Non è la solita guida
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Transcript of Non è la solita guida
“Napo l i , s i nun c ’ s t e s se L ’ aves sena invent à”
Non è l a so l i ta gu ida
- I monument i - Le i so le - Le ch ie se e l e gug l i e
2
Stefania Landieri Ludovica Trasi Linda Visconti
P.O.R. CAMPANIA FSE 2007/2013 _ D.G.R. n. 1205 del 3/07/2009_ D.D. n.25 del 5/02/2012 _ Comune di Napoli _ Progetto "Una Rete per le Donne" CUP B69E10005680009 _ CIG 380033794B Asse II Occupabilità Obiettivo Specifico f Obiettivo Operativo f2 Corso di formazione “Addetto Agenzie turistiche”
Progetto grafico: Elena Carrucola
Redazione a cura di
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Il centro antico di ogni città custodisce preziose memorie storiche sulle origini, l’arte, le tradizioni di un popolo. Ciò vale in maniera particolare per Napoli, che può vantare un patrimonio culturale e morale di straordinaria entità; un patrimonio che si snoda spesso attraverso itinerari legati alla fede, come ben sa chiunque abbia ammirato, almeno una volta le chiese, i campanili, le cappelle che adornano le più
caratteristiche strade del cuore della città.
Partendo dalle meravigliose isole che insistono nel golfo di Napoli e che sono dei veri e propri simboli della bellezza , del carattere e dello stile partenopeo , è possibile intraprendere un viaggio meraviglioso nell’ immenso patrimonio artistico e culturale che il centro storico di Napoli
ha da offrire .
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Le isole pag.32
I monumenti pag.10
Ischia p.32 Capri p.56 Procida p.70
Le chiese e le guglie pag.78
Chiesa di S.Caterina a Formiello p. 78 Basilica santuario del Carmine Maggiore p.79 Duomo di Napoli p. 83 Chiesa di S.Lorenzo Maggiore p.85 Chiesa di S.Gregorio Armeno p.86 Basilica di S.Paolo Maggiore p. 89 Chiesa di S.Pietro a Majella p. 92 Cappella S.Severo p. 94 Chiesa di S.Domenico Maggiore p. 95 Chiesa del Gesù nuovo p. 96 Basilica di S.Chiara p. 99 Chiesa di S.Anna dei Lombardi p. 102 Basilica reale pontificia di S.Francesco di Paola p.104 Chiesa di S.Antonio a Posillipo p. 106 Certosa di S.Martino p. 107 Basilica dell’ incoronata madre del buon consiglio p.109 Chiesa di S.Maria donnaregina p. 111 Basilica di S.Maria della sanità p.113
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Siete pronti ad esplorare le piazze, i
vicoli, le Chiese, le trattorie e la cuci-
na tipica della “Bella Napoli”?
All'ombra del Vesuvio, la città parteno-
pea è da sempre fonte di ispirazione
per i comici, ma anche per gli scrittori,
i poeti e gli artisti, che nella pazzia e
nella straordinarietà del capoluogo
della Campania hanno trovato un moti-
vo per esprimere la propria genialità, e
tutta la cultura di questa fantastica
città.
La città di Napoli, ricca di storia e
di tradizione, domina l'omonimo golfo,
ed è circondata da luoghi meravigliosi
quali il sopracitato Vesuvio, la penisola
Sorrentina, le isole di Capri, Ischia e
Procida e i Campi Flegrei. Posta al cen-
tro del Mediterraneo, ha sempre svolto
un ruolo fondamentale di collegamento
tra culture diverse, ed ha visto nei se-
coli il succedersi di fasi storiche diverse
e che hanno lasciato il segno sia nella
architettura della città che nelle tradi-
zioni e nell'indole del popolo napoleta-
no. Capoluogo della Regione Campania
e "capitale" del Mezzogiorno d'Italia,
Napoli oggi copre una superficie di 117
Km quadrati, con una popolazione,
nella sola città, di oltre un milione di
abitanti.
Le antichissime origini di Napoli affon-
dano nella leggenda, o meglio, in una
serie di leggende. Al centro di tutte,
c'è la sirena Partenope, che, affranta
per l'astuzia di Ulisse sfuggito al potere
del canto delle sirene, si sareb-
be suicidata, e il suo corpo sarebbe
andato alla deriva fino ad incagliarsi
sugli scogli dell'isoletta di Megaride,
dove oggi sorge il famosissimo Castel
dell'Ovo. Secondo una versione meno
leggendaria, Partenope sarebbe stata
invece una bellissima fanciulla, figlia
del condottiero greco Eumelo Falevo
partito alla volta della costa campana,
per fondarvi una colonia; ma una tem-
I monumenti
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pesta colpì la nave, provocando la mor-
te di Partenope, in tributo alla quale fu
dato il nome alla nascente città.
Incamminiamoci insieme alla scoperta
della “città di Totò”, ed iniziamo il
nostro percorso partendo dal centro
storico, , attraversando una parte dei
Decumani in cui si concentrano alcuni
dei monumenti più importanti di Napo-
li. Partendo dalla Cattedrale di Napoli,
il Duomo di Santa Maria Assunta, si
giunge alla Chiesa di San Paolo Maggio-
re, situata in corrispondenza dell'agorà
greca, in piazza San Gaetano, costruita
sui resti del Tempio dei Dioscuri. Si
prosegue poi con la visita ai suggestivi
sotterranei del complesso di San Loren-
zo Maggiore, il più importante sito ar-
cheologico della città, dove è possibile
visitare alcuni edifici pubblici della
Neapolis greco-romana. In alternativa è
possibile visitare il sito di Napoli sotter-
ranea, percorrendo a 40 metri di pro-
fondità antiche cisterne, acquedotti
per concludere la visita con il teatro
romano.
Percorrendo un tratto di Via dei Tribu-
nali, ricca di testimonianze storiche e
artistiche, si raggiunge la Cappella San-
severo, esempio mirabile del barocco
napoletano e famosissima per i nume-
rosi riferimenti alla simbologia masso-
nica. All’importanza artistica delle
opere presenti, come il celebre Cristo
velato, si affianca il fascino della leg-
genda del Principe Raimondo Di Sangro
e dei significati allegorici che egli volle
rappresentare attraverso le sculture e
le decorazioni della Chiesa, in cui può
leggersi un percorso iniziatico e spiri-
tuale.
Prendiamoci una pausa e assaporiamo
la pietanza più famosa della cucina
napoletana: la pizza.
La pizza ha una storia lunga, complessa
ed incerta. Secondo la tradizione nel
giugno 1889, per onorare la Regina
d'Italia Margherita di Savoia, il cuoco
Raffaele Esposito creò la "Pizza Mar-
gherita", una pizza condita con pomo-
dori, mozzarella e basilico, per rappre-
sentare i colori della bandiera italiana.
Possiamo scegliere tra le tante pizzerie
antiche e rinomate del centro storico,
tra cui Gino Sorbillo, La Figlia del Presi-
dente, di Matteo, Michele, Trianon,
Starita…e successivamente proseguia-
mo con un’immancabile passeggiata
nella via dei presepi, San Gregorio Ar-
meno, celebre in tutto il mondo per le
innumerevoli botteghe artigiane dedi-
cate all’arte presepiale.
Il culto del presepe a Napoli è uno di
quelli più antico e soprattutto celeber-
rimi. Il presepe napoletano ha due tra-
dizioni: quella colta del presepe artisti-
12
co del Settecento e quella popolare
degli artigiani e dei figurinai. A Napoli
si ha notizia del presepe già dal 1025,
come dimostra un documento che parla
della chiesa di Santa Maria del Presepe
ma il massimo sviluppo del presepe si
ebbe alla fine del XVII secolo, per ope-
ra di re Carlo III, che per il presepe era
grande appassionato. Il presepe, che
veniva edificato in alcuni saloni di Pa-
lazzo Reale di Napoli, erano di dimen-
s i o n i e n o r m i .
Tra i personaggi che seppero apprezza-
re e diffondere il culto del presepe
napoletano notiamo il frate domenica-
no, padre Rocco, il quale diffuse l'arte
del presepe al popolo, quello più pove-
ro ed umile. Lo produsse quindi nelle
strade, nelle piazze e nelle case ne
costruì anche uno nella grota verso
Capodimonte, dove il re Carlo III amava
r e c a r s i .
Il Settecento e l'Ottocento è il periodo
più ricco per quanto riguarda la nascita
di presepi a Napoli e tra questi va an-
noverato il Presepe di Antonio Cin-
que, commerciante, il quale costruva il
suo presepe nella sua abitazione in Via
Marinella. Ricordiamo anche il bellissi-
mo presepe del Cucinello alla certosa
di San Martino, e conservato in quel
Museo con dei pastori di grandissima
fattura artistica, con abiti di seta ed in
v e l l u t o r i c a m a t i i n o r o .
Il presepe artistico napoletano presen-
ta una ricchezza di scenari e di perso-
naggi ad iniziare dalla Grotta posto al
centro e collocato nel luogo più basso
del presepe. Altri scenari quali il fiu-
me, il pozzo, la fontana, il ponte, vi è
inoltre l'Osteria, posta generalmente
accanto alla grotta, sempre piena di
cibarie, salsicce, prosciutti, carni ma-
cellate, fiaschi di vino, piatti colmi di
maccheroni, pani e con tanti tavoli
i m b a n d i t e .
Accanto all'osteria si trova il forno e il
mulino, su cui si notano sacchi di farina
e cesti colmi di pane. Il pane è simbolo
di Gesù, appunto definito nelle scrittu-
re il pane della vita.
Altri personaggi rincorrenti sono la don-
na con il bambino, la zingara, la lavan-
13
L’antica Baiae, famosa per la presenza
di acque termali e per la bellezza dei
luoghi, fu luogo di villeggiatura e di
riposo dell’aristocrazia romana. Il suo
parco archeologico, esteso su di una
superficie di 40.000 mq e diviso con-
venzionalmente in cinque settori (Villa
dell’Ambulatio, Settore di Mercurio,
Settore della Sosandra, Settore di Ve-
nere), racchiude i resti di residenze
patrizie e di impianti termali. La Villa
dell’Ambulatio si estende su due ter-
razze: quella superiore ospita il quar-
tiere domestico e quella inferiore un
grande porticato coperto che dà nome
alla struttura. Il Settore di Mercurio è
costituito da due nuclei distinti con
funzione prevalentemente termale. Il
Settore della Sosandra, in cui sono sta-
te individuate quattro fasi edilizie, si
sviluppa su quattro livelli: i primi due
con funzione abitativa, mentre i due
livelli inferiori ospitano un complesso
architettonico scenografico interpreta-
to come un teatro-ninfeo. Il Settore di
Venere, chiamato così dagli studiosi del
‘700 che definivano “stanze di Venere”
alcuni ambienti del livello inferiore, si
articola su tre livelli sovrapposti con
ambienti di servizio o con funzione
termale.
Da qui si passa poi alla visita del Museo
Archeologico dei Campi Flegrei, situato
presso i Castello Aragonese di Baia,
giungendo anche alla visita della gran-
de cisterna romana detta Piscina Mira-
bilis.
La piscina mirabilis è un monumento
archeologico romano sito nel comune di
Bacoli, in provincia di Napoli. Costruita
daia, gli ambulanti, gli offerenti, il
p a s t o r e l l o d o r m i e n t e .
I Re Magi, Gaspare, re d'Arabia, Mel-
quon, poi Melchiorre, re della Persia e
Baldassarre, re dell'India, partiti da
Oriente, lì dove nasce il Sole, ricordan-
do la nascita del Sole Bambino, caval-
cando i loro cavalli, bianco per l'auro-
re, rosso baio per il mezzogiorno e nero
per la notte, figure queste rappresen-
tati come astrologi o come re. Poi la
figura del bue de l'asinello che, la leg-
genda vuole, che alla nascita di Gesù,
con il loro fiato riscaldassero il Bambi-
nello infreddolito.
Con il culto del presepe termina così la
prima parte dedicata alla bellezza di
Napoli.
Parco Archeologico delle Terme Di
Baia
Passando dal centro storico di Napoli
ad una delle sue periferie più ricche di
culture, quale Baia a Bacoli, dove si
possiamo imbattere nel Parco Archeo-
logico delle Terme Di Baia.
14
in età augustea a Miseno, sul lato nord-
ovest del Golfo di Napoli, originaria-
mente era una cisterna di acqua pota-
bile. Il nome attuale le fu attribuito nel
tardo Seicento.[1] Si tratta della più
grande cisterna nota mai costruita da-
gli antichi romani, ed aveva la funzione
di approvvigionare di acqua le numero-
se navi della Classis Misenensis, poi
divenuta Classis Praetoria Misenensis
Pia Vindex, che trovava ormeggio e
ricovero nel porto di Miseno. La cister-
na venne interamente scavata
nel tufo della collina prospiciente il
porto, ad 8 metri sul livello del mare. A
pianta rettangolare, è alta 15 metri,
lunga 72 e larga 25, con una capacità di
12.600 metri cubi. È sormontata da un
soffitto con volte a botte, sorretto da
48 pilastri a sezione cruciforme, dispo-
sti su quattro file da 12.
L'acqua veniva prelevata attraverso i
pozzetti realizzati sulla terrazza che
sovrasta le volte con macchine idrauli-
che, e da qui canalizzata verso il porto.
La struttura muraria è realizzata
in opus reticulatum e, così come i pila-
stri, è rivestita di materiale impermea-
bilizzante. Una serie di finestre lungo
le pareti laterali e gli stessi pozzetti
superiori provvedevano all'illuminazio-
ne e all'aerazione dell'ambiente. Sul
fondo, nella navata centrale, si trova
una piscina limaria di 20 metri per 5,
profonda 1,10 metri, che veniva utiliz-
zata come vasca di decantazione e di
scarico per la pulizia e lo svuotamento
periodico della cisterna. La piscina
mirabilis costituiva il serbatoio termi-
nale di uno dei principali acquedotti
romani, l'acquedotto augusteo, che
portava l'acqua dalle sorgenti del fiu-
me Serino, a 100 chilometri di distan-
za, fino a Napoli e ai Campi Fle-
grei. Parte dell'antica cisterna è aperta
ai visitatori.
Il ragù
Prendiamoci una seconda pausa, assa-
porando un’altra prelibatezza della
Campania, pietanza famosa perché è la
più comune cucinata nel giorno festivo
della Domenica: il ragù.
Il ragù napoletano ('O rraù in napoleta-
no) è probabilmente il condimento più
15
conosciuto della cucina napoletana
nonostante la sua poca diffusione
nell'uso quotidiano, ciò dovuto all'ele-
vata complessità di preparazione a
causa anche dei tempi di preparazione
eccessivamente lunghi.
Per questi ed altri motivi, il ragù napo-
letano risulta essere un piatto tipica-
mente festivo consistendo nella unione
(senza tritatura) di diversi tipi di carne,
bovina e suina, cotti in una salsa di
pomodoro a fuoco molto lento.
ll ragù napoletano è decantato anche
da Eduardo De Filippo in una sua poesia
dal titolo, appunto: 'O rrau. La storia
del ragù ha origine antica:
A Napoli alla fine del Trecento esiste-
va la Compagnia dei Bianchi di giustizia
che percorreva la città a piedi invocan-
do "misericordia e pace". La compagnia
giunse presso il "Palazzo dell'Imperato-
re" tuttora esistente in via Tribunali,
che fu dimora di Carlo, imperatore di
Costantinopoli e di Maria di Valois figlia
di re Carlo d'Angiò. All'epoca il palazzo
era abitato da un signore nemico di
tutti, tanto scortese quanto crudele, e
che tutti cercavano di evitare. La pre-
dicazione della compagnia convinse la
popolazione a rappacificarsi con i pro-
pri nemici, ma solo il nobile che risie-
deva nel "Palazzo dell'Imperatore" deci-
se di non accettare l'invito dei bianchi
nutrendo da sempre antichi e tenaci
rancori. Non cedette neanche quando il
figliolo di tre mesi, in braccio alla balia
sfilò le manine dalle fasce ed incro-
ciandole gridò tre volte: "Misericordia e
pace". Il nobile era accecato dall'ira,
serbava rancore e vendetta, ed un gior-
no la sua donna, per intenerirlo gli pre-
parò un piatto di maccheroni. La prov-
videnza riempì il piatto di una salsa
piena di sangue. Finalmente, commosso
dal prodigio, l'ostinato signore, si rap-
pacificò con i suoi nemici e vestì il
bianco saio della Compagnia. Sua mo-
glie in seguito all'inaspettata decisione,
preparò di nuovo i maccheroni, che
anche quella volta, come per magia,
divennero rossi. Ma quel misterioso
intingolo aveva uno strano ed invitante
profumo, molto buono ed il Signore
nell'assaggiarla trovò che era veramen-
te buona e saporita. La chiamo' così
"raù" lo stesso nome del suo bambino.
In realtà il termine Ragù deriva dal
francese Ragout, che indica un tipo di
cottura di carne e verdure, simile allo
spezzatino. Originariamente costituiva
il piatto unico della domenica, in quan-
to il sugo veniva utilizzato per condire
la pasta, e la carne consumata come
seconda portata. I tipi di carne impie-
gati nella preparazione del ragù sono
numerosi, e possono variare anche da
quartiere a quartiere, ed inoltre, que-
sta non è macinata ma è cotta a pezzi
16
grossi, da 500 g fino a un kg, tagliati a
mo' di grossa bistecca, farcita con in-
gredienti vari (uvett, pinoli, formaggio,
salame o lardo, noce moscata, prezze-
molo) e legata con uno spago. General-
mente viene utilizzato un misto di car-
ne di manzo (tagli anteriori e poco pre-
giati, che necessitano di lunga cottura)
e di maiale. Troviamo il muscolo di
manzo (gamboncello o piccione), le
spuntature di maiale (tracchie), l'invol-
tino di cotenna (cotica), la polpetta e
la braciola, termine che viene usato
però per indicare un involtino di carne
di manzo ripieno con aglio, prezzemo-
lo, pinoli, uva passa e dadini di formag-
gio. Tradizionalmente, la preparazione
del ragù inizia di buon mattino, se non
il sabato sera, in quanto la salsa deve
addensarsi molto, cuocendo a fuoco
lento, fino a diventare di una consi-
stenza molto cremosa, prima di poter
condire degnamente una buona pasta-
sciutta. In molte varianti del ragù na-
poletano viene impiegato anche un
cucchiaio di concentrato di pomodoro.
Pozzuoli
Dopo questo pranzo all’insegna della
buona cucina, ci spostiamo in un’altra
area della periferia di Napoli, la bella
Pozzuoli.
Situata sull'omonimo golfo, Pozzuoli si
trova in un'area vulcanica, i Campi Fle-
grei (cioè campi ardenti), che com-
prende un vulcano ancora in attività, la
Solfatara. Fenomeno geosismico tipico
di questa città e dell'intera area dei
Campi Flegrei è il bradisismo, ossia il
sollevamento e l'abbassamento della
crosta terrestre a seguito dell'aumento
della pressione sotterranea. Il rapido
innalzamento del livello del mare coin-
volse negli anni ottanta il porto, che fu
riposizionato circa 50 metri più avanti
rispetto alla collocazione precedente.
Pozzuoli, anticamente Puteoli (o Puteo-
los), cioè pozzo, secondo altri che
manda cattivo odore, a causa delle
numerose sorgenti di acque termo-
minerali e sulfuree, era in origine solo
uno scalo commerciale della colonia
ellenica di Cuma, o almeno così narra
Strabone, mentre la città venne fonda-
ta nel 528 a.c. da un gruppo di esuli
sami fuggiti dalla tirannide di Policrte,
con il nome di Dicearchia, o
"Dikaiarchia", vale a dire "giusto gover-
no". La storia di Pozzuoli però è più
antica, perchè ci sono prove della sua
frequentazione fin dal VII sec. a.c. Inol-
tre nel 421 a.c. passò in mano ai Sanni-
ti. Miseno era stata distrutta nel 214
a.c. da Annibale per rappresaglia con-
tro Cuma, che aveva funzionato da
roccaforte della legione di Sempronio
Gracco, bloccando l'attacco dei Carta-
ginesi, ingannati poi dalla Prima Legio-
17
ne di Fabio Massimo, che conquistò
l'altura dominante, cioè il Rione Terra,
della futura Puteoli, fortificandola e
rendendola inespugnabile. Divenuta
colonia romana nel 194 a.c., fu un im-
portante centro portuale per il com-
mercio del grano destinato all'Urbe.
Alla caduta dell'Impero, a causa della
mancanza di valide fortificazioni e dei
fenomeni di bradisismo lungo la costa,
la città si restrinse sul promontorio del
rione Terra, che divenne una rocca
fortificata. Dopo la conquista romana
della Campania nel 228 a.c., divenne
luogo di villeggiatura per i patrizi ro-
mani e il suo porto divenne fondamen-
tale per gli scambi commerciali di Ro-
m a .
I Romani infatti le crearono un ottimo
collegamento stradale con l'Urbe e le
città della Campania, con centri com-
merciali che vi stabilirono le città ma-
rittime d'Oriente ed Occidente. In que-
st'epoca fiorirono splendidi monumenti
come l'Anfiteatro Flavio, il Tempio di
Serapide, lo Stadio di Antonino Pio,
l'Anfiteatro Minore e il Tempio di Augu-
s t o .
Il declino della città iniziò nel 70 d.c.
circa, con l'apertura del porto di Ostia,
voluto da Claudio e terminato da Nero-
ne. Inoltre il graduale sprofondamento
del litorale spopolò, verso la fine del V
sec., la parte bassa della città che an-
dò a vivere nel Rione Terra, fortifican-
dola e facendone il castro puteolano.
Agli inizi del XVI sec, Pozzuoli subì pe-
santi fenomeni tellurici e di bradisismo,
per cui i cittadini si stabilirono fuori
delle mura, fondando presso il mare un
piccolo borgo di pescatori. La storia
recente di Pozzuoli è segnata profon-
damente dalle due crisi del bradisismo,
1970 e 1983, che hanno costretto la
città ad un ulteriore esodo forzato. Da
ormai molti anni è in fase di restauro,
per cui sono ora visitabili possibile visi-
tare gran parte dei sotterranei e una
parte in superficie.
I più importanti monumenti sono: il
Tempio di Serapide (Macellum), il
Tempio di Augusto, l'Anfiteatro Flavio,
l'Anfieatro Minore, il Circo Massimo, le
Terme di Nettuno e il Rione Terra, uno
dei centri storici meglio conservati
della Campania, sviluppato sull'area
della primitiva colonia romana. Risa-
lente all'epoca romana (I - II secolo
d.c.), Il Macellum, impropriamente
chiamato "Tempio di Serapide" (per il
rinvenimento di una statua del dio egi-
zio) era il mercato pubblico della città
romana.
Il centro della colonia romana del 194
a.c. sorse sul promontorio dell'insedia-
mento samio, o sannita secondo altri,
del quale però non si hanno ancora
tracce, a meno che non si considerino
alcuni resti di grossi blocchi di tufo
reimpiegati sul fianco nord della colli-
n a .
Probabilmente l'acropoli scendeva a
18
valle tramite una scalinata a gradoni e
il suo decumanus maximus, che iniziava
presso la porta della colonia repubbli-
cana, corrisponde al tracciato dell'o-
dierna via del Duomo, sotto cui, a circa
m. 3 sotto è stata rinvenuta parte del
basolato antico. Questo tratto del de-
cumano, oggi ancora percorribile, era
fiancheggiato da una serie di tabernae;
presso l'incrocio col cardo maximus
(attualmente murato), si trova una
fontana marmorea ornata da due ma-
schere di sileno. Il cardo maximus è
invece individuato nel tracciato di via
d e l V e s c o v a d o .
In piazza San Liborio è ancora parzial-
mente visibile il basolato di un altro
cardine che probabilmente si collegava
con la via che correva tra l'acropoli e la
città bassa, nell'area dell'Emporium, la
parte riferita alle strutture marittime
di Puteoli.
Vediamo da più vicino i vari monumenti
di questa città, incominciando dal
T e m p i o A u g u s t e o .
Tutti sapevano che la cattedrale di
Pozzuoli sorgesse sull’area del Tempio
di Augusto, quel che si ignorava era che
il tempio esistesse ancora, inglobato
nelle spesse mura seicentesche, anche
se alcuni capitelli di ordine corinzio al
di sopra della porta secondaria dell’e-
dificio ed altri frammenti marmorei
dell’architrave opposto potevano farlo
sospettare.
Fu un incendio che nel 1964 che, di-
strutta la navata centrale, costrinse a
dei saggi che scoprirono sotto la mura-
tura moderna le colonne, l’architrave,
le pareti della cella dell’antico tempio.
Già nel 1634, per volere del vescovo
Martino de Léon alcune colonne furono
assottigliate o tolte per permettere la
costruzione di cappelle laterali, mentre
la parete posteriore della cella fu ab-
battuta per permettere il passaggio tra
la navata e l’abside della basilica. For-
se parte delle colonne servirono alla
chiesa sovrastante, visto che appaiono
diverse tra loro e di epoca molto anti-
ca.
Il tempio di Augusto, sorto sull’area di
un tempio più antico di età greca o
sannitica, ed eretto in seguito all'istitu-
zione della colonia, fu ricostruito dal
ricco mercante Calpurnio in onore
dell’imperatore Augusto, come riferi-
sce un’ iscriz ione con dedica:
L. Calpurnius L.f. templum Augusto
cumornamentis d.s.f. (Lucio Calpurnio,
figlio di Lucio, dedicò a sue spese que-
sto tempio ed il suo arredo ad Augu-
sto).
Un’altra iscrizione, più piccola, su una
tavola di marmo a destra dell’ingresso
secondario, fornisce il nome dell’archi-
tetto: Lucio Cocceio Aucvto, liberto di
Caio Postumio, che si crede lo stesso
architetto della Crypta Neapolitana e
19
della galleria tra il lago d'Averno e Cu-
m a .
Il tempio di Augusto fu costruito intera-
mente in marmo bianco, con blocchi a
secco, cioè perfettamente connessi tra
loro senza malta, con scala laterale e
con le pareti in finta opera quadrata.
Presentava nove colonne corinzie sui
lati lunghi e sei sulle fronti, di cui circa
la metà incassate nella cella di forma
quadrata. Ne fanno testimonianza i
disegni che l’architetto Giuliano da
Sangallo eseguìti prima che il tempio
fosse restaurato nel 1538 per i danni di
un terremoto e dell’eruzione del Monte
N u o v o .
L’edificio pagano fu quindi trasformato
in tempio cristiano e dedicato al marti-
re S. Procolo quando i cittadini di Pu-
teoli si asserragliarono sulla rocca per
difendersi dai barbari; col decadimento
dell'impero, i romani anzichè combat-
tere si raccomandavano a Dio.
Attualmente il Tempio di Augusto è in
fase di scavo e di restauro e si attende
la pubblicazione dell’eccezionale mo-
n u m e n t o .
Secondo alcuni però l'attribuzione al
culto di Augusto sarebbe un’errata in-
terpretazione dell’iscrizione, esistente
fino al XVI sec. sulla fronte dell’edifi-
cio. La parola Aug. sarebbe riferita a
Lucio Calpurnio, il magistrato della
colonia finanziatore dell’opera, col
significato di Augustale e non di Augu-
sto, e l’edificio potrebbe essere il Capi-
tolium anzichè il tempio. Ora l'augusta-
le era l'addetto al culto dell'imperatore
Augusto, come venerazione dei lares
Augusti e del genius dell'imperatore.
Nulla di strano dunque che un augusta-
le faccia costruire un tempio ad Augu-
sto, che faccia costruire il Capitolium
sembra meno inerente, ma secondo
altri ancora il tempio avrebbe riguar-
dato Apollo. Stazio riferisce che Apollo
fosse il nume tutelare della città e
alcuni frammenti marmorei potrebbero
essere riferibili a una sua statua.
Da qui passiamo alla città sotterranea,
che, a dieci /quindici metri al di sotto
delle strutture seicentesche, stupisce e
affascina con nuove scoperte. Gli am-
bienti scavati pongono in evidenza le
varie e successive trasformazioni, nelle
varie epoche sia in età imperiale e sia
in età neroniana.
Lungo il percorso di un secondo decu-
mano, dietro il tempio di Augusto, so-
no infatti venuti alla luce numerosi
edifici, fra cui diversi horrea (depositi
di grano) e tabernae (magazzini), per-
corsi da un imponente porticato con
pilastri in opera laterizia, su dadi con
base in piperno, realizzato in epoca
neroniana su di una precedente e ana-
loga struttura in opera reticolata di età
a u g u s t e a .
20
Notevole il pistrinum (panificio), con
più ambienti destinati alla lavorazione
del grano e alla produzione del pane;
qui sono state rinvenute cinque macine
in pietra lavica, perfetta, per resisten-
za e porosità, a macinare il grano.
Ad un livello più basso si aprono gli
"ergastula", gli alloggi per gli schiavi,
una serie di celle distribuite lungo un
corridoio a quattro bracci, arieggiati
solo da un canale di terracotta e carat-
terizzati dalla presenza di banconi in
muratura utilizzati come giaciglio.
Negli scavi è emersa una cucina di età
tardo repubblicana dotata di camino e
di due banconi, statue di finissima fat-
tura ellenistica, materiale ceramico ed
l'arredo completo di una taberna, com-
posto da lucerne, anfore, statuette di
terracotta e vasellame vario. Il com-
plesso dei cinque criptoportici: a pian-
ta rettangolare coperti con volte a bot-
te, venne restaurato in età agustea e
raccordato al decumanus maximus; in
età imperiale tutti gli ambienti o cam-
biano destinazione o vengono sottopo-
sti a trasformazione. Tutto il complesso
dei criptoportici è stato liberato, nel
corso degli scavi, dal materiale di risul-
ta che copriva letteralmente l'area,
frutto principalmente dei lavori esegui-
ti, nel XVII secolo, per la costruzione
del Vescovado e di altri edifici dell'epo-
ca. Di grande importanza è anche an-
che l’Anfiteatro Flavio, essendo una
delle maggiori attrazioni turistiche di
tutti i Campi Flegrei e fu edificato pro-
prio a Pozzuoli, sotto Tito Flavio Vespa-
siano, sostituire l’anfiteatro costruito
in precedenza, per riconoscenza agli
abitanti di Pozzuoli che nella guerra
civile si erano schierati a favore
dell’imperatore- insieme agli uomini
della base navale di Miseno, dove sta-
zionava la potente “classis Misenensis”.
Vespasiano non riuscì probabilmente a
vederne la conclusione, in quanto pare
sia stato inaugurato dal figlio Tito.Il
luogo su cui venne edificato fu strategi-
co, all’incrocio delle strade provenienti
da Napoli, Capua e Cuma. Attraverso le
numerose iscrizioni ritrovate nelle sue
gallerie sotto l’ambulacro esterno, si sa
che l’Anfiteatro ospitava anche molte
tabernae con commercianti ed artigia-
n i , nonchè luogh i d i cu l to .
21
Secondo la leggenda, qui si compirono i
primi martirii dei cristiani e si decise il
supplizio, poi inflitto alla Solfatara, di
San Gennaro e dei suoi compagni nel
305 d.c.Successivamente l'anfitea-
tro fu abbandonato e semisepolto dal
terreno alluvionale e dall’eruzione del-
la Solfatara. Nel Medioevo, quando ogni
luogo pagano era divenuto indegno di
rispetto, nè si aveva più il concetto di
ciò che fosse arte, il monumento fu
spogliato, privato di tutte le decorazio-
ni marmoree e dei blocchi delle gradi-
nate, utilizzandolo per giunta come
magazzino agricolo. Questa semisepol-
tura ha però salvato dalla totale distru-
zione e dal saccheggio i sotterranei
dell’edificio, che sono arrivati intatti
non solo nell’architettura ma nella
foggia e nel funzionamento dei mecca-
nismi degli spettacoli, soprattutto per
ciò che riguarda il sollevamento al pia-
no dell’arena delle gabbie delle fiere
d a c o m b a t t i m e n t o .
Della sua struttura, colpisce anzitutto
l'eleganza e la leggerezza del susseguir-
si incessante di arcate, che ingentilen-
done l'aspetto massiccio ne snellivano
soprattutto il peso della pietra. Scavan-
do sono emersi anche snelle colonne
scanalate, capitelli corinzi e alcuni
fregi in marmo, scampati grazie ai ca-
taclismi. Gli spettacoli che vi si svolge-
vano erano principalmente lotte di
gladiatori, per i quali, nei sotterranei
della struttura, sono tuttora visibili gli
ingranaggi per sollevare le gabbie con
l e b e l v e s u l l ’ a r e n a .
Non mancavano però le parate militari,
gli eventi politici, militari e celebrativi.
Due delle strutture più antiche e affa-
scinanti di Pozzuoli sono il Tempio si
Serapide e le terme di Nettuno.
Per ciò che riguarda il primo possiamo
dire che è uno dei più noti monumenti
di tutto il mondo antico, impropria-
mente ritenuto tempio di Serapide,
essendo in realtà un macellum, cioè un
m e r c a t o .
Invaso e sommerso dalle acque termo-
minerali che scaturiscono dal sottosuo-
lo presso il litorale, poi utilizzate in
epoca medievale a fini terapeutici, e
chiamate Balneum Cantarellus', ha
costituto per alcuni secoli l'indice me-
trico più preciso che si aveva a disposi-
zione per misurare il fenomeno del
b r a d i s i s m o .
