕ‖2 + gki∇j∆ϕ+ gki∇j ‖∇ϕ‖2

+2∆ϕgkj∇iϕ+ ‖∆ϕ‖2 gkj∇iϕ− 2∆ϕgki∇jϕ− ‖∆ϕ‖2 gki∇jϕ

+gikgmp∇pϕRicjm − gjkgmp∇pϕRicim − gikgmp∇pϕ∇jmϕ

+gjkgmp∇pϕ∇imϕ

−1

4e2ϕ(gjk∇i

(e−2ϕR− 4e−2ϕ∆ϕ− 2e−2ϕ ‖∆ϕ‖2)

−gjk∇j

(e−2ϕR− 4e−2ϕ∆ϕ− 2e−2ϕ ‖∆ϕ‖2))

= ∇iRicjk −∇jRicik −∇iϕRicjk +∇jϕRicik−gkj∇i∆ϕ− gkj∇i ‖∆ϕ‖2 + gik∇j∆ϕ+ gik∇j ‖∇ϕ‖2

+2∆ϕgkj∇iϕ+ ‖∆ϕ‖2 gkj∇iϕ− 2∆ϕgik∇jϕ− ‖∆ϕ‖2 gik∇jϕ

+gikgmp∇pϕRicjm − gjkgmp∇pϕRicim

−gik1

2∇j ‖∇ϕ‖2 + gjk

1

2∇i ‖∇ϕ‖2

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98 9. SPAZI A CURVATURA COSTANTE E SPAZI LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTI

−1

4(gjk (∇iR− 2R∇iϕ− 4∇i∆ϕ+ 8∆ϕ∇iϕ

−2∇i ‖∆ϕ‖2 + 4 ‖∆ϕ‖2∇iϕ)

−gik (∇jR− 2R∇jϕ− 4∇j∆ϕ+ 8∆ϕ∇jϕ

−2∇j ‖∆ϕ‖2 + 4 ‖∆ϕ‖2∇jϕ))

= Cijk −∇iϕRicjk +∇jRicik + gikgmp∇pϕRicjm

−gjkgmp∇pϕRicim +1

2Rgjk∇iϕ−

1

2Rgik∇jϕ

= Cijk + gmp∇pϕRijkm

= Cijk +∇`ϕRiem`ijk

da cui segue la tesi.

OSSERVAZIONE 9.3.9. Se (M, g) e una varieta riemanniana di dimensione n ≥ 4 ese g = e2ϕg , allora

Cijk = Cijk +(n− 4)(n− 3)

(n− 2)g`pW`kij∇pφ .

DEFINIZIONE 9.3.10. Una varieta riemanniana (M, g) di dimensione n si dice localmenteconformalmente piatta (LCF) se per ogni p ∈ M esiste una carta locale (U, x) attorno a p taleche

gij (q) = e2ϕ(q)δij∀q ∈ U , per qualche ϕ ∈ C∞ (U).

Le varieta riemanniane si posso classificare in base alla decomposizione ortogona-le del loro tensore di Riemann. Infatti, osserviamo che:

i) se

Ric = 0 e Wg = 0 abbiamo le space–forms;

ii) se

Ric = 0 si hanno le varieta di Einstein;e dimostreremo che

iii) se dim (M) ≥ 4 e Wg = 0 abbiamo le varieta localmente conformalmentepiatte (LCF).

PROPOSIZIONE 9.3.11. Ogni varieta riemanniana 2–dimensionale e localmente confor-malmente piatta.

DIMOSTRAZIONE. Innanzitutto, osserviamo che, se R = 0, allora R = 0, quindi lavarieta e isometrica ad R2.

Quindi, basta dimostrare che, localmente, esiste un cambio conforme g = e2ϕ g taleche R = 0.

Dalle formule viste,R = e−2ϕ (R− 2∆ϕ) .

Quindi dobbiamo risolvere, localmente in un aperto U ,∆ϕ = R

2in U

ϕ = 0 su ∂U

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9.3. VARIETA LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTE 99

di cui esiste la soluzione.

TEOREMA 9.3.12 (Weyl–Schouten). Una varieta riemanniana (M, g) di dimensione n elocalmente conformalmente piatta se e solo se

W = 0 per n ≥ 4

C = 0 per n = 3.

DIMOSTRAZIONE. =⇒ segue dalla covarianza conforme di Wg e Cg.⇐= per uniformizzazione in dimensione n siamo portati a cercare di risolvere

localmente l’equazione R = 0 dove g = e2ϕg, ϕ e incognita, ϕ ∈ C∞ (U) ossia

0 = e−2ϕR

= R− a ∧ g

=A ∧ gn− 2

+W − a ∧ g

=A

n− 2∧ g − a ∧ g

=

(A

n− 2− a)∧ g

= Ψg

(A

n− 2− a)

dove

Ψg :

Sym2 (T ∗M)→ C (T ∗M)

h 7→ h ∧ g .Notiamo che Ψg e iniettiva per n ≥ 3; dunque

R = 0 su U ⇐⇒ A

n− 2= a su U

e andando a scrivere esplicitamente

Aijn− 2

= ∇i∇jϕ−∇iϕ∇jϕ+|∇ϕ|2

2gij .

Mostriamo ora che, sotto l’ipotesi che C = 0 (in dimensione n ≥ 4, questo seguedalla Proposizione 9.3.6, ovvero∇iAjk = ∇jAik, allora l’equazione e risolubile.

Cio e equivalente a trovare localmente una 1–forma u = ujdxj soluzione di

∇iuj =Aijn− 2

+ uiuj −|u|2

2gij .

Infatti, se ϕ e una soluzione della prima equazione, allora u := dϕ e soluzionedella seconda. Viceversa, se u e soluzione della seconda equazione, notiamo che du =(∇iuj −∇jui) = 0. Quindi, per il Lemma di Poincare, u e localmente esatta e quindiesiste ϕ tale che dϕ = u, e tale ϕ e soluzione della prima equazione.

Dobbiamo dunque risolvere localmente∇iuj =Aijn−2

+ uiuj − |u|2

2gij =: cij nell’inco-

gnita u.

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100 9. SPAZI A CURVATURA COSTANTE E SPAZI LOCALMENTE CONFORMALMENTE PIATTI

Per il teorema di Frobenius ∇iuj = cij e risolvibile localmente se e solo se ∇kcij −∇ickj = Rkijlu

l.Calcoliamo:

∇kcij −∇ickj =1

n− 2(∇kAij −∇iAkj) + (∇kui)uj + ui (∇kuj)

− (∇iuk)uj − uk (∇iuj)− ul (∇kul) gij + ul (∇iul) gkj ,

Rkijlul =

(A

n− 2∧ g)kijl

ul =1

n− 2(Akjgil + Ailgkj − Aklgij − Aijgkl)ul

=

(∇kuj − ukuj +

|u|2

2gkj

)gil +

(∇iul − uiul +

|u|2

2gil

)gkj

(∇kul − ukul +

|u|2

2gkl

)gij −

(∇iuj − uiuj +

|u|2

2gij

)gkl

ul

=

(∇kuj − ukuj +

|u|2

2gkj

)ui −

(∇iuj − uiuj +

|u|2

2gij

)uk

+(ul∇iul

)gkj − |u|2 uigkj +

|u|2

2uigkj −

(ul∇kul

)gij + |u|2 ukgij −

|u|2

2ukgij .

Quindi

∇kcij −∇ickj −Rkijlul =

1

n− 2(∇kAij −∇iAkj) + (∇kui)uj + ui (∇kuj)

− (∇iuk)uj − uk (∇iuj)− ul (∇kul) gij + ul (∇iul) gkj

(∇kuj − ukuj +

|u|2

2gkj

)ui +

(∇iuj − uiuj +

|u|2

2gij

)uk

−(ul∇iul

)gkj + |u|2 uigkj −

|u|2

2uigkj

+(ul∇kul

)gij − |u|2 ukgij +

|u|2

2ukgij

=1

n− 2(∇kAij −∇iAkj) + (∇kui)uj − (∇iuk)uj

= (∇kui)uj − (∇iuk)uj

= (∇kui −∇iuk)uj = 0 ,

dove abbiamo usato che A e un tensore di Codazzi.

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Parte 4

Risultati di confronto e altri teoremi

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CAPITOLO 10

Geometria del confronto

10.1. Preliminari

Sia (M, g) una varieta riemanniana e Σ ⊆ M un ipersuperficie orientata di M .La metrica riemanniana di M induce in modo naturale su Σ una metrica riemannia-na, la metrica: gΣ := ι∗g (dove ι : Σ → M denota l’inclusione). La metrica gΣ etradizionalmente detta la prima forma fondamentale di Σ.

Preso p ∈ Σ indichiamo con νp ∈ TpM il vettore normale uscente dalla ipersuper-ficie Σ nel punto p. Il campo di vettori normali ν ∈ Γ(TM |Σ) e la cosı detta mappa diGauss dell’ipersuperficie.

DEFINIZIONE 10.1.1 (Seconda forma fondamentale di un ipersuperficie). La se-conda forma fondamentale di un’ipersuperficie Σ e definita come la 2–forma:

h (X, Y ) := 〈X,∇Y ν〉 X, Y ∈ Γ (TΣ) . (10.1.1)

Preso p ∈M consideriamo un sistema di coordinate polari (r, θ1, . . . , θn−1) centratenel punto p. Per il lemma di Gauss, in tali coordinate si ha che:

g = dr ⊗ dr + gij(r, θ) dθi ⊗ dθj.

Consideriamo la sfera geodetica di centro p e raggio r0 > 0 :

S(p, r0) := q ∈M : r(q) = d(p, q) = r0che (per r0 abbastanza piccolo) e un onesta ipersuperficie di M . Orientando opportu-namente la sfera geodetica S(p, r0) si ha che ν = ∂

∂r. Nelle coordinate (θ1, . . . , θn−1) i

coefficienti della seconda forma fondamentale di S(p, r0) sono dati allora da:

hij = h

(∂

∂θi,∂

∂θj

)=

⟨∂

∂θi,∇ ∂

∂θjν

⟩=

⟨∂

∂θi,∇ ∂

∂θj

∂r

⟩=

=∂

∂θj

⟨∂

∂θi,∂

∂r

⟩−⟨∇ ∂

∂θj

∂θi,∂

∂r

⟩= −

⟨∇ ∂

∂θj

∂θi,∂

∂r

⟩= −

⟨Γkij

∂θk+ Γrij

∂r,∂

∂r

⟩= −Γkij

⟨∂

∂θk,∂

∂r

⟩− Γrij

⟨∂

∂r,∂

∂r

⟩= −Γrij

= −gr`

2

(∂gj`∂θi− ∂gij∂θ`

+∂g`i∂θj

)− grr

2

(∂gjr∂θi− ∂gij

∂r+∂gri∂θj

)=

1

2

∂gij∂r

Quindi in definitiva:

hij = −Γrij =1

2

∂gij∂r

. (10.1.2)

103

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104 10. GEOMETRIA DEL CONFRONTO

DEFINIZIONE 10.1.2 (Curvatura media). La curvatura media di un’ipersuperficie Σ ⊂M e la funzione H : Σ→ R che si ottiene tracciando mediante la metrica gΣ la seconda formafondamentale di Σ. In coordinate locali: H = gijΣ hΣ

ij.

Nel caso della sfera geodetica S(p, r0) abbiamo che:

H = gijhij = −gijΓrij =1

2gij∂gij∂r

=1

2

∂rlog(det(gij)) =

∂rlog(√

det g).

dunque:

H =∂

∂rlog(√

det g). (10.1.3)

ESEMPIO 10.1.3 (Laplaciano in coordinate polari). Preso p ∈ M consideriamo unsistema di coordinate polari (r, θ1, . . . , θn−1) centrate nel punto p. L’espressione nellecoordinate (r, θ1, . . . , θn−1) del laplaciano dipendono dalla curvatura media delle sferegeodetiche centrate in p, infatti:

∆u = gαβ∇2αβu = grr∇2

rru+ gij∇2iju

=∂2u

∂r∂r−(

Γrrr∂u

∂r+ Γkrr

∂u

∂θk

)+ gij

(∂2u

∂θi∂θj−(

Γrij∂u

∂r+ Γkij

∂u

∂θk

))=

∂2u

∂r∂r− gijΓrij

∂u

∂r+ gij

(∂2u

∂θi∂θj− Γkij

∂u

∂θk

)=

∂2u

∂r∂r+H

∂u

∂r+ ∆S(p,r)u

dove ∆S(p,r) denota l’operatore di Laplace di S(p, r) (con la metrica indotta). Dunquein definitiva:

∆u =∂2u

∂r∂r+H

∂u

∂r+ ∆S(p,r)u . (10.1.4)

10.2. Le equazioni di Riccati

Sia (M, g) una varieta riemanniana. Preso p ∈M fissiamo un sistema di coordinatepolari (r, θ1, . . . , θn−1) centrate nel punto p. Presa una sfera geodetica S(p, r0) centratanel punto p indichiamo con h la sua seconda forma fondamentale e con H la suacurvatura media. Lo scopo di questa sezione e scrivere delle equazioni differenziali(le equazioni di Riccati) che mettano in relazione tali quantita con il tensore di curvaturadi M .

PROPOSIZIONE 10.2.1 (Equazione di Riccati). Vale l’identita :∂hij∂r

= hikgk`h`j −Rirjr (10.2.1)

DIMOSTRAZIONE. Avevamo gia osservato che:

hij =

⟨∂

∂θi,∇ ∂

∂θj

∂r

⟩=

∂θj

⟨∂

∂θi,∂

∂r

⟩−⟨∇ ∂

∂θj

∂θi,∂

∂r

⟩= −

⟨∇ ∂

∂θj

∂θi,∂

∂r

⟩Dunque:

∂hij∂r

= − ∂

∂r

⟨∇ ∂

∂θi

∂θj,∂

∂r

⟩= −

⟨∇ ∂

∂r∇ ∂

∂θi

∂θj,∂

∂r

⟩−⟨∇ ∂

∂θi

∂θj,∇ ∂

∂r

∂r

⟩.

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10.2. LE EQUAZIONI DI RICCATI 105

Osservando allora che:

∇ ∂∂r

∂r= Γrrr

∂r+ Γjrr

∂θj= 0

si ottiene l’uguaglianza:

∂hij∂r

= −⟨∇ ∂

∂r∇ ∂

∂θi

∂θj,∂

∂r

⟩Adesso, poiche: [

∂r,∂

∂θi

]≡ 0 (teorema di Schwarz)

si ha che:

∇ ∂∂r∇ ∂

∂θi

∂θj= ∇ ∂

∂θi∇ ∂

∂r

∂θj+Rm

(∂

∂θi,∂

∂r

)∂

∂θj

Dunque possiamo far commutare le derivate covarianti al costo di introdurre comefattore correttivo il tensore di Riemann ottenendo cosı l’uguaglianza:

∂hij∂r

= −⟨∇ ∂

∂r∇ ∂

∂θi

∂θj,∂

∂r

⟩= −

⟨∇ ∂

∂θi∇ ∂

∂r

∂θj+Rm

(∂

∂θi,∂

∂r

)∂

∂θj,∂

∂r

⟩=

= −⟨∇ ∂

∂θi∇ ∂

∂r

∂θj,∂

∂r

⟩−Rirjr.

