Nicola Spinosi - La mente ironica. Narrazione e interpretazione

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In modo ironico - narrativo si toccano temi utili ai fini di una "ecologia della mente".

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Nicola Spinosi

La mente ironicanarrazione & interpretazione

Titoli:ferita invisibilela visital'urloflorealtmomenti perfettisocrate di stradafuori luogodue paia di sandaliperdere il filo50 centesimi la visitaun paese da vipereil defunto analistala targa misteriosaricevimentoil titolo di stregala novella dello stentosorriso degli etruschisetaleggere, dimenticare3 giugno 1956 il labaro violail matrimonio della ritagrafomaniafoto mancatesalienzalapidi a sceltaricamo lo stessosi sorride a una pizzagelo notturnom.claraessenza sublimecomunismo a pedalisomething wrongedizioni provvisorietraduzioni un'opera sconosciuta di thomas bernhardil mondo secondo i rospidon chisciottegiova l'umore imporsiun aiutino

Il desiderio uno dei motori spontanei della nostra attivit mentale. Frenato da preoccupazioni epistemologiche. Ecco un risultato certo della mia ricerca. Ed ogni ricerca in merito ad ogni evento porta alla mente del ricercatore. Meglio se ironica.Il presente testo, inseribile nella discussione filosofica accesa ultimamente tra neo realisti e post modernisti, offre il suo apporto, che totalmente narrativo. Il fatto che a tratti si narri in terza persona, o in prima plurale, o in prima singolare, rappresenta un variare dell'ironia.

Nicola Spinosi

Prima parte

Ferita invisibile.

Essendo da escludere, come lui stesso diceva sempre, ogni evento casuale, il morso del cane di Weller, ancora prima di essere effettivamente inferto, deve aver avuto il suo posto nel progetto concepito da Koller. In fondo, lui, Koller, una volta aveva detto che il morso del cane di Weller era in verit opera sua, di Koller, unasserzione, questa, della cui seriet non intendo affatto dubitare.

(T.Bernhard, 1980, I mangia a poco; trad.it., Milano, 2000, pag.63).

Mentre la compagna gli ricordava per celia e sommi capi un caso avvenuto anni prima (entrambi pedalando, lui avrebbe accennato allora una risposta al saluto duna bionda dagli occhi glauchi, questo il referto fallace della memoria di Fausto, sollecitata dalle parole della compagna), ora in marcia affrettata su uno stretto marciapiedi fiorentino, distratto ed anzi disorientato dalle parole di lei, urt con la forza del suo passo contro una sporgenza metallica - scooter parcheggiato - proprio allaltezza della coscia sinistra: una bastonata. Andavano in trattoria (kosher). Ahia!, fece notare Fausto. Impallidito dal dolore, era spaventato dalle possibili conseguenze (pronto soccorso, trafile di cura e cos via), eppure non manc di pranzare (kosher) con la compagna. Roberta.

Non appena possibile, si cal i calzoni per ispezionare la sua coscia colpita, niente. Anche il dolore era scomparso. Rest un mistero, anche dopo ore ed ore, lirreperibilit di tracce lividose. Laboriosamente digeriti i cibi assunti, in serata Fausto, sempre alle prese con il mistero della bastonata che non gli aveva segnato la coscia, fece ritorno a casa e scopr che la cena distava, nel tempo. Aveva fame, com strano, e si concesse un cospicuo antipasto di yogurt con fette biscottate. Dopo cena inizi a dargli noia lo stomaco, esperienza per lui rarissima. Ore insonni di fastidio, allalba mutato in diarrea. Liberazione.

Cerchiamo lorigine dei guai per necessit, siamo costretti insomma dalla nostra mente a chiederci di chi o di che cosa la colpa dun guaio: Fausto consider colpevole della sua nottataccia a cinque stelle la pappa di yogurt con fette biscottate che non gli aveva impedito altres di cenare. Indigestione forse da attribuire anche al pranzo (kosher). Malattia dei tre emme, avrebbe sentenziato la nonna: mangia meno, maiale!. Al mistero della bastonata che non gli aveva segnato la coscia (lesione chiusa?), come causa, Fausto non pens.

Fausto aveva fin l goduto digestivamente di ottima tolleranza, com naturale con qualche rara eccezione vomitoria o diarroica, nei decenni. Aveva mangiato, dei cibi in uso in questa parte del mondo, ogni cosa senza risentirne in nessun modo: carne cosiddetta rossa, bianca, insaccati, prosciutto crudo e cotto, pesce, patate, verdura, frutta, pane, pasta, formaggi latte yogurt in quantit, mozzarella e dolci pasticcini biscotti cioccolato crema panna gelati. Bevuto vino, alcolici vari, bibite, spremute, succhi di frutta, caff e cos via. Tutto quanto.

Umano straccio, quel mattino, dopo il miserevole sonno, Fausto si sentiva tuttavia purificato dalle pene notturne scontate, punizione dei suoi eccessi, e com naturale presto si dimentic del guaio patito, ascritto da lui definitivamente allincongrua pappa di yogurt con fette biscottate; chiss perch, invece, non a tutto quello che il suo organismo e la sua mente avevano patito il giorno prima, inclusa la bastonata che per non gli aveva segnato la coscia (lesione chiusa?), incluso il semiserio richiamo per sommi capi della compagna, che in effetti lo aveva distolto dallattenzione necessaria a camminare in due affiancati su uno stretto marciapiedi fiorentino infestato da sporgenze varie.

Colpevoli, nei decenni, di numerosi cosiddetti tradimenti consumati nella realt esterna, titolari responsabili di innumerevoli desideri carnali contemplati nella e dalla nostra realt interiore, nel contempo per attaccati, come talvolta accade che noi siamo, a una donna, dotati di conseguenza di una certa quale coda di paglia, ci troviamo ad ascoltarla con pi attenzione di quanto basti, se lei provoca in noi il ricordo dun momentaneo flirt dello sguardo che avremmo improvvisato sulla pista ciclabile in omaggio a una bionda di nostra vaga conoscenza (ma dotata di occhi glauchi). Fausto, mentre insieme alla compagna saffrettava verso la trattoria (kosher), occasione festosa, ascoltava accorato quelle celie imprecise, un poco si sentiva vittima innocente, un poco accusato colpevole, ma in definitiva pativa di essere stato scoperto, questa la verit. Non le sfugge nulla, pensava Fausto; non si scappa: dotata di telecamera sempre in funzione, niente privacy, manco guardare posso, manco fare un cenno di saluto, piagnucolava interiormente. Aveva torto, come avrebbe saputo anni dopo: il cenno scambiato con la bionda sulla pista ciclabile era sfuggito a Roberta, che invece riferiva la sua celia ad una vistosa guardata diretta da Fausto a unaltra, in Cavour, evento, questultimo, del tutto dimenticato da Fausto, ed irrecuperabile.

Ed ecco la bastonata alla coscia sinistra, com il caso di ripetere. Colpa sinergica della sporgenza metallica e della disattenzione di Fausto. Autopunizione? Ma per che cosa? Per un suo imprecisato e momentaneo flirt dello sguardo, anni prima, oppure per essere lui attaccato ad una donna cui nulla sfuggiva, per esserle asservito tanto da sentirsi in difetto soltanto per un cenno di saluto a unaltra, e, sia pure, per un imprecisato e momentaneo flirt dello sguardo?

Connettiamo gli effetti di una nostra disattenzione, concreti, con ci che stavamo solo pensando, diamo la colpa non al caso ma ai nostri pensieri, di cui in ultima analisi siamo responsabili, anche se essi scorrono alla faccia della nostra volont. Fausto dunque connette la bastonata a quello che occupava la sua mente un attimo prima della bastonata. E formula lipotesi che la bastonata sia una punizione, o meglio unautopunizione causata dai suoi pensieri, intreccianti certo il tema del sentirsi lui Fausto in difetto, su questo non c dubbio. Fausto si sentiva in difetto, dunque, soltanto che non sapeva bene perch. Si sentiva in difetto di sentirsi in difetto nei confronti della compagna, invece di esprimere prima, analizzare dopo, il suo risentimento per essere stato da lei scoperto mentre scambiava un cenno con la bionda, anni prima, e per il richiamo subito sappiamo quando.

Sanato, Fausto riprese le sue abitudini alimentari generalisticamente tolleranti come se nulla fosse capitato, ma dopo poche sere si trov di nuovo a patire i sintomi, gli stessi, della serata e nottata successive allassunzione dellantipasto di yogurt con fette biscottate e della cena successive al pranzo kosher e alla bastonata che non gli aveva segnato la coscia (lesione chiusa?). Gli stessi, pi o meno, sintende. Mal di stomaco crescente dopo una mezzora dalla cena, insonnia connessa al dolore e mal di pancia con diarrea - liberazione albale. Era divenuto, Fausto, intollerante ad una parte dei cibi suoi soliti, come scopr nel corso dei sette od otto episodi che bastarono quella primavera a ridurre il suo peso di molti chili. Alla carne rossa al formaggio allo yogurt al latte alla panna alla crema e ai dolci relativi, al prosciutto agli insaccati, quindi alla carne di maiale, perfino alla carne di coniglio e, curiosamente, agli spinaci! Gli restava per fortuna il resto. Oltre al lutto.

Un altro sarebbe andato a consultare un medico, non Fausto, che invece cominci a considerare lipotesi che la bastonata da lui presa alla coscia sinistra, in via degli Alfani, vicino alla trattoria (kosher), avesse lasciato tracce interne (lesione chiusa?), al posto del livido che, incredibilmente, non laveva segnata. Che la bastonata (non c modo migliore di definire lurto della cosiddetta sporgenza metallica sulla coscia sinistra di Fausto, in alto, abbastanza allesterno, com ovvio) avesse ferito qualcosa del suo sistema nervoso vegetativo, con la conseguenza di trasformare i servigi del suo apparato digerente, fin l tolleranti, in servigi intolleranti. Un altro sarebbe andato a consultare un medico in merito all ipotesi di un nesso tra le conseguenze della bastonata e le cosiddette intolleranze, non Fausto, motivi la sua paura di essere preso, a causa della sua ipotesi, per matto dal suo medico cosiddetto di base, locupletato questultimo di un cinque euro al mese per ogni cosiddetto paziente, fanno sessanta allanno, bravissima persona, dotato perfino di una certa quale classe, ma svelto, troppo svelto, troppo ingenuo, forse, per accogliere lipotesi di Fausto, psiconeurologica, se non metafisica. Timoroso di essere preso per matto e di dover sottoporsi, invece, ai detestati esami clinici, Fausto. Evitabili come la peste. Da un medico filosofico, sarebbe potuto andare a consulto Fausto, se lo avesse conosciuto, un tale medico. Da un alternativo, cosiddetto? Su questa strada Fausto temeva di infognarsi in un qualche delirio postmoderno a due pagato da uno soltanto, lui. Quindi, niente.

Connettiamo correttamente un evento traumatico alla nostra disattenzione causata forse dalle nostre pensate pene e concludiamo, ma spericolatamente, che levento traumatico risponda a modo suo a quelle pene; ci non bastandoci, allevento traumatico e misterioso (nellassenza di tracce lasciate sui muscoli e sulla pelle lesione chiusa?), connettiamo al buio altri eventi che riguardano il funzionamento dellapparato digerente. Com naturale siamo tentati dal gioco dazzardo di connettere in definitiva le nostre cosiddette intolleranze di oggi con le pene pensate al momento del trauma, della botta, della bastonata, riflette autocritico Fausto.

