NoiExpo - Giugno 2015

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I COMMENTI A PAGINA 2 L’ECONOMIA A QUATTRO MANI PER INCLUDERE di Leonardo Becchetti I MIGRANTI, VERI PROTAGONISTI DI UN TEMPO SOLIDALE di Fulvio Scaglione Mai più schiavi dello SPRECO GIUGNO 2015 MARADIAGA «CIBO CONDIVISO CONTRO LA FAME POSSIAMO FARCELA» Valle a pagina 4 SVILUPPO AFRICA, IL LIMITE DELLA POVERTÀ ENERGETICA Motta a pagina 22 TRADIZIONI VEGETARIANI AI TEMPI DELLA BIBBIA Scolari a pagina 33 LISA CASALI «COSÌ VI INSEGNO A CUCINARE CON GLI SCARTI» Vetri a pagina 39 artiamo dal fondo, cioè dall’ultima pagina. In questo numero di NoiExpo intervistiamo Li- sa Casali, autrice e conduttrice tv che insegna a cucinare usando le parti scartate degli alimenti. Un piccolo gesto, una pratica che certo non cambierà il mondo, ma che può aiutarci a trovare lo spunto per riflettere su quante volte in altri contesti ben più im- portanti non pensiamo abbastanza a ciò che buttia- mo via. O non ci prendiamo cura di quello che a noi non interessa direttamente perché «non ci importa». Invece, come papa Francesco ha suggerito e ricor- diamo a pagina 3, è proprio imparando a dire che sì, ci importa e ci riguarda, che possiamo incomincia- re a dare il nostro contributo per un mondo più giu- sto, equo e anche più bello. Lo scarto è il tema che ricorre in questo numero: inteso come cibo spreca- to, ma anche come persone “scartate”, deboli dei quali non vogliamo prenderci cura – piccoli, giova- ni, anziani o stranieri – o nel senso di natura viola- ta in un creato che abbiamo il dovere di custodire. La storia esemplare è quella del Refettorio Am- brosiano della Caritas, aperto dal 4 giugno, do- ve chef stellati cucinano per i poveri i cibi scartati all’Expo. Un "filo rosso" unisce anche le parole del cardinale Oscar Ro- driguez Maradiaga, quando invita a condividere il cibo per vincere la fame, del Nobel Amartya Sen, men- tre spiega la necessità di difendere l’ambiente per tutelare i più deboli, di un piccolo produt- tore di riso di Novara nel proteggere il suo rac- colto... Gli spunti per riflettere sono tanti. Buo- na lettura. © RIPRODUZIONE RISERVATA P Massimo Calvi BUONE PRATICHE PICCOLI GESTI CHE DIVENTANO RESPONSABILITÀ

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È un mensile gratuito realizzato dai giornalisti di Avvenire e Famiglia Cristiana con il sostegno dell’Ufficio comunicazione Chiesa in Expo della Diocesi di Milano, che cerca di interpretare il tema "Nutrire il pianeta, energia per la vita" raccontando storie di impegno, offrendo spunti di riflessione, sviluppando inchieste su questioni cruciali per la convivenza tra i popoli, e cercando di mostrare i "volti" delle persone che soffrono la fame, come ha invitato a fare papa Francesco il giorno dell’inaugurazione. Un lavoro sui contenuti affinché l’opportunità dell’Expo si arricchisca di senso e significati. L’impegno, la missione che crediamo possibile, è offrire uno sguardo sulla realtà per continuare a nutrire la speranza. Insieme.

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I COMMENTI A PAGINA 2

L’ECONOMIA A QUATTRO MANI PER INCLUDEREdi Leonardo Becchetti

I MIGRANTI, VERI PROTAGONISTI DI UN TEMPO SOLIDALEdi Fulvio Scaglione

Mai più schiavidello SPRECO

GIUGNO 2015

MARADIAGA

«CIBO CONDIVISOCONTRO LA FAMEPOSSIAMO FARCELA»

Valle a pagina 4

SVILUPPO

AFRICA, IL LIMITEDELLA POVERTÀENERGETICA

Motta a pagina 22

TRADIZIONI

VEGETARIANIAI TEMPIDELLA BIBBIA

Scolari a pagina 33

LISA CASALI

«COSÌ VI INSEGNOA CUCINARECON GLI SCARTI»

Vetri a pagina 39

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artiamo dal fondo, cioè dall’ultima pagina. Inquesto numero di NoiExpo intervistiamo Li-sa Casali, autrice e conduttrice tv che insegna

a cucinare usando le parti scartate degli alimenti. Unpiccolo gesto, una pratica che certo non cambierà ilmondo, ma che può aiutarci a trovare lo spunto perriflettere su quante volte in altri contesti ben più im-portanti non pensiamo abbastanza a ciò che buttia-mo via. O non ci prendiamo cura di quello che a noinon interessa direttamente perché «non ci importa».Invece, come papa Francesco ha suggerito e ricor-diamo a pagina 3, è proprio imparando a dire che sì,ci importa e ci riguarda, che possiamo incomincia-re a dare il nostro contributo per un mondo più giu-sto, equo e anche più bello. Lo scarto è il tema chericorre in questo numero: inteso come cibo spreca-to, ma anche come persone “scartate”, deboli deiquali non vogliamo prenderci cura – piccoli, giova-ni, anziani o stranieri – o nel senso di natura viola-ta in un creato che abbiamo il dovere di custodire.La storia esemplare è quella del Refettorio Am-brosiano della Caritas, aperto dal 4 giugno, do-ve chef stellati cucinano per i poveri i cibiscartati all’Expo. Un "filo rosso" unisceanche le parole del cardinale Oscar Ro-driguez Maradiaga, quando invita acondividere il cibo per vincere lafame, del Nobel Amartya Sen, men-tre spiega la necessità di difendere l’ambienteper tutelare i più deboli, di un piccolo produt-tore di riso di Novara nel proteggere il suo rac-colto... Gli spunti per riflettere sono tanti. Buo-na lettura.

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PMassimo Calvi

BUONE PRATICHE

PICCOLI GESTICHE DIVENTANORESPONSABILITÀ

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LA FOTOGRAFIA DEL RAPPORTO IMMIGRAZIONE DELLA CARITAS

I MIGRANTI, VERI PROTAGONISTIDI UN TEMPO PIÙ SOLIDALE

Fulvio Scaglione

ome lagocciache scava

la pietra, la Chiesaapre nell’Expo2015 varchi sem-pre più importanti

a una riflessione radicalmente alter-nativa alla celebrazione del cibo co-me mero segnale di prosperità e diconquista del pianeta. Di giorno ingiorno, di appuntamento in evento, siallarga anche nella grande fiera la con-sapevolezza che, come ha detto papaFrancesco, il cibo non è «una mercequalsiasi» e che «solo vivendo e a-gendo come una sola famiglia umanasolidale, giusta e responsabile» ci sa-ranno cibo, energia e vita per tutti sulpianeta.L’esatto contrario, insomma, dell’im-perante cultura, anzi dittatura delloscarto che lavora sull’esclusione e nonsull’inclusione, e che sempre più spes-so pretende di esercitarsi anche sullepersone, oltre che sui beni. Piena di si-gnificato, quindi, è stata l’accoppiata"I migranti e il cibo" offerta dal con-vegno organizzato in Expo dalla Ca-ritas, occasione per presentare ancheil XXIV° Rapporto Immigrazione Ca-ritas e Migrantes. A dispetto di moltapropaganda, e della preoccupazionein buona fede dei tanti che temonol’invasione della propria isola di be-nessere da parte dei poveri del mon-do, emerge con sempre maggior chia-rezza che i due termini della questio-ne sono strettamente collegati. E losono in due sensi.

Il cibo, la mancanza di cibo, le spe-culazioni sul cibo sono una delle cau-se principali delle migrazioni, cheoggi coinvolgono il 3,2% della po-polazione totale del pianeta. La pre-messa alle diverse Primavere che nel2011-2012 hanno scosso il mondo a-rabo, abbattendo regimi e creando isommovimenti che hanno messo inmoto ulteriori flussi migratori, furo-no proprio le crisi agricole del 2007-2009. In quel periodo, i prezzi sulmercato mondiale del grano e del ri-so crebbero in due mesi del 77 e del18%, mentre siccità e speculazioniportavano le scorte ai minimi degli ul-timi vent’anni. In molti Paesi scop-piarono vere "rivolte del pane" condecine di morti.Ma una volta insediati in Paesi diver-si dal loro, e passati dalla condizionedi "migrante" a quella di "immigrato",questi uomini e donne di scarto di-ventano protagonisti involontari di al-tri meccanismi distorsivi. Il Rappor-to Immigrazione per quanto riguardal’Italia ci ricorda, dati alla mano, chegli immigrati sono l’8,3% della po-polazione residente in Italia ma pro-ducono l’8,8% della ricchezza nazio-nale, pari a un valore di 123 miliardidi euro. Che a loro toccano soprattut-to i lavori non qualificati. Che semprea loro toccano i salari inferiori: se la"busta paga" media del lavoratore i-taliano è di 1.326 euro, quella del-l’immigrato comunitario scende a 993e quella dell’extracomunitario addi-rittura a 942, laddove già nel 2013 lasoglia di povertà relativa era stata fis-sata in 972 euro per una famiglia didue persone.In un senso e nell’altro, quindi, i mi-granti sono i protagonisti del nostrotempo e gli interpreti primi dei suoiproblemi. Ed è da loro, anche, chedobbiamo partire se davvero voglia-mo costruire un mondo non solo piùsolidale ma anche più funzionante edefficiente, più capace di rispondere aibisogni di tutti e non solo delle mino-ranze già garantite. La corsa all’iso-lamento e alla chiusura non paga og-gi e non pagherà domani. Come hascritto papa Francesco nell’EvangeliiGaudium: «Come sono belle le cittàche… collegano, mettono in relazio-ne». Vale anche per le nazioni e per icontinenti.

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Cn Italia, come in altriPaesi ad alto reddito,gli scartati sono uno

degli effetti più inattesidella globalizzazione. Laglobalizzazione dovevaportare alla fine della sto-

ria, frullando in un omogeneizzatocompatto tutte le culture e offrendo di-videndi e partecipazione a tutti. Quel-lo che sta accadendo è invece il para-dosso di un’uniformità di visione eco-nomica e di progresso tecnologico cheproduce derive identitarie e quantità e-normi di “scartati”. Sempre più perso-ne nelle società occidentali non vota-no, non lavorano né studiano, insom-ma non partecipano alla vita sociale equesto inevitabilmente finisce per ero-dere il capitale sociale, quel collantefondamentale di fiducia, cooperazione,reciprocità, dono e senso civico chetiene insieme l’edificio sociale ed e-conomico. In società come queste ilproblema della distribuzione è fonda-mentale. Il padiglione zero dell’Expo è bello esuggestivo e ha il merito di attirare l’at-tenzione sul paradosso dello spreco esu quegli scartati (800 milioni) che sof-frono la fame e "non servono" alla so-cietà perché la loro domanda paganteè sostituita da chi compra e spreca ci-bo. Quel padiglione ha però il difettodi suggerire la via d’uscita logisticadello spreco zero, del trasferimento de-gli avanzi a chi ha fame. Non è questauna soluzione che produce dignità. Ilvero problema è costruire un copioneper la società globale dove tutti posso-no/vogliono partecipare.Una soluzione esiste ed è l’economiacivile. Il modello tradizionale a duemani dove la somma degli egoismi de-gli homines economici e delle impre-se massimizzatrici di profitto viene ri-conciliata magicamente ed eroica-mente in bene comune dall’azione deidue dei ex machina del mercato e del-le istituzioni non funziona e non puòfunzionare. La soluzione dell’econo-mia civile è quella di un modello a quat-tro mani dove l’azione di mercato e i-stituzioni è integrata e complementa-ta da quella dei cittadini responsabiliche fanno cittadinanza attiva e votanocol loro portafoglio, e dalle impresepioniere che abbandonano lo schemariduzionista della massimizzazione delprofitto per diventare multistakehol-

der, cioè a guida partecipata, e crearevalore economico in modo sostenibi-le ripartendo lo stesso in modo più e-quo tra i diversi portatori d’interesse.Quest’economia a quattro mani è an-che la soluzione al problema da cui sia-mo partiti, quello degli scartati perchéle aziende responsabili sono di solitoaziende a profitto moderato ad alta in-tensità di lavoro e perché le modalitàdi ingaggio dell’economia civile coin-volgono i cittadini in molte pratiche dicittadinanza attiva promuovendo in-clusione e contribuendo alla creazio-ne di capitale sociale. Cosa aspettiamo? Dipende solo da noi.Il mercato è fatto di domanda e di of-ferta e la domanda siamo noi. Se use-remo il “voto col portafoglio” per pre-miare le aziende leader nella sosteni-bilità sociale ed ambientale il proble-ma sarà risolto. Mosè convinse gli e-brei ad uscire dall’Egitto nonostantequesti ultimi sapessero che rischiava-no la vita e la rappresaglia del farao-ne. A noi serve molto meno perchéspostare le nostre scelte di risparmio edi consumo fa parte delle facoltà discelta assolutamente ammissibili in u-na società liberale. La sfida della wikie-conomia sta nel costruire questa con-sapevolezza e questo coordinamentogiorno dopo giorno attraverso il nostrolavoro sui social per creare quel benecomune collaborativo della nuova e-conomia civile. Non si tratta di un’o-pera per uomini soli al comando, madi un lavoro collettivo dove siamo tut-ti protagonisti.

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IDEEI

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NOIEXPOSupplemento di

del mese di Giugno 2015

Avvenire Nuova Editoriale Italiana SpAPiazza Carbonari, 320125 Milano - Tel. 02.67801

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IL PROBLEMA DEGLI SCARTI E DELLA MANCATA PARTECIPAZIONE

L’ECONOMIA A QUATTRO MANIPER INCLUDERE E REDISTRIBUIRE

Leonardo Becchetti

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L’ANALISI

NOI EXPO giugno 2015

IIDEE

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DALL’ECOLOGIA AMBIENTALE A QUELLA UMANA FRANCESCO INVITA A NON DIRE MAIPIÙ «A ME CHE IMPORTA?». IL PAPA INDICA UN COMPORTAMENTO DA TENERE E UNACONDOTTA DA EVITARE. IL PRIMO È L’ATTEGGIAMENTO DEL CUSTODE, DI CHI SI PRENDECURA, DI CHI NON CONSIDERA IL CREATO E LE CREATURE COME RISORSE DA SFRUTTARELA SECONDA È LA TENDENZA DI CHI INVECE SCARTA TUTTO CIÒ CHE NON GLI SERVE

> Mimmo Muolo

lzi la mano chi non ha senti-to ancora parlare della «cul-tura dello scarto». Papa Fran-cesco ne ha fatto uno dei pi-lastri del suo magistero so-

ciale e ne parla spessissimo. Così comeparla costantemente della necessità di ri-scoprire la dimensione della custodia, siain relazione al creato, sia in rapporto a-gli uomini. A ben vedere cultura delloscarto e dimensione della custodia sonol’uno il contrario dell’altro. Ed entram-bi i concetti appartengono al piano del-l’etica. Lo stesso sul quale si muove l’en-ciclica sociale di Bergoglio dedicata pro-prio ai temi ambientali, la cui uscita èfissata il 18 giugno. Su questo stesso ter-reno, poi si opera la saldatura tra ecolo-gia ambientale ed ecologia umana, che èal centro del documento pontificio. Fran-cesco, infatti, è bene chiarirlo subito, nonparla da scienziato, non entra nelle di-spute tra gli specialisti, non si schiera perquesta o quella teoria.

SERVE RESPONSABILITÀA lui interessa soprattutto la dimensio-ne comportamentale, o per dirla in ter-mini più tecnici, morale. In sostanza, difronte all’evidenza che l’azione inces-sante dell’uomo – specie negli ultimi 150anni – ha avuto un impatto fortissimosulla natura e potrebbe avere conse-guenze dagli esiti potenzialmente disa-strosi, il Papa richiama tutti alle proprieresponsabilità.Dunque, per ridurre ad estrema sintesi ilsuo ragionamento, egli indica all’uomocontemporaneo un comportamento da te-nere e una condotta da evitare. Il primoè appunto l’atteggiamento del custode, dichi si prende cura, di chi non considerail creato e le creature come risorse dasfruttare in maniera intensiva e sciagu-rata, ma come un giardino da coltivare.La seconda è la tendenza di chi invecescarta tutto ciò che non gli serve. Nel re-cente discorso alle Acli, il Pontefice hafatto per l’ennesima volta l’elenco degliscarti: «Si scartano i bambini, perché nonsi fanno: si sfruttano o si uccidono pri-ma di nascere; si scartano gli anziani,perché non hanno la cura dignitosa, nonhanno le medicine, hanno pensioni mi-serabili… E adesso, si scartano i giova-ni. Pensate a quel 40%, o un po’ di più,

di giovani dai 25 anni in giù che non han-no lavoro: sono materiale di scarto, masono anche il sacrificio che questa so-cietà, mondana e egoista, offre al dio-de-naro, che è al centro del nostro sistemaeconomico mondiale». Tra gli scarti, i-noltre, il Pontefice ha più volte ricorda-to anche lo spreco del cibo (uno dei te-mi di Expo), che è un po’ – ha sottoli-neato – come rubare il pane dalla tavoladei poveri».

ECOLOGIA UMANALa cultura dello scarto è dunque, secon-do il Papa, il prodotto dell’incuria, l’at-teggiamento di Caino. "Sono forse io ilcustode di mio fratello?". Egli lo ha ri-cordato ad esempio visitando nel set-tembre scorso il sacrario di Redipuglia,dove riposano molti dei morti della IGuerra mondiale. «All’ingresso di que-sto cimitero – propose il Papa, per stig-matizzare la follia della guerra – do-vrebbe essere scritto: "A me che impor-ta?"». Una notazione che può essere mes-sa alla base anche di molti problemi e-cologici. «A me che importa della defo-restazione, dei cambiamenti climatici,dell’inquinamento delle acque, della de-sertificazione, dello scioglimento deighiacchi polari, della massiccia immis-sione di gas serra nell’atmosfera?». «Ame che importa se tutti questi fenomeniprovocano inondazioni, siccità, carestie,morti e devastazioni su larga scala?». «Ame che importa se tutto ciò che non miserve – bambini nell’utero materno, vec-chi, operai in esubero, giovani che nonposso collocare nel mondo del lavoro –viene scartato?». L’importante è arric-chirsi.Ecco perché il Papa collega l’ecologiaambientale con quella umana come giàin passato avevano fatto Paolo VI, Gio-vanni Paolo II e Benedetto XVI. Que-sto collegamento ha però nel pensiero diFrancesco un posto assolutamente cen-trale ed è al cuore della sua enciclica so-ciale. «Noi stiamo vivendo un momen-to di crisi; lo vediamo nell’ambiente,ma soprattutto lo vediamo nell’uomo.La persona umana è in pericolo: questoè certo, ecco l’urgenza dell’ecologia u-mana», disse in un’udienza generale delgiugno 2014. E l’evidenza, anche alla lu-ce dell’Expo, diventa ogni giorno mag-giore.