Usando ancora la compatibilita della connessione di Levi–Civita con la metrica sitrova che:

∂hij∂r

=

⟨∇ ∂

∂r

∂θj,∇ ∂

∂θi

∂r

⟩− ∂

∂θi

⟨∇ ∂

∂r

∂θj,∂

∂r

⟩−Rirjr.

Analizzando i primi due termini del membro destro si ottiene allora che:⟨∇ ∂

∂r

∂θj,∂

∂r

⟩=

⟨Γrrj

∂r+ Γjrj

∂θj,∂

∂r

⟩= Γrrj

⟨∂

∂r,∂

∂r

⟩+ Γjrj

⟨∂

∂θj,∂

∂r

⟩= Γrrj = 0

⟨∇ ∂

∂r

∂θj,∇ ∂

∂θi

∂r

⟩=

⟨Γrrj

∂r+ Γ`rj

∂θ`,Γrir

∂r+ Γjir

∂θj

⟩=

⟨Γrrj

∂r,Γrir

∂r

⟩+

⟨Γ`rj

∂θ`,Γjir

∂θj

⟩= ΓrrjΓ

rirgrr + Γ`rjΓ

jirg`j = Γ`rjΓ

jirg`j

da cui l’uguaglianza:∂hij∂r

= Γ`rjΓjirg`j −Rirjr.

Per ottenere la tesi a questo punto basta osservare che:

Γkjr =gkm

2

(∂gmr∂θj

+∂gjm∂r− ∂gjr∂θm

)= gkm · 1

2

∂gjm∂r

= gkmhjm

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106 10. GEOMETRIA DEL CONFRONTO

e che di conseguenza:gkmΓkjr = hjm

PROPOSIZIONE 10.2.2 (Equazione di Riccati, versione covariante). Vale l’identita :

∇ ∂∂rhij + hikg

k`h`j +Rirjr = 0 (10.2.2)

DIMOSTRAZIONE. Scriviamo h in coordinate locali:

h = hijdθi ⊗ dθj

e osserviamo che:

∇ ∂∂rh = ∇ ∂

∂r

(hijdθ

i ⊗ dθj)

=∂hij∂r

dθi ⊗ dθj + hij∇ ∂∂r

(dθi ⊗ dθj

)=

=(hikg

k`h`j −Rirjr

)dθi ⊗ dθj + hij

(∇ ∂

∂rdθi ⊗ dθj + dθi ⊗∇ ∂

∂rdθj).

Adesso, poiche:∇ ∂

∂rdθi = −Γirrdr − Γirkdθ

k = −Γirkdθk

si ha che:

∇ ∂∂rh =

(hikg

k`h`j −Rirjr

)dθi ⊗ dθj − hij

(Γirkdθ

k ⊗ dθj + Γjrkdθi ⊗ dθk

).

Se ne deduce in definitiva che:

∇ ∂∂rhij = hikg

k`h`j −Rirjr − hij(Γjri + Γirj

)= hikg

k`h`j −Rirjr − hikΓkri − hkjΓkrj =

= hikgk`h`j −Rirjr − hikgkmhim − hkjgkmhjm =

= −hikgk`h`j −Rirjr

che era quanto cercato.

C’e anche una versione tracciata dell’equazione di Riccati che mette in relazionela curvatura media di S(p, r0) con il tensore di Ricci di M .

PROPOSIZIONE 10.2.3 (Equazione di Riccati tracciata). Vale l’identita :∂H

∂r+ |h|2 +Rrr = 0 (10.2.3)

DIMOSTRAZIONE. Osserviamo per cominciare che:

∂H

∂r=∂(gijhji)

∂r= gij

∂hij∂r

+∂gij

∂rhij = gij(hikg

k`h`j −Rirjr) +∂gij

∂rhij

= gijhikgk`h`j − gijRirjr +

∂gij

∂rhij = gijhikg

k`h`j −Rrr +∂gij

∂rhij.

Adesso, poiche:

0 =∂δiq∂r

=∂(gipgpq)

∂r=∂gip

∂rgpq + gip

∂gpq∂r

=∂gip

∂rgpq + 2giphpq

si ha che:∂gip

∂rgpqg

qj = −2 giphpqgqj

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10.3. ALCUNI RISULTATI DI CONFRONTO 107

e quindi che:∂gij

∂r= −2 giphpqg

qj.

Mettendo insieme i pezzi, troviamo in definitiva che:

∂H

∂r= gijhikg

k`h`j +∂gij

∂rhij −Rrr = gijhikg

k`h`j − 2gipgqjhpqhij −Rrr =

= |h|2 − 2|h|2 −Rrr = −|h|2 −Rrr.

che era proprio quanto cercato.

10.3. Alcuni risultati di confronto

Sia (M, g) una varieta riemanniana. Preso p ∈ M , fissiamo su un intorno U ⊆M di p un sistema di coordinate polari (r, θ1, . . . , θn−1) centrate in p. Preso k ∈ Rintroduciamo su U la metrica a curvatura costante :

gk = dr ⊗ dr + S2k(r) gSn−1

dove:

Sk(r) =

sin(√kr)√k

k > 0

r k = 0sinh(√|k|r)√|k|

k < 0

.

ESERCIZIO 10.3.1. Verificare che una metrica del tipo:

gφ = dr ⊗ dr + φ2(r) gSn−1

ha le curvature sezionali dei 2–piani che contengono ∂∂r

costanti, e che tale costante edata da:

Krad = −φ′′

φ

Verificare che in tal caso anche le curvature sezionali dei 2–piani ortogonali a ∂∂r

sonocostanti, e che tale costante e data da

Ksph =1− |φ′|2

|φ|2

Dedurne che:

Ricg = −(n− 1)φ′′

φdr ⊗ dr +

[(n− 2)

(1− |φ′|2

)− φ′′φ

]gSn−1

Presa una sfera geodetica S(p, r) verificare che la sua seconda forma fondamentalerispetto alla metrica gφ e data da:

hij =φ′

φgij .

e dedurne che una tale sfera geodetica ha curvatura media costante uguale a:

H = (n− 1)φ′

φ

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108 10. GEOMETRIA DEL CONFRONTO

Indichiamo con H(r, θ) la curvatura media di una sfera geodetica S(p, r) rispettoalla metrica g e con Hk(r) la curvatura media di una sfera geodetica S(p, r) rispettoalla metrica gk. Facendo i calcoli si trova che:

Hk(r) :=

(n− 1)

√k cot

(√kr)

k > 0n−1r

k = 0

(n− 1)√|k| coth

(√|k|r)

k < 0

.

TEOREMA 10.3.2 (Confronto delle curvatura media). Sia (Mn, g) una varieta rie-manniana con Ric ≥ (n − 1)k · g per un opportuna costante k ∈ R. Allora, preso p ∈ M eprese delle coordinate polari (r, θ1, . . . , θn−1) centrate in p, si ha che:

H(r, θ) ≤ Hk(r) (10.3.1)

DIMOSTRAZIONE. Dall’equazione tracciata di Riccati si deduce che:

∂r

(H

n− 1

)= − 1

n− 1

(Rrr + |h|2

)≤ − 1

n− 1

((n− 1)kgrr +

H2

n− 1

)≤ −k−

(H

n− 1

)2

.

Facendo un conto diretto (e usando ancora l’equazione tracciata di Riccati) si verificainvece che:

∂r

(Hk

n− 1

)= −k −

(Hk

n− 1

)2

.

Ora:

∂r

(H

n− 1− Hk

n− 1

)≤ −k −

(H

n− 1

)2

+ k +

(Hk

n− 1

)2

=

(Hk

n− 1

)2

−(

H

n− 1

)2

= −(H +Hk

n− 1

)·(H −Hk

n− 1

)Dunque:

∂r(H −Hk) ≤ −

(H +Hk

n− 1

)· (H −Hk)

Fissiamo (r0, θ0), vogliamo far vedere che:(H −Hk

)(r0, θ0) ≤ 0.

Definiamo:u(r) :=

(H −Hk

)(r, θ0)

e osserviamo che:1

u· ∂u∂r≤ −

(H +Hk

n− 1

)Integrando si ottiene che:

log

(u(r0)

u(r0 − t)

)=

∫ r0

r0−t

1

u· ∂u∂r

dr ≤ −∫ r0

r0−t

H +Hk

n− 1dr

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10.3. ALCUNI RISULTATI DI CONFRONTO 109

da cui, passando agli esponenziali:

u(r0)

u(r0 − t)≤ e−

∫ r0r0−t

H+Hkn−1

dr

e quindi che:

u(r0) ≤ u(r0 − t) · e−∫ r0r0−t

H+Hkn−1

dr

Adesso, sviluppando la metrica in coordinate polari si verifica che:

limr→0

rH(r)

n− 1= lim

r→0

rHk(r)

n− 1= 1.

Dunque

u(r0 − t) · e−∫ r0r0−t

H+Hkn−1 → 0 per t→ r0

da cui che (H −Hk

)(r0, θ0) = u(r0) ≤ 0

che e proprio quanto cercato.

Utilizzando il teorema di confronto delle curvature medie possiamo dare unadimostrazione alternativa del teorema di Bonnet–Myers.

TEOREMA 10.3.3 (Bonnet–Myers). Sia (M, g) una varieta riemanniana completa conRic ≥ (n− 1)k · g per un opportuno k > 0. Allora:

diam(M) ≤ π√k

(10.3.2)

e in particolare M risulta essere compatta.

DIMOSTRAZIONE. Preso p ∈ M , supponiamo per assurdo che da p esca una geo-detica minimale:

γ : [0, L]→M con |γ| ≡ 1 e L >π√k.

Siccome la funzione distanza dp(·) = d(p, ·) e una funzione regolare lungo il supportodi γ si ha che per ogni r ∈ (0, L) la sfera geodetica S(p, r) e un ipersuperficie lisciain un intorno di γ(r). Dunque per il teorema del confronto delle curvatura mediaabbiamo che, lungo il supporto di γ:

H(r, θ) ≤ Hk(r) = (n− 1)√k cot(

√kr).

Ora se L > π√k

si avrebbe un assurdo in quanto:

cot(√kr)→ −∞ per r → π√

k

+

.

TEOREMA 10.3.4 (Bishop–Gromov). Sia (Mn, g) una varieta riemanniana con Ric ≥(n− 1)k · g per un opportuna costante k ∈ R. Allora, preso p ∈M , vale la disuguaglianza:

µ (B(p, r)) ≤ µk (B(0, r)) . (10.3.3)

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110 10. GEOMETRIA DEL CONFRONTO

per ogni r > 0. Inoltre la funzione:

r 7→ µ (B(p, r))

µk (B(0, r))

e non crescente.

DIMOSTRAZIONE. Per cominciare osserviamo che:

H(r, θ) =∂

∂rlog√g

Hk(r) =∂

∂rlog√gk

e che per il teorema di confronto delle curvature medie: H(r, θ) ≤ Hk(r). Dunque:

∂rlog√g ≤ ∂

∂rlog√gk

da cui che:∂

∂rlog

( √g

√gk

)≤ 0

Adesso poiche:√g

√gk

=

√g

Sn−1k (r) · √gSn−1

→ 1 per r → 0+

si ha che:

log

( √g

√gk

)= log

( √g

Sn−1k (r) · √gSn−1

)→ 0 per r → 0+

e quindi in definitiva che:

log

( √g

√gk

)≤ 0

Passando agli esponenziali nell’ultima disuguaglianza si trova allora che:√g ≤ √gk = Sn−1

k (r) · √gSn−1

da cui la disuguaglianza:

µ (B(p, r)) =

∫ r

0

∫Sn−1

√g dθ1 . . . dθn−1 dr ≤

≤∫ r

0

(∫Sn−1

√gSn−1 dθ1 . . . dθn−1

)Sn−1k (r) dr = µk (B(0, r)) .

Dimostriamo quindi che la funzione:

r 7→ µ (B(p, r))

µk (B(0, r))

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10.3. ALCUNI RISULTATI DI CONFRONTO 111

e non crescente. Derivando:

d

dR

(µ (B(p,R))

µk (B(0, R))

)=

( ∫Sn−1

√g(R, θ) dθ1 . . . dθn−1

)·( ∫ R

0

∫Sn−1

√gk(r, θ) dθ

1 . . . dθn−1 dr)

|µk (B(0, R))|2

( ∫Sn−1

√gk(R, θ) dθ

1 . . . dθn−1)·( ∫ R

0

∫Sn−1

√g(r, θ) dθ1 . . . dθn−1 dr

)|µk (B(0, R))|2

=

∫ R0

( ∫Sn−1

√g(R, θ) dθ1 . . . dθn−1

)·( ∫

Sn−1

√gk(r, θ) dθ

1 . . . dθn−1)dr

|µk (B(0, R))|2

∫ R0

( ∫Sn−1

√gk(R, θ) dθ

1 . . . dθn−1)·( ∫

Sn−1

√g(r, θ) dθ1 . . . dθn−1

)dr

|µk (B(0, R))|2

Dunque affinche si abbia che:

d

dR

(µ (B(p,R))

µk (B(0, R))

)≤ 0

e sufficiente che:∫Sn−1

√g(R, θ) dθ1 . . . dθn−1∫

Sn−1

√gk(R, θ) dθ1 . . . dθn−1

≤∫Sn−1

√g(r, θ) dθ1 . . . dθn−1∫

Sn−1

√gk(r, θ) dθ1 . . . dθn−1

Osservando quindi che:∫Sn−1

√g(R, θ) dθ1 . . . dθn−1∫

Sn−1

√gk(R, θ) dθ1 . . . dθn−1

=

∫Sn−1

√g(R, θ) dθ1 . . . dθn−1

|Sn−1| · Sn−1k (R)

e che, analogamente:∫Sn−1

√g(r, θ) dθ1 . . . dθn−1∫

Sn−1

√gk(r, θ) dθ1 . . . dθn−1

=

∫Sn−1

√g(r, θ) dθ1 . . . dθn−1

|Sn−1| · Sn−1k (r)

ci si riduce a provare la disuguaglianza:∫Sn−1

√g(R, θ)

Sn−1k (R)

dθ1 . . . dθn−1 ≤∫Sn−1

√g(r, θ)

Sn−1k (r)

dθ1 . . . dθn−1

per 0 ≤ r ≤ R. Per ottenere quest’ultima disuguaglianza basta provare che, a θ fissato,la funzione:

r 7→√g(r, θ)

Sn−1k (r)

sia non crescente. D’altra parte, derivando, si trova che:

∂r

( √g

Sn−1k

)=∂r√g · Sn−1

k −√g · (n− 1)Sn−2k S ′k

S2(n−1)k

=∂r√g

Sn−1k

−(n− 1)

√g

Sn−1k

· S′k

Sk

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112 10. GEOMETRIA DEL CONFRONTO

Ora, per quanto visto sopra, si ha che:

H =∂

∂rlog(√

det g)

=1√g·∂√g

∂r=⇒

∂√g

∂r= H√g

Hk(r)

n− 1=S ′k(r)

Sk(r)

Dunque, per il teorema del confronto delle curvature medie, si ha in definitiva che:

∂r

( √g

Sn−1k

)=

√g

Sn−1k

H −√g

Sn−1k

Hk =

√g

Sn−1k

·(H −Hk

)≤ 0

che dimostra quanto voluto.