Soltanto negli ultimi tempi, dopo tre, quattro anni di dieta forzata e di meditazioni, sintende saltuarie, sui nessi tra le conseguenze della bastonata (in termini di lesione chiusa al muscolo femorale ed ai nervi connessi) e le sue intolleranze alimentari, Fausto si deciso a studiare un poco il suo caso per alleggerire la sua ignoranza, soddisfatto tuttavia della sua ingenua prima ipotesi che il gran mistero dellassenza di tracce lasciate dalla bastonata celasse, certo al chiuso, una lesione al sistema nervoso vegetativo, o simpatico, o autonomo.

Nei primissimi minuti, per non dire nelle primissime decine di secondi dopo la bastonata, come sintende figurandosi che un corpo di sessantacinque chili in marcia, quello di Fausto, subisca un arresto totale e concentrato su una piccola sua parte (la coscia), da e su una barra metallica facente parte laterale di un telaio (privo del solito bauletto, cio scoperto) avvitato posteriormente su un grosso scooter piazzato sul suo cavalletto, oggetto non statuario, ma poco ci manca; nelle primissime decine di secondi dopo la bastonata, bisogna ripeterlo, Fausto, terreo, in preda al dolore, impaurito pens che la sua giornata avrebbe preso la direzione non della trattoria (kosher), festosa, ma quella del pronto soccorso (oggi detto primo soccorso in omaggio alla lingua dei Signori), e si rappresent la trafila, temendo di essersi rotto qualcosa di serio. E infatti. Solo che, si accorse subito Fausto, lui poteva camminare, e allora perch rimanere l, su quel marciapiedi stretto di via degli Alfani? Poteva proseguire, svuotato di forze e gelato, ma la gamba colpita funzionava ancora. Proseguire e semplificare, anche a causa della presenza della compagna, non si sa quanto consapevole di ci che era successo a Fausto. Nessuno sa ci che accade allaltra persona, questa la verit, n lo sente, soprattutto.

A tavola, pochi minuti dopo, Fausto sent che la sua gamba andava bene, mentre ancora provava la sensazione di freddo, di paura e di chiusura marmorea allo stomaco, e si confid con la compagna in merito a quel che era successo e stava succedendogli. Non avrebbe dovuto pranzare, Fausto, questa la verit. Avrebbe dovuto non pranzare. Avrebbe dovuto tollerare linciampo, larresto e le sue conseguenze in termini di freddo, di paura e di chiusura marmorea allo stomaco, invece non toller n larresto n le sue conseguenze, e, approfittando in modo sfrontato delleroismo del suo stomaco, pranz (kosher), mise al lavoro il suo apparato digerente, ritenendosi fortunato di non trovarsi al pronto soccorso, facendo finta di nulla.

La compagna subito si dichiar addolorata di aver intrattenuto e in definitiva distratto Fausto, durante il percorso ad ostacoli sul marciapiedi stretto di via degli Alfani, con le sue celie per sommi capi in merito, secondo la memoria di lui, allo scambio di sguardi e cenni di saluto tra Fausto e la bionda dagli occhi glauchi; certo la compagna aveva ragione di sentirsi addolorata e anche contrita, infatti in certo modo la colpa della bastonata presa da Fausto era anche sua. Non soltanto del marciapiedi stretto, della sporgenza metallica e cos via. Lo spazio tra le pareti degli edifici e le decine di scooter parcheggiati era e resta esiguo per camminare in due affiancati. Meglio in cosiddetta fila indiana. Per starle accanto, Fausto, com dovuto tenendo la compagna dalla parte del muro, si era esposto alla micidiale sporgenza. Per restarle accanto e soffrire meglio le parole che, in forma di celia e per sommi capi uscivano dalla bocca della compagna.

Post hoc ergo propter hoc, ecco la nota fallacia: se B accade dopo A facilmente crediamo che A sia stato causa di B. Invece la connessione causale pu non esserci, tra A e B, spesso c, com ovvio, ma altrettanto spesso, no. Nel caso di Fausto, lunico probabile mistero lassenza di tracce della bastonata sulla pelle della coscia, e da esso Fausto ha iniziato ad indulgere nelle sue connessioni, connettendo, in definitiva, tutto con tutto. Si tratta di un errore, naturalmente, non ignoto allo stesso Fausto, cultore di tempo in tempo di quel principio facente da coperchio a tutte le pentole incompatibili, come la presente, con il causalismo: la cosiddetta sincronicit.

Intanto vediamo il mistero dellassenza di tracce della bastonata sulla pelle della coscia (sinistra) di Fausto, o per meglio dire, com ovvio, sulla parte esterna della medesima. Potrebbe essere dipesa, tale assenza di tracce, dalla protezione che sul momento due strati di abiti (pantaloni e soprabito) garantivano alla parte bastonata, per quanto Fausto non ricordi se, quel giorno, lui indossava un cosiddetto soprabito abbastanza lungo da coprirgli la coscia sinistra, o invece un corto giubbotto. Vogliamo riscaldarci a questo focherello?

Riluttiamo per giorni e giorni, nonostante che siamo (congiuntivo presente) alle prese con lidea di consultare un medico in merito al mistero dellassenza di tracce visibili di una bastonata che abbiamo preso, fino a quando non riconosciamo che ormai tardi per consultare un medico. Non possiamo raccontare ad un medico, neppure ad un professionista non obbligato dal cosiddetto sistema sanitario nazionale ad ascoltarci in cambio di cinque euro per mese, sessanta allanno o gi di l, ma invece pagato da noi secondo le cosiddette leggi di mercato e quindi magari benevolo ascoltatore, che una settimana prima abbiamo preso una bastonata senza riportarne tracce visibili, mentre temiamo che abbia invece lasciato tracce interne pi o meno allarmanti. Sarebbe come se una donna si rivolgesse alle autorit di polizia per denunciare un cosiddetto stupro da lei subito mesi prima. Come se un tizio intendesse far causa per danni biologici ad un prevaricatore anni dopo che la prevaricazione avvenuta e il cosiddetto danno biologico registrato soltanto nella memoria del tizio, la cui patita insonnia da stress nota soltanto a lui, dunque appartiene al genere narrativo, e cos via esemplificando. Serve tempismo, ci di cui Fausto, tergiversatore, privo. Non possiamo consultare in ritardo un medico su qualcosa che registrato soltanto nella nostra memoria e in quella di una testimone incline alla celia per sommi capi, qualcosa che dunque appartiene al genere narrativo, oppure sulle nostre ipotesi di connessione tra la bastonata e le intolleranze alimentari che ci toccano da mesi in quanto novit logicamente amarissime, ipotesi di connessione che sembrano, anchesse, appartenere al genere narrativo.

E allora dobbiamo sprofondare nella narrativa, questa la realt.

La visita.

La Gatti e suo marito vennero a Firenze perch lei intendeva partecipare ad un convegno e lui aveva espresso il desiderio di accompagnarla per rivedere la citt. La Gatti, amica di Fausto, avrebbe (dichiaratamente) preferito una trasferta solitaria, con il pretesto del convegno, forse allo scopo di smarcarsi dalla famiglia per qualche giorno nella cosiddetta culla del Rinascimento e dintrattenersi con Fausto senza terzi incomodi: chiacchiere libere, per quanto possibile, confidenze e forse pettegolezzi su amici e conoscenti. Nientaltro, almeno secondo le previsioni ed intenzioni di Fausto, non attratto dalla Gatti in quanto femmina n dai pettegolezzi di lei, spesso vertenti anche su persone a lui poco note, e neppure interessato a certe recenti vicissitudini dellazienda capitanata dallamica. A Fausto la prospettiva di essere ingozzato per qualche ora dalle chiacchiere della Gatti pesava, insieme al ruolo di fiorentino che la situazione gli avrebbe, prevedibilmente, assegnato - una forzatura; ma dover sorbirsi anche il Gatti, un ligure di poche parole del resto quasi ignoto, gli pesava di pi, come certezza: non senza il vantaggio, tuttavia, duna limitazione delle chiacchiere.

Arrivarono in auto, un venerd sera; i Gatti si sarebbero fermati in un albergo vicino a San Marco, Fausto li avrebbe accompagnati in un ristorante degno di nota a causa dell arredamento fuori moda e di una certa quale seriet. Un locale non caratteristico. Cena e poi passeggiata, aveva progettato forzatamente Fausto: San Lorenzo, Duomo, Signoria, Santa Croce, Santissima Annunziata e fine del tour de la ville, buonanotte e alla prossima (forzatura). Era gi stanco, quella mattina aveva realizzato un imprevidente giro di vari chilometri; in San Marco fu costretto a guidare via cellulare gli arrivanti Gatti, che il loro navigatore satellitare continuava invece a mandare fuori strada. Da ultimo Fausto si decise a muoversi di persona incontro ai due lungo via Cavour fin quasi a piazza della Libert. Era ventosa, quella fine di ottobre. Gi stufo, Fausto, ma anche divertito dalla coglioneria di quel navigatore (erogante indicazioni fiorentine sempre sbagliate), mentre, ora seduto nellauto dei Gatti, suggeriva la strada giusta per lalbergo senza tener conto dei divieti, ud la Gatti osservare che Firenze in questo gi meridionale. Certo, si trova a sud di Genova, che a sud di Torino e cos via. Eseguita la registrazione dei Gatti, sistemati i bagagli, occhieggiando Fausto la non malvagia sala della reception, e valutando la grazia dellambiente, buona per un qualche futuro, i tre si misero in marcia (forzata) verso il ristorante non caratteristico.

Accettiamo per forza che unamica accompagnata dal marito in visita nella nostra citt cincluda nel suo programma, non possiamo smarcarci con qualche scusa, infatti lamica ce ne ha dato avviso da mesi. Non sappiamo restare fermi nel nostro rifiuto intimo degli scodinzolamenti telefonici di questamica indigesta, che ci ritiene interessati complici delle sue beghe professionali, di cui invece non cimporta nulla. Accettiamo, dunque, ma gi subito ce ne pentiamo, quando siamo confrontati con la macchinosit invadente dellarrivo di questamica accompagnata dal marito sospettoso.

(Una volta Fausto camminava insieme alla Gatti nei paraggi di casa di lei, quando incontrarono il Gatti, che lanci una brevissima ma trasparente occhiataccia a Fausto. Piacere. Piacere.)

Accettiamo: perch non si pu sempre inclinare verso il no, e qualche relazione sociale dobbiamo pur tenerla in piedi, pare, anche se sappiamo con la massima precisione che il prezzo sar alto, come sempre lo stato. Il guaio vero capita tuttavia quando non possiamo scappare. Se ci vengono in casa, gli ospiti, non abbiamo modo decente di respingerli fuori, se invece siamo noi in trasferta troviamo modo di andarcene. Devo andare, diciamo.

Arrivati alla svelta, ciarlando Fausto e la Gatti di nulla (eppure a stento, nellangustia dei marciapiedi), il Gatti dietro, ora impegnato a rispondere a una chiamata dun cliente, ora invece lui accanto a Fausto, la Gatti dietro impegnata a rispondere a una chiamata dun cliente, serata fredda, i tre sedettero al tavolo prenotato e diedero inizio alla cena. Il nemico dellapparato digerente di Fausto si nascondeva nella zuppa trentina scelta da lui per il calore che promette qualsiasi zuppa individuata nel men di un ristorante serio nel freddo di fine ottobre, e anche a dispetto, tuttavia, delle ordinazioni stucchevolmente toscane dei Gatti, ribollita bistecca alla fiorentina Colombaccio rosso: nella forma di minuscole pallottoline di carne di maiale, cos la cameriera interrogata, mescolate allorzo, prima assunte da Fausto cucchiaiando in modo distratto e (come al solito) vorace, poi percepite con orrore e faticosamente selezionate a margine della scodella.