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Impariamo a dire:«A noi IMPORTA»

«Noi stiamo vivendo unmomento di crisi;

lo vediamo nell’ambiente,ma soprattutto lo

vediamo nell’uomo»

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NEL CUORE DELL’EXPOI

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> Annachiara Valle

l rumore più terribile cheun genitore possa sentireè quello di un bambinoche notte e giorno piangeper la fame, e nessuno può

farci niente». Il cardinale Oscar Rodri-guez Maradiaga, presidente uscente diCaritas internationalis lo ripete ai dele-gati arrivati da tutto il mondo per la XXassemblea dell’organismo internazio-nale che si è svolta a Roma. E lo ripeteancora, a Milano, nel Caritas day del 19maggio convocato all’Expo 2015. Cardinale come mai questa presenzaad Expo?Abbiamo accettato di esserci perché itemi che sono qui in discussione hannomolto a che vedere con quelli di cui sioccupa la Caritas. Il tema del cibo, del-la fame, della cura del creato sono temicari alla Chiesa. E poi abbiamo portato,tra gli 85 Paesi che rappresentiamo aExpo, anche la voce di chi non ha quiun padiglione: in tutto 22 nazioni. Unmodo per sottolineare ancora di più a-gli occhi del mondo i bisogni dei piùsofferenti.Pensa che questi sei mesi di esposizio-ne possano servire davvero?Sono sicuro di sì. Penso che darà un im-patto a tanti visitatori e aiuterà certa-mente ad avvicinare al tema della famee del creato molti che magari vengonosoltanto per curiosità. Non dobbiamonascondere che, alla vigilia dell’Expo,tanti pensavano che fosse un fallimen-to. Da quel che ho visto, invece, mi sem-bra che la risposta sia grandissima e cheanche i contenuti siano importanti.Lei diceva che il rumore più terribile èquello di un bambino che piange per

I«fame. Come fare a produrre cibo pertutti?Il problema vero non è quello di pro-durre cibo, ma di condividerlo. Questoè anche uno degli obiettivi della Cari-tas: la condivisione cristiana dei beni. U-na persona su otto non mangia a suffi-cienza. In totale circa 800 milioni di per-sone in tutto il mondo soffrono la fame.Eppure, in tante parti del pianeta, il ci-bo si spreca o viene distrutto. Anche ilPapa ha spesso sottolineato questo a-spetto e, aprendo la nostra Assemblea,ha ricordato che «Il pianeta ha cibo pertutti, ma manca la volontà di condividerecon tutti». Il nostro Caritas day, ma poianche tutte le iniziative che si svolge-ranno in questi sei mesi all’Expo mi au-guro che servano per sensibilizzare pro-prio su questo punto: condividere, co-me si fa in famiglia, senza sprechi e sen-za ingiustizie. Cercando i modi miglio-ri per non aggredire la terra, per difen-dere i piccoli coltivatori e per far sì chetutti gli uomini e le donne del pianetaabbiano accesso all’acqua e al cibo.In che modo Expo può aiutare?Noi ci auguriamoche questa sia l’oc-casione perché tutti iPaesi del mondo simettano insieme persconfiggere la fame.Qui, nei tanti padi-glioni e con le ini-ziative che sarannopresentate nei pros-simi mesi, c’è lapossibilità che i vi-sitatori vedano i vol-ti di chi ha fame.Questa è la grandechance di una mani-

festazione come Expo: far vedere, fartoccare con mano cosa significa averefame. E così si può vincere l’indiffe-renza.Dopo otto anni di mandato lei lascia lapresidenza di Caritas Internationalis.Sul tema della fame quali sono stati i ri-sultati raggiunti in questi anni?La Caritas ha fatto molto, ma siamo pic-coli rispetto ai problemi del mondo in-tero. In questi anni ho visto crescere ladiseguaglianza e i problemi. Penso chesarà decisivo questo 2015 con l’incon-tro a Parigi per la Conferenza sul climae poi anche per l’appuntamento di fineanno per la definizione dei nuovi obiet-tivi del millennio. Ma ancora più deci-sivo è agire, a livello di singoli e di go-verno, come una sola famiglia umana.Non a caso abbiamo scelto, per la cam-pagna inaugurata dal Papa il 10 dicem-bre dello scorso anno, contro la famenel mondo, lo slogan: «Una sola fami-glia umana, cibo per tutti». Ci sembrache solo con la collaborazione di tutti eagendo in armonia con il creato si puòrisolvere questo problema sconfiggereil problema della fame. La mancanza dicibo fa parte di un circolo vizioso cheva stroncato alla radice. Non vanno eli-minati i poveri, ma le cause della po-vertà e della fame. E questo è alla no-stra portata.Uno slogan che avete portato anche al-l’Expo.Si, vogliamo così essere un po’ da spro-ne per i visitatori. E ricordare loro cheogni singola persona può fare qualcosa.Solo con uno spirito di solidarietà chevada oltre i confini nazionali, regionalie culturali possiamo costruire un mon-do dove c’è cibo per tutti.Eppure, come ha detto prima, in que-

RODRIGUEZMARADIAGA

Intervista al cardinale che ha guidatola presenza di Caritas internationalisall’Expo 2015, ora presidente uscente«Il tema del cibo, della fame, della curadel creato sono cari alla Chiesa»

«IL RUMORE PIÙ TERRIBILECHE UN GENITORE POSSASENTIRE È QUELLODI UN BAMBINOCHE NOTTE E GIORNO PIANGEPER LA FAME, E NESSUNOPUÒ FARCI NIENTEUNA PERSONA SU OTTONON MANGIA A SUFFICIENZAIN TOTALE CIRCA 800 MILIONI DIPERSONE IN TUTTO IL MONDOSOFFRONO LA FAMEEPPURE, IN TANTE PARTI DELPIANETA, IL CIBO SI SPRECAO VIENE DISTRUTTO»

«Condividere il ciboper vincere la FAMESì, possiamo farcela»

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> Alessandro Zaccuri

Expo 2015 la sorpresa delCaritas Day ha avuto il vol-to sorridente del cardinaleLuis Antonio Gokim Tagle,eletto solo pochi giorni pri-

ma presidente di Caritas Inter-nationalis. Filippino, classe1957, è dal 2011 arcivescovometropolita di Manila e ha fama,meritatissima, di grande comuni-catore. La conferma è venuta dalbreve discorso tenuto davanti aidelegati della giornata milane-se, la cui regia è stata affidata,come da programma, al presi-dente uscente, il cardinale honduregnoÓscar Rodríguez Maradiaga.«Tutto il mondo ha fame di un cibo chenon è solo materiale», ha esordito il car-dinal Tagle, ribadendo subito dopo il le-game irrinunciabile tra fede e azione ca-ritativa. «La nostra fede in Gesù Cristo èla nostra motivazione a servire l’umanità– ha detto –. La fede apre gli occhi, ren-dendoci capaci di riconoscere i poveri, eapre il cuore, rendendoci capaci di amarlicome Dio ci ama. Siamo capaci di servi-re nella misura in cui crediamo, questo èil potere che viene dall’amore». Non sitratta di temi inediti nella riflessione pa-storale del cardinal Tagle, la cui compe-tenza teologica è universalmente ap-prezzata. In un testo pubblicato in Italiada Emi nel 2013, Gente di Pasqua, il por-

porato si è soffermato sulla «globalizza-zione di élite» o «neoliberista», un con-cetto che coincide perfettamente con la«globalizzazione dell’indifferenza» de-nunciata da papa Francesco.Il risultato è sempre lo stesso, e cioè la«costante esclusione dei poveri», un fe-nomeno che, avverte il cardinal Tagle,non può non chiamare in causa la re-sponsabilità dei cristiani. E ancora, inconcreto: «L’unità fondamentale dei pa-sti» non può più essere «il piatto indivi-duale», ma «la mensa comune, dove lacomunità si riunisce e cresce condivi-dendo gli alimenti e le storie di vita». U-na prospettiva che, nella sua nuova vestedi presidente di Caritas Internationalis, ilcardinale ha voluto sintetizzare in unoslogan di estrema efficacia, subito rac-colto dalla platea di Expo: «Sconfiggerela fame non è solo qualcosa che possia-mo fare (we can, in inglese, ndr). È anzi-tutto qualcosa che, in quanto cristiani,dovremmo fare (we should)». E quel con-dizionale, a pensarci bene, è già tutto unprogramma.

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NOI EXPO giugno 2015

INEL CUORE DELL’EXPO

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sti anni ha visto crescere le disugua-glianze. Cosa la fa essere così ottimista?So bene quali sono i problemi e ho vi-sto che, nonostante il diritto all’alimen-tazione sia stato sancito già nella Di-chiarazione dei diritti umani e dalla Con-venzione sui Diritti Economici, Socialie Culturali, è un diritto spesso ignorato.Eppure sono convinto che mettere finealla fame endemica entro il 2025 si può.Certo, attingo alla forza della fede, e an-che alla consapevolezza che gli sforzifatti assieme danno frutto. Per questo,come abbiamo detto nel giorno del Ca-ritas day e come andremo a ripetere nelcorso di Expo e di tutta la nostra cam-pagna "yes, we can", noi ci crediamo.Insieme possiamo farcela.

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Oscar RodriguezMaradiaga,presidenteuscente di CaritasInternationalis,spiega il sensodella presenzaall’Expo2015.A fianco, ilcardinale GokimTagle, eletto suosuccessore

TAGLE«I poveri esclusiuna sfida per i cristiani»«La nostra fede in Gesù è la motivazionea servire l’umanità. La mensa sia comune»

IL NUOVO PRESIDENTE DICARITAS INTERNATIONALIS ÈL’ARCIVESCOVO DIMANILA«TUTTO IL MONDO HAFAME DI UN CIBO CHE NON ÈSOLO MATERIALE. L’UNITÀFONDAMENTALE DEI PASTI NONPUÒ PIÙ ESSERE IL PIATTOINDIVIDUALE, MA LA MENSACOMUNE, DOVE LA COMUNITÀSI RIUNISCE E CRESCECONDIVIDENDO GLI ALIMENTI ELE STORIE DI VITA»

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> Lorenzo Rosoli

la notte del 5 maggio. Un camioncinopreleva un bancale con 300 chili di car-ne e pesce rimasti sugli scaffali del «Su-permercato del Futuro» aperto da Coopdentro Expo. Lo porta ai cancelli del

sito, dove lo attendono volontari della CaritasAmbrosiana che lo prendono in consegna e lotrasportano a Lecco, dove un pastificio gestitodalla cooperativa «Il Grigio» cuoce e pastorizzagli alimenti. Che il mattino dopo, confezionati,saranno distribuiti alle persone in difficoltà neicentri d’ascolto e nelle mense cittadine.Se Expo non passerà invano è anche per quelloche si è iniziato a fare in quella notte di maggio.Una sfida che Caritas ha lanciato sotto forma dinuovo comandamento. L’undicesimo: non spre-care. Come? Iniziando a organizzare un sistemadi recupero del cibo non consumato in Expo, dadistribuire a chi è in stato di necessità. Il primopasso: un accordo stipulato con Coop. Che Ca-ritas sta cercando di estendere ad altri operatoriattivi nel sito. L’obiettivo lo spiega il vicediret-tore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti:usare i sei mesi dell’esposizione per sperimen-tare un metodo e un’organizzazione che possa-no funzionare anche dopo, e restare come ere-dità virtuosa di Expo.Quanto accaduto quella notte è dunque tornato

È

La sala delRefettorioAmbrosianodella Caritas, unimpegnoconcreto nelrecupero deglialimenti scartatiall’Expo

a ripetersi. Per ora, tre volte la settimana: il lu-nedì, il mercoledì e il venerdì. Nella notte gliaddetti della Coop recuperano le eccedenze e lesistemano sui bancali. Al mattino, un addettoCoop le porta ad un magazzino di Pieve Ema-nuele, dove un autista di Farsi Prossimo (coo-perativa di Caritas Ambrosiana) ritira la merce.A questo punto: carne e pesce vanno a Leccoper essere lavorate, il resto nelle parrocchie. Inmeno di due settimane, si sono recuperate qua-

si due tonnellate di cibo. Nella seconda metà dimaggio è stato «salvato» anche il primo ban-cale di frutta: è diventato marmellata nel labo-ratorio della cooperativa Eurosia, dove sono im-pegnate donne italiane e straniere in difficoltàprovenienti dai centri d’accoglienza della «co-stellazione» di Farsi Prossimo.Oltre che a Lecco, il cibo è stato distribuito aMilano e nel suo hinterland fra parrocchie, men-se, comunità d’accoglienza e servizi rivolti asenza tetto, stranieri, persone con disagio psi-chico e altre situazioni di fragilità. Fra questeanche il Refettorio Ambrosiano realizzato dal-la diocesi di Milano a Greco, alla periferia norddella città, aperto il 4 giugno scorso. Qui Mas-simo Bottura e altri chef internazionali si alter-neranno preparando menù di qualità a partiredalle eccedenze di Expo. E sarà un’altra sfidaalla cultura dello scarto.

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Alla nostra MENSAnon si butta nienteEcco come funziona il sistema di recupero del cibo all’ExpoVia al Refettorio Ambrosiano: gli chef al servizio dei poveri

NEL CUORE DELL’EXPOI

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La ricetta del PASTO per tuttiAiutare i piccoli agricoltori ad avere accesso alla terra, alle sementi, al creditoEcco l’azione più importante per aumentare la sicurezza alimentare nel mondo

> Francesco Chiavarini

a fame nel mondo non è un destinoineluttabile. Sconfiggerla è oggi unobiettivo alla nostra portata. Baste-rebbe avere il coraggio di partire daipiccoli agricoltori. A sostenerlo è u-

na ricerca realizzata da Caritas Internationa-lis, l’agenzia umanitaria internazionale dellecomunità cattoliche degli Stati Uniti – ilCatholic Relief Services – e un istituto di ri-cerca indipendente, Grey Matter Research &Consulting. L’indagine, che ha coinvolto 99Caritas nazionali rappresentative dell’83%della popolazione globale, è stata presentatadurante il Caritas Day in Expo, il 19 maggio,davanti ai delegati Caritas provenienti da tut-ti i continenti.Secondo la ricerca, nonostante nel mondo siproduca più cibo di quello che sarebbe ne-cessario per sfamare tutti, soltanto in un quin-to dei paesi la popolazione ha accesso a un’a-limentazione adeguata; nella metà ce l’ha so-lo parzialmente, in un terzo non ce l’ha affat-to. La sfida per eliminare la fame è, dunque,ancora enorme; tuttavia non è fuori dalla no-stra portata. Benché nel mondo siano ancora805 milioni le persone che non hanno cibo suf-ficiente, negli ultimi anni il numero è scesodi 40 milioni confermando una linea di ten-denza che dura da un ventennio.

LE CAUSE DELLA FAMECome accelerare questo processo e ridurre ilnumero di coloro che non mangiano? Se-condo lo studio, le prime tre cause dell’insi-curezza alimentare sono la mancanza di ri-sorse per i piccoli agricoltori, la bassa pro-duttività agricola e l’impatto dei cambiamenticlimatici. La chiave di volta sembra proprioessere l’agricoltura di piccola scala. Anchese ci sono state svariate risposte su come af-frontare la fame, più di un terzo di coloro che

Lhanno partecipato al sondaggio ha detto chel’azione più importante per ridurre la mal-nutrizione e l’insicurezza alimentare è aiu-tare le aziende agricole familiari ad avere ac-cesso alla terra, alle sementi, al credito e aimercati.Le proposte variano a seconda delle latitudi-ni. Ad esempio, nell’Africa sub-sahariana lasfida è difendere i contadini dalla desertifica-zione dovuta al surriscaldamento globale, tra-sferendo competenze e tecniche agricole cheaumentino la produttività dei campi nelle mu-tate condizioni climatiche. In Asia bisogne-rebbe soprattutto incoraggiare le banche aconcedere prestiti alle aziende agricole fami-liari. In Medio Oriente occorrerebbe risolve-re il problema principale: la disponibilità pertutti di acqua.

UNA SOLA FAMIGLIA UMANASecondo Michel Roy, segretario generale diCaritas Internationalis, è illusorio credere chela soluzione alla fame nel mondo possa ve-nire dall’agro-business. «Le grandi impresevogliono produrre più cibo, ma solo per ven-derne di più e questo non aiuterà chi è pove-ro ad avere da mangiare – ha spiegato –. Piut-tosto dobbiamo fare in modo che i contadi-ni possono produrre quello di cui hanno bi-sogno le loro famiglie e comunità». È versoi piccoli coltivatori che sono orientati i pro-grammi per la sicurezza alimentare promos-si da Caritas. Formazione degli agricoltori,sostegno all’agricoltura sostenibile, distri-buzione di sementi sono le tre voci di spesaprincipali. Nell’ultimo anno e mezzo, nelcorso della campagna "Una sola famiglia u-mana, cibo per tutti", ogni Caritas naziona-le ha promosso nel proprio paese singole a-zioni. In Brasile e in Nicaragua, gli abitantidei villaggi hanno imparato a conservare lesementi autoctone creole, così da rendersiautonomi dalle grandi aziende sementiere.

Le proposte pervincere la famevariano aseconda dellelatitudini, ma c’èconsenso diffusoattorno allanecessità disostenere leimprese agricolefamigliari

LA FAOMENO PERSONE

SOFFRONO LA FAMEIl numero delle persone che soffre lafame nel mondo è sceso a 795 milioni

(216 milioni in meno rispetto al biennio1990-92, vale a dire circa una persona su nove).Inoltre 72 Paesi in via di sviluppo su 129 hanno

raggiunto il primo degli Obiettivi del Millennio sta-biliti dall’Onu nel 2000, dimezzare la fame entro il2015 e 29 Paesi hanno raggiunto l’obiettivo piùambizioso posto dal Vertice Mondiale sull’Ali-mentazione del 1996 di dimezzare il numerototale delle persone denutrite entro il 2015.