TEOREMA 10.3.5 (Confronto degli hessiani). Sia (Mn, g) una varieta riemannianacon Sec ≥ k per un opportuna costante k ∈ R. Allora, preso p ∈ M e prese delle coordinatepolari (r, θ1, . . . , θn−1) centrate in p, si ha che:

∇2ijr = hij ≤

Hk

n− 1gij (10.3.4)

DIMOSTRAZIONE. Per cominciare osserviamo che:

∇2ijr =

∂2r

∂r∂r− Γrij

∂r

∂r− Γkij

∂r

∂θk= Γrij = hij.

Dimostriamo che:

hij ≤Hk

n− 1gij

Sia γ : [0, L) → M una geodetica radiale uscente da p e V ∈ TpM un vettore unitarioortogonale a γ(0). Sia V (t) il trasporto parallelo lungo γ. Se mostriamo che :

h(V (r), V (r)) ≤ Hk(r)

n− 1|V (r)|2

per ogni t ∈ [0, L) abbiamo finito. Derivando, utilizzando la “versione covariante”dell’equazione di Riccati e usando le stime sulle curvature sezionali, si trova che:

d

dr

(h(V, V )

)=(∇ ∂

∂rh)

(V, V ) + 2h(∇ ∂

∂rV, V

)= −h2(V, V )−Rm

(V,

∂r, V,

∂r

)≤ − |h(V, V )|2 − k

Facendo il calcolo esplicito nelle space–forms si trova che

d

dr

(hk(V, V )

)= − |hk(V, V )|2 − k

e quindi la disuguaglianza

d

dr

(h(V, V )− hk(V, V )

)≤ |hk(V, V )|2 − |hk(V, V )|2 .

A questo punto si conclude ragionando per assurdo come nel teorema di confrontodelle curvature medie.

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10.3. ALCUNI RISULTATI DI CONFRONTO 113

TEOREMA 10.3.6 (Confronto dei laplaciani). Sia (Mn, g) una varieta riemannianacon Ric ≥ (n − 1)k · g per un opportuna costante k ∈ R. Allora, preso p ∈ M e dettar(x) := d(p, x) la funzione distanza dal punto p, si ha che:

∆r(·) ≤ Hk(r(·))nel senso delle distribuzioni, vale a dire: per ogni ϕ ∈ C∞(M) non negativa a supportocompatto vale la disuguaglianza:∫

M

ϕHk dµg ≥∫M

r∆ϕ dµg

DIMOSTRAZIONE. Per cominciare osserviamo che li dove r(x) e liscia il teoremasegue immediatamente dal teorema del confronto delle curvature medie, in quanto:∆r = H . Ora osserviamo che:∫

M

Hkϕ dµ =

∫M\Cut(p)

Hkϕ dµ.

Consideriamo la funzione θ 7→ ρ(θ) ∈ R+ definita ponendo:

ρ(θ) := maxs ∈ R+ tali che t 7→ expp(tθ) e minimizzante fino a sOra: ∫

M\Cut(p)Hkϕ dµ =

∫Sn−1

∫ ρ(θ)

0

ϕ(expp(rθ))Hk(r)√g drdθ1 . . . dθn−1.

osservando quindi che, per il teorema di confronto delle curvature medie:

Hk(r)√g ≥ H(r)

√g =

∂r

(log√g)√

g =1√g

∂√g

∂r

√g =

∂√g

∂r

otteniamo che:∫M\Cut(p)

Hk · ϕ dµ ≥∫Sn−1

∫ ρ(θ)

0

ϕ(expp(rθ))∂√g

∂rdrdθ1 . . . dθn−1

= limε→0

∫Sn−1

∫ ρ(θ)

ε

ϕ(expp(rθ))∂√g

∂rdrdθ1 . . . dθn−1

Integrando per parti:∫ ρ(θ)

ε

ϕ(expp(rθ))∂√g

∂rdr = −

∫ ρ(θ)

ε

∂r

(ϕ(expp(rθ))

)√g dr +

[ϕ(expp(rθ))

√g]ρ(θ)

r=ε

D’altra parte per ε→ 0 il membro destro di tale uguaglianza converge a:

−∫ ρ(θ)

0

〈∇ϕ,∇r〉 dr + ϕ(expp(ρ(θ)θ))√g(ρ(θ), θ)

dunque, in definitiva:∫M

ϕHk dµg ≥ −∫M

〈∇ϕ,∇r〉 dµ+

∫Sn−1

ϕ(expp(ρ(θ)θ))√g(ρ(θ), θ) dθ1 . . . dθn−1

A questo punto per concludere basta osservare che il secondo addendo della disu-guaglianza di sopra e sempre positivo e utilizzare il teorema della divergenza (perfunzioni lipschitziane).

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CAPITOLO 11

Teorema di Toponogov

11.1. Il Lemma di Deformazione

Ricordiamo che una funzione f : X → Y tra due spazi topologici si dice propriase, per ogni compatto K ⊆ Y , la controimmagine f−1(K) e compatta in X .

LEMMA 11.1.1 (Lemma di Deformazione). Sia (M, g) una varieta riemanniana e siaf : M → R una funzione propria di classe C∞. Se in [a, b] non ci sono valori critici allora isottolivelli f−1 ((−∞, a]) e f−1 ((−∞, b]) sono diffeomorfi.Inoltre, esiste una retrazione C∞ di f−1 ((−∞, b]) su f−1 ((−∞, a]).

DIMOSTRAZIONE. Poiche non ci sono punti critici di f in [a, b], il gradiente ∇fe diverso da zero nel compatto f−1 ([a, b]). Scegliamo un intorno aperto A ⊆ M dif−1([a, b]) che non contenga valori critici e che abbia chiusura compatta e consideria-mo una funzione ψ : M → [0, 1] di classe C∞ con supporto contenuto in A, uguale a 1

in f−1 ([a, b]). Il campo di vettori X = ψ ∇f|∇f |2 e allora ben definito su tutto M , regolare

e con supporto compatto contenuto in A.Sia Φt il flusso C∞ associato al campo continuo X , cioe

ddt

Φt(p) = X(Φt(p))

Φ0(p) = p

per ogni p ∈M e t ∈ R.Fissato un punto p ∈ M , consideriamo la funzione t 7→ f (Φt (p)), la sua derivata edata da

d

dtf(Φt(p)) = g

(∇f(Φt(p)),

d

dtΦt(p)

)(11.1.1)

= g(∇f(Φt(p)), X(Φt(p))

)= g

(∇f(Φt(p)),

∇f(Φt(p))

|∇f(Φt(p))|2)ψ(Φt(p))

= ψ(Φt(p))

= 1

se Φt(p) ∈ f−1 ([a, b]).Segue dunque che la mappa Φa−b : M → M e di classe C∞, manda f−1 (b) in

f−1 (a), ed e un diffeomorfismo tra f−1 ((−∞, b]) e f−1 ((−∞, a]).La retrazione cercata e data da

Rt (p) =

p se f (p) ≤ a

Φt(a−f(p)) (p) se f (p) ∈ [a, b]

115

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116 11. TEOREMA DI TOPONOGOV

per t ∈ [0, 1], come e facile verificare, tenendo presente l’equazione (11.1.1).

Il lemma di deformazione si puo estendere anche a classi di funzioni non regolari,in particolare, come ora vedremo, se ne puo dimostrare una versione per le funzionidistanza.

Sia (M, g) una varieta completa di dimensione n e sia C ⊆M un chiuso.Sia dC (p) = infq∈C d (p, q) la funzione distanza da C, definita su M a valori reali. Que-sto inf e in realta un min poiche C e chiuso, quindi localmente compatto, e ogni fun-zione distanza e continua (in quanto 1–lipschitziana), dunque dC (p) = minq∈C d (p, q)e chiamiamo πC (p) l’insieme dei punti di C che realizzano questo min.Inoltre, si verifica immediatamente che la funzione dC : M → R e propria.

DEFINIZIONE 11.1.2. Sia Γ (p, C) l’insieme dei vettori unitari v ∈ TpM tali che expp(tv),per t ∈ [0, dC(p)] sia una geodetica minimale verso C.

Si vede facilmente che ogni insieme Γ(p, C) e compatto, essendo chiuso e conte-nuto nella sfera unitaria Sn−1

p di TpM . Infatti, se vi ∈ Γ(p, C) e vi → v in TpM , per lacontinuita della mappa esponenziale e poiche l’insieme C e chiuso, passando al limitenella formula expp (dC(p)vi) ∈ C, si ha che anche expp (dC(p)v) ∈ C.Inoltre, gli insiemi Γ (p, C) godono della seguente proprieta di semicontinuita supe-riore: se vi ∈ Γ (pi, C) e vi → v in TM con v ∈ TpM , allora v ∈ Γ (p, C) (lo si provi peresercizio).Si puo infine mostrare che la funzione dC e differenziabile in p ∈M se e solo l’insiemeΓ (p, C) e un singoletto, vedi [3, Capitolo 5] o [4], ad esempio.

DEFINIZIONE 11.1.3. Diciamo che la funzione dC e “regolare” in p ∈ M se l’insiemeΓ (p, C) e contenuto in una semisfera aperta di Sn−1

p ⊂ TpM .Diciamo che la funzione dC e “α–regolare” in p ∈ M se esiste un vettore unitario w ∈ TpMtale che ∠ (v, w) < α ≤ π

2per ogni v ∈ Γ (p, C).

Se la funzione dC e “α–regolare” in p ∈ M , indichiamo Gα (p) l’insieme dei vettori unitariw ∈ TpM che soddisfano la precedente definizione, altrimenti poniamo Gα(p) = ∅.

OSSERVAZIONE 11.1.4.• Ovviamente, la nozione di punto “regolare” e equivalente a quella di punto

“π/2–regolare”.• In termini semplici, queste semisfere o settori sferici “guardano” verso il chiu-

so C.• Si noti che, per ogni p ∈M e α ≤ π

2, definendo i coni aperti

Cα(p, v) = w ∈ TpM |∠(v, w) < α ,

si ha cheGα(p) = Sn−1

p

⋂v∈Γ(p,C)

Cα(p, v) .

Da questo segue ovviamente che ogni Gα(p) e un “convesso” della sfera uni-taria di TpM .

PROPOSIZIONE 11.1.5. Sia (M, g) una varieta riemanniana e sia dC la funzione distanzada un chiuso C ⊆M , come sopra. Si ha:

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11.1. IL LEMMA DI DEFORMAZIONE 117

(1) per ogni α ≤ π/2, l’insieme Gα =⋃p∈M Gα(p) e un aperto di

⋃p∈M Sn−1

p ⊂ TM ,di conseguenza, l’insieme dei punti α–regolari e aperto in M e per ogni punto α–regolare p ∈M , l’insieme Gα(p) e un aperto di Sn−1

p ;(2) se U ⊂ M e un aperto di punti α–regolari, allora esiste un campo di vettori unitario

X in U , che sia C∞ e tale che che X (p) ∈ Gα (p) per ogni p ∈ U .Inoltre se γ e una curva integrale di X e s < t, si ha

t− s ≥ dC (γ (t))− dC (γ (s)) ≥ (cosα) (t− s) . (11.1.2)

DIMOSTRAZIONE.

(1) Sia v ∈ Gα(p), se v non ha un intorno in⋃q∈M Sn−1

q contenuto in Gα(p) signi-fica che esiste una successione di vettori unitari vi ∈ Sn−1

picon vi → v e una

successione wi ∈ Γ(pi, C) tali che l’angolo tra vi e wi sia maggiore o uguale adα. Per la locale compattezza del fibrato unitario di M e la proprieta di semi-continuita superiore degli insiemi Γ(q, C) vista sopra, possiamo assumere chela successione di vettori wi converga a w ∈ Γ(p, C) in

⋃q∈M Sn−1

q ⊂ TM . Diconseguenza, passando al limite, l’angolo (che e una funzione continua) tra ve w deve essere maggiore o uguale ad α, il che e assurdo per ipotesi.

(2) Per ogni punto p ∈ U scegliamo un vettore vp ∈ Gα(p) ed estendiamo vp lo-calmente ad un campo Vp non nullo e di classe C∞. Poiche l’insieme Gα(q) eaperto, con lo stesso argomento del punto precedente si vede che localmentesi ha che Vp(q) ∈ Gα(q) per q in un certo intorno Up di p. Consideriamo al-lora una famiglia localmente finita del tipo Upii tale che

⋃i Upi = U , e sia

ϕi : Upi → R una partizione dell’unita C∞ associata a questo ricoprimento.Definiamo allora il campo C∞ su U dato da

V (p) =∑i

ϕiVpi(p) .

Segue dalla convessita del cono su Gα(p), nell’ultimo punto dell’Osservazio-ne 11.1.4, che V (p) 6= 0 per ogni p ∈ U , quindi il campo unitario

X(p) =V (p)

‖V (p)‖

e ben definito, C∞ e appartiene a Gα(p), per ogni p ∈ U .Poiche la funzione distanza dC e 1–lipschitziana, e differenziabile quasi ovun-que (rispetto alla misura di volume della varieta), per il teorema di Radema-cher (vedi [6], per esempio), sia S ⊆ U il suo insieme di non differenzibi-lita. Essendo il campo X mai nullo, esiste un intorno di ogni punto di U ecoordinate locali (x1, . . . , xn) tale che le sue curve integrali sono descritte da

(x1, . . . , xn) |x1, . . . , xn−1 costanti .

Cio implica che, per il teorema di Fubini, data una curva integrale γ ne pos-siamo trovare una vicina a piacere γ tale che γ∩S abbia misura di Lebesgue 1–dimensionale nulla. Di conseguenza, la funzione t 7→ dC(γ(t)), che e una fun-zione 1–lipschitziana, e allora differenziabile quasi ovunque, in particolare

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118 11. TEOREMA DI TOPONOGOV

per ogni t tale che γ(t) 6∈ S. In tali punti si ha allora

d

dtdC(γ(t)) = g(∇dC(γ(t)), γ(t))

= g(∇dC(γ(t)), X(γ(t)))

> cosα ,

in quanto Γ(γ(t), C) = ∇dC(γ(t)) e X(γ(t)) ∈ Gα(γ(t)).Integrando questa disuguaglianza differenziale che vale per quasi ogni t (sipuo fare poiche la funzione t 7→ dC(γ(t)) e lipschitziana), si ottiene la for-mula (11.1.2) per la curva γ. Per approssimazione, la stessa stima vale alloraanche per la curva integrale γ.L’altra disuguaglianza si ottiene argomentando analogamente.