Una squisitezza consigliabile ai sani, questa zuppa trentina.

Fausto e i Gatti felicemente non chiacchierarono durante la cena delle vicissitudini dellazienda capitanata dalla Gatti, ma daltre sciocchezze. Non antipatico, il Gatti, a Fausto che descriveva in breve la sua cosiddetta intolleranza replic: ma allora non puoi mangiare nulla! Ma no, i cibi sono tanto numerosi, lo sappiamo, eppure lo dimentichiamo, avrebbe potuto rispondere Fausto, se non fosse stato in pena per il suo stomaco. Finita la cena e due bottiglie di Colombaccio rosso, Fausto dette inizio al progettato tour de la ville di piazza in piazza, ma stanchissimo e preso alle ginocchia dal vino bevuto. Di secondo aveva fatto sparire, con la massima sfrontatezza, del pollo lesso con verdura. Tra piazza del Duomo e piazza Santissima Annunziata (mentre aveva silenziosamente deciso di tagliare Signoria e Santa Croce) lo stomaco inizi a dargli noia, forse collaborando maligno con la stanchezza il freddo la noia la forzatura dellintera situazione sociale (e con il Colombaccio rosso). In Santissima Annunziata, lintestino dando il cambio allo stomaco, Fausto valut lipotesi diarroica e subito decise di congedarsi dai Gatti, oramai vicini al loro albergo. Chiese scusa, strinse la mano a lui e scambi un paio di baci con lei, quindi saffrett verso il suo vicino studio, prima di tornare a casa, ormai certo di riuscir male a contrastare lurgenza estrema di liberarsi lintestino. In DAzeglio, a poche centinaia di metri dalla sua meta, cerc con lo sguardo un anfratto tra le siepi dove chinarsi per defecare. Gli parve di averlo individuato e stava per procedere alloltraggio (come dedica al cinque stelle l davanti), quando ud un urlo ferino venire dal buio della piazza. Meglio resistere, decise allungando sempre di pi il passo. E la fortuna lo premi. Sar stata mezzanotte.

E credibile che una quantit davvero irrisoria di carne di maiale come quella assunta dallinconsapevole Fausto insieme allorzo cucchiaiato dalla calda zuppa trentina, pochi grammi, provochi una reazione tanto rapida e invalidante, che nel giro di unora consegni Fausto nelle grinfie duna diarrea totale?S: precedenti esperienze simili dovute sempre a quantit ridicole, magari di ricotta nascosta dentro certi tortellini lo confermano a Fausto, che tuttavia, sul caso piuttosto ampiamente descritto della zuppa trentina, ha molta voglia di uscire dalla fallacia del post hoc ergo propter hoc, malattia caricaturale del causalismo, questo bisogno della mente.

E chiaro che fatti o eventi o fattori visibili e testimoniabili coesistono qui (se non concorrono) insieme a fatti o eventi o fattori invisibili, non testimoniabili e quindi subito appartenenti al genere narrativo. A parte la carne di maiale il mal di stomaco e la diarrea, cera il Colombaccio rosso, il senso di freddo e la stanchezza, gi questi ultimi due fatti o eventi o fattori molto soggettivi; assolutamente soggettiva, invisibile e non testimoniabile era la sensazione di Fausto di trovarsi, l accompagnato ai Gatti, preso in una forzatura; e il suo risentimento alle parole della Gatti: Firenze in questo gi meridionale, dove meridionale significava (anche ci soggettivo) caotico. Ci che offensivo, poich Fausto detesta udire male parole forestiere su Firenze.

Fin qui inesplorata, risalta, nel caso descritto, la dimensione del classico (e stucchevole) triangolo. Dove il Gatti padre, la Gatti madre, Fausto figlio, tuttavia non desiderante, semmai desiderato dalla madre, marcata stretta dal marito. In ci la vera forzatura del caso, specifica, non genericamente riferibile alla scontrosit caratteriale di Fausto. Cacciato dunque in una situazione a tre (percepita come tale e dunque non estranea al suo psichismo), Fausto avrebbe patito, come dire?, a vuoto, ci che significa: senza suoi desideri. In altri termini, Fausto sarebbe stato costretto dalla Gatti ad interpretare un ruolo nelloccasione astruso, fuori luogo, ma ugualmente penoso.La situazione triangolare, pur senza desideri di Fausto, quindi a vuoto, potrebbe del resto aver riattivato il cosiddetto complesso fondamentale di Fausto, riattivabile com ovvio in centinaia di casi.

Le poche decine di grammi di carne di maiale assunte da Fausto a cena con i Gatti bastarono a metterlo in crisi, dunque, cos come, si perdoni lesempio pacchiano, un fiammifero acceso dove c esca pu provocare un incendio. Lo psichismo di Fausto avrebbe dunque collaborato, per esprimersi, con la sua intolleranza della carne di maiale (senza contare il Colombaccio rosso la stanchezza e cos via). Esagerandone la dannosit con lo scopo di togliere Fausto da quel triangolo per lui assolutamente spoglio di desiderabilit.

Lurlo ferino udito da Fausto proprio quando stava per decidersi ad oltraggiare diarroicamente, chinato in un anfratto tra le siepi di piazza DAzeglio, il vezzoso cinque stelle l davanti, potrebbe, com ovvio in modo tutto narrativo e sincronicistico (Jung), aver rappresentato il corrispettivo acustico, proveniente dal buio, del mal di pancia di Fausto e della sua rabbia di imprigionato nel triangolo (a vuoto di desideri).

L'urlo.

Ci affrettiamo in solitudine, notte, spinti dal bisogno di liberarci lintestino. Ad un tratto sentiamo di non resistere, eppure mancano soltanto poche centinaia di metri a casa. Il giardino DAzeglio sembra vuoto, lilluminazione discreta, non mancano siepi dietro cui potremmo chinarci. Non ci piace quello che vorremmo fare, ma il nostro abituale rispetto sequestrato dallurgenza. Individuiamo da lontano un buon nascondiglio, tra una siepe e un muretto, e ci decidiamo (quasi) ad eseguire loltraggio, quando un alto grido sgangherato ci spaventa. Non sappiamo da chi n da dove viene, immaginiamo un matto, o qualcuno che esagera la sua reazione a uno scherzo, e per prudenza rinunciamo allesecuzione. Allunghiamo il passo, e la fortuna ci premia. Lurgenza intestinale stava prevalendo sul rispetto, ma la nostra paura di poterci trovare, malmessi, davanti allurlatore misterioso, ha potuto ancora di pi. La paura, e se non la paura la prudenza, ci ha rimesso in carreggiata. Ora possiamo anche valutare la comicit della sequenza, com giusto.

Nessuno era con noi, nessun altro quindi pu testimoniare la realt (di matrice esterna) del grido, pensiamo a distanza di molti mesi da quella notte. Noi eravamo sicuri di averlo udito provenire dal giardino, ma non abbiamo visto chi ne fosse lautore. Dobbiamo credere a noi stessi, dunque, confortare questa credenza con la nostra certezza di non patire di allucinazioni e con il sapere (di matti, barboni, ubriachi, ragazzi sguaiati, ce ne sono) che un alto grido sgangherato rientra nelle probabilit urbane notturne. Non ci basta, mentre trova il nostro gradimento narrativo lidea che il grido fosse (anche) la forma acustica esteriorizzata di un richiamo della nostra coscienza civica, morale (rispetto, controllo): fuori di s, il caso di dire.

Florealt.

Anni or sono, lungo via Scipione Ammirato, in piena luce, tornavamo tranquilli e senza fretta verso casa, quando, dove si trovano le due palazzine in stile floreale, vedemmo uno stormo di cinque o sei grossi uccelli verdi dal capo ostentatamente piumato, ci parve, levarsi in volo proprio dal corpo della palazzina in stile floreale, tra le due, pi estremo, in direzione di un asilo per anziani gestito da suore che noi sappiamo essere originarie di Paesi lontani (alcune certo filippine). Un lampo: spariti. Ci sembrarono pappagalli, comunque uccelli esotici. Neanche allora qualcuno si trovava con noi, nessuno quindi pu testimoniare la realt (di matrice esterna) del volo da noi visto per un attimo, questo lo abbiamo pensato quasi subito, dubitando fastidiosamente. Perch uno stormo di uccelli esotici a Firenze improbabile. Non impossibile, ovvio, ma del possibile non sappiamo accontentarci.E degno di nota che gli uccelli verdi dal capo ostentatamente piumato donavano in modo perfetto agli ornamenti della palazzina (fabbricati in ceramica verde, a grosse foglie e festoni, alcuni; due, metallici, somiglianti a piccoli draghi, si ergono dalla grondaia; senza contare le balaustre, a strisce capricciose, dei due balconi).

Di rado riceve lattenzione dei passanti, se non di chi, non accecato, la vede per la prima volta, o di giovani disegnatori, o fotografi, specie da quando stata restaurata senza badare a spese, la palazzina in stile floreale estremo di via Scipione Ammirato, nota agli esperti come Villino Broggi Caraceni, ed affiancata dal Villino Ravazzini, florealmente meno notevole. Noi la rimiriamo ogni volta.Donavano alla palazzina, gli uccelli, e potremmo fantasticare che gli stessi ne fossero ornamenti in libera uscita. Daltra parte potremmo far lipotesi positiva che gli uccelli appartenessero alle suore provenienti da Paesi lontani, quelle che curano gli anziani nellasilo, che fossero lespressione concreta del loro legame con i Paesi dorigine. Avendone lardire, potremmo domandare, a qualche suora di nostra vaga conoscenza che talvolta incontriamo in giro nel quartiere, se al corrente di quegli uccelli esotici che noi crediamo di aver visto una mattina, anni or sono, e mai pi dopo. Sarebbe imbarazzante. Del resto gli uccelli avrebbero potuto appartenere ai proprietari della palazzina. O essere scappati chiss da chi e da dove.Peccato che noi dubitiamo non poco di aver visto qualcosa di reale (e non di floreale), come quasi subito abbiamo iniziato a dubitare. Potrebbe essersi trattato di unallucinazione, tuttavia molto gradevole, al netto del fastidio che ci d lipotesi che noi possiamo aver avuto unallucinazione, come visione. Una visione che, adesso ce ne accorgiamo, facile da descrivere, mentre le forme che ha la palazzina, e i suoi ornamenti, ci danno molti grattacapi descrittivi. Gli uccelli, veri o allucinati, ci suggeriscono ora una via duscita tutta narrativa dallimprobo compito di descrivere la palazzina in stile floreale estremo di via Scipione Ammirato, se non, in definitiva, una via duscita dal nostro tran tran. Un volo in quanto augurio, dunque.

Dubitiamo poco di aver udito davvero provenire dal buio del giardino DAzeglio quellalto grido sgangherato, invece dubitiamo molto di aver visto davvero lo stormo di grossi uccelli esotici in via Scipione Ammirato, e abbiamo spiegato perch. Ma, se dubitiamo di questa percezione visiva, dobbiamo dubitare anche della percezione uditiva del grido, dopotutto avvenuta in una situazione per noi assai penosa, dato che, dopo una serata infelice, stavamo per farcela addosso in strada, eccitati, tutti presi dalla fretta e insieme dal controllo. E ripetiamo: del grido si pu narrare come dun brutale esteriorizzato richiamo in nome del controllo che stavamo perdendo.

Momenti perfetti.