È scritto nel rapporto Sofi (Lo statodell’insicurezza alimentare nelmondo) redatto da Fao, Ifad

e Pam.

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In India gli esperti hanno insegnato ai pic-coli agricoltori come produrre concime e pe-sticidi a basso costo.

AZIONI MIRATEIn Somalia le vedove dei villaggi, emargina-te, hanno cominciato a coltivare la moringa,una pianata molto richiesta. Accanto ai pro-getti sul campo, ci sono poi le proposte poli-tiche. Quattro le richieste principali di Cari-tas: promuovere in ogni paese il riconosci-mento al diritto al cibo, fermare il land grab-bing, vale a dire l’accaparramento di terre daparte delle grandi multinazionali, imporre u-na moratoria globale all’uso di agro-carbu-ranti, regolamentare la speculazione finan-ziaria sul cibo. Insomma, le ricette ci sono, ba-sta solo volerle applicare.

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SOSTEGNO ALLEAZIENDE FAMIGLIARI,MA ANCHE IMPEGNOCONTROI CAMBIAMENTICLIMATICI, LOTTA AL«LAND GRABBING»E ALLA SPECULAZIONEFINANZIARIA SUL CIBO,MIGLIORAMENTODELLA PRODUTTIVITÀAGRICOLASECONDO LARICERCA PRESENTATAAL «CARITAS DAY»VINCERE LA FAMEÈ UN OBIETTIVO ALLANOSTRA PORTATA

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UNA «ROCCIA» LO SPAZIO DELLA SANTA SEDEUna roccia, presente prima dell’inizio di tutto. Così è statopensato il padiglione della Santa Sede, ci spiega l’architettoMichele Reginaldi, dello studio Quattroassociati. All’interno sonosuggeriti gli spazi della tradizione cristiana: due archi a mezzavolta e il fratino ricordano un convento: immagine di lavoro,preghiera ma anche condivisione del cibo. Il movimento circolareattorno al tavolo suggerisce l’idea del chiostro. L’ingresso è unafenditura nella roccia, la caverna della simbologia cristiana. Unatenda gialla – colore vaticano – crea una luce dorata e nascondela breccia: racconta che dentro c’è qualcosa da scoprire. Sullepareti esterne le frasi "Non di solo pane" e "Dacci oggi il nostropane" sono tradotte in 13 lingue. Le strutture di metallo colpitedalla luce proiettano ombre e le parole sembrano piovere comeuna manna dal cielo: la parola nutre.

TINTORETTOE RUBENSDall’alto, dallaparete di fronteall’ingresso,l’"Ultima Cena"del Tintorettosovrasta lospazio delpadiglione.L’opera, un oliosu tela di221x413centimetri,

arriva direttamente dalla Chiesa di San Trovaso a Venezia e stupiscecon la sua concretezza. Cristo e gli Apostoli sono dipinti nelmomento in cui è annunciato l’imminente tradimento. L’innovativaprospettiva di un tavolo che viene incontro a chi guarda l’opera èsottolineata anche dai dettagli molto umani del racconto: ci sonosedie in paglia grezza rovesciate, gli Apostoli sono seduti su sgabelli,c’è chi si butta indietro stupito, chi si accascia sul desco quasidolorante, tra avanzi di cibo e bevande. L’opera sarà sostituta inestate con un arazzo di Rubens, l’"Istituzione dell’Eucaristia".

MOSTRA FOTOGRAFICA E FILMSulla parete fotografica che accoglie ivisitatori sono in mostra immagini difotografi di fama - come lo spagnoloFerran Paredes Rubio - ma ancheviaggiatori, studenti, reporter,volontari. L’esposizione è comeun’onda, spiega Lia Beltrami, curatricedella mostra e produttrice dei trefilmati proiettati di fronte. Tra le duepareti c’è una connessione. Le fotosollevano problemi, con scatti sulleferite dell’umanità, i cortometraggipropongono soluzioni. La prima partedell’onda è dedicata ai conflitti e ilreportage da Erbil, Iraq, trovanell’accoglienza la risposta adeguata.Le immagini sul disequilibrioeconomico e sociale cercano unasoluzione nel cortometraggiosull’Ecuador, pane per tutti. E ladevastazione ambientale è trattatadal film sul Burkina Faso, con propostesulla salvaguardia del Creato.

Un padiglionenon di solo PANE

IL TAVOLO INTERATTIVOIl fratino, tavolo della tradizione antica, è qui reso moderno etecnologico da un’installazione video interattiva firmata dallasquadra di giovani creativi milanesi di Mammafotogramma.Sensori a 80 centimetri l’uno dall’altro attivano i video ognivolta che un visitatore si avvicina al tavolo e immagini dimani in soggettiva - sembrano quelle di chi è lì che guarda -si muovono e compiono azioni diverse fino a interagire tra diloro. Il tavolo diventa così simbolo della vita stessa dell’uomo,della sua attività, luogo della convivialità e della condivisionedel cibo, ma anche spazio del gioco, della legge, dellapreghiera, della cura, del lavoro dell’artigiano. Per conosceretutte le storie occorre essere in tanti attorno al tavolo.

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a volato alto se-guendo le rotte deifalchi e si è inabis-

sato nuotando con gli squa-li, ha guidato sottomarini edeltaplani, là dove non esi-steva uno strumento adat-to per avvicinarsi alla na-tura che voleva raccontare

se lo è fatto costruire. Nato a Lille nel 1955, NicholasHulot ha esordito come giornalista, ma la trasmis-sione televisiva che conduceva, "Ushuaïa Nature",a un certo punto ha cominciato a condurre lui sullastrada dell’impegno ambientalista. La missione di-chiarata di Hulot – Commissario generale della Con-ferenza mondiale 2015 sul Clima, e protagonistadel Cortile dei Gentili nel National Day della San-ta Sede – è sensibilizzare un pubblico sempre piùvasto sui temi della sostenibilità, di un mondo piùequo e solidale, e per meglio sostanziare e diffon-dere le sue posizioni ha dato vita nel 1990 alla Fon-dation Nicholas-Hulot pour la nature e l’homme. U-na struttura che si prefigge di cambiare le abitudinie i comportamenti individuali e collettivi virandoliverso una maggiore consapevolezza. Le scelte pic-cole e grandi – sostiene Hulot – hanno un impattosul mondo che ci circonda: sta a noi decidere se conun segno positivo o negativo.

Nicoletta Martinelli© RIPRODUZIONE RISERVATA

H erché l’orchestra protagonista al National Day del-la Santa Sede si chiami così, Esagramma, lo capi-sci solo quando li vedi e li senti suonare: quel rigo

in eccesso marca una differenza, si spinge oltre il mode-rato, va al di là del solito. Nessuno dei componenti sa-rebbe ammissibile in un’orchestra che si limiti al cano-nico pentagramma perché nessuno di loro sa leggere u-na nota né sa il solfeggio cosa sia. Eppure suonano alla

grande suscitandoovunque applausitanto scrosciantiquanto sinceri: sonobambini, ragazzi egiovani adulti conritardi cognitivi, sin-drome autistica, di-sturbi gravi dello

sviluppo, difficoltà motorie o sensoriali. Concentrati perdue ore dietro i loro strumenti, attraverso la musica en-trano in comunicazione con se stessi e col pubblico.Non sono solo le corde degli strumenti a vibrare ma vis-suti e sentimenti, diventando gli strumenti voce dell’ani-ma e linguaggio del cuore. Negli anni Esagramma ha a-perto nuovi centri in tutta Italia, l’Orchestra è diventatapolicentrica e anche le esperienze internazionali si sonomoltiplicate. Un cammino verso la prospettiva di un’au-tonomia collettiva e di una possibilità di incontro sem-pre più allargata. Per informazioni: www.esagramma.net.

N.Ma.© RIPRODUZIONE RISERVATA

P

I VOLTI della terracustodi del creato

L’11 GIUGNO UNA GIORNATASPECIALE CON IL «NATIONALDAY» DELLA SANTA SEDEPER RICORDARE CHE ILRAPPORTO CON IL PIANETAE CON IL CIBO VA VISSUTOALL’INSEGNA DELLA SOLIDARIETÀ,NON DELL’ACCAPARRAMENTOE DELLA SOPRAFFAZIONE

> Mimmo Muolo

rendete il volto di un bambinodenutrito dell’Africa e quello diun broker di Wall Street, il vol-to di un uomo in fuga dalla guer-ra e quello di un giovane del co-

siddetto primo mondo in cerca di occupa-zione, il volto di chi cerca inutilmente disedersi alla tavola dell’abbondanza e quel-lo di chi fa la dieta dimagrante. Il volto dichi non vedrà mai la luce e quello di un an-ziano per il quale si invoca l’eutanasia. Checosa mai avranno in comune questi cam-pioni di quella che una volta si chiamava"varia umanità"? Il minimo comune deno-minatore tra loro è messo bene in eviden-za al National Day della Santa Sede pres-so l’Expo di Milano (l’11 giugno). Perché«i volti della terra», tema di uno dei duemaxi eventi della giornata, è proprio il fi-lo scelto per questa giornata speciale, cherilancia i temi del padiglione della Santa Se-de, a partire dalle frasi simbolo, «non di so-lo pane» e «dacci oggi il nostro pane quo-tidiano». Volti richiamati anche dal Papa nelsuo videomessaggio del primo maggio al-l’inaugurazione della grande kermessemondiale, dietro i quali vivono e interagi-scono (quando non si scontrano) uominidonne e bambini che riempiono ogni an-golo della Terra.

TUTTI FRATELLIIl National Day della Santa Sede ricordadunque che quei volti non sono di nemici,ma di fratelli; che il rapporto con la Terrae con il cibo non può essere vissuto all’in-segna dell’accaparramento e della sopraf-fazione, ma della solidarietà; e che per fa-re tutto questo bisogna mettere da parte l’i-dea della "signoria dispotica", per abbrac-ciare invece la categoria bergogliana dellacustodia. Custodi del creato e custodi de-gli uomini. Sono questi i due grandi cardi-ni della giornata. Sia nel momento istitu-zionale del mattino, con la partecipazionedi tre cardinali: Gianfranco Ravasi (Com-missario centrale della partecipazione del-la Santa Sede all’Expo), Angelo Bagnasco(presidente della Cei) e Angelo Scola (ar-civescovo di Milano), oltre che del sosti-tuto della segreteria di Stato, l’arcivesco-vo Angelo Becciu. Sia nel Cortile dei gen-tili pomeridiano (intitolato proprio "I vol-ti della Terra"), con il confronto tra cre-denti e non credenti cui partecipano Nico-las Hulot, Commissario generale dellaConferenza Mondiale 2015 sul Clima eGiuliano Amato, presidente della Fonda-zione Cortile dei Gentili (la sede unica peri due eventi è l’Auditorium Expo, a 100 me-tri dal padiglione della Santa Sede).La Giornata è stata concepita come una ri-

Pflessione a più voci sul magistero di PapaFrancesco e sul messaggio che la Chiesa,con la sua partecipazione all’Esposizione,vuole lanciare alla grande famiglia del pia-neta. "Non di solo pane vive l’uomo". Det-to in termini più laici, se davvero voglia-mo dare da mangiare all’intero pianeta (o-

biettivo oggi tecnicamente raggiungibile)più che alle risorse materiali, bisogna guar-dare a quelle etiche. L’unica strada per farsì che quei volti siano veramente umani enon mere fototessere di un mosaico mani-polabile a piacimento.

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Sopra, ilcardinaleGianfrancoRavasi,Commissariocentrale dellapartecipazionedella SantaSede all’Expo

Consapevolezza,la lezione di Hulot

Esagramma, musicacon un rigo in più

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Le DIECI tappe dell’ExpoLa «libreria» del Padiglione Zero, lo spazio della Santa Sede e l’Edicola CaritasPoi la copia della Madonnina, la visita al presidio Slow Food... Ecco la nostra mappa

> Francesco Anfossi

i può gustare Expo Milano 2015 an-che attraverso un percorso spiritua-le, civile e religioso. Un viaggio perarricchire non solo gli occhi, ma an-che l’anima. Noi ve ne proponiamo

uno, partendo proprio da quel Padiglione Ze-ro (1) che è considerato la porta della manife-stazione, con le sue dodici sale realizzate daMichele De Lucchi e trasformate in raccontovisivo del rapporto millenario tra uomo e ci-bo. Una delle meraviglie dell’esposizione èl’immensa libreria in legno, ricca di cassettisimboleggianti la memoria dapreservare. Si ispira a Sant’A-gostino, che descriveva il pas-sato come memoria, il futuro co-me attesa e il presente come vi-sione. Ed eccoci sul Decumanoe al suo colpo d’occhio. Voltan-do lo sguardo a sinistra, c’è l’e-dicola della Caritas (2), un cu-bo spezzato che simboleggia an-che architettonicamente la condivisione comericchezza. Entrando si viene subito colpiti daun’opera dell’artista Wolf Vostell, "Voglia dipace": una vecchia e arrugginita Cadillac e unmuro di filoni di pane sono i simboli di unmondo sazio e di un mondo affamato.

L’ANIMA DELL’EXPOProprio a fianco alla Caritas non può non cat-turare la nostra attenzione il padiglione dellaVeneranda Fabbrica del Duomo, sormontatoda una riproduzione della Madonnina in sca-la originale (3): l’occasione unica per vederela Madonnina da vicino, senza lo sguardo pun-

Stato all’insù. Percorriamo qualche centinaio dimetri ed eccoci di fronte a un altro simbolo del-l’anima di Expo 2015: il Padiglione della San-ta Sede (4), l’unico che invece di vendere o re-galare qualcosa, come cibo, prodotti della ter-ra, articoli di ristorazione, libri, depliants egadget, chiederà ai suoi visitatori di donareper la fame nel mondo e per le opere di caritàdella Chiesa. Questo cubo di cemento cosìsemplice contiene una autentica perla che va-le il prezzo del biglietto di Expo: L’Ultima Ce-na del Tintoretto, proveniente dalla chiesa diSan Trovaso a Venezia, così diversa da quelladi Leonardo: impetuosa, drammatica, carna-

le, con sedie cadute e pane spar-so sulla tavola, come se la de-vastazione delle anime e dei cor-pi seguisse all’annuncio deltradimento. Vale la pe-na di inserire nel per-corso della visita,anche in un se-condo mo-ment, Casci-

na Triulza (5), non lonta-no dal padiglione, anticacostruzione rurale giàpresente nel sito esposi-tivo restaurata proprio inoccasione della Kermes-se. Uno spazio unico ri-servato al Terzo settore, maanche un luogo in cui a-ziende, istituzioni pubblicheed organizzazioni internazio-nali possono dare visibilità e va-lore alle proprie attività.Camminiamo per qualche centinaio di

Dieci tappe danon perdereper dare unsignificatoalla visitaall’esposizionedi Milano

metri – il tempo di una sosta allo stand di Sa-ve The Children (6), dedicato alla protezionedell’infanzia nel mondo, uno dei padiglionipiù "vivi" e vivaci per la presenza di tanti gio-vani volontari sempre disponibili a illustrare iprogetti dell’Organizzazione – ed eccoci difronte al padiglione della Famiglia Salesiana,la Casa don Bosco (7), struttura semplice edessenziale (come nello spirito della congrega-zione), aperta a tutti in un ambiente accoglientee familiare.

CIBO E NON SOLOCome ogni struttura salesiana è anche casa,scuola (ricca di percorsi didattici), luogo dicrescita e maturazione, consigliabile soprat-

tutto alle scolaresche in visita all’Expo e al-le giovani generazioni, che possono

incontrarsi all’interno del corti-le. Concludere, proprio in fon-

do al Decumano, con la vi-sita al presidio Expo di

Slow Food (8), con lesue mostre interattivededicate alla culturadi Terra Madre, si-gnifica uscire dallakermesse più ricchiinteriormente, pre-parati e consapevo-li. E dopo questo iti-

nerario si può passa-re a tutto il resto. Sen-

za dimenticare ovvia-mente Palazzo Italia (9),

all’ombra dell’Albero dellaVita (10)

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UN PERCORSOSPIRITUALE, CIVILEE RELIGIOSOUN VIAGGIO PERARRICCHIRE NONSOLO GLI OCCHI,MA ANCHE L’ANIMARESPONSABILMENTE

DA SAPERECARDO E DECUMANO

Il Decumano è il lungo viale centralelungo il quale si snodano tutti i padiglioni

dell’Expo. Il nome deriva dal latino "decumanus",la via che correva in direzione Est-Ovest nelle

città sviluppate dal castrum, l’accampamento roma-no. All’Expo è lungo 1.500 metri, e per percorrerlo

tutto a passo normale servono almeno 20 minuti. Sudi esso si affacciano i padiglioni dei paesi partecipantie i cluster tematici. È attraversato da 32 viali, il prin-cipale di questi, proprio come nelle città romane,è il Cardo, lungo 350 metri, da Nord a Sud. Al-

l’incrocio tra Cardo e Decumano c’è Piaz-za Italia, da dove si parte per raggiun-

gere Palazzo Italia e l’Alberodella Vita.