LEMMA 11.1.6 (Lemma di Deformazione per le Funzioni Distanza). Sia (M, g) unavarieta riemanniana e sia dC la funzione distanza da un chiuso C ⊆ M , come sopra. Se tuttii punti in d−1

C ([a, b]) sono α–regolari per qualche α > 0, allora d−1C ((−∞, a]) e d−1

C ((−∞, b])sono omeomorfi ed esiste una retrazione C0 di d−1

C ((−∞, b]) in d−1C ((−∞, a]).

DIMOSTRAZIONE. Poiche i punti α–regolari della funzione dC sono un aperto, siaU un intorno aperto di d−1

C ([a, b]) (che e compatto in quanto la funzione dC e propria)di punti α–regolari e consideriamo il campo unitario X di classe C∞ costruito nellaproposizione precedente. Eventualmente restringendo l’aperto U , possiamo estende-re il campo X in modo C∞ a tutta la varieta, con supporto compatto. Sia Φt il flussoC∞ associato a X ,

ddt

Φt (p) = X (Φt (p)) ,

Φ0 (p) = p .

Se p e Φt(p) ∈ d−1C ([a, b]) per t ≥ 0, si ha allora

t ≥ dC(Φt(p))− dC(p) ≥ t cosα ,

da cui, definendo,tp = inf

s : Φ−s(p) ∈ d−1

C (a),

segue che

b− a ≤ tp ≤b− acosα

o, piu precisamente,

dC(p)− a ≤ tp ≤dC(p)− a

cosα. (11.1.3)

Vediamo ora che la funzione p 7→ tp e continua. Sia pi → p e supponiamo, per lastima precedente, che tpi → t. Poiche d−1

C (a) e chiuso, dC(Φ−tpi (pi)) = a da cui segueche dC(Φ−t(p)) = a, quindi tp ≤ t. Se tp < t, consideriamo i punti q = Φ−tp(p) eqi = Φ−tp(pi), il primo soddisfa dC(q) = a, gli altri dC(qi) > a, inoltre si vede facilmenteche tqi = tpi−tp > 0 e infine che qi → q. Mettendo questi punti qi nella formula (11.1.3),si ottiene

0 < tqi = tpi − tp ≤dC(qi)− a

cosα

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11.2. TEOREMA DI TOPONOGOV 119

e, passando al limite, si ha

0 ≤ t− tp ≤dC(q)− a

cosα= 0 ,

cioe una contraddizione. Possiamo allora concludere che tpi → tp e che la funzionep 7→ tp e continua.

La mappa Ψ : d−1C (b)→ d−1

C (a), definita da Ψ(p) = Φ−tp(p) per ogni p ∈ d−1C (b), e al-

lora un omeomorfismo tra i due insiemi di livello, e continua e iniettivita e surgettivitaseguono facilmente dalle proprieta del flusso Φ.

La retrazione di classe C0 cercata e data da

Rt (p) =

p se dC (p) ≤ a,Φ−ttp (p) se dC (p) ∈ [a, b].

Una volta trovata questa retrazione, non e difficile esibire anche un omeomorfismotra d−1

C ((−∞, a]) e d−1C ((−∞, b]).

OSSERVAZIONE 11.1.7. Non si puo richiedere piu che un omeomorfismo tra i dueinsiemi di livello d−1

C (b) e d−1C (a) (o tra i sottolivelli d−1

C ((−∞, a]) e d−1C ((−∞, b])) in

quanto potrebbero non essere sottovarieta regolari, se in un qualche loro punto la lafunzione distanza dC non e regolare (differenziabile) in senso classico.

COROLLARIO 11.1.8. Sia (M, g) una varieta riemanniana completa, K una sottovarietacompatta e liscia. Se dK e C∞ su M \ K, allora M e diffeomorfa al fibrato normale di K inM . In particolare, se K = p, allora M e diffeomorfo a RN .

DIMOSTRAZIONE. Prendiamo un intorno tubolare di K in M . In tale intorno, lafunzione distanza dK e liscia. Dunque possiamo scegliere come campo X = ∇dK .Quindi M \K si retrae a velocita 1 sull’intorno tubolare. Per il Lemma di deformazio-ne, M e diffeomorfa all’intorno tubolare. La mappa di retrazione e

F : N(K)→M , F (q, v) := expq(v) .

Poiche dK e C∞, allora la mappa esponenziale e iniettiva. Inoltre, e sempre surgettivaperche esiste sempre un punto di minima distanza in K.

In particolare, se K = p, allora il fibrato normale di K in M coincide con il pianotangente TpM ' RN .

11.2. Teorema di Toponogov

Sia (M, g) una varieta riemanniana di dimensione n ∈ N.

DEFINIZIONE 11.2.1. Una cerniera (in inglese, hinge) consiste in due segmenti di geode-tica minimale σ1 e σ2 tali che: σ1 parte da un punto r ∈ M e arriva in un punto q ∈ M ; σ2

parte dallo stesso punto q e arriva in un punto p ∈ M . Chiamiamo α l’angolo che formano.Possiamo sempre parametrizzare le geodetiche in lunghezza d’arco, in modo tale che valga

σ1 (`(σ1)) = p = σ2(0) , α = π − ∠(·σ1 (`(σ1)),

·σ2 (0)

).

DEFINIZIONE 11.2.2. Un triangolo consiste di tre punti p, q, r uniti a due a due da tresegmenti di geodetica minimale σ1, σ2, σ3, che supporremmo anche stavolta parametrizzati inlunghezza d’arco.

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120 11. TEOREMA DI TOPONOGOV

LEMMA 11.2.3. Sia (M, g) una varieta riemanniana completa di dimensione n e sec ≥ kcon k ∈ R.

Sia Snk la sfera di dimensione n a curvatura costante k.Allora per ogni cerniera formata dai segmenti σ1, σ2 con angolo α inM esiste una cerniera

in Snk con segmenti della stessa lunghezza di σ1, σ2 e con lo stesso angolo α,per ogni triangolo formato dai segmenti σ1, σ2, σ3 in M esiste un triangolo in Snk con

segmenti della stessa lunghezza di σ1, σ2, σ3.

DIMOSTRAZIONE. Se k > 0 si potrebbe porre il problema che le geodetiche da uncerto punto in poi smettano di essere minimali.

La stima del teorema di Myers

diam(M) ≤ π√k

= diam(Snk)

dice che data una cerniera in M i due segmenti di geodetica minimale che lo compon-gono devono avere entrambi lunghezza minore di π√

k.

E percio possibile costruire una qualsiasi cerniera su Snk se era precedentementestata realizzata in M ,

infatti chiamati p, q ∈ M i vertici di σ1, per realizzare il primo segmento su Snkscegliamo p,q ∈ Snk a distanza d (p, q) = d (p, q) e li uniamo con un segmento.

Cio e possibile poiche d (p, q) ≤ π√k.

Fissiamo l’angolo α in q ∈ Snk e costruiamo l’unica geodetica uscente da q condirezione fissata dall’angolo α e lunghezza pari a quella di σ2 in M . Sara anch’essa unsegmento poiche la sua lunghezza di σ2 e minore di π√

k.

Con un ragionamento simile si dimostra la tesi per il caso del triangolo.Infatti, chiamati p, q, r i tre vertici del triangolo in M , prendiamo nuovamente

p, q ∈ Snk , tali che il lato p,q sia il piu lungo del triangolo.Consideriamo poi ∂B1 (p, d (p, r)) e ∂B2 (q, d (q, r)), poiche d (p, r) e d (q, r) sono

entrambe minori o uguali a π√k, ∂B1 e ∂B2 hanno intersezione non vuota; r sara uno

dei due punti di intersezione.Se k ≤ 0, la stessa costruzione e sufficiente, e non si ha nemmeno il problema della

minimalita.

TEOREMA 11.2.4 (Teorema di Toponogov – versione hinge). Sia (M, g) una varietariemanniana completa di dimensione n e con sec ≥ k con k ∈ R.

Allora, data una cerniera con vertici (p, q, r) e angolo α in (M, g), se la cerniera di vertici(p, q, r) e angolo α e la cerniera di confronto in Snk , si ha che

d (p, r) ≤ d (p, r) .

TEOREMA 11.2.5 (Teorema di Toponogov – versione triangolo). Sia (M, g) una va-rieta riemanniana completa di dimensione n e con sec ≥ k con k ∈ R.

Allora, dato un triangolo di vertici (p, q, r) e angoli α, β , γ inM , se costruisco il triangolodi confronto in Snk di vertici (p, q, r) e angoli α, β, , γ si ha

α ≤ α, β ≤ β, γ ≤ γ .

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11.2. TEOREMA DI TOPONOGOV 121

Per dimostrare entrambe le versioni del teorema di Toponogov seguiremo il se-guente schema:

(1) dimostreremo la legge dei coseni per spazi a curvatura costante;(2) faremo vedere come la versione hinge implica la versione triangolo;(3) infine, andremo a dimostrare la versione hinge.

OSSERVAZIONE 11.2.6. Calcoliamo l’hessiano della funzione

r (x) = dp (x)

in spazi a curvatura costante.• Se k = 0 allora

Hessr2

2= g ,

Hessr =Hess r2

2r− ∇r ⊗∇r

r=

1

r(g −∇r ⊗∇r) .

Infatti, in coordinate normali, si ha

Hess

(r2

2

)(ei, ej) =

1

2

∂2

∂xi∂xj

(∑k

x2k

)= δij = g(ei, ej) .

(Nota che il tangente di Rn e localmente Rn.)• Se k = −1 allora

Hess (r) =cosh r

sinh rgr

dove gr e la metrica sui sottolivelli della funzione distanza.• Se k = 1 allora

Hess (r) =cos r

sin rgr

dove gr e la metrica sui sottolivelli della funzione distanza.

PROPOSIZIONE 11.2.7. Consideriamo un triangolo in Snk . Siano a, b, c le lunghezze deitre lati e α l’ampiezza dell’angolo opposto ad a:

• se k = 0, alloraa2 = b2 + c2 − 2bc cosα ;

• se k = −1, allora

cosh a = cosh b cosh c− sinh b sinh c cosα ;

• se k = 1, allora

cos a = cos b cos c+ sin b sin c cosα .

DIMOSTRAZIONE. Chiamiamo p, q, r i vertici del triangolo. Prendiamo una curvaσ : [0, c] → Snk parametrizzata con velocita unitaria tale che σ(0) = q e σ(c) = r. Ladistanza tra p e q e b. La distanza tra p e r e a. L’angolo in q e α. Studiamo la funzione

r(t) := dp σ(t) ,

dove dp(x) indica la distanza di x dal punto p.

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122 11. TEOREMA DI TOPONOGOV

• Caso k = 0. Studiamo

ϕ(t) :=1

2

(d2p(σ(t))

).

Calcoliamo

ϕ′(t) = g (∇dp(σ(t)), σ(t))·dp(σ(t)) = g

(1

2∇d2

p(σ(t)), σ(t)

)= g (∇dp(σ(t)), σ(t))·dp(σ(t)) ,

ϕ′′(t) = Hess

(1

2d2p(σ(t))

)(σ(t), σ(t)) = g (σ(t), σ(t)) = 1 .

Quindi

ϕ(t) = ϕ(0) + ϕ′(0) · t+1

2ϕ′′(0) · t2

=1

2b2 + g (∇dp(σ(0)), σ(0)) · b · t+

1

2t2

=1

2b2 + cos(π − α) · b · t+

1

2t2

=1

2b2 − cosα · b · t+

1

2t2

Prendiamo t = c, ottenendo il risultato.• Caso k = −1. Studiamo

ϕ(t) := cosh (dp(σ(t)))− 1 .

Calcoliamo

ϕ′(t) = sinh(dp(σ(t))) · g (∇dp(σ(t)), σ(t)) ,

ϕ′′ (t) = cosh (dp (σ (t))) [g (∇dp (σ (t)) , σ (t))]2 + sinh (dp (σ (t)))Hessdp(σ(t)) (σ(t), σ(t))

= cosh

[g (∇dp(σ(t)), σ(t))]2 + gr

(σ(t)⊥

r

, σ(t)⊥r)

= cosh(dp(σ(t)))

Quindi ϕ′′ (t) = ϕ (t) + 1

ϕ (0) = cosh (b)− 1

ϕ′ (0) = sinh (b) cos (α)

La soluzione del sistema e:

ϕ(t) = (ϕ(0) + 1) cosh(t) + ϕ′(0) sinh(t)− 1 .

Sostituendo t = c, si ottiene la tesi.• Caso k = 1. Studiamo

ϕ (t) = 1− cos (dp (σ (t)))

Calcoliamo

ϕ′(t) = sin(dp(σ(t))) · g (∇dp(σ(t)), σ(t)) ,

ϕ′′ (t) = cos (dp (σ (t))) [g (∇dp (σ (t)) , σ (t))]2 + sin (dp (σ (t)))Hessdp(σ(t)) (σ(t), σ(t))

= cos

[g (∇dp(σ(t)), σ(t))]2 + gr

(σ(t)⊥

r

, σ(t)⊥r)

= cos(dp(σ(t)))

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11.2. TEOREMA DI TOPONOGOV 123

Quindi ϕ′′ (t) = −ϕ (t) + 1

ϕ (0) = 1− cos (b)

ϕ′ (0) = − sin (b) cos (α)

La soluzione del sistema e:

ϕ(t) = (ϕ(0)− 1) cos(t) + ϕ′(0) sin(t) + 1 .

Sostituendo t = c, si ottiene la tesi.

DEFINIZIONE 11.2.8. Diciamo che Hessr0 ≤ g nel senso delle barriere in q se esiste Uqintorno di q tale che ∀ε esiste una funzione ϕε : Uq → R di classe C2(Uq) tale che

(1) ϕε (q) = r0 (q),(2) ϕε ≥ r0 in Uq,(3) Hessϕε (q) ≤ g (q) + εg (q).

LEMMA 11.2.9. Sia (M, g) una varieta riemanniana completa con Sec ≥ k. Poniamor (x) = dp (x).

• Se k = 0, allora r0 = r2

2soddisfa

Hess (r0) ≤ g ,

• Se k = −1, allora r−1 = cosh (r)− 1 soddisfa

Hess (r−1) ≤ (cosh (r))g = (1 + r−1) g ,

• Se k = 1, allora r = 1− cos (r) soddisfa

Hess (r1) ≤ (cos r) g = (1− r1) g ,

nel senso delle barriere.

DIMOSTRAZIONE. Vediamo la dimostrazione nel caso k = 0, gli altri due casi sonoanaloghi. Supponiamo prima che r sia liscia. Se w ⊥ ∇r, allora si ha

Hess r (w,w) ≤ 1

rg (w,w) ,

quindiHess r0 (w,w) ≤ g (w,w) .