Pochi pomeriggi or sono, mentre stavamo attraversando via Tommaso Campanella proprio dove essa sbocca in piazza Oberdan, la nostra attenzione stata attirata da una smilza bambina di quattro o cinque anni appesa, un cono gelato in mano, allesterno della balaustra che delimita la piccola terrazza con pochi tavolini di un ritrovo l vicino. Si teneva con le ascelle al corrimano della balaustra, appoggiata con i piedi al margine esterno della terrazza, e sembrava guardare, un poco dimenandosi, due adulti seduti l, tra i quali la nonna, non senza occuparsi del suo cono gelato, la bambina. La nostra attenzione, attirata dalla scena descritta, era in quel momento lontana dal farci vedere il margine del marciapiede cui stavamo andando incontro, al termine dellattraversamento di via Tommaso Campanella, di conseguenza labbiamo urtato ed abbiamo perso lequilibrio: saremmo caduti, se non ci fossimo sostenuti fortunosamente con una mano alla parete delledificio contro cui linciampo ci aveva gettato. Abbiamo rischiato, distratti, non soltanto di non accorgerci di uneventuale auto o moto in arrivo dalla piazza, ma anche di rovinare effettivamente a terra, in ogni caso ci siamo sentiti esposti, nel nostro goffo catapultarci contro la parete, ad una comica, misera figura. Danziano malfermo, nonostante la sua apparenza giovanile.

La nostra attenzione era stata attirata dalla bambina intenta non sappiamo a che cosa, per quel che riguardava la sua mente, dunque era stata attirata da ci che lei poteva sentire e pensare secondo la nostra immaginazione spontanea. Abbiamo sentito che quello era un momento della vita della bambina che per qualche motivo misterioso sarebbe rimasto inciso nella sua memoria, forse come un buon momento, un momento perfetto di quiete di sicurezza di protezione e insieme di libert, infatti lei si trovava fuori dal recinto della terrazza, non dentro, e guardava la nonna. Noi eravamo quella bambina, e stavamo rivivendo qualche nostro momento perfetto avuto con la nostra nonna, sessanta anni fa, o con altri, non importa chi. Pi semplicemente: quel momento della bambina era tutto nostro, e la scena ci era servita in un attimo a viverlo come se noi avessimo avuto la sua et.

In termini brutali: ecco perch laltro giorno siamo inciampati nel margine dun marciapiede ed abbiamo rischiato di sbattere contro la parete di un edificio di via Tommaso Campanella. Per disattenzione. Perch non guardavamo dove stavamo mettendo i piedi. Abbiamo del resto pagato un prezzo ben modesto, alla nostra disattenzione, guadagnando invece unesperienza di nostra squisita trasposizione. Abbiamo poi considerato, per gioco, lipotesi che quella bambina vista e guardata da noi abbia chiss come sentito la nostra trasposizione in lei, ed ora, anzi, ci piace immaginare che i momenti perfetti dei nostri primi anni dipendano sempre dallo sguardo di adulti, anche estranei, che stanno trasponendosi in noi bambini. Ecco perch non sappiamo spiegarne la perfezione: non sono veramente tutti nostri. E potremo viverli davvero in pieno soltanto quando appoggeremo il nostro sguardo su nuovi bambini per caso allopera secondo il nostro gusto. Ma su questo ora non possiamo dire di pi.

Non dubitiamo certo di aver visto davvero la smilza bambina di piazza Oberdan, o che fosse appesa allesterno della balaustra della terrazza di quel bar, che tenesse un cono gelato in mano, e cos via. N dubitiamo di essere inciampati, n del motivo dellinciampo. Infatti sono in questione eventi del tutto comuni e ben connessi, non grida sgangherate nella notte, men che meno voli urbani di uccelli esotici a mezzod. Dubitiamo invece che la signora guardata, tra gli altri, dalla bambina fosse sua nonna, anche se potrebbe esserlo stata, com ovvio. E che la bambina guardasse quelle persone. Siamo certi, invece, che lintera faccenda del momento perfetto appartiene alla nostra mente.

Dubitare dei nostri sensi comprensibile, quando essi registrano eventi che non appaiono ordinari, se non siamo affetti da psicosi n ci nutriamo di superstizioni, n, per la verit, riteniamo che vi sia altro magico intorno a noi, o dentro di noi, se non quello creato dalle nostre descrizioni, magico appartenente quindi al genere narrativo; dubitare del non ordinario comprensibile, ma perch non dovremmo dubitare anche degli eventi ordinari? Restiamo irretiti dagli eventi non ordinari, che in definitiva potrebbero essere richiami indirizzati alla nostra attenzione di solito vagante, mentre trascuriamo i cosiddetti eventi ordinari, che per essere tali lasciano che la nostra attenzione vaghi. Non dubitiamo dellordinario, mentre dubitiamo del non ordinario, cos. Ogni evento pu indurci a prendere lucciole per lanterne, invece, specie se ordinario. In effetti noi dovremmo credere di pi alla realt di un grido notturno sgangherato, o di un volo duccelli esotici, che non alla realt di una bambina con il gelato in mano e cos via; e, certo, di pi nella realt (di matrice interiore) della nostra trasposizione in lei che non nella realt (di matrice esterna) di lei stessa.Socrate di strada.

Pochi giorni dopo la stesura di ci che qui precede, camminando abbiamo visto per terra, vicino ad un cassonetto, una pagina a stampa. Labbiamo raccolta, era tutto quel che, in quel luogo, rimaneva di un libro (piuttosto vecchio, si direbbe) su Platone, o, per essere prudenti, di un libro vertente anche sullopera di Platone, o di un articolo duna rivista dedicato a Platone, nel dettaglio: ad un suo dialogo socratico, Eutifrone.Labbiamo raccolta per curiosit ed a causa della nostra brama di segni, domandandoci che cosa avrebbe avuto da dirci. Si tratta di un evento testimoniabile da chi era con noi e confermato, se non da quel che abbiamo narrato circa laverla vista e raccolta, dal fatto che la pagina si trova ancora in nostro possesso. Non un grido sgangherato, non un volo duccelli, n una bambina sconosciuta, tutti segni (secondo la nostra brama), ma irrecuperabili. Naturalmente, che la pagina avesse (ed abbia) qualcosa da dire a noi e non fosse soltanto un ovvio prodotto del caso (il rimanente dun libro buttato via), come ogni evento ordinario o non ordinario, una nostra attribuzione di cui siamo consapevoli, perch non siamo affetti da psicosi n ci nutriamo di superstizioni, n, per la verit, riteniamo che vi sia altro magico intorno a noi, o dentro di noi, se non quello creato dalle nostre descrizioni, magico appartenente quindi al genere narrativo, giova ripeterlo. Raccogliendola abbiamo esercitato una scelta di curiosit che altri non avrebbero compiuto; aspettandoci da essa un segno ci siamo distinti ancora un po, tra i gi rari raccoglitori di pagine a stampa perdute, ed pensabile che la nostra brama di segni (da trasformare in simboli) sia una strada della nostra individuazione, che ne ha bisogno.

Eutifronte, leggiamo, un povero uomo, che fa il processo al padre, non tanto per malvagit n per ambizione, ma per cortezza di mente: perch, cio, nel suo fanatismo intollerante e nella sua sicurezza farisaica, non sa vedere la realt nelle sue giuste proporzioni. In fondo, egli non in mala fede, in quanto convinto di dover agire in quel modo per non contaminarsi convivendo con il padre. (...) Eutifrone fornisce (...) la grande riprova della santit e giustezza del suo operato, chiamando in causa loperato stesso degli Dei di cui parla la mitologia. E, di rimando, Socrate dice testualmente: Ma proprio questa la ragione, o Eutifrone, per cui sono accusato: perch, quando qualcuno mi narra cose simili intorno agli Dei, duro fatica ad accettarle. E per questa ragione, evidentemente, si dir che io sono in colpa.

Il brano riportato corrisponde alla nostra brama di segni, specie in questo periodo che ci vede alle prese con queste note che scriviamo. Il problema sta nel vedere la realt nelle sue giuste proporzioni, senza fanatismo, senza chiamare in causa una qualche mitologia religiosa o magica. Noi duriamo fatica ad accettare cose simili e cerchiamo una via: tra il fanatismo insito nelle attribuzioni irrazionali di senso (agli eventi), ed un trito realismo. Tra la superstizione ed il culto della probabilit, o del caso. La via, come abbiamo ripetuto, quella della narrativa, che tuttavia pu sbandare nella mitologia (superstizione), o nel realismo (probabilit, caso). Flirtare qualche volta con la prima, qualche volta con il secondo.

Che cosa significa, per noi, vedere la realt nelle sue giuste proporzioni?

Abbiamo notato, come molti altri avrebbero potuto, una pagina malridotta vicino a un cassonetto dellimmondizia, tutto qui. Qualcuno aveva buttato via un libro, una pagina era caduta fuori, magari quando gli addetti alla nettezza urbana avevano vuotato il cassonetto nella loro macchina raccoglitrice. Labbiamo samaritanescamente raccolta, come altri avrebbero potuto, perch era una pagina di un libro (o di una rivista): non avremmo certo raccolto, per dire, una bottiglia o un foglio pubblicitario. Labbiamo velocemente valutata e messa in tasca, come non molti altri avrebbero potuto, perch noi abbiamo rispetto per la carta stampata, specie se pare appartenere a un libro (od a una rivista), e siamo lettori. V un percorso di individuazione, qui riflesso: dal generico molti altri al meno generico altri, allancor meno generico non molti altri; allo specifico lettori.Labbiamo intascata, facendola quindi nostra, mettendo in moto un gioco, quello che consiste nel cercare segni, messaggi a nostro uso, in certi eventi (anche in forma di oggetti) che ci capita di osservare. Un gioco cui diamo limportanza che si merita, volta per volta, senza dimenticare che di gioco si tratta: guardandolo nelle giuste proporzioni, insomma. Incuriositi da quel che, volta per volta, esso d, ma anche scettici sui suoi risultati. Ci piace, ci diverte, tutto qui.Il percorso dellindividuazione, qui riflesso, procede: dallo specifico lettori al pi particolare cercatori di segni (da trasformare in simboli); allancor pi particolare giocatori al cercasegni. Siamo adesso nei paraggi di noi stessi, andare oltre significa ci di cui il presente scritto un tentativo.

Tornati a casa, non appena possibile abbiamo letto la pagina, senza trovare niente dinteressante, nessun segno, nessun messaggio. La mattina seguente, come pochissimi altri avrebbero potuto, abbiamo riletto la pagina, trovando il brano sopra riportato, che, come crediamo, in questo periodo ci riguarda. Il giorno dopo, cio ieri, abbiamo inserito nel presente scritto il risultato della nostra trovata. Il percorso dellindividuazione qui riflesso procede a questo punto nei vicini paraggi di noi stessi: siamo giocatori al cercasegni che inoltre ne scrivono.

Non ci sfugge, com ovvio, che il senso da noi trovato nella seconda delle due facciate della pagina, il senso della opportunamente detta trovata, una nostra costruzione, uninterpretazione forse estorsiva, una nostra proiezione: noi abbiamo fatto parlare quella pagina secondo le nostre esigenze narrative approdando quindi ad una trovata narrativa. Fossimo dei cultori del Platone socratico, come non siamo, avremmo letto dellaltro, pur alle prese con uno scritto come il presente.

Abbiamo chiarito tuttavia che noi facciamo, quando capita, un nostro gioco detto cercasegni. Cercare segni riguarda molti, giocare al cercasegni crediamo che riguardi pochi. Quando ne scriviamo, noi siamo cercasegni narratori. Dal gioco alla narrativa.