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1PADIGLIONE

ZERO

8SLOWFOOD

2EDICOLACARITAS

3MADONNINA

6SAVE THECHILDREN

7CASA

DON BOSCO

10ALBERO DELLA

VITA4PADIGLIONE

S.SEDE

9PALAZZO

ITALIA

5CASCINATRIULZA

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fare digerire a nazioni ricche, come posso-no essere sostenuti dai paesi in via di svi-luppo?È chiaro che nei paesi in via di sviluppoquesto può determinare delle rinunce a for-

> Pietro Saccò

n un contesto di cambiamento cli-matico i progressi delle tecniche a-gricole rischiano di servire a ben po-co: gli effetti del riscaldamento glo-bale potrebbero spazzare via i bene-

fici di ogni passo avanti. «È chiaro: parlia-mo di rischi, non di certezze. Ma questa èl’aspettativa che deriva da molti studi in-ternazionali» spiega Roberto Zoboli, do-cente di Politica economica all’UniversitàCattolica di Milano.Lo scenario, dunque, è pessimo. In che mo-do lo si può contrastare?Ci sono due strade con cui l’agricolturapuò rispondere al cambiamento climatico,e sono due strade che si possono percor-rere insieme. La prima è quella della "mi-tigazione" e consiste nel ridurre, per quan-to possibile, i fattori considerati all’origi-ne del cambiamento climatico; la secondaè quella dell’"adattamento", e consiste nel-l’organizzarsi per essere pronti alle possi-bili conseguenze negative del cambiamentodel clima.Sembrano strade semplici, in teoria. Ma lenazioni le stanno realmente percorrendo?Da un punto di vista politico oggi c’è unasolida consapevolezza del problema. Sulfronte delle riduzioni delle emissioni deigas serra, e quindi della mitigazione, i pro-gressi sono noti. Ma ci sono passi avanti an-che per quanto riguarda l’adattamento. Al-l’interno delle politiche per il clima esisteuna specifica linea di intervento sull’adat-tamento, alla Conferenza sul cambiamentoclimatico di Cancùn, nel 2010, è stato chie-sto a ogni Paese di fare un suo piano di a-dattamento. In Europa molti lo hanno fat-to; l’Italia lo ha lanciato a livello nazionaledue anni fa. Ma preparare piani di adatta-mento efficaci è estremamente complesso.Perché è così difficile?C’è una difficoltà tecnica. Penso ad esem-pio al piano preparato dall’Italia, che hamolti elementi interessanti ma mi lasciaqualche perplessità sulla sua efficiacia.Manca il passaggio dai buoni piani alle buo-ne pratiche. Per esempio: molte città stan-no preseguendo la strategia delle smart ci-ties, ottima idea, questa delle città tecnolo-gicamente avanzate, ma la maggior partedei progetti non incorpora il rischio clima-tico. E quindi come può essere “smart” u-na città che va sott’acqua appena piove?E poi ci sono le difficoltà politiche...La questione è la solita: i costi ci sono su-bito, i benefici arrivano molto dopo, quin-di la scelta politica è complessa. È già dif-ficile per la mitigazione, ma molto di più perl’adattamento. Perché tagliare le emissionie montare qualche pannello solare è moltopiù semplice che, per esempio, prepararsi aun mondo con una minore disponibilità i-drica e quindi spostare la produzione agri-cola verso colture meno dipendenti dal-l’acqua. Serve una diversa intelligenza delproblema.Se i costi dell’adattamento sono difficili da

I ti incrementi di produttività dei campi,per esempio l’adattamento comporta larinuncia alla fertilizzazione intensiva erichiede tecniche di aratura più leggere.In alcune aree può essere un problema

grosso. Ma anche neipaesi in via di svi-luppo oggi c’è laconsapevolezza cheun’agricoltura piùsostenibile è più du-ratura, e così preser-va il capitale agrico-lo di un popolo.

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«Rischio CLIMATICOservono scelte forti»

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All’Expo i FIORI del creditoOtto padiglioni riforniti da due fratelli toscani. Aiutati dalle Bcc> Antonella Mariani

all’Estremo Oriente alSudamerica: un "giro delmondo" con i fiori, quel-lo compiuto da un pic-colo vivaio toscano gra-

zie ad Expo2015. Una imponentemagnolia per il Brasile, allegri ce-spugli gialli di euvonimus per la Ci-na, a offrire l’illusione ottica di uncampo di grano, piante tropicali epalmizi per la Malesia… Tutto ma-de in Italy al cento per cento. La sto-ria dei fratelli Mungai è una tipicastoria italiana: un piccolo vivaio aPistoia, tramandato dal bisnonnoGiovan Battista, detto l’americanoperché era stato in Argentina, giù giùfino a uno zio. Nel 2010 i due nipo-ti, Giacomo e Francesco, 60 anni indue, hanno rilevato i Vivai MGF e

hanno impresso la loro svolta.Il mercato italiano era saturo, biso-gnava andare a Est. Molto a Est. InCina, precisamente. "Era una scom-messa", racconta Giacomo. Di fierain fiera, i due fratelli toscani sonostati avvicinati per il padiglione ci-nese all’Expo. E da lì è stato un cre-scendo: i fiori e le piante di Giaco-mo e Francesco abbelliscono 8 rap-presentanze nazionali (ecco l’elen-co per i più curiosi: Brasile, Male-sia, Uruguay, Messico, Cambogia,Brunei, Israele e appunto Cina).Il bello è che per i due fratelli non sitratta solo di lavoro, e difatti ognipianta (o perlomeno, le più impor-tanti) ha il suo nome di battesimo: co-sì la grande magnolia si chiama Vio-la, come la figlia neonata di France-sco, e le due Sophora japonica chesi fanno ammirare all’interno del pa-

diglione cinese si chiamano una Re-gina e l’altra il suo corrispettivo inlingua locale, Huangou, "in onoredella mia cagnolini morta due mesifa", racconta Giacomo.Per restare in tema, per i Mungai nonè stato sempre rosa e fiori: l’azien-da, che oggi conta 8 dipendenti ol-tre ai due fratelli, ha avuto un mo-mento di grande difficoltà quando,subito dopo il ricambio generazio-nale, una fabbrica del circondariosversò sostanze inquinanti nel fiumeda cui il vivaio traeva l’acqua per l’ir-rigazione. Metà della produzioneandò perduta e fu solo con l’aiutodella banca di cui sono soci, la Bcc,hanno rimesso… le radici. Pronti apartire per l’Oriente e per approda-re, cinque anni dopo, alla grande av-ventura dell’Expo.

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ZOBOLI (CATTOLICA):«TAGLIARE LE EMISSIONI EMONTARE PANNELLI SOLARI È PIÙSEMPLICE CHE PREPARARSI A UNMONDO CON MINOREDISPONIBILITÀ IDRICA E SPOSTARELA PRODUZIONE AGRICOLAVERSO COLTURE MENODIPENDENTI DALL’ACQUA»

Mitigazione eadattamento, ledue strade peraffrontare ilcambiamentoclimatico, spiegaRoberto Zoboli,docente dipoliticaeconomica allaCattolica diMilano, doveinsegna ancheall’Alta scuola perl’ambiente

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mercato: «Se oltre a coltivarlo, il riso lo ven-diamo al consumatore il guadagno è quattro vol-te superiore», spiega. Per la campagna "Abbia-mo riso per una cosa seria. La fame si vince infamiglia" la Focsiv ha scelto proprio lui cometestimonial, perché rappresenta il connubio tratradizione familiare e agricoltura sostenibile.«Per la concimazione utilizziamo il compost,un mix di sostanze organiche biocompatibili –afferma –. Per la tostatura ho fatto da cavia a ungruppo di giovani ingegneri novaresi che han-no creato una caldaia alimentata solo con pro-dotti naturali. Ha funzionato».

IL CASO DI HAITIE Haiti? Qui la produzione risicola, unico pun-tello di un Paese poverissimo, è stata asfaltatada calamità naturali e dalla concorrenza del ri-so statunitense, favorita da una spregiudicatapolitica doganale prima del Fondo monetariointernazionale nel 1986 e poi dal presidente BillClinton che nel ’94 aiutò il ritorno dell’allora pre-sidente Aristide e questi in cambio abbassò i da-zi doganali sul riso dal 22 al 3%. «Fino agli an-ni ’80 la produzione di riso e caffè nel Paese e-ra buona e Haiti riusciva anche a esportare –spiega Marco Bello, capo progetto dell’asso-ciazione torinese Cisv sul riso sostenibile – poiè crollato tutto: la gente ha abbandonato in mas-sa le campagne, molti sono emigrati nella Re-pubblica Dominicana». Il riso americano costamolto meno di quello locale e le famiglie hai-tiane scelgono quello low cost. Nella Valle del-l’Artibonite, a nord della capitale Port-au-Prince, il progetto Cisv, finanziato dalla Caritas,sta tentando di migliorare la vita del riso. I pri-mi segnali sono buoni: «A Bocozelle, metten-do insieme oltre 50 organizzazioni contadine –fa sapere Bello – in pochi mesi siamo riusciti araddoppiare la produzione di riso, passando dauna resa di 2,5 tonnellate per ettaro a 5».

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> Antonio Sanfrancesco

utre un quinto della popolazionemondiale, il 90% della produzione suscala globale arriva dai Paesi asiaticicon Cina e India in testa. L’Italia è ilmaggior produttore europeo. Molte

famiglie di contadini che lo coltivano però nonriescono a guadagnare abbastanza per poter vi-vere dignitosamente, schiacciati da speculazionieconomiche e dalla corruzione dei governi loca-li. È uno dei paradossi che racconta il cluster delriso all’Expo, cereale attorno al quale si combat-tono guerre silenziose che condannano alla fameinteri popoli e innescano migrazioni di massa. Apoco meno di 50 chilometri dal cluster del riso,a Vespolate, in provincia di Novara, si trova la ca-scina di Fabrizio Rizzotti, risicoltore che pur co-sì distante ha molto in comune con i contadini diBocozelle, nella Valle dell’Artibonite, ad Haiti,il Paese devastato dal terremoto del 2010.

LA FINE DEI DAZIRizzotti coltiva il riso da sette generazioni e dal1998 ha deciso di trasformare e vendere a "chi-lometro zero" il suo riso. Ora deve lottare con-tro Bruxelles che ha deciso di far entrare in Eu-ropa il riso asiatico a costi troppo bassi, facen-do una concorrenza micidiale ai pro-duttori italiani. «Soprattutto a quellipiccoli come me – spiega – che fan-no un prodotto di qualità ma fatica adimporsi sul mercato». Le importazio-ni incriminate arrivano da Cambogiae Myanmar, favorite dall’azzeramen-to dei dazi doganali decretato nel 2011con l’Everything but Arms, un pianoeuropeo di solidarietà con cui si sonoliberalizzate le importazioni di prodotti dai Pae-si meno sviluppati. Di reintrodurre i dazi, comechiedono i produttori, l’Europa non ne vuole sa-pere. Rizzotti ha deciso dunque di cimentarsi col

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Per difendersi da Ogm e fine dei dazi Fabrizio Rizzotti è passato al «chilometro zero»E nel Paese caraibico i piccoli produttori sfidano il mercato per tornare competitivi

Tempi duri peri piccoliproduttoriitaliani di riso(nella fotoFabrizioRizzotti)Per competereservonoqualità enuove formuledi vendita

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> Antonio Maria Mira

a luogo di sofisticazioni eluogo di produzioni diqualità. Dall’illegalità al

riscatto. Dallo sfruttamentoall’integrazione. È Villa Verenanel comune di Torchiarolo(Brindisi). Era di Tonino Screti,il “cassiere della Sacra CoronaUnita”, la “quarta mafia”pugliese, nata proprio in questoterritorio nel 1981. Luogo disporchi e ricchi affari. Accantoalla grande masseria sorgeva uncomplesso produttivo di vino.Malgrado fosse circondato dadecine di ettari di vigneto, il vinoera in gran parte adulterato. Nehanno avuto conferma i giovanidella cooperativa Terre diPuglia–Libera Terra, nata nel2008, che nel maggio 2010hanno avuto in gestione tuttal’area confiscata da anni mabloccata per un’ipoteca bancaria.Enormi cisterne in cementoarmato, quasi dei bunker, dovel’uva era un lontano ricordo. Orafervono i lavori, le cisternevengono distrutte per far posto auna moderna cantina per vini diqualità, 4 rossi e 2 rosati, che giàla cooperativa realizza in altrecantine. Grazie a unfinanziamento del Pon sicurezzadel Viminale, la produzione saràtraferita qua, segno concreto dicambiamento. Anche nei nomidei vini: Renata Fonte, assessoredi Nardò uccisa nel 1984; Antò,dedicato ad Antonio Montinario,uno degli uomini della scorta diGiovanni Falcone; Alberelli de laSanta dedicato a GaetanoMarchitelli e Michele Fazio,giovani vittime innocenti dimafia; Hiso Telaray, immigratoalbanese di 22 anni ucciso per lasua lotta contro i caporali. E nonè un caso che nelle vigne dellacooperativa lavorino siaimmigrati che detenuti.

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UOMINI E NATURA

Il buon lavoronella vignalibera dalla mafia

Novara e Haiti unite dal RISO

BRUXELLES HA DECISODI FAR ENTRARE INEUROPA IL RISOASIATICO A COSTITROPPO BASSIA PORT-AU-PRINCE LACONCORRENZA È ILCEREALE AMERICANO

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> Diego Motta

ostenibilità? Fa rima conmobilità. In occasione di Expo,sempre più imprese del settore

energetico hanno scelto discommettere sul territorio, perpromuovere una nuova cultura civica.Uno degli esempi più recenti, nelMilanese, ha coinvolto il Comune diCorbetta e la società E.On. A fine2014 l’azienda ha infatti avviato unaserie di iniziative nell’ambito delprogetto "LET3 - Il circuitodell’energia efficiente". Oltre a fornirela sede del Comune di Corbetta e diVilla Pagani Della Torre di energiaverde al 100%, E.On ha sponsorizzatouno dei percorsi ciclo-pedonalipromossi dalla Fondazione Cariplo epatrocinati da Expo 2015.Investire in mobilità, garantendo areeprotette alla cittadinanza che vuolespostarsi, possibilmente a contatto conla natura circostante, è da tempo unadelle priorità delle amministrazionilocali ed è significativo sia diventatosempre di più un asset anche per lepiù grandi aziende del mercatoenergetico. Nel caso di Corbetta, ilfinanziamento dell’opera si è tradottoin due importanti progetti disostenibilità ed efficienza per lacomunità locale: la messa inefficienza del sistema d’illuminazionedel parco comunale di Villa PaganiDella Torre con l’utilizzo dellatecnologia Led e la realizzazione diuna stazione di "bike sharing" perbiciclette elettriche presso la centralePiazza del Popolo. Il legame tra E.Oned Expo si consoliderà ulteriormentenel padiglione "Cibus è Italia" pressolo stand Goglio, azienda leader neisistemi di imballaggio da oltre 160anni e con cui E.On ha unapartnership consolidata da moltotempo.

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tire che si verifichino le condizioni peruna carestia. Voto trasparente e regola-re, media liberi e indipendenti, dibatti-to pubblico autentico, partecipazionespontanea sono un buon antidoto con-tro le carestie. E l’istruzione? Anche quest’ultima lo è?Grazie all’istruzione i popoli acquisi-scono la capacità di risolvere i loro pro-blemi. Perché crea menti pensanti, sti-mola il dibattito, l’approccio critico. Perquesto, è un’arma potente contro la fa-me, intesa come prodotto di determina-te condizioni politiche, sociali ed eco-nomiche. Allo stesso modo, però, la fa-me frena l’istruzione e, di conseguenza,il progresso e l’emancipazione dei po-poli. È difficile che un bambino possaapprendere e sviluppare appieno il pro-prio potenziale quando ha lo stomaco

vuoto. Il cibo è unfattore chiave nelfavorire l’appren-dimento. Daquando alcuniStati indiani han-no iniziato a for-nire agli alunniun pasto, i pro-gressi son statinotevoli.

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> Lucia Capuzzi

on è un fatto naturale. AmartyaSen ne è convinto fin da quan-do era un giovane ricercatorea Cambridge, negli anni 60.La fame è un prodotto econo-

mico, sociale e politico. Come tale puòe deve essere trattato. E, magari, risolto.Per averne la prova "matematica", Senha preso in esame le carestie che hannocolpito l’Asia nel corso del Novecento.Attraverso calcoli complessi, l’econo-mista e filosofo ha dimostrato che que-ste non erano dovute a penuria di cibo maa disparità di reddito. Le sue riflessioni,messe nere su bianco in "Poverty and Fa-mines" (Povertà e carestie) del 1981, glisono valse il Nobel per l’Economia, nel1998. Sen, ormai 81enne, è un punto diriferimento imprescindibile per gli studisu fame e disuguaglianza. Un binomioperverso. Che si riassume nel concetto«capacità di procurarsi il cibo». «In un’e-conomia di mercato, la variabile fonda-mentale è la quantità di cibo che una per-sona può acquistare o produrre», ha af-fermato lo studioso appena dopo aver fir-mato la "Carta di Milano". Sen è arriva-to nel capoluogo lombardo per Expo2015, nell’ambito di un’iniziativa orga-nizzata dalla Cooperazione italiana.Professore, dunque, il persistere della fa-me nel mondo non dipende dall’incapa-cità del pianeta di produrre cibo a suf-ficienza…Qualche connessione tra fame e produ-zione di cibo – che ne determina la di-sponibilità su un determinato mercato –esiste, è ovvio. Si deve fare, però, atten-zione a non assolutizzare questo rappor-to. Anche perché nei decenni, la produ-zione alimentare è cresciuta molto piùdella popolazione.E allora perché circa 800 milioni di per-sone soffrono la fame?Il fatto che il cibo ci sia non determinache una persona o una famiglia possa per-mettersi di comprarlo. E qua entra in gio-co il fattore politico. Un governo ha ilpotere di ridurre o sconfiggere la fame at-tuando una serie di misure, che vanno daisussidi, a politiche per aumentare l’oc-cupazione e per proteggere l’ambiente.Che cosa c’entra l’ambiente con la fame?Spesso tendiamo a ridurre la questione e-cologica al problema del riscaldamentoglobale. Quest’ultimo esiste e ha deglieffetti devastanti soprattutto sul Sud delmondo. Non è sufficiente, però, "non in-quinare". La cosiddetta economia verde– la ricerca di risorse sostenibili – puòrappresentare un fattore di sviluppo im-portante per i Paesi poveri.Lei ha elaborato il concetto di non com-patibilità tra democrazia e carestia.Quando una democrazia è davvero tale,il governo è soggetto ad esame da par-te dei cittadini, ed esposto alle critiche.Se vuole sopravvivere non può consen-

NSen: l’ECOLOGIAper aiutare i poveriIl Nobel per l’Economia all’Expo firma la Carta di Milano«I governi possono rimuovere le condizioni delle carestie»

Secondo ilpremio Nobelper l’Economia,Amartya Sen(sotto), gliinvestimenti nelleenergie pulitepossonocontribuire aridurre la povertà

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«È DIFFICILE CHE UN BAMBINOPOSSA APPRENDERE E SVILUPPAREAPPIENO IL PROPRIO POTENZIALEQUANDO HA LO STOMACOVUOTO. IL CIBO È UN FATTORECHIAVE NEL FAVORIREL’APPRENDIMENTO. SERVONO PIÙISTRUZIONE E DEMOCRAZIA PERVINCERE LA FAME, MA ANCHESOSTENERE LO SVILUPPODELL’ECONOMIA VERDE»