Se w = ∇r, e ovvio.Se r non e liscia, vediamo che la disuguaglianza vale nel senso delle barriere.

Infatti, sia σ da p a q parametrizzata in lunghezza d’arco, di lunghezza `. Poniamo

ϕε(x) =1

2(ε+ d(x, σ(ε)))2 =

1

2(d(p, σ(ε)) + d(x, σ(ε)))2

quindi,

ϕε(x) ≥ dp(x)2

2se x ∈ Uq .

Se allora ϕε e di classe C2, si ottiene la tesi. Dimostriamo quindi che le funzioni ϕεsono di classe C2. Se non lo sono, allora significa che o q e coniugato a σ(ε), oppure cisono due curve da σ(ε) a q. In entrambi i casi, la curva non potrebbe essere minimaleda q a p.

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124 11. TEOREMA DI TOPONOGOV

PROPOSIZIONE 11.2.10. Il teorema di Toponogov versione hinge implica il teorema diToponogov versione triangoli.

DIMOSTRAZIONE. Prendiamo un triangolo T di vertici p, q, r e lati a, b, c nella va-rieta riemanniana (M, g), e il triangolo di confronto T di vertici p, q, r e lati a, b, c nellaspace–form. Chiamato α l’angolo di vertice q, per assurdo, supponiamo che l’ango-lo α corrispondente sia maggiore. Allora costruiamo una cerniera con punti p, q, r eangolo α. Costruiamo il segmento minimale di estremi q e r di lunghezza b. Sia c ilsegmento minimale da r a p. Per la legge dei coseni c > c, cioe

c = d (p, r) > d (p, r) = c .

D’altra parte, per il teorema di Toponogov versione hinge, si deve avere c > c, cioe

c = d (p, r) < d (p, r) = c

Cio e assurdo.

TEOREMA 11.2.11. Vale il teorema di Toponogov versione hinge.

DIMOSTRAZIONE. Siano σ la geodetica da q a r, di lunghezza `, e σ la geodeticada q a r, di lunghezza `.

caso k = 0: Consideriamoϕ (t) =

1

2[dp (σ (t))]2

sulla varieta M , e

ϕ (t) =1

2[dp (σ (t))]2

sulla space–form.Assumiamo che dp (x) sia liscia in q = σ (0). Allora le condizioni iniziali

sonod (p, σ (0)) = d (p, σ (0)) ,

ossia ϕ(0) = ϕ(0), e

g (∇dp(σ(t)), σ(0)) = g(∇dp(σ(t)), σ (0)

),

ossia ϕ′(0) = ϕ′(0). Se dp (x) non e liscia in q, allora ragioniamo per approssi-mazione avvicinando q a p. In questo modo esco dal cut locus, quindi ottengoϕ (0) < ϕ (0). Inoltre, chiudo un po’ l’angolo α, percio ottengo ϕ′ (0) < ϕ′ (0).Inoltre, vale ϕ′′ = 1 e, nel senso delle barriere, abbiamo ϕ′′ ≤ 1.

Quindi, segue che, posto ψ = ϕ− ϕ, vale ψ (0) > 0ψ′ (0) > 0ψ′′ (t) ≥ 0

nel senso delle barriere.Dunque ψ e convessa, positiva in zero, crescente per t piccoli, quindi e

sempre positiva. Infatti, assumiamo per assurdo che esista t0 tale che ψ(t0) =0. Poiche ψ cresce per tempi piccoli, esiste un punto di massimo t in [0, t0], incui ψ

(t)> 0. Per definizione di ψ′′ > 0 nel senso delle barriere, si ha che ∀ε

∃ fε ∈ C2 tale che(1) fε

(t)

= ψ(t);

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11.2. TEOREMA DI TOPONOGOV 125

(2) fε ≤ ψ vicino a t;(3) f ′′ε ≥ −ε vicino a t.

Dunque, vicino a t, vale ψ(t) > fε (t) ≥ ψ(t)− ε(t−t)

2

2. Ripetendo il ra-

gionamento, si ottiene che questa disuguaglianza vale ∀t ∈ [0, t0). Quindi

ψ (t) ≥ ψ(t)− ε(t−t)

2ψ (t) ≥ ψ

(t), che e assurdo.

Essendo ψ > 0, si ottiene la tesi.caso k = −1: Consideriamo

ϕ (t) = cosh (dp (σ (t)))− 1

eϕ (t) = cosh (dp (σ (t)))− 1

Si ottiene alloraϕ(0) < ϕ(0)ϕ′(0) ≤ ϕ′(0)ϕ′′(t) ≤ ϕ(t) + 1 nel senso delle barriereϕ′′(t) = ϕ(t) + 1

quindi, prendendo ψ(t) = ϕ(t)− ϕ(t), si ottiene ψ(0) > 0ψ′(0) ≥ 0ψ′′(t) ≥ ψ(t) nel senso delle barriere

da cui ottengo la tesi.caso k = 1: Consideriamo

ϕ (t) = 1− cos (dp (σ (t)))

eϕ (t) = 1− cos (dp (σ (t)))

Osserviamo che la differenza ψ(t) = ϕ(t)− ϕ(t) soddisfa ψ(0) > 0ψ′(0) ≥ 0ψ′′(t) ≥ −ψ(t) nel senso delle barriere

Perturbando un poco l’angolo iniziale possiamo assumere ψ′ (0) > 0.Prendiamo

x (t) = ε sin (t+ δ)

soluzione di ··x (t) = −x (t)

x (0) = ε sin δ·x (0) = ε cos δ

Notiamo che x (t) > 0 in [0, π − δ).Prendendo ε, δ → 0, si ha x (0) < ψ (0) e x′ (0) < ψ′ (0).Quindi, dal confronto con ψ, segue che ψ > 0 per t ∈ [0, π − δ), nel senso delle

barriere. Poiche δ e arbitrario, si ha ψ ≥ 0 con t ∈ [0, π].

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CAPITOLO 12

Teorema di splitting

DEFINIZIONE 12.0.12. Una geodetica γ : I → M parametrizzata per lunghezza d’arco eminimizzante rispetto ogni coppia di suoi punti, cioe tale che γ|[t,s] e minimizzante per ogni[t, s] ⊆ I , si dice linea se I = R, si dice raggio se I = [0,+∞) e si dice segmento seI = [a, b] e un intervallo chiuso.

Le linee, cosı come i raggi e i segmenti, soddisfano

d(γ(t), γ(s)) = t− s per s < t,

essendo percorsi a velocita unitaria.In questa sezione proveremo il seguente teorema, dovuto a J. Cheeger e D. Gro-

moll:

TEOREMA 12.0.13 (Teorema di splitting). Sia (M, g) una varieta riemanniana di di-mensione n con Ric ≥ 0. Se M contiene una linea, allora (M, g) e isometrica a un prodottocartesiano (R×N, dt⊗ dt+ h). Piu precisamente

g = dt⊗ dt+ h,

dove (N, h) e una varieta riemanniana di dimensione n− 1 con tensore di Ricci non negativo.

Prima di dimostrare questo teorema, facciamo alcune osservazioni:

OSSERVAZIONE 12.0.14. Il teorema di splitting si presta a essere iterato, nel sensoche la varieta (N, h) potrebbe a sua volta contenere una linea e, di conseguenza, Msarebbe isometrica a R2 × N ′ e cosı via. Notiamo che M non puo essere compatta,dovendo contenere una linea.

Lo strumento che permette di dimostrare il teorema di splitting e lo studio dellefunzioni di Busemann, che in un certo senso misurano la distanza dall’infinito. Da qui inavanti (M, g) sara una varieta riemanniana di dimensione n con Ric ≥ 0. Ci sarannoutili le seguenti definizioni:

DEFINIZIONE 12.0.15. Sia γ : [0,+∞) → M un raggio in M uscente da p = γ(0),definiamo per t ≥ 0 la funzione bγt : M → R tramite

bγt (x) = d(x, γ(t))− t ∀x ∈M.

DEFINIZIONE 12.0.16. Per una funzione f : M → R non necessariamente C2, diremoche ∆f ≤ h vale in q ∈ M nel senso delle barriere, dove h : M → R e una funzione, seper ogni ε > 0 sufficientemente piccolo esistono un intorno U di q e una funzione ϕε : U → Rliscia (detta barriera) tali che:

• ϕε(q) = f(q);• ϕε ≥ f in U ;• ∆ϕε(q) ≤ (1 + ε)h(q).

127

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128 12. TEOREMA DI SPLITTING

La disuguaglianza nel senso delle barriere e piu forte della stessa disuguaglianzadal punto di vista delle distribuzioni dell’Analisi.

LEMMA 12.0.17. Le funzioni bγt soddisfano:(i) t 7→ bγt (x) e decrescente e limitata per ogni x ∈M fissato;

(ii) |bγt (x)| ≤ d(x, p);(iii) x 7→ bγt (x) e lipschitziana di costante di Lipschitz 1, per t ≥ 0 fissato;(iv) per ogni t ≥ 0 fissato, ∆bγt (x) ≤ n−1

bγt (x)+tnel senso delle barriere.

DIMOSTRAZIONE. Osserviamo che

|bγt (x)| = |d(x, γ(t))− d(γ(t), p)|,quindi per la disuguaglianza triangolare si ha |bγt (x)| ≤ d(x, p), che prova la (ii). Presos < t, si ha nuovamente per la disuguaglianza triangolare che

bγt (x)− bγs (x) = d(γ(t), x)− d(γ(s), x) + s− t= d(γ(t), x)− d(γ(s), x)− d(γ(s), γ(t))

≤ d(γ(t), x)− d(x, γ(t))

= 0,

da cui la (i). La (iii) e immediata: per x, y ∈M ,

|bγt (x)− bγt (y)| = |d(x, γ(t))− d(y, γ(t))| ≤ d(x, y),

sempre per la disuguaglianza triangolare. Il punto (iv) e invece piu complesso. Ri-cordiamo che secondo la definizione di barriera, dovremmo trovare per ogni ε > 0un intorno U di x ∈ M e una funzione liscia ϕ : U → R che maggiora bγt in U , conϕ(x) = bγt (x) e con ∆ϕ(x) ≤ (1 + ε) n−1

bγt (x)+t. La dimostrazione di quest’ultimo punto

e tecnica ed e lasciata come esercizio al lettore, per una dimostrazione rimandiamoa [5]. Osserviamo che r := bγt + t parametrizza l’esponenziale in γ(t) lungo γ, percioil Teorema del confronto del laplaciano afferma che vale ∆r ≤ n−1

r, ossia la (iv), nel

senso delle distribuzioni, che e piu debole del senso delle barriere.

Riassumendo, abbiamo una famiglia bγt t≥0 di funzioni su M equilipschitzianee uniformemente limitate. Per il teorema di Ascoli–Arzela esiste una sottosucces-sione che converge uniformemente su ogni compatto ad una funzione limite. Unatale funzione limite bγ : M → R e necessariamente continua e viene detta funzione diBusemann relativa a γ e uscente da p = γ(0). Per il passaggio al limite, essa soddisfa

• |bγt (x)− bγt (y)| ≤ d(x, y) (lipschitzianita );• |bγt (x)| ≤ d(x, p) (limitatezza).

Inoltre, e facile determinare il suo valore lungo il raggio γ:• bγ(γ(t)) = −t,

infatti bγt (γ(t0)) = d(γ(t), γ(t0))− t = |t− t0| − t tende a −t0 per t→ +∞.

OSSERVAZIONE 12.0.18. Avevamo anticipato che in un certo senso le funzioni di Bu-semann misurano la distanza dall’infinito. Per capire cosa si intende, pensiamo a Rn conla metrica euclidea e fissiamo un raggio γ, ossia una semiretta. Possiamo sceglieredelle coordinate ortonormali in modo tale che γ(t) = (t, 0, . . . , 0). In questo modo

bγt (x1, . . . , xn) =

√(x1 − t)2 + (x2)2 + · · ·+ (xn)2 − t t→+∞−−−−→ −x1 = bγ(x),

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12. TEOREMA DI SPLITTING 129

essendo una quantita asintotica a |x1− t| − t. La figura mostra il comportamento geo-metrico della funzione di Busemann in Rn come limite delle bγt .

Gli insiemi di livello della funzione di Busemann sono iperpiani, cioe ipersuperficitotalmente geodetiche in Rn, tra qualche pagina vedremo che questo fatto risulteravero in generale. Infine, consideriamo adesso un punto q ∈ Rn non appartenente aγ e, per t > 0, sia lt = d(q, γ(t)). I segmenti σt : [0, lt] → M che congiungono q a γ(t)tendono ad un raggio γ asintotico (parallelo) a γ e uscente da q al crescere di t. Questofatto suggerisce la seguente costruzione.

Dato un raggio γ uscente da p ∈M e un punto q ∈M non giacente su γ, poniamolt := d(q, γ(t)) per t > 0. Siano σt : [0, lt] → M segmenti con σt(0) = q e σt(lt) = γ(t).Dai versori vt ∈ TqM che individuano i segmenti σt(s) = expq(svt) estraiamo unasottosuccessione (vtk)k∈N che converge a un certo vettore limite v ∈ TqM . La curvalimite γ(s) := expq(sv) e un raggio poiche le σtk convergono a essa uniformemente suicompatti e la mappa esponenziale e continua. Percio

d(γ(s), γ(s′) = limkd(σtk(s), σtk(s

′)) = |s− s′|,

che equivale a dire che γ e un raggio. Tale raggio γ e detto asintoto di γ uscente da q.

OSSERVAZIONE 12.0.19. Possono esistere piu asintoti di un raggio γ uscenti da unostesso punto q, come nel paraboloide illustrato in figura. Un paraboloide contieneraggi, ma non puo contenere linee. Infatti non e isometrico al prodotto di R per unavarieta riemanniana unidimensionale.

Stiamo lavorando su un raggio γ uscente da p ∈ M , il prossimo obiettivo saraprodurre una stima nel senso delle barriere della funzione di Busemann bγ . Per farlostudieremo le proprieta delle funzioni di Busemann bγ relative agli asintoti γ di γ.

LEMMA 12.0.20. Sia γ un raggio uscente da p ∈ M e sia γ un suo asintoto uscente daq ∈M . Allora γ ammette una funzione di Busemann bγ tale che:

(i) bγ ≤ bγ(q) + bγ ;(ii) bγ (γ(t)) = bγ(q) + bγ (γ(t)) = bγ(q)− t.

Inoltre ∆bγ ≥ 0 nel senso delle barriere.