Cerchiamo segni in eventi, ed in oggetti in quanto eventi, siano essi non ordinari (il grido minaccioso; il volo augurale di uccelli esotici) o abbastanza ordinari (una bambina; una pagina a stampa), come abbiamo scritto, per gioco. Nel caso di eventi in s non ordinari il nostro gioco (che antichissimo) serve a tentare di venirne a capo; nel caso di eventi in s ordinari, esso serve a valorizzarli, in altri termini a trasformarli in qualcosa di non ordinario oppure significativo (in simboli): perch?

Perch talvolta (non sempre, com ovvio) facciamo questo gioco cui crediamo fino a un certo punto? E: fino a quale punto?

Alla prima domanda possiamo rispondere, come farebbe il nostro caro medico, che siamo dei nevrotici, dunque apparteniamo alla schiera di chi (si) crea dei problemi (qui: il problema del significato) dove non ce ne sono, di chi non sa vedere la realt nelle sue giuste proporzioni di casualit, di causalit, di probabilit. Il fatto che il nostro un gioco consapevole ci fa dire di noi che siamo nevrotici: altrimenti saremmo psicotici. Somigliamo a chi non pu fare a meno di contare ( un esempio) i passanti dotati di cappello, sapendo tuttavia che ci vacuo.

Creiamo il problema del significato proprio perch siamo alla ricerca di significati (se non di simboli) forniti dal mondo intorno a noi, poich nel mondo interno a noi essi sono molto confusi. Non sappiamo che cosa significhiamo noi, la nostra vita, i nostri pensieri, il nostro lavoro, la lettura, la scrittura, i nostri rapporti personali e cos via. Non sappiamo perch mai siamo in giro una notte, in piazza D'Azeglio, di ritorno da una passeggiata faticosa con ospiti, venuta dopo una cena infelice che ci ha provocato prima fastidi allo stomaco, poi allintestino. Non sappiamo perch mai siamo fuori una mattina con il sacchetto della spesa in mano: forse si tratta di una pausa del nostro lavoro (che a sua volta una pausa interposta tra lalba e la notte)? Non sappiamo perch mai stiamo tornando a casa, un pomeriggio, in piazza Oberdan, nel senso che non sappiamo perch mai siamo usciti di casa, al mattino. Ecco perch giochiamo a cercasegni. Per trovare risposte magari astruse, tuttavia non banali.

Alla seconda domanda (fino a che punto crediamo a questo gioco?) abbiamo in parte gi risposto: gli diamo limportanza che si merita, volta per volta, senza dimenticare che di gioco si tratta: guardandolo nelle giuste proporzioni, insomma. Incuriositi da quel che, volta per volta, esso d, ma anche scettici. Ci piace, ci diverte, tutto qui (come se fosse poco!), abbiamo scritto. Ed abbiamo scritto, poi, che noi siamo cercasegni narratori. Crediamo dunque al cercasegni come gioco perch ci consente di raccontare (anche in parole scritte) storie cui crediamo appunto in quanto storie, in quanto narrativa, non in quanto verit, nello stesso modo in cui, com ovvio, riflettiamo sui nostri sogni, puntando pi sulla riflessione che non sul loro significato. E il gioco stesso che cinteressa, molto meno i suoi risultati. Al gioco crediamo, non ai suoi risultati o meglio cosiddetti risultati.

In definitiva facciamo questo gioco perch il nostro vero unico lavoro. Il nostro lavoro un gioco, il nostro gioco un lavoro.

Fuori luogo.

Qualche mese fa, in unaula universitaria, appoggiato su un mobile contenente dispositivi elettronici, abbiamo scorto, poco prima che iniziasse una riunione di colleghi, un esemplare di mutande maschili di cotone nero, del tipo a calzoncino. E una descrizione dellevento, come riteniamo, nuda e cruda. Lavremmo prelevato con le opportune cautele, per quanto sembrasse di bucato, allo scopo di provarne (ma con poche speranze di riuscirci, al cospetto di un interlocutore rigoroso) la realt (di matrice esterna), analoga a quella della pagina trovata, ma la presenza di testimoni ce lo ha impedito. Siamo disposti a mostrarci con in mano una pagina a stampa, in pubblico, non con in mano un esemplare di mutande maschili, ebbene s. Si trattava, stavolta, di un oggetto ordinario che, dato il luogo, dava adito ad un evento non ordinario. Nel senso che tale oggetto si trovava fuori posto.

Tutti gli eventi non ordinari in definitiva sono tali perch fuori posto, fuori luogo, fuori contesto e cos via. Il grido sgangherato da noi udito era fuori posto, dal momento che non ci trovavamo nelle adiacenze di una camera di tortura, ma in una distinta piazza fiorentina (dove del resto un giovane olandese ubriaco, secondo la stampa locale, sarebbe due tre giorni or sono caduto al suolo insieme al lampione sul quale, per saggiarne la solidit, sera arrampicato alla Tarzan in presenza di amici suoi: fratturandosi diverse ossa. Avr urlato?). Il volo degli uccelli esotici da noi visto era fuori posto in quanto non ci trovavamo n al giardino zoologico n per esempio in Nuova Guinea, ma a Firenze. La concreta e autentica pagina platonica era fuori posto e certamente fuori contesto (il volume di appartenenza), ma la presenza del cassonetto l vicino la giustificava come oggetto ordinario. Le altrove ordinarie mutande maschili erano certamente fuori posto e fuori luogo (che significa, ebbene s, inopportune), in quellaula, dunque costituivano un evento non ordinario. Che cosa ne giustificasse la presenza l, noi veramente non sappiamo n sapevamo, ma, com ovvio, qualche ipotesi ci zampilla in mente. Tale lavoro e gioco, premettiamo, far qualche luce sulloggetto (le mutande maschili) e sul soggetto (il giocatore).

Cercare la giustificazione di un evento strano gi uninterpretazione, per; tentare di spiegarlo legittimo, ma non obbligatorio, infatti potremmo limitarci ad accoglierlo. Anche se ci urta. Potremmo considerare, in particolare, che la condizione fuori posto a sua volta un a posto, cos come il posto di certi personaggi proprio quello di non averlo, e, se lavessero, finirebbero per svanire. Lindividuazione, rispetto alla gregariet, andare fuori posto. Daltra parte la gregariet il fuori posto dellindividuazione, e cos via.

Senza sforzo, abbiamo subito assegnato a quelle mutande maschili il seguente posto: in quel periodo (tardo autunno 2010) era in corso unoccupazione studentesca, con qualche conseguente pernottamento, da ci il lascito: si dorme, la notte, nonostante il fervore della lotta, ci si spoglia, forse, ci si cambia, chiss, e si dimenticano le mutande, come accade spesso in albergo. Assegnazione, come dire?: automatica. Uno tra i rari soggetti di genere maschile iscritti alla facolt, o un soggetto di genere maschile senza specificazioni?, meglio: una persona, magari addetta alle pulizie, come ragioniamo ora, aveva appoggiato quelle mutande sul mobile nero contenente dispositivi elettronici che si trova accanto alla cattedra. Qualcuno, questa la sola verit dicibile, aveva appoggiato le mutande l, maschio o femmina. E unipotesi nuda e cruda. Senza sforzo, in automatico, abbiamo assegnato alle mutande un posto connesso con loccupazione, iniziando a vestire levento in modo ragionevole, ma congetturale; ed abbiamo colorito tale nostra assegnazione con la fantasia che le mutande fossero la traccia di un che di sessuale avvenuto nei paraggi. La vestizione dellevento era, adesso, doppiamente congetturale: durante loccupazione qualcuno aveva fatto sesso. Le mutande ne erano la traccia.

Si potrebbe far sesso in una facolt universitaria anche se questa non fosse occupata, per; basterebbe volerlo ed avere labilit o la fortuna di trovare il come e il dove, o semplicemente lo slancio dimprovvisare, dopotutto si tratta di edifici grandi, molte sono le aule, lunghe le ore dapertura, e molti spazi, specie nel secondo pomeriggio, restano vuoti. Fatto sta che, in trentotto anni (pi quattro da studenti) di nostra frequentazione di luoghi universitari, anche durante le innumerevoli occupazioni studentesche, noi non avevamo mai visto prima, abbandonate, mutande maschili o femminili in giro, bens, abbandonati, sciarpe, cappelli, giubbotti, guanti, astucci da occhiali; naturalmente ombrelli, penne, lapis; e libri, fotocopie, quaderni; perfino un braccialetto dargento, recentemente. Mai mutande.

Abbiamo visto in loco, durante loccupazione, coperte, sacchi a pelo e simili, tutti oggetti connessi ai pernottamenti, dunque: perch non mutande? Il nesso tra la presenza delle mutande in aula e un che di sessuale avvenuto nei paraggi (durante il periodo delloccupazione) non soltanto non forte, ma tendenzioso. E tendenzioso tuttavia anche connettere le mutande, in quanto congetturale traccia di un che di sessuale, semplicemente alla vastit e solitudine (in certe ore) degli spazi di una facolt.

Tendenziosa: questo attributo del sostantivo connessione devessere spiegato con linnegabile tono di malignit che ha accompagnato lo zampillare subitaneo delle nostre ipotesi, malignit di cui non andiamo fieri: ne prendiamo atto, invece, come di un risultato certo della nostra ricerca in merito allevento (certo) costituito dallaver scorto, noi, un esemplare di mutande maschili in unaula della facolt. Malignit di un anziano ( vecchia di decine di anni, abbiamo accennato, la nostra frequentazione universitaria) scollegato non poco, se non annoiato, dal fervore delle ripetitive lotte studentesche. Invidia, dentro la malignit, a sua volta interna alla tendenziosit. Invidia a carico di un raro (com certo) soggetto di genere maschile (il titolare delle mutande) che aveva fatto sesso (o magari lamore) con una o pi fanciulle tra le numerosissime che quel sito offre. Ci siamo abbandonati, or ora, alla narrazione, al gioco, ed essi ci danno unimmagine di noi, ancora una volta cindividuano. Il desiderio uno dei motori spontanei della nostra attivit mentale. Frenato da preoccupazioni epistemologiche. Anche questultimo un risultato certo della nostra ricerca in merito allevento mutandico. Ogni ricerca in merito ad ogni evento porta alla mente del ricercatore.

Due paia di sandali.

Diversi anni or sono dovevamo acquistare un appartamento. In localit Strada in Chianti ne visitammo uno arredato e abitato: ci pare per che soltanto laddetto dellagenzia immobiliare fosse con noi, non ricordiamo altre persone. A noi non dispiace raccontare le nostre avventure, ovvio, anche se faticose e spiacevoli come sono quelle inerenti la scelta di un appartamento da prendere in affitto o da acquistare, esposte alla comune sgradevolezza (da noi patita) del linguaggio degli addetti dagenzia immobiliare, gravate dalla nostra pigrizia, dal nostro disprezzo per quei (nostri) limiti finanziari che cimpongono di escludere dalla scelta case simili alle due palazzine in stile floreale di via Scipione Ammirato; e dalla nostra certezza che i prezzi sono sempre esagerati.

Se la realt (quale che sia la sua matrice) sgradevole, la sua narrazione pu non esserlo. C chi ne approfitta per mescolare le carte. La realt pu del resto essere piacevole, e la sua narrazione risultare penosa, ma questultimo spunto esula dal nostro interesse attuale.Noi non mescoliamo le carte, o almeno tentiamo di non farlo. Da un lato restano, per noi, le mutande maschili accademiche di cotone nero, qui rappresentanti della realt (di matrice esterna); dallaltro le nostre narrazioni congetturali. Parole.