Tre delle quattro grandi colonne di
marmo cipollino che ancora fronteggia-
no, ancora erette sulle loro basi, la
sala absidata al centro della parete di
fondo, servivano come strumento di
misurazione a causa di un particolare
fenomeno. Sul loro fusto, i fori dei
litodomi, piccoli molluschi che vivono a
22
pelo d'acqua, detti volgarmente
"datteri di mare", segnano il livello più
alto a cui è giunta in passato l'acqua
del mare. Grazie al fenomeno si sa che
la sua massima sommersione marina
avvenne in epoca medievale, quando,
nel X sec., il monumento era superior-
mente sommerso dalle acque solo par-
zialmente. Dalla seconda crisi bradisi-
smica e dell'intensa attività sismica del
1983, attualmente esso risulta ad una
quota superiore rispetto al livello del
mare, per cui non è più sommerso e
non più utilizzabile per misurare il bra-
disismo. Ovviamente oggi vi sono meto-
di più innovativi per questo.
L' edificio è stato ritenuto impropria-
mente un "TeAl centro del cortile vi
sono i resti di una costruzione circolare
sopraelevata, completamente circon-
data all'epoca da colonne, e sicuramen-
te coperta da una cupola o da un tetto
conico. Le colonne rimaste in piedi
testimoniano che l'edificio doveva ave-
re una notevole altezza. S podio si po-
teva salire con quattro scalinate dispo-
ste a croce. Al centro del podio sono
stati rinvenuti resti di condutture per
una fontana, e si ipotizza che fosse
destinato al mercato del pesce. L'edifi-
cio è simile ad altri mercati di epoca
romana che ancora si conservano in
tutta l'area mediterranea (Pompei,
Morgantina, ecc.), ma quello di Pozzuo-
li è il più ricco e monumentale.
Tutto l'edificio ricorda nella pianta altri
mercati di città antiche, come quelli di
Roma, Timgrad, Djemila, Perge e
Cremna, ma il Macellum di Pozzuoli
resta uno dei più grandiosi ed integri,
grazie appunto alla sommersione bradi-
sismica che nei secoli passati lo ha pre-
servato dal saccheggio. La presenza
della statua di Serapide al suo interno,
fa pensare che il Macellum gli fosse
stato dedicato, magari anche ad Iside,
con cui il dio era solitamente connesso.
Per ciò che concerne invece le Terme
di Nettuno possiamo dire che erano
conosciute erroneamente come
"Tempio di Nettuno". In realtà i magni-
fici resti riguardano un grandioso com-
plesso termale, il più grande e monu-
mentale dell'antica Puteoli. Disposte su
più livelli lungo il pendìo piuttosto ripi-
do della collina, le terme hanno il fron-
te rivolto al porto, in modo che il viag-
giatore che veniva dal mare veniva
quasi accecato da questa smagliante e
abbagliante snodarsi di marmi lungo la
collina. L'impianto, eretto nella prima
metà del II sec. d.c., come dimostrano
i bolli adrianei rinvenuti in loco, in
epoche successivevenne ripetutamente
restaurato fino al IV sec. d.c., il che ne
dimostra l'uso continuato. La pianta
delle terme era la consueta, con la
successione calidarium-tepidarium-
23
frigidarium-natatio. Attualmente sono
per la maggior parte interrate; i resti,
in proprietà Lubrano, riguardano i li-
velli superiori e la parte posteriore
dell'edificio, relativa all'area del frigi-
darium. Le due massicce cortine mura-
rie, lunghe m. 60 e alte m. 16 ca., ap-
partengono alla parete di fondo di que-
s t o .
La sala era chiusa al centro da una
grande abside, con ai lati numerose
nicchie, che sicuramente accoglievano
statue e vasi, oltre a fregi e archi di
passaggio. Entrati nell'area del frigida-
rium, si scorgono i resti di una serie di
ambienti disposti sui due lati dell'absi-
de, con volte alternate a botte e a cro-
ciera e con preziose decorazioni musi-
ve. Dall'attuale livello di calpestio,
lungo i muri, sporgono le sommità di
arcate e volte degli ambienti sottostan-
ti. Le strutture a valle, relative agli
ambienti caldi, non sono visitabili in
quanto coperte da strutture moderne o
d a n n e g g i a t e d a c r o l l i .
L'ignoranza e spesso l'ingordigia distrug-
gono molto più dei millenni. All'interno
del civico 102 di via Pergolesi si posso-
no ancora osservare, in discreto stato
di conservazione, ma difficili da visita-
re, i praefurnia. Il forte dislivello tra
questi resti e quelli di via Terracciano
fa comprendere l'estensione delle ter-
me e dei salti di quota esistenti fra le
terrazze su cui si snodavano. La pianta
e i percorsi interni si ispirano al model-
lo romano dele terme di Tito e anche
alle Terme di Traiano, rispettandone i
canoni dell'architettura termale di II-III
secolo, ma pure l'impatto scenografico.
Come sopra citato, Pozzuoli sorge su
un'area vulcanica, i Campi Flegrei (cioè
campi ardenti), che comprende un
vulcano ancora in attività, la Solfatara.
Essa era molto conosciuta durante l'e-
poca imperiale romana, come misterio-
sa porta degli inferi, è descritta da
Strabone, come la dimora del Dio Vul-
cano, appunto ingresso per gli Inferi, o
Forum Vulcani. Ne parla anche Plinio il
Vecchio come Fontes Leucogei per le
acque alluminose e biancastre che
s g o r g a n o a n c o r a t u t t ' o g g i .
All'epoca era utilizzata per l'estrazione
del prezioso bianchetto, utilizzato co-
me stucco, che poteva essere estratto
dietro un pagamento di 20.000 sester-
zi. Recenti scavi hanno riportato alla
luce una strada basolata romana a val-
le della Solfatara, la via Puteolis-
Neapolim, che hanno messo in luce una
necropoli del I sec. Con la visita della
grotta all’interno della Solfatara, con il
percorso che si svolge all’interno del
cratere illuminato dalle fiaccole, viene
illustrata l’attività vulcanica attraverso
spiegazioni ed esperimenti. Con ciò
ultimiamo così questo excursus sulla
ricca città di Pozzuoli, e ci spostiamo
24
verso un’altra città in provincia di Na-
poli ricca di storia, grazie agli scavi
ritrovati in seguito all’eruzione del
Vesuvio del 79 D.C., e stiamo parlando
di Ercolano.
Ercolano
(fino al 1969 Resina - leggasi Resìna -)
è famosa nel mondo per gli scavi ar-
cheologici della città romana fondata,
secondo la leggenda, da Ercole e di-
strutta dall'eruzione del Vesuvio del 79
d.C.; insieme a quelli di Pompei e
Oplontis, fanno parte del Patrimoni
dell'umanità dell'UNESCO. Il tratto del
Corso Resina che dagli Scavi archeologi-
ci arriva fino a Torre del Greco è chia-
mato Miglio d'Oro per le splendide ville
del XVIII secolo allineate ai suoi lati. Da
Ercolano parte la strada che conduce al
Gran Cono del Vesuvio per la visita al
cratere. La leggenda narra che Ercole,
tornato dall'uccisione del mostro Gerio-
ne (la decima delle sue dodici fatiche),
si fosse fermato a Roma, dove chiese
alla dea Fauna di dissetarlo, ma questa
rifiutò, poiché la sua acqua sacra era
riservata alle sole donne. In preda alla
rabbia, Ercole costruì un tempio in ono-
re di se stesso, e vietò alle donne di
partecipare alle sue cerimonie. Intan-
to, un figlio di Vulcano, il demone Ca-
co, rubò una parte della mandria di
buoi che Ercole aveva a sua volta preso
al mostro Gerione, e che erano destina-
ti alla città di Argo. L'eroe si adirò mol-
to e si mise alla ricerca dei buoi, che
però si rivelò molto ardua perché il
demone Caco aveva portato le bestie
nella sua grotta sul Vesuvio, trascinan-
dole per la coda, in modo che le orme
rovesciate indicassero la direzione op-
posta. Proprio quando stava per rinun-
ciare, uno dei bovini rispose al richia-
mo di Ercole, che così scoprì dove si
fosse nascosto il ladro: una volta rag-
giunto, scoprì che i suoni provenivano
da una caverna sul Vesuvio, che era
stata però chiusa dall'interno con un
enorme masso. Ercole allora prese una
rupe appuntita e riuscì ad aprirsi un
varco all'interno della spelonca. Caco
cercò di difendersi vomitando dalle
fauci un'immensa nuvola di fumo che
avvolse la grotta, ma Ercole balzò at-
traverso il fumo, afferrò Caco e lo
strinse tanto da fargli uscire gli occhi
dalle orbite, uccidendolo. Poi, recupe-
rato il bestiame, decise di tornare ad
Argo, e continuare le ultime due fati-
25
che rimaste, ma prima volle edificare
una città nel luogo dove aveva costrui-
to il tempio; fondò così una cittadina e
le diede il suo nome: Herculaneum.
Già gravemente danneggiata dal terre-
moto del 62, la città venne poi distrut-
ta dall'eruzione del Vesuvio nel 79: a
causa di una colata piroclastica un'in-
gente massa di fango coprì Ercolano,
penetrando in ogni apertura, e si solidi-
ficò in uno strato compatto e duro di
15-20 metri. L'eruzione del Vesuvio a
Ercolano si articolò in due fasi: la pri-
ma fu della durata complessiva di 11
ore, con caduta di pomici soprattutto
grigie; la seconda, della durata di sette
ore, costituita dall'alternarsi di nubi
ardenti e di colate piroclastiche; come
citato prima, fu quest'ultima che colpì
principalmente Ercolano, seppellendola
sotto una coltre di oltre 18 metri di
materiali. A seguito di analisi termo-
gravimetriche si è sostenuto che la
temperatura fosse di circa 300-320 °C.
Questo avrebbe permesso la conserva-
zione dei papiri, ritrovati nella villa
conosciuta per l'appunto come Villa dei
Papiri, a seguito di un processo di car-
bonizzazione e combustione. In alcuni
edifici però, ad esempio nelle Terme
suburbane, il legno si è conservato nel
colore naturale (una porta gira ancora
sui cardini originali). Si può supporre
che un'elevata temperatura abbia coin-
volto solo alcune zone della città.
Dopo la terribile eruzione del 79 d.C. la
vita riprese lentamente sull'area colpi-
ta e già nel 121 d.C. si ha notizia della
riattivazione dell’antica via litoranea
che da Napoli conduceva a Nocera.
Nella basilica di Santa Maria a Pugliano
sono custoditi due sarcofagi paleocri-
stiani risalenti al II e al IV-V secolo
d.C., a testimonianza dell’esistenza di
comunità abitate sul sito dell’antica
Ercolano. Purtroppo non si hanno noti-
zie certe del periodo tra la caduta
dell’Impero Romano d’Occidente e
l’anno Mille. Sicuramente l’area vesu-
viana fu esposta alle numerose guerre
tra i popoli che invasero l’impero a
cominciare dalla guerra greco-gotica e
a quella tra il Ducato di Napoli, formal-
mente dipendente da Bisanzio e il Du-
cato di Capua, istituito dai Longobardi.
Addirittura è certa una presenza sara-
cena sul finire del IX secolo. Nel X se-
colo si hanno i primi riferimenti a un
casale di Resina o Risina (… de alio
latere est ribum de Risina… ; … de alio
capite parte meridiana est resina …,
ecc.).
L’origine del nome è alquanto contro-
versa: alcuni studiosi la attribuiscono
alla corruzione del nome Rectina, pa-
trizia romana che possedeva una villa
ad Ercolano e che chiese soccorso a
Plinio il Vecchio; altri fanno discendere
26
il nome da “retincula”, ossia le reti
utilizzate dai pescatori di Ercolano, o
dalla resina degli alberi dei boschi cre-
sciuti sulle antiche lave, o dal nome del
fiume che scorreva ai margini di Ercola-
no. Infine c’è che vede in Resìna l’ana-
gramma di sirena visto che una sirena è
stato il simbolo del casale e del Comu-
ne fino al 1969.
Nell’XI secolo è attestata la presenza di
un oratorio dedicato alla Vergine sulla
collina denominata Pugliano il cui nome
deriva probabilmente da praedium pol-
lianum, un podere suburbano di Ercola-
no appartenuto ad un tale Pollio.
Nel 1709 Emanuele Maurizio di Lorena
Principe D’Elbeuf, mentre stava co-
struendo il suo palazzo presso il litorale
di Portici venne a sapere che un tale
Nocerino, detto Enzechetta, nello sca-
vare un pozzo in un podere alle spalle
del convento degli agostiniani di Resina
si imbatté in marmi e colonne antiche.
Decise di comprare il fondo e nel 1711
avviò degli scavi attraverso pozzi e
cunicoli che raggiunsero l'antico Teatro
di Ercolano da cui estrasse statue, mar-
mi e colonne che tenne per sé o inviò
in dono presso amici, parenti e regnan-
ti europei. Grazie a lui il re Carlo III di
Borbone decise di acquistare il fondo e
avviare scavi sistematici mentre in Eu-
ropa si diffuse a macchia d’olio la fama
dell’antica Ercolano che influenzò
enormemente la cultura dell’epoca
dando impulso al movimento culturale
che fu chiamato Neoclassicismo e alla
moda dell’aristocrazia inglese di svol-
gere il Grand Tour attraverso l'Europa,
fino all'Italia e alla Grecia.
Il successo dei ritrovamenti spinse il re
a costruire nel 1740 un palazzo reale
nelle vicinanze degli scavi di Resina
entro i confini del casale di Portici che
da quel momento assunse il titolo di
Real villa di Portici. Nella nuova reggia
estiva raccolse i ritrovamenti ercolane-
si realizzando in un'ala del palazzo
l’Herculanense Museum che apriva per
lo stupore e la meraviglia dei suoi ospi-
ti.
Le collezioni si arricchirono ancora di
più a partire dal 1750 quando cominciò
l'esplorazione della grandiosa villa su-
burbana appartenuta alla famiglia dei
Pisoni, nella quale fu rinvenuta una
gran quantità di bellissime statue in
bronzo e in marmo, come i due Lotta-
tori (o Corridori) e il Mercurio Dormien-
te. Ma ancora più straordinario fu il
ritrovamento, nel 1752, dei papiri car-
bonizzati della biblioteca della villa
che da quel momento divenne nota in
tutto il mondo come Villa dei Papiri.
Essi furono meticolosamente srotolati
grazie ad una macchina appositamente
inventata in quegli anni da Padre Anto-
nio Piaggio e rivelarono opere del filo-
sofo epicureo Filodemo da Gadara.
27
Con l’arrivo dei reali a Portici tutta
l’aristocrazia della capitale scelse di
realizzare sontuose dimore estive lungo
la Via Regia delle Calabrie e nelle cam-
pagne circostanti, tra Barra, oggi quar-
tiere orientale di Napoli, e Torre del
Greco. Ma soprattutto tra Villa de Biso-
gno a Resina e Palazzo Vallelonga a
Torre del Greco la quantità e la qualità
degli edifici era tale che quel tratto di
strada fu denominato il Miglio d’Oro.
Tra le più prestigiose si annoverano
Villa Campolieto, progettata da Luigi
Vanvitelli, Villa Riario Sforza, nota an-
che come Villa Aprile, e Villa Favorita,
di Ferdinando Fuga, chiamata così per-
ché preferita dalla regina Maria Caroli-
na d’Asburgo al punto che Ferdinando
IV la acquistò nel 1792 conferendole la
denominazione di Real villa della Favo-
rita.
Nel 1788 il sacerdote Benedetto Cozzo-
lino fondò in via Trentola, presso la sua
abitazione, la prima scuola per sordo-
muti del Regno di Napoli, seconda in
Italia solo a quella di Roma. Nel 1709
Emanuele Maurizio di Lorena Principe
D’Elbeuf, mentre stava costruendo il
suo palazzo presso il litorale di Portici
venne a sapere che un tale Nocerino,
detto Enzechetta, nello scavare un
pozzo in un podere alle spalle del con-
vento degli agostiniani di Resina si im-
batté in marmi e colonne antiche. De-
cise di comprare il fondo e nel 1711
avviò degli scavi attraverso pozzi e
cunicoli che raggiunsero l'antico Teatro
di Ercolano da cui estrasse statue,
marmi e colonne che tenne per sé o
inviò in dono presso amici, parenti e
regnanti europei.
Grazie a lui il re Carlo III di Borbone
decise di acquistare il fondo e avviare
scavi sistematici mentre in Europa si
diffuse a macchia d’olio la fama
dell’antica Ercolano che influenzò
enormemente la cultura dell’epoca
dando impulso al movimento culturale
che fu chiamato Neoclassicismo e alla
moda dell’aristocrazia inglese di svol-
gere il Grand Tour attraverso l'Europa,
fino all'Italia e alla Grecia.
Il successo dei ritrovamenti spinse il re
a costruire nel 1740 un palazzo reale
nelle vicinanze degli scavi di Resina
entro i confini del casale di Portici che
28
da quel momento assunse il titolo di
Real villa di Portici. Nella nuova reggia
estiva raccolse i ritrovamenti ercolane-
si realizzando in un'ala del palazzo
l’Herculanense Museum che apriva per
lo stupore e la meraviglia dei suoi ospi-
ti. Le collezioni si arricchirono ancora
di più a partire dal 1750 quando comin-
ciò l'esplorazione della grandiosa villa
suburbana appartenuta alla famiglia
dei Pisoni, nella quale fu rinvenuta una
gran quantità di bellissime statue in
bronzo e in marmo, come i due Lotta-
tori (o Corridori) e il Mercurio Dormien-
te. Ma ancora più straordinario fu il
ritrovamento, nel 1752, dei papiri car-
bonizzati della biblioteca della villa
che da quel momento divenne nota in
tutto il mondo come Villa dei Papiri.
Essi furono meticolosamente srotolati
grazie ad una macchina appositamente
inventata in quegli anni da Padre Anto-
nio Piaggio e rivelarono opere del filo-
sofo epicureo Filodemo da Gadara. Con
l’arrivo dei reali a Portici tutta l’aristo-
crazia della capitale scelse di realizza-
re sontuose dimore estive lungo la Via
Regia delle Calabrie e nelle campagne
circostanti, tra Barra, oggi quartiere
orientale di Napoli, e Torre del Greco.
Ma soprattutto tra Villa de Bisogno a
Resina e Palazzo Vallelonga a Torre del
Greco la quantità e la qualità degli
edifici era tale che quel tratto di stra-
da fu denominato il Miglio d’Oro. Tra le
più prestigiose si annoverano Villa Cam-
polieto, progettata da Luigi Vanvitelli,
Villa Riario Sforza, nota anche come
Villa Aprile, e Villa Favorita, di Ferdi-
nando Fuga, chiamata così perché pre-
ferita dalla regina Maria Carolina d’A-
sburgo al punto che Ferdinando IV la
acquistò nel 1792 conferendole la de-
nominazione di Real villa della Favori-
ta. Nel 1788 il sacerdote Benedetto
Cozzolino fondò in via Trentola, presso
la sua abitazione, la prima scuola per
sordomuti del Regno di Napoli, seconda
in Italia solo a quella di Roma.
Di grandissima importanza sono gli Sca-
vi Archeologici di Ercolano, dal momen-
to che sono meta fissa di circa 300.000
di turisti l'anno: nel 2012 hanno regi-
strato 288.536 presenze risultando il
16° monumento più visitato d'Italia. Da
pochi anni è stato realizzato il nuovo
29
accesso agli scavi, con un'ampia area
adiacente che comprende un parcheg-
gio a raso e interrato, un'area a verde
attrezzato e punti di ristoro e vendita
di souvenirs. Oltre all'area archeologi-
ca, in alcune occasioni opportunamen-
te pubblicizzate sul sito della Soprin-
tendenza Archeologica di Pompei è
visitabile il padiglione della barca di
Ercolano, ritrovata sull'antico litorale
della città.
Corso Resina, il corso principale della
città che collega Ercolano a Napoli,
possiede un tratto denominato Miglio
d'Oro, per la presenza di alcune tra le
più belle e sfarzose ville vesuviane del
XVIII secolo, costruite o abbellite da
famosi scultori o architetti come Luigi
Vanvitelli o Ferdinando Fuga. Tra le più
fastose vi sono Villa Aprile (oggi sede
del lussuoso Miglio d'Oro Park Hotel),
Villa Favorita, Villa Campolieto, Villa
Ruggiero sedi di eventi culturali, spet-
tacoli e concerti. Villa Campolieto,
Villa Ruggiero e il Parco sul mare della
Villa Favorita, di proprietà della Fonda-
zione Ente per le Ville Vesuviane, sono
aperte al pubblico. Nel 1997 l'area del
Miglio d'Oro, insieme al complesso Som-
ma-Vesuvio, è stata inserita nella rete
mondiale di riserve della biosfera
nell'ambito del programma Unesco MAB
(Man and Biosphere). Negli ultimi anni
la definizione precisa di Miglio d'Oro è
sfumata, in quanto per finalità di pro-
mozione turistica e di sviluppo territo-
riale dei paesi vicini, il concetto di
Miglio d'Oro, che originariamente indi-
cava il tratto ercolanese della via Regia
delle Calabrie e il primo tratto nel co-
mune di Torre del Greco, è stato este-
so anche ai comuni di Portici e di San
Giorgio a Cremano. Sul territorio dei
quattro Comuni cosiddetti "del Miglio
d'Oro", oltre che su quello dei quartieri
napoletani di Barra e San Giovanni a
Teduccio, insistono le 121 ville vesu-
viane del XVIII secolo censite dall'Ente
Ville Vesuviane.
Riprendendo una nota canzone di Pino
D a n i e l e ,
” N a p u l e è m i l l e c u l u r e
Napule è mille paure Napule
è a v o c e d e ' c r i a t u r e
che sag l ie ch i anu ch ianu e
tu sai ca nun si sulo. [ . . . ]
[ . . . ] Napule è nu sole amaro
Napule è addore 'e mare [ . . . ]
[ . . . ] Napule è tutto 'nu suonno
e 'a sape tutti o' munno ma
nun sanno a verità. [ . . . ]“
Questo itinerario nasce nella speranza
di riuscire a raccontare almeno una
parte di tutte le sfaccettature di cui
si colora la mia città, “città del Sole”,
della speranza, della benevolenza,
dell’accoglienza, della risata, delle
30
bellezze mozzafiato, della storia e del-
la cultura.
31
32
Ischia
Le prime testimonianze del nome at-
tuale dell'isola risalgono all'anno 812, in
una lettera di Papa Leone III nella qua-
le informa l'imperatore Carlo Magno di
devastazioni occorse nell'area, chia-
mando l'isola Iscla maior . Nella quale il
pontefice denunciava le condizioni di
saccheggio e di abbandono in cui versa-
va l’isola a seguito di un violento attac-
co, protrattosi per tre giorni, dei Sara-
ceni, senza che nessuno dalla vicina
Napoli fosse occorso in aiuto dei locali.
Interessante come la denominazione
Insula - Iscla Maior, serva a distinguere
l’abitato del Castello (Castrum Gironis)
dal resto dei villaggi presenti sull’isola,
evidenziando come il primo avesse vita
e rappresentanza altre dai restanti
casali dell’isola.Da qui si sarebbe poi
approdati, per successiva contrazione
del topos Insula (Insula - Iscla) all’o-
dierno Ischia Alcuni studiosi ricollega-
no il termine alla parola di origine se-
mitica I-schra, "isola nera" che in sé
potrebbe anche essere accettabile se
non fosse che dal punto di vista geolo-
gico l'isola per i suoi prodotti vulcanici
appare soprattutto bianca. L’espressio-
ne “insula visca”, fornisce una probabi-
le origine del moderno “Isola d’Ischia”.
Isola nell’antichità
L'isola d'Ischia era abitata fin dal Neoli-
tico, sulle alture di punta Chiarito, a
Panza. La Baia di Sorgeto, offre un ri-
paro ideale per le navi, soprattutto dai
venti di scirocco, un requisito impor-
tante per i Greci, nella scelta di un
approdo. A vent'anni circa dall'origina-
rio sbarco, colonizzata buona parte
dell'isola, viene fondata la colonia di
Pithecusa, il cui centro principale sarà,
nella zona nord dell’isola,in modo da
Le isole
33
avere un più rapido scambio con la
terraferma. Con il suo porto la colonia
fece fortuna grazie al commercio del
ferro con il resto dell'Italia.
Epoca Romana
Dopo le guerre sannitiche, l'isola passò
con Napoli sotto il dominio romano, e
divenne centro di attività commerciali
e manifatturiere. E’stato infatti indivi-
duato un insediamento industriale com-
prendente una fonderia di piombo e
stagno (da cui il nome di Aenaria) e una
fabbrica di vasellame e taluni sono
attualmente esposti nel Museo archeo-
logico di Pithecusae a Lacco Ameno.
Nell'immaginario latino l'isola era asso-
ciata anche alla figura di Enea, che qui
avrebbe fatto scalo. Virgilio la identifi-
cò con Arime, isola citata nell'Iliade.
Qui trovò rifugio Gaio Mario inseguito
da Silla. Per punire i napoletani di ciò,
Silla sottrasse l'isola al loro dominio
assoggettandola direttamente al Senato
di Roma. Qualche decennio dopo, tut-
tavia, Augusto la restituì alla città di
Napoli, tenendo per sé la prediletta
Capri. Con la decadenza dell'impero,
Ischia venne minacciata dai saccheggi
barbarici da parte di Visigoti e Vandali.
Nel 476, con la caduta dell'Impero d'Oc-
cidente, Ischia entrò a far parte del
dominio di Odoacre, successivamente
entrò a far parte, con l'intera penisola,
del regno ostrogoto di Teodorico il
Grande. Fu conquistata dagli eserciti
bizantini capitanati da Belisario. In
seguito alla riorganizzazione dell'Italia
bizantina conseguente all'invasione
longobarda, Ischia entrò a far parte del
ducato di Napoli, ducato bizantino di-
pendente dall'Esarcato d'Italia. Tra il IX
e il X secolo l'isola è esposta alle scor-
rerie del saraceni, per nulla interessati
a conquiste permanenti: le loro scorre-
rie erano infatti finalizzate al saccheg-
gio e non all'occupazione. Così gli ischi-
tani svilupparono varie tecniche di resi-
stenza: all'avvistamento delle imbarca-
zioni saracene gli abitanti dei casali di
campagna venivano avvisati dal suono
della "tofa", usata a mo' di corno, che si
diffondeva da un casale all'altro, e si
mettevano in salvo come potevano,
rifugiandosi nel castello, se abbastanza
vicini, in grotte scavate nel tufo o di-
sperdendosi per le campagne.
I Normanni
Ischia segue le sorti di Napoli sotto i
duchi, finché Ruggero il Normanno sac-
cheggia l'isola nel 1135 occupando il
Castello Aragonese.
I Svevi
La dinastia sveva prende il governo
dell'isola nel 1214.
Gli Angioini
Prima che Carlo I, duca d'Angiò, fosse
incoronato re di Napoli, Ischia, tenuta
dai conti di Ventimiglia dopo la caduta
di Manfredi, è invasa dalla galee pisane
con lo scopo di provocare una sommos-
sa contro Carlo I d'Angiò a favore di
Corradino. Non riuscendo nell'intento, i
pisani si abbandonano a massacri e
ruberie. Re Carlo I, vittorioso ordina
un'inchiesta per confermare la fedeltà
al nuovo re. Alla morte di Carlo I d'An-
34
giò, l'isola passa sotto il governo di
Carlo
D’ Angiò detto "lo Zoppo". Nel gennaio
del 1301 una terribile eruzione squassa
l'isola che, abbandonata da molti isola-
ni, si ripopola solo nel 1305. Succede a
Carlo II, Roberto D’Angiò detto Il Sag-
gio.
Gli Aragonesi
Alfonso V di Aragona approda a Ischia
nel 1423 occupando il Castello Arago-
nese, lo ristruttura e vi si stabilisce in
attesa di poter conquistare anche Na-
poli, assedia la città di Napoli. Per ri-
compensare gli isolani dell'appoggio
fornito, il sovrano concede ampi favori
all'isola. Re Ferrante o Ferdinando,
desideroso di difendere i privilegi degli
aragonesi, ordina ad Alessandro Sforza
di occupare l'isola e di cacciare il Tori-
glia. Alessandro Sforza entra trionfando
nel Castello Aragonese. Infine Alfonso
d'Aragona si impadronì definitivamente
dell'isola e si insediò nel castello che
sorgeva su di un isolotto fortificato che
da lui prese il nome di "Castello Arago-
nese" e che per secoli segnò il rifugio di
tutta la popolazione del borgo per sfug-
gire agli assalti dei nemici Barbari e
Saraceni.
Un po’ di geografia
L'isola d'Ischia è la più grande delle
isole dell’Italia appartenente all’arci-
pelago delle Isole Flegree del Golfo di
Napoli. Ischia è di origine vulcanica.
Grazie alle numerose sorgenti termali è
da sempre una delle mete più ambite
del mediterraneo.Il rilievo più elevato
è rappresentato dal monte Epomeo,
alto 788 metri e situato nel centro
dell'isola. Quest'ultimo è un vulcano
sottomarino sprofondato negli ultimi
100.000 anni. Infatti, l'intera isola, altri
non è che il picco del Monte Epomeo,
ultimo punto del vulcano ancora in
s u p e r f i c i e .
L'attività vulcanica ad Ischia è stata
generalmente caratterizzata da eruzio-
ni non molto consistenti e a grande
distanza di tempo. Dopo le eruzioni in
epoca greca e romana, l'ultima è avve-
nuta nel 1301 nel settore orientale
dell'isola con una breve colata giunta
fino al mare.
Il Clima
La particolare formazione a cono
dell'isola d'Ischia con il Monte Epomeo
al centro e la posizione geografica
dell'isola nel Mar Tirreno centrale favo-
riscono un clima mite anche nei periodi
invernali con frequenti cambi climatici,
a volte anche nella stessa giornata. I
venti predominanti variano in base alla
stagione: in inverno sono il libeccio, il
ponente-libeccio e lo scirocco. I venti
35
predominanti in estate e primavera
sono la tramontana ed il grecale.
Come i venti anche l'umidità varia in
base alla stagione: in inverno, in pre-
senza di libeccio e scirocco e quindi
con piogge frequenti l'umidità media è
del 63%, tuttavia nelle giornate con
venti dei quadranti settentrionali l'umi-
dità si riduce sensibilmente come an-
che in primavera.
Divisioni Amministrative
L'isola d'Ischia con i suoi 46 km² di su-
perficie e i circa 61 000 abitanti è la
terza isola più popolosa d'Italia.
Dal punto di vista amministrativo si
divide in sei comuni: Barano d'Ischia,
Casamicciola Terme, Forio, Ischia, Lac-
co Ameno, Serrara Fontana, anche se è
stata presentata una proposta di legge
regionale di iniziativa popolare per
poter giungere ad un Comune Unico
dell'Isola d'Ischia, da realizzarsi attra-
verso un referendum popolare. Attual-
mente si è in attesa della sua indizione
da parte della Regione Campania.
Trasporti
Per giungere all'isola d'Ischia si arriva in
auto, treno o aereo nella città di Napo-
li e da qui ci si imbarca su nave tra-
ghetto o aliscafo da uno dei tre porti
(Napoli, Mergellina, Pozzuoli). I colle-
gamenti marittimi tra Ischia ed il conti-
nente avvengono tra i tre porti dell'iso-
la (porto d'Ischia, porto di Casamicciola
e porto di Forio) Mediamente il tratto
di mare da coprire è di 14 miglia con la
punta massima di 18 miglia per la trat-
ta Ischia-Napoli; il tempo medio di na-
vigazione è di 90 minuti con nave tra-
ghetto e di 70 minuti con aliscafo o
nave veloce. Per disciplinare il traffico
dei veicoli durante i mesi estivi è in
vigore una specifica ordinanza del Pre-
fetto che vieta lo sbarco sull'isola di
moto ed autoveicoli ai residenti in
Campania. Il porto d'Ischia è uno dei
più protetti, grazie alla sua insenatura
di lago vulcanico, ed opera principal-
mente come porto commerciale.
Il Porto di Ischia
Il porto di Ischia è costituito da un ba-
cino naturale circondato di colline,
formato dall'antico cratere di un vulca-
no. Nell'antichità era utilizzato per
l'allevamento di pesci, ma fu con i Bor-
bone, che divenne un porto: Ferdinan-
do II, innamoratosi del lago che poteva
ammirare dall'alto della sua villa co-
struita sul pendio, fece scavare un
canale fra due colline e creò un molo
curvilineo protetto, senza banchi-
36
Merito di Augusto e Tiberio fu la costru-
zione di numerose ville imperiali. Le
tre più importanti furono villa Jovis,
Damecuta e Palazzo a Mare. Quest'ulti-
ma,fu residenza ufficiale di Augusto,
preferita al nucleo residenziale di Tor-
re per la sua vicinanza all'approdo e la
sua collocazione all'ombra e in luogo
poco ventilato. Le notevoli dimensioni
delle nuove ville e l'aumento della po-
polazione comportarono la realizzazio-
ne di cisterne per l'approvvigionamento
idrico mediante la raccolta di acqua
piovana. Diverse soluzioni interessaro-
no le ville capresi, come quella di villa
Jovis, dove più cisterne vennero riunite
nel corpo centrale della villa.
Il Medioevo
Con la fine dell'epoca imperiale, Capri
ritornò a far parte dello Stato napole-
tano e iniziò a diventare il centro di
scorrerie e di saccheggi da parte di
pirati, ben motivati dalla posizione
dell'isola sulla rotta fra Agropoli ed il
Garigliano.Successivamente passa sotto
il dominio di Amalfi, per decisione
dell'imperatore Ludovico II, che deside-
rava premiare gli amalfitani per i servi-
gi offertigli nella lotta contro i saraceni
nella liberazione del vescovo di Napoli
Attanasio, imprigionato da Sergio duca
di Napoli nell'isola di Megaride, attuale
Castel dell'Ovo. La dipendenza di Capri
ad Amalfi, che aveva rapporti frequenti
con l'Oriente, è particolarmente evi-
dente nell'arte e nell'architettura, nelle
quali furono introdotti, sui saldi stilemi
classici, moduli bizantini ed islamica.