DIMOSTRAZIONE. Per definizione di asintoto, γ e il limite di opportuni segmentiσk da q a γ(tk). Essendo segmenti,

d(q, γ(tk)) = d(q, σk(s)) + d(σk(s), γ(tk)

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130 12. TEOREMA DI SPLITTING

per ogni 0 ≤ s ≤ tk. Quindi a meno di estrarre sottosuccessioni si ha

bγ(q) = limt→+∞

d(q, γ(tk))− tk = limk→+∞

d(q, σk(s)) + d(σk(s), γ(tk))− tk

= d(q, γ(s)) + limk→+∞

d(σk(s), γ(tk))− tk

= s+ limkd(σk(s), γ(tk))− d(γ(s), γ(tk)) + d(γ(s), γ(tk))− tk

= s+ limkd(σk(s), γ(tk))− d(γ(s), γ(tk)) + bγtk(γ(s))

= s+ bγ(γ(s)) + limkd(σk(s), γ(tk))− d(γ(s), γ(tk))

= s+ bγ(γ(s)),

che e la (ii). Per ottenere la (i), osserviamo che

bγs (·) = d(x, γ(s))− s ≤ d(·, γ(t)) + d(γ(t), γ(s))− s= d(·, γ(t)) + bγs (γ(t)) + t− t

= bγt (·) + bγs (γ(t)) + t,

quindi passando al limite per s→ +∞ e usando la (ii), si ha

bγ(·) ≤ bγt (·) + bγ(γ(t)) + t = bγt (·) + bγ(q).

Produciamo le barriere ai fini di dimostrare l’ultimo punto. Poniamo f := bγ(q) + bγ ,per i punti (i) e (ii) tale funzione coincide con bγ su q e la maggiora altrove, percio latesi segue provando che ∆f(q) ≥ 0 nel senso delle barriere, sfruttando poi l’arbitra-rieta di q ∈ M . La definizione con il ≥ per le barriere e analoga a quella data per il ≤,cioe dato ε > 0 dobbiamo produrre una funzione liscia fε definita in un intorno di qcon le seguenti proprieta :

• fε(q) = f(q);• fε ≥ f ;• ∆fε (q) ≤ ε.

Sia t > 0 tale che d(q, γ(t)) > n−1ε

e scegliamo fε := bγ(q)+bγt . Poiche γ e minimale da qa γ(t), la funzione fε e liscia in un intorno di q, inoltre fε(q) = bγ(q) = f(q). Sappiamoanche che

∆fε = ∆bγt ≤n− 1

bγt + t=

n− 1

d(·, γ(t)),

percio ∆fε(q) ≤ ε. Resta solo piu da verificare che fε ≥ f , che e una conseguenzadiretta della crescita monotona delle bγt in t. In conclusione, abbiamo provato che∆bγ ≤ 0 nel senso delle barriere in ogni q ∈M che non giace su γ, tuttavia per i puntisu γ il risultato e ancora piu immediato, usando la curva stessa invece dei suoi asintotie procedendo come sopra.

Richiamiamo infine un noto risultato, detto il Principio del minimo forte:

TEOREMA 12.0.21 (Principio del minimo forte). Sia f : M → R una funzione per cui∆f ≤ 0 nel senso delle barriere. Se f ammette un punto di minimo in p ∈ M , allora f eidenticamente costante a f(p).

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12. TEOREMA DI SPLITTING 131

Questo risultato e ben noto per f ∈ C2 superarmonica e si adatta al caso non rego-lare in cui la superarmonicita e richiesta nel senso delle barriere. Possiamo finalmentepassare alla dimostrazione del teorema di splitting:

DIMOSTRAZIONE. Per ipotesi, e data una linea γ in M . Poniamo p := γ(0) espezziamo la linea in due raggi:

γ+(t) := γ(t) e γ−(t) := γ(−t) per t ≥ 0.

Sia b+ una funzione di Busemann relativa a γ+ e, analogamente, sia b− una funzionedi Busemann relativa a γ−. Per costruzione, a meno di sottosuccessioni,

b+(x) + b−(x) = limt→+∞

d(x, γ(t))− t+ d(x, γ(−t))− t

≥ limt→+∞

d(γ(−t), γ(t))− 2t = 0(12.0.1)

per ogni x ∈M , inoltre b+ + b− e nulla in p. Si ha anche che

∆(b+ + b−) = ∆b+ + ∆b− ≤ 0

nel senso delle barriere. Riassumendo, la funzione g := b+ + b− e continua, soddisfa∆g ≤ 0 nel senso delle barriere e raggiunge il suo minimo in p, di conseguenza ilPrincipio del minimo afferma che g e costante o, equivalentemente, che b+ = −b−.Dal Lemma precedente

0 ≤ ∆b+ = −∆b− ≤ 0,

percio le funzioni b+ e b− sono armoniche nel senso delle barriere e, per ellitticitadell’operatore di Laplace–Beltrami, risultano essere funzioni lisce e armoniche nelsenso forte. Inoltre hanno gradiente unitario, infatti

|∇b±t | = |∇d(·, γ(t))| = 1

vale quasi ovunque, percio anche |∇b±| = 1 vale quasi ovunque. Essendo bmp unafunzione liscia, |∇b±| = 1 e vera su tutto M .

Sia s := b+ ∈ C∞M . Poiche s ha gradiente unitario (in particolare ha rango massi-mo), la varieta M e diffeomorfa al prodotto cartesiano di R per un insieme di livellonon vuoto di s e in ogni punto possiamo considerare delle coordinate (s, yα) per lequali la metrica si scrive come

g = ds⊗ ds+ gαβ dyα ⊗ dyβ,

dove le gαβ dipendono a priori sia da s sia dalle yα. Quindi M e diffeomorfa a R×N ,dove N e un insieme di livello di s. Data l’espressione in coordinate di g, per provarela tesi, cioe che tale diffeomorfismo e un’isometria locale, dobbiamo provare che legαβ non dipendono da s. Si deve dunque provare

∂gαβ∂s

= 0.

La seconda forma fondamentale h di N in M e data da

h

(∂

∂yα,∂

∂yβ

)= 〈∂α,∇β

∂s〉.

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132 12. TEOREMA DI SPLITTING

Per la compatibilita con la metrica e per l’espressione di quest’ultima in coordinateotteniamo

hαβ =1

2

∂gαβ∂s

.

Cio significa che per provare la tesi, cioe che ∂gαβ∂s

= 0, dobbiamo controllare chela seconda forma fondamentale di N e nulla. Poiche N e un insieme di livello dellafunzione s, e sufficiente controllare che s ha hessiano nullo. Applichiamo alla Formuladi Bochner l’armonicita di b± e la non negativita del Ricci, si ha

0 =1

2∆|∇b+|2 = |∇2b+|2 + Ric(∇b+,∇b+) + 〈0,∇b+〉 ≥ 0,

cioe∇2s = 0, che e la tesi.

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Parte 5

Appendici

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APPENDICE A

Flussi di campi vettoriali e teorema di Frobenius

A.1. Flussi di campi vettoriali

In questa sessione e necessario richiamare un importante teorema di esistenza eunicita locale di un sistema di equazioni differenziali ordinarie.

TEOREMA A.1.1. Sia U ⊆ Rn un aperto e X1, . . . , Xn ∈ C∞ (U). Allora:(i) (esistenza locale) per ogni t0 ∈ R e x0 ∈ U esistono δ > 0 e un intorno aperto

U0 ⊆ U di x0 tali che per ogni x ∈ U0 il problema di Cauchy

:

dσi

dt(t) = X i (σ(t)) per i = 1, . . . , n

σ (t0) = x

ammette una soluzione σx : (t0 − δ, t0 + δ)→ U0 ;(ii) (dipendenza dai dati iniziali) l’applicazione

Ψ: (t0 − δ, t0 + δ)× U0 → U

data da Ψ (t, x) = σx(t) e di classe C∞;(iii) (unicita locale) due soluzioni di coincidono nell’intersezione dei loro domini.

Siamo interessati alla seguente definizione

DEFINIZIONE A.1.2. Sia X ∈ C∞TM un campo vettoriale su M e sia p ∈ M . Unacurva differenziabile σ : I → M , dove I ⊆ R e un intervallo aperto contenente l’origine, sidice curva integrale di X uscente da p se σ(0) = p e σ′(t) = Xσ(t).

Le curve integrali sono curve sulla superficie che “seguono” il campo vettoriale.Si considerino X ∈ C∞TM e σ ∈ C∞(I,M) con σ(0) = p. Sia (U, φ) una carta

locale centrata in p: in coordinate locali X = X i∂i e φ σ = (σin). La richiesta che σsia una curva integrale di X equivale a risolvere il problema di Cauchy

(σi)′(t) = X i (σ(t)) per i = 1, . . . , n

φ σ (0) = 0.

Si applica il Teorema A.1.1 a questo problema di Cauchy e si utilizza la carta pertornare sulla varieta . Ne segue

TEOREMA A.1.3. Sia X ∈ C∞TM un campo vettoriale su M . Allora esistono un unicoaperto U di R ×M contenente 0 ×M e un’unica applicazione differenziabile Ψ: U → Mche soddisfano le seguenti proprieta :

(i) per ogni p ∈M l’insieme Ip := t ∈ R | (t, p) ∈ U e un intervallo aperto contenentel’origine;

(ii) per ogni p ∈ M la curva σp : Ip → M definita da σp(t) := Ψ(t, p) e l’unica curvaintegrale massimale di X uscente da p;

135

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136 A. FLUSSI DI CAMPI VETTORIALI E TEOREMA DI FROBENIUS

(iii) per ogni t ∈ R l’insieme Ut := p ∈M | (t, p) ∈ U e un aperto di M ;(iv) se p ∈ Ut, allora

p ∈ Ut+s ⇔ Ψ(t, p) ∈ Us ∀s ∈ Re in tal caso ϕs (ϕt(p)) = ϕt+s(p), dove ϕt : Ut → M e definita come ϕt(p) :=Ψ(t, p). In particolare ϕ0 = idM e ogni ϕt e un diffeomorfismo sull’immagine coninversa ϕ−t.

Inoltre con le precedenti notazioni valgono:(a) per ogni (t, p) ∈ U si ha

d(ϕt)p (Xp) = Xϕt(p);

(b) per ogni f ∈ C∞ (M) e ogni p ∈M si ha

d

dt

∣∣∣∣t=0

(f σp) = Xp(f).

DIMOSTRAZIONE. Il Teorema A.1.1 garantisce, per quanto visto in coordinate lo-cali, che per ogni p ∈ M esiste sempre una curva integrale di X uscente da p. Essogarantisce anche al punto (iii) l’unicita locale, lavorando con carte locali. Quando siconoscono l’esistenza e l’unicita locale e sempre possibile andare a considerare unasoluzione massimale, ponendo Ip unione di tutti gli intervalli di tali soluzioni e defi-nendo la soluzione (massimale per costruzione) σp in un t ∈ Ip utilizzando una qual-siasi soluzione definita su tale valore. Per ora abbiamo definito gli intervalli Ip (apertiin quanto unione di aperti e contenenti l’origine) e le curve integrali σp uscenti da p.Poniamo allora U = (t, p) | t ∈ Ip. U e un aperto di R×M , cio non e immediato masi prova ancora una volta utilizzando il punto (ii) del Teorema A.1.1, in piu contiene0 ×M poiche in ogni punto p di M esiste la curva integrale in un intorno di 0. Sedefiniamo Ψ(t, p) = σp(t), essa e differenziabile sempre per il punto (ii) del Teore-ma A.1.1 e soddisfa i punti (i) e (ii). Posti Ut = p ∈M | (t, p) ∈ U e ϕt(p) = Ψ(t, p),abbiamo anche la (iii) per le stesse argomentazioni precedenti. Passiamo alla dimo-strazione di (iv). Per costruzione U0 = M e ϕ0 ≡ idM . Prendiamo p ∈ M e t ∈ Ip,e sia q = σp(t). Indichiamo inoltre con Ip − t := s − t | s ∈ Ip, cosı che sia definitaγ : Ip − t→M come traslazione

γ(s) := σp(s+ t).

Osserviamo che γ e una curva integrale uscente da q, infatti γ(0) = q e

γ′(s) =dσpds

(s+ t) = Xσp(s+t) = Xγ(s).

Per l’unicita locale γ ≡ σq nell’intersezione dei domini, quindi in particolare Ip −t ⊆ Iq. Piu precisamente abbiamo anche σσp(t)(s) = σp(s + t), che riscriviamo comeΨ(s, σp(t)) = Ψ(s+ t, p), o ancora Ψ (s,Ψ(t, p))) = Ψ(s+ t, p), cioe

ϕs(ϕt(p)) = ϕs+t(p).

Se da un lato Ip − t ⊆ Iq, non e possibile che l’inclusione sia stretta: partendo daσq e traslandola di −t si otterrebbe una curva integrale uscente da p con dominiopiu ampio di σp. Allora Ip − t = Iσp(t) = IΨ(t,p), quindi Ψ(t, p) ∈ Us se e solo se(s,Ψ(t, p)) ∈ U se e solo se Ψ(s+ t, p) ∈ U se e solo se p ∈ Us+t.

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A.1. FLUSSI DI CAMPI VETTORIALI 137

Per provare (b) serve un’osservazione preliminare: se f ∈ C∞ (M), il suo differen-ziale dfp e una funzione a valori reali con la solita identificazione dello spazio tangentea R con R stesso. Detto cio Xp(f) = dfp (Xp). Allora

Xp(f) = dfp (Xp) = dfp(σ′p(0)

)= (f σp)′ (0).

Piu precisamente gli stessi conti mostrano che

(f σp)′ (t) = Xσp(t)(f),

di cui faremo largo uso nei prossimi risultati. Proviamo infine il punto (a). Siano(t, p)∈ U , q = ϕt(p) e f ∈ C∞ (M) (si sta usando il lemma di estensione di germi che

identifica f col suo rappresentante in C∞(q)). Si ha

d(ϕt)p (Xp) (f) = Xp (f ϕt)(b)= (f ϕt σp)

′ (0)

=d

dsf(ϕt (σp(s)))

∣∣s=0

=d

dsf(ϕt+s (p))

∣∣s=0

=d

dsf(ϕs(q))

∣∣s=0

=d

dsf(σq(s))

∣∣s=0

= (f σq)′(0)(b)= Xq(f) = Xϕt(p)

(f) ∀f.

(A.1.1)

DEFINIZIONE A.1.4. Come nelle notazioni del Teorema A.1.3, l’applicazione Ψ: U →Msi dice flusso del campo vettoriale X . Se il dominio di Ψ corrisponde a tutto R ×M , ilcampo vettoriale X si dice completo e tutte le sue curve integrali sono definite in ogni tempo.In tal caso le funzioni ϕtt∈R costituiscono un gruppo di diffeomorfismi, detto gruppo a1–parametro di X (se X non e completo si parla di gruppo a 1 parametro locale).

Un campo Y ∈ C∞TM e detto X–invariante se

d(ϕt)p (Yp) = Yϕt(p)

per ogni (t, p) ∈ U .