Lappartamento, non vecchio, era al pianterreno di una casetta costruita davanti ad un vasto terreno cos sfacciatamente edificabile da farci trascurare la piacevole vista sulla valle, a causa dellimmediata nostra certezza di anni ed anni futuri di lavori edilizi, com naturale non confermata dalladdetto dellagenzia immobiliare. Gli abitanti dellappartamento avevano un cane, se il cane non aveva loro, come sindovinava da una cuccia fatta di cenci, da un osso di gomma e da una triste palla, oggetti sparsi nella cantina (se non nella nostra immaginazione), un largo ambiente vuoto, nuovo ma squallido, privo di finestre o finestrini; un cane forse tenuto prigioniero l sotto, di tempo in tempo. Alla scena ora si sovrappongono, invincibili ma estranee, le nostre ripetute visioni di stronzi nellarea di un giardinetto, allImpruneta, abitato da un grosso cane prigioniero in quello spazio ridotto, che ci salutavano allinizio di unerta salita boschiva verso il cimitero delle cosiddette Sante Marie, e beninteso al termine della discesa dalla collina medesima.

Mentre laddetto dellagenzia ci stava informando sulla condonabilit (in quanto pregio) di non ricordiamo quale abuso, forse dellestorto accesso diretto dallappartamento alla cantina, fatti i pochi scalini per tornare su noi ci trovammo davanti una trascurabile stanzetta di pochi metri quadrati. Un ripostiglio. Luce accesa. Noi vedemmo e guardammo per un attimo due paia di sandali (femminili) lasciati sul pavimento. Erano fatti di poche sottili strisce di cuoio non verniciato fissate a suole che pi basse non si pu. Privi di tacco.

Non eravamo ancora spossati, doveva essere anzi, quello di Strada in Chianti, soltanto il terzo appartamento che visitavamo, dei trenta e pi che avremmo preso in esame (a nostra volta esaminati) in meno di due mesi; avevamo della curiosit, com logico mescolata allindignazione dovuta allassurdit dei prezzi in euro che noi senza tregua traducevamo, ed avremmo tradotto, in cosiddette vecchie lire, rinfacciandola agli addetti dagenzia immobiliare, per la verit in qualche rara occasione anche disposti ad ammettere che s, un appartamento da trecentomila euro pochi anni prima sarebbe costato trecento milioni di lire; non eravamo ancora stremati, e, bisogna riconoscerlo, ci sentivamo piuttosto presi, invece, dallesperienza consistente, ad ogni visita, nellimmaginare un nostro eventuale prossimo vivere in questo o quel luogo nuovo, nuovi negozi, nuove abitudini, nuova edicola dei giornali, nuove facce, strade, viste e cos via. Nuove o magari, se a Firenze, mai praticate.

Era in certo modo un viaggio, la visita a Strada in Chianti, come lo sarebbero state le altre successive, come lo erano state le precedenti. Come le numerosissime che, ad oggi, abbiamo fatto per trovar casa. Da e di quel viaggio abbiamo riportato limmagine del seminterrato ad uso canino, ma senza cane visibile, al cui squallore si sovrappone quello della sciatteria umana vista e rivista allImpruneta, ma anche la nostra fantasia, nata l per l, di realizzare in quella stanza una postazione claustrale di puro ascolto di musica. E riportiamo limmagine delle due paia di sandali, ma senza piedi visibili, domandandoci subito: erano davvero femminili, o entrambi femminili? Ci sembra che un paio fosse pi piccolo dellaltro, quindi appartenevano a due persone diverse, questo certo, di cui quella dotata di piedi meno grandi poteva essere una donna, ma anche laltra, dopotutto: i sandali erano troppo nudi per essere maschili, troppo sexy. Il desiderio uno dei motori spontanei della nostra attivit mentale. Frenato da preoccupazioni epistemologiche, ripetiamo. E viceversa.

Non sappiamo pi se in casa fosse presente qualcuno, oltre a noi ed alladdetto dellagenzia, n se costui ci avesse dato qualche informazione su chi ci abitava, due ragazze con un cane, un cane con un ragazzo e una ragazza, una persona adulta, due ragazze e un cane: niente. Ricordiamo soltanto che non ci piacque, quel posto, senza contare lo sguardo torvo di qualcuno, da un balcone al primo piano, mentre Strada in Chianti, come avevamo scoperto occupando il tempo tra il nostro arrivo e lora stabilita, pareva davvero solo un tratto di strada, due file di case divise dal passaggio continuo di auto, camion, moto da e per Firenze: forse cinquantanni fa sar stato simpatico, ci venne da pensare, oggi proprio no. Lappartamento era troppo banale, a parte la nostra fantasia della stanza da musica (raggiungibile da una scaletta abusiva): davanti aveva il suo futuro segnato, come ripetiamo, dalla certa costruzione di altre casette. Il prezzo, logicamente, era assurdo.

Mesi prima avevamo incontrato diverse volte unamica di una nostra amica, che con il caldo vestiva esiguamente e perfezionava la sua nudit con un paio di sandali uguali a quelli che avremmo visto e guardato (per un attimo), lasciati sul pavimento nel ripostiglio dellappartamento brutto, ma caro assaettato, di Strada in Chianti. Una ragazza piuttosto alta e formosa, florida, come si dice? Tanta. A lei sarebbero andati bene i sandali pi grandi, tra le due paia, magari alla nostra amica, piccolina, gli altri. Senza che ce ne rendessimo conto, la visione delle due paia di sandali lasciati (pareva in fretta) sparsi sul pavimento, ci rimetteva in contatto con lambiente, esperito per anni (fino alla nausea), dei giovani (come noi quarantanni prima) inizianti la loro vita fuori dallorbita della famiglia, senza una madre che mette ordine, senza soldi, ma con la voglia di farcela. Avevamo perduto quel contatto, di cui la nostra amica piccolina (e la sua amica tanta) erano un campione. Ora lo riavevamo, senza rendercene conto, o meglio senza narrarne la consapevolezza (come stiamo facendo ora), nella forma di un urto sexy alla nostra sensibilit.

La tanta cera parsa avere tutte le qualit per piacerci, la vediamo ora saltellante, una sera, venirci a salutare, su un piede solo, quello nudo; aveva smesso per noi di abbigliarsi per lo spettacolo cui eravamo stati invitati dalla piccolina, dove entrambe avrebbero danzato: aperta, priva della solita diffidenza che i giovani provano per i vecchi fuori posto, come noi ci trovavamo ad essere. Ma di lei, una volta insorta laccennata nausea, avremmo ricordato appena il nome, e lunico tramite per raggiungerla, la sua amica piccolina, sarebbe divenuto per noi impraticabile.

Non sappiamo se le due paia di sandali di Strada (ecco che una metafora vola via, ora, da quella brutta casa, come gli uccelli esotici dallindescrivibile palazzina in stile floreale di via Scipione Ammirato: sandali di strada) ci avrebbero ripagato della visita, rinfacciata giorni dopo allagenzia immobiliare, nel caso che, mesi prima, noi non avessimo visto e rivisto, seminuda, lamica in sandali della nostra piccolina. Non sappiamo se ci avrebbero ripagato, a prescindere da quel preciso groppo di vicissitudini del nostro desiderio, o se invece non fossero di per s un suo oggetto, in definitiva conclamato nel segno del cosiddetto feticismo. Non siamo neppure certi, ebbene, no, che i sandali fossero due paia o un paio soltanto.Lunica cosa che sappiamo che eravamo stati attratti ed insieme respinti da quei sandali, dal disordine che significavano, dalla fretta, da una potenza femminile che ci urtava, per di pi con la sua sfrontatezza giovanile. Avevamo voglia di praticare tutto ci di cui erano traccia, subito tuttavia disturbati dal nostro bisogno di ordine. Storcevamo il viso in una smorfia da genitore in visita dalle figlie, scontento della loro trascuratezza domestica, e insieme sentivamo lacquolina in bocca. Desiderio e preoccupazioni epistemologiche. Invidia.Perdere il filo.

Durante la lunga occupazione della facolt dove in unaula abbiamo visto quelle mutande maschili, una mattina stavamo tenendo una lezione davanti ad alcune studentesse ed un paio di studenti. Non era, la nostra, una trasgressione, infatti gli occupanti convivevano con le solite attivit universitarie, e viceversa. Ad un tratto si apre la porta dellaula e, muti, entrano alcuni pochi giovani, ragazze e ragazzi, che, senza rivolgere ai presenti neppure uno sguardo, tesi, parrebbe, depositano lungo la parete opposta alla cattedra coperte e sacchi a pelo, meglio: oggetti morbidamente arrotolati dai colori molto casalinghi, rinvianti insieme ad intimit di camere da letto banali, ma estranee, ed a quelle emergenze che producono sfollati. Noi cinterrompiamo e restiamo senza parole a guardare. I giovani tornano a mani vuote alla porta, sempre muti e senza guardare n noi n i nostri uditori, ed escono. Dopo un attimo la porta si riapre per una sequenza uguale alla prima. Stavolta, riavutici dallo stupore, riprendiamo la parola e facciamo notare ai giovani intrusi che stanno disturbando la lezione. Uno, rimasto sulla porta, ci risponde come segue: chiami la polizia!. La chiami lei, la polizia!, replichiamo, e la cosa termina qui. La lezione riprende com ovvio con qualche nostra difficolt, dato che abbiamo perso il filo. Noi siamo preparati a perdere il filo, in effetti, ma non a vedercelo strappare.

Non ci era mai capitato qualcosa di simile, dunque consideriamo ci non ordinario (almeno ai nostri occhi) al pari del nostro avvistamento delle mutande. Anche la nostra visione del volo di uccelli esotici di via Scipione Ammirato non ordinaria, ma di statuto incerto quanto alla sua matrice (esterna, interna?), come il grido sgangherato di piazza DAzeglio. I dubbi circa la descritta scena del disturbo di una nostra lezione non riguardano la sua matrice esterna, certa e testimoniabile dai nostri uditori in aula, ma il suo significato.

A parte qualche dettaglio, la descrizione data qui dellevento nuda e cruda. Alcuni giovani, ragionevole credere, preparavano unoccupazione dellaula, prenotandola, per cos dire, depositandovi (con largo anticipo!) quel che pareva essere il necessario per sdraiarsi, se non per dormire - per passarvi la notte, mentre noi stavamo tenendo la nostra lezione, tra le nove e le undici di mattina. Tanto vero che, durante la pausa tra la prima e la seconda parte della lezione, usciti nel corridoio, vedemmo un foglio attaccato alla porta dellaula in questione con su scritto aula occupata.

Due impressioni, noi avremmo soppesato nei giorni seguenti: che lintrusione fosse stata indirizzata a noi; e che avesse costituito unazione teatrale davvero ben realizzata. Su questa seconda impressione non abbiamo dubbi: per caso o a bella posta quei giovani avevano dato luogo ad una scena notevole, ci avevano disturbato, certo, ma non potevamo fare a meno di considerare di aver partecipato ad uno spettacolo davvero di primordine, serio, senza fronzoli, breve, pungente: professionale. Noi lavevamo interrotto, al momento della seconda intrusione, in realt entrandoci, con le nostre parole, e concludendolo con quel nostro curioso controinvito rivolto allo studente che ci aveva provocato a chiamare la polizia: la chiami lei, la polizia!. Avevamo qualche idea sul significato e la funzione del nostro spontaneo contro invito, o contro provocazione, e insieme ne eravamo in certo modo affascinati. Insomma, avevamo dato il nostro contributo alla riuscita dellazione teatrale. I nostri pochi uditori, invece, erano rimasti pubblico passivo. Avevamo rifiutato letichetta implicita applicataci dallo studente dotato di parola, come spiegandogli che non eravamo spie, quanto a lui, che ci pensasse su. Cadendo in uninnegabile provocazione (politica, o teatrale, o entrambe). Ci eravamo ritenuti oggetti deliberati di tal provocazione, non casuali (come si dice: al posto sbagliato nel momento sbagliato). La nostra ormai invincibile nausea delloccupare facolt e scuole; il risentimento contro le interruzioni del nostro ritmo dinsegnamento, del nostro filo (che consiste anche nella sua perdita); il rifiuto dellinvito a tenere lezioni in piazza e (anche da parte della presidenza) lezioni alternative, motivato da noi con largomento che per far lezione serve un assetto preciso, non casuale, che in piazza si fa dellaltro, e con largomento (provocatorio) che le nostre lezioni sono sempre alternative, in quanto, avremmo potuto precisare, le improvvisiamo seguendo le vicissitudini del desiderio e delle preoccupazioni epistemologiche: adesso noi avevamo pagato tutto ci con lintrusione di quei giovani scassatori dellassetto della nostra lezione. Questa la nostra ricostruzione, di cui dubitiamo fortemente, mentre non dubitiamo affatto dei temi di nostra pertinenza che essa agita.