Dominio Spagnolo
Federico I di Napoli stabilì la parità tra
Capri ed Anacapri, riconoscendo a que-
sta le stesse franchigie ed immunità
dell'altra, separandone le amministra-
zioni e le rendite, atto confermato poi
dal Generale Consalvo di Cordova,,
primo viceré della dinastia spagnola di
Ferdinando il Cattolico. Come tutta la
penisola Sorrentino-amalfitana, l'isola
di Capri farà parte dell'antico e presti-
gioso Principato di Salerno. Solo la con-
quista da parte della Francia degli stati
barbareschi pose fine alla pirateria.
francesi qui rimasero fino alla fine del-
la potenza napoleonica e alla restaura-
zione borbonica, quando Ferdinando IV
di Napoli rientrò a Napoli e con il nome
di Ferdinando I, secondo le disposizioni
del congresso di Vienna, divenne sovra-
no del Regno delle Due Sicilie. Meta di
poeti, pittori e scrittori, Capri cominciò
a conoscere un nuovo sviluppo econo-
mico, che poté ovviare al decadimento
dell'agricoltura, frutto anche della cac-
ciata dei monaci dall'isola. Parallela-
mente, diminuì la produzione del vino
e quella della seta, poi scomparsa com-
pletamente insieme alla produzione del
corallo.
37
Un po’ di geografia
L'isola è, a differenza delle vicine
Ischia e Procida, di origine carsica.
Inizialmente era unita alla Penisola
Sorrentina, salvo essere successivamen-
te sommersa in parte dal mare e sepa-
rata quindi dalla terraferma, dove oggi
si trova lo stretto di Bocca Piccola.
Capri presenta una struttura morfologi-
ca complessa, con cime di media altez-
za (Monte Solaro 589 m e Monte Tiberio
334 m) e vasti altopiani interni, tra cui
il principale è quello detto di
"Anacapri".La costa è frastagliata con
numerose grotte e cale che si alternano
a ripide scogliere.
Le grotte, nascoste sotto le scogliere,
furono utilizzate in epoca romana come
ninfei delle sontuose ville che vennero
costruite qui durante l'Impero. La più
famosa è senza dubbio la Grotta Azzur-
ra, in cui magici effetti luminosi furono
descritti da moltissimi scrittori e poeti.
Caratteristici di Capri sono i celebri
Faraglioni, tre piccoli isolotti rocciosi a
poca distanza dalla riva che creano un
effetto scenografico e paesaggistico;
ad essi sono stati attribuiti anche dei
nomi per distinguerli: Stella per quello
attaccato alla terraferma, Faraglione di
Mezzo per quello frapposto agli altri
due e Faraglione di Fuori (o Scopolo)
per quello più lontano dall'isola[1].A
Capri non sono più presenti sorgenti
d'acqua potabile ed il rifornimento
idrico è garantito da condotte sottoma-
rine provenienti dalla penisola sorren-
tina. L'energia elettrica viene fornita
da una società privata in loco.
Il Clima
Il periodo in cui c'è il maggior afflusso
di turisti sull'Isola di Capri è in estate,
da giugno ad agosto. Ad agosto si regi-
stra il maggior numero di sbarchi gior-
nalieri: in media 20mila persone al
giorno. Un afflusso enorme per un'isola
piccola che a volte rende complicato
anche il solo passeggiare per le strette
stradine. La sera, quando i turisti gior-
nalieri ripartono, la situazione però
ritorna decisamente più tranquilla.
I mesi di aprile maggio, settembre e
ottobre sono sicuramente la scelta
migliore: il clima è più fresco, ci si può
comunque fare il bagno in mare e i
p r e z z i d e g l i h o t e l c a l a n o .
Durante i mesi invernali l'isola ritorna
ad essere un tranquillo paese di mare:
i turisti sono pochissimi e ci si può go-
dere un'isola quasi deserta, dal fascino
austero e selvaggio. A parte il freddo
(mai comunque eccessivo) e la proba-
bilità di trovare pioggia, l'inconvenien-
te è che la maggior parte degli hotel e
dei ristoranti sono chiusi. È possibile
comunque sempre trovare ospitalità
nei molti b&b dell'isola. Un ridotto
numero di ristoranti e bar, sia a Capri
che ad Anacapri, è in ogni caso sempre
38
na.Qui costruirono la chiesa di Santa
Maria di Portosalvo e ristrutturarono la
villa e il palazzo delle terme, ora sede
del municipio. Oggi è il primo approdo
con una breve banchina che offre una
vista sulle due lingue di terra che cin-
gono il mare rendendolo un lago dallo
splendido paesaggio ed un approdo
sicuro.
Turismo
Le isole dell'Arcipelago Campano sono
meta di migliaia di turisti all'anno. Spe-
cificatamente, l'Isola di Ischia, insieme
a quella di Capri, sono molto gettonate
da turisti non solo italiani, ma anche da
stranieri provenienti da ogni parte del
globo. L'isola è famosa per il suo mare
cristallino, per le note località balneari
e per i famosi negozi sul lungomare nel
comune di Ischia.
I Visitatori e ospiti sono sempre venuti
sull’Isola d'Ischia per godere i benefici
della sua ricchezza di acque termali.
Piacevole è anche la bellezza della
natura di quest'isola sempre verde e
l ’ o s p i t a l i t à d e g l i a b i t a n t i .
Nel corso degli anni l’Isola d’Ischia si è
adattata in maniera eccellente ai suoi
ospiti ed è turisticamente molto aper-
ta. Sull'Isola c'è un’ampia offerta di
possibilità di pernottamento in uno dei
numerosi hotel, in un residence, o in
un appartamento, con offerte vacanza
molto interessanti esono diverse sono
le proposte per il rilasso sia del corpo
(passeggiate, impianti sportivi, sport
acquatici, ecc.) che dello spirito (gite
culturali, gite geologiche, musei, con-
certi, nonché una molteplice offerta di
ristoranti, bar, cantine che viziano il
vostro palato. Inoltre c'è una ben este-
sa rete di trasporti pubblici che rende
possibile raggiungere tutti i punti dell'I-
sola anche senza auto,ma per chi è
disposto,vi è la possibilità di visitare le
isole vicine grazie ai frequenti collega-
m e n t i m a r i t t i m i .
L’antico mestiere della Pesca
L’isola è giustamente descritta come
un’ “isola di terra”, dove l’agricoltura,
molto più della pesca, ha rappresenta-
to per secoli la prima fonte di sostenta-
mento dei locali. Merito della fertilità
del suolo vulcanico che ha permesso a
tanti ischitani di sottrarsi alle insidie
ricorrenti dell’andar per mare. Que-
st’appunto però non autorizza a dire
che Ischia è priva di una propria tradi-
zione marinara. Anzi, le tracce del rap-
porto tra l’uomo e il mare, risalgono
qui addirittura al neolitico superiore,
quindi a circa 3500 anni fa. I pescatori
di Ischia sono ancora tanti. Molti quelli
della nuova generazione, giovanissimi o
adulti, energici ma anche confortati dai
nuovi ritrovati meccanici e tecnologici
per pescare con minore difficoltà. Poi
ci sono i vecchi - i grandi vecchi come
verrebbe la tentazione di dire – loro
39
sono quelli che hanno lavorato per de-
cenni in maniera eroica senza comodi-
tà, né stregonerie moderne. Ora non
escono più in mare, il mare lo conser-
vano negli occhi sempre pieni di luce e
nelle mani disastrate. Rimangono in
spiaggia o sui moli a riparare le reti, o
a creare arnesi per la pesca nelle loro
piccole botteghe di Ischia ponte, la
Mandra, Forio. La formazione del pe-
scatore è dunque un processo molto
lento che avviene con l’esperienza e la
guida di chi già possiede l’arte del me-
stiere. Un’attività, quella del pescato-
re, ricca di contenuti antropologici in
cui si fondono l’uomo, la sua storia ed
il suo rapporto con l’ambiente. L’ap-
prendimento del lavoro peschereccio è
dunque molto complesso, proprio per la
diversità in cui si esprime da luogo a
luogo; bisogna conoscere i fondali, le
specie, la loro biologia, l’oceanografia,
la meteorologia. È un lavoro che si
svolge nelle ore notturne, spesso all’a-
perto, esposti alle intemperie o al sole
cocente; insomma condizioni avverse,
che comportano uno sforzo fisico molto
elevato. È un mestiere usurante e ciò
appare evidente dallo stesso aspetto
fisico di chi esercita tale mestiere. La
formazione professionale di tali figure
è altresì legata alla conoscenza del
mare in cui operano gli equipaggi: nel-
la pesca non s’improvvisa nulla. Tutto
va costruito lentamente, con pazienza,
perché questa professione è anche un
"arte", e come tale è legata alla genia-
lità e all’intuizione di chi la esercita.
Le Spiagge
L’Isola d’Ischia è caratterizzata da
paesaggi di straordinaria bellezza e
nasconde un patrimonio naturalistico
immenso: 29 bacini, centinaia di sor-
genti di acqua termale e fumarole,
valli e colline, boschi e montagne, sco-
gliere e spiagge in sabbia fine e facile
da raggiungere alle calette in ciottoli
raggiungibili grazie a sentieri a picco
sul mare, quelle per la famiglia e quel-
le più giovanili.
La Spiaggia di Citara
Posizionata sul versante ovest dell’iso-
la, nel comune di Forio. Protetta a
sinistra dal grande promontorio di Pun-
ta Imperatore, è caratterizzata da una
bellissima flora mediterranea, da pian-
te balsamiche e da vegetazione tropi-
cale e sub-tropicale. La sabbia chiara e
morbida viene bagnata da un mare
cristallino di color turchese, ideale per
le famiglie e i bambini. Sono presenti
alcuni stabilimenti balneari oltre al
famosiss imo Giard ino termale
“Poseidon”, incastonato nella baia
dove sgorgano sorgenti di acqua terma-
le. Citara fu posta dai romani sotto la
protezione di Venere Citarea, di cui fu
40
trovata una statua di marmo bianco
(poi distrutta). Un panorama unico sul-
le isole pontine, soprattutto con Vento-
tene, e al tramonto i colori fanno della
baia un luogo paradisiaco.
La Spiaggia dei Maroniti
La baia dei Maronti è l’arenile più gran-
de dell’isola, lunga 3 km, riparata da
imponenti colline e dal promontorio di
Capo Grosso. È raggiungibile via mare
dal borgo di Sant’Angelo con dei carat-
teristici taxi boat o, volendo, dal ver-
sante opposto. Da Barano si percorre la
serie di tornanti disegnati a picco sul
mare fino ad arrivare sul livello del
mare dove ci sono parcheggi, ristoranti
e bar. La spiaggia si sabbia fine presen-
ta vari tratti, alcuni con stabilimenti
privati, altri liberi. Particolarità della
Baia dei Maronti sono queste aperture
nel costone roccioso dove si può risalire
fino alle cave. Queste insenature pre-
sentano sorgenti di acqua termale e
fumarole. La sorgente di Cava Scura è
stata ricavata dal tufo grazie al lavoro
dei romani, che venivano fin qui per
beneficiare delle cure termali. Verso il
borgo di Sant’Angelo troviamo la zona
chiamata delle “Fumarole”, dove ci si
diverte a cuocere pietanze sotto la
sabbia, oltre che beneficiare del culto
del benessere naturale con aerosol
termali.
La Spiaggia di Sant’Angelo
Antico borgo di pescatori ed oggi meta
charme del turismo ischitano. Un vero
gioiello con i suoi vicoli, la sua piazzet-
ta, le case arroccate e addossate le
une alle altre i loro balconi affacciati
sul porticciolo e su quella striscia di
terra che lega il borgo al particolare
isolotto, punta estrema di due baie:
quella dei Maronti e quella di Cava Gra-
do. Nei suoi dintorni e nel cuore del
borgo sono racchiuse abbondanti fonti
termali, che fanno della località uno
dei poli del termalismo ischitano. Posto
incantevole per una giornata al mare
sulla piccola spiaggia o sugli scogli
dell’isolotto.
La Baia di Sorgeto
Nel comune di Forio troviamo una baia
selvaggia ricca di benessere, unica al
mondo nel suo genere, dove è possibile
fare il bagno tutto l’anno: è Sorgeto,
dove madre natura ha donato un vero e
proprio parco termale all’aperto. Gra-
zie alle sorgenti di acqua termale che
sgorgano in mare tra le rocce e gli sco-
gli è possibile immergersi in una delle
conchette disegnate con i ciottoli, la-
sciandosi accarezzare dalla brezza ma-
rina e dal profumo della vegetazione.
La baia presenta un clima mite ed offre
uno spettacolo magico al tramonto. Tra
41
le varie esperienze gratuite che offe la
baia, vi consigliamo di provare il carat-
teristico bagno di notte: lasciatevi coc-
colare dal calore delle acque, dal ri-
flesso della luna sul mare e le stelle
che fanno di Sorgeto un luogo selvaggio
ma allo stesso tempo romantico.
La Spiaggia di San Montano
La spiaggia di San Montano è posiziona-
ta nell’omonima baia tra il comune di
Forio e quello di Lacco Ameno. Ha un
fascino tropicale, circondata dalla ve-
getazione di Monte Vico e Zaro, con la
sua forma a mezzaluna e i fondali bas-
si. Bisogna allontanarsi oltre i 40 metri
dalla riva per non toccare il fondale
con i piedi, a differenza delle altre
spiagge dove basta allontanarsi giusto
10 metri. Incastonato in questa baia
c’è il Parco Termale Negombo, con
varie piscine d’acqua termale, ristoran-
ti, bar e aree relax. Una vera e propria
oasi di benessere. La baia veniva utiliz-
zata, in passato, come porto naturale.
In questa zona i Greci, primi colonizza-
tori, vi costruirono la loro necropoli,
dove fu trovata in seguito la famosa
Coppa di Nestore.
La Spiaggia di Cava Dell’Isola
A pochi passi dalla Baia di Citara tro-
viamo la Spiaggia più amata dai giovani
ischitani e dai vacanzieri dallo spirito
libero. Baciata anche’essa dal sole
della costa occidentale dell’isola, si
raggiunge grazie ad una scalinata. E’
l’unico arenile libero, senza stabili-
menti, dell’intera isola. Un ambiente
informale e anche un po’ selvaggio,
forse per questo meta preferita dai
giovani. C’è uno spazio per il beach
volley, ma a riva si è praticamente
liberi di giocare a racchettoni e palla-
volo. Assolutamente poco adatta alle
famiglie con bambini proprio perché
molto affollata e caotica. Ci sono due
ristoranti-bar per qualche dolce sosta o
una bella mangiata in compagnia. Una
ripida discesa e qualche scalino per
accedervi, ma ne vale la pena. Anche
qui al tramonto, verso sera, potete
godere di uno spettacolo indescrivibile.
La Baia di Cartaromana
L’acqua termale che risale in superfi-
cie, piscine naturali dove rilassarsi
42
nell’acqua calda e un panorama unico
al mondo con vista sul Castello Arago-
nese. Cartaromana è la baia che vide
nascere Aenaria, cittadina romana, di
cui rimangono solo poche mura anti-
che. A circa 7-8 metri sul fondale del
mare furono ritrovate tracce di
quell’antica cittadina sommersa dal
mare. La Baia si trova ad est dell’isola,
nel comune di Ischia, borgo di Ischia
Ponte. Il sole la mattina sorge proprio
qui, facendo luce sul Castello e sugli
scogli di Sant’Anna dalle forme bizzar-
re. C’è qualche stabilimento e noi la
consigliamo alle coppie in cerca di un
luogo magico che riesca a rendere indi-
menticabile il loro viaggio.
La Scarrupata
La Scarrupata è la fascia costiera com-
presa da Punta San Pancrazio e Capo
Grosso, sul versante sud-est dell’isola.
La costa qui è molto alta e troviamo
questa lingua di spiaggia in ciottoli,
isolata e riservata. Un panorama indi-
menticabile, raggiungibile via mare o
tramite un sentiero per i più avventu-
rieri. Qui il tempo sembra si sia ferma-
to. Lasciate da parte i ritmi frenetici
della vita moderna e calatevi nel relax
unico che solo Ischia, con calette simile
alla Scarrupata, può regalarvi. Una
magia di colori dove la vegetazione e il
mare cristallino si fondono e creano un
angolo magico che difficilmente dimen-
ticherete.
La Spiaggia dei Pescatori
La Spiaggia dei Pescatori si trova stret-
ta tra Ischia Porto e il borgo di Ischia
Ponte. Si trova incastonata in un pae-
saggio d’altri tempi, con le case dei
pescatori a ridosso della spiaggia e il
Castello Aragonese con Procida e Viva-
ra alle spalle. Dalla parte opposta tro-
viamo una vecchia abitazione patrizia.
In alcuni periodi dell’anno ci si trova a
passeggiare tra le colorate barche dei
pescatori, con la brezza marina e il
profumo del pesce cucinato dai risto-
ranti. Una piccola spiaggia caratteristi-
ca che si distingue dalle altre anche
grazie alla sua posizione privilegiata.
La Spiaggia di San Francesco
La spiaggia di San Francesco si trova a
pochi chilometri dal porto di Forio;
facilmente raggiungibile sia in auto sia
con mezzi pubblici.Sul lato destro è
sormontata dallo spettacolare promon-
Macellum, San Lorenzo Maggiore
43
torio di Punta Caruso, meta per chi
ama gli scogli e un po’ di tranquilli-
tà.Questa spiaggia è adatta per chi
ama gli sport acquatici, gli impianti
turistici a mare e magari cenare in un
tipico ristorante isolano, illuminati solo
dalla luce del tramonto prima e dalla
luna dopo.
Le bellezze culturali
La Cattedrale dell’Assunta
Sotto la cattedrale dell'Assunta, sul
Castello Aragonese di Ischia, si sviluppa
una piccola cripta ipogea dedicata a
San Pietro. Essa è interessata da due
momenti di intervento: il primo coinci-
de con la sua fondazione, un ambiente
con una navata con due campate; il
secondo con la costruzione della nuova
Cattedrale sovrastante, la quale inglo-
bò un piccolo edificio duecentesco,
come si nota dallo sgretolamento di un
pilastro che mostra al suo interno una
colonna. Probabilmente, quando si
edificò la nuova Cattedrale, la chiesa
sottostante, divenutane succorpo, non
era in grado di sostenere parte di que-
sto nuovo edificio e per questo si rese-
ro necessari degli interventi di consoli-
damento. La cripta presenta al suo
interno due elementi che mostrano
come le sue strutture architettoniche
siano state piegate alle necessità
dell'edificio superiore: mi riferisco in
particolare all'introduzione di un pila-
stro sul lato sinistro, che crea una spor-
genza spezzando l'andamento simmetri-
co dell'ambiente, inserito poichè si
trova proprio in corrispondenza del
pilastro superiore; ed il riempimento
della volta della cappella di fondo, che
ne ha abbassato l'altezza (da una crepa
che si è aperta sul fronte di questo
riempimento rileviamo che l'andamen-
to originario dell'arco scende all'indie-
tro, quasi si trattasse di un catino absi-
dale).
Le Campane di Santa Restituta- Museo
e Scavi
Un particolare fascino ha sempre susci-
tato la vicenda delle campane di S.
Restituta, su cui molto ha lavorato la
fantasia popolare. dalla torre di Monte
Vico di Lacco partiva l'allarme e le
campane di S. Restituta fuse in quel
tempo suonavano a distesa".Allora in-
fatti questo era il più grande flagello
per gli isolani; molto probabilmente gli
assalti erano effettuati a partire dalla
primavera: di ciò abbiamo conservato
il ricordo in alcuni stornelli popolari
che vogliono indicare la fine delle inva-
sioni. Dopo aver assistito allo scempio
dei rapinatori e al trasporto delle cam-
pane sulle navi, i coloni dispersi sulle
colline vedono i pirati apprestarsi a
partire col prezioso carico. Il capitano
della galea dà ordine di salpare le an-
core; ma ecco che comincia a soffiare
un vento impetuoso, il mare si increspa
44
sempre di più, le onde diventano sem-
pre più alte e spumeggianti, la nave
ora si inabissa nei gorghi, ora è sospinta
in elevazione sull'acqua. Le campane
sono gettate in mare per alleggerire il
carico. Un solo pensiero in quanti erano
sulle colline, le andremo a ripescare. E
quando tornò il sereno, i lacchesi anda-
rono per ripescare le campane. Durante
la notte quelle campane in fondo al
mare dondolano a festa; e le anime
belle che si recano sulla riva e restano
in ascolto dicono che quei concerti
sono paradisiaci: sono le armonie della
verginità e del martirio.
Il complesso "Scavi e Museo Santa Resti-
tuta" in Lacco Ameno rappresenta il
tipico esempio di aree di scavo o di
zone archeologiche trasformate in enti-
tà museali autonome. Un museo, quin-
di, sotterraneo - zona archeologica
rinvenuta sotto la chiesa di S. Restituta
- dove il processo di musealizzazione è
avvenuto nel luogo stesso di rinveni-
mento. L'insieme, come si presenta
oggi, comprende due sezioni: una se-
zione Scavi e una sezione Museo. Gli
Scavi permettono al visitatore di ammi-
rare le tracce lasciate sul terreno
dall'uomo nell'intrecciato e stratificato
succedersi delle culture del passato. Il
Museo, essendo un museo archeologico
e, come tale, composto per lo più di
cocci, non di opere capaci di stupire a
prima vista, offre un panorama efficace
delle diverse culture e stabilisce un
rapporto stimolante con l'area scavi.
Torre di Guevara
La Torre di Michelangelo, conosciuta
anche con il nome di "Torre di Sant'An-
na" (per la presenza della chiesetta
dedicata alla santa), è una casa turrita
edificata nella Baia di Cartaromana. La
struttura è posta di fronte al Castello
Aragonese, a poca distanza dagli scogli
di Sant'Anna, importante sito archeolo-
gico che ricollega la storia della baia
all'antica colonia (oggi sommersa) di
Aenaria, florido insediamento romano
risalente ad un'epoca compresa tra il I
secolo a.C. e il IV secolo d.C., caratte-
rizzato, come provano i numerosi rinve-
nimenti, dalla presenza di fabbriche di
terrecotte e botteghe per la lavorazio-
ne dei metalli. Una leggenda racconta
che nel 1500 vi abbia soggiornato a più
riprese l'artista Michelangelo Buonarro-
ti, legato da una segreta relazione
amorosa alla castellana Vittoria Colon-
na, moglie di Francesco Ferrante d'Ava-
los. Tali informazioni, così come quelle
che attribuiscono all'artista alcune del-
le pitture presenti all'interno dell'edifi-
cio, non sono però suffragate da alcun
documento storico.
45
Il Castello Aragonese
Il Castello Aragonese è una fortificazio-
ne che sorge su un'isola tidale di roccia
trachitica posto sul versante orientale
dell'isola d'Ischia, collegato per mezzo
di un ponte in muratura lungo 220 m
all'antico Borgo di Celsa, oggi conosciu-
to come Ischia Ponte. L'isolotto su cui è
stato edificato il castello deriva da
un'eruzione sinattica avvenuta oltre
300.000 anni fa. Raggiunge un'altezza
di 113 metri sul livello del mare e rico-
pre una superficie di circa 56 000 m².
Geologicamente è una bolla di magma
che si è andata consolidando nel corso
di fenomeni eruttivi e viene definita
"cupola di ristagno".Al castello si acce-
de attraverso un traforo, scavato nella
roccia e voluto verso la metà del Quat-
trocento da Alfonso V d'Aragona. Prima
di allora l'accesso era possibile solo via
mare attraverso una scala situata sul
lato nord dell'isolotto. Il traforo è lungo
400 metri e il percorso è illuminato da
alti lucernari che al tempo fungevano
anche da "piombatoi" attraverso i quali
si lasciava cadere olio bollente, pietre
e altri materiali sugli eventuali nemici.
Il tratto successivo è una mulattiera
che si snoda in salita all'aperto e con-
duce fino alla sommità dell'isola. Da
questa strada si diramano sentieri mi-
nori che portano ai vari edifici e giardi-
ni. Dagli anni settanta del novecento è
anche in funzione un ascensore, il cui
percorso è ricavato nella roccia e che
raggiunge i 60 metri sul livello del ma-
re.
La Chiesa dell'Immacolata
La sua cupola domina l'intero castello e
offre una magnifica vista del borgo di
Ischia Ponte, anticamente chiamato
borgo di Celsa per la presenza di una
piantagione di gelsi nei terreni dei frati
Agostiniani. Essi avevano importato
sull'isola l'allevamento intensivo del
baco da seta (il cui nutrimento, il gel-
so, è appunto chiamato morus celsa).
L'attività s'interruppe di colpo nel
1809, quando Gioacchino Murat emanò
un decreto di soppressione degli ordini
religiosi per impossessarsi delle enormi
ricchezze che i religiosi avevano accu-
mulato nei secoli nel regno di Napoli.
La chiesa fu costruita al posto di una
precedente cappella dedicata a san
Francesco, per volere della badessa
46
Lanfreschi del convento delle Clarisse.
L'enorme impegno economico impedì
alle suore di portare a termine la co-
struzione e, nonostante fosse stata
venduta persino l'argenteria del con-
vento per far fronte alle spese, la fac-
ciata e gli interni della chiesa non sono
rifiniti e le pareti sono completamente
bianche. La pianta della chiesa è a cro-
ce greca con l'aggiunta di un presbite-
rio e di un pronao d'ingresso. Su un
tamburo circolare con 8 finestroni,
insiste l'imponente cupola che domina
l'intero complesso di edifici. Dopo il
restauro eseguito, la chiesa viene uti-
lizzata per mostre temporanee di pittu-
ra e scultura.
Il Convento delle Clarissa
Fu fondato nel 1575 da Beatrice Qua-
dra, vedova D'Avalos, che si insediò con
quaranta suore provenienti dal conven-
to di San Nicola che si trovava sul mon-
te Epomeo. Le suore provenivano da
famiglie nobili che le destinavano in
genere alla vita claustrale già dall'in-
fanzia per evitare la frammentazione
delle eredità. Il convento fu chiuso nel
1810 in seguito alla già citata legge di
secolarizzazione emanata da Murat.
Un'ala del convento oggi ospita un al-
bergo, le cui stanze sono le celle di un
tempo.
La Chiesa del Soccorso
La chiesa del Soccorso fu costruita nel
1791, rifatta nel 1864, ma il primo edi-
ficio risalirebbe al 1350, come riporta-
to in una relazione presentata dal prio-
re, datata 2 aprile 1650, conservata
nell'Archivio generale degli Agostiniani
Eremitani a Roma , dove si legge che il
convento fu eretto circa 300 anni pri-
ma. Infatti, la chiesa era un tempo un
convento di frati Eremitani, successiva-
mente abolito in virtù della bolla d'In-
nocenzo X. L'architettura è molto sem-
plice ma nello stesso tempo elegante.
La facciata è di colore bianco. Sul lato
sinistro si erge il piccolo campanile con
cuspide piramidale in stile gotico. Nella
chiesa sono visibili:
-Un antico crocifisso probabilmente del
1500 trovato in mare oggetto di parti-
colare devozione. Una leggenda popo-
lare (cfr. Vuoso, 2002, p. 107) racconta
che il Crocifisso ligneo fu portato nella
chiesa del Soccorso da marinai costretti
da una forte tempesta ad ancorare
nella baia sottostante la loro nave di-
retta in Sardegna. Quando il mare si
calmò, i marinai tornarono a riprendere
la scultura, ma non riuscirono ad uscire
dalla chiesa perché la porta scompari-
va. Dopo tre tentativi si arresero e la
lasciarono lì.
-Il Crocifisso del Soccorso si rivelò mi-
r a c o l o s o ;
47
- Un dipinto del 600 "S. Agostino con S.
Monica e S. Nicola da Tolentino" del
p i t t o r e C e s a r e C a l i s e ;
- A l c u n i d i p i n t i d e l 1 7 0 0 ;
- Un'acquasantiera in marmo con iscri-
zioni latine, greche e arabe;
- Pavimento decorato con fiori e stelle
d e l 1 7 0 0 ;
- Mattonelle maiolicate con motivi flo-
reali e soggetti religiosi del 1700 che
rivestono il parapetto del pianerottolo
e i muretti laterali della gradinata di
a c c e s s o a l l a c h i e s a ;
- Modellini di barche da pesca e velieri
di legno sistemati sull’architrave e sui
cornicioni della chiesa.
Il Palazzo Reale
L'edificio fu eretto nel 1735 per volere
del primo proprietario, il protomedico
Onofrio Buonocore, e diventò presto la
meta preferita di villeggiatura dei nobi-
li.Dopo la rivoluzione del 1799 il palaz-
zo venne acquistato dalla famiglia rea-
le Borbone. In particolare, Ferdinando
IV re di Napoli e delle Due Sicilie lo
utilizzò principalmente come base per
cacciare e pescare nell’antico Lago del
bagno. Sempre per volere di Ferdinan-
do II, il botanico di corte Giovanni Gus-
sone fece ricoprire la distesa di lava
lasciata dall’eruzione del cratere
dell’Arso con una bellissima e rigogliosa
pineta. Nell’ambito di questa operazio-
ne, Gussone incrementò inoltre il giar-
dino della casina reale, piantando
esemplari di platani, querce, lauri,
eucalipti, provenienti dall’Orto botani-
co di Napoli. L’architettura del giardi-
no, infine fu completata ed abbellita
da false grotte rivestite con schiuma
vulcanica e da un sapiente uso decora-
tivo degli agrumi. Con la caduta dei
Borbone la casina attraversò una fase
di declino, quando si pensò di trasfor-
marla in stabilimento termale riservato
al personale militare. Per un breve
periodo, dopo il terremoto che colpì
duramente il comune di Casamicciola
Terme sul versante nord dell’isola,
ospitò l’Osservatorio meteorologico e
geodinamico. Oggi è sede dello stabili-
mento balneotermale militare.
Il Fungo
Nella piccola e graziosa baia, antistan-
te il viale principale di Lacco Ameno,
uno dei più caratteristici Comuni dell'i-
sola d'Ischia, non si può fare a meno di
notare uno scoglio, cui l'acqua ed il
vento hanno conferito nel tempo la
forma di fungo. Staccatosi dal monte
Epomeo, questo enorme masso di tufo
verde, alto circa 10 metri, è ormai
divenuto uno dei simboli più conosciuti
dell' Isola. Secondo tradizione la roccia
indicherebbe il luogo dell'anneganemto
di due infelici innamorati, costretti
alla fuga da parenti e genitori contrari
al loro amore, oppure sarebbe un ma-
cigno scagliato in acqua da Mercurio
48
subito dopo che Giove aveva precipita-
to il titano Tifeo sotto il peso dell'Isola.
Tuttavia negli ultimi anni le condizioni
di questo monumento a cielo aperto
destano non poche preoccupazioni: la
continua erosione degli agenti atmosfe-
rici e i movimenti sismici hanno deter-
minato nel blocco una profonda frattu-
ra che favorisce la penetrazione
dell'acqua per assorbimento. Il masso
rischia quindi di frantumarsi e sparire
sul fondo, lasciando di sé solo le innu-
merevoli foto o riproduzioni di vario
genere che lo hanno ormai consegnato
all'eternità.
Il Museo del Mare
Il Museo del Mare dell'isola d'Ischia,
inaugurato alla fine del 1996, rappre-
senta il forte legame dell’isola con
l’ambiente marino. Esso è allestito
nell'antico palazzo dell'Orologio e con-
serva una raccolta di fotografie e car-
toline, tra le quali l’immagine della
prima automobile sbarcata sull’isola. Vi
sono conservate attrezzature nautiche
e antichi utensili da pesca: un in clino-
metro, un solcometro , un fanale di
via, cesti, retini, nasse di canna co-
struite dai pescatori negli anni '30 e
una tuta da palombaro del 1935. A que-
sti oggetti si aggiungono dei modellini
di nave, ex voto dei marinai ed urne
antiche. Caratteristica è la collezione
di francobolli provenienti da tutto il
mondo e raffiguranti elementi e mate-
riali legati al mare, come conchiglie,
pesci, coralli, dei modellini di nave, ex
voto dei marinai ed urne antiche.
5. Flora & Fauna
Una panoramica completa dei luoghi
più belli da visitare sull'isola d'Ischia, i
Parchi Termali come i giardini Poseidon
o il Negombo dove è possibile passare
dei momenti di tranquillità e relax. I
Giardini Botanici come La Mortella o I
Giardini Ravino che con la loro miriade
di piante e con gli eventi a tema rap-
presentano una tappa davvero imperdi-
bile.
I Giardini Poseidon
Il Parco Termale Giardini Poseidon sor-
ge nella baia di Citara, ed è composto
da 22 piscine termali curative già nota
49
ai Romani per le sue straordinarie ac-
que curative con temperatura costante
da 20° a 40°. Queste acque sono parti-
colarmente indicate per la cura di ma-
lattie ostioarticolari (come artriti, ar-
trosi, sciatalgie, sindrome cervicale,
ecc.), malattie reumatiche croniche,
postumi di traumi, paresi e malattie
dell'apparato respiratorio. Oltre ai ba-
gni termali all'interno del parco vi sono
una sauna naturale scavata nel tufo ed
il bagno giapponese, un percorso alter-
nato caldo (40°) - freddo (15°) dissemi-
nato di ciottoli sui quali camminare per
riattivare la circolazione degli arti infe-
riori e per donare al corpo un senso di
benessere generale. I Giardini termali
Poiseidon sono situati nel comune di
Forio, in località Citara, facilmente
raggiungibili sia in autobus che in auto-
mobile. Un'oasi di pace in un ambiente
con 60.000 mq di giardini ecologica-
mente intatto attende gli ospiti per una
ideale combinazione di cure e vacanze
di sogno al mare.