IL PROGETTO

Mobilità efficienteA Corbettaluci e Bike sharing

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> Pino Pignatta

francesi per l’Esposizione Universaledel 1889, che celebrava i cent’anni del-la Rivoluzione, hanno tirato su la TourEiffel. Qui abbiamo montato 27 milio-ni e 800 mila chili di carpenteria in me-

no di due anni, che di Torri Eiffel ne fanno qua-si quattro. In più qui c’è un lavoro di 1.200.000metri quadrati, ci stanno dentro 180-190 ca-pi di calcio di serie A. Abbiamo 200.000 me-tri quadrati di viabilità interna, come 13 kmdi autostrade. In tutto ci hanno lavorato 1.350imprese e dal 2010 ai primi del 2014 circa5.000 operai ogni giorno. Che per la stretta fi-nale, sono diventati 9.000». Chi racconta èl’uomo dell’Expo, Romano Bignozzi, 78 an-ni, che il giorno dell’inaugurazione ha ab-bracciato il premier Renzi. Bignozzi è il ca-po cantiere di tutto l’Expo. Se si è arrivati al-l’inaugurazione in tempo, se i padiglioni di145 Paesi sono visitabili e costruiti come sideve, molto del merito è di questo signore ve-ronese, vedovo da 25 anni, padre di 3 figlie,nonno di 4 nipoti, tutte femmine, che ha ini-ziato a lavorare qui nel 2009, all’inizio 8-10ore il giorno, poi quando i giochi si sono fat-ti duri anche 14-15 ore il giorno. Bignozzi, tutto per ora fila liscio, ma qualchePaese l’ha fatta arrabbiare, dica la verità?Abbiamo dovuto soccorrere un 10% cento dipadiglioni: si sono accorti che facevano fati-ca a finire. Allora ho fatto le tabelle con i buo-ni e i cattivi. E gli ultimi, tipo Emirati Arabie Corea, gli ho strigliati ben bene.Cattivi in che senso?Erano in ritardo per i materiali che arrivava-no dall’estero. Ad esempio, gli Emirati Ara-bi: i pannelli delle dune, circa 1.200, alti 12metri, li hanno fatti in Cina. Come tanti altrimateriali, con le conseguenti difficoltà logi-stiche di trasporto e consegna. La stessa Ci-na: tutti i bambù del tetto li ha fatti "in casa"e trasportati via nave: ci sono voluti tre mesi.I padiglioni più complicati?Kuwait, Germania, Cina, Emirati.I più semplici?Ungheria, Romania, Lettonia, Estonia.A parte il nostro, il Padiglione Italia, quali so-no i più ricchi dal punto di vista della com-plessità cantieristica e degli arredi?Gli Emirati Arabi è pieno zeppo di curiosità.Il Giappone anche, tanto che è quello con lecode più lunghe per entrare. Molto ricchi an-che quelli della Germania e del Kuwait. Qua-si tutti i Paesi arabi e asiatici hanno progetta-to padiglioni sofisticati.Le code maggiori?Quasi sempre gli Emirati Arabi, 30-35 minu-ti di attesa, il Giappone e il Brasile. Abba-stanza veloci invece, perché hanno due en-trate, Kuwait, Germania e Svizzera.La sua responsabilità in cantiere?Per prima cosa ho fatto valutazione delle o-pere, lo studio dell’esecuzione. È la mia spe-cializzazione: pianificare i lavori, possibil-mente al centesimo. Ho lavorato all’esterotanti anni: Honduras, Guatemala, Messico,Stati Uniti, Africa, sempre per cantieri gigan-

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Romano Bignozzi, 87 anni, ha 3 figliee 4 nipoti femmine. È il capocantieredell’Esposizione: «Altro che Parigi,qui abbiamo montato 4 Tour Eiffel»

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> Giulia Cerqueti

ascono in forma spontanea,spesso dall’iniziativa di unprimo gruppo di conoscenti.

Tutti partono da un approccio criticoal consumo e sono animati da valoriquali l’attenzione alla sostenibilità, alrispetto dell’ambiente, allabiodiversità, al sostegno dei piccoliproduttori locali, all’equità. Sono iGas, Gruppi di acquisto solidale,persone o famiglie che siorganizzano per comprare insieme igeneri alimentari direttamente pressoi produttori. A partire dalla metàdegli anni ’90 si sono diffusi in tuttaItalia (la Rete nazionale è nata nel1997). Fra i gruppi milanesi, adesempio, nel 2008 è nato "A Prova digas". «Abbiamo iniziato con degliamici», racconta il fondatore AlbertoPicci, giornalista 37enne, una mogliee una figlia di 6 anni «oggi siamo 15famiglie». Ecco come funziona:«Frutta e verdura le acquistiamopresso un’azienda agricola diPiacenza. Ritiriamo la merce ognidue settimane». Il rifornimento dipasta viene fatto due volte l’anno, indosi "industriali", presso lacooperativa Iris. Quello della carneogni tre mesi presso alcune cascineagricole dell’hinterland milanese. Lostesso principio vale per i lavorisartoriali: «Una volta l’annoraccogliamo i vestiti da rammendaree li portiamo presso una cooperativasociale». A conti fatti, il Gas èconveniente per il portafoglio: «Se èvero che presi singolarmente i

prodotti che acquistiamo costano dipiù rispetto al supermercato, alla

fine dell’anno, sulla spesa totale,risparmiamo tanto. Compriamosolo ciò che ci serve, senzacadere nel superfluo e senzasprechi». Il valore aggiunto delGas, poi, è enorme:

«L’abbattimento dei costi per lefasi intermedie di distribuzione, la

possibilità di arrivare al produttore edi avere un rapporto diretto con lui, lagaranzia di qualità, il fatto di favorirele produzioni locali e di riscoprire laloro grande varietà, il sostegno aprogetti con finalità sociali».

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NSe si è arrivatiin tempoall’inaugurazionedell’Expo unagrande parte dimerito va ancheal capocantiereRomano Bignozzi

teschi, stradali, metropolitane, dighe.La domanda più ricorrente è che cosa suc-cederà dopo il 31 ottobre. Che cosa farannodi tutto questo?L’80% dei Paesi si porterà via i padiglioni, seli monteranno a "casa", o li porteranno al pros-simo Expo. Il Nepal l’ha comprato un tede-sco. Poi ci sono sette-otto Paesi che ci hannochiesto se li vogliamo, e tutto questo è in fa-se di studio, per una valorizzazione futura.Qui rimarrà un’area di urbanizzazione com-pleta…Sì, perché c’è dentro di tutto; strade, fogna-ture, edifici. La cosa più bella everosimile sarebbe quella diestendere la Fiera di Mi-lano, anche perché ab-biamo le due passerelleesistenti, Cascina Mer-lata e quella della Fie-ra che si prestano mol-to a un uso commercia-le. Invece le aree ristorantipotrebbero diventaredei padiglioni perle Università.

Il NONNOche ha fattoi padiglioni

L’UTILE IMPRESA

Quelli dei GasLa spesa sostenibiledelle famiglie

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Milioni di persone senza elettricità, sfida per l’Occidente

> Diego Motta

energia per la vita oggi è ne-gata a 1,3 miliardi di persone,in particolare in Africa, e sedavvero Expo 2015 vorrà rap-presentare un punto di svolta,

sarà necessario accendere una luce su deci-ne di migliaia di villaggi del Sud del mondoche ancora vivono al buio.Il grande paradosso è che il continente afri-cano non riesce a sfruttare l’enorme poten-ziale di risorse presenti. Sul versante dellaproduzione di petrolio e gas ci sono Paesi sto-ricamente leader come la Nigeria, l’Angola,la Guinea Equatoriale e il Congo, altri chestanno scalando rapidamente le posizioni,dal Mozambico alla Tanzania, mentre alcu-ni Stati sono ritenuti particolarmente pro-mettenti da chi ha condotto esplorazioni piùrecenti: si tratti del Kenya, dell’Uganda odell’Etiopia. Il punto è che la presenza cer-ta di idrocarburi non si è (quasi) mai tradot-ta in ricchezza per la popolazione locale, in-nanzitutto in termini di servizi elementari.Nell’Africa sub-sahariana oggi 620 milionidi persone non hanno accesso all’energia e-lettrica e altri 730 milioni ricorrono a siste-mi inefficienti e pericolosi per cucinare escaldarsi. Se un cittadino europeo dà perscontata la fornitura di gas, benzina ed elet-tricità, un cittadino africano sa che dovrà u-tilizzare, per scaldarsi, spostarsi e cucinare,solo legna, arbusti, scarti dell’allevamento edell’agricoltura.

GIUSTO «RESTITUIRE»In questo senso, esistono almeno due ordinidi problemi da risolvere al più presto: da unlato l’accesso all’elettricità, indispensabileper l’illuminazione, lo sviluppo delle tele-comunicazioni, la conservazione dei cibi;dall’altro l’uso di combustibile pulito per cu-cinare, evitando danni gravi alla salute e al-l’ambiente. Secondo l’Organizzazione Mon-diale della Sanità, oltre 3 milioni di personeogni anno muoiono a causa di malattie ge-nerate dalla respirazione di fumi in ambien-ti interni aerati male. Le vittime principali so-no soprattutto donne e bambini dei Paesi a-fricani, costretti a bruciare legna o scarti instufe e camini. È necessario dunque che l’A-frica abbia accesso ai sistemi di "energia mo-derna" diffusi nel resto del mondo, visto cheattualmente il 95% della sua popolazione neè escluso. Il consumo di energia pro-capitenel continente è inferiore a 0,7 tonnellate e-quivalente di petrolio, contro oltre 3 del-l’Europa e i 7 degli Stati Uniti. «Lo svilup-po delle riserve interne di energia è richiestoprima di tutto per migliorare le condizioni divita degli africani – osserva Davide Taba-relli, presidente di Nomisma Energia –. I go-verni occidentali e le grandi major del setto-re devono sapere che la prima necessità, peri popoli africani, rimane quella di dar vita a

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una sorta di "restituzione" sociale ed econo-mica di ciò che l’Occidente preleva in ter-mini di risorse naturali. La rendita deve an-dare alle comunità locali, non deve alimen-tare i tesoretti dei potenti».

PIÙ SOSTENIBILITÀSpesso e volentieri, invece, la speranza stes-sa che l’oro nero, il petrolio, potesse garan-tire prima sviluppo e poi uguaglianza, è an-data delusa e non va dimenticato che le e-

normi entrate generatedalle esportazioni di i-drocarburi sono stateutilizzate per finanzia-re regimi dittatorialiche tendono a raffor-zare il loro potere, conl’acquisto di armi.L’altra grande sfida èrappresentata dalla so-stenibilità. Le NazioniUnite hanno indicato

la meta del 2030, come data entro cui e-stendere a tutti gli abitanti della Terra l’ac-cesso ad un’energia pulita e rispettosa del-l’ambiente. Nella partita rientrano a pienotitolo anche le fonti rinnovabili che, in uncontinente tagliato fuori dalle grandi retid’approvvigionamento, rappresentanoun’opportunità unica. Solare, eolico, geo-termico sono più di una speranza e i primi arealizzare progetti concreti sono stati in mol-ti casi i missionari e le Chiese locali. Impor-tante è anche la battaglia condotta dall’as-sociazione Wame & Expo 2015, costituita-si a fine luglio 2013, che raggruppa otto so-cietà operanti nel settore dell’energia italia-ne ed europea. Wame, acronimo che sta perWorld Access to Modern Energy, rilancial’idea di "energia moderna" per tutti, al cen-tro delle strategie internazionali di Onu ed U-nione europea dei prossimi decenni, che a-vranno proprio nell’Africa il principale ban-co di prova.

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«WAME&EXPO»UN AIUTO DAI BIGNata nel luglio 2013,l’associazione Wame & Expo2015 raccoglie 8 leader nelsettore dell’energia: A2A,Edison, Enel, Eni, Eon Italia,Gas Natural Italia, Gdf SuezEnergia Italia e Tenaris-Dalmine. Presieduta daPippo Ranci, già presidentedell’Autorità per l’energiaelettrica e il gas,l’associazione ha l’obiettivodi sensibilizzare l’opinionepubblica sul problemadell’accesso del pianetaall’energia moderna, temaparticolarmente sensibilenell’Africa sub-sahariana enell’Asia sud-orientale.L’obiettivo di Wame & Expo2015 è lasciare un’ereditàconcreta dopo il 2015,promuovendo informazionee conoscenza, facilitandonuove iniziative, sostenendogli sforzi per la cooperazionetra enti pubblici, impreseprivate e organizzazioniumanitarie. Lo spazioespositivo è in CascinaTriulza.

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IL 95% DELLA POPOLAZIONEDEL CONTINENTE AFRICANONON HA ACCESSO A SISTEMIDI ENERGIA MODERNALA PRESENZA DI IDROCARBURINON SI È (QUASI) MAITRADOTTA IN RICCHEZZAPER LA POPOLAZIONE LOCALE,INNANZITUTTO IN TERMINIDI SERVIZI ELEMENTARI

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Africa, quei Paesipoveri di ENERGIA

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> Paolo Maria Alfieri

e a livello ambientale sono statispesso segnalati i pesanti impattidell’industria estrattiva in Africa –con particolare riferimento agli i-drocarburi – altrettanto vero è che

in alcuni casi gli interventi delle multina-zionali straniere hanno consentito di ov-viare a deficit strutturali del continente, chene ritardano lo sviluppo. È il caso dell’ac-cesso all’energia, un tema centrale per la so-stenibilità e che diventa, per l’italiana Eni,«prerequisito fondamentale per lo svilup-po economico e sociale» del Sud del mon-do. Chi ha avuto modo di attraversare qual-che Paese africano lo sa: lontano dai gran-di centri urbani intere aree restano al buioal calar della sera e la mancanza di energiaha le sue conseguenze per ospedali, com-merci, ammodernamento dell’agricoltura,sicurezza stradale. Prima compagnia straniera quanto a produ-zione di idrocarburi in Africa, Eni ha dato ne-gli anni il suo contributo alla riduzione del-la povertà energetica nel continente, attra-verso infrastrutture per la produzione, il tra-sporto e la distribuzione del gas, la costru-zione di centrali elettriche e la promozionedi progetti di elettrificazione rurale. Inoltreè stata la prima compagnia internazionale a

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Le CENTRALI che accendono lo sviluppoElettricità per scuole, ospedali, agricoltori. L’impegno dell’Eni dal Congo al Mozambico

zati 3 centri di salute, 9 scuole e 21 pozzi,con i relativi sistemi di approvvigionamen-to energetico. Due centrali elettriche garan-tiscono una produzione di energia che vale350 megawatt, affiancata dalla ricostruzio-ne della rete nazionale ad alta tensione traPointe Noire e Brazzaville (550 chilometri)e lo sviluppo della rete di distribuzione del-l’energia elettrica e l’illuminazione stradaleall’interno della stessa città di Pointe Noire. In Mozambico le aree interessate dagli in-terventi Eni sono quelle di Pemba e di Pal-ma, nella provincia di Cabo Delgado, dovecon le autorità locali sono stati definiti ac-cordi per una centrale elettrica da 75 me-gawatt. Sono stati inoltre progettati sistemiper la gestione dell’energia alimentati ancheda fonti rinnovabili, una soluzione utile per

le aree rurali e finalizzata asostenere infrastrutture eservizi primari come scuo-le e centri sanitari, oltre al-la fornitura d’acqua. E-sempi di come l’accessoall’energia abbia un im-patto più ampio, diventan-do esso stesso strumentofondamentale per l’inclu-sione sociale e una cresci-ta sostenibile.

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investire nella produzione di energia elettri-ca in Africa utilizzando il gas precedente-mente bruciato in torcia.Congo, Mozambico, Angola, Ghana e Ni-geria sono alcuni dei Paesi in cui maggior-mente si concentra l’intervento dell’azien-da italiana. In Congo – dove le centrali Enigarantiscono il 60% della produzione elet-trica nazionale – gli interventi di sostenibi-lità per l’accesso all’energia sono legati adaltri temi quali la sicurezza alimentare e losviluppo agricolo, l’educazione e la salute,l’accesso all’acqua, il tutto strutturato al-l’interno del Progetto integrato Hinda. L’o-biettivo è di migliorare le condizioni di vitadelle comunità che abitano intorno al cam-po di M’Boundi, anche attraverso il dialogocon la popolazione locale. Sono stati realiz-

VOCE ALL’AFRICAUN CONCORSO APERTOExpo Milano 2015 ha lanciatoun bando dedicato a tutti iPaesi Africani. L’obiettivo delconcorso "Energy, Art &Sustainability for Africa", incollaborazione con Eni(Official Partner forSustainability Initiatives inAfrican Countries), è ricevereproposte per l’ideazione dieventi nel sito espositivo dal12 al 27 settembre 2015. Loscopo è valorizzare ilcontinente africano con eventiculturali e scientifici chepermetterà agli Stati Africani,anche quelli non presenti, dipromuovere risorse e abilitàsviluppate nei settori dellanutrizione, dell’agricoltura,della crescita economicacollegata allo svilupposostenibile. Le propostepotranno essere inviate fino al18 giugno. Info suwww.expo2015.org.

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Nella foto la«CentraleEléctrique duCongo»,alimentata dal gasproveniente dalcampo diM’Boundi e conuna capacitàinstallata di300MW, realizzatada Eni nel 2010

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> Simona Beretta

a ricognizione dei risultati del pri-mo Obiettivo del Millennio, di-mezzare la povertà e la fame, mo-stra che fra il 1990 e il 2015 si èdimezzata la popolazione che vi-

ve con meno di 1,25 dollari al giorno, mache il numero di persone sottonutrite si èridotto solo di un quinto: 800 milioni dipersone sono oggi sottonutrite. Parados-salmente, povertà, fame e deprivazione so-no fenomeni prevalentemente rurali: il 75%dei poveri vive nelle campagne, dove siconcentra il 60% del lavoro minorile. Que-sti dati permettono di inquadrare il ruolodella finanza globale nella vita dei più po-veri: un ruolo fortemente asimmetrico. Cidicono che povertà e fame si possono com-battere solo “vicino” alle persone, nelle pe-riferie dove si svolge la vita quotidiana deipiù poveri, accompagnando i loro percor-si familiari e di villaggio. Per questo oc-corrono anche risorse finanziarie, ma la fi-nanza da sola non basta a generare lo svi-luppo: al contrario, la finanza da sola puòfacilmente creare povertà.