Sarebbe facile connettere narrativamente le nostre ironiche elucubrazioni sulle mutande da noi (e da altri) avvistate, con quelle sullinterruzione della nostra lezione, avvenuta, questo certo, in una diversa aula. Non ricordiamo tuttavia se linterruzione sia avvenuta dopo il nostro avvistamento delle mutande, oppure prima; quindi dobbiamo lasciare che i due eventi e le due elucubrazioni giochino insieme nella nostra mente (narrativa) sullo sfondo di una nausea politicamente scorretta; e sappiamo bene di aver parlato di nausea, per molto pi intima, anche discutendo del nostro avvistamento dei sandali di Strada.50 centesimi la visita.

Durante lautunno molte scuole sono occupate, noi non sappiamo se questimpressione sia vera o se contenga una nostra forzatura polemica: cadono le foglie, si occupano scuole, facolt universitarie. Pare un rito. La novit innegabile dellesperienza delloccupare, da parte dei giovani studenti ai loro inizi (ma ci sono anche dei marpioni navigati), non lo affatto per chi, come noi, ne osserva le manifestazioni da decenni. E ne nauseato, come, per la verit, lintera faccenda del vivere gli pare nauseante. Poche volte uccelli esotici si staccano a pro nostro dal visto e rivisto, poche volte gridi sgangherati attirano la nostra attenzione, poche volte cincantano (facendoci inciampare) i momenti perfetti, poche volte la pena delle incombenze sinterrompe lasciandoci scorgere sandali di strada. Ed raro che, passando noi accanto a un cassonetto dei rifiuti, ci dia il suo assenso una pagina dalto sapere. Sappiamo talvolta trarre un volo duccelli esotici da un oltraggio, come abbiamo narrativamente fatto ragionando intorno alla buona esecuzione teatrale dellintrusione di quei cialtroni, che pure aveva strappato il filo della nostra lezione: questo vero.

Durante lautunno scorso, un pomeriggio, percorrevamo via del Ghirlandaio, modesta varianza del nostro solito ritorno a casa. In quella strada c, tra gli altri pure notevoli, un edificio che probabilmente ha unet analoga a quella delle due palazzine in stile floreale di via Scipione Ammirato. Art Dec, diremmo, ma Stile floreale, Liberty e Art Dec sono pi o meno sinonimi. La facciata, color zucchero bruciato, certo bisognosa di un restauro, vanta poche finestre ed ampi fregi scultorei e pittorici lussureggianti, sensuali, ma molto consumati, per loro fortuna posti allaltezza del primo e del secondo piano. Urtiamo anche qui con la nostra difficolt descrittiva. Per sua sfortuna, ledificio adibito ad istituto superiore (non sappiamo quale), dunque la parete a pianterreno piena di scritte dinteresse privato, settoriale, ed anche pubblico, in nero, in bianco e in altri colori. Listituto era occupato, lautunno scorso: passando davanti al portone aperto, noi guardammo dentro. Al termine di una breve scalinata era stato posto un tavolino a mo di reception, l intorno sedevano pochi giovanissimi, appesi in giro striscioni e manifesti celebranti alcuni loccupazione, con le due stantie k, altri deprecanti la politica del governo circa la scuola pubblica. In bella vista, tra il tavolino e il termine della scalinata, un cavalletto reggeva un avviso di cui non ricordiamo i termini precisi: soltanto che informava gli estranei circa loccupazione e segnalava che gli eventuali visitatori avrebbero dovuto pagare, per lingresso, cinquanta centesimi.Ecco, questa nuova, ci dicemmo passando oltre.

P.S.

Vecchia di una quarantina di anni, invece lapparizione seguente. Un pomeriggio mi trovavo nella mia stanza situata al primo piano delledificio che, in Via della Pergola, ospitava allora il mio posto di lavoro. Era la mia ora di cosiddetto ricevimento degli studenti. Si apre la porta ed appare un mio coetaneo, dunque un trentenne, alto sul metro e novanta, anfibi neri, giacca mimetica, nero il colore della sua pelle, un basco alla Che Guevara in testa. Entra, savvicina, si siede davanti a me e mi domanda, in americano, dopo pochissimi preamboli, se posso dargli lindirizzo di unorganizzazione comunista. Proprio cos, ed strano, perch listituto in cui ci trovavamo io e questa pantera nera non solo faceva parte di una facolt universitaria, di cui era sede distaccata, ma aveva apparentemente ben poco a che vedere, qualora la pantera nera avesse letto la targa gi allingresso sulla strada, con la politica in genere, con il comunismo in particolare. Diedi con la massima calma a quel fantasmagorico personaggio lindirizzo del PCI, che aveva la sede dietro la stazione centrale, forse, o laggi in via Paisiello, chiss, e di Lotta continua, unorganizzazione che si sarebbe sciolta nel 1976 (dettaglio che fa da terminus ante quem dellepisodio, se non unallucinazione), non ricordo dove situata. Fa niente. Si alz e se ne and, e non lho pi rivisto.Lunico testimone che potrebbe, se la ricordasse, confermare questa strana apparizione della pantera nera, Attilio, un custode dellIstituto, invece lho rivisto poche settimane or sono, fa ancora lo stesso lavoro altrove, e mi ha festeggiato. Alla collega che cercavo, sorpresa che noi ci conoscessimo, Attilio, che cordialmente mi aveva accompagnato, ha detto bofonchiando: lo conosco, lo conosco troppo bene.Non importa, per in fondo quella pantera nera in realt non aveva affatto sbagliato indirizzo.

Seconda parte

Un paese da vipere.

Cest pourtant une utile chose que la vrit, ce premier des biens, toujour inconnu par les ames qui ne sont pas fortement trompes... A questo punto io smisi di leggere e cominciai a pensare. La novit di questo concetto mi aveva vivamente colpito, che lanimo per conoscere la verit deve essere fortemente ingannato; e una catena di pensieri inaspettati, vispi ed eccitanti, mi si andava formando nella mente, tutti generati da questa idea pessimista ma fertile e suadentissima, che la verit nasce dallinganno; finch per limprovviso ritorno della chiaroveggenza logica mi accorsi che trompes era un refuso, e non les ames fortement trompes ma fortement trempes bisognava leggere, ossia gli animi fortemente temprati. Il mio piccolo castello di pensieri inaspettati croll di colpo. La pagina (...) non era pi fonte di una nuova interpretazione della verit e delle sue origini, ma rientrava nella grigia regione delle verit ovvie.

(A.Savinio, 1941-1948, Nuova enciclopedia, Milano1977, pag.318).

Da una certa distanza scorgiamo un avviso pro loco, leggiamo il nome della cittadina che percorriamo e, di seguito, un paese da vipere. Mentre ci complimentiamo con lignoto autore per questo slogan politicamente scorretto, non senza escogitarne qualche giustificazione tipo qua un tempo si doveva fare attenzione alle vipere, pensa un po, letterali oppure metaforiche, ci accorgiamo che lavviso segnala un paese da vivere.E' un lapsus dovuto non alla qualit della nostra vista, infatti il testo stampato in bianco su sfondo grigio scuro e i caratteri sono grandi e assolutamente ordinari. La nostra lettura rientra senzaltro nella categoria difficilior. In un testo pro loco pu prevalere il facile, certo, ma, sulle tracce del linguaggio pubblicitario, potrebbe anche essere scelto il difficile, il curioso, lattraente, il provocatorio. Gli autori, stavolta, hanno scelto il facile, noi abbiamo invece involontariamente optato per il difficile. Testo mutato soltanto in una lettera, la seconda v, ma che sconquasso! Abbiamo prodotto senza volere un calembour.

Detestiamo i serpenti ed usiamo conseguente circospezione in fatto di rettili, tra i quali le vipere si distinguono tuttavia per una certa loro dignit di reazione agli umani, non solo per la micidialit del morso velenoso. Fuori strada stiamo attenti a non trovarci tra i piedi una serpe, o una vipera, sbatacchiando in giro il bastone. Daltra parte le vipere del lapsus potrebbero essere metaforiche, come accennato: persone pericolose, velenose. Questa linea di ricerca ci porterebbe a considerare preoccupazioni personali: non che queste ultime abbiano causato il lapsus di lettura, o meglio il calembour involontario; ma esso potrebbe dare il via a considerare le nostre preoccupazioni. Vipere da vivere. Con ci prendiamo posizione contro il venerabile freudismo: lapsus, azioni difettose, dimenticanze, sogni e sintomi nevrotici non sono per forza effetti di chiss quali conflitti inconsci, ma possono costituire, se presi in considerazione, punti di partenza per lintrospezione.

Lunica volta che ci siamo trovati vicino ad una vipera, o meglio ad un rettile dallaspetto corrispondente, secondo le nostre scarse nozioni, a quello di una vipera, notammo che lanimale, contrariamente alla velocit di fuga dei suoi simili, paragonabile alla nostra, si allontanava dal frusco dei nostri passi (le eravamo da poco transitati vicino, nellerba, e stavamo tornando indietro, perch il folto della macchia era eccessivo, come il sole di quel luglio) con elegante morbida neghittosa lentezza, quasi da murena. Ci, mentre lavevamo scampata bella, ci caus una certa quale ammirazione per quella vipera e in genere per le vipere, che senzaltro situiamo, a torto o a ragione, in una posizione a parte rispetto ai rettili che sono presenti e abbastanza frequenti nelle campagne toscane. Non soltanto, dunque, a causa della loro mordace micidialit.Un paese da vipere sarebbe stato, dunque, non solo un bel titolo trasgressivo, ma anche lomaggio ad una dignit come quella che la descritta vipera ci aveva mostrato, o per meglio dire allidea di dignit e bellezza che aveva suscitato in noi.

Un paese da vipere un territorio selvaggio, di pietre, di sole, di anfratti, di scarsa presenza umana. Dove sarebbe difficile vivere, per le persone. Subito dopo il lapsus, prima di smascherarlo, pensammo che il testo celebrasse un tempo lontano di vita dura, misera, pericolosa, riproponendolo oggi. Che fosse un richiamo ad una dignit perduta, pensiamo ora. Del resto ignoriamo tutto di questa cittadina e dei suoi dintorni, se non che la fila dabitati pi o meno piccoli lungo la strada provinciale infestata dal passaggio continuo di auto, camion, motori vari, che gli edifici costruiti negli ultimi decenni fanno tristezza, che tutto amaro, a cominciare dagli esercizi commerciali e industriali, squallido e molto peggiore dun territorio selvaggio, di pietre, di sole, di anfratti, di scarsa presenza umana. Dev essere difficile viverci, per le persone. Del resto difficile vivere anche in citt, fossanche Firenze, o in un paese, o in un villaggio, triste e penoso vivere, perch lo squallore dello sviluppo ha consumato la bellezza. Individualmente, caso o talento, ci possiamo salvare, collettivamente siamo fottuti.