Il Parco Termale Negombo
In questo splendido scenario che copre
una superficie di circa 9 ettari di terre-
no, si snoda un percorso di 12 piscine
termali, a differenti temperature, par-
ticolarmente indicate nella cura delle
affezioni osteo-articolari.
Il Negombo si trova a Lacco Ameno,
nella baia più suggestiva dell'isola, la
b a i a d i S a n M o n t a n o .
Questa insenatura che è simile ad un'o-
strica, ha una sabbia finissima ed in
fondali molto bassi. Il parco, ideato dal
duca Camerini alla fine degli anni '40 si
caratterizza per la enorme varietà di
piante tropicali presenti che fanno da
contorno alle piscine ed alle attrezza-
t u r e t e r m a l i .
Oltre alle piante tropicali...ammirando
le rocce del promontorio si nota una
ricca vegetazione formata da lentischi,
ulivi, agavi e aloe, ginestre, tantissime
palme con un fusto altissimo, ficus...
davvero uno spettacolo favoloso.
All'interno è possibile ammirare uno
splendido monumento di Arnaldo Po-
modoro che rappresenta un'arco verde
nel cielo. Il Negombo, offre piscine
termali a diverse temperature, alcune
con idromassaggio, una sauna, una
vasca per massaggio plantare, una
spiaggia privata, un centro estetico ed
un centro benessere dove poter fare
tutta una serie di cure termali come
massaggi, fanghi, inalazioni, e tanto
altro ancora per il vostro benessere.
Completano la gamma dei servizi, un
ampio parcheggio esterno, un ristoran-
te, un self service, e dei bar sparsi in
tutto il parco.
Parco Termale Aphrodite Apollon
Incastonato nella deliziosa cittadina di
Sant'Angelo, un tempo pittoresco borgo
50
di pescatori ed oggi celebre per la sua
piazzetta e le sue stradine, il Parco
Termale Aphrodite Apollon è uno dei
gioielli più preziosi dell'isola d'Ischia.
Con le sue 12 piscine termali (con tem-
perature tra i 20° e i 40°), di cui una
coperta con idromassaggio, e due di
acqua di mare, a differenti temperatu-
re e continuamente alimentate per
preservarne gli effetti terpeutici, la
struttura offre agli ospiti un'oasi di
tranquillità e riposo, circondata da una
meravigliosa cornice di piante e fiori.
Un importante reparto termale acco-
glie un'originale sauna in una grotta
naturale, oltre che uno splendido Beau-
ty-center, in cui è possibile beneficiare
dei più innovativi trattamenti estetici.
Anche ai bambini è riservato un posto
speciale: sono a loro disposizione una
piscina eclusiva ed un angolo-giochi
completamente attrezzato per il loro
divertimento. In questo contesto così
speciale, non potevano di certo manca-
re un punto Snack e soprattutto un Bar-
Ristorante, dotato di una splendida
terrazza sul mare, in cui continuare a
rilassarsi, gustando squisite specialità e
sorseggiando bicchieri di ottimo vino.
Infine una spiaggetta privata, attrezza-
ta con angolo fitness e beach-volley,
completa questo angolo di paradiso. Vi
si può giungere a piedi, con una piace-
vole passeggiata di circa 10 minuti,
oppure con il servizio Taxi-Boat dal
delizioso porticciolo di Sant'Angelo, in
soli 5 minuti.
I Giardini La Mortella
Il Museo-giardino fu creato da Lady
Walton, comunemente conosciuto co-
me La Mortella. Il termine “mortella”
indica, nel dialetto napoletano, il
"mirto divino, una pianta che spunta
con grande abbondanza tra le rocce
della collina su cui si sviluppa il giardi-
no e che rivestiva notevole importanza
nella mitologia greco-romana, a volte
rappresentando la bellezza o la vergini-
tà, altre volte l'amore o la fortuna pa-
gana. La Mortella è composta da due
parti profondamente diverse: La Valle
caratterizzata da un clima subtropica-
le, umida e protetta dal vento, e la
Collina o giardino superiore, intera-
mente ideato e sviluppato da Lady Wal-
ton, con zone assolate e battute dal
vento e caratterizzate da vegetazione
proveniente dalle aree mediterranee.
Nel giardino superiore sono presenti la
sala Thai, circondata da fiori di loto,
bambù e aceri giapponesi, il tempio del
Sole, arricchito da bassorilievi di; la
cascata del Coccodrillo; il Ninfeo; il
Teatro greco e la roccia di William, un
masso trachitico posto su di un promon-
torio a circa 120 metri dal livello del
mare, dove sono custodite le ceneri
51
dell'artista. Il giardino si sviluppa su
un'area di circa 2 ettari e raccoglie più
di 3000 specie di piante esotiche e ra-
re. È inoltre arricchito da ruscelli e
laghetti, fontane, piscine, corsi d'acqua
che permettono la coltivazione di pian-
te acquatiche come papiro, fior di loto
e ninfee tropicali, mentre dai terrazza-
menti delineati sui muri a secco medi-
terranei è possibile godere di una delle
più suggestive viste della baia di Forio.
Sulla collina, poco distante dalla Serra
delle orchidee, è situato il museo, che
raccoglie i cimeli e i ricordi di Walton.
Sia il giardino che la casa-museo dove il
maestro componeva le sue opere sono
aperti al pubblico.
I Giardini Ravino
I “Giardini Ravino” sono sorti nel 2005
dal sogno di Giuseppe D'Ambra, maritti-
mo di lungo corso e grande appassiona-
to di piante succulente e palme, il qua-
le ritornava a Forio dai suoi lunghi viag-
gi intorno al mondo con borse piene di
talee e semi di piante rare. Il clima
mite e la fertilità del suolo dell'isola
d'Ischia, nonché l'esposizione sul ver-
sante occidentale della residenza del
capitano D’Ambra hanno favorito l’at-
tecchimento, lo sviluppo e la riprodu-
zione di questa flora esotica, che, ne-
gli anni, ha costituito una collezione
unica per numero, varietà e dimensio-
ne degli esemplari botanici. Un patri-
monio enorme che, con grande dedi-
zione e sacrificio, la famiglia D'Ambra
ha voluto rendere fruibile a tutti. I
fratelli Christoph e Luca D’Ambra, in-
fatti, forti di una passione ereditaria,
sotto la supervisione del loro padre, e
dopo attente valutazioni di sostenibili-
tà economica e ambientale, hanno
creato un parco botanico tropical-
mediterraneo. Estesa su di una superfi-
cie di 6000m2. L'offerta è costituita
dalla possibilità di passeggiare lungo un
percorso di 500 metri – fruibile anche
dai diversamente abili - che si snoda in
uno spazio costellato da piante esoti-
che. La collezione di succulente e cac-
tacee unica in Europa , frutto della
passione e di 40 anni di attenzioni di
Giuseppe D'Ambra, preserva rarità bo-
taniche d'eccezione ed è arricchita da
originali esposizioni di bonsai, d'arte e
di artigianato. Una realtà speciale per
appassionati ed intenditori, perfetta
52
per famiglie – pavoni, pony, caprette
passeggiano indisturbati - ed ideale per
chi sia alla ricerca di un luogo a dimen-
sione d'uomo che soddisfi curiosità in-
tellettuali ed esigenza di relax e svago.
Il Regno di Nettuno
"Pochi metri sotto la superficie del ma-
re sorge una foresta bianco-rosata.
Rami e tronchi, immobili come marmo-
ree merlature gotiche, si intersecano,
si confondono nel mobile silenzio tur-
chese. Grandi fiori bianchi palpitano al
passaggio di sciami lucciacanti di pesci
iridescenti, di pallide meduse, che sci-
volano come sogni nell'arboreo arabe-
sco di ombre e riflessi": così un anoni-
mo enciclopedista del secolo passato
celebrava con accenti inconsueti di
poeta l'affascinante spettacolo della
vita nei più segreti recessi del mare. il
già ricco mosaico sottomarino sulle
pareti delle grotte (a Punta Caru-
so,Punta S.Angelo e Punta S. Pancrazio)
e -nel caso dei coralli- oltre i 40 metri
di profondità, senza dimenticare lei,
stelle di mare dai processi riproduttivi
prodigiosi e spettacolari.
I Giardini Eden
La magica atmosfera beach club del
Giardino Eden nasce dall’armoniosa
fusione dei rinomati punti cardine ca-
ratteristici dell’Isola d’Ischia: natura,
storia e mare. Ai piedi della Torre di
Guevara (oggi museo e struttura poliva-
lente) ed al centro dell’antica baia
colonia di Aenaria (oggi sommersa),
florido insediamento romano del qua-
le si stima maggiore attività tra il I
secolo a.C. ed il IV secolo d.C. Il parco
è circondato da una lussureggiante
vegetazione tipicamente mediterranea,
dispone di quattro piscine (26°, 28°,
32° 35°) due di acque oligominerali e
due di acqua salata. Dotato di tutti i
comfort: spogliatoi e toilettes, lettini
prendisole, sdraio, ombrelloni e un
efficiente pool bar al servizio degli
ospiti. Oasi di benessere naturale, dai
profumi delicati e ammalianti, un vero
e proprio angolo di paradiso dove gode-
re della vera essenza del relax. Il lato
fronte mare del Giardino Eden gode
della vista panoramica più suggestiva di
Ischia: l’isolotto su cui si staglia il Ca-
stello Aragonese ed il suo ponte di
collegamento con l’antico borgo di
53
Ischia Ponte, gli scogli di Sant’Anna
(importante sito archeologico) e l’isola
di Capri. Caratteristica unica ed irripe-
tibile è il grande scoglio battente ban-
diera Eden attorno al quale sorge il
solarium sospeso sul mare, meta parti-
colarmente ambita per gli amanti della
tintarella e dotato di comode e sicure
discese in acqua per gli amanti dello
snorkeling.
Degustazioni tipiche dell’Isola
I Vini
L'isola d'Ischia è la patria di numerosi
vini D.O.C. ed è molto conosciuta da
appassionati e professionisti del settore
vinicolo.La produzione locale compren-
de sia vino bianco che rosso. Tra i bian-
chi evidenziamo la Forastera, il Bianco-
lella e l' Ischia Bianco doc, da abbinare
ai piatti a base di pesce.
I Liquori
Il Limoncello è uno speciale prodotto
ottenuto da limoni particolari appena
raccolti. Estratto dalla scorza di questi
limoni freschi ne conserva le qualità
organolettiche con un gusto agrodolce
e un armonia di aromi che lo rendono
un liquore dal sapore unico. Potrete
scegliere ffa vari gusti sia di liquori che
di creme, particolarmenti ricercarti
sono il famoso Rucolino, e alla Liquiri-
zia, da non trascurare il nuovo gusto al
cioccolata davvero unico nel suo gene-
re. Inoltre avrete una vasta scelta di
liquori e vini dei migliori produttori del
posto.
Gli Spaghetti con le Vongole
E' questo un altro dei piatti classici di
Napoli. La ricetta classica napoletana
non prevede l'uso del pomodoro (le
cosiddette "vongole in bianco") e di-
venta molto più gustosa utilizzando le
"vongole veraci", riconoscibili dalle
maggiori dimensioni e dalle caratteri-
stiche "corna". Sono in ogni caso ottimi
anche con le vongole comuni e perfino
con le "telline", le vongole piccolissi-
me. Al posto delle vongole si possono
usare le cozze.
Pasta e fagioli con le cozze
Anche la pasta e fagioli è uno dei piatti
tipici della cucina napoletana. Questa
variante ischitana prevede l'aggiunta
delle cozze, che danno un sapore par-
ticolare alla ricetta. Fondamentale (e
chiaramente derivato dalla cucina po-
polare di un tempo, che tendeva ad
evitare sprechi) e' l'uso della "pasta
54
mischiata", cioè di vari tipi di pasta che
potrà essere acquistata già pronta,
oppure utilizzando piccole quantità di
paste diverse (penne, rigatoni, bucati-
ni, fusilli ecc.) La ricetta classica napo-
letana prevede che la pasta cuocia
nell'acqua che si aggiungerà diretta-
mente nella pentola del sugo, in quan-
tità tale da poter essere completamen-
te assorbita al termine della cottura (la
minestra va mangiata asciutta e non
liquida).
G l i Gn oc ch i a l l a S o r re n t i na
Gli gnocchi possono essere conditi an-
che con del sugo di ragù (fatto con la
carne macinata), ma la ricetta classica
è questa. Si chiamano alla Sorrentina
perché l'ideale sarebbe utilizzare la
mozzarella di Sorrento (il "fiordilatte"),
fatta a treccia, che e' considerata la
migliore.
La Zingara
Il panino veloce tipico dell’isola di
Ischia è la zingara ischitana. Si tratta di
un panino che può essere consumato
specialmente d’estate, visto che non
richiede molto tempo per la sua prepa-
razione. Il segreto consiste nello sce-
gliere prodotti tipici del luogo: mozza-
rella campana, pomodori, prosciutto
crudo. A questi ingredienti ne possono
essere aggiunti altri, come la lattuga o
la maionese. La zingara ischitana è
ideale da consumare anche in spiaggia.
La Pizza
La pizza napoletana, dalla pasta morbi-
da e sottile ma dai bordi alti (detti
"cornicione"), è la versione partenopea
della pizza tonda ed inoltre, su scala
mondiale, è anche intesa come la pizza
italiana per antonomasia. Secondo la
tradizione nel giugno 1889, per onorare
la Regina d'Italia Margherita di Savoia,
il cuoco Raffaele Esposito creò la "Pizza
Margherita", una pizza condita con po-
modori, mozzarella e basilico, per rap-
presentare i colori della bandiera ita-
liana.
Babà
Il dolce celebre è il babà, un dolce di
pan di Spagna leggerissimo a forma di
fungo bagnato nel rhum e decorato
secondo i vostri gusti.
Divertimento Svago e Tempo Libero
L a F e s t a d i S a n t ’ A n n a
La festa di S.Anna è sicuramente l'e-
vento da non perdere se siete sull'isola
per le vostre vacanze. La Festa si svol-
ge di sera nella baia antistante il Ca-
stello Aragonese ad Ischia Ponte e con-
siste in una sfilata in mare di barche
allegoriche, in competizione tra di lo-
ro. Oltre alla sfilata tanta musica, i
fuochi pirotecnici e sopratutto, a mez-
zanotte l'incendio del Castello Aragone-
se.
55
La Festa di San Vito
La Festa di san Vito dura una settimana
e si celebra a Forioe e vengono cele-
brate Cerimonie religiose, luminarie e
fuochi d'artificio, che attirano gli abi-
tanti dell’isola e i turisti in vacanza
sull’isola. il Santo è portato in proces-
sione via mare con la commemorazione
dei caduti
Ischia Film Festival
Ischia Film Festival è un importante
evento cinematografico di livello inter-
nazionale che premia un film, cortome-
traggi, documentari, che hanno mag-
giormente valorizzato location italiane
ed internazionali. All'evento ogni anno
partecipano illustri personaggi del mon-
do del cinema e dello spettacolo, ita-
liani ed internazionali.
L’isola infine offre tante opportunità
per chi ama divertirsi. Il centro della
movida ischitana è sicuramente Ischia
Porto, mentre nelle altre zone potete
trascorrere serate più tranquille. Tanto
per cominciare per chi vuole stare in
mezzo a tanta gente, bisogna frequen-
tare la Zona della Riva Destra del Porto
di ischia. Qui ci sono tantissimi risto-
ranti, pub e bar e piccoli locali dove
poter ballare e bere qualcosa. Spostan-
doci dalla Riva Destra, potete percorre
Corso Vittoria Colonna, la zona dello
shopping dell’ isola, dove potete trova-
re anche alcuni pub e bar. Per gli
amanti della discoteca, da non perdere
una serata al Valentino, una delle di-
scoteche più alla moda dell’isola. Per
chi invece vuole fare una passeggiata
più tranquilla potete fare una passeg-
giata nella zona di Ischia Ponte ed arri-
vare al Castello Aragonese. Ioltre, per
concludere in bellezza la serata da non
perdere il famoso cornetto del Bar
Calise a Piazza degli Eroi, uno dei bar
più famosi e frequentati dell’isola per I
suoi gustosi cornetti.
56
Capri
Il nome deriverebbe dal greco kàpros
ossia “cinghiale” collegato al latino
capreae, “capre” (in antichità l'isola
era nota come Caprae.
Lo storico e geografo greco Strabone,
nella sua Geografia, riteneva che Capri
fosse stata un tempo unita alla terra-
ferma. Questa sua ipotesi è stata poi
confermata, recentemente, sia dall'a-
nalogia geologica che lega l'isola alla
penisola sorrentina sia da alcune sco-
perte archeologiche. Coesistono sull'i-
sola due realtà urbane, diverse tanto
per la naturale separazione geografica
quanto per tradizioni e origine etnica:
Capri e Anacapri.
Tale differenziazione si spiega con la
naturale vicinanza di Capri al mare: la
presenza del porto ha infatti agevolato
gli scambi commerciali e culturali con
il Regno di Napoli e determinato, di
conseguenza, un suo maggiore benesse-
re economico.Le due comunità erano in
eterno conflitto, impegnate a difende-
re ognuna i propri diritti, esasperate
dalla mancanza di vera autonomia che
le costrinse ad accettare, nel corso dei
secoli, le pressanti pretese degli ammi-
nistratori inviati dal continente come
controllori dell'economia locale.
Cenni storici
Epoca Preistorica
Le prime scoperte di epoca preistorica
si ebbero più di duemila anni fa, quan-
do, in epoca romana, dagli scavi per la
costruzione delle prime fabbriche im-
periali vennero alla luce resti di anima-
li scomparsi decine di migliaia di anni
prima e tracce di vita di uomini primiti-
vi dell'età della pietra. La vicenda è
documentata dallo storico Svetonio che
descrive l'interesse mostrato dall'impe-
ratore Augusto nel custodire resti di
vita primordiale ritrovati a Capri nella
sua casa, adibita quasi a primo museo
della storia di paleontologia e paletno-
logia. I racconti di Svetonio vennero
confermati dai lavori di scavo quando,
per un ampliamento dell'Hotel Quisisa-
na, all'inizio della Valle di Tragara,
sotto uno strato di materiale eruttivo e
un banco di argilla rossa del Quaterna-
rio, affondate in limo essiccato, deriva-
to da un antico bacino lacustre, venne-
ro alla luce ossa gigantesche di mammi-
feri estinti come i mammut. Fu il medi-
co e naturalista Ignazio Cerio a ricono-
57
scere e a conservare questi fossili insie-
me ad armi in pietra, quali quarzite
scheggiate e appuntite, triangolari o
amigdaloidi (a forma, cioè, di mandor-
la). Altre importanti scoperte sono sta-
te fatte nella grotta delle Felci, situata
sopra Marina Piccola, in località Le
Parate, a Petrara, in via Tiberio e via
Krupp, a Campitello e alla Grotta del
Pisco, tutti ritrovamenti che hanno
sottolineato la presenza di vita dalla
fine dell'età neolitica all’età del bron-
zo.
Epoca Greca
La colonizzazione greca di Capri e
dell'intera Campania affonda le sue
origini nella leggenda. Non fu un pro-
cesso omogeneo, come ben testimonia-
to dalla differenziazione dei culti e dei
racconti leggendari delle varie colonie:
Capri, Sorrento e, in generale, il ver-
sante orientale del Golfo di Napoli,
erano legati al culto delle sirene, men-
tre il versante occidentale, con Ischia,
dipendeva storicamente e religiosa-
mente da Cuma ed era fedele al culto
di Apollo oracolo. È Ulisse, l'eroe leg-
gendario dell'Odissea, l'emblema dei
coraggiosi marinai che, attraverso ri-
schiosi e lunghi viaggi, giunsero in Sici-
lia e nell’Italia meridionale, creando
così le prime comunità greche. L'opera
omerica non sembra pura invenzione
poetica, dal momento che pare essere
confermata anche dalla toponomasti-
ca.I Greci cominciarono a percorrere
tutto il Golfo di Napoli esi insediarono
inizialmente sull'isola di Ischia e, sulla
terraferma, a Cuma; solo più tardi
giunsero a Capri.
Epoca Romana
Il ruolo rivestito da Capri in epoca ro-
mana fu notevole. La svolta che segnò
la storia dell'isola fu nel 29 a.C., quan-
do Cesare Ottaviano, tornando dall'O-
riente, sbarcò a Capri dove, secondo il
racconto di Svetonio, una quercia vec-
chissima cominciò a dar segni di vita. Il
futuro Augusto, interpretando questo
come un segno favorevole, tolse Capri
dalla dipendenza di Napoli, dando in
cambio la più grande e fertile isola di
Ischia e facendola diventare dominio di
Roma. Fu così che la comunità greca
presente a Capri venne a contatto con
quella romana e l'isola iniziò la sua vita
imperiale, diventando il soggiorno pre-
diletto di Augusto e dimora di Tiberio
per dieci anni, centro quindi della vita
mediterranea di Roma. Oltre all'inte-
resse per la raccolta di fossili ed armi
preistoriche, ad Augusto si devono la
nuova cos t i tuz ione g iur id ico -
amministrativa dell'isola.
58
aperto. Il clima a Capri è mite ed è
temperato dal mare. I mesi più caldi
sono giugno, luglio e agosto (22 °-26 °
C) e coincidono con l'estate, mentre i
mesi invernali più freddi sono dicem-
bre, gennaio e febbraio (9 °-13 ° C).
Spesso in estate possono esserci veloci
temporali soprattutto in agosto.
Divisioni Amministrative
Il territorio dell'isola di Capri è suddivi-
so in due comuni: Capri abitata da 6684
abitanti e Anacapri abitata da 7052
abitanti.
Trasporti
A Napoli ci sono due moli da cui parto-
no i collegamenti per Capri: Molo Beve-
rello, da dove partono gli aliscafi e
Calata di Massa da dove partono i tra-
ghetti e le navi veloci che trasportono
anche i mezzi a motore. Aliscafi e tra-
ghetti per Capri partono anche dal por-
to di Sorrento, durante tutto l'anno.
D'estate sono attivi dei collegamenti da
e per Positano e Ischia. La traversata
da Napoli per Capri è di circa un'ora.
Come muoversi sull’isola:
-Funicolare: collega il centro di Capri
con il porto di Marina Grande. Le corse
partono ogni 15 minuti
-Autobus: Capri – Anacapri ;Capri - Ma-
rina Piccola;Capri - San Costanzo
(Marina Grande); Anacapri - Grotta
Azzurra; Anacapri - Faro
Il Porto di Capri
Il porto è il principale scalo marittimo
dell'isola di Capri ed è situato nella
frazione di Marina Grande, appartenen-
te al comune di Capri. Il porto è stato
costruito all'interno di un'insenatura
naturale, nella parte dell'isola che si
affaccia all'interno del golfo di Napoli,
riparata dai venti e dalle grosse onde.
Inoltre due banchine artificiali proteg-
gono l'interno del porto, che si divide in
due parti: da un lato la zona riservata
ad imbarcazioni turistiche e ai pesche-
recci, dall'altra invece quella dedicata
allo scalo passeggeri ed alla zona com-
merciale. Il porto si trova nella zona
nord dell'isola, a una certa distanza sia
dal centro di Capri che da quello di
Anacapri: vi è un'ottima rete di collega-
menti tramite autobus e taxi, anche se
la maggior parte dei turisti utilizza la
storica funicolare. Essendo Capri un'iso-
la, tutte le principali attività di colle-
gamento si svolgono grazie al porto e
per questo risulta essere uno dei più
attivi sia dal lato commerciale, soprat-
tutto per l'importazione di viveri, sia
dal lato passeggeri con un'utenza for-
mata da numerosi pendolari e turisti:
Capri è collegata con numerose località
della Campania come Napoli, Sorrento,
Castellammare di Stabia, Positano,
Amalfi, Salerno ed Ischia.
59
La vocazione turistica dell'isola azzurra
porta numerose navi da crociera a fare
scalo a Capri, ma solitamente, essendo
il porto di dimensioni ridotte, queste
attraccano al largo e viene fatto un
servizio di navette con la terraferma
tramite scialuppe.
Turismo
La fama turistica di Capri iniziò alla
metà dell'800, con la riscoperta dell'af-
fascinante Grotta Azzurra; divenne così
una meta immancabile nel Grand Tour
di scrittori ed artisti di fama interna-
zionale che descrissero gli effetti lumi-
nosi ed i giochi di luce cangianti all'in-
terno della grotta. La grotta marina più
famosa, legata all’Isola Azzurra da un
inscindibile binomio blu. Vi sono com-
plessi giochi di rifrazione della luce
velano di un riflesso azzurro irreale le
pareti e la volta; il fondale di sabbia
bianca riveste d’argento i corpi immer-
si per un’opalescenza dell’acqua. Forse
era luogo sacro nell’antichità, sicura-
mente ninfeo romano: ha restituito due
statue conservate oggi al Museo Nazio-
nale di Napoli. I pescatori la temevano
come Grotta Gradola infestata di spiri-
ti. La riscoperta nel 1826 con il nuovo
nome grazie agli artisti A. Kopisch ed
E. Fries e al pescatore “o Riccio” ha
iniziato l’era turistica. La Grotta Az-
zurra una è una piccola cavità natura-
le accessibile solo via mare, attraverso
delle piccole barche a remi, dove l’ac-
qua è di un azzurro così unico da sem-
brare irreale. La luce esterna penetra
all’interno della grotta creando dei
particolari giochi di colore che variano
a seconda delle diverse ore del giorno
e delle condizioni atmosferiche.
L’Antico Mestiere della Pesca del
Corallo
La pesca del corallo a Capri fu pratica-
ta fin dall'antichità anche se le crona-
che ne segnalano la sua intensità
estrattiva agli inizi del 1800.
Esistevano molti giacimenti intorno
all'isola. Il più importante si trovava
nelle “Bocche”, cioè in quel tratto di
mare compreso tra la punta di Tiberio
e quella della Campanella, a Vitareta a
poco più di 200 metri dalla costa, a
Gradola vicino la Grotta Azzurra, tra
Matermania e Punta del Secco, a 400
metri dai Faraglioni, a Punta Carena
vicino al Faro e alle Grotte a varie pro-
fondità. La regina Giovanna I d'Angiò
manifestò sempre grande simpatia per
i corallini, perché indossò gioie di co-
rallo per tutta la vita e fin da bambina
le sue piccole vesti erano decorate con
il prezioso elemento. Con la costruzio-
ne della Certosa di S.Giacomo voluta
dal conte Giacomo Arcucci, la regina
Giovanna II d'Angiò dotò il monastero
di molte rendite ed oltre all'esazione
60
della decima sul pesce pescato nel ma-
re pertinente la Certosa, concesse an-
che la decima sul corallo suscitando,
nel tempo, una sequela di rancori e
controversie tra il Clero, il Vescovado e
l'Università per il fatto che in alcune
annate i corallini versavano ai monaci,
sui diritti della pesca del corallo, mi-
g l i a i a d i d u c a t i .
I “banchi” presso la Maddalena in Sar-
degna e quelli nelle Bocche di Bonifa-
cio, furono un'altra grande risorsa per i
pescatori capresi alcuni dei quali, col
tempo, si stabilirono definitivamente
su quell'isola.
L’antico Mestiere della Ceramica
La grande tradizione delle ceramiche
artigianali. Un grande assortimento di
ceramiche artistiche tutte fatte a ma-
no. I colori e la varietà delle nostre
creazioni artigianali cattureranno il
vostro sguardo, piccoli oggetti che rac-
contano una grande storia.
Le Spiagge
La Spiaggia di Marina Piccola
Una delle spiagge di Capri più conosciu-
te è quella di Marina Piccola, raggiungi-
bile dalla Piazzetta di Capri in taxi, con
gli autobus e a piedi, attraverso la pa-
noramica Via Krupp. Dal centro storico
di Capri si possono raggiungere anche
le località balneari dei Faraglioni, gra-
zie a una piacevole passeggiata che
parte dal belvedere di Tragara e si sno-
da lungo il sentiero del Pizzolungo.La
baia di Marina Piccola è il posto giusto
dove dirigersi se cercate una spiaggia
con vista sui Faraglioni. Marina Piccola
si trova sul versante sud dell'isola, pro-
tetta alle spalle da una ripida parete di
roccia: per questo è un posto sempre
caldo e poco ventilato. E' un luogo dove
anche nelle giornate d'inverno più fred-
de è sempre piacevole stendersi a
prendere il sole, tant'è che molti ca-
presi hanno l'abitudine di fare il bagno
a Marina Piccola tutto l'anno.
La Spiaggia di Marina Grande
La Spiaggia Marina Grande è la spiaggia
più estesa dell'isola di Capri, arenile
pubblico della pittoresca Marina Gran-
de e d'estate anche punto d'imbarco
per il motoscafo che porta alla zona di
Palazzo a Mare. Si tratta di una bellissi-
ma spiaggia di sabbia chiara con della
ghiaia in piccoli tratti, caratterizzata
da un magnifico litorale ampio e lungo
centinaia di metri, circondato da alti
promontori rocciosi ricoperti di verdi
boschi. Il mare è bellissimo, di un tur-
chese brillante, cristallino e straordina-
riamente trasparente, ideale per nuo-
tare e fare il bagno. La spiaggia è ben
attrezzata con lettini, ombrelloni, pe-
dalò; nelle vicinanze ed alle spalle si
trovano bar, ristorantini e qualsivoglia
servizio.
61
La Spiaggia di Gradola
La Spiaggia di Gradola si trova nel co-
mune di Anacapri e deve il suo nome
alla vicina località omonima, sede di
fabbriche edilizie. E' situata non lonta-
no dal faro, incastonata in una delle
punte più estreme a nord ovest di Ca-
pri. Nelle sue vicinanze sono ancora
visibili le vestigia di punti di attracco
risalenti all'Impero Romano. La spiaggia
è divenuta famosa soprattutto perchè
si trova proprio a fianco della magnifi-
ca Grotta Azzurra. Si tratta di una
spiaggetta dalle dimensioni ridotte che
altri non è che una piccola piattaforma
circondata da rocce ed alte scogliere
rocciose. Lo spazio per sdraiarsi e pren-
dere il sole è molto ridotto, soprattutto
in alta stagione. Il mare è bellissimo, di
un blu intenso, cristallino e trasparen-
te, con fondali tra i più profondi della
costa. La spiaggia offre un caratteristi-
co baretto affacciato sul mare. E'rag-
giungibile facilmente da Anacapri in
autobus.
Lido Il Faro
Il Faro di Punta Carena troneggia all'e-
stremità sud-occidentale dell'isola di
Capri, sulla penisola del Limmo, nome
che deriva dal latino limen e significa
confine. Oltre c'è solo mare e mare
fino alla Sicilia. Alle sue spalle si alza il
dirupo della Migliera percorso dai muri
di difesa costruiti dagli inglesi all'inizio
dell'800 a protezione di Capri. Il faro,
costruito nel 1866, è tra i più impor-
tanti del Mar Tirreno e il secondo in
Italia per portata luminosa dopo quello
di Genova. A Punta Carena il fondale
declina molto rapidamente: a soli 500
metri dalla costa ne segna circa 600 di
profondità. Acqua sempre pulita e sole
per tutta la giornata: per questo il Faro
è una delle località balneari più getto-
nate dell'isola. Ci sono diverse struttu-
re balneari, disposte su comode terraz-
ze, con scalette in ferro per scendere
in acqua. È una località alla moda,
ideale per godersi una giornata al mare
e gustare una sfiziosa caponata sulle
terrazze degli snack bar, ma anche per
cenare a lume di candela sul mare,
perché alcuni locali restano aperti an-
che nelle serate estive.
Le bellezze culturali
Villa Iovis
Villa Iovis (dal latino Villa di Giove), è
situata sulla vetta del monte Tiberio,
62
che si trova nella parte orientale dell'i-
sola di Capri. Dalla sua villa, Tiberio
Claudio Nerone governò l'Impero per
oltre undici anni. Alcuni frammenti
storici riferiti alla personalità di Tiberio
citano questi come una persona molto
introversa e di poche parole. Pare che
trascorresse intere giornate nella più
profonda solitudine, rinunciando addi-
rittura alla presenza della scorta impe-
riale e abbandonandosi a passeggiate
solitarie lungo il belvedere della sua
villa che affaccia sui due golfi di Napoli
e Salerno. In base ad alcune informa-
zioni non ancora confermate, pare che
Tiberio, anche a causa dell'età avanza-
ta, soffrisse di crisi esistenziali e che
avesse un carattere isterico che lo spin-
geva a comportarsi in modo del tutto
anomalo. Altri storici riportano che
soffrisse di tubercolosi, ragione forse
del suo esilio a Capri. Per altri, l'esilio
a Capri aveva ragioni politiche, come
riporta Svetonio. Durante la sua perma-
nenza sull'isola di Capri, nonostante il
suo precario stato di salute, Tiberio
ordinò la costruzione di altri undici
palazzi intorno ad essa. Nella stagione
estiva si trasferiva sulla costa, tra le
costruzioni oggi note come "bagni di
Tiberio" o "palazzo a mare". In questo
suo quartiere marittimo, l'imperatore
amava fare il bagno. Gli architetti che
progettarono la sua villa per rendere il
soggiorno dell'imperatore confortevole,
si trovarono di fronte ad un grosso pro-
blema, ossia l'approvvigionamento idri-
co. L'acqua, se abbondava nei bassi
rilievi dell'isola, scarseggiava nei livelli
superiori. Pochi anni prima che l'impe-
ratore lasciasse la capitale dell'impero,
con un progetto del tutto ardito, fece-
ro costruire due o più cisterne di enor-
me portata disposte nelle fondamenta
della Villa stessa. Con la raccolta di
acqua piovana nelle cisterne della villa,
fu resa possibile l'erogazione di acqua
pura e potabile anche nei secoli succes-
sivi fino all'attuale centro storico.