LA SPECULAZIONELa finanza globale ha, direttamente o in-direttamente, contribuito alla povertà “pe-riferica”. La cosiddetta “finanziarizzazio-ne” dei prezzi agricoli ha intaccato il tenoredi vita di milioni di famiglie povere attra-verso il massiccio ingresso, sui mercati fi-nanziari dedicati alle commoditiesagricole con consegna futura, di operato-ri interessati a lucrare un puro rendimentofinanziario. Le loro compravendite, nondeterminate da esigenze legate all’offertao alla domanda di materie prime agricoleper la trasformazione agroalimentare, han-no inciso pesantemente non solo sui livel-li dei prezzi agricoli, ma soprattutto sullaloro instabilità.Purtroppo, sia prezzi alti, sia prezzi bassidel cibo mietono vittime fra i poveri. I prez-zi alti impoveriscono le famiglie meno ab-bienti, costringendole a una dieta più po-vera (e a una salute più precaria); talvolta,spingendole a destinare al consumo se-menti e animali indispensabili a garantireil futuro delle famiglie rurali. In pratica, u-na stagione di prezzi alti può bastare a in-trappolare gli agricoltori po-veri in una spirale di produt-tività calante e di crescentevulnerabilità. Anche i prezzibassi, alimentando la fugadalla campagna e l’inurba-mento, contribuiscono a ri-durre la produzione locale eaumentano la dipendenza da-gli approvvigionamenti este-

L

ri. L’instabilità dei prezzi conseguente al-la “finanziarizzazione” dei prezzi agricolicombina il peggio dei due scenari, con ef-fetti devastanti sulla capacità delle popo-lazioni rurali di contribuire al soddisfaci-mento dei bisogni alimentari delle loro fa-miglie e dei loro paesi.

LE CONTROMISURELa consapevolezza delle conseguenze ne-gative della finanziarizzazione ha faticatoa farsi strada, ma ha portato a introdurre re-strizioni nell’accesso degli operatori fi-nanziari “puri” ai mercati dei derivati a-gricoli: nel dicembre 2013 gli Usa, nel gen-naio 2014 l’Unione Europea. Senza trion-falismi, qualche effetto è già apprezzabile.Ma possiamo accontentarci di controllarei danni della finanza, o possiamo delinearneun ruolo positivo? Quale finanza aiuta losviluppo? Nel prossimo mese di luglio, adAddis Abeba, si svolgerà la terza Confe-renza delle Nazioni Unite “Financing forDevelopment” per contribuire a delinearee a sostenere gli obiettivi di sviluppo post-2015. Capi di stato e Ministri, organizza-zioni non governative e imprese avranno

modo di confrontarsi sul tema della finan-za e, speriamo, di assumersi concretamen-te la responsabilità del loro ruolo. Allo stes-so tempo, però, occorre ricordare che nonbastano i grandi a fare la storia. I dati eco-nomici lo confermano. Per rimanere in te-ma di sicurezza alimentare, la maggior par-te degli investimenti agricoli locali sonorealizzati dalle famiglie rurali stesse e daipiccoli produttori agricoli; al contrario, lan-guono gli investimenti pubblici e aumen-tano gli investimenti privati di grandi di-mensioni che perseguono obiettivi diversidalla sicurezza alimentare locale. A livel-lo planetario, il valore delle rimesse degliemigranti è circa il triplo del totale degliaiuti ufficiali allo sviluppo.«La miseria non coincide con la povertà;la miseria è la povertà senza fiducia, sen-za solidarietà, senza speranza» ha detto pa-pa Francesco nel Messaggio per la Quare-sima 2014. Quanta fiducia, quanta solida-rietà e quanta speranza sono, già ora, la tra-ma concreta di rapporti su cui si sviluppala vita dei poveri. La buona finanza rico-mincia da qui.

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La FINANZA può nutrireLa speculazione sui prezzi delle materie prime agricole ha generato fame e povertàMa il mercato finanziario, con azioni corrette, può favorire lo sviluppo. Sfida aperta

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ICONDIVIDIAMO

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LA STABILITÀDEI MERCATIAGROALIMENTARIC’è un legame tra finanzae agricoltura? Esistono ri-schi specifici derivanti dal-la finanziarizzazione delmercato agroalimentare?Quale possibile regola-mentazione per ridurrequesto tipo di fenomenispeculativi? Sono solo al-cuni degli interrogativi cuirisponderanno i relatoriall’incontro Food and a-gricultural markets insta-bility: policies and regula-tion perspectives, pro-mosso dall’UniversitàCattolica in collaborazio-ne con il Centro di Ri-cerca della CommissioneEuropea (Jrc) e il proget-to Ulysses nelle giornatedel 9 e 10 luglio. L’inizia-tiva intende contribuirealla definizione delle poli-tiche Ue e internazionaliper il miglioramento del-la sicurezza alimentare ela stabilità dei mercati a-groalimentari.

L’INCONTRO

IL 75% DEI POVERI VIVENELLE CAMPAGNE, DOVE SICONCENTRA IL 60% DELLAVORO MINORILELA DEPRIVAZIONEALIMENTARE ED ECONOMICASONO FENOMENI IN GRANPARTE RURALI. LA CHIARARESPONSABILITÀ DEI MERCATI

La maggior partedegli investimentiagricoli localisono realizzatidalle famiglierurali e daipiccoliproduttori

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Il male dei ricchisi chiama ALLERGIAAsma, eczemi, rinocongiuntiviti: è boom nei Paesi sviluppatio dove le tensioni sociali sono forti. La giusta prevenzione

> Vito Salinaro

n Paesi ricchi come Regno Unito o Au-stralia si ammala di allergia il 30%della popolazione; l’Italia conta circail 10% di allergici; in Indonesia e inAlbania, invece, non si supera il 4%.

Il trend è ormai chiaro: di allergia ci si am-mala nei Paesi ricchi. Sembrerà un para-dosso ma l’andamento statistico di questapatologia, alimentare e non, è incontrover-tibile: tanto più una nazione brilla nella clas-sifica del reddito, tanto più elevato è il nu-mero di cittadini alle prese con le allergie.Addirittura, eczemi, asma o rinocongiunti-viti sembrano preferire, con percentuali in co-stante aumento, le famiglie più colte e quel-le con meno figli.Ma perché un nucleo familiare facoltoso, pic-colo e culturalmente elevato dovrebbe favo-rire l’insorgere di allergie? A sentire allergo-logi, pediatri e ricercatori, e a leggere gli ul-timi studi, c’è di che sorprendersi.

LO STILE DI VITATra le cause del boom nelle popolazioni ab-bienti ci sono lo stile di vita in generale, il ti-po di alimentazione, il grado di igiene e le mo-dalità di svezzamento. Insomma, gli alimen-ti troppo manipolati e raffinati, l’eccessivacura della pulizia, il minore contatto con am-bienti naturali, fa sì che il sistema immunita-rio dei bimbi appena nati sia meno stimola-to a produrre gli anticorpi in grado di pro-teggerli. Il rischio allergico coinvolge anchei migranti: soprattutto se in tenera età, infat-ti, cambiando nazione di residenza cambiaanche la probabilità di sviluppare le allergie,tipiche del nuovo ambiente.Per i Paesi più evoluti si tratta di un nuovo al-larme, il cui andamento è stato al centro delconvegno «AllergEat - l’allergia tra le malattienon trasmissibili: il paradosso dell’abbon-danza», promosso dall’Ospedale pediatricoBambino Gesù di Roma a Expo. Non è un

I

caso che l’evento si sia svolto in un contestomondiale in cui si affronta il tema della nu-trizione del pianeta. La cattiva distribuzio-ne delle risorse alimentari, del resto, si as-socia non solo a patologie da denutrizione,ma anche da ipernutrizione e da malnutri-zione in senso lato. La malattia allergica ètra queste ultime. L’allergia alimentare inparticolare – una delle principali cause dieczema – rappresenta il primo passo del

cammino allergico e svilupparla entro i pri-mi 24 mesi di vita significa avere la mas-sima probabilità per i bambini di diventa-re asmatici intorno ai 7 anni.Le ricerche internazionali più recenti evi-denziano anche la disuguaglianza sociale qua-le fattore socio-economico in grado di in-fluenzare le malattie allergiche. Che tendo-no a svilupparsi dove ci sono le maggiori ten-sioni sociali e dove quindi è difficile mante-nere i rapporti coesi (se l’Italia ha un indicedi disuguaglianza pari a 35, negli Stati Uni-ti, dove la situazione sociale ed economica èpiù disomogenea, il valore sale a 41, fino araggiungere il dato di 53 in Brasile). In que-ste aree lo stress si manifesta con maggiorefrequenza. Ed è scientificamente provato chele mamme più stressate durante la gravidan-za hanno più facilmente bambini allergici.

LA PREVENZIONEGravidanza e svezzamento – assieme al piùgenerale rapporto ricchezza/ambiente/disu-guaglianza/boom – sono oggi al centro delleattenzioni degli esperti per gettare le basi dinuovi modelli di prevenzione (non solo perle allergie ma anche per numerose altre ma-lattie non trasmissibili). Le nuove linee gui-da mondiali raccomandano la somministra-zione di probiotici in gravidanza, durante l’al-lattamento e, al bambino, dopo la nascita, perridurre il rischio di sviluppare le allergie. «A-bituati come eravamo a tentare di prevenirlemediante la tardiva esposizione agli alimen-ti – spiega il responsabile di allergologia delBambino Gesù, Alessandro Fiocchi – abbia-mo invece scoperto che somministrandolipresto si proteggono i bambini dallo svilup-po di quella specifica allergia».

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Le malattieallergichenascono ancheda ipernutrizioneo malnutrizionefin dalla primainfanzia

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Orientamento formato ExpoLa novità delle «Summer school» dell’Istituto Giuseppe Toniolo

rientamento formato Expo. È la novità propo-sta quest’anno dall’Istituto Giuseppe Toniolo,l’ente fondatore dell’Università Cattolica, perle summer school d’orientamento universita-rio che si tengono in tutta Italia fino all’ap-

puntamento conclusivo di Milano, a fine agosto, con unseminario multidisciplinare declinato sul tema dell’Expo2015: "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Appuntamentoil 31 agosto con diverse lezioni: per l’area economico-po-litica si parlerà di accesso al cibo e alla terra nel sistemaglobale, per l’area agro-economica delle nuove professio-ni in agricoltura, per quella umanistica su come gli artistiinterpretano il convivio.Le aspiranti matricole di Giurisprudenza si confronteran-no sulla tutela del Made in Italy, quelle di sociologia sul-le scelte di consumo e stili di vita mentre per l’area psico-sociale lo spunto è "dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei". Incattedra, tra gli altri, Luciano Gualzetti, vice commissariodel padiglione della Santa Sede e commissario della Ca-ritas in Expo. Il 1° settembre visita all’Expo con i tutor del-le diverse facoltà. «Ricordo bene – racconta Francesca Mi-nonne, che ha partecipato a una delle passate edizioni quel

momento – la fine della scuola, lo zaino in spalla, l’estateche iniziava e la testa piena di idee e di progetti, senza an-cora una linea sicura. Avevo bisogno di una traccia per in-dirizzare meglio la mia rotta, per capire cosa sarebbe sta-ta davvero l’Università, dove mi avrebbe portato e comeavrebbe cambiato la mia vita. È stata una grande scom-messa e la summer school del Toniolo la mano vincenteprima di iniziare la partita».Le summer school, spiegano dal Toniolo, hanno come o-biettivo quello di favorire il confronto con studenti, esperti,tutor, docenti e altre figure educative in un percorso allascoperta delle proprie capacità e dei propri talenti in vistadella scelta della facoltà da frequentare. Rivolta a studen-ti di 4° e 5° superiore, quest’anno l’offerta delle scuole e-stive si arricchisce con la tappa di Barritteri (Reggio Ca-labria), dal 19 al 21 giugno 2015, che si aggiunge a Ma-cerata, dal 26 al 28 giugno 2015, Santa Cesarea Terme(Lecce), dal 20 al 23 luglio fino appunto all’appuntamen-to di Milano dal 30 agosto al 2 settembre. Per informazioni:[email protected]. Web: www.istitutotoniolo.it

Antonio Sanfrancesco© RIPRODUZIONE RISERVATA

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L’ORATORIO estivomette Tutti a tavola> Enrico Lenzi

reparare un gio-co è come cuci-nare un buonpranzo: se non cisono gli ingre-

dienti giusti, se non si rispettano i tem-pi di cottura, se non si usano gli stru-menti corretti, il piatto viene male».Una metafora usata tutt’altro che acaso per preparare le migliaia di ani-matori che in queste settimane stan-no dando vita agli oratori estivi del-l’arcidicesi di Milano e anche delle al-tre diocesi lombarde.Infatti il tema scelto quest’anno perl’appuntamento estivo è "Tutti a ta-vola" con un preciso e chiaro riferi-mento all’Expo in corso a Milano.«Era una "provocazione" troppo gran-de per non coglierla – commenta donTommaso Castiglioni, tra i responsa-bili del progetto della Fondazione o-ratori milanesi-Fom –, soprattutto perdeclinarla secondo due linee fonda-mentali: quella legata al cibo nellaBibbia e quella del cibo nella vita quo-tidiana dei nostri ragazzi e dei nostribambini». Del resto la Fom ha sem-pre avuto grande attenzione al modonel quale i giovani vivono e alle sol-lecitazioni che da esso prevengono.Già nell’edizione 2015 del Carneva-le ambrosiano il tema del cibo avevafatto da filo rosso con lo slogan «Pe-la, taglia, trita, cuoci». Il cibo, sotto-lineano dalla Fom, «è cosa seria e for-se faremmo bene a ricordarcelo: la

cucina è fantasia, creatività, inven-zione, arte, gioco e alchimia». Tuttecaratteristiche che dovrebbero ritro-varsi in un animatore dell’oratorio e-stivo. Un messaggio, spiega France-sco Lostaffa della segreteria Fom, chenelle scorse settimane ha caratteriz-zato il percorso di avvicinamento al-l’appuntamento estivo, che coinvolgedecine di migliaia di bambini dai 6 an-ni in su.«Abbiamo fatto corsi direttamente sulterritorio, nelle parrocchie e anchequattro giornate full immersion a li-vello centrale – spiega Lostaffa –, maper 600 animatori abbiamo previstoun vero e proprio corso di formazio-ne a Capizzone, come ogni anno: tregiorni intensi per entrare nel cuore deltema proposto». Un corso base perimparare a essere animatori, con spun-ti che quest’anno hanno guardato loslogan «tutti a tavola».

I GESTI QUOTIDIANIIl tema dell’Expo, spiega ancora donCastiglioni, «non può non farci ri-cordare le parole di Gesù quando af-ferma che "non di solo pane vivràl’uomo, ma di ogni parola che escedalla bocca di Dio". Ebbene quel-l’invito non sottolinea solo l’impor-tanza della Parola, ma anche il fattoche l’uomo vive anche di pane. Perquesto non possiamo non educare inostri ragazzi a un corretto rapportocon il cibo». Un oratorio estivo tuttoteso a parlare di nutrizione e di cibo(spirituale e materiale), anche nei ge-

sti quotidiani, come, ad esempio, ap-parecchiare la tavola. «Anche in que-sto caso – spiega Lostaffa – abbiamoinvitato gli animatori a prestare gran-de attenzione al gesto di preparare latavola, che ci deve richiamare al no-stro sapere stare con noi stessi, allo sta-re con gli altri animatori e al rappor-to con i bambini». E poi il gioco che,come raccontato all’inizio, «può es-sere considerato un piatto da cucina-re e servire al meglio". Ma niente ci-bi o alimenti veri da usare nei giochi.«Anche così si educa al rispetto delcibo e a non sprecarlo» spiegano allaFom.Un racconto che l’oratorio estivo 2015affida a una famiglia di supereroi, pro-tagonisti della storia che farà da filoconduttore alle cinque settimane didurata media del percorso: supereroialla ricerca di una signora anzianascomparsa e nota nella sua comunitàper saper fare la miglior torta del mon-do. Una ricerca che porterà questa fa-miglia di personaggi eroici a incon-trare tante persone e storie, con un fi-nale tutto a sorpresa. Un "viaggio"che durerà in alcuni casi fino alla metàdi luglio con l’obiettivo di educaremigliaia di ragazzi e ragazze a un u-so corretto del cibo, alla capacità dicondivisione, all’attenzione contro lospreco e al comprendere che accantoal cibo materiale, vi è anche quellospirituale rappresentato dalla Parola edall’Eucaristia. Un percorso, a dire ilvero, utile a grandi e piccoli.

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GIOCARE, DIVERTIRSI,MA ANCHE RIFLETTERENEGLI ORATORI ESTIVIDELLE DIOCESILOMBARDE AL CENTRODELL’ATTIVITÀ C’ÈL’ALIMENTAZIONE,MATERIALE E SPIRITUALE

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MILANOSICUREZZA ALIMENTAREUN CORSO GRATUITOFornire le competenze necessarie per lagestione dei rischi alimentari nelle filie-re alimentari dal campo alla tavola. Maanche approfondire gli aspetti fonda-mentali della legislazione comunitaria einternazionale in tema di food safety. So-no gli obiettivi del corso di perfeziona-mento sulla "Sicurezza degli alimenti",promosso dall’Università Cattolica e dal-l’Università degli Studi di Milano. Realiz-zato in collaborazione con il ministerodell’Agricoltura del Governo Italiano, èl’unico corso interamente finanziato dalPadiglione Italia di Expo Milano 2015 eofferto gratuitamente ai partecipanti conl’obiettivo di creare figure professionaliqualificate. Il corso rientra le iniziativedella nascente Scuola di alta formazionesulla food safety, realizzata grazie alla col-laborazione tra Università Cattolica, U-niversità degli Studi di Milano, ministerodella Salute e istituzioni europee.

CREMONACIBO SOSTENIBILEPER PROFESSIONISTIUn programma di formazione executi-ve sulla sicurezza alimentare e sulla so-stenibilità nella food valley italiana. È quan-to propone il Cremona Executive Edu-cation Program (Ceep) dell’UniversitàCattolica nell’ambito di Expo Milano2015. Il programma cremonese è pen-sato per professionisti che abbiano unospecifico interesse verso le tematicheExpo: dalla produzione sostenibile di ci-bo alle pratiche innovative in agricoltu-ra e zootecnia, dalla gestione del siste-ma agro-alimentare fino alla sicurezza a-limentare, intesa sia come food safety,sia come food security. L’intento è offri-re ai partecipanti l’opportunità di acqui-sire abilità e competenze avanzate incampi specifici, grazie al confronto conaccademici ed esperti e attraverso visi-te guidate alle eccellenze produttive delNord Italia.

