Newsletter n. 02

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Carceri, passaggi di frontiera. News from prisons paint a grim picture: here life seems to fall well below the line of human dignity. And yet, in spite of over- crowding, drug addictions, and ethnic tensions, a whole generation of well-trained and motivated managers and operators fight a daily war that deserves full recognition. They are assisted by volunta- ry associations that provide invaluable help. In the fields of education and training, sports, art, work, hundreds of initiatives are put in place that are both innova- tive and deeply human. The Compagnia has always invested much in this direc- tion, in line with its ancient vocation and a religious and secular tradition, rejecting the concept of prisons as re- positories of strange creatu- res so different from us. For a decade the Compagnia has supported projects to encourage the return to free- dom as the time to reacquire full citizenship, not as an in- terlude between crimes and punishments. Each story is different: per- sonal skills, families ties, lodging and employment all come into play. Release is always a delicate passage, all the more so for juvenile delinquents whose prospects mostly concern going back to prison soon. The remarkable intelligen- ce and courage of those who work in associations and lo- cal institutions represent our main asset in the field, where success never comes easy, but it is doggedly pursued. In prima pagina La newsletter della Compagnia di San Paolo. Pubblicazione trimestrale. Questo numero è dedicato ai percorsi di emancipazione sociale. Questo numero della newsletter è correlato con la “Foundations week” dal 31 maggio al 4 giugno 2010 a Bruxelles, manifestazione indetta da EFC - European Foundation Center. Con lo slogan “A reason in prison” la Compagnia di San Paolo vi presenterà i suoi interventi a favore delle persone entrate nel circuito penale. La newsletter della Compagnia di San Paolo N. 0.2 - giugno 2010 - Pubblicazione trimestrale Registrazione presso il Tribunale di Torino N. 5204 del 23 ottobre 1998 Direttore Responsabile: Filippo Vecchio - Coordinamento: Giulia Coss Corso Vittorio Emanuele II, 75 - 10128 Torino - Tel.: +39 011 5596911 Fax: +39 011 543607 - E-mail: info@compagniadisanpaolo.it Stampa: AGIT - Beinasco (TO) - La newsletter è disponibile sul sito www.compagniadisanpaolo.it Le notizie che ci pervengono dalle carceri compongono un affresco crudele, dove la detenzione sembra collocarsi ben al di sotto della linea della dignità minima. Eppure in questi luoghi affaticati da sempre nuovi pesi, sovraffol- lamento, tossicodipendenze, tensioni etniche, da tempo una gene- razione di dirigenti preparati e di operatori e operatrici motivati combatte una guerra quotidiana che va conosciuta. Intorno ad essi associazioni volontarie offrono un apporto inso- stituibile. Così nei campi della formazione, dello sport, delle attività arti- stiche, del lavoro, centinaia di iniziative si segnalano per la loro capacità innovativa e umana. La Compagnia da sempre ha investito su questa frontiera dove- rosa, in linea con una tradizione antica religiosa e laica che ha contrastato in secoli ben più difficili l’idea di carcere come inferno ed oblio per creature diverse da noi. Da circa un decennio ha sostenuto progetti particolari, quelli che dovrebbero facilitare l’uscita dalla detenzione come riconquista della cittadinanza anziché come parentesi verso i percorsi di de- linquenza e di perdita. Tema arduo in cui ogni singolo si presenta con caratteristiche non standardizzabili, in cui giocano le sue capacità, la sua rete affetti- va, la disponibilità di una casa e di un mestiere. Passaggio cruciale per tutti, ma ancor più per i minori, sovente condannati a reiterare un “dentro-fuori” con poche speranze. Le risorse intelligenti e coraggiose, dentro l’amministrazione e nelle associazioni sono consistenti e rappresentano il nostro rife- rimento su un terreno che non garantisce facili successi, ma che non va disertato. Bruno Manghi Foto di Andrea Guermani The Border Line of Prisons. 1

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Gli interventi della Compagnia di San Paolo a favore di chi vive in stato di detenzione

Transcript of Newsletter n. 02

Carceri, passaggi di frontiera.News from prisons paint a grim picture: here life seems to fall well below the line of human dignity. And yet, in spite of over-crowding, drug addictions, and ethnic tensions, a whole generation of well-trained and motivated managers and operators fight a daily war that deserves full recognition.They are assisted by volunta-ry associations that provide invaluable help. In the fields of education and training, sports, art, work, hundreds of initiatives are put in place that are both innova-tive and deeply human. The Compagnia has always invested much in this direc-tion, in line with its ancient vocation and a religious and secular tradition, rejecting the concept of prisons as re-positories of strange creatu-res so different from us. For a decade the Compagnia has supported projects to encourage the return to free-dom as the time to reacquire full citizenship, not as an in-terlude between crimes and punishments. Each story is different: per-sonal skills, families ties, lodging and employment all come into play. Release is always a delicate passage, all the more so for juvenile delinquents whose prospects mostly concern going back to prison soon. The remarkable intelligen-ce and courage of those who work in associations and lo-cal institutions represent our main asset in the field, where success never comes easy, but it is doggedly pursued.