Villa San Michele
Villa San Michele è un'abitazione sita
nel comune di Anacapri, nell'isola di
Capri. La villa prende il nome da una
piccola cappella che sorgeva in epoca
medioevale alla fine della Scala Fenicia
nel territorio appunto di Anacapri. Nel
1895 il medico svedese Axel Munthe si
innamorò delle rovine di un'antica cap-
pella, costituite da una volta sfondata
ed alcuni muri diroccati, e volle acqui-
63
starla a tutti i costi. Mentre eseguiva i
lavori di restauro rinvenne nel vigneto
adiacente il rudere la presenza dei
resti di un'antica villa romana; da que-
sti attinse per adornare la nuova villa
con numerosi reperti archeologici che
tuttora si possono osservare nella co-
struzione originale di Munte. Il medico
svedese tuttavia non abitò per molto
tempo Villa San Michele, poiché una
malattia agli occhi lo costrinse a ritirar-
si nella meno luminosa Torre Materita,
che pure fece restaurare. La villa quin-
di venne affittata alla marchesa Luisa
Casati Stampa che vi condusse per mol-
ti anni una vita stravagante e a volte
eccessiva. Alla sua morte, avvenuta a
Stoccolma, Munthe lasciò la villa in
eredità allo stato svedese. Oggi essa è
di proprietà di una fondazione svedese
che l'ha trasformata in museo dove tra
l'altro si svolgono, nel periodo estivo,
suggestivi concerti di musica classica
da camera.
La Certosa di San Giacomo
La certosa di San Giacomo è il mona-
stero più antico di Capri. Edificato nel
1371 per volere del conte Giacomo
Arcucci su un terreno donato dalla Re-
gina Giovanna I D'Angiò, la certosa ospi-
ta il museo dedicato al pittore tedesco
Karl Diefenbach. La struttura della Cer-
tosa fu edificata nel terzo quarto del
Trecento grazie agli auspici del conte
Giacomo Arcucci. L'impianto iniziale,
poi soggetto nei secoli a profondi cam-
biamenti, presentava la classica parti-
zione funzionale alla vita cenobitica:
un'area destinata alla clausura e l'altra
ai servizi, nel caratteristico stile tardo
romanico che accomuna gli edifici iso-
lani del periodo. i beni della certosa
furono confiscati, e di essa venne fatta
una caserma, poi un ospizio e poi un
soggiorno punitivo per militari e anar-
chici. Nella prima metà del Novecento
la certosa attraversò brevi momenti di
attività (ad esempio i canonici latera-
nensi vi avevano istituito un ginnasio)
per declinare durante la seconda guer-
ra mondiale verso un deplorevole disfa-
cimento con il conseguente allontana-
mento dei canonici. Diventò sede del
museo dedicato al pittore tedesco Karl
Wilhelm Diefenbach. Infine nel 2000
iniziarono le opere di restauro all'inte-
ra struttura a cura della Soprintenden-
za napoletana.
La Scala Fenicia
La scala Fenicia di Capri è una lunga e
ripida scalinata in pietra che unisce il
centro abitato di Capri con quello di
Anacapri. Fu probabilmente realizzata
dai coloni greci, mentre gli studiosi
ritengono ormai inverosimile l'ipotesi
fenicia.La strada ha rappresentato per
molti secoli, fino all'inaugurazione del-
la carrozzabile nel 1877, l'unica via di
accesso ad Anacapri, che si trova a
circa 300 metri sul livello del mare ed
64
è tuttora servita solo da un paio di ap-
prodi, entrambi assai disagevoli. La
scala consentiva di raggiungere Anaca-
pri a coloro che sbarcavano sull'isola in
prossimità del porto caprese della Mari-
na Grande. Essa veniva utilizzata anche
per il trasporto dei materiali edili uti-
lizzati per la costruzione delle abitazio-
ni anacapresi. La scala Fenicia ha potu-
to godere in tempi recenti di un eccel-
lente restauro ed è oggi inserita in tutti
gli itinerari paesaggistici dell'isola, an-
che perché termina in prossimità della
villa San Michele di Axel Munthe ad
Anacapri, anch'essa una tappa obbliga-
ta di tutti i tour organizzati sull'isola
azzurra. È composta attualmente da
921 scalini, per una lunghezza totale di
1,7 km.
La Chiesa della Croce
Chi percorre la strada per raggiungere
gli scavi archeologici di Villa Jovis non
può fare a meno di ammirare il profilo
della piccola Chiesa di San Michele alla
Croce (conosciuta come Chiesa della
Croce) circondata da un alto muro di
cinta e dalla flora mediterranea del suo
giardinetto. La chiesa si trova a pochi
passi dall'incrocio tra Via Tiberio e Via
Matermania, la strada che si percorre
per raggiungere l'Arco Naturale, e rima-
ne aperta solo in occasione delle fun-
zioni religiose. La Chiesa della Croce,
adibita anche a deposito di polvere da
sparo durante l'occupazione inglese
dell'Ottocento, risalente agli inizi del
XII secolo e presenta un portale decora-
to con lunetta tardo-gotica sormontato
da un campanile a vela. L'edificio non
può essere ricondotto ad un unico stile
architettonico a causa dei numerosi
interventi di restauro e ampliamento
che si sono susseguiti nel corso dei se-
coli.
La Chiesa di Sant’ Andrea
Uno delle costruzioni sacre più belle e
suggestive dell'isola di Capri può essere
ammirata vicino alla spiaggia di Marina
Piccola dove si trova la Chiesa di
Sant'Andrea, proprio dove un tempo
sorgeva un'antica torre di guardia. La
chiesa, realizzata su disegni del pittore
parmese Riccardo Fainardi, è stata
costruita nel 1900 per volere del ban-
chiere tedesco Hugo Andreas (già finan-
ziatore della Chiesa Evangelica) e di
sua moglie Emma che desideravano
donare ai marinai di Marina Piccola un
65
luogo di culto per il loro santo protet-
tore.Il pronao della Chiesa di Sant'An-
drea è sorretto da due colonne e la sala
è di forma rettangolare; l'absinte cen-
trale nasce proprio nel luogo in cui un
tempo si trovava la vecchia torre di
guardia contro le numerose incursuoni
saracene che terrorizzavano la popola-
zione locale. L'altare centrale è arric-
chito da un trittico di Riccardo Fainardi
che rappresenta il martirio sulla croce
di Sant'Andrea. In una delle due absinti
laterali, invece, si trova un altare dedi-
cato alla Madonna di Pompei e una
scala a chiocciola conduce nello spazio
dedicato all'organo.
La Chiesa di Santo Stefano
L’edificio, situato nelle immediate vici-
nanze della famosa piazzetta, fu pro-
gettato dall’architetto F.A. Picchiatti e
fu realizzata tra il 1688 e il 1697 dall’a-
malfitano Marziale Desiderio, esperto
costruttore di cupole e volte. La chiesa
fu poi consacrata soltanto nel 1723,
sotto il vescovo Michele Vandenejnde.
Essa si sovrappose alla chiesa vescovile,
edificata su una precedente struttura
religiosa nel 1596, quando il vescovado
era stato trasferito lì dalla sede di
S.Costanzo, a causa del pericolo costi-
tuito dalle frequenti incursioni dei tur-
chi. In quell’occasione furono portate
alla chiesa anche le reliquie di
S.Costanzo, patrono dell’isola. Già
dalla piazza, grazie alla buona angola-
zione prospettica della chiesa, è possi-
bile cogliere il riuscito collegamento
strutturale e architettonico tra la fac-
ciata seicentesca, la cupola centrale e
la scansione delle volte estradossate
delle cappelle laterali. La facciata è
barocca e i pinnacoli, le volute e gli
spicchi non si discostano dalla tradizio-
ne seicentesca, mentre le coperture
rappresentano un esemplare unico,
distaccandosi dalla ripetizione degli
schemi coevi. La pianta della chiesa è
a croce latina e all’interno l’edificio si
articola in 3 navate, con una cupola
all’incrocio della navata centrale col
transetto. Le due navate laterali pre-
sentano quattro cappelle quadrangolari
per lato. L’ingresso principale è carat-
terizzato da un portale ligneo risalente
al diciottesimo secolo. La vetrata sopra
il portale, riproducente Cristo Risor-
to ,e le vetrate sopra la navata centra-
le, che raffigurano i simboli dei sette
sacramenti, sono moderne e più preci-
samente risalgono al 1973. L’altare in
marmi policromi, al centro del presbi-
terio, fu eseguito nel diciassettesimo
secolo. La pavimentazione di esso e del
coro fu realizzata con marmi romani,
mettendo in opera tarsie di marmo
africano, giallo antico e saravezza,
66
recuperate durante gli scavi dei borbo-
ni. I gradini dell’altare, invece, sono
rivestiti da lastre di marmo, ricavate
dal fusto di antiche colonne romane. Vi
è poi un grande organo dorato, risalen-
te agli inizi del diciannovesimo secolo,
in alto dietro l’altare, mentre ai piedi
di esso vi sono tre pietre tombali, con
decorazioni in marmi policromi, dedi-
cate una al vescovo di Capri Francesco
Antonio Boccus, una a monsignor Sera-
fino Cimmino, un’altra al parroco di
Capri Giuseppe De Nardis. Su entrambi
i lati del presbiterio vi sono i corridoi
che conducono alla sagrestia. In quello
di sinistra, dove si trova la statua di
S.Costanzo, realizzata in argento e
ornata di zaffiri, granati e berilli, c’è
una scaletta a chiocciola che porta sui
tetti. L’altare al centro del transetto
sinistro, inoltre, contiene le reliquie
del patrono, raffigurato sulla tela so-
prastante di G. Farelli nell’atto di cac-
ciare i corsari. Infine, fra gli arredi
della chiesa, vi sono due antiche con-
solle dorate su cui è appoggiata una
rappresentazione del presepe e una
crocifissione entro teche in vetro.
I Faraglioni
I faraglioni di Capri, sono tre picchi
rocciosi posizionati a sud-est dell’isola
omonima, famosi in tutto il mondo gra-
zie alla suggestiva e storica panoramica
offerta dai giardini di Augusto. I fara-
glioni sono:
-Faraglione di Terra (o Saetta), che è
l’unico ancora unito alla terraferma, è
il più elevato con i suoi 109 metri.
-Faraglione di Mezzo (o Stella), è quello
in cui è presente la cavità al centro,
una galleria naturale lunga 60 metri
che lo attraversa per intero, raggiunge
un’altezza di 81 metri.
-Faraglione di Fuori (o Scopolo), cioè
promontorio sul mare, che raggiunge
un’altezza di 104 metri.
In realtà esiste anche un quarto fara-
glione, chiamato scoglio del Monacone
in quanto fino al secolo scorso nelle
acque antistanti si poteva ammirare la
foca monaca. Sui faraglioni possiamo
trovare la lucertola azzurra (Podarcis
siculus coeruleus), presente solo sul
faraglione di Mezzo e sul faraglione di
Fuori. Ha le squame del dorso di colore
blu, anziché verde, mentre il ventre è
di colore azzurro. I faraglioni furono
citati anche da Virgilio nell'Eneide nar-
rando il mito delle Sirene. Il nome deri-
va dal greco pharos, che vuol dire fa-
ro. Infatti, anticamente sui monti e
sulle rocce vicino alle coste, venivano
accesi dei grandi fuochi durante le ore
notturne, in modo da segnalare ai navi-
gatori sia la rotta che eventuali ostaco-
li pericolosi per la navigazione stessa.
Molto probabilmente i faraglioni ebbero
67
la stessa funzione. La galleria naturale,
che si apre nel faraglione di Mezzo, è
quella che identifica in modo inconfon-
dibile i faraglioni capresi, anche grazie
alle numerose pellicole cinematografi-
che qui realizzate.
5. Flora & Fauna
L'isola conserva numerose specie ani-
mali e vegetali, alcune endemiche e
rarissime, come la lucertola azzurra,
che vive su uno dei tre Faraglioni. La
vegetazione è tipicamente mediterra-
nea, con prevalenza di agavi, fichi d'In-
dia e ginestre.
I Giardini di Augusto
I giardini di Augusto, inizialmente noti
col nome di giardini di Krupp, furono
iniziati da Friedrich Alfred Krupp, l'in-
dustriale tedesco dell'acciaio che agli
inizi del XX secolo acquistò alcune pro-
prietà sull'isola, con l'intenzione , che
poi non si realizzò ,di costruirvi una
villa. Noti come giardini di Krupp, dopo
la prima guerra mondiale,furono rino-
minati giardini d'Augusto dall'ammini-
strazione comunale, in onore del primo
imperatore romano.Costituiscono un
vero giardino botanico che ospita vari
esemplari della flora dell'isola, con
piante ornamentali e non. Alle bellezze
botaniche, si associa un panorama mol-
to ampio sulle principali bellezze pae-
saggistiche dell'isola; da essi, infatti, to
si può ottenere una panoramica a 180
gradi dell'isola di Capri: infatti dagli
stessi è possibile vedere il monte Sola-
ro, la baia di Marina Piccola, via Krupp
ed i celebri faraglioni. Nei giardini è
inoltre presente un monumento in ono-
re di Lenin, vissuto a Capri. Il monu-
mento si compone di diversi blocchi di
marmo sovrapposti, che raggiungono
un'altezza di 5 metri; sul maggiore di
essi è scolpito il volto di Lenin. Il mo-
numento è stato realizzato dallo scul-
tore Giacomo Manzù, cui l'opera fu
commissionata dall'ambasciata sovieti-
ca a Roma dopo essere stata approvata
dal consiglio comunale.
La Grotta Verde
La grotta Verde, conosciuta antica-
mente come grotta dei Turchi, è una
cavità ubicata nel versante meridiona-
le dell'isola di Capri, in Campania, nota
soprattutto per il colore dell'acqua nel
suo interno che, a causa di particolari
giochi di luce, assume il colore verde.
La grotta Verde è conosciuta sin dal
XVI secolo, durante il quale l'isola fu
ripetutamente sottoposta ad attacchi
nemici; sono tristemente noti per aver
68
attaccato l'isola, per esempio, il pirata
Barbarossa, che distrusse l'omonimo
castello. Nel Cinquecento, molto pro-
babilmente, all'interno della cavità si
appostavano i corsari nemici con i loro
bastimenti per saccheggiare di sorpresa
le imbarcazioni che passavano. A causa
di questi eventi che ebbero luogo in
loco la cavità assunse inizialmente il
toponimo di grotta dei Turchi, poi so-
stituito da quello odierno. La grotta
divenne famosa soprattutto a partire
dal XIX secolo, durante il quale si diffu-
se l'abitudine di fare il giro in barca
dell'isola. La grotta Verde, insieme alla
grotta Azzurra e ai celebri Faraglioni,
diventò quindi un'attrazione dell'isola.
Degustazioni tipiche dell’Isola
Insalata Caprese
La caprese è un'insalata usata come
antipasto che talvolta può essere servi-
ta anche come secondo piatto. Tradi-
zionalmente rientra nei piatti della
cucina napoletana ed il nome di questo
fresco piatto deriva dall'isola di Capri.
È costituita da pomodoro, della varietà
detta fiascone originaria della penisola
sorrentina e treccia di fiordilatte, ta-
gliate a fette oppure, molto più rara-
mente, in una sorta di insalata a cubet-
ti, inoltre condita con olio, sale e basi-
lico. E’ un piatto tipico della tradizione
mediterranea, apprezzato e molto gu-
stoso è particolarmente adatto durante
la stagione estiva in quanto alimento
leggero e fresco.
I Ravioli
I ravioli, ripieni di caciotta e parmigia-
no e aromatizzati con la maggiorana,
sono il piatto tipico caprese per eccel-
lenza. Preparati in tutte le case seguo-
no antiche ricette tramandate da gene-
razioni. Ghiotto primo piatto per adulti
e bambini, i ravioli si possono condire
con sugo di pomodoro fresco o con bur-
ro fuso e salvia, o friggerli e servirli
come antipasto.
Totani e Patate
Il totano è un mollusco simile al cala-
maro ma con un gusto più forte, molto
69
comune nelle cucine capresi. Viene
pescato la notte nel mare di Capri, nei
mesi estivi infatti non si può fare a
meno di notare in lontananza le lampa-
re dei pescatori di totani
La Torta Caprese
La torta caprese uno dei simboli della
cucina isolana. Il nome infatti ne ri-
chiama inevitabilmente le radici una
torta di cioccolata e mandorle, croc-
cante fuori e morbida dentro, bassa e
molto carica di cioccolato fondente.
Divertimento Svago e Tempo Libero
Capri è un'isola da vivere anche di not-
te, quando il mare viene illuminato
dalla luce argentea della luna e le stra-
de si animano di colori, luci, musica e
danze. Anche di notte il centro della
vita mondana è la Piazzetta di Capri, il
salotto buono del mondo, dove tutti
vogliono sedersi tra i tavolini dei raffi-
nati bar per gustare un aperitivo con gli
amici. Antico e moderno si incontrano
e le note della classiche canzoni napo-
letane si mescolano con il ritmo degli
esclusivi night club e delle discoteche
più trendy come la rinomata “Anema e
Core”. Inoltre per gli amanti dello
shopping, vi è una vasta scelta di nego-
zi di alta moda, Via Camerelle, cono-
sciuta per essere la via locale degli
acquisti. Cari Turisti avete bisogno di
assoluto relax, la scelta migliore è al-
loggiare nel famosissimo Hotel Quisisa-
na, comfort e eleganza sono la via giu-
sta per trascorrere una fantastica va-
canza in quest’isola da sogno.
70
Procida
Isola nell’Antichità
Durante la dominazione romana, Proci-
da divenne sede di ville e di insedia-
menti sparsi sul territorio; sembra co-
munque che in questa epoca non esi-
stesse un vero e proprio centro abitato:
l'isola fu più probabilmente luogo di
villeggiatura dei patrizi romani e di
coltura della vite.
Medioevo
Dopo la caduta dell'Impero romano
d'Occidente, l'isola subì le devastazioni
dei Vandali e dei Goti; non cadde inve-
ce mai in mano longobarda, rimanendo
sempre sotto la giurisdizione del duca
bizantino di Napoli, nel territorio della
Contea di Misero. In quest'epoca l'isola
cominciava intanto a mutare radical-
mente la sua composizione demografi-
ca, divenendo luogo di rifugio per le
popolazioni in fuga dalle devastazioni
dovute all'invasione longobarda prima
e, in seguito, alle scorrerie dei pirati
saraceni. Con la conquista normanna
del meridione d'Italia, Procida speri-
mentò anche il dominio feudale; l'isola,
con annessa una parte di terraferma (il
Monte di Miseno, poi detto Monte di
Procida), venne assoggettata alla fami-
glia di origine salernitana dei Da Proci-
da.
Epoca Moderna
Con l’avvento dei Borbone nel Regno di
Napoli, si aveva intanto un ulteriore
miglioramento delle condizioni socio-
economiche dell'isola, dovuto anche
all'estinzione della feudalità per opera
di Carlo III, che inserì Procida tra i beni
allodiali della corona, facendone una
sua riserva di caccia. In questo periodo
la marineria procidana si avvia verso il
suo periodo di massimo splendore, ac-
costando a questa anche una fiorente
attività cantieristica.
Un po’ di geografia
L'isola di Procida ha una superficie di
71
3,7 km², è un comune italiano di
10.614 abitanti. Il perimetro, estrema-
mente frastagliato, misura circa
16 km ,isola del golfo di Napoli appar-
tenente al gruppo delle isole Flegree. L'
isola è completamente di origine vulca-
nica, nata dalle eruzioni di almeno
quattro diversi vulcani.
Il Clima
Il clima è mite; la temperatura media
invernale si mantiene sui 10°, quella
estiva intorno ai 25°. L’umidità relativa
è piuttosto alta durante tutto l'anno. In
generale si può affermare che il clima
dell’isola di Procida rispecchia nei suoi
aspetti quello di tipo mediterraneo,
caratterizzato da aridità estiva, piogge
concentrate in autunno-inverno e in
pochi temporali con precipitazioni tor-
renziali, mitezza delle temperature
invernali.
Turismo
L'isola si trova attualmente in un perio-
do di forti trasformazioni nella sua
struttura economica. La marineria,
sebbene in forte calo, rimane ancora
uno dei maggiori settori di occupazio-
ne, con persone di tutte le fasce di età
impiegate come ufficiali di coperta o di
macchine su navi mercantili delle mag-
giori compagnie marittime di tutto il
mondo, continuatori di una tradizione
secolare. Tuttavia negli ultimi anni, la
sempre maggiore automazione presen-
te in ambito meccanico, unita ad un
sempre maggiore utilizzo di lavoratori
di paesi emergenti nell'ambito del tra-
sporto marittimo, ha fatto sì che que-
sta fonte di reddito perdesse importan-
za relativa nell'isola. Accanto alla ma-
rineria, negli ultimi anni si è cercato di
favorire lo sviluppo dell'industria turi-
stica, sebbene in questo settore i risul-
tati, pure incoraggianti, siano stati
inferiori alle attese, soprattutto se
guardati sullo sfondo di vicine mete
turistiche quali Ischia, Capri o Sorren-
to. Ciò sicuramente non per la man-
canza di attrattive (in particolare stori-
che o naturalistiche), ma più probabil-
mente per l'assenza di una solida tradi-
zione imprenditoriale in tal senso, non-
ché per la forte carenza di strutture
ricettive.
Il Porto
Sotto la maestosa cittadella della Ter-
ra Murata si estende il porto principale
di Procida – la Marina Grande detto
anche la Marina di Sancio Cattolico
(Sent’Co in dialetto) - mostra a prima
vista, quando ci si è ancora sul traghet-
to, i gioielli dell’architettura procidana
che il visitatore potrà ammirare poi in
numerose variazioni nelle altre Marine
e nel centro storico: le case in pastello
che si fiancheggiano, il vefio (la tipica
72
loggia), le scale esterne, i terrazzi. La
Marina Grande è il centro sociale ed
economico di Procida - qui si trovano la
maggior parte dei negozietti, sedi di
associazioni, ristoranti e bar,ma non ha
perso il suo carattere di villaggio da
pescatori. Infatti, le imbarcazioni da
pesca, piccole e di commercio, fanno
da cornice coloratissima per la vivace
Via Roma, è qui anche dove si vende
ogni pomeriggio il pesce fresco diretta-
mente dalle barche.
Le Spiaggie
La Spiaggia di Chiaia
La Spiaggia della Chiaia, che in dialetto
napoletano significa "spiaggia", è situa-
ta sulla costa orientale dell'isola di
Procida, dopo la Marina della Corricel-
la. Si tratta di una suggestiva spiaggia
di sabbia dorata, circondata e sovrasta-
ta da pareti di tufo a picco sul mare e
dominata dal famoso castello di Proci-
da. Prospicente all'arenile si trova,
arrampicato sulle rocce, il borgo mari-
naro di Corricelle, da cui si scende alla
spiaggia grazie ad una lunga scalinata
in pietra. Il mare è molto bello, di un
azzurro brillante, cristallino e traspa-
rente, con fondali sabbiosi e digradan-
ti, ideale per fare il bagno. Sulla spiag-
gia affacciano anche le terrazze pano-
ramiche e i giardini dei palazzi signorili
lungo la Strada Maestra, che univa la
Terra Murata con la Chiaiolella, che
oggi fanno da impareggiabile sfondo a
questo incontaminato arenile.
La Spiaggia di Corricella
La Spiaggia di Corricella è situata sulla
costa nord orientale dell'isola di Proci-
da, accanto al pittoresco borgo marina-
ro omonimo, prima marina dell'isola. Si
tratta di una suggestiva spiaggetta di
sabbia dorata cui si accede tramite una
bella rampa di scale scavata nel tufo.
Alcune scogliere proteggono il litorale
sabbioso, permettendo il preservarsi di
questo incantevole angolo da cui si
gode di un grande scorcio sul promon-
torio di Terra Murata. Il mare è molto
bello, azzurro, cristallino e trasparen-
te, ideale per fare il bagno e nuotare.
Alle spalle della Corricella è possibile
individuare un alto costone circolare in
tufo, in origine il cratere di un vulcano
spentosi in epoca preistorica.
La Spiaggia della Chiaiolella
La Spiaggia di Chiaiolella è situata sulla
costa occidentale dell'isola di Procida,
a ridosso dell'antico borgo marinaro
73
omonimo, oggi terza marina dell'isola
nonchè principale centro turistico
dell'isola, attrezzato con stabilimenti
balneari, hotel, ristoranti ed un incan-
tevole porticciolo turistico. Si tratta di
una bellissima spiaggia di sabbia dorata
quasi rossiccia, dal grande fascino in-
contaminato e selvaggio, caratterizzata
da un lungo litorale orlato da aspre
scogliere rocciose verticali. Di fronte
alla riva si innalzano alcuni faraglioni
dalle forme acuminate, a rendere il
paesaggio ancor più primitivo ed unico.
Il mare è molto limpido, cristallino,
trasparente e con fondali sabbiosi,
ideale per fare il bagno. Parallelo alla
spiaggia corre il lungomare Cristoforo
Colombo, che offre qualsivoglia strut-
tura turistica e comodità.
La Spiaggia del Pozzo Vecchio
Piccola ed accogliente, la spiaggia del
“Pozzo Vecchio”, una baietta a forma
di ferro di cavallo, palcoscenico per le
famose scene del film “Il posti-
no” (infatti viene chiamata anche la
“spiaggia del postino”). Su tutte le
spiagge si alternano tratti liberi con
zone completamente attrezzate. Du-
rante la bella stagione si organizzano –
sempre nei ritmi lenti dell’isola, chi si
aspetta la freneticità di uno stabili-
mento mondano o animazione non -
stop sarà deluso – feste e tornei sporti-
vi per i grandi e dei laboratori e corsi
nuoto per bambini.
Le bellezze culturali
L’Abbazia di San Michele Arcangelo
L’Abbazia di San Michele, a picco sul
mare, domina il promontorio di Terra
Murata. Fu fondata dai benedettini è il
frutto di una stratificazione architetto-
nica che ne ha determinato l’asimme-
trica struttura attuale. Un portale, tre
cappelle e un soffitto a cassettoni in
legno e oro zecchino. Al centro del
soffitto una tela di Luigi Garzi, San
Michele Arcangelo scaccia Lucifero.
Nell’Abside una tela raffigurante San
Michele che protegge l’isola dai Sarace-
ni. Di grande pregio l’antico battistero
in marmo testimonianza di antichi cul-
ti, forse pagani. Interessanti le segrete
dove ha sede il complesso museale e la
biblioteca, le aree di sepoltura e il
luogo di riunione delle confraternite
dell’isola.
Il Palazzo D’Avalos Il castello, voluto da Innico D'Avalos, ha
il doppio carattere di palazzo signorile
e di fortezza: infatti la facciata rivolta
verso il mare conserva la natura princi-
pale di fortificazione, mentre il lato a
sud, aperto sulla nuova piazza d'armi,
risponde ad esigenze di rappresentanza
e rivela un aspetto armonioso e compo-
sto. Egli fece inoltre costruire intorno
alla cittadella mura bastionate per
74
Terra Murata
Il centro storico di Procida, è rappre-
sentato da Terra Murata, antica citta-
della medievale arroccata su un ripido
costone tufaceo all'altezza di circa 90
m e t r i s u l m a r e .
Terra Murata è raggiungibile solo attra-
verso un'irta salita, percorrendo la qua-
le, è possibile ammirare il suggestivo
borgo marinaro di Marina Corricella.
Per accedere alla cittadella medievale
di Terra Murata - terra cinta di mura -
vi sono degli antichi portali, rappresen-
tanti gli antichi punti d'ingresso: la
porta di Ferro e, salendo e oltrepassan-
do piazza delle Armi, la Porta di
M e z z ' O m o .
Strade, viottoli caratteristici, abitazio-
ni denotano la vita che un tempo ivi si
svolgeva: Terra Murata, infatti, fu il
primo nucleo abitativo dell'isola.
Degustazioni tipiche dell’Isola
I prodotti locali a base di limone
Il limone è un agrume originario dell'In-
dia settentrionale e, probabilmente, fu
introdotto in Italia durante l'epoca del-
le invasioni arabe (secolo IX-XI).
E' un frutto ricco di vitamine e sali mi-
nerali ed ha proprietà depurative e
b a t t e r i c i d e .
Il limone di Procida è molto particolare
rispetto agli altri: si presenta molto più
g r a n d e e d o l c e .
Questo fattore è sicuramente dovuto
all'ottimo clima dell'isola ed alla sa-
p i e n t e c u r a d e i c o n t a d i n i .
Le caratteristiche del limone procidano
rendono possibile la preparazione di
diverse pietanze che utilizzano le di-
difenderla dalle incursioni dei pirati
saraceni. Così la Terra Casata divenne
Terra murata. Nel 1744 il palazzo di-
venne bene allodiale della Corona e fu
trasformato da Castello in Palazzo Rea-
le da Carlo III di Borbone. Dopo il Pa-
lazzo Reale divenne Collegio Militare e
fu adibito a Bagno Penale da Ferdinan-
do II. Fu poi modificato per soddisfare
esigenze di miglioramento della vita
dei carcerati, costruendovi anche un
opificio. Nel dopoguerra fu adeguato a
carcere di massima sicurezza. E’ stato
chiuso definitivamente nel1988.
Il Casale Vascello
Il borgo Casale Vascello prende il nome
dalla tipica costruzione abitativa se-
centesca. E’ uno degli insediamenti
rurali fortificati meglio conservati
dell'isola, vi si accede soltanto attra-
verso stretti passaggi ed è contraddi-
stinto da un agglomerato di case addos-
sate le une alle altre per meglio difen-
dersi dalle incursioni saracene. Le cel-
lule abitative erano aperte verso la
corte interna, di solito a tre livelli con
coperture a volta dei vani, mentre
all'esterno vi erano poche aperture,
piccole e poste il alto.
75
verse parti del limone.
Il limone procidano si presta molto
bene alla produzione di deliziose e di-
vertenti idee culinarie
Il limoncello, liquore ai limoni di Proci-
da, preparato con le scorse dei limoni
infuse nell'alcool, nell'acqua e nello
zucchero;
La Crema al limone
liquore al limone pretarato con latte,
alcol e zucchero;
Le Granite
semplici e fresche bevande, sono pre-
parate con il succo dei limoni di Proci-
da e sono ideali per dissetarsi;
Insalata di Limoni
specialità dei ristoranti procidani abbi-
nata al pesce fresco: viene preparata
con l'albedo e la polpa dei grossi limoni
di Procida, conditi con olio, aglio, pe-
peroncino e foglioline di menta. La “Lingua di Suocera”
Perché il tipico dolce procidano è chia-
m a t o L i n g u a d i S u o c e r a ?
Si racconta che questo nome venne
dato da un procidano quando vide que-
s t o " l u n g h i s s i m o " d o l c e :
"È lungo come la lingua di mia suocera!"
Tutti gli astanti risero divertiti e da
allora il nome venne così assegnato:
lingue di suocera. Molti pasticcieri si
divertono a produrne di diversa lun-
ghezza,a seconda delle richeste dei
clienti.
La Lingua procidana La lingua di bue è
un dolce tipico dell'isola di Procida,
nell'arcipelago Campano, situata tra
Ischia e i Campi Flegrei. il dolce fu
recuperato negli anni 60 dal giornalista
Domenico Ambrosino, quando Procida
era frequentata da Elsa Morante e Al-
berto Moravia, che erano soliti assag-
giare questa delizia nei bar della Mari-
na Sent'Cò.
Divertimento Svago e Tempo Libero
Procida è un’isola di pescatori, un luo-
go tranquillo lontano dal frastuono del
turismo di massa, l’ideale per una va-
canza all’insegna del benessere. Occor-
re trascorrere qualche giorno in loco
per apprezzare le bellezze di questa
terra, per ammirare le meravigliose
case policrome, la ricca vegetazione,
l’architettura mediterranea spontanea
76
e le rocce costiere. La natura dei luo-
ghi ha fatto di lei una location ideale
per il film capolavoro di Massimo Troisi
“Il Postino“, con Philippe Noiret nei
panni del poeta Pablo Neruda. Ma Pro-
cida è ricordata anche in ambito lette-
rario per avere dato i natali ad Arturo
Gerace, protagonista de L’isola di Artu-
ro, romanzo con cui di Elsa Morante
vinse il Premio Strega nel 1957. Procida
è collegata alla vicina isola di Vivara,
un isolotto disabitato il cui territorio è
ricoperta completamente da macchia
mediterranea, grazie ad un sottile pon-
te.
77
78
Napoli è la città più ricca al mondo di
chiese, conventi ed edifici di culto.
Stiamo parlando di un patrimonio im-
menso accumulato nel corso di 17 seco-
li, un patrimonio che nel XVIII secolo
valse al capoluogo campano l’appellati-
vo di “città dalle 500 cupole”. Visitare
tutte le chiese della città vi sarà prati-
camente impossibile, ma sappiate che
ve ne sono alcune che non potete asso-
lutamente lasciarvi sfuggire. Eccone un
elenco di alcune delle più belle struttu-
re religiose presenti nel capoluogo par-
tenopeo , recensite e catalogate secon-
do la loro posizione geografica:
Chiesa di Santa Caterina a
Formiello
Il nome deriva dalla vicinanza degli
antichi "formali d'acqua"; l'acquedotto
attraverso il quale passava l'acqua pro-
veniente dalla sorgente della Bolla.