IN BREVE

Educare ragazzi e ragazze a un uso corretto del ciboGuarda all’Expo il tema scelto quest’anno dalla «Fom»

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Il pane dei PROMESSI SPOSILa polenta, le noci, lo stufato, ma soprattutto il pane e il vino: nel romanzoil cibo ricorre spesso, ma ha sempre anche una connotazione eucaristica

> Alessandro Zaccuri

ei Promessi Sposi il pane c’è eil cibo non manca. Ma non è maisoltanto pane, non è mai un nu-trimento destinato esclusiva-mente alla materia. E questo

perché il capolavoro di Alessandro Man-zoni è un romanzo di impianto sacramen-tale, nel quale gioca un ruolo centrale la ce-lebrazione del matrimonio nella forma li-turgica codificata dal Concilio di Trento, aridosso del quale la vicenda si svolge. Ba-stasse la storia d’amore, Renzo e Lucia vi-vrebbero già felici e contenti. Ma no, lorodue vogliono essere marito e moglie da-vanti al Signore, e qui cominciano i guai, lecomplicazioni, «gl’imbrogli» di quella not-te memorabile, alla vigilia della quale la«piccola polenta bigia, di gran saraceno»scodellata dal compare Tonio risplende co-me una luna in miniatura e intanto allude almiracolo – terrestre e celeste insieme – diogni mensa condivisa.

PANE E PERDONONon è a questo, in fondo, che servono lenoci raccolte da fra Galdino? E non sta al-l’opposto di questo il messaggio che pro-viene dalla tavolata di potenti e prepoten-ti, don Rodrigo su tutti, davanti alla qualefra Cristoforo pronuncia il solenne "Verràun giorno…"?Che il cibo nei Promessi Sposi comportisempre, per analogia o per contrasto, una

Nconnotazione eucaristica lo si comprendeproprio grazie a lui, fra Cristoforo. Prende-te il capitolo IV, quasi interamente occupa-to dal racconto della conversione dell’im-petuoso Lodovico. La rissa per strada, le spa-de sguainate, il duello incrociato, i cadaveriche restano a terra. Uno è di Cristoforo, ilservitore fedele di cui il giovane assassinoprenderà il nome una volta entrato in con-vento. L’altro, quello che Lodovico stesso haucciso, è il nemico designato, che però nel-la morte diventa altro: una colpa da riscatta-re, una possibilità di redenzione. La scena,memorabile, va sotto l’insegna del «pane delperdono». Lodovico, ovvero fra Cristoforo,si presenta vestito di saio in casa del fratel-lo della vittima, si prostra, ripete che dareb-be volentieri il proprio sangue in riscatto diquello versato e ottiene, infine, un perdononel quale neppure sperava.Di tutto questo è emblema – e, anzi, "verapresenza" – il pane che il religioso riceveprima del commiato. L’altro vorrebbe pre-disporre un’ospitalità più sontuosa, ma la ri-chiesta di fra Cristoforo è di una limpidez-za esemplare: «Io sto per mettermi in viag-gio: si degni di farmi portare un pane, per-ché io possa dire d’aver goduto la sua carità,d’aver mangiato il suo pane, e avuto un se-gno del suo perdono». Chiaro che, a questopunto, la pagnotta non può essere servita senon «sur un piatto d’argento», come se la sioffrisse all’altare. Analogia o contrasto, di-cevamo. Nel corso della sua prima avventu-ra milanese l’ingenuo Renzo si ritrova a con-

Quella tra Renzoe Lucia non èsolo una storiad’amore: iprotagonisti deiPromessi sposivogliono esseremarito e mogliedavanti al Signore

templare strade attraversate da «strisce bian-che e soffici, come di neve», che sono inrealtà le tracce dei forni assaltati e depreda-ti. Inizialmente convinto di essere capitatoin un bengodi dove regna una "abbondan-za" continuamente e perversamente invoca-ta dalla folla, Renzo assiste semmai a unaprofanazione del pane che è, nello stessotempo, profanazione dell’Eucarestia. Nondiversamente alla sera, mentre trangugia ilsuo stufato all’Osteria della Luna Piena, siubriaca di un vino che non corrisponde piùin nulla alla bevanda eucaristica.

IL «SUGO» DELLA STORIAUn rovesciamento che toccherà il suo apicepiù avanti, quando finalmente Renzo riu-scirà a ritornare al paese e scoprirà che la suavigna è ridotta a una «marmaglia di piante»,è ormai uno sterile «guazzabuglio di steli»dal quale è impossibile ricavare qualsiasi a-limento. Nei Promessi Sposi il pane c’è, dun-que, il cibo non manca e anche per il vino cisi riesce ad arrangiare. Di che cosa c’è bi-sogno, allora? Semplice: del "sugo di tuttala storia", adoperato da Manzoni per condi-re la conclusione del romanzo, che non a ca-so si svolge tra le mura di casa Tramaglino.Non si fa fatica a immaginare una pentolache bolle in un angolo, una tavola apparec-chiata, un bambino che brontola per la fa-me. Di cibo, certo. Ma il cibo, ormai lo ab-biamo imparato, non è solo quello che simangia.

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«I promessi sposi» è il romanzo preferitoda papa Francesco. Pare l’abbia lettocinque volte e di questo amore èfacilmente intuibile la ragione: è il poemadella misericordia e il Papa dellamisericordia non poteva non amarlo. Nellacatechesi del 28 maggio scorso sono statifugati gli ultimi dubbi sulla sfumaturamanzoniana di questo pontificato, quandoil Papa riflettendo sull’amore ha definito "Ipromessi sposi" il «capolavoro sulfidanzamento». Bergoglio ha cosìriscattato la bellezza di questo romanzoricordandoci che i veri protagonisti dellibro sono proprio loro, Renzo e Lucia,che spesso finiscono in secondo piano acausa della forza delle altre figure. Einvece il cuore del romanzo sono loro duee il loro doloroso apprendistato.

IL POEMA

Papa Francesco:«Il capolavorodel fidanzamento»

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> Nicoletta Martinelli

a cosa vuoi assag-giare i fegatini chenon li hai maimangiati in vitatua... Mi mordo la

lingua quando sento questo genere difrasi nel mio ristorante, quando vedo igenitori che frustrano la voglia dei fi-gli di scoprire nuovi sapori, di speri-mentare. L’educazione, a tavola, è an-che questo. Provare, allargare gli oriz-zonti del gusto». Davide Oldani, chefstellato classe 1969, è cresciuto in unafamiglia milanese, la mamma divisa trail lavoro, la cura della famiglia e il bi-lancio da far quadrare, il padre sempreimpegnato «ma quando lui si sedeva atavola, io e mio fratello dovevamo ar-rivare come missili. Puntuali, tutti in-sieme, niente televisione accesa, ci siraccontava la giornata. E poi toccava anoi ragazzi sparecchiare e, spesso, la-vare i piatti». E lo spreco non era con-sentito: «No. Solo una volta – raccon-ta Oldani – ho chiesto una porzione piùgrande di quella che mi era stata ser-vita. Era davvero esagerata ma sonostato costretto a finirla. Giustamente». Le regole a cui si ispira Oldani sono

M«Lo chef DavideOldani, formatosialla scuola diGualtieroMarchesi, è unodei voltiAmbassador perExpoMilano 2015

dettate da un sano buon senso ma an-che il frutto di una vita sul campo:«Pensare prima di comperare – spiega– e pesare prima di cucinare». Lui lemette in pratica investendo in quel chela natura offre, tenendo conto delle sta-gioni per predisporre i suoi menu. E sequesto vuol dire rinunciare alle peschea dicembre e al melograno ad agosto isuoi clienti se ne fanno una ragione...Anche perché le eccentricità si paganoe quella di Oldani è una cucina pop.Non per necessità ma per scelta: «Seproponessi piatti a base di caviale e diaragosta non potrei permettermi di a-vere i prezzi che ho. Ma so di non farrimpiangere né l’uno né l’altra...».Nei suoi ristoranti i clienti tornano, i di-pendenti non se ne vanno più. Poche,in questi anni, le persone che si sonolicenziate e tutte perché la vita mette-va loro davanti un’opportunità da pren-dere al volo: «Beh, non sono loro i di-pendenti. Nel senso – chiarisce lo chefcon la sua inflessione inconfondibil-mente lombarda – che sono io a di-pendere da loro. Se manca il lavapiat-ti io vado in tilt, ma se manco io il la-vapiatti va avanti tranquillo come unpapa...».

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OLDANI«Il vero chefnon spreca»

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IEDUCHIAMO

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> Luca Liverani

a medicina contro il cancro? L’hannogià inventata e si vende al supermerca-to. Proprio così. Perché tre tumori sudieci sono causati da un’alimentazionesbagliata. Mentre i cibi "giusti" svol-

gono una funzione preventiva o addirittura – aquanto sta emergendo – curativa. Al di là dellesemplificazioni, è indubbio che comportamentialimentari corretti o sregolati influenzano in mo-do determinante l’insorgere o meno di carcino-mi nelle persone che hanno una disposizione ge-netica latente. E il cibo può far scattare gli inter-ruttori della malattia.All’Università Cattolica del sacro Cuore ci stan-no lavorando da tempo. Conferme importanti so-no emerse di recente alla IV Giornata per la Ri-cerca 2015, con il patrocinio di Expo2015, in cuisono sati presentati i risultati degli studi di ricer-catori e medici della Facoltà di Medicina e chi-rurgia dell’ateneo e del Policlinico A. Gemelli. Il30% dei tumori, dunque, è causato da diete sba-gliate: quelle cioè che prevedono troppe carni ros-se, poche verdure e poca frutta. Preoccupante ilpeso che la crisi sembra avere sulle abitudini ali-mentari di noi italiani: ai prodotti freschi della sa-na dieta mediterranea si preferiscono pietanze piùeconomiche ma meno sane, pronte da infornaree infarcite di grassi e additivi, che aumentano ilrischio di molte malattie, tra cui i tumori.Una squadra di ricercatori della Cattolica ad e-sempio è impegnata a identificare i cosiddetti"bersagli molecolari" degli acidi grassi omega-3, quelli che troviamo in abbondanza nel preli-bato salmone, o nel pesce azzurro, economico esfizioso come le alici o gustoso come gli sgom-bri. Nutrienti che sembrano prevenire o addirit-tura rallentare la crescita di cancri insidiosi e pe-ricolosi come quelli del colon o il melanoma del-la pelle. Ma c’è dell’altro, come spiega la pro-fessoressa Stefania Boccia, direttore della sezio-ne di Igiene, Istituto di Sanità pubblica: «Studi

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> Renata Maderna

a lotta allo spreco di cuitanto si sente discutere inquesti giorni a Expo prima

ancora che ai tavoli dei politici edegli economisti comincia aquello di casa. Purtroppo capitanon di rado di osservare bambinie ragazzi che lasciano nei piattigrandi quantità di cibo senza chenessun adulto intervenga a direche non è buona cosa. Anzi, difronte al piccolo reuccio viziatosi rincorrono talvolta mamme enonne con continue proposte di«vuoi questo…» «ti preparoquello…» sperando diassecondare l’inappetente econvincerlo a mangiare. Ci sonobambini che mangiano soloyogurt di una certa marca e di uncerto gusto e altri che pescano dalsacchetto solo i biscotti che nonsono già rotti (come se poi nellabocca non si triturasserocomunque…) e ci sono anchegenitori che commentanoaffettuosamente «lui è così …»«è sempre stato così..»,apparentemente disapprovando,ma nella realtà lasciandotrapelare qualche orgoglio per ilprincipino dai gusti nobili…Diciamolo ad alta voce: lasciarenei piatti è maleducazione! E sequalcuno, affascinato da vecchi,improbabili testi di bon ton,pensasse ancora che «faccia fine»perché si dimostra di non esseredei poveri affamati bisognosi diripulire tutto si ricreda…Meglio educare i piccoli aservirsi solo di quel che siprevede di mangiare magaricominciando a pretendere chequel che c’è nel piatto vadaconsumato. Evitando di sprecare,un comportamento condannatoda tutti ma purtroppo agito datanti, se è vero che ogni famigliaitaliana butta tra i 200 grammi e i2 chilogrammi di alimenti ognisettimana e che ogni anno lospreco domestico costa al nostroPaese più di 8 miliardi di euro...Ma le grandi battagliacominciano dai piccoli gesti.

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Il 30% dei tumori è causato daun’alimentazionesbagliataLe ricerche piùavanzatedell’UniversitàCattolica

condotti presso i laboratori della Cattolica, in col-laborazione con centri di ricerca internazionali,hanno messo in luce addirittura una riduzione del40% del rischio di tumore della bocca e della go-la per chi assume alimenti ricchi di vitamine delgruppo B. Ovvero carciofi, lattuga, broccoli, le-gumi. Ma anche carotenoidi, vale a dire carote,peperoni e spinaci». Cos’è invece che aumenta ilrischio di questi tumori? Il fumo e l’alcool.Alimenti che fanno bene e alimenti che fanno ma-le. Come i liquori (e le sigarette), anche il consu-mo di cibi grigliati aumenta il rischio di alcuni tu-mori, quelli dello stomaco e del fegato. Un bar-becue ogni tanto va bene, ma senza esagerare.La solita storia della dieta "sana ma triste"? Nonproprio. «Studi incorso presso l’Uni-versità Cattolica –continua Boccia –stanno valutandol’effetto protettivodi alcuni compostinaturali, ricchi di a-genti antiossidanti».Ovvero tè, caffè, vi-no rosso e agrumi.Alimenti tutt’altro che mortificanti, molto utilinella dieta delle donne sottoposte a chemiotera-pia per il tumore al seno. Tanti buoni consigli,che però spesso restano lettera morta. «Un a-spetto critico è come motivare i cittadini ad ali-mentarsi in maniera corretta», riconosce Stefa-nia Boccia.La svolta può arrivare, per le persone che hannoavuto in famiglia casi di tumori e magari sono arischio anche per obesità, dall’analisi del propriogenoma: «Lavori pubblicati di recente all’esteromostrano che, nel momento in cui un individuoscopre di essere più o meno predisposto allo svi-luppo di una certa patologia, questo determina u-na modifica sostanziale nel cambiamento delleabitudini alimentari».

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LA PROFESSORESSABOCCIA: «STUDIIN CORSO ALLACATTOLICA VALUTANOL’EFFETTO PROTETTIVODI ALCUNI COMPOSTINATURALI, RICCHIDI AGENTIANTIOSSIDANTI»

UN POSTO A TAVOLA

Il brutto viziodi lasciare il cibonel piatto

Prevenire i TUMORIcon la giusta dietaMeno carni rosse, più frutta e verdura. Così scende il rischio

EDUCHIAMOI

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> Rolla Scolari

viveri di Salomone per ungiorno erano trenta kor di fiordi farina e sessanta kor di fa-rina comune, dieci buoi gras-si, venti buoi da pascolo e cen-

to pecore, senza contare i cervi, le gazzelle, leantilopi e i volatili da stia», è scritto nella Bib-bia, nel primo libro dei Re (4:22,23), dove unkor sono circa 220 litri. Non tutti nei raccon-ti biblici avevano accesso agli stessi alimentie alle stesse quantità di cibo del grande re, manella Bibbia il nutrimento è uno dei temi piùricorrenti. Assume in moltissimi casi anche unsignificato simbolico, come nel verso sceltodal Padiglione della Santa Sede a Expo 2015:"Non di solo Pane". Legumi, melograni, fichi,miele, frutta, vitelli e capretti, pecore e buoi,ma soprattutto tanti cereali e pane sono allabase della dieta antica che emerge dai passibiblici. Spesso cereali o pietanze che nei mil-lenni sono scomparsi o evoluti con le tecni-che agricole.

RISTORANTE EUCALYPTUSSotto le antiche mura della Città Santa di Ge-rusalemme, c’è un cuoco che da decenni, Sa-cre Scritture alla mano, serve ai clienti del suoristorante, the Eucalyptus, soltanto piatti ispi-rati alla tradizione biblica. Lo chef israelianoMoshe Basson studia senza sosta le Scrittureper riportare alla vita sapori di un antichissi-mo passato. In Israele, dice, durante le festi-vità ebraiche di Shavuot – (sette) settimane –anche i cristiani celebrano il raccolto, in giu-gno. La primavera inizia subito dopo la Pa-squa ebraica e quella cristiana, dopodiché pas-sano sette settimane prima che il grano siamaturo. In medio oriente, però, spesso il gra-no è raccolto a metà di quel periodo, 33 gior-ni dopo, quando è già alto e tondo ma anco-ra verde. Si teme spesso che piogge inatteseo siccità rovinino infatti il raccolto. Il granoverde è poi fatto tostare. Gli arabi chiamanoil cereale così lavorato "freekeh". E, spiegaBasson, è lo stesso grano tostato di cui parlala Bibbia, per esempio quando un giovane Da-vide porta il cibo ai fratelli sul campo. «Pren-di su per i tuoi fratelli questa misura di granotostato e questi dieci pani e portali in fretta aituoi fratelli nell’accampamento. Al capo dimigliaia porterai invece queste dieci forme dicacio», gli disse il padre (Samuele 1, 17:17,18).In medio oriente, il "freekeh" è ancora oggiuna granaglia molto utilizzata, assieme al "bur-ghul", il grano saraceno, per intenderci l’in-grediente principale del couscous nordafrica-no che, spiega entusiasta Basson, compare inun altro episodio biblico molto speciale. Quan-do Assalonne, terzo figlio di re Davide, si au-toproclamò sovrano e si insediò a Gerusa-lemme, l’anziano padre scappò nel deserto.

Due informatori leali a Davide – Gionata e A-chimaaz – partirono per avvertirlo di un attaccoimminente, ma accorgendosi d’essere segui-ti si nascosero lungo il cammino a casa di unuomo, nella località di En Roghèl.

LE SETTE SPECIELa moglie li nascose nel pozzo e ricoprì l’a-pertura con una coperta su cui distese a es-siccare del grano, del "burghul", appunto, u-sato ancora oggi da Basson e in tutto il mediooriente in cucina (Samuele 2 17:19). E nellavita di un altro personaggio legato a re Davi-de, la sua ava Rut, i cereali sono protagonisti.La moabita Rut torna a Betlemme proprio du-rante la stagione del raccolto e si mette subi-to a lavorare con le spigolatrici per potare acasa qualche manciata d’orzo. (Rut 1:22).«Paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi edi melograni; paese di ulivi, di olio e di mie-le», è scritto nel Deuteronomio (8:8). Sono le"sette specie" del "buon paese", simbolo difertilità e abbondanza. Non mancano però nel-le Scritture ampi riferimenti a banchetti di car-ne, «sempre ben cotta e salata», per purifica-re, come nei sacrifici, spiega lo chef Basson.«Ma la maggior parte degli israeliti al tempodella Bibbia era vegetariana per forza. Soltantoi "cohanim", i sacerdoti di Gerusalemme, a-vevano una dieta quotidiana di carne: agnel-li, pecore, buoi e pollame sono menzionati, an-che se la carne per eccellenza in medio orienteè l’agnello. Se eri povero e avevi un agnelloera come avere azioni Facebook o Google:non le vendi per andare a farti una pizza. Lamaggior parte dell’anno, gli abitanti del me-

dio oriente mangiavano legu-mi, verdure e formaggio, risomischiato con lenticchie e pi-selli (Giacobbe comprò la pri-mogenitura con una zuppa dilenticchie rosse venduta al ge-mello Esaù, Genesi 25: 25-34):un pasto che ti dava le stesseproteine contenute nella carneche non volevano sprecare».