Un paio di osservazioni: per il punto (a) del Teorema A.1.3, ogni campo vettorialeX e X–invariante. Inoltre, se Ψ e il flusso di X e Y e anch’esso un campo vetto-riale, allora la composizione Y Ψ e differenziabile e di conseguenza l’applicazionet 7→ d(ϕ−t)ϕt(p)

(Yϕt(p)

)e differenziabile a valori in TpM . In un certo senso stiamo

misurando la velocita di Y lungo il campo X . Cio suggerisce la seguente

DEFINIZIONE A.1.5. Siano X, Y ∈ C∞TM due campi vettoriali. Si dice derivata diLie di Y lungo X il campo vettoriale LX (Y ) definito come

LX (Y )p =d

dtd(ϕ−t)ϕt(p)

(Yϕt(p)

) ∣∣∣∣t=0

= limt→0

d(ϕ−t)ϕt(p)(Yϕt(p)

)− Yp

t.

Se Y e X–invariante allora LX (Y ) ≡ O, ma vale anche il viceversa, come provere-mo tra poco. Per verificare che la derivata di Lie e effettivamente un campo vettoriale,proveremo direttamente che essa coincide con [X, Y ].

PROPOSIZIONE A.1.6. Siano X, Y ∈ C∞TM . Allora

LX (Y ) = [X, Y ] .

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138 A. FLUSSI DI CAMPI VETTORIALI E TEOREMA DI FROBENIUS

DIMOSTRAZIONE. Utilizziamo la notazione Ψ(t, p) = ϕt(p) = σp(t) per il flusso diX con dominio U . Fissiamo p ∈ M . I conti che seguiranno saranno fatti in un intornoaperto V di p tale per cui (−ε, ε) × V ⊆ U per un certo ε > 0. Sia f ∈ C∞M . Lafunzione f ϕ−t e differenziabile nel dominio considerato, percio anche

f − f ϕ−tt

e C∞ quando t 6= 0 e sufficientemente piccolo. Localmente

(†)t Yϕt(p)

(f − f ϕ−t

t

)= Yϕt(p)(f)− Yϕt(p)(f ϕ−t)

= Yϕt(p)(f)− d(ϕ−t)ϕt(p)(Yϕt(p)

)(f)

e

(‡) limt→0

f(q)− f ϕ−t(q)t

= (f ϕt(q))′ (0) = (f σq)′ (0) = Xq(f),

ricorrendo al Teorema A.1.3(b). Quindi

(LXY )p (f) = limt→0

d(ϕ−t)ϕt(p)(Yϕt(p)

)− Yp

t(f)

†= lim

t→0

Yϕt(p)(f)− t Yϕt(p)(f−fϕ−t

t

)− Yp(f)

t

= limt→0

Yϕt(p)(f)− Yp(f)

t− Yp

(limt→0

f − f ϕ−tt

)‡= (Y (f) σp)′ (0)− Yp(X(f))

= Xp(Y (f))− Yp(X(f)) = [X, Y ]p (f),

(A.1.2)

segue la tesi per l’arbitrarieta di p ∈M e f .

Supponiamo di avere un’applicazione differenziabile F ∈ C∞(M,N) e un campovettoriale X ∈ C∞TM . Si potrebbe pensare che F possa trasportare X in un campoY ∈ C∞TN ponendo YF (p) = dFp (Xp). Purtroppo affinche Y sia definito ovunque, oc-corre che F sia suriettiva. Peggio ancora se F non e iniettiva tale campo potrebbe nonessere nemmeno univocamente definito. Questo e il motivo per cui si da la seguente

DEFINIZIONE A.1.7. Siano F ∈ C∞(M,N), X ∈ C∞TM e Y ∈ C∞TN . Diremo cheY e F–correlato a X se per ogni p ∈M si ha YF (p) = dFp (Xp).

Se F non e un diffeomorfismo potrebbero esistere piu campi F–correlati a X ,cosı come potrebbero non esisterne. Si noti anche la somiglianza con il concetto diinvarianza tra campi vettoriali. Ci sara utile il seguente

LEMMA A.1.8. Siano F ∈ C∞(M,N), X, X ∈ C∞TM e Y, Y ∈ C∞TN . Allora:1. Y e F–correlato aX se e solo seX (f F ) = Y (f)F per ogni germe f ∈ C∞ (N);2. se Y e F–correlato a X e Y e F–correlato a X , allora [Y, Y ] e F–correlato a [X, X];3. se F e un diffeomorfismo, allora

[dF (X) , dF (X)

]F (p)

= dFp

([X, X]p

).

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A.2. IL TEOREMA DI FROBENIUS 139

DIMOSTRAZIONE. (1.) La tesi del primo punto e immediata applicando le defini-zioni in quanto YF (p)(f) = Y (f) F (p) e dFp (Xp) (f) = X (f F ) (p).

(2.) Applicando il punto precedente si ha che per ipotesi

X (f F ) = Y (f) F e X (f F ) = Y (f) F.Di conseguenza

XX (f F ) = X(Y (f) F ) = Y Y (f) F e

XX (f F ) = X(Y (f) F ) = Y Y (f) F.(A.1.3)

In particolare sottraendo si ha che [X, X] (f F ) = [Y, Y ](f) F , da cui la tesi per ilprimo punto.

(3.) se F e un diffeomorfismo si ottiene subito che YF (p) := dFp(Xp) e F–correlatoa X e che YF (p) := dFp(Xp) e F–correlato a X . Per il punto (2.), [Y, Y ] e F–correlato a[X, X], ovvero

[Y, Y ]F (p) = dFp

([X, X]p

),

che e la tesi.

A.2. Il teorema di Frobenius

Supponiamo di avere un riferimento X1, . . . , Xn del fibrato tangente TM , allorafissato un punto p ∈ M non e difficile trovare una carta di coordinate (xi) tale che(Xi)p = ∂

∂xip a meno di scegliere una carta qualsiasi e di comporla nell’immagine con

un’opportuna trasformazione lineare. Niente garantisce che si possa avere Xi = ∂∂xi

su tutto il dominio della carta, anzi in generale cio non e possibile se i campi noncommutano. Vediamo questo fatto cominciando con una proposizione preliminare:

PROPOSIZIONE A.2.1. Sia X ∈ C∞TM un campo vettoriale e sia p ∈ M un punto taleper cui Xp 6= O ∈ TpM . Allora esiste una carta locale (U, φ) di coordinate (xi) tale che perogni q ∈ U vale Xq = ∂

∂x1q.

DIMOSTRAZIONE. Per la naturalita locale del problema, non e restrittivo supporreM = Rn con coordinate (yi) centrate in p = 0. Supponiamo inoltre che X0 = ∂

∂y10 6= 0.

Sia Ψ: U → Rn il flusso di X e Ψ(t, q) = ϕt(q) = σq(t). Possiamo scegliere ε > 0 e unaperto W di Rn contenente l’origine sufficientemente piccoli in modo tale che il flussosia definito su (−ε, ε) ×W . Poniamo S := x′ ∈ Rn−1 | (0, x′) ∈ W, esso e un apertodi Rn−1 in cui ha senso definire la funzione differenziabile

δ : (−ε, ε)× S → Rn, δ(t, x′) = ϕt(0, x′).

Si vuole trovare una carta (U, φ) di coordinate (t, x2, . . . , xn) tale per cui X = ∂∂t

in U ,ovvero tale per cui

Xq = dφ−1φ(q)

(∂

∂tφ(q)

).

Supponiamo che δ sia invertibile almeno in un intorno di 0 e prendiamo φ = δ−1, latesi diventerebbe

Xδ(t,x′) = dδ(t,x′)

(∂

∂t(t, x′)

). (A.2.1)

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140 A. FLUSSI DI CAMPI VETTORIALI E TEOREMA DI FROBENIUS

Ci siamo percio ristretti a verificare che δ e un diffeomorfismo locale nell’origine e laformula (A.2.1). Fissiamo (t, x′) ∈ (−ε, ε)× S e f ∈ C∞ (Rn), allora

dδ(t,x′)

(∂

∂t(t, x′)

)(f) =

∂t(t, x′) (f δ) =

∂t

∣∣∣∣t

f ϕt(0, x′)

= (σ(0,x′))′(t)(f) = Xσ(0,x′)(t)

(f) = Xδ(t,x′)(f),

(A.2.2)

cio prova la (A.2.1) e mostra anche dδ0

(∂∂t

0)

= X0 = ∂∂y1

0. Per concludere occorreosservare che si possono scegliere per S le coordinate (t, y2, . . . , yn) facendo attenzio-ne che ∂

∂yi0 non abbia su S lo stesso comportamento che ha su W , infatti agisce su

C∞(S) che in questo caso identifichiamo con le funzioni di C∞(W ) con prima com-ponente nulla (si noti che una funzione differenziabile in S si estende regolarmentea W dichiarando che su (x0, x′) prende lo stesso valore di (0, x′)). Cosı facendo peri = 2, . . . , n

dδ0

(∂

∂yi0

)(f) =

∂yi0 f(0, x′) =

∂yi0(f).

Segue che dδ0 e un diffeomorfismo tra un intorno dell’origine di (−ε, ε) × S in unintorno dell’origine in Rn, in quanto mappa una base in una base, da cui la tesi perquanto detto.

Per arrivare al risultato anticipato, serve ancora un utile Lemma:

LEMMA A.2.2. SianoX, Y ∈ C∞TM due campi vettoriali e siano Ψ: U →M e Φ: V →M rispettivamente i flussi di X e Y . Denotiamo Ψ(t, p) = ϕt(p) = σp(t) e Φ(t, p) = ωt(p) =γt(p). Allora sono equivalenti:

(i) [X, Y ] ≡ O;(ii) Y e X–invariante;

(iii) X e Y –invariante;(iv) ωs ϕt = ϕt ωs non appena uno dei membri e definito.

DIMOSTRAZIONE. Se Y eX–invariante abbiamo visto cheLX(Y ) ≡ O, cioe [X, Y ] ≡O; viceversa se [X, Y ] ≡ O osserviamo che Y e X–invariante: si deve verificare che

V : Ip → TpM, V (t) := d(ϕ−t)ϕt(p)(Yϕt(p)

)e costante, ma in effetti

dV

dt(t0) =

d

dt

∣∣∣∣t0

d(ϕ−t)ϕt(p)(Yϕt(p)

)=

d

ds

∣∣∣∣0

d(ϕ−s−t0)ϕs+t0 (p)

(Yϕs+t0 (p)

)=

d

ds

∣∣∣∣0

d(ϕ−t0 ϕ−s)ϕs+t0 (p)

(Yϕs+t0 (p)

)=

d

ds

∣∣∣∣0

d(ϕ−t0)ϕt0 (p) d(ϕ−s)ϕs(ϕt0 (p))(Yϕs+t0 (p)

)= d(ϕ−t0)ϕt0 (p)

(d

ds

∣∣∣∣0

d(ϕ−s)ϕs(ϕt0 (p))(Yϕs(ϕt0 (p)))

)= d(ϕ−t0)ϕt0 (p)

(LX (Y )ϕt0 (p)

)= d(ϕ−t0)ϕt0 (p)

([X, Y ]ϕt0 (p)

)= O.

(A.2.3)

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A.2. IL TEOREMA DI FROBENIUS 141

Segue che (i) e (ii) sono equivalenti, inoltre anche la (iii) e equivalente alle precedentiin quanto [X, Y ] = −[Y,X]. Dimostriamo ora (iii) ⇒ (iv). Consideriamo (s, p) ∈ Ve introduciamo la curva σ := ωs σp su M definita almeno per t sufficientementepiccolo. Per ogni t nel dominio di σ vale

σ′(t) = (ωs σp)′ (t) = d(ωs)σp(t) ((σp)′(t))

= d(ωs)σp(t)

(Xσp(t)

)= Xσ(t),

(A.2.4)

dove l’ultima uguaglianza e data dall’aver supposto X essere Y –invariante. Segueche σ e una curva integrale diX uscente da ωs(p), dunque ωs σp e σωs(p) sono la stessacurva dovo sono entrambe definite e

ωs ϕt(p) = ωs σp(t) = σωs(p)(t) = ϕt (ωs(p)) = ϕt ωs(p)come voluto. Infine verifichiamo (iv)⇒ (iii).

d(ωs)p (Xp) = d(ωs)p(σ′p(0)

)=

d

dt

∣∣∣∣0

(ωs σp) =d

dt

∣∣∣∣0

(ωs ϕt(p))

iv=

d

dt

∣∣∣∣0

(ϕt ωs(p)) =(σωs(p)

)′(0) = Xωs(p),

(A.2.5)

da cui la tesi.

Possiamo quindi caratterizzare l’esistenza di coordinate adattate ad un riferimentodel fibrato tangente.

TEOREMA A.2.3. Sia X1, . . . , Xn un riferimento per il fibrato tangente. Allora per ognipunto p ∈ M esiste una carta locale (U, φ) centrata in p di coordinate (xi) e tale che Xj|U =∂∂xj∀j = 1, . . . , n se e solo se [Xi, Xj] ≡ O per ogni i, j = 1, . . . , n.

DIMOSTRAZIONE. (⇒) e immediata utilizzando le proprieta della parentesi di Lie.(⇐) Dimostriamo qualcosa di piu forte: supponiamo di avere X1, . . . , Xk campi

vettoriali linearmente indipendenti che commutano a due a due e troviamo (u, φ) taleche Xi|U = ∂

∂xiper i = 1, . . . , k. La generalizzazione consiste nel fatto che non ci

limitiamo al caso k = n. Essendo un problema locale, supponiamo M = Rn e p = 0.Poiche i campi considerati sono linearmente indipendenti, permutiamo le coordinatein modo che

TpM = 〈(X1)p , . . . , (Xk)p ,∂

∂xk+1p, . . . ,

∂xnp〉.

Indichiamo con Ψj il flusso di Xj e Ψj(t, q) = (ϕj)t (q). Avendo un numero finito dicampi vettoriali si possono trovare ε > 0 e un intorno aperto W di p = 0 sufficiente-mente piccoli tali per cui (ϕk)tk · · · (ϕ1)t1 e definita su tutto W quando i ti stanno in(−ε, ε).

Poniamo S :=(xk, . . . , xn

)∈ Rn−k |

(0, . . . , 0, xk, . . . , xn

)∈ W

e, in maniera si-

mile al caso gia visto in cui k = 1, definiamo δ : (−ε, ε)k × S → Rn come

δ(t1, . . . , tk, xk+1, . . . , xn) := (ϕk)tk · · · (ϕ1)t1(0, . . . , 0, xk+1, . . . , xn

).

Osserviamo subito che per i = 1, . . . , k

(∂

∂ti

)= Xi.