La chiesa fu fondata dalle famiglie Zur-
lo e Aprano. Nel 1451 la struttura ospi-
tò i frati dell'ordine dei Celestini
(fondato da Celestino V). L'edificio di
culto è una delle più importanti chiese
napoletane del rinascimento. I lavori,
iniziati nel 1505 su progetto dell'archi-
tetto Romolo Balsimelli, di Settignano,
presentano influenze stilistiche toscane
legate alle esperienze di Brunelleschi e
d i G i u l i a n o d a S a n g a l l o .
Il portale del secolo XVII è opera di
Francesco Antonio Picchiatti. Dal 1514
è il grande chiostro realizzato da Fio-
rentino Della Cava. Ulteriori interventi
furono realizzati in seguito secondo il
gusto barocco classicheggiante.
La volta, a botte, presenta tre riquadri
in cui sono raffigurati episodi della vita
di Santa Caterina, di mano di Luigi Gar-
zi che realizzò anche i peducci della
cupola terminata poi da Paolo De Mat-
t e i s n e l 1 7 1 2 .
La volta e le lunette del transetto furo-
no affrescate dal fiammingo Guglielmo
Borremans tra il 1708 ed il 1709 e raffi-
gurano San Domenico e la Vergine che
placano l'ira del Redentore. Ai lati figu-
rano la Madonna che appare a San Gio-
Le chiese e le guglie
79
vanni Evangelista e San Domenico che
a l l o n t a n a g l i i n f e d e l i .
Il sottostante Cappellone a destra
dell'altare è dedicato alla Vergine del
Rosario alla quale si attribuì la vittoria
della battaglia navale di Lepanto del
1571. L'altro Cappellone è dedicato a
San Domenico. La volta dell'abside pre-
senta il trionfo di Giuditta del Borre-
mans. Sull'acquasantiera, il tondo in
altorilievo, raffigurante la Vergine con
il Bambino è attribuita ad un allievo di
Annibale Caccavello (1540 circa).
Le Cappelle furono decorate, nel Sette-
cento, dal marmoraro Francesco Anto-
n i o G a n d o l f i .
Alle pareti si ammirano tele di Paolo De
Matteis, Santolo Cirillo, Paolo Tenaglia,
Giacomo Del Po e Luigi Garzi. Lo spazio
della crociera e del presbiterio è carat-
terizzato da lapidi e sepolcri della fa-
miglia Spinelli, eseguiti, nell'ultimo
quarto del Cinquecento, dagli scultori
napoletani Giovan Domenico e Girola-
mo D'Auria, Annibale e Salvatore Cac-
cavello e dal lombardo Silla Longo. Gli
stalli lignei del coro, intagliati con ric-
chi ornamenti manieristici, sono del
bresciano Benvenuto Tortelli (1566).
Sotto l'altare della quinta Cappella a
sinistra sono conservate le reliquie dei
beati martiri d'Otranto massacrati dai
turchi nel 1489.
Basilica santuario di Santa Maria del
Carmine maggiore
La basilica santuario del Carmine Mag-
giore è una delle più grandi basiliche
di Napoli. Risalente al XIII secolo, è
oggi un esempio unico del Barocco na-
poletano; si erge in piazza Carmine a
Napoli, in quella che un tempo formava
un tutt'uno con la piazza del Mercato,
teatro dei più importanti avvenimenti
della storia napoletana. Il popolo napo-
letano ha l'abitudine di usare l'esclama-
zione "Mamma d'o Carmene", proprio
per indicare lo stretto legame con la
Madonna Bruna.
La tradizione racconta che alcuni mo-
naci, fuggendo la persecuzione
dei saraceni in Palestina, venendo in
Napoli, portarono un'immagine del-
la Madonna da essi venerata sul monte
Carmelo, culla del loro ordine. Vi era in
Napoli, presso la marina fuori la città,
una piccola cappella dedicata a san
Nicola che fu concessa ai monaci, che
da allora vi si insediarono e collocarono
l'immagine della Madonna in un luogo
detto "la grotticella".
80
Ma il primo documento storico della
presenza dei carmelitani a Napoli si ha
nel 1268, quando i cronisti del tempo
descrivono il luogo del supplizio diCor-
radino di Svevia nella piazza antistante
la chiesa di Santa Maria del Carmine.
In realtà, l'Icona della Vergine Bru-
na (per il colore della pelle) sembra
opera di scuola toscana del XIII secolo.
È una tavola rettangolare, alta un me-
tro e larga 80 centimetri. L'immagine è
del tipo detto "della tenerezza", in cui i
volti della Madre e del Figlio sono acco-
stati in espressione di dolce intimità
(modello bizantino della Madonna Gly-
kophilousa). Come in ogni icona ne
possiamo leggere un messaggio:
Il miracolo del crocifisso è legato alla
lotta, nel secolo XV, tra gli Angioini e
gli Aragonesi, per il dominio di Napoli.
Già dominava in Napoli Renato d'Angiò,
il quale aveva collocato le sue artiglie-
rie sul campanile del Carmine, trasfor-
mandolo in vera fortezza, quan-
do Alfonso V d'Aragona assediò la città,
ponendo l'accampamento sulle rive del
Sebeto, nelle vicinanze dell'attuale
borgo Loreto.
Secondo la tradizione il 17 otto-
bre 1439, l'infante Pietro di Casti-
glia fece dar fuoco a una gros-
sa Bombarda detta la Messinese, la cui
grossissima palla, (ancora conservata
nella cripta della chiesa), sfondò l'absi-
de della chiesa e andò in direzione del
capo del crocifisso che, per evitare il
colpo, abbassò la testa sulla spalla de-
stra, senza subire alcuna frattura. Il
giorno seguente, mentre l'infante Pie-
tro dava di nuovo ordine di azionare la
Messinese, un colpo partito dal campa-
nile, dalla bombarda chiamata la Paz-
za, gli troncò il capo.
Re Alfonso tolse allora l'assedio, ma
quando, ritornato all'assalto nel 1442, il
2 giugno entrò trionfalmente in città, il
suo primo pensiero fu di recarsi al Car-
mine per venerare il crocifisso e, per
riparare l'atto insano del defunto fra-
tello, fece costruire un sontuoso taber-
nacolo. Questo però, compiuto dopo la
morte del re, accolse la miracolosa
immagine il 26 dicembre del 1459. Da
allora, l'immagine viene svelata il 26
dicembre di ogni anno e resta visibile
al gran concorso di fedeli per otto gior-
ni, fino al 2 gennaio. La stessa cerimo-
nia si ripete nel primo sabato di quare-
sima per ricordare l'avvenimento
del 1676, in cui Napoli fu risparmiata
da una terribile tempesta, sedata se-
condo la leggenda popolare dall'inter-
cessione del crocifisso svelato in via
eccezionale per l'occasione nefasta.
81
Nel 1766 fu alquanto modificato e in-
nalzato così come ancora oggi lo si am-
mira.
Nel 1500 in occasione dell'Anno San-
to la confraternita dei Cuoiai portò
a Roma in processione il crocifisso (che
si trova ancora nel transetto laterale) e
la Madonna Bruna. Numerosi miracoli si
verificarono nel corso del pellegrinag-
gio; l'immagine rimase per tre giorni
nella basilica di San Pietro in Vaticano,
durante i quali, sparsasi la fama dei
suoi prodigi in Roma, tutti i fedeli furo-
no attirati ad essa, tanto che il papa
Alessandro VI, temendo che il fervore
dei fedeli si attenuasse nella visita del-
le basiliche, ne ordinò il rientro a Na-
poli. L'icona della Madonna che prima
del pellegrinaggio era in un luogo detto
"la grotticella" fu spostata sull'altare
maggiore e successivamente posta in
una cona di marmo, con figure di pro-
feti, opera attribuita ai fratelli Malvito
che operarono a Napoli tra il 1498 ed
il 1524.
Dopo eventi così sorprendenti, Federico
d'Aragona, il quale reggeva la città di
Napoli, ordinò che per il 24 giugno,
giorno di mercoledì, tutti i malati del
regno si portassero al Carmine per im-
plorare dal cielo, la sospirata salute.
Infatti, nel giorno stabilito, alla presen-
za dei sovrani e del popolo, durante la
consacrazione, un raggio di vivissima
luce si posava contemporaneamente
sull'Icona della Bruna e sopra gli infer-
mi, i quali in un istante furono guariti o
videro alleviati i loro mali.
Da allora si scelse il mercoledì come
giorno da dedicare tutto alla Madonna
Bruna, e ancora oggi, dopo 500 anni,
numerosi fedeli vengono in pellegrinag-
gio da ogni parte della città e della
provincia, per deporre ai piedi del-
la Mamma d'o Carmene un fiore, una
preghiera, un ringraziamento.
Filippo IV di Spagna, mandò come vice-
ré a Napoli il Duca d'Arcos, il quale
volendo trarre sempre più somme di
denaro per la Spagna, imponeva alla
città tra le altre gabelle, quella sulla
frutta. Il 7 luglio 1647, mentre si pre-
paravano i festeggiamenti per la Ma-
donna del Carmine, il popolo napoleta-
no, capeggiato da Masaniello (che a sua
volta era politicamente manovrato
da Don Giulio Genoino), insorse contro
il viceré chiedendo l'abolizione delle
gabelle, incendiando case, facendo
vittime e distruggendo ogni cosa che
appartenesse ai nobili, nemici del po-
polo. Gl i storici del l 'Ottocen-
82
to dipingono questa rivoluzione come
antispagnola e antimonarchica, ma
studi recenti ne dimostrano l'incon-
gruenza, a partire dal grido con cui fu
sollevato il popolo: «Viva il re di Spa-
gna, mora il malgoverno». Intanto la
chiesa e il convento divennero luogo di
comizi popolari, per cui si stipulavano
negoziati tra popolo e viceré.
Giovedì 11 luglio, Masaniello cavalcò
con il Cardinale Filomarino ed il nuo-
vo eletto del popolo Francesco Antonio
Arpaia, tra le acclamazioni ed i festeg-
giamenti dei popolani fino a Palazzo
Reale, per incontrare il viceré. Alla
presenza del duca d'Arcos, a causa di
un improvviso malore, perse i sensi e
svenne iniziando a manifestare i primi
sintomi di quell'instabilità mentale che
gli procurò poi l'accusa di pazzia. Du-
rante l'incontro, dopo un infruttuoso
tentativo di corruzione, il pescatore fu
nominato "capitano generale del fede-
lissimo popolo napoletano".
Il 16 luglio, giorno della festa del-
la Madonna del Carmine, dalla finestra
di casa sua, cercò inutilmente di difen-
dersi dalle accuse di pazzia e tradimen-
to che provenivano dalla strada. Sen-
tendosi braccato cercò rifugio nella
chiesa del Carmine, e qui, interrom-
pendo la celebrazione della messa, si
spogliò nudo e iniziò il suo ultimo di-
scorso al popolo napoletano. I frati lo
invitarono a porre fine a quel gesto
poco edificante, ed egli obbedì, met-
tendosi a passeggiare nel corridoio
principale del convento. Là lo raggiun-
sero alcune persone armate, che prima
gli tirarono quattro colpi di archibugio,
togliendogli la vita, e poi lo decapitaro-
no. La testa mostrata al viceré fu por-
tata in giro per la città mentre il corpo
fu buttato in un fosso fuori la porta del
Carmine. Non erano passate ventiquat-
tr'ore che subito si videro i frutti
dell'uccisione di Masaniello: il peso del
pane diminuito e le gabelle rimesse in
vigore. Il popolo si rese subito conto
dell'errore e così ne raccolse il cadave-
re lavandolo nelle acque del Sebeto, la
testa fu ricongiunta al corpo e subito
portato in processione, il corpo fu se-
polto all'interno della chiesa del Carmi-
ne. Alle tre del mattino, finita la pro-
cessione, fu data sepoltura al feretro
nella chiesa del Carmine, dove i resti di
Masaniello rimasero fino al 1799. In
quell'anno, dopo aver represso la con-
giura giacobina per la Repubblica Napo-
letana, Ferdinando IV di Borbone ne
ordinò la rimozione al fine di evitarne
l'idolatria popolare.
Fino agli anni sessanta del secolo scor-
83
so, nemmeno una parola ricordava i
luoghi che videro l'uccisione e la sepol-
tura di Masaniello: fu così che i carme-
litani decisero di tramandare ai posteri
il ricordo di quegli eventi con due lapi-
di, una nel convento dei frati, l'altra in
chiesa nel luogo della sepoltura.
Duomo di Napoli
La Cattedrale di Napoli (o Duomo di
Napoli), dedicata a Santa Maria Assun-
ta, è la sede dell'arcidiocesi di Napoli,
nonché una delle più importanti e gran-
di chiese della città.
Il Duomo sorge lungo il lato est del-
la via omonima, in una piazzetta con-
tornata da portici. Essa ospita il batti-
s t e ro p i ù an t i co d ' O cc iden -
te (il battistero di San Giovanni in Fon-
te[1]) e tre volte l'anno accoglie il rito
dello scioglimento del sangue di san
Gennaro.
Secondo la Cronaca di Partenope, risa-
lente al XIV secolo, qui sorse l'oratorio
di Santa Maria del Principio, do-
ve Aspreno, il primo vescovo della cit-
tà, decise di insediare l'episcopato di
Napoli. A partire dal IV secolo nacquero
diversi edifici di culto nell'insula epi-
scopale e tra queste si ricordano
la basilica di Santa Restituta,
il battistero di San Giovanni in Fonte e
diverse cappelle annesse come quelle
di San Lorenzo, Sant'Andrea e Santo
Stefano.
Nel XIII secolo fu iniziata la costruzione
dell'edificio sacro inglobando le prece-
denti strutture paleocristiane del batti-
stero e della primitiva basilica. La co-
struzione della cattedrale comportò
anche la demolizione di altre strutture,
come la basilica Stefania, voluta
dall'arcivescovo Stefano I (fine del V
secolo - inizi del VI) e rimaneggiata
dopo un incendio dall'arcivescovo Ste-
fano II (seconda metà dell'VIII secolo),
il cui quadriportico è visibile
nel Palazzo arcivescovile. La struttura
era stata decorata con mosaici e panni
dipinti, collocati negli intercolumini
delle navate dall'arcivescovo Attanasio
I (849-872).
Per la progettazione e la costruzione
della nuova chiesa, per volontà del
re Carlo II di Napoli e d'intesa con l'ar-
civescovo Giacomo da Viterbo, che
aveva sollecitato al sovrano tale opera,
vennero chiamati architetti di estrazio-
ne francese. La seconda parte del can-
tiere fu eseguita da maestranze locali o
italiane: le fonti indicano Masuccio
I, Giovanni Pisano e Nicola Pisano. La
cattedrale fu completata nel 1313 e
nel 1314 fu solennemente dedicata
all’Assunta, ad opera dell’allora arcive-
scovo Umberto d’Ormonte. Durante il
terremoto del 1349 crollarono
84
il campanilee la facciata, che venne
ricostruita agli inizi del XV secolo in
stile gotico. A metà del secolo, un altro
terremoto danneggiò gravemente la
cattedrale, facendo crollare alcune
parti della navata, che in seguito fu
però ricostruita.
Tra il 1497 e il 1508 fu realizzata co-
me cripta la cappella del Succorpo, con
decorazioni di Tommaso Malvito. In
seguito al voto fatto dai partenopei al
s an t o du ran te l a pes t i l en z a
del 1526, Francesco Grimaldi innalzò,
di fronte alla basilica di Santa Restitu-
ta, la Reale cappella del tesoro di San
Genna ro. Ne l 1621 i l t e t t o
a capriate venne coperto da
un cassettonato in legno. Il 28 aprile
1644 la dedica all'Assunta fu conferma-
ta nella consacrazione della chiesa
avvenuta ad opera del Cardina-
le Ascanio Filomarino, arcivescovo
dell'epoca.
Nel 1688 e nel 1732 furono ricostruite
le parti più danneggiate dai terremoti e
nella seconda metà delSeicento, si eb-
bero gli interventi barocchi nelle cap-
pelle, arricchite da decorazioni marmo-
ree e in stucco. Nel 1732 vennero rico-
struiti l'abside e i transetti.
Nel 1788, un ulteriore restauro apportò
modifiche alla navata, trasformata
secondo un revival gotico con influssi
settecenteschi. Per esigenze estetiche
fu quindi bandito un concorso per la
facciata, che fu innalzata nell'Ottocen-
to in stile neogotico da Errico Alvino.
Durante la seconda guerra mondiale i
bombardamenti alleati danneggiarono
le strutture e pertanto, tra il 1969 e
il 1972, vennero effettuati restauri e
consolidamenti strutturali all'intero
edificio. Durante i lavori vennero por-
tati alla luce resti archeologici romani,
greci e alto-medievali oggi opportuna-
mente fruibili e con reperti raccolti e
organizzati. Uno dei più recenti restau-
ri è stato apportato alla cappella del
Succorpo e ha permesso il recupero del
c a s s e t t o n a t o m a r m o r e o
del Cinquecento.
La facciata della cattedrale fu rico-
struita più volte nel corso dei secoli:
quella attuale fu rifatta in stile neogo-
tico da Errico Alvino alla fine dell'Otto-
cento ed inaugurata solo nel 1905. Il
progetto dell'Alvino è peraltro incom-
pleto in quanto mancano le torri cam-
panarie ai lati del corpo centrale della
struttura, i cui lavori furono interrotti
all'altezza del basamento.
Al decoro della facciata, che aveva il
compito di raccordare le preesistenti
strutture gotiche dei portali, furono
chiamati importanti scultori del pano-
rama artistico di fine XIX seco-
lo: Salvatore Cepparulo, Domenico Jol-
lo, Alberto Ferrer, Giuseppe Lettie-
ri, Raffaele Belliazzi, Salvatore Ir-
di,Michele Busciolano, Stanislao Li-
85
sta e Tommaso Solari. Ai lati del fine-
strone centrale ci sono sculture
di Francesco Jerace e Domenico Pelle-
grino.
Nel progetto di Alvino fu previsto l'inse-
rimento delle opere di Tino di Camai-
no per ornare il portale principale so-
stenuto da leoni stilofori consumati dal
tempo. I portali laterali, risalenti al
principio del XV secolo, in stile gotico
internazionale erano stati eseguiti dallo
scultore Antonio Baboccio da Piperno.
La facciata fu danneggiata durante
la seconda guerra mondiale e restaura-
ta nel 1951, ma un restauro integrale
fu eseguito nel 1999; nell'occasione
l'architetto Atanasio Pizzi ha realizzato
il rilievo della facciata principale, del
cassettonato ligneo, della navata cen-
trale e del transetto in scala 1/1.
Presenta una struttura a salienti, con ai
due lati i basamenti delle due torri
campanarie, mai realizzate. In corri-
spondenza di ognuna delle tre navate si
trovano i tre portali gotici e le tre cu-
spidi, ornate da sculture in marmo; in
quella centrale, entro un rosone cieco,
si trova lastatua del Cristo Benedicen-
te. Nella facciata si aprono cinque fine-
stre, anch'esse in stile gotico:
due bifore nei due basamenti dei cam-
panili, due trifore, una per ognuna del-
l e d u e n a v a t e l a t e r a l i , e
la quadrifora della navata centrale.
Dei tre portali, per tradizione, quello
di destra viene aperto solo in occasioni
particolari, come durante le festività
per san Gennaro oppure un matrimonio
di un membro della famiglia Capece
Minutolo.
L'interno, con pianta a croce latina, è
costituito da un'aula suddivisa in
tre navate con cappelle laterali; le tre
navate sono separate da una sequenza
di otto pilastri per lato, in cui sono
i n c o r p o r a t i f u s t i d i a n t i -
che colonne romane, sulle quali poggia-
no gli archi ogivali, decorati a stucco e
marmo.
Chiesa di San Lorenzo Maggiore
Il complesso monumentale di San Lo-
renzo Maggiore, il cui accesso principa-
le è in pieno centro storico (piazza San
Gaetano), rappresenta un incredibile
esempio di stratificazione di testimo-
nianze architettoniche di epoche diver-
se: greca, romana e medievale. Nell'a-
rea del foro, che rappresentava il cuore
dell'antica città greco-romana, tra il
Decumano maggiore e il Decumano
inferiore, fu edificata dapprima una
chiesa paleocristiana (VI secolo d.C.),
86
abbattuta nel XII secolo, e successiva-
mente l'attuale basilica, realizzata per
volontà di Carlo I d'Angiò a partire dal
1270. La chiesa, caratterizzata da una
struttura a navata unica e croce latina,
fu eretta ad opera dei Francescani,
inizialmente con l'utilizzo di architetti
e maestranze francesi, poi sostituiti da
maestranze locali; tra il XVII e il XVIII
secolo, fu poi interessata da un radica-
le rinnovamento in stile barocco. Il
restauro effettuato tra la fine dell'Ot-
tocento e la prima metà del Novecento
ha cancellato la forte connotazione
barocca, eccezion fatta per la facciata
se t t e cen te sca de l S an f e l i ce .
Nella chiesa, Boccaccio incontrò la sua
F i ammett a, ment re ne l l ' a t t i -
guo convento -che ospitava nel '300 le
riunioni del parlamento del regno- sog-
giornò anche Petrarca.
Al disotto della Chiesa, del convento e
del chiostro, sono oggi visitabili in ipo-
geo gli ambienti riscoperti grazie al
lavoro degli archeologi: accedendo
all'area, ci si immette in un cardine
romano (cioè una strada ortogonale ai
decumani), largo tre metri e lungo cir-
ca sessanta, su cui si affacciano nume-
rose botteghe: un forno, una lavande-
ria, osterie, negozi e l'Aerarium, dove
erano conservate le finanze cittadine
provenienti dalle tasse.
Al termine della strada, si incontra
invece uno dei quattro lati di un cripto-
portico, costituito da ambienti interco-
municanti, con volta a botte e lucerna-
ri per l'ingresso dell'aria e della luce
solare. Gli ambienti erano botteghe del
mercato romano (macellum), sui cui
banchi di pietra erano commercializza-
te cibarie e merce di vario genere.
Al termine del criptoportico, è inoltre
conservata una vasca di età greca, te-
stimonianza dell'ulteriore livello di
stratificazione presente, e dell'incredi-
bile numero di storie che questo luogo
p u ò r a c c o n t a r e .
Alla fine del V secolo d.C., l'area fu
invasa e ricoperta da una colata di fan-
go di origine alluvionale, per cui fu
abbandonata, e costituì la base per la
costruzione della basilica paleocristia-
na.
Risalendo ai livelli superiori, nei locali
del convento si trova il Museo dell'Ope-
ra di San Lorenzo Maggiore, che ospita i
reperti archeologici del sito, una rac-
colta di oggetti, abiti, e arredi dell'epo-
ca angioina ed una collezione di pastori
settecenteschi della tradizione prese-
piale napoletana.
Chiesa di San Gregorio Armeno
La chiesa di San Gregorio Armeno o San
Biagio Maggiore, con il relativo com-
87
plesso conventuale, è ubicata nell'omo-
nima strada del centro stori-
co di Napoli (si veda la foto a lato),
resa caratteristica dalle famose botte-
ghe di pastori e artigianato sacro.
È anche conosciuta volgarmente con il
nome di chiesa di santa Patrizia.
Sorge sull'omonima via, l'antica Strada
Nostriana che prende il nome dal ve-
scovo Nostriano che nel V secolo fondò
il primo ospedale per i poveri ammala-
ti.
La chiesa sarebbe stata edificata sulle
rovine del tempio di Cerere attorno
al 930, nel luogo che secondo la leg-
genda avrebbe ospitato il monastero
fondato da Sant'Elena Imperatrice, ma-
dre dell'imperatore Costantino.
Altra leggenda vuole la presenza nel
luogo di un monastero di monache basi-
liane, seguaci di santa Patrizia che vi si
sarebbero stabilite dopo la morte della
santa, conservando le reliquie di san
Gregorio Armeno (che fu patriarca
di Armenia dal 257 al 331).
Nel 1009, in epoca normanna, il mona-
stero fu unificato a a quello dedicato
a San Pantaleone, assumendo la regola
benedettina.
Dopo il Concilio di Trento, a partire
dal 1572, il complesso subì un profondo
rifacimento ad opera di Giovanni Vin-
cenzo Della Monica e Giovan Battista
Cavagna, con la chiesa collocata al
centro del convento.
Ulteriori rifacimenti ad opera
di Dionisio Lazzari furono del 1682.
Il miracolo di Santa Patrizia
Dal 1864 le spoglie della Santa furono
traslate nella chiesa, a suggello della
devozione dei napoletani per la vergi-
ne, discendente dell ' imperato-
re Costantino che nel IV secolo naufra-
gò sulle coste della città, prendendo
alloggio nell'antico convento basiliano,
dove sarebbe morta il 13 agosto
del 365.
Nella quinta cappella a destra della
navata, vi sono le reliquie della Santa,
contenute in un pregevole reliquiario in
oro e argento.
Le doti miracolose di Santa Patrizia, già
note nel secolo XII, per il trasudamento
della manna che sarebbe avvenuto dal-
le pareti sepolcrali che custodivano il
corpo della Santa, ed in seguito per la
liquefazione del sangue, hanno trovato
a Napoli nei secoli ed ancora oggi, eco
minore rispetto a quelle del più celebre
patrono della città San Gennaro.
Tuttavia, capitando di imbattersi per
caso nella chiesa, un martedì mattina,
si può assistere, in un'atmosfera di ra-
refatto misticismo, al prodigio che av-
verrebbe in seguito alle impetrazioni
delle monache.
Il prodigio, a differenza di quello di San
88
Gennaro, avrebbe avuto luogo negli
anni in modi e tempi diversi, ma secon-
do la tradizione, i martedì e il giorno
della festa di Santa Patrizia, il 25 ago-
sto.
Nella chiesa avverrebbero o sarebbero
avvenute anche altre liquefazioni di
santi celebri: San Giovanni Battista (il
29 agosto e talvolta il 24 giugno) e San
Pantaleone (l'ultimo sarebbe avvenuto
il 27 giugno del 1950).
La facciata, seppur leggermente spro-
p o r z i o n a t a , p r e s e n t a q u a t -
tro lesene toscane che le conferiscono
armonia di forma e struttura, con tre
finestroni in arcate in un primo tempo
sormontate da un timpano e successi-
vamente da un terzo ordine architetto-
nico.
L'atrio, severo e scuro, regge il piano
del coro con quattro pilastri e le relati-
ve piccole volte ad essi collegati.
Il portale principale presenta dei bellis-
simi battenti disegnati con originali
linee di ispirazione classica ed eseguiti
nel 1792. In ciascuno degli scomparti
dei tre battenti figurano rispettivamen-
te, intagliati a rilievo, San Loren-
zo, Santo Stefano e gli Evangelisti.
Superando l'atrio, si notano ai lati della
porta le iscrizioni che ricordano l'anno
di consacrazione della chiesa
nel 1579 e la dedicazione al santo ar-
meno. In una terza lapide è menzionata
la visita di Pio IX del 1849.
L'interno presenta una navata unica,
con quattro cappelle laterali e cinque
arcate per ciascun lato, che termina
con un'abside a pianta rettangolare,
s o r m o n t a t a d a
una semicupola decorata con La gloria
di San Gregorio di Luca Giordano.
Di straordinaria fattura è il soffitto
a cassettoni, realizzato nel 1580 dal
pittore fiammingo Teodoro d'Errico su
commissione della badessa del conven-
to Beatrice Carafa, i cui scomparti con
intagli dorati allocano tavole con la
raffigurazione della vita dei santi le cui
reliquie sono custodite nel complesso
conventuale.
Nelle quattro cappelle laterali destre vi
s o n o , t r a l ' a l -
tro, L'Annunciazione di Pacecco De
Rosa, laVergine del Rosario di Nicola
M a l i n c o n i c o e n o t e v o -
li affreschi di Francesco Di Maria. Sul
lato sinistro si può ammirare invece un
superbo San Benedetto attribuito al-
lo Spagnoletto.
L'altare maggiore, appoggiato alla pa-
rete fondale dell'abside, è opera
di Dionisio Lazzari; l'ancona, ospitante
l'Ascensione di Giovan Bernardo Lama,
è sormontata da una grata che costitui-
sce l'affaccio del Cappellone, o Coro
dell'abside, sulla chiesa.
89
Sulla s inistra del presbiterio,
il comunichino del 1610: da qui la ba-
dessa del convento soleva ascoltare la
messa e consentiva alle monache di
ricevere la comunione.
L'ambiente interno conserva ancora
oggi la Scala santa che, fino al secolo
scorso le monache erano obbligate a
salire in ginocchio tutti i venerdì del
mese di marzo come forma di peniten-
za.
Uscendo dalla chiesa, dal lato dell'omo-
nima via resa caratteristica per le bot-
teghe di pastori e sormontata dal ca-
valcavia di connessione tra i due con-
venti poi trasformato incampanile, si
accede al chiostro ed al convento, ope-
ra dell'architetto Giovanni Vincenzo
Della Monica.
Il complesso, importante anche per la
presenza di un ricco archivio, presenta
un chiostro, tra i più belli e suggestivi
della città, nel quale si affacciano gli
alloggi a terrazza delle monache (le
Suore Crocifisse o di Santa Patrizia, che
ivi attendono alla confezione delle
ostie ed alla preparazione del vino
bianco per la messa).
Al centro, una grande fontana marmo-
rea barocca, affiancata da due statue
settecentesche che raffigurano Cristo e
la Samaritana (opera di Matteo Botti-
glieri).
Basilica di San Paolo Maggiore
La basilica fu costruita sui resti
del tempio dei Dioscuri di cui restano
due colonne di ordine corinzio con i
relativi architravi che caratterizzano la
facciata principale.
Il tempio dei Dioscuri (I secolo d.C.) è
l'area sulla quale insiste la chiesa. Il
suo f ronte, con se i colonne
e timpano triangolare completo di scul-
ture, rimase in piedi sino al 1688,
quando crollò a causa di un terremoto.
La prima chiesa dedicata a san Paolo in
quell'area venne eretta tra l'VIII e il IX
secolo per celebrare la vittoria riporta-
ta dai napoletani sui Saraceni, alle
spalle del pronao del tempio pagano.
Nel 1538 vi si insediarono i chierici re-
golari teatini, che solo molti anni, nei
primi anni ottanta del Cinquecento,
avviarono una vasta campagna di rico-
struzione, affidata al progetti-
sta Francesco Grimaldi.
Intorno alla prima metà del Cinquecen-
to, la chiesa incontrò Andrea Avellino il
quale entrò in San Paolo come postu-
lante. Nel 1567, padre don Andrea
Avellino venne nominato preposito di
San Paolo Maggiore e ricoprì questo
ruolo nei successivi dieci anni. Nel
maggio del 1585, dopo i tumulti scop-
piati a Napoli a seguito dell'uccisione
del capo popolo G.B. Starace da parte
90
della folla inferocita, il santo si operò
come mediatore e mise a disposizione
dei bisognosi le risorse del suo ordine.
Oggi, le spoglie del santo sono presenti
all'interno della basilica.
Nel corso del Seicento vi furono impor-
tanti lavori di decorazione e abbelli-
mento. Nel 1642 Massimo Stanzio-
ne affrescò il soffitto della navata cen-
trale. Nel 1671 Dionisio Lazzari, in oc-
casione delle celebrazioni per la cano-
nizzazione di Gaetano Thiene, realizzò
una volta in muratura che collegava
la facciata della chiesa e le colonne del
vecchio tempio pagano. Fu probabil-
mente a causa dell'intervento operato
da Lazzari che la struttura antica, no-
tevolmente appesantita, non resistette
al terremoto del 1688.
Nel Settecento i lavori di abbellimento
proseguirono, soprattutto a opera
d i Domen ico Ant on io Vacca-
ro e Francesco Solimena, che riutilizza-
rono i marmi antichi crollati col terre-
moto, rilavorandoli e mettendoli in
opera all'interno, per rivestire il pavi-
mento e le paraste della navata centra-
le. Ulteriori lavori vennero intrapresi
da Giuseppe Astarita verso gli anni set-
tanta del Settecento, in occasione del-
la proclamazione a beato di Paolo Bu-
rali d'Arezzo
La prima parte ad essere edificata fu il
grande transetto con la profondaabsi-
de poligonale. Dopo una interruzione, i
lavori ripresero sotto la guida di Giovan
Battista Cavagna, responsabile della
costruzione della navatacentrale. A
partire dal 1625 vennero costruite le
navate laterali, ad opera di Giovan
Giacomo di Conforto
La basilica presenta una facciata pro-
gettata da Arcangelo Guglielmelli, che
riuscì ad inglobare nel nuovo progetto
le uniche due colonne corinzie, risalen-
ti all'antico tempio dei Dioscuri, rima-
ste in piedi a seguito del terremoto
del 1688. Le stesse vengono così lascia-
te ai lati dell'ingresso principale. Anco-
ra più ai margini della facciata princi-
pale, vi sono collocate due nicchie con
statue raffiguranti i santi Pietro e Pao-
lo.
Nel 1943 nel corso di un bombardamen-
to aereo degli alleati, la chiesa venne
gravemente danneggiata. Nel 1962,
durante i lavori di ristrutturazione,
furono rinvenuti resti del primitivo
tempio e anche un cimitero, oggi visi-
tabili tramite l'accesso da una porta
posta sotto le scalinate principali della
basilica.
La basilica incorpora inoltre altri due
edifici religiosi di modeste dimensioni.
Uno, il santuario di San Gaetano Thie-
ne, vede l'ingresso posto sulla base
91
destra della scalinata principale, acces-
sibile direttamente da piazza San Gae-
tano. L'altro, la chiesa del Santissimo
Crocifisso detta la Sciabica, vede l'in-
gresso posto direttamente sotto la base
dell'antico tempio romano.
Sul lato destro destro del complesso
(rispetto a chi guarda frontalmente la
facciata), vi è un accesso laterale tra-
mite una scalinata collegata ad una
porta che conduce subito dopo la se-
conda cappella della navata di destra
della chiesa.