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INUTRIAMO LO SPIRITO

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I VEGETARIANI della BibbiaLa maggior parte degli israeliti aveva una dieta a base di legumi, verdure, risoLo racconta un cuoco di Gerusalemme che ripropone i piatti del Libro sacro

SOLTANTO I "COHANIM",I SACERDOTI DIGERUSALEMME, AVEVANOUNA DIETA QUOTIDIANADI CARNE. SE ERI POVEROE AVEVI UN AGNELLOERA COME AVERE AZIONIFACEBOOK O GOOGLE:NON LE VENDI PER ANDAREA FARTI UNA PIZZA

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> Matteo Liut

l cibo come via per la santità:quella lasciata dalla beataportoghese Alessandrina Maria

da Costa è una testimonianzaspirituale ma anche un invito a stilidi vita improntati all’essenzialità.Per più di tredici anni, infatti,questa cooperatrice salesiana sicibò solo con l’Eucaristia: unascelta che si inserisce in unpercorso di vita travagliato mavissuto tutto alla luce del Vangelo.Nata il 30 marzo 1904 nellaprovincia di Oporto enell’arcidiocesi di Braga, visseun’infanzia piena di vitalità ma a12 anni fu colpita da una gravemalattia che la segnò per semprenel fisico. Nel 1918, poi, subì unatentata violenza sessuale, perfuggire dalla quale si gettò da unafinestra a quattro metri da terra.Piano piano le conseguenze di quelgesto le resero sempre più difficileogni movimento, fino ad arrivarenel 1925 alla paralisi, che la tennea letto per 30 anni, fino alla morte,il 13 ottobre 1955. Un lungoperiodo caratterizzato non solodalla sofferenza, ma anche da unacontinua ricerca spirituale e daesperienze mistiche: vedeva nellasua condizione l’immagine diCristo che, nell’Eucaristia, èchiuso e conservato neltabernacolo. Di fronte al dolore,comunque, lei non si persed’animo: con tenacia fece giungereal Papa la richiesta di consacraretutto il mondo al CuoreImmacolato di Maria, cosa cheavvenne nel 1942. In questo stessoanno Alessandrina cominciò acibarsi solo dell’Eucaristia. Questopiccolo pezzo di pane consacratodivenne l’unico alimento che lasosteneva, l’unico in grado di dareenergia anche alla sua vitaspirituale, rendendola una veraguida e un punto di riferimento peri tanti che arrivavano da lei perritrovare la speranza perduta.

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ILo chef israelianoMoshe Bassonstudia le Scrittureper riportare allavita sapori di unantichissimopassato

RICETTE DI SANTITÀ

Beata Alessandrina,l'Eucaristiacome unico cibo

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INUTRIAMO LO SPIRITO

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> Angelo Scola*

ono in grado le religioni, come han-no potuto fare in altri campi in pas-sato, di mobilitare energie che con-tribuiscano a una vera e propria con-versione ecologica? Questo do-

manda una sorta di escatologia radicale, co-me afferma Latour, cioè un lungo e lento cam-biamento che investe molti ambiti, riferito auna enorme quantità di dettagli e, soprattut-to, dipendente da un’infinità di gesti che, ec-co la cosa più ardua, chiedono un rovescia-mento di mentalità a miliardi di persone.Le passioni religiose possono venire in soc-corso alle deboli energie che oggi sembranocaratterizzare i numerosi conflitti ecologici?La domanda contiene un invito, neppure trop-po implicito, a porre in modo radicalmentenuovo il rapporto eco-logia e teo-logia, per af-frontare scopertamente i conflitti interni aidue mondi. Mi limito a un suggerimento di carattere ge-nerale. Non voglio entrare nel dibattito sullanozione di natura, che quasi tutti, sia in cam-po scientifico che in campo teologico, dannoormai come spacciata e considerano respon-sabile di quasi tutti i mali che affliggono l’u-manità. Personalmente sono invece dell’ideache, dal momento che sempre qualcosa si dàa qualcuno, un quid ultimo sia ineliminabile.E, fin da Aristotele, cos’era la phýsis se nonquesta molteplice, dinamica datità? Tuttaviaè vero, e lo è in modo particolare per il cri-stianesimo, che in nessun modo si può parla-re di natura se non in termini di creatura. Edè proprio una adeguata riflessione sulla crea-zione ad aprire la via per ripensare il rappor-to tra ecologia e teologia.

SLa creazione, infatti, mette in campo la rela-zione. E l’uomo postmoderno si trova postodi fronte a una bruciante alternativa. Passatal’epoca delle utopie, con il fitto buio che hagettato sul secolo scorso, l’antropologia po-stmoderna assume un marcato carattere pa-scaliano. Ha l’andamento della pregnantescommessa intorno a un’alternativa radicale:l’uomo del terzo millennio vuol essere solol’esperimento di sé stesso o vuol essere un io-in-relazione?L’antropologia, per essere adeguata, deve es-sere drammatica. Deve accettare che l’uno in-superabile in cui l’io consiste si dia sempre inmodo duale. Sono uno, per questo posso di-re io, ma sono sempre uno di due: uno di a-nima-corpo; uno di uomo-donna; uno di in-dividuo-comunità, uno di uomo-cosmo. Per-tanto l’alterità mi costituisce come dimensio-ne interna all’io, che per questo non può esi-stere se non in relazione. È lo stesso carattere drammatico o polare del-l’io a mostrarlo apertamente. Quindi il modogiusto di nominare l’io è io-in-relazione. L’in-trecciarsi delle polarità costitutive rivela l’au-tentico rapporto di creazione, come la per-manente amorosa relazione di Colui che chia-ma all’essere tutta la realtà (cfr. Rm1,20) e con-tinua ad accompagnarla.

Secondo la tradizionegiudaica e quella cri-stiana, Dio ha fatto del-la relazione d’amore laragione del suo com-promettersi con la fa-miglia umana lungotutta la storia. Egli, peril popolo ebraico e peri cristiani, è il Dio con

noi, dove il noi mette in campo tutte le pola-rità-relazioni costitutive cui abbiamo fatto cen-no. La relazione, sempre polare, dell’io consé stesso, con gli altri, con il cosmo, con Dioè la strada inevitabile per poter dire io in ma-niera umanamente soddisfacente. Come nonvedere in questa prospettiva l’improcrastina-bile compito di inscrivere la buona relazionecon il creato nei cerchi intersecantesi delle al-tre relazioni costitutive?Questo suggerimento, me ne rendo conto, ètroppo generale per non rischiare di essere ov-vio. Tuttavia mi sembra in grado di mostrareil ponte che esiste tra ecologia e teologia. Pon-te che anche le scienze più avvedute oggi stan-no costruendo, avendo abbandonato una vul-gata ecologista fondata su un mitico ritornoalla natura buona e innocente. È vano il gri-do di Baudelaire: «Pan è tornato!». Tanto me-no si può dar credito ad Assmann quando par-la di Mosè come l’egiziano. La via dell’in-contro urgente e collaborativo tra ecologia eteologia è quella di continuare, con amore, lalogica della creazione. Una logica a un tem-po scientifica, religiosa e politica. Per questoè logica di giustizia e di sviluppo integraledell’umanità.Le religioni possono dire la loro in merito al-le questioni ambientali quando si esprimonoin soggetti, personali e comunitari, disponi-bili alla narrazione e impegnati a mostrare leragioni valide di un’adeguata esperienza u-mana. Le religioni infatti aprono all’univer-sale concreto, perché consentono ad ogni sin-golo di fare spazio al desiderio infinito che loabita, a cui nessuna natura potrà mai bastare.

* Arcivescovo di Milano(testo tratto da «Abitare il mondo» - Emi)

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«Abitareil mondo.La relazionetra l’uomoe il creato»è il nuovo librodel cardinaledi Milano,Angelo Scola

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«LE RELIGIONI POSSONODIRE LA LORO IN MERITO ALLEQUESTIONI AMBIENTALI QUANDOSI ESPRIMONO IN SOGGETTI,PERSONALI E COMUNITARI,DISPONIBILI ALLA NARRAZIONEE IMPEGNATI A MOSTRARE LERAGIONI VALIDE DI UN’ADEGUATAESPERIENZA UMANA»

Un INCONTROtra teologia ed ecologia

I 50MILA INVITATIIN PIAZZA DUOMO

Cinquantamila persone. È la folla chela sera di lunedì 18 maggio si è

raccolta in piazza Duomo per “Tuttisiete invitati”, l’evento di arte,

spettacolo, solidarietà e preghierapromosso da diocesi di Milano e

Caritas Internationalis per l’esordiodella Chiesa in Expo. Spazio a

testimonianze e a performance diartisti – da Piera Degli Esposti a

Giacomo Poretti, da Davide Van DeSfroos alla cantante libanese Tania

Kassis con la sua sorprendente“Islamo–Chistian Ave”. Culmine della

serata, l’adorazione eucaristicaguidata dal cardinale Angelo Scola

alla presenza del nuovo presidente edel presidente uscente di Caritas

Internationalis, i cardinali LuisAntonio Tagle e Oscar Rodriguez

Maradiaga.

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IIN IMMAGINI

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Il 2014 in Italia è stato un vero e proprio annushorribilis per il settore. Il crollo della produzione delmiele è stato in media del 50% con punte del 60 eun susseguirsi di episodi preoccupanti con unaumento di furti di arnie e interi apiari dalle Prealpivenete alla Toscana, dall’Appennino calabro alla Sicilia.Quella dell’apicoltura è un’eccellenza italiana con dueprimati importanti: abbiamo 30 varietà diverse dimiele monoflora, cui si affiancano sette "millefiori", esiamo tra i più importanti allevatori di api regine.

«Se le api scomparissero dalla terra, all’uomo nonresterebbero che quattro anni di vita». Pare, anzi èsicuro, che Einstein non abbia mai pronunciato questafrase. Ma questo nulla toglie alla sua verità. Perchédavvero, se le api mellifere scomparissero, con loro sene andrebbero migliaia di specie vegetali con tantisaluti alla biodiversità del pianeta. 71 delle 100 colturepiù importanti a livello globale vengono impollinatedalle api e da altri insetti impollinatori come mosche,farfalla e bombi. Quasi il 35% della produzione di ciboa livello mondiale dipende dal lavoro di impollinazione.

In uno studio del Wwf del 2012 sullo statodella biodiversità si rilevava come già tre anni fafossero 176 le specie scomparse dal nostroPaese, mentre 791 sarebbero a rischio. All’Expogli apicoltori presenteranno il loro progetto ditracciabilità che assegna un Codice QR ad ognimiele (consente di accedere con smartphonee tablet a schede multimediali di foto, video,notizie), grazie al quale il consumatore puòconoscere il lavoro dell’apicoltore e i luoghi dacui provengono i nettari.

Un viaggio nella vita di un’ape mellifera fuori e dentro il suo alveare. Èl’esperienza che il padiglione del Regno Unito all’Expo fa vivere ai suoi visitatori. Ilprogetto è dell’artista Wolfgang Buttres. Un modo originale per declinare il temadell’evento. Il percorso inizia tra 45 tipi di piante che crescono in periodi diversidurante Expo, ovviamente viste ad altezza d’ape. Poi si arriva all’alveare, costruitocon 170.000 componenti, forme matematiche che riflettono quelle della natura.

La sindrome dellospopolamento degli alvearicolpisce dal 2006 le apioperaie e altre specie diinsetti impollinatori chevivono negli Usa e inEuropa. Le cause? Pesticidi,parassiti, perdita di habitat.Le ricerche puntano il ditocontro tre tipi particolari diinsetticidi che si definiscononeonicotinoidi. Questivengono usati in agricolturaper la concia delle sementidi mais e di altre colture eagiscono sul sistemanervoso di insetti e parassiti.

Il futuro è nelle nostre API> Antonio Sanfrancesco

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LISA CASALI

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CUCINARE CON GLI AVANZI E LE PARTI DEL CIBO SCARTATE, PER EVITARE SPRECHI EPROPORRE UNA DIETA SANA, EQUILIBRATA E SOSTENIBILE. È LA PASSIONE E LA SFIDADI UNA GIOVANE APPASSIONATA DI CUCINA, SCRITTRICE, BLOGGER E CONDUTTRICETELEVISIVA. «THE COOKING SHOW», A GIUGNO SU RAI3, SI REGISTRA ALL’EXPO

«Il piatto più buonoè fatto di SCARTI»

CHI ÈLA RIVOLUZIONE

IN CUCINALisa Casali è nata a Forlì nel 1977.

Scrittrice, blogger e appassionata di cuci-na sostenibile si è laureata in scienze am-

bientali e si è poi trasferita a Milano dove hafrequentato un Master in Economia e Mana-gement Ambientale alla Bocconi. Collaboracome esperta di cucina senza sprechi conriviste e quotidiani ed è autrice di libri disuccesso. La sua ultima fatica è «Tutto

fa brodo. Dagli scarti alle scorte: lamia rivoluzione in cucina»

(Mondadori)

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«L’idea? Mi è venutapulendo i carciofi: di

questo ortaggio si buttavia una parte consistente»

> Orsola Vetri

a K maiuscola è d’obbligo per«The cooKing show - Il mondo inun piatto» in onda dal 1 giugno al-le 12.45 su Rai3. Una trasmissio-ne di cucina che dal 10 maggio è

anche una delle attrazioni di Expo: chi vuo-le può assistere alla registrazione che verràpoi montata e trasmessa in Tv. Per ogni pun-tata due grandi chef: uno italiano e uno stra-niero testimonial del proprio Paese. In co-da la conduttrice, Lisa Casali, che in soli 5minuti prepara una ricetta con avanzi e scar-ti dei piatti precedenti. Trasmettendo cosìquella che è la sua filosofia culinaria. Cosa ha cucinato durante le trasmissioni?Improvviso sempre. Una volta ho utilizza-to le verdure stracotte del brodo (un porro,una cipolla e una carota), un avanzo di co-toletta di vitello. Ho insaporito e saltato tut-to e ho servito su un letto di crema di faveavanzata. In un’altra puntata uno chef ave-va usato solo le punte degli asparagi e io houtilizzato i gambi, che sarebbero stati get-tati, per un tortino a più strati. Avanzi e scarti, qual è la differenza?

I primi mi interessano meno nella ricercadi nuovi piatti. Il loro utilizzo è già pre-sente nella nostra cucina regionale. Pre-ferisco utilizzare gli scarti.Come le è venuto in mente questo tipodi cucina?Da bambina amavo le verdure. Le rac-coglievo nell’orto e cercavo di cucinarleper curiosità e per gioco. Da grande, lau-reata in scienze ambientali, mi è venutospontaneo fondere la passione per il ci-bo, che avevo coltivato attraverso corsi

professionali, con le mie competenze scien-tifiche. Ma l’idea di una cucina dedicata a-gli scarti mi è venuta pulendo i carciofi erendendomi conto che di questo ortaggio sibuttava via un parte davvero consistente ri-spetto a quella che si mangia. Mi si è aper-to un mondo fatto di prodotti denigrati eparti meno nobili degli ortaggi. Un patri-monio incredibile nascosto in tutto quelloche solitamente non consideriamo.La sua è una cucina tradizionale?I nostri nonni erano attenti ma non aveva-no gli strumenti e le urgenze di sostenibi-lità che ha il mondo di oggi. Per me è il mo-mento di voltare pagina. Tutto quello che ab-biamo imparato dalla tradizione va bene.Ma bisogna andare oltre. Mangiare più le-gumi e meno carne e dare più chance almondo vegetale, scarti compresi. Si tratta di

un modo di cucinare e mangiare che partedalle nostre radici, ma più moderno, re-sponsabile e proiettato al futuro.Un esempio di una facile ricetta con gli scar-ti?I bacelli delle fave sono buonissimi si pos-sono sbollentarli e poi stufare con olio e a-glio e un po’ di vino bianco. Se aggiungia-mo le tagliatelle è un piatto unico sempliceed economico. Per non parlare dell’acquadi cottura dei fagioli o dei ceci: basta mon-tarla con una frusta per ottenere una spumacompatta e densa, come quella di un albu-me, con cui preparare una meringa o unafantastica maionese vegetale.Il suo ingrediente preferito?Sono un’amante dell’olio extravergine. Locolleziono cercandolo in tutta Italia tra i pic-coli produttori. È il tocco che trasformacompletamente un piatto (verdure o mine-stre). Il nostro patrimonio di oli è sottova-lutato. Ed è un peccato che le famiglie, quan-do fanno la spesa, si accontentino di sce-glierlo in base al prezzo. Per una bottigliadi olio extravergine si può anche accettaredi spendere 10-12 euro. Ma preferiamospendere questa cifra per il vino che tra l’al-tro dura molto meno.Abitualmente frequenta i ristoranti?Ne esploro molti per tutta l’Italia e li re-censisco dal punto di vista ambientale e delrecupero alimentare. Se devo fare una cri-tica: è scarsa la proposta vegetariana. Èd èancora difficile trovare un buon secondo diverdure che non sia un semplice contorno.Cosa le è piaciuto di più tra le attrazioni del-l’Expo?Sono qua tutti i giorni e mi capita spesso diandare in giro a esplorare i padiglioni. Il piùefficace nel messaggio è quello della Sviz-zera. Spiega bene e in modo simpatico chele risorse del pianeta non sono infinite. Toc-cando un tasto che per noi italiani è davve-ro sensibile.Ha già visitato anche il padiglione dellaSanta Sede?Certo. E mi è sembrata un’idea bellissima,con un importante valore simbolico, il fat-to di combinare un’opera d’arte storica co-me l’Ultima cena del Tintoretto alla mo-derna e lunga tavolata multimediale, il tut-to con il filo conduttore della condivisione.Molto divertente per me è anche la collo-cazione vicino all’Olanda, che ha un padi-glione molto ludico. Dà un’idea di Chiesache sa stare in mezzo alla gente e si apre atutti i visitatori.

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Page 39: NoiExpo - Giugno 2015