Non diremo di amare le vipere (alla Woody Allen), tuttavia. Lorrore che ci fanno i serpenti, le serpi, specie quando ( il loro stile) appaiono/ scompaiono imprevisti, rimane stabile. Le vipere possiedono il privilegio di poterci avvelenare e quella loro dignit, e combattivit, quindi fanno paura. Come talvolta i lapsus. Esse sono uno dei pochi tratti di selvaggeria rimasti, in questa parte del mondo. Gi il cappello, quindi. Ma: via, e a gambe levate!

Non era inconscio, il nostro rifiuto delle vipere, umane animali e sociali, al momento del lapsus, semmai non stavamo pensandoci: non pensiamo tutto il tempo alle nostre rogne, pur avendole ben presenti.

Ci aspettiamo quasi sempre la serpe, o la vipera, ma quando la incontriamo sempre o quasi sempre inaspettata. Questo il paradosso. Temiamo un lapsus che sappia tirarci dentro quei cattivi pensieri da cui vorremmo una vacanza, sappiamo bene che pu arrivare, ma quando capita allimprovviso, e morde, o, se non morde allarma, anche se l per l sembra incantevole: comera, quella domenica mattina, un paese da vipere. Il defunto analista.

Durante il loro ultimo incontro Fausto raccont a Solmi (in passato suo analista) un sogno che aveva attirato non poco la sua attenzione, di recente. Era morto un analista junghiano dotato di studio/abitazione in campagna, che non pagava le tasse, cos il sogno. Tutti sanno che al fisco si sfugge, anche in questambiente. Ai tempi cosiddetti eroici, quando la professione non era stata regolamentata dallo Stato (fine anni ottanta), nessuno pagava le tasse, qualcuno anche vantandosene. Il racconto del sogno com ovvio potrebbe essere uninvenzione di Fausto; o, se non uninvenzione, un'elaborazione narrativa di un evento notturno effimero, sfuggente: ci in definitiva il sogno. Che stavolta, quasi un trafiletto di cronaca, se non un necrologio, presenta quanto sappiamo: un analista junghiano (lattributo gi seleziona il pubblico potenziale, gi scarso, del racconto del sogno); la sua residenza anche professionale in campagna, non in via Giovanni Bovio (Firenze); il suo non pagar le tasse; la sua avvenuta morte.

Tutti sanno che cos un analista: questa bella! Pochissimi lo sanno. Usiamo formule che funzionano nellambito della chiacchiera, ma se un marziano o un bambino iniziassero a porci domande, a chiederci spiegazioni, cadremmo nel buio. Intervistiamo alcuni analisti e domandiamoglielo, consultiamo un dizionario e cos via. Non facile. Fausto avrebbe potuto tradurre come segue: un cosiddetto (o, peggio, sedicente) analista seguace (sedicente o cosiddetto) della scuola di Jung (...). E chi sarebbe questo Jung, che asini ed asine (anche durante un convegno, labbiamo sentito) pronunciano iang, chi sarebbe? Anche qui il racconto, cio il sogno, dava per scontato che Fausto, il sognatore-narratore, lo sapesse. Sia pure. Continuiamo a far finta di nulla, che tutto vada bene, intorno a noi e dentro di noi. Il sogno si fidava del fatto che Fausto fosse un interlocutore privilegiato, come dire: detto tra noi.Abitava e lavorava in campagna, questo analista junghiano. Carino, un po scomodo per i pazienti, magari. Non pagava le tasse. Qui tutti sanno che cosa vuol dire, no?Era morto. Il suo cuore aveva cessato di battere, non si sa perch, un medico aveva constatato il decesso, lo avevano chiuso in una bara e poi sepolto, o cremato, chiss.Fausto pensava (sagace) che il protagonista del sogno, avesse a che fare con lui stesso; che aveva infatti svolto per decenni la professione di analista; che si era formato junghianamente nellambito della florida confraternita fiorentina; e pensava, del resto, che un certo suo modo di fare lanalista (di campagna) fosse finito, per lui, morto e sepolto.Di campagna (traduzione sfrontata dalloriginale in campagna) vuol dire alla buona, forse, come alla buona (per essere generosi) non pagare le tasse, cio prendere il denaro pagato dai pazienti senza rilasciare una ricevuta, quindi senza dichiarare al fisco i propri introiti.Il sogno aveva fornito a Fausto la notizia del decesso del suo modo di lavorare come analista; cos in ritardo? Dopo sei o sette anni che aveva smesso? Capita, del resto, che noi si apprenda in ritardo che qualche nostro conoscente sia defunto: Ma non lo sapevi?, No, davvero? E quando? Sette anni fa? Ma pensa!, eccetera.Ora, a Fausto questa spiegazione del sogno dava i brividi, dopotutto. Con la morte e le tasse non si scherza. Quindi era alle prese con il restauro delloriginale (ovviamente irrecuperabile): dallo sfrontato di campagna al testuale in campagna, quindi. Si baloccava con lidea carina di questo scrutatore danime tra boschi e vallate, e prati. Gli dispiaceva tuttavia che questo scrutatore danime ruspante fosse morto, in nome di che? Della correttezza fiscale? Ma va al diavolo!, bofonchiava Fausto.Il richiamo allordine che la sua prima spiegazione del sogno gli proponeva, questa certificazione (onirica) che i cosiddetti tempi eroici erano morti, finiti, via, pi nulla, lavrebbe volentieri rispedita indietro, ma a chi? A se stesso, dopotutto lui era lautore involontario del sogno. Intanto per laveva indirizzata a Solmi. Che abitava s in campagna, ma lavorava in citt ed usava far le fatture. Aveva raccontato il suo sogno a Solmi, si pu ipotizzare, per dirgli inconsapevolmente che lui (Solmi) era morto, o meglio che la confraternita era finita, chiusa. Secondo Fausto, per Fausto, in Fausto.Il sogno (o necrologio) aveva un aspetto gradevole, apparentemente, nel suo segnalare una chiusura con un passato assai discutibile, secondo Fausto, suo ma anche di molti altri analisti tra virgolette, o invece liberi dallombra della sedicenza; ma, come richiamo allordine (paga le tasse!), era mortificante. Chiudere non uguale a liquidare. Analizzare senza pagare le tasse potrebbe esser tradotto come senza occuparsi daltro, allinfuori dellanalisi; neppure della terapia: solo dellanalisi, nel cui ambito lo Stato, il Fisco, possono rientrare, s, ma come qualsiasi altra immagine. In campagna potrebbe, gi labbiamo accennato, esser tradotto con un esser ruspanti, non dallevamento, saporiti.

La targa misteriosa.

Prima di apprendere da Yahoo!Answers che le targhe automobilistiche inizianti con ZA derivano la loro arrogan za da una disposizione generale per cui a spazio quadrato sul retro delle vetture corrisponde targa quadrata, e che in Italia per adesso tutte le targhe posteriori quadrate iniziano per ZA; prima di apprendere che quando saranno esaurite tutte le combinazioni relative, le macchine a targa quadrata inizieranno con ZB, noi avevamo allegramente scritto:

Ho fatto caso alla frequenza dellabbinamento tra le targhe italiane inizianti con ZA e le auto fuoristrada. La mia osservazione ha luogo a Firenze e provincia, e solo in determinate zone di mia frequentazione abituale, quindi possibile che io veda ripetutamente esemplari di uno stesso gruppo di veicoli. Daltra parte non vedo auto normali targate ZA, a parte unanziana Fiat Cinquecento, a due passi da casa mia, e una strepitosa Alfa 1900 anni cinquanta, ieri. Vedo, superfluo precisarlo, fuoristrada targate con altre sigle, sia che abbiano targhe del genere tutto bianco, sia del genere biancazzurro, quello attualmente in uso. Altro dettaglio: direi senzaltro che prevalgano, tra le ZA, fuoristrada vecchiotte, poche le nuove o recenti. Probabile che le fuoristrada abbiano vita pi lunga delle altre: auto vecchie, targhe vecchie (tutte bianche). Ci significherebbe che, com ovvio, ai tempi vi fossero anche auto normali targate ZA.Non sono in grado di provare quel che scrivo, e non so niente dei criteri secondo i quali le auto ricevono la loro targa, ma resto dellidea che il caso o altro abbiano dato luogo ad un piccolo mistero.Le fuoristrada si segnalano, pur essendo ormai numerose, pi delle altre auto, ho pensato antisuperstiziosamente, ed anche la sigla ZA (a me) pare piuttosto degna di nota, forte, dura: zac! Lattenzione oramai stata risvegliata, e probabilmente seleziono, ignaro, quel che nutre la mia piccola mania. Come ho gi precisato, inoltre, pi che probabile che io noti le stesse macchine circolanti nei miei pochi percorsi quotidiani in citt e in provincia.

S, lo so, eppure resto attratto dallidea che transitino delle scorbutiche alte ferrigne auto appartenenti ad una misteriosa setta ZA...

Non si negher che la spiegazione razionale del fenomeno in oggetto sia meno divertente delle congetture superstiziose cui noi ci siamo quasi abbandonati, di tanto in tanto giocando a delirare, per qualche mese.

Ricevimento.

Tu credi di conoscere tuo figlio!.. disse, di ritorno da un cosiddetto ricevimento patito a scuola. La professoressa gli aveva detto che il ragazzo non solo rendeva poco in termini di studio, ma che, per di pi, fumava roba proibita con i compagni al gabinetto, e, addirittura, durante lintervallo sputava dalla finestra nella sottostante piazza: un disastro, quindi. Tu credi di conoscere tuo figlio!.. disse alla moglie, arrabbiatissimo: non aveva dovuto patire solo la prova di andare al ricevimento, ma anche quella, inattesa, delle rivelazioni in merito alla condotta del ragazzo. Laccusato neg ogni addebito, assicurando di non aver sputato, pratica che gli era nota, certo, ma che non gli apparteneva. Si trattava di una divergenza netta tra due referti, il dubbio restava vivo. La professoressa, giorni dopo, domand per allaccusato qualcosa sullo sputatore, guarda caso, indicandolo con il cognome dellaccusato stesso. E cos, da pensare, quelluomo dovette ricredersi sul figlio: non era uno sconosciuto, se non per la professoressa, almeno in riferimento al cognome. La morale della storia la seguente: capita che non si sappia, qualche volta, di che cosa, di chi, si sta parlando. Nulla di nuovo, tuttavia lautorevolezza (almeno di ruolo, se non personale) del parlante tende a convincere chi ascolta. Consiglieremmo (se potessimo) ai genitori di andare ai cosiddetti ricevimenti portando con s una foto somigliante della personcina che hanno a cuore. O di non andarci.

Il titolo di strega.

Che cosa sei, una strega?. S, una strega.(...). In questa robaccia non ci credo. Sono tutte sciocchezze. Ma dal momento che tu ci credi, dal tuo punto di vista hai assassinato una persona.

(I.B.Singer, 1970-1975 ,Passioni; trad. it., Milano 1979).

Durante uno scambio di ostilit telefoniche con il marito, causate stavolta dallunica auto di famiglia presa da lui allo scopo di prelevare certe merci in un lontano emporio, la moglie, rimasta a piedi, in mattinata aveva augurato la morte al coniuge nella forma che segue: speriamo che tu non torni. Orbene, luomo nel primo pomeriggio si sente male e defunge. In conseguenza di ci la donna, com ovvio molto colpita dallimprovvisa perdita, inclina a sentirs