La pianta è a croce latina, a
tre navate: la navata centrale e il tran-
setto hanno una copertura ribassata a
padiglione, mentre le navate minori
sono voltate con una successione di
cupolette ellittiche. Il soffitto della
navata centrale, gravemente danneg-
giato dai bombardamenti dellaseconda
guerra mondiale, conserva resti degli
affreschi di Massimo Stanzio-
ne raffiguranti le Storie dei san-
ti Pietro e Paolo, di San Gaetano e
La Vittoria dei napoletani sui Saraceni,
tutti eseguiti tra il1643-44.
Nella navata centrale è esposta la sta-
tua dell 'Angelo custode, opera
di Domenico Antonio Vaccaro, scolpita
nel 1724 per la cappella omonima (la
terza della navata sinistra), ricostruita
in quegli anni su progetto di Francesco
Solimena, e sostituita nel XIX seco-
lo con una statua di Cristo.
Il soffitto del transetto e dell'absi-
de sono andati interamente perduti
(esclusi alcuni stucchi dell'abside). La
storiografia ufficiale racconta che essi
erano caratterizzati da affreschi sul-
la Vita ePassione di Cristo, sui Santi
Apostoli, sui Santi protettori della cit-
tà e sui Dottori della chiesa greca e
della chiesa latina, ciclo interamente
eseguito da Belisario Corenzio.
Le navate laterali sono costituite da
sette cappelle l'una, alle quali si alter-
nano altre piccole cappelle contenenti
cicli di affreschi, stucchi, sculture,
storici presepi o lapidi marmorei. Delle
sette cappelle, tre sono poste
nel transetto, e di queste tre, due sono
poste ai lati dell'abside. Su progetto
di Francesco Solimena, dopo la seconda
cappella della navata di destra, si ac-
cede al succorpo, dedicato a San Gae-
tano. Merita citazione il pregevole pa-
v i m e n t o m a i o l i c a t o , o p e r a
del1724 di Donato Massa.
L'altare maggiore, infine, è stato rea-
lizzato nel 1775-6 dal marmora-
ro Antonio di Lucca su disegno
di Ferdinando Fuga, mentre sulla con-
trofacciata vi è un affresco di Giovanni
Battista Natali.
92
Chiesa di San Pietro a Majella
La chiesa di San Pietro a Majella è
una chiesa gotica di Napoli, situata
nel centro antico della città, adiacente
all'omonimo conservatorio musicale.
La chiesa fu costruita alla fine
del Duecento sul luogo dove sorgevano
due monasteri femminili, intitolati
a sant'Eufemia e asant'Agata, ad opera
dell'architetto Pipino da Barletta, per
volere del re Carlo II d'Angiò.
Fu dedicata, sotto la tutela dell'ordine
dei Celestini, al santo pontefi-
ce Celestino V, al secolo Pietro Angele-
ri da Morrone, e fu comunemente detta
di "San Pietro a Majella", in ricordo
del romitaggio del santo sulla Maiella.
Nel corso del XIV secolo interventi sulla
chiesa vennero decisi dal re Roberto
d'Angiò e da Andrea di Ungheria. Un
radicale restauro, voluto dal re Alfonso
I e terminato nel 1508, spostò in avanti
la facciata, originariamente allineata
col campanile. Nel XVI secolol'interno
ricevette una decorazione barocca in
stucco e marmo, il presbiterio venne
rialzato e si sostituì il vecchio soffitto a
capriate.
L'ordine dei Celestini fu cacciato nel
corso della Repubblica di Napo-
li del 1799. I restauri novecenteschi,
terminati nel 1933 rimossero le decora-
zioni barocche per restituire alla chiesa
l'originario aspetto gotico. Alla riaper-
tura il culto venne affidato all'ordine
dei Servi di Maria.
L'interno si presenta a tre navate, se-
parate da pilastri sorreggenti archi
gotici, con nove cappelle laterali, più
quattro ai lati del presbiterio, e dal
transetto.
Sulla controfacciata è visibile un note-
vole Crocifisso ligneo seicentesco, di
autore ignoto.
La tomba di Pipino da Barletta, archi-
tetto della chiesa, è posta sulla parete
di fondo ed è databile attorno alla pri-
ma metà del XIV secolo, opera
di Giovanni Barrile, mentre i monumen-
ti sepolcrali di alcuni membri della
93
famiglia Petra sono opera dello sculto-
re napoletanoLorenzo Vaccaro.
Nell'abside è collocato il seicentesco
altare maggiore, realizzato da Cosimo
Fanzago e Pietro e Bartolomeo Ghetti,
è decorato con candelieri e grandi vasi
i n a r gen t o e p rec e du to da
un balaustra rivestita di marmi colora-
ti. Si innalza su di esso un quattrocen-
tesco crocefisso ligneo, mentre alle
spalle vi sono affreschi del Seicento ed
opere scultoree del Cinquecento.
I soffitti della navata mediana, con
cassettoni, e del transetto presentano
dipinti di Mattia Preti come Episodi
della vita di san Pietro Celestino e
di Santa Caterina d'Alessandria, esegui-
te tra il 1657 ed il 1659, durante il sog-
giorno napoletano dell'artista.
Il campanile si trova sul fianco sinistro
della chiesa ed è suddiviso in tre parti
con relativa cuspide, secondo uno sche-
ma tipico nell'architettura campana
dell'epoca.
Di attribuzione incerta (forse eseguito
dall'architetto Giovanni Pipino), fu edi-
ficato all ' inizio del XIV seco-
lo all'interno della prima arcata della
navata sinistra, con uno schema molto
simile a quello seguito nella cattedrale
di Lucera, in stile gotico provenzale.
È alto 42 metri ed è in tufo con angoli
in piperno, con quattro piani, l'ultimo
esagonale e sormontato da una cuspi-
de, sopra il basamento nel quale si
apre una porta. Tra il secondo e il ter-
zo piano furono collocati tavole mar-
moree con gli stemmi del papa Celesti-
no V.
Il convento dei Celestini annesso alla
chiesa, cessò di funzionare nel 1799 e
dal 1826 vi ha sede il conservatorio di
San Pietro a Majella, nato dalla fusione
di altri quattro conservatori storici del-
la città (Santa Maria di Loreto, Pietà
dei Turchini, Sant'Onofrio a Capuana e
Poveri di Gesù Cristo).
I chiostri del complesso sono due: il
primo risale al 1660 circa e da esso,
tramite un corridoio sulla destra, si
giunge al secondo minore, che dà ac-
cesso alla biblioteca ed al museo del
conservatorio di San Pietro a Majella,
che conserva una sezione dedicata agli
strumenti storici, dei manoscritti rari e
ritratti e busti di musicisti celebri.
La cappella Sansevero (detta an-
94
che chiesa di Santa Maria della Pie-
tà o Pietatella) è tra i più importanti
musei di Napoli. Situata nelle vicinanze
della piazza San Domenico Maggiore,
questa chiesa, oggi sconsacrata, è atti-
gua al palazzo di famiglia dei principi
di Sansevero, da questo separata da un
vicolo una volta sormontato da un pon-
te sospeso che consentiva ai membri
della famiglia di accedere privatamen-
te al luogo di culto
velo marmoreo che quasi si adagia sul
Cr isto morto, la Pudic iz ia e
il Disinganno, ed è nel suo insieme un
complesso singolare e carico di signifi-
cati. Essa ospita anche numerose altre
opere di pregiata fattura o inusua-
li, come le macchine anatomiche, due
corpi totalmente scarnificati dove è
possibile osservare, in modo molto det-
tagliato, l'intero sistema circolatorio.
Oltre ad essere stato concepito come
luogo di culto, il mausoleo è soprattut-
to un tempio massonico carico di sim-
bologie, che riflette il genio e il cari-
sma di Raimondo di Sangro, settimo
principe di Sansevero, committente e
allo stesso tempo ideatore dell'appara-
to artistico settecentesco della cappel-
la.
La Cappella Sansevero è un concentra-
to di opere scultoree e pittoriche, e la
prima che si nota appena entrati nell'e-
dificio è l'affresco che ne orna il soffit-
to, noto come Gloria del Paradiso o
il Paradiso dei Sangro, opera del poco
conosciuto pittoreFrancesco Maria Rus-
so che, come riportato nell'affresco
stesso, lo realizzò nel 1749. Di esso
colpisce, a distanza di due secoli e
mezzo dalla realizzazione, la brillan-
tezza dei colori, anche in questo caso
dovuti all'inventiva di Raimondo di San-
gro ed alla sua pittura definita
«oloidrica»
L'affresco del soffitto termina, in corri-
spondenza delle finestre, con sei meda-
glioni monocromi, in verde, con i Santi
protettori del Casato: San Berardo di
Teramo, San Berardo cardinale dei Mar-
si, Santa Filippa Mareri, San Oderisio,
San Randisio eSanta Rosalia.[45]
Al di sotto di questi, in corrispondenza
degli archi delle sei cappelle più vicine
all'altare, sono presenti sei medaglioni
marmorei, opera di Francesco Queirolo,
con le effigi di sei cardinali originari
della famiglia di Sangro.[46]
Per l'impianto statuario, il Principe
chiamò l'ottantaquattrenne Antonio
Corradini, veneto e massone, che riuscì
però ad ultimare solo le statue del-
la Pudicizia (dedicata alla madre pre-
maturamente scomparsa del principe
Raimondo),[22] delDecoro e il monu-
mento dedicato a Paolo di Sangro sesto
principe di Sansevero, oltre a lasciare
alcuni bozzetti per altre opere. Tra
queste figura il Cristo velato, la cui
realizzazione passò poi a Giuseppe San
95
Martino.
Chiesa San Domenico Maggiore
La chiesa di San Domenico Maggiore si
trova in Piazza San Domenico Maggiore.
Fu costruita per volere di Re Carlo
d’Angiò, a partire dal 1283, anno in cui
fu posta la prima pietra, mentre i lavo-
ri proseguirono fino al 1324 sotto la
direzione degli architetti Francesi Pier-
re de Chaul e Pierre d’Angicourt. La
consacrazione a San Domenico era già
avvenuta nel 1255 per volere di Papa
Alessandro IV, visto che sin dal 1231 i
Domenicani, non disponendo di una
sede in città, si stabilirono nel mona-
stero della preesistente struttura dedi-
cata a San Michele Arcangelo a Morfisa.
Lo stile con cui fu eretta la chiesa ri-
specchia i canoni gotici (tre navate,
cappelle laterali, abside poligonale e
ampio transetto), con la particolarità
di essere rivolta in senso opposto alla
piazza. Infatti, da essa si può vedere il
retro dell’abside, nel quale, in periodo
aragonese, fu aperta un’entrata secon-
d a r i a .
Nei secoli successivi la struttura origi-
naria è stata alterata anche a causa di
restauri resisi necessari a seguito di
terremoti o incendi. Nel periodo rina-
scimentale (XVI secolo) furono avviati i
primi lavori, ma fu nel Seicento che si
ebbero le trasformazioni più significati-
ve: in questo periodo, infatti, venne
sostituito il pavimento con quello pro-
gettato da Domenico Antonio Vaccaro, i
cui lavori proseguirono fino al XVIII
s e c o l o .
All’inizio del XIX secolo, tra il 1806 e il
1815, Gioacchino Murat decise di ri-
muovere i Domenicani dalla tutela del
complesso monumentale per farne
un’opera pubblica. Questo provocò
danni alla biblioteca e al patrimonio
artistico, accentuati ancor di più
dall’ennesimo restauro affidato a Fede-
rico Travaglini. La struttura subì altri
danni pochi anni dopo quando, con la
soppressione degli ordini religiosi (1865
-1885), i frati dovettero abbandonare
di nuovo la città e gli edifici religiosi
restaurati per adattarsi ad alcuni cano-
n i i m p o s t i a l l ’ e p o c a .
Infine, in epoca moderna, i restauri del
1953 furono eseguiti per eliminare i
segni del bombardamento avvenuto
dieci anni prima. In questa occasione
vennero ricostruiti il soffitto a casset-
toni, i tetti, le parti di alcune cappelle,
il pavimento, l’organo settecentesco e
vennero riportati alla luce anche alcuni
affreschi di Pietro Cavallini. In seguito,
nel 1991, venne restaurata la scala che
conduce all’abside e la porta marmo-
r e a .
Oltre alle opere in essa conservata, la
chiesa custodiva anche la Flagellazione
del Caravaggio e l’Annunciazione di
96
Tiziano (Traslate al museo di Capodi-
monte), la Madonna del Pesce di Raf-
faello (portata in spagna dal vicerè
duca di Medina ed esposta al Museo del
Prado di Madrid), due Santi di Guido
Reni (scomparsi) e la Madonna col Bam-
bino e San Tommaso D’Aquino di Luca
Giordano (rubata).
Chiesa del Gesù nuovo
La chiesa del Gesù Nuovo o Trinità Mag-
giore è una delle più importanti chie-
se basilicali di Napoli; si erge in piazza
del Gesù Nuovo ed è situata ad ovest
dell'antico decumano inferiore.
La chiesa venne così chiamata per di-
stinguerla dalla vecchia chiesa del Ge-
sù. All'interno vi è inoltre custodito il
corpo di san Giuseppe Moscati e le sue
stanze private dentro le quali soggior-
nava.
Successivamente, suo figlio Roberto
ottenne il perdono dal re di Spagna e la
famiglia poté tornare nel palazzo dove
tenne in seguito le celebri “accademie”
che ne furono vanto. Ospite del palazzo
fu l'Aretino, che vi incontrò i letterati
napoletani Scipione Capece ed Antonio
Mariconda.
Ai tempi di Ferrante Sanseveri-
no ed Isabella il palazzo era celebre
per la bellezza dei suoi interni, le sale
affrescate, lo splendido giardino. Era
inoltre un punto di riferimento per la
c u l t u r a n a p o l e t a -
na rinascimentale e barocca nella per-
sona di Bernardo Tasso, segretario di
don Ferrante. Quando nel 1536 Carlo
V venne a Napoli, reduce dalle sue im-
prese d'Africa (conquista di Tunisi),
Ferrante lo accolse nel suo palazzo,
organizzando in suo onore una festa
sfarzosissima rimasta celebre nelle
cronache dell'epoca.
Sotto il viceregno di don Pedro di Tole-
do, nel 1547 fu tentato di introdurre a
Napoli l'inquisizione spagnola; il popolo
si ribellò e Ferrante Sanseverino so-
stenne l'opposizione popolare[1]. Pur
riuscendo ad impedire questa grave
iattura per Napoli, tuttavia egli non
poté evitare la vendetta degli spagnoli
che gli confiscarono tutti i suoi beni e
lo obbligarono nel 1552 ad andare in
esilio.
Passati i beni dei Sanseverino al fisco e
messi in vendita per volontà di Filippo
II, nel 1584 il palazzo con i suoi giardini
fu venduto ai gesuiti.
Entrati in possesso del palazzo, i Gesui-
ti incaricarono della ristrutturazione di
tutto il complesso i loro confratel-
li Giuseppe Valeriano e Pietro Provedi.
Essi sventrarono completamente il son-
tuoso palazzo, non risparmiando né le
splendide sale né i giardini; le uniche
parti che si salvarono furono
la facciata a bugne[2] (riadattata alla
chiesa) ed il portale marmoreo rinasci-
97
mentale. La consacrazione avvenne il 7
ottobre 1601.
Tra il 1693 e il 1695 si procedette ai
lavori di ricostruzione e completamen-
to della chiesa: la cupola fu ricostruita
da Arcangelo Guglielmellie l'originale
portale marmoreo rinascimentale fu
arricchito con due colonne, due angeli
e lo stemma dei Gesuiti "IHS".
Nel 1717 tutto il complesso fu rinforza-
to, su progetto di Ferdinando Fuga, con
l'erezione di contropilastri e sottar-
chi. Paolo De Matteis inoltre dipinse
nella cupola ricostruita una Gloria della
Vergine, affresco che tuttavia fece
rimpiangere il perduto Paradiso del
Lanfranco. Nel 1725 il cantiere del Ge-
sù Nuovo si può dire concluso.
Nel 1767, dopo che i Gesuiti furono
banditi dal regno di Napoli, la chiesa
passò ai francescani riformati, che però
rimasero poco per l'incerta statica
dell'edificio. Nel 1774 a causa di un
secondo parziale crollo della cupola,
questa venne totalmente abbattuta,
mentre la chiesa rimase chiusa per
c i r c a t r e n t ' a n n i .
Nel 1786 l'ingegnere Ignazio di Nardo si
dedicò alla copertura della chiesa: la
cupola venne sostituita con una falsa
cupola a calotta schiacciata ("scodella")
che oggi si presenta dipinta con un
cassettonato prospettico; la copertura
della chiesa invece venne provvista con
un tetto a capriate.
Nel 1804 i Gesuiti furono riammessi nel
regno, ma nuovamente espulsi durante
il periodo francese dal 1806 al 1814.
Rientrati i Borboni, nel 1821 la chiesa
tornò in possesso della Compagnia di
Gesù. Tuttavia, nel 1848 e 1860 i Ge-
suiti furono nuovamente allontanati.
L'8 dicembre del 1857, l'altare maggio-
re ideato dal gesuita Giuseppe Grossi fu
ultimato e la chiesa dedicata all'Imma-
colata Concezione. Nel1900 l'ordine dei
Gesuiti poté rientrare definitivamente.
La chiesa subì gravi danni durante
la seconda guerra mondiale a causa di
alcuni attacchi aerei. Durante uno di
questi bombardamenti, una bomba che
cadde proprio sul soffitto della navata
centrale rimase miracolosamente ine-
splosa. Oggi la bomba è esposta all'in-
terno della chiesa.
Nel 1975 la chiesa è stata nuovamente
restaurata sotto la direzione di Paolo
Martuscelli; i lavori furono seguiti an-
che dal padre gesuita Antonio Voli-
no che ha provveduto tra l'altro all'en-
nesima riparazione della pseudocupola.
Dal 1976 al 1984, infine, il complesso
fu utilizzato per rappresentare il rove-
scio della 10.000 lire, in cui figurava
appunto parte della facciata a bugne
della chiesa e la parte inferiore della
98
barocca guglia dell'Immacolata che
caratterizza l'omonima piazza.
La facciata di palazzo Sanseverino di-
venne la facciata della chiesa. Essa è
caratterizzata da particolari bugne,
una sorta di piccole piramidi aggettanti
verso l'esterno, normalmente usate
dal Rinascimento veneto e del tutto
sconosciute nel Meridione. Queste pre-
sentano degli strani segni incisi dai
“taglia pietra” napoletani che avevano
sagomato la dur iss ima pietra
di piperno, segni che tradizionalmente
erano interpretati come caratterizzanti
le diverse squadre di lavoro in cui essi
erano suddivisi.
Anche il portale marmoreo è di Palazzo
Sanseverino e risale agli inizi del XIV
s e c o l o . P e r ò
nel 1685 i Gesuiti apportarono alcune
modifiche ai fini bassorilievi alle men-
sole su cui poggia il fregio superiore e
al cornicione: aggiunsero lateralmente
due colonne prolungando la cornice ed
il frontone fu spezzato per inserirvi uno
scudo ovale che ricorda la generosità
della principessa di Bisignano, Isabella
Feltria della Rovere. Alla sommità late-
rale furono apposti gli stemmi dei San-
severino e dei della Rovere e sull'archi-
trave un altro fregio con cinque testine
che sorreggono dei festoni di frutta.
I finestroni e le porte minori furono
disegnati da un altro architetto gesui-
ta, il Proveda. Il Valeriani, del palazzo
patrizio, riuscì a preservare solo la fac-
ciata a bugne, sacrificando il cortile
porticato, le ricche sale affrescate e i
giardini. In effetti, anche se il bugnato
della chiesa è bellissimo, non armoniz-
za con il portale classico e i due ele-
menti insieme danno un risultato archi-
tettonicamente privo di omogeneità.
I portali minori sono cinquecenteschi:
la decorazione dei battenti con lamina
metallica fu eseguita a cavallo tra
il XVII e il XVIII secolo.
L'interno barocco, a croce greca con
braccio longitudinale lievemente allun-
gato, presenta una ricca decorazione
marmorea realizzata dal Fanza-
go nel 1630. Sulle controfacciate sono
presenti affreschi di Francesco Solime-
na (navata centrale) e della sua scuola
(laterali), mentre le volte a botte sono
dipinte da Belisario Corenzio e da Paolo
De Matteis.
La tribuna è affrescata da Massimo
99
Stanzione; nel transetto si osservano
affreschi di Sant'Ignazio di Loyola e San
Francesco Saverio, opera di Belisario
Corenzio e ridipinti da Paolo De Mat-
teis.
La cupola, ricostruita da Ignazio di Nar-
do e consolidata da una struttura
in calcestruzzo armato, presenta una
calotta sferica scandita dalle finestre
lunettate; le decorazioni in stucco ri-
prendono il motivo del cassettonato e
nei pennacchi della falsa cupola ci sono
resti affrescati nel primo Seicento
da Giovanni Lanfranco.
La basilica di Santa Chiara, con l'adia-
cente complesso monastico, entrambi
conosciuti anche come monastero di
Santa Chiara, è un edificio di culto
di Napoli.
Edificato tra il 1310 e il 1340 su un
complesso termale romano del I seco-
lo d.C., per volere di Roberto d'Angiò e
della regina Sancha d'Aragona, nei
pressi dell'allora cinta muraria occiden-
tale, oggi piazza del Gesù Nuovo, al
convento faceva parte anche
il complesso delle Clarisse, oggi luogo
di culto a sé.[2]
Si tratta della più grande basili-
ca gotica della città.
Voluta da Roberto d'Angiò e sua mo-
glie Sancia di Maiorca, fu chiamato
all'edificazione della chiesa l'architet-
to Gagliardo Primario che avviò i lavori
nel 1310 e li terminò nel 1328, per
aprire al culto definitivamente
nel 1330. La chiesa, costruita in forme
gotiche provenzali, assurse ben presto
a una delle più importanti di Napoli.[2]
Nella basilica di Santa Chiara, il 14
agosto 1571, vennero solennemente
consegnate a don Giovanni d'Austria, il
vessillo pontificio di Papa Pio V ed il
bastone del comando della coalizione
cristiana prima della partenza della
flotta della Lega Santa per la battaglia
di Lepantocontro i Turchi Ottomani.
Lepanto, una delle più grandi battaglie
navali della storia, fu un momento fon-
damentale per la salvezza della Cristia-
nità e del mondo occidentale.
Nel 1590 fu a lungo custode del regio
monastero di S. Chiara, Antonino da
Patti, autore di varie grazie e miracoli
sui malati, diverrà Venerabile.
Tra il 1742 e il 1796 venne ampiamente
r i s t r u t t u r a t a i n f o r -
me barocche da Domenico Antonio Vac-
caro e Gaetano Buonocore. Gli interni
furono abbelliti con opere di Francesco
de Mura,Sebastiano Conca e Giuseppe
Bonito; mentre Ferdinando Fuga eseguì
il pavimento decorato.[3]
Durante la seconda guerra mondiale un
bombardamento degli Alleati del 4 ago-
sto 1943 provocò un incendio durato
quasi due giorni che distrusse l'interno
della chiesa quasi interamente, per-
dendo così tutti gli affreschi eseguiti
100
n e l X V I I I s e c o l o .
[2] Nell’ottobre 1944 Padre Gaudenzio
Dell'Aja fu nominato "rappresentante
dell'Ordine dei Frati Minori per i lavori
di ricostruzione della basilica", alla cui
ricostruzione partecipò in prima perso-
na. In seguito, i massicci e discussi la-
vori di ristrutturazione riportarono la
basilica all'aspetto originario trecente-
sco omettendo in questo modo il ripri-
stino delle aggiunte settecentesche. I
lavori terminarono definitivamente
nel 1953 e la chiesa fu riaperta al pub-
blico.
La basilica di Santa Chiara sorge sul
lato nord-orientale di piazza del Gesù
Nuovo, di fronte alla chiesa omonima,
ed ha il suo ingresso suvia Benedetto
Croce. Questo è costituito da un grande
portale gotico del XIV secolo, con arco
ribassato e lunetta priva di decorazio-
ni, sormontata da un'unghia aggettante
d i l a s t r e d i p i p e r n o .
Il sagrato antistante la chiesa è recin-
tato da un alto muro.
La facciata presenta una struttura a
capanna ed è preceduta da un pronao a
tre arcate ogivali, di cui quella centra-
le inquadra il portale di marmi rossi e
gialli con lo stemma di Sancha. In alto,
al centro, si apre il rosone, il quale è
stato in gran parte reintegrato durante
la ricostruzione.
Alla sinistra della chiesa, si eleva
la torre campanaria trecentesco, in
seguito restaurata in stile barocco. Il
campanile è a pianta quadrata e si arti-
cola su tre ordini separati da cornicioni
marmorei. Mentre l'ordine inferiore ha
un paramento in blocchi di pietra, i due
super io r i sono in mattonc in i
con lesene marmoree, tuscaniche in
quello inferiore e ioniche in quello su-
periore.
Tra il 1742 e il 1762 l'aspetto gotico fu
c e l a t o d a d e c o r a z i o -
ni barocche progettate da Domenico
Antonio Vaccaro, Gaetano Buonocore e
da Giovanni del Gaizo. La volta fu de-
c o r a t a d a s t u c c h i
e affreschi di Francesco De Mu-
ra, Giuseppe Bonito, Sebastiano Con-
ca e Paolo de Maio. Il bombardamen-
to alleato del 1943 distrusse il tetto e
la decorazione barocca, mentre le
opere scultoree furono totalmente o
parzialmente danneggiate; quelle so-
pravvissute, dopo la ricostruzione, fu-
rono spostate in un altro luogo, tranne
il pavimento disegnato da Ferdinando
Fuga.
L'interno risulta attualmente formato
da un'unica navata rettangolare, disa-
dorna e senza transetti, con dieci cap-
pelle per lato. Nella zona presbiteriale
101
sono posti sulla parete di fondo
il sepolcro di Roberto d'Angiò, opera
dei fiorentini Giovanni e Pacio Bertini.
Ai lati del sepolcro del re ci sono quelli
di Maria di Durazzo (a sinistra) e del
primogenito Carlo, Duca di Calabria (a
destra), databili 1311-1341 con il primo
attribuito ad ignoto maestro durazze-
sco, mentre il secondo a Tino di Camai-
n o . S u l l a p a r e t e s i n i s t r a
del presbiterio invece vi è il Sepolcro di
Maria di Valois, databile 1331 ed an-
ch'esso del Camaino. Di fronte ai monu-
menti funebri invece vi è il trecentesco
altare maggiore di autore ignoto, con
un crocifisso ligneo del XIV secolo, di
ignoto autore probabilmente senese. A
destra del presbiterio vi è l'accesso alla
barocca sagrestia con affreschi e arredi
mobiliari risalenti al 1692; in una sala
adiacente si può ammirare un panno
ricamato del XVII secolo. Altri due am-
bienti di passaggio, il primo decorato
da maioliche del XVIII secolo e il secon-
do con affreschi di un pittore fiammin-
go del XVI secolo, si passa di fronte ad
una scalinata chiusa al pubblico che
sale al convento e quindi, per un porta-
le gotico, si accede al "Coro delle mo-
nache".
Sulla controfacciata si trova al lato
sinistro il Sepolcro di Agnese e Clemen-
za di Durazzo, opera di Antonio Baboc-
cio da Piperno, sulla destra invece resti
di un affresco vicino a Giotto.
Nelle venti cappelle ci sono principal-
mente sepolcri monumentali realizzati
tra il XIV e il XVII secolo, appartenenti
ai personaggi di nobili famiglie napole-
tane.
A sinistra, nella prima cappella c'è la
tomba di Salvo D'Acquisto. Nella quinta
cappella, di san Francesco d'Assisi, si
trovano alle pareti laterali due sarcofa-
gi della famiglia Del Balzo, con a sini-
stra Raimondo ed a destra la moglie
Isabella. Sulla parete frontale invece vi
è una scultura raffigurante San France-
sco d'Assisi, opera seicentesca attribui-
ta ad un seguace di Annibale Caccavel-
lo circondata da medaglioni marmorei
raffiguranti altri componenti della fa-
miglia Del Balzo. La volta presenta de-
102
corazioni barocche tipiche del XVII se-
colo. La sesta cappella, dedicata a San-
ta Maria degli Angeli, presenta sepolcri
della famiglia De Vivo Piscicelli e due
bassorilievi trecenteschi con il Martirio
della moglie di Massenzio.
La prima cappella a destra ospita sulle
pareti laterali monumenti funebri tre-
centeschi del Cavaliere del No-
do e Antonio Penna, quest'ultima opera
di Antonio Baboccio da Piperno. Sulla
parete frontale invece tracce di affre-
schi di scuola giottesca. La seconda
cappella ospita un affresco di ignoto
pittore locale post giottesco e monu-
menti sepolcrali della famiglia Del Bal-
zo. La terza e la quarta cappella sono
congiunte ed ospitano, la prima, un
dipinto settecentesco di San Pietro
d'Alcantara (a cui è dedicata la cappel-
la) ed un sepolcro monumentale di
ignota nobildonna di pregevole fattura
attribuito al Maestro durazzesco, la
seconda, dedicata invece a Sant'Anto-
nio da Padova, un dipinto sul santo di
ignoto autore seguace di Luca Giorda-
no, decorazioni marmoree sepolcrali
sulla famiglia Carbonelli di Letino. La
settima cappella ospitava sulla parete
di sinistra, fino ai rifacimenti barocchi,
il sepolcro di Ludovico di Durazzo, fi-
glio di Carlo di Calabria e Maria di Du-
razzo, morto in tenera età. Dai lavori
settecenteschi, del monumento trecen-
tesco di Pacio Bertini rimane superstite
solo l'altorilievo raffigurante un bambi-
no in fasce portato in cielo da angeli.
Sulla parete frontale invece vi è una
pala d'altare, da cui prende il nome la
c appe l l a , d i Ma r co da S i e -
na raffigurante l'Adorazione di Gesù
Bambino. Fa storia a sé la nona cappel-
la a destra che ha conservato la strut-
tura barocca ed è attualmente
il sepolcreto ufficiale dei Borbone, do-
ve riposano i Sovrani delle Due Sicilie,
da Ferdinando I a Francesco II.
Chiesa di Sant’ Anna dei Lombardi
La chiesa di Sant'Anna dei Lombar-
di (detta anche Santa Maria di Monteo-
liveto) si trova a Napoli, in piazza Mon-
teoliveto.
La chiesa venne fondata nel 1411 da
Gurello Aurilia, Protonotario del
re Ladislao di Durazzo, che patrocinò la
costruzione di una piccola chiesa detta
di Santa Maria di Monteoliveto, affidata
ai padri Olivetani. La fabbrica fu sotto-
posta a radicali lavori di ampliamento
da parte di Alfonso I di Napoli e ben
presto divenne tra le favorite della
corte Aragonese. Nel XVII secolo la
chiesa fu trasformata in st i-
le barocco da Gaetano Sacco.
Nel 1798 Ferdinando I delle Due Sici-
lie dispose l'allontanamento degli olive-
tani.
Il 26 luglio 1805 la chiesa di Sant'Anna
103
d e i L o m b a r d i , p r o g e t t a t a
nel 1582 dal lombardo Domenico Fonta-
na, situata nell'omonima via tra
il palazzo Ventapane e il palazzo Cara-
fa di Maddaloni, già ferita dalla caduta
del tetto nel 1798, crollò in gran parte
a causa di un terremoto ed in quest'oc-
casione andarono dispersi tre dipinti
del Caravaggio, che erano stati eseguiti
appositamente per Alfonso Fenaroli
(nobile bresciano) per ornare la sua
cappella: il San Francesco in meditazio-
ne, il San Francesco che riceve le stim-
mate ed una Resurrezione;[1] di que-
st'ultima, il pittore fiammingo Louis
Finson (o Finsonius) realizzò una copia
oggi ad Aix-en-Provence.[1]
L'arciconfraternita dei Lombardi si spo-
stò allora nella chiesa di Monteoliveto
che in questa occasione fu ridenomina-
ta in Sant'Anna dei Lombardi.
La chiesa è ricordata in genere perché
t e s t i m o n i a l ' i n t e r e s s e c h e
in Napoli suscitarono fermenti artistici
sviluppatisi nel rinascimento fiorentino,
soprattutto dal punto di vista architet-
tonico. Le grandi cappelle a pianta
centrale rimandano chiaramente alle
analoghe costruzioni fiorentine e l'in-
tervento di Benedetto da Maiano è da
mettere in relazione alle cappel-
le Piccolomini e Correale.
La navata verso la controfacciata
Il resto dell'edificio si presenta invece
nella veste che le fu data nel XVII seco-
lo, sacrificando l'originaria in sti-
le gotico, di cui rimangono alcune fine-
stre tamponate visibili all'esterno, sui
lati, e l'atrio, in piperno caratterizzato
dall'arco a sesto ribassato tipico
del tardogotico napoletano, ricostruito,
comunque, dopo i bombardamenti nel
1943.
D a r i c o r d a r e i n o l t r e c h e
il presbiterio fu aggiunto nel XVI seco-
lo e che all'interno vi è una vera e pro-
pr ia antolog ia de l la scu ltura
del Quattrocento e del Cinquecento.
Sono infatti presenti opere di Guido
Mazzoni, Antonio Rossellino, Benedetto
da Maiano, Giovanni da Nola, Pedro
Rubiales e molti altri. Nell'atrio gotico
è invece conservata l'edicola sepolcrale
di Domenico Fontana, costruita
nel 1627 dai figli Sebastiano e Giulio
Cesare Fontana e proveniente dalla
distrutta chiesa di Sant'Anna, mentre
l'altare maggiore fu eseguito su disegno
d i G i o v a n D o m e n i c o V i n a c -
cia da Bartolomeo e Pietro Ghetti.