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142 A. FLUSSI DI CAMPI VETTORIALI E TEOREMA DI FROBENIUS

Infatti applicando il Lemma A.2.2 su x =(t1, . . . , t

k, xk+1 . . . , xn

)dδx

(∂

∂ti

)(f) =

∂ti

∣∣∣∣x

(f δ)

=∂

∂ti

∣∣∣∣ti

f((ϕk)tk · · · (ϕ1)t1

(0, . . . , 0, xk+1, . . . , xn

))Lemma

=∂

∂ti

∣∣∣∣ti

f(

(ϕk)tk . . . (ϕi)ti . . . (ϕ1)t1 (ϕi)ti(0, . . . , 0, xk+1, . . . , xn

))=

∂ti

∣∣∣∣ti

(f (ϕk)tk . . . (ϕi)ti . . . (ϕ1)t1 (ϕi)ti

(0, . . . , 0, xk+1, . . . , xn

))(A.2.6)

e ricorrendo al Teorema A.1.3(b)

= (Xi)(ϕi)ti (0,...,0,xk+1,...,xn) (f (ϕk)tk . . . (ϕi)ti . . . (ϕ1)t1)

= d(ϕ1)t1 . . . d(ϕi)ti . . . d(ϕk)tk(

(Xi)(ϕi)ti (0,...,0,xk+1,...,xn)

)(f),

(A.2.7)

quindi usando l’invarianza di Xi rispetto ai restanti campi vettoriali e commutando iflussi

dδx

(∂

∂ti

)(f) = (Xi)δ(x)(f).

Per arrivare alla tesi e sufficiente provare che δ e un diffeomorfismo locale in p in quan-to la sua inversa fornirebbe la carta cercata. Ma per costruzione δ

(0, . . . , 0, xk+1, . . . , xn

)=(

0, . . . , 0, xk+1, . . . , xn), dunque per j = k + 1, . . . , n vale

dδp

(∂

∂xjp

)=

∂xj0.

In conclusione, dδp manda la base(∂∂xjp)

in(

(X1)p , . . . , (Xk)p ,∂

∂xk+1p, . . . ,∂∂xn

p)

e peril Teorema dell’Inversa Locale e un diffeomorfismo locale in p, da cui la tesi.

Ecco alcune conseguenze: seX e un campo vettoriale mai nullo, possiamo decom-porre M nell’unione disgiunta delle curve integrali di X in quanto ogni punto di Mappartiene a una e una sola curva integrale. Inoltre le curve integrali hanno deriva-ta non nulla, dunque costituiscono un’immersione iniettiva. Da un lato X selezionain modo regolare un sottospazio unidimensionale dello spazio tangente punto perpunto, dall’altra le curve integrali definiscono una sottovarieta unidimensionale diM punto per punto. Il teorema di Frobenius generalizza questo risultato a sottospazik–dimensionali ed e il prossimo obiettivo.

DEFINIZIONE A.2.4. Sia M una varieta differenziabile di dimensione n e sia 1 ≤ k ≤ nun intero. Una distribuzione di rango k su M e un sottoinsieme D ⊆ TM tale che:

1. per ogni p ∈ M l’insieme Dp := D ∩ TpM e un sottospazio di TpM di dimensionek;

2. per ogni punto p ∈ M esistono un intorno aperto U di p e dei campi vettorialiY1, . . . , Yk ∈ C∞TU tali che Dq = 〈(Y1)q , . . . , (Yk)q〉 per ogni q ∈ U .

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A.2. IL TEOREMA DI FROBENIUS 143

Una distribuzione e una scelta liscia di un sottospazio k–dimensionale di TpM perogni punto p sulla varieta .

DEFINIZIONE A.2.5. Sia D una distribuzione su M . Un campo vettoriale X ∈ C∞TMgiace su D se Xp ∈ Dp per ogni p ∈ M . La distribuzione D si dice involutiva se [X, Y ]giace su D per ogni coppia di campi vettoriali X e Y che giacciono su D.

Non tutte le distribuzioni sono involutive:

ESEMPIO A.2.6. Consideriamo R3 di coordinate (x, y, z) e i campi vettoriali

X :=∂

∂x− y ∂

∂zY :=

∂y.

Essi sono linearmente indipendenti su tutto R3, pertanto definiscono una distribuzio-ne di rango 2 data da Dp := 〈Xp, Yp〉. Per costruzione sia X sia Y giacciono su D,tuttavia [X, Y ] = ∂

∂znon e combinazione lineare di X e Y e di conseguenza non giace

su D.

Per introdurre la seconda importante definizione per le distribuzioni e necessarioricordare la definizione di sottovarieta immersa: essa e l’immagine di un’immersioneiniettiva ι : S → MS ⊂ M , la cui topologia non e in genere la topologia indottada M . Cio e proprio il fatto che le contraddistingue dalle normali sottovarieta dateda un embedding. Anche per le sottovarieta immerse e naturale pensare TpS comesottospazio di TpM utilizzando l’iniettivita di dιp.

DEFINIZIONE A.2.7. Sia D una distribuzione di rango k su M . Si dice sottovarietaintegrale di D una sottovarieta immersa S ⊂ M tale che TpS = Dp per ogni p ∈ S. Ladistribuzione D si dice integrabile se ogni punto p ∈ M e contenuto in una sottovarietaintegrale di D.

Osserviamo un primo legame tra le due definizioni date:

PROPOSIZIONE A.2.8. Ogni distribuzione integrabile e involutiva.

DIMOSTRAZIONE. Sia D ⊆ TM una distribuzione integrabile di rango k. SianoX, Y ∈ C∞TM campi vettoriali che giacciono suM , ovveroXp, Yp ∈ Dp in ogni p ∈M .Abbiamo la tesi provando [X, Y ]p ∈ Dp. Fissato un punto p per ipotesi troviamo unasottovarieta integrale S ⊆M tale che p ∈ S e consideriamo la sua immersione ι in M .In particolare TqS = Dq per ogni q ∈ S e risulta ben definito un isomorfismo

dιq : TqS → Dq,infatti e iniettivo in quanto ι e un’immersione ed e suriettivo in quanto ristretto allasua immagine. In presenza di un isomorfismo e possibile costruire X, Y ∈ C∞TS taliche

dιq

(Xq

)= Xq e dιq

(Yq

)= Yq

per ogni q ∈ S, proprio grazie al fatto che X e Y giacciono su D. Osserviamo che percostruzione X e ι–correlato a X e Y e ι–correlato a Y , allora per il Lemma A.1.8 anche[X, Y ] e ι–correlato a [X, Y ], cioe

[X, Y ]q = dιq

([X, Y ]q

)e in particolare sta nell’immagine di dι, ovvero [X, Y ] giace su D.

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144 A. FLUSSI DI CAMPI VETTORIALI E TEOREMA DI FROBENIUS

Le sottovarieta integrali generalizzano le curve integrali gia viste per i campi vet-toriali, che in un certo senso sono distribuzioni di rango 1 (se non si annullano). Ve-dremo che anche le sottovarieta integrali sono a due a due disgiunte, ma provare talerisultato richiede un po’ di lavoro e una terza definizione relativa alle distribuzioni.

DEFINIZIONE A.2.9. Sia D una distribuzione di rango k su M .Una carta locale (U, φ) di coordinate (xi) si dice piatta per D se Dp = 〈 ∂

∂x1p, . . . , ∂

∂xkp〉 per

ogni p ∈ U . Poiche non e restrittivo, a meno di restringere il codominio, si richiede anche cheφ (U) = V ′ × V ′′ sia il prodotto di un aperto V ′ di Rk e di un aperto V ′′ di Rn−k. Gli insiemidella forma

p ∈ U |xk+1(p) = ck+1, . . . , xn(p) = cn

con(ck+1, . . . , cn

)∈ V ′′ fissati si dicono slice.

DEFINIZIONE A.2.10 (3). Una distribuzione D si dice completamente integrabile seper ogni p ∈M esiste una carta locale (U, φ) centrata in p e piatta per D.

PROPOSIZIONE A.2.11. Ogni distribuzione completamente integrabile e integrabile.

DIMOSTRAZIONE. Per costruzione le slice di una carta piatta per D sono sottova-rieta integrali di D, allora la tesi e immediata.

Abbiamo visto che

completamente integrabile⇒ integrabile⇒ involutiva,

il teorema di Frobenius afferma che in realta queste tre definizioni sono equivalenti.

TEOREMA A.2.12 (di Frobenius). Ogni distribuzione involutiva e completamente inte-grabile.

DIMOSTRAZIONE. Sia D ⊆ TM una distribuzione involutiva di rango k. Fissiamop ∈ M . Poiche D e una distribuzione, esistono una carta (U, φ) e dei campi vettorialilocali X1, . . . , Xk ∈ C∞TU tali per cui D|U = 〈X1, . . . , Xk〉. Se in coordinate φ = (xi),allora sappiamo che ∂

∂xip sono linearmente indipendenti per i = 1, . . . , n, tuttavia lo

stesso vale per (Xj)p quando j = 1, . . . , k. Dunque non e restrittivo supporre, a menodi permutare le coordinate di φ, che

(♦) TpM = 〈(X1)p , . . . , (Xk)p ,∂

∂xk+1p, . . . ,

∂xnp〉.

Per comodita poniamo Xj := ∂∂xj

per k + 1 ≤ j ≤ n. Adesso usiamo il fatto cheD|U = 〈X1, . . . , Xk〉, si trovano quindi delle funzioni aji ∈ C∞ (U) tali per cui

Xi = aji∂

∂xj∀i = 1, . . . , n.

La matrice A :=(aji)

e invertibile in p per (♦), dunque supponiamo che U sia statoscelto sufficientemente piccolo in modo che A sia invertibile su tutto U e poniamoB :=

(bij)

la sua inversa. Allora

∂xj= bijXi =

k∑i=1

bijXi +n∑

i=k+1

bij∂

∂xi.

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A.2. IL TEOREMA DI FROBENIUS 145

Definiamo Yj :=∑k

i=1 bijXi per j = 1, . . . , k, essi sono campi vettoriali su U che per

costruzione giacciono su D|U . Si osserva:• D|U = 〈Y1, . . . , Yk〉. E sufficiente verificare che tali campi sono linearmen-

te indipendenti e per farlo produciamo per ogni q ∈ U un’applicazione li-neare che manda tali campi vettoriali in campi linearmente indipendenti: siaπ : Rn Rk la proiezione sulle prime coordinate, allora posta F = π φ

dFq

((Yj)q

)= dFq

((Yj)q

)+

n∑i=k+1

bij(q)d(π φ)q

(∂

∂xiq

)= dFq

(bij(q) (Xi)q

)= dFq

(∂

∂xjq

)=

∂xjq;

(A.2.8)

• dal punto precedente dFq|Dq e iniettivo per ogni q ∈ U . Utilizzando il Lem-ma A.1.8 otteniamo che

dFq ([Yi, Yj]q) =

[∂

∂xi,∂

∂xj

]F (q)

= O,

tuttavia per ipotesi D e involutiva, percio [Yi, Yj]q ∈ Dq e per l’iniettivita didFq|Dq segue [Yi, Yj] ≡ O su U ;• per arrivare alla tesi occorre individuare una carta piatta per D centrata in p.

La richiesta del codominio ottenuto come prodotto di aperti non e restrittiva,invece occorre verificare che le sue prime k coordinate generino la distribu-zione. La tesi e immediata perche una carta con tali caratteristiche e prodottadal Teorema A.2.3 (ricordo che la dimostrazione data in tale Teorema e piuforte di quanto riportato nell’enunciato): Y1, . . . , Yk e un riferimento localefatto da campi a due a due commutativi su U per il punto precedente.

Concludiamo con dei risultati sulla massimalita delle sottovarieta integrali.

PROPOSIZIONE A.2.13. Sia D ⊆ TM una distribuzione involutiva di rango k. Siano(U, φ) una carta piatta per D e S e una sottovarieta integrale di D. Allora S ∩ U e unione alpiu numerabile di connessi a due a due disgiunti di aperti di slice di φ, ciascuno dei quali eaperto in S e sottovarieta di M .

DIMOSTRAZIONE. L’inclusione ι : S →M e continua, ne segue che S∩U = ι−1 (U)e aperto in S. Pertanto si puo scomporre S ∩ U nell’unione delle sue componenticonnesse, le quali sono aperti in S ∩ U e quindi in S, inoltre sono in quantita al piunumerabile poiche S e a base numerabile. Si ha la tesi provando che ciascuna di talicomponenti e contenuta in una slice e la sua inclusione in M e un embedding. SiaV una di queste componenti connesse. Poiche φ = (xi) e una carta piatta, abbiamoD|U = 〈 ∂

∂x1, . . . , ∂

∂xk〉, che scriviamo in maniera piu utile come

Dp = ker dxk+1|p ∩ · · · ∩ ker dxn|p ∀p ∈ U.Ora V e un aperto della sottovarieta integrale S, quindi in ogni punto il suo spaziotangente genera la distribuzione. Ne segue TV ⊂ ker dxk+1 ∩ · · · ∩ ker dxn, nel sensoche

dxk+1∣∣TV≡ · · · ≡ dxn

∣∣TV≡ 0.

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146 A. FLUSSI DI CAMPI VETTORIALI E TEOREMA DI FROBENIUS

Cio dice che le funzioni xk+1|V , . . . , xn|V sono costanti su V , ovvero V e contenutoin una slice di φ. Sia N la slice contenente V , sappiamo che N e una sottovarieta diM poiche φ e un diffeomorfismo e porta sottovarieta in sottovarieta . L’inclusioneV → N risulta essere un’immersione iniettiva tra varieta della stessa dimensione e,di conseguenza, e un embedding. Cio significa che S e una sottovarieta aperta di N ,che e una sottovarieta di M . Segue S sottovarieta di M .

La seguente definizione generalizza il concetto di sottovarieta integrale e di cartapiatta.

DEFINIZIONE A.2.14. Sia M una varieta di dimensione n e sia k ≤ n. Si dice foliazio-ne k–dimensionale una partizione F di M di sottovarieta immerse, connesse, a due a duedisgiunte (dette foglie) e tali che per ogni p ∈ M esiste una carta locale (U, φ) centrata in ptale che:

• l’immagine di φ e il prodotto V ′ × V ′′ di un aperto di Rk e di Rn−k rispettivamente;• ogni foglia di F interseca U nell’insieme vuoto o nell’unione al piu numerabile di

slice di φ a due a due disgiunti.Una carta con tali proprieta si dice piatta per F .

Si osserva subito che l’unione degli spazi tangenti alle foglie di una foliazione for-ma una distribuzione liscia involutiva (i.e. completamente integrabile), il viceversasembra “quasi” fatto, nel senso che delle foglie locali si possono trovare (le sottova-rieta integrali) e lo stesso per le carte piatta. Tuttavia riuscire a ripartire M in sot-tovarieta disgiunte richiede il lavoro di “raggruppare” tra loro quelle la cui unionee ancora una sottovarieta immersa, cercando quindi di prendere quella massimale.Con qualche osservazione tecnica si puo risolvere quanto appena detto, ottenendo ilteorema di Frobenius in versione globale:

TEOREMA A.2.15 (Teorema di Frobenius, globale). Sia D ⊆ TM una distribuzioneinvolutiva di rango k. Allora per ogni punto p ∈ M passa un’unica sottovarieta integraleconnessa Np di D, ovvero ogni altra sottovarieta integrale connessa contenente p e contenutain Np. Inoltre l’insieme di tutte le sottovarieta integrali massimali di D e una foliazione perM .

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Bibliografia

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