La controfacciata ospita nella parte
superiore l'organo "F.lli Lingiardi di
Pavia" (1904) e nella parte inferiore gli
altari Ligorio e Del Pezzo.
La facciata della chiesa è composta da
un arco in piperno; l'interno è
a navata centrale con copertura
a botte e cupola e cinque cappelle a
104
lato, più altre due laterali all'abside.
Appena entrati nell'edificio, si ammira-
no ai lati l'altare gentilizio della fami-
glia de Liguoro (1532) e l'altare della
famiglia del Pezzo (1524).
Tra le cappelle, tutte rinascimentali,
spiccano la cappella Correale (con ar-
chitettura ispirata alla maniera
di Giuliano da Maiano in cui trovano
alloggio sculture di Benedetto da Maia-
no), la cappella Tolosa (di Giuliano da
Maiano con sculture dei Della Robbia e
affreschi diCristoforo Scacco di Verona)
e la cappella Piccolomini; nelle altre
invece ci sono tombe della nobiltà na-
poletana del XV secolo e tutte sono
decorate da affreschi di Giuseppe Si-
monelli, di Baldassarre Aloisi, Nicola
Malinconico, Annibale Caccavel-
lo, Francesco Solimena e altri.
Basilica Reale pontificia di San France-
sco di Paola
La basilica reale pontificia di San Fran-
cesco d i Paola è una ch ie-
sa basilicale tra le più caratteristiche e
celebri di Napoli.
L'edificio è situato al centro del lato
curvo di piazza del Plebiscito, davanti
al palazzo Reale. Si tratta della più
importante chiesa italiana del perio-
do neoclassico.
Nel 1809 Gioacchino Murat ordinò la
demolizione degli antichi conventi del
"Largo di Palazzo", attuale piazza del
Plebiscito, e bandì un pubblico concor-
so per la realizzazione di una nuova
piazza. In un primo tempo fu affidata
all'architetto Leopoldo Laperuta, ma
questi non andò oltre alla costruzione
delle fondamenta.
Nel 1815 il re Ferdinando I delle Due
Sicilie decise l'edificazione della basili-
ca come ringraziamento a san France-
sco di Paola per la riconquista del re-
gno. Nel 1817 l'incarico fu affidato
all'Accademia di San Luca nella persona
dell'architetto svizzero Pietro Bian-
chi di Lugano, il quale mostrò nella
realizzazione della nuova chiesa grandi
qualità ingegneristiche, attestate dalla
solidità dell'opera e dall'intelligenza
delle soluzioni tecniche[2]. Al Bianchi
si deve anche la costruzione dell'ampio
portico a emiciclo sorretto da 38 colon-
ne giganti di ordine dorico[3], che fron-
teggiano Palazzo Reale e si rifanno alla
tradizione antica delle piazze portica-
te, luogo delle attività politiche, eco-
nomiche, sociali e culturali della città.
105
I lavori furono ultimati nel 1824, ma
solo nel 1836 la chiesa venne inaugura-
ta da papa Gregorio XVI, che le conferì
il titolo di basilica, la rese indipenden-
te dalla curia arcivescovile di Napoli e
concesse il privilegio ai suoi ministri di
officiare con l'altare rivolto verso i fe-
deli.
La chiesa, per la sua forma circolare,
ricorda il Pantheon di Roma. La faccia-
ta è preceduta da un pronao formato
da sei colonne e due pilastri di ordine
ionico, che reggono un architrave sul
quale è scolpita la dedica:
I l p r on a o è s o rm o n t a t o d a
un timpano classicheggiante ai cui ver-
tici sono collocate le statue raffiguranti
la Religione, tra San Francesco di Pao-
la a sinistra, titolare della chiesa, e San
Ferdinando, a destra, in onore del re
Ferdinando. Il pronao è accessibile sia
dal porticato, che dalla scalinata che
sale dalla piazza. Nel porticato si tro-
vano le statue delle quattro virtù cardi-
nali e delle tre virtù teologali, mentre
ai lati della scalinata avrebbero dovuto
essere collocate due statue raffiguranti
la Pietà e la Costanza, che simboleggia-
vano le virtù manifestate dal re e
da Ferrante d'Aragona: al loro posto si
decise invece di collocare le due statue
equestri nella piazza, raffiguranti il re
Ferdinando (opera di Antonio Canova) e
il padre, Carlo III di Spagna (opera
di Antonio Calì).
La chiesa è sormontata da tre cupole:
quella centrale, alta 53 metri, è stata
costruita su un alto ed ampio tamburo.
Si entra in un atrio, fiancheggiato da
due cappelle; in quella a destra vi è
un'opera giovanile di Luca Giordano,
con Sant'Onofrio Orante.
Al centro la rotonda, dal diametro di 34
m, è coperta dalla cupola sorretta da
34 colonne di ordine corinzio alte 11 m
e con fusti in marmo di Mondragone,
alternate ad altrettanti pilastri.
Lungo le pareti, da destra, vi sono otto
statue: San Giovanni Crisostomo opera
di Gennaro Calì, Sant'Ambrogio di Tito
Angelini, San Lucadi Antonio Calì, San
Matteo, di Carlo Finelli, San Giovanni
Evangelista, di Pietro Tenerani, San
M a r c o d i G i u s e p p e d e F a -
bris,Sant'Agostino di Tommaso Ar-
naud e Sant'Attanasio di Angelo Solani.
Sopra il colonnato invece vi sono poste
le tribune di corte.
Agli altari delle cappelle si trovano, da
destra, i seguenti dipinti: San Nicola da
Tolentino e San Francesco di Paola che
riceve da un angelo lo stemma della
carità, di Nicola Carta, l'Ultima comu-
nione di San Ferdinando di Casti-
glia di Pietro Benvenuti, il Transito di
San Giuseppe diCamillo Guerra, l'Imma-
colata e morte di Sant'Andrea Avelli-
no di Tommaso de Vivo.
L'altare maggiore, ricco di lapislazzuli e
106
di pietre preziose, opera di Anselmo
Cangiano del 1641, fu qui trasferito
nel 1835 dalla chiesa dei Santi Apostoli.
Ai lati due Angeli Teofori in cartapesta
dorata.
Nell'abside San Francesco di Paola resu-
scita un morto, tela di Vincenzo Ca-
muccini. Nella sagrestia, l'Immacola-
ta di Gaspare Landi e laCirconcisio-
ne di Antonio Campi.
L'ipogeo della basilica riproduce in ma-
niera più ridotta le caratteristiche del-
la basilica di superficie. La basilica
sotterranea, dalla quale sono partiti i
lavori di restauro dell'intero complesso
monumentale da parte del Provvedito-
riato alle Opere pubbliche (2013), co-
stituisce una precoce soluzione volta a
reggere l'impostazione della struttura
in oggetto.
Chiesa di Sant’ Antonio a Posillipo
La chiesa di Sant'Antonio a Posillipo è
una chiesa santuario di Napoli; ubicata
nel quartiere omonimo, è raggiungibile
sia dalle rampe di Sant'Antonio (dette
anche Tredici discese di Sant'Antonio),
sia dalla via Minucio Felice. Si può rag-
giungere la chiesa anche con la funico-
lare da Mergellina, scendendo alla pri-
ma fermata Sant'Antonio.
La fondazione della chiesa risale
al 1642 ed avvenne in un sito all'epoca
scarsamente urbanizzato della città,
costituito da quattro villaggi rurali col-
legati con la zona di Mergellina da
un'antica strada greco-romana.
I frati conventuali del terz'ordine vi
fondarono una chiesetta ed un piccolo
convento che ebbe nei primi anni la
funzione di sanatorio. Sulla lapide di
fondazione di leggeva:
Le mura dell'antica cappella sono oggi
individuabili in corrispondenza dell'at-
tuale sacrestia, così come i locali del
convento originario sono riscontrabili
nei locali denominati dell ' "ex -
monastero".
Nel 1603 fu iniziato l'ampliamento della
strada che portava al convento, mante-
nendo lungo il suo percorso parte delle
a n t i c h e v e s t i g i a r o m a n e
(pavimentazione romana) [1] e venen-
do così a costituire un mezzo più age-
vole per i pellegrini che dalla città in-
tendevano raggiungere l'edificio; la
strada, già salita di Santa Maria delle
Grazie, venne così indicata come ram-
pe di Sant'Antonio a Posillipo.
107
La chiesa nel frattempo assurse al tito-
lo di santuario antoniano, prendendo
negli anni una forma a navata unica
con tre cappelle laterali per ciascun
lato ed il convento fu allargato.
La fabbrica della sacrestia fu avviata
nel 1750, mentre quattro anni dopo fu
l a v o l t a d e l l ' e d i f i c a z i o n e
del campanile a pianta rettangolare
con cella campanaria ottagonale e bel-
la cuspide in stile barocco; il chiostro
del convento fu ultimato nel 1775.
La successiva soppressione degli ordini
religiosi, in epoca napoleonica, fece sì
che la chiesa passasse al demanio e
fosse destinata ad usi civili, sebbene
affidata ad un rettore, ex-domenicano
scampato ai fatti del 1799.
Nel 1824 il complesso fu affidato
ai domenicani di San Domenico Maggio-
re, anche grazie all'intervento di
re Ferdinando II di Borbone che era in
ottimi rapporti con l'ordine religioso.
Nel 1883 vi furono dei lavori di restauro
che interessarono le cisterne dell'acqua
e l'impianto originario che collegava il
complesso all'antico acquedotto greco,
oltre alla risistemazione delle celle dei
frati.
Nel 1944 l'arcivescovo Alessio Ascale-
si stabilisce nella chiesa, posta al di
fuori delle mura conventuali, la costi-
tuzione di una parrocchia che andrà
assumendo sempre maggior importanza
negli anni anche grazie al nuovo asset-
to urbanistico della zona (la costruzio-
ne del piazzale antistante la chiesa da
cui si gode uno spettacolare panorama
sul golfo di Napoli è degli anni sessan-
ta).
Nel 1975-76 vennero eseguiti importan-
ti lavori di restauro e consolidamento e
nel 2000 venne ripresa, in occasione
del periodo giubilare, l'antica tradizio-
ne della processione di sant'Antonio di
Padova, a cui la chiesa è dedicata.
Nella prima cappella a destra è colloca-
to un crocifisso ligneo del XVII secolo;
nella seconda si trova una raffigurazio-
ne di san Nicola di Bari di autore ignoto
della metà del XVII secolo, mentre l'ul-
tima cappella a destra è ornata con
la Vergine della Purità, derivazione
dell'originale conservato in San Paolo
Maggiore di Luis de Morales.
Nell'abside vi è l'altare maggiore poli-
cromo con la statua del santo.
Tra le decorazioni a stucco sono con-
servate due tele del pittore napoleta-
n o G i a c i n t o D i a -
no rappresentanti L'estasi di sant'Anto-
nio, san Raffaele e san Tobiolo.
Certosa San Martino
La certosa di San Martino è tra i mag-
giori complessi monumentali di Napoli;
108
costituisce, in assoluto, uno dei più
riusciti esempi di architettura e arte
barocca insieme alla Reale cappella del
tesoro di San Gennaro. Essa è situata
sulla collina del Vomero, accanto a
castel Sant'Elmo. Nel dicembre 2010 il
decreto n. 851 del Ministero per i Beni
Culturali emesso su proposta della So-
printendenza ai Beni architettonici e
paesaggistici di Napoli e provincia, ha
dichiarato la collina su cui sorge la cer-
tosa “monumento nazionale”[1].
Dal 1866 la certosa ospita il Museo na-
zionale di San Martino.
Nel 1325, sulla sommità del colle, Carlo
duca di Calabria, primogenito
di Roberto d'Angiò, fece erigere il mo-
nastero. Della primitiva soluzione ar-
chitettonica della fabbrica, voluta ac-
canto al castello di Belforte (1325),
rimangono pochissimi elementi: sono
riconoscibili alcune aperture con ar-
chetti in stile catalano che si trovano
nell’ex refettorio, usate probabilmente
come passavivande, venute alla luce in
un recente restauro.
Gli architetti che iniziarono la costru-
zione della Certosa furono i medesimi
che lavoravano negli stessi anni al ca-
stello: Tino di Camaino e Francesco di
Vivo, cui successero nel tempo
ad Attanasio Primario e Giovanni de
Bozza. La certosa fu inaugurata
nel 1368, sotto il regno della regina
Giovanna I, ma i certosini avevano pre-
so possesso del monastero già dal 1337.
Il complesso fu dedicato a Martino di
Tours, probabilmente per la presenza
nel luogo di un'antica cappella preesi-
stente a lui dedicata verso la seconda
metà del secolo XVI, sotto la spinta
della Controriforma la Certosa fu modi-
ficata secondo criteri più moderni e
grandiosi.
I certosini entrarono nel monastero
nel 1337 e la chiesa, nel 1368, fu con-
sacrata sotto il regno di Giovanna d'An-
giò. Alla fine del XVI secolo la certosa
subì rimaneggiamenti e ampliamenti in
stile tardo manierista e barocco. I lavo-
r i v e n n e r o a f f i d a t i
dal 1589 al 1609 al Dosio che fu di fatto
il primo artefice di gran parte delle
trasformazioni ricevute dal complesso.
Dal 1618 al 1625 la direzione del can-
tiere passò a Giovan Giacomo di Con-
forto, mentre dal 1623 al 1656 lasciò la
sua impronta artistica Cosimo Fanzago.
Nella prima metà del XVIII secolo i la-
vori passarono al Tagliacozzi Canale e
a Domenico Antonio Vaccaro.
Nel 1799 i certosini vennero cacciati
per g iacobin ismo, r i tornarono
nel 1804 e dopo un po' (nel 1807) ven-
nero di nuovo espulsi; nel 1836vennero
di nuovo riammessi e infine espulsi
definitivamente nel 1866, quando la
certosa divenne bene monumentale
109
proprietà dello Stato.
Sul piazzale c'è la chiesa delle don-
ne opera del Dosio, e ornata da stucchi
nel XVII secolo. A destra è l'ingresso,
nell'androne è situato uno stemma an-
gioino. Dall'ingresso si accede al cortile
d'onore realizzato sempre dal Dosio.
Sulla sinistra prospetta la chiesa tre-
centesca rimaneggiata dal Dosio (che
riadattò il pronao da cinque arcate a
tre arcate ricavandone due cappelle) e
da Cosimo Fanzago (che costrui
una ser l iana per mascherare
la facciata precedente); la parte supe-
riore e le pareti sono del Tagliacozzi
Canale.
Nello spazio tra la serliana e la facciata
ci sono gli affreschi di Micco Spada-
ro, Giovanni Baglione e Belisario Coren-
zio.
La chiesa, a navata unica con sei cap-
pelle (due di esse sono comunicanti con
le prime di destra e di sinistra), presen-
ta un alto livello di decorazione a ca-
vallo tra il XVI secolo e il XVIII secolo.
Cosimo Fanzago è l'autore delle tran-
senne delle cappelle e della decorazio-
ne delle cappelle di San Bruno e
del Battista; sempre del Fanzago sono i
festoni di frutta sui pilastri e quattro
putti marmorei sulle arcate delle cap-
pelle.
Il pavimento marmoreo della navata è
di frà Bonaventura Presti che riutilizzò
alcuni marmi intarsiati dal Fanzago.
Ai lati del portale d'ingresso ci sono due
statue del medesimo Fanzago, che tut-
tavia furono terminate da Alessandro
Rondone; sempre nei pressi del portale
sono collocate due tele di Jusepe de
R i b e r a e s o p r a i l p o r t a l e
una Deposizione di Massimo Stanzione.
La volta è arricchita da un ciclo pittori-
co di Giovanni Lanfranco che maschera
le strutture a crociera della copertura.
Basilica dell’Incoronata Madre del Buon
Consiglio
La basilica dell'Incoronata Madre del
Buon Consiglio e Regina della Cattolica
C h i e s a è l a p i ù r e c e n -
te basilica di Napoli. È stata infatti
voluta e costruita nel XX secolo.
Accanto alla basilica è presente l'in-
gresso alle catacombe di San Gennaro,
antiche aree cimiteriali sotterranee
110
risalenti al II secolo le quali rappresen-
tano il più importante monumento
del cristianesimo a Napoli.
È stata realizzata ad imitazione del-
la basilica di San Pietro a Roma sia ne-
gli esterni (compresa la cupola) che
negli interni, tanto da essere anche
chiamata "La piccola San Pietro".
La chiesa fu fortemente voluta da Ma-
ria di Gesù Landi.
Nata a Napoli il 21 gennaio 1861, già da
bambina dimostrava fervide vocazioni
spirituali. Ella si distinse per la sua
grande devozione alla Madonna del
Buon Consiglio di cui, nel 1884, si fece
dipingere un quadro. Fu molto amata
dal popolo napoletano a seguito di due
miracoli:
secondo la leggenda nel 1884 mostrò al
popolo l'immagine della Madonna del
Buon Consiglio e l'epidemia di colera
che attanagliava Napoli in quel perio-
do, cessò immediatamente;
nel 1906, a seguito di un'eruzione
del Vesuvio, la città era sotto una den-
sa coltre di cenere e numerosi tetti e
solai crollarono; di conseguenza Maria
espose il quadro fuori al balcone di
casa e un raggio di sole lo illuminò.
Qualche giorno dopo l'eruzione cessò e
suNapoli la cenere cominciò a scemare.
Più tardi, ottenne il riconoscimento del
culto, l'incoronazione del quadro e l'ag-
giunta del titolo Regina della Cattolica
Chiesa. Nel frattempo, i pellegrinaggi si
susseguirono numerosi e, ben presto,
sopra le catacombe, venne eretto que-
sto tempio; fatto erigere esattamente
dove le aveva chiesto la Vergine Ma-
ria durante le sue contemplazioni.
La costruzione della basilica è durata
quarant'anni (1920-1960); fu edificata
su progetto dell'architetto Vincenzo
Veccia.
Maria di Gesù Landi morì il 26 mar-
zo 1931, ma la costruzione della basili-
ca proseguì.
Il tempio ha custodito momentanea-
mente dipinti provenienti da altre chie-
se della città dopo il terremoto dell'Ir-
pinia del 1980. Inoltre possiede opere
provenienti da chiese in passato demo-
lite o pericolanti. Il più chiaro esempio
è dato dalle otto statue raffiguranti gli
Apostoli poste sul settecentesco altare
maggiore, sei delle quali sono opera
di Michelangelo Naccherino, mentre le
rimanenti due sono opere diPietro Ber-
111
nini e Francesco Cassano. Sono tutte
provenienti dalla demolita chiesa di
San Giovanni dei Fiorentini al rione
Carità.
Sulla controfacciata sono presenti l'In-
coronazione della Vergine di Giovanni
Battista Beinaschi, proveniente dal-
la chiesa di Santa Maria delle Grazie a
Caponapoli, al centro, a sinistra
la Natività di Giovanni Balducci, a de-
stra la Deposizione di Marco Pino. Nelle
cappelle e nelle navate laterali sono
vis ibi l i importanti quadri co-
me Sant'Antonio di Carlo Sellitto, pro-
veniente dalla demolita chiesa di San
Nicola alla Dogana, Santa Maria Madda-
lena della scuola di Andrea Vaccaro,
l'Estasi di san Nicola di Giuseppe Simo-
nelli, proveniente dalla chiesa di San
Nicola dei Caserti, una Vergine attor-
niata da apostoli della scuola
di Fabrizio Santafede. Anche molti ele-
menti architettonici quali altari e pa-
liotti sono provenienti da altre chiese.
La cultura popolare vuole che durante
il sisma del 1980 il busto marmoreo
raffigurante la Madonna posto sulla
sommità della facciata si staccò, ca-
dendo in piedi e senza subire danni. In
realtà la statua, a figura intera, si divi-
se in due parti e la parte superiore, il
busto, cadde dal frontone della chiesa
sulla scalinata senza ferire nessun pas-
sante e si spezzò a sua volta in due
parti, il torso (con il Bambino in brac-
cio) e la testa. Una lastra di pietra po-
sta all'ingresso della basilica ricorda
l'evento e le vicende successive:
Intorno al complesso vi sono
le catacombe di San Gennaro e il parco
di Capodimonte con l'omonima reggia.
Nel piazzale della basilica vi è una nuo-
va ent rata monumenta le a l -
le catacombe di San Gennaro, rappre-
sentata da un grande busto del santo
alto più di 4 metri, per quindici quintali
di peso; l'opera, la più grande del suo
genere presente in città, è stata realiz-
zata da Lello Esposito.
Chiesa di Santa Maria Donnaregina
di Napoli costruita agli inizi del XIV
s e c o l o i n s t i l e g o t i c o p e r
il convento omonimo di monache claris-
se.
Si trova nel centro storico della città,
nei pressi del Palazzo arcivescovile e
112
del duomo di Napoli. È anche chiama-
ta Donnaregina Vecchia per distinguerla
dalla omonima chiesa del XVII secolo,
denominata, infatti, Donnaregina Nuo-
va.
Il complesso originario occupava un'in-
sula doppia della città greco-romana ed
è attestato a partire dal 780 come
"convento di San Pietro del Monte di
Donna Regina"[1], appartenente alle
monache basiliane. Il convento era
dotato di una porta difesa da una torre.
Nel IX secolopassò alle monache bene-
dettine, che lo intitolarono a Santa
Maria. Nel corso del XIII secolopassò
alla regola delle clarisse.
Sotto Carlo I d'Angiò, il monastero fu
adibito a prigione per i nobili avversari
della casa regnante. Il convento fu dan-
neggiato da un terremoto del 1293, e
venne ricostruito dalle fondazioni gra-
zie alle donazioni della regina di Napo-
li Maria d'Ungheria. La nuova chiesa,
aperta al culto nel 1316 venne consa-
crata nel 1320 e la regina vi venne se-
polta in una tomba monumentale, ope-
ra di Tino di Camaino completata
nel 1326.
Nel 1390 il tetto della chiesa fu dan-
neggiato da un violento incendio e i
lavori di restauro furono commissionati
dalla regina Giovanna II d'Angiò, come
gli ulteriori restauri dovuti ai terremoti
che si susseguirono nel XV secolo.
Nel XVI secolo fu aggiunto al complesso
un nuovo chiostro e nel XVII seco-
lo venne costruita una seconda chiesa,
(Donnaregina Nuova), in origine diret-
tamente accessibile da quella più anti-
ca, che fu riservata alle monache.
L'ampliamento di via Duomo decretato
nel 1860 richiese l'abbattimento di una
parte del complesso conventuale. Il
convento venne soppresso nel febbraio
del 1861 e la chiesa vecchia passò al
comune di Napoli. Suddivisa in vari
ambienti, divenne sede di uffici delle
guardie municipali (1864), di una scuo-
la froebeliana (1865), di abitazioni
provvisorie per i poveri (1866-1872).
Ospitò in seguito la Corte d'assise e
dal 1878 la commissione municipale per
la conservazione dei monumenti. In
seguito a una decisione del consiglio
municipale vi fu aperto tra il 1892 e
il 1902 il "Museo della città" e
dal 1899 ospitò la sede dell'Accademia
Pontaniana.
Le due chiese, originariamente collega-
te, furono separate nel 1928-1934, in
occasione dei lavori di Gino Chieri-
ci che eliminarono le suddivisioni inter-
ne della chiesa vecchia per rendere
visibili le strutture gotiche dell'abside
della chiesa più antica, che si poté
ricostruire grazie all'accorciamento e la
parziale demolizione del coro di quella
più recente. Il sepolcro di Maria d'Un-
gheria, che era stato spostato nella
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nuova chiesa in una posizione scenogra-
fica nel 1727, fu di nuovo trasferito
nella chiesa vecchia, in corrispondenza
della navata sinistra.
Attualmente il convento è sede della
"Scuola di perfezionamento di restauro"
dell'università di Napoli.
La chiesa ha un'unica navata di cin-
que campate e termina con un'absi-
de poligonale (composta dai cinque lati
di un ottagono), preceduta da uno spa-
zio rettangolare. Il coro delle monache
è costituito da una struttura sopraele-
vata su sei pilastri ottagonali che sor-
reggono volte a crociera, posto presso
l'ingresso; mentre, la sua altezza e
quella del pronao, si conclude in uno
slancio unico con l'altezza dell'abside
stesso, avviando una particolarità ar-
chitettonica che sarà in seguito osser-
vata anche in alcune chiese tedesche.
Dall'esterno lo spazio sottostante il
coro, una sorta di sala a tre navate, è
illuminato da piccole finestre, mentre
la parte a tutta altezza prima dell'absi-
de presenta grandi finestremonofore.
La zona absidale conserva resti della
pavimentazione, in cotto maiolicato,
esempio di arte ceramica napoletana in
età angioina, databili tra la fine
del XIV e l'inizio del XV secolo. Sia l'ab-
side che lo spazio antistante sono co-
perti da volte a crociera, mentre il
tetto della navata è invece a capriate,
nascoste da un soffitto cassettonato,
decorato al centro da un rilievo
con Incoronazione della Vergine, ope-
ra cinquecentesca di Pietro Belverte.
Sulla parete di sinistra della navata
della chiesa, invece, è collocato
il monumento sepolcrale di Maria d'Un-
gheria, opera trecentesca di Tino di
Camaino. La facciata della chiesa si
apriva su una corte interna e presenta-
va due monofore con un oculo sopra-
stante ed è decorata dallo stemma
della regina. Tra le altre opere va an-
noverato un Martirio di Sant'Orsola e
d e l l e s u e c o m p a -
gne del 1520 probabilmente eseguito
da Francesco da Tolentino.
L'accesso attuale alla chiesa è situato
su vico Donnaregina, attraversato un
cancello, ci si trova in prossimità
dell'abside.
Basilica della Santa Maria della Sanità
La basilica di Santa Maria della Sani-
tà (o popolarmente San Vincenzo alla
S a n i t à ) è u n a c h i e -
sa basilicale di Napoli.
Sorge nel popolare rione Sanità ed è
nota ai suoi abitanti con il nome di San
Vincenzo detto 'o Munacone, in quanto
in essa è custodita la statua del san-
to domenicano Vincenzo Ferreri, il cui
culto è molto radicato e sentito nel
rione[1]; fu eretta su disegno del do-
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menicano fra' Giuseppe Nuvolo nel 1602
-1613, sul sito delle catacombe di San
Gaudioso.
Il complesso di Santa Maria della Sanità
fu costruito da Fra’ Giuseppe Nuvo-
lo tra il 1602 e il1610, mentre
n e l 1 6 1 3 f u t e r m i n a t a
la cupola maggiore.
La facciata, con decorazioni in stucco
degli inizi del Settecento, è affiancata
da un alto campanile costruito
tra 1612 e 1614 (l’orologio in maiolica
è settecentesco). Esternamente colpi-
sce la bella cupola rivestita di maioli-
che gialle e verdi, particolare anche
per il suo disegno e tipica dell'artista
che la progettò.
La pianta circolare della chiesa rappre-
senta una delle prime affermazioni
monumentali dell'architettura controri-
formata; essa è costituita da una croce
greca e presbiterio rialzato, espediente
questo ideato dal frate architetto per
inglobare la preesitente basilica paleo-
cr ist iana, permettendo quind i
l‘ingresso diretto alla catacomba. L'in-
terno è vasto e semplice nelle modana-
ture e nell'assenza di decorazioni poli-
crome, ma complesso nell'articolazione
dei volumi: la croce greca infatti è in-
scritta in un quadrato. Numerose poi
sono le opere d'arte, anche del periodo
contemporaneo, presenti lungo
la navata e nelle cappelle laterali.
Ai lati dell’ingresso ci sono due acqua-
santiere a muro, in marmi policromi,
databili alla metà del Seicento, con lo
stemma dell'Ordine domenicano.
La prima cappella a destra è dedicata
a san Nicola, raffigurato nella pala
d’altare in gloria tra il beato Ceslao
di Cracovia e san Luigi Bertrando. Sulla
parete destra della cappella è stato
collocato, l’affresco con la Madonna
della Sanità, proveniente dalla cripta.
Il dipinto, datato tra il Ve il VI secolo,
è la più antica immagine mariana cono-
sciuta a Napoli. La seconda cappella,
intitolata a San Pietro martire, conser-
va una tavola databile intorno al 1610,
raffigurante il Martirio di san Pietro da
Verona, martire domenicano, opera del
fiorentino Giovanni Balducci. La terza a
destra, è dedicata a san Vincenzo Fer-
reri, sacerdote domenicano spagnolo,
rappresentato nel dipinto diLuca Gior-
dano mentre predica alla folla. Negli
ovali laterali, di Vincenzo Siola, il santo
è raffigurato nell'atto di compiere mi-
racoli.
Nella quarta cappella a destra, dedica-
ta alla Madonna del Rosario, troviamo
la grande pala di Giovanni Bernardino
Azzolino (1612), racchiusa in una cona
di legno intagliato e dorato della prima
metà del XVII secolo: il dipinto, nella
parte centrale, raffigura la Madonna
del Rosario e santi. Nella predella è
rappresentato l’Episodio della condan-
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na degli Albigesi ed in alto, nel-
la cimasa, l’Eterno Padre. Nella quinta
a destra, consacrata a Santa Caterina
d 'A le s sandr ia, i l d ip in to con
lo Sposalizio mistico di santa Caterina è
opera di Andrea Vaccaro. Ancora del
Vaccaro nella cappella successiva è
la Santa Caterina da Siena che riceve le
stimmate, realizzata nel 1659 come la
precedente tela. La settima cappella a
destra è dedicata alla Madonna del
Buonconsiglio, raffigurata in un dipin-
to ottocentesco. Da poco vi è stata
ricollocata la tela di Luca Giordano con
i Santi Pio V e Alberto Magno, databile
al 1672.
Una bella scala a tenaglia, conduce alla
parte presbiteriale dominata dall’alta-
re maggiore, in marmi policromi, della
seconda metà del Settecento. Sull’alta-
re fu collocato il ciborio opera di orefi-
ceria del converso domenicano frate
Azaria, datato 1628. Nell'abside, all'in-
terno di una decorazione in stucco e
cartapesta, è posta la Madonna della
Sanità del fiorentino Michelangelo Nac-
cherino, del primo decennio del Seicen-
to. Nel presbiterio, il bel coro ligneo fu
r e a l i z z a t o t r a i l 1 6 1 8 e
i l 1 6 2 0 d a L e o n a r d o B o z -
zaotra e Michelangelo Cecere. Il catino
absidale fu decorato con l’Eterno Padre
in gloria di Crescenzio Gamba alla metà
del XVIII secolo. Sulla sinistra troviamo
lo scenograficopulpito in commesso
marmoreo d i D ion i s io Lazza-
ri (1678 circa).
Al di sotto del presbiterio si apre l’in-
gresso alla basilica paleocristiana. La
decorazione in stucco è opera
di Arcangelo Guglielmelli eCristoforo
Schor (1708). Gli affreschi sui dieci
altari laterali con storie di martiri sono
del pittore solimenesco Bernardino
Fera. Sul pavimento e lungo le pareti
sono disposte varie lastre tombali ed
epigrafi con datazioni che vanno dal V
al XIX secolo.
La cappella successiva, dedicata al SS.
Crocifisso, ha sull’altare di sinistra il
dipinto di Luca Giordano con L’estasi
della Maddalena (1671-72) e ai la-
ti Santa Marta e San Lazzaro. Nella
cappella vicina, intitolata a San Tom-
maso d'Aquino, c'è il dipinto raffiguran-
te San Tommaso che riceve il cingono
della castità datato 1652, di Pacecco
De Rosa. Qui si conserva anche un'anti-
ca cattedra episcopale databile tra VI
eIX secolo.
Da qui si passa all’antisacrestia, deco-
rata a “graffiti” da Giovan Battista Di
Pino (1625 circa) con la raffigurazione
della Discesa dello Spirito Santo sui
f r a t i p r e d i c a t o r i
e grotteschenella volta. Nell’antisacre-
stia sono conservati gli ex voto di San
Vincenzo Ferreri, affettuosamente
116
chiamato dagli abitanti del quartiere
“il Monacone”, e delle interessanti foto
d’epoca della sua festa. In sacrestia,
l’altare in marmi policromi risale
al 1728. Attualmente sull’altare è col-
locata una tela di Giovanni Pisa-
ni raffigurante la Madonna della Sanità
(2003).
Dalla sacrestia si passa nel vici-
no chiostro ellittico, nelle cui lunette il
Di Pino rappresentò scene della storia
dell'Ordine domenicano. Di nuovo in
chiesa, nel cappellone della Circonci-
sione, troviamo l'enorme tela con
la Circoncisione realizzata intorno
al 1612 da Giovan Vincenzo D'Onofrio
da Forli del Sannio. Sull’altare di sini-
st ra la Santa Lucia, f irmata
da Girolamo De Magistro. Il dipinto su
tavola, temporaneamente sistemato
sulla destra dell’altare, proviene dalla
sacrestia: raffigura San Domenico che
dispensa il Rosario ed è opera
di Giovanni Balducci (1623).
La terza cappella a sinistra, è consacra-
ta all’Annunciazione, raffigurata nel
dipinto di Giovan Bernardo Azzolino
del 1629. Alle pareti laterali vi sono
due tele ovali del XVIII secolo con Santa
Margherita da Città di Castello sulla
destra e Santa Margherita d’Unghe-
ria sulla sinistra. Nella quarta cappella
a sinistra, dedicata a San Giacinto, si
trova la tela di Luca Giordano con Lo
Sposalizio mistico di Santa Rosa da Li-
ma, databile intorno 1671. Nella quinta
cappella a sinistra troviamo il dipinto
di Agostino Beltrano (1654 circa) raffi-
gurante San Biagio tra i Santi Antonino
e Raimondo.
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NOTE
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