In prima pagina

La newsletter della Compagnia di San Paolo. Pubblicazione trimestrale.

Questo numero è dedicato ai percorsi di emancipazione sociale.

Questo numero della newsletter è correlato con la “Foundations week” dal 31 maggio al 4 giugno 2010 a Bruxelles, manifestazione indetta

da EFC - European Foundation Center. Con lo slogan

“A reason in prison” la Compagnia di San Paolo vi presenterà i suoi interventi a favore

delle persone entrate nel circuito penale.

La newsletter della Compagnia di San Paolo

N. 0.2 - giugno 2010 - Pubblicazione trimestraleRegistrazione presso il Tribunale di Torino N. 5204 del 23 ottobre 1998Direttore Responsabile: Filippo vecchio - Coordinamento: Giulia CossCorso vittorio Emanuele II, 75 - 10128 Torino - Tel.: +39 011 5596911 Fax: +39 011 543607 - E-mail: [email protected]: AGIT - Beinasco (TO) - La newsletter è disponibile sul sito www.compagniadisanpaolo.it

Le notizie che ci pervengono dalle carceri compongono un affresco crudele, dove la detenzione sembra collocarsi ben al di sotto della linea della dignità minima.

Eppure in questi luoghi affaticati da sempre nuovi pesi, sovraffol-lamento, tossicodipendenze, tensioni etniche, da tempo una gene-razione di dirigenti preparati e di operatori e operatrici motivati combatte una guerra quotidiana che va conosciuta.Intorno ad essi associazioni volontarie offrono un apporto inso-stituibile.

Così nei campi della formazione, dello sport, delle attività arti-stiche, del lavoro, centinaia di iniziative si segnalano per la loro capacità innovativa e umana.

La Compagnia da sempre ha investito su questa frontiera dove-rosa, in linea con una tradizione antica religiosa e laica che ha

contrastato in secoli ben più difficili l’idea di carcere come inferno ed oblio per creature diverse da noi.

Da circa un decennio ha sostenuto progetti particolari, quelli che dovrebbero facilitare l’uscita dalla detenzione come riconquista della cittadinanza anziché come parentesi verso i percorsi di de-linquenza e di perdita.

Tema arduo in cui ogni singolo si presenta con caratteristiche non standardizzabili, in cui giocano le sue capacità, la sua rete affetti-va, la disponibilità di una casa e di un mestiere.

Passaggio cruciale per tutti, ma ancor più per i minori, sovente condannati a reiterare un “dentro-fuori” con poche speranze. Le risorse intelligenti e coraggiose, dentro l’amministrazione e nelle associazioni sono consistenti e rappresentano il nostro rife-rimento su un terreno che non garantisce facili successi, ma che non va disertato.

Bruno Manghi

Foto di Andrea Guermani

The Border Line of Prisons.

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Testimonianze

Un carcere e una Fondazione: una collaborazione di utilità sociale.

Riflessioni sulla gestione della pena e della condizione carceraria: l’esperienza presso la Casa di Reclusione di Saluzzo.

È proprio nel rapporto con i funzionari della Compagnia e dell’Ufficio Pio, tuttavia, che ho capito molte altre cose che mi hanno fatto cresce-re umanamente e professionalmente.Una frequentazione ormai ultradecennale mi ha consentito di conoscer-li e apprezzarne molti aspetti. Tralascio, per questione di spazio e di contesto, quelli strettamente personali, che tuttavia non sono affatto ininfluenti nella creazione di un rapporto, e mi concentro su quella costante e accogliente cortesia e disponibilità alla comprensione delle richieste che ho constatato ogni qualvolta ci si è confrontati nell’analisi della richiesta di un progetto da finanziare.Con il tempo ho capito che in quei confronti non si giocava una sem-plice partita fatta da una richiesta e dal concedere un corrispettivo. Passavano, viceversa, gli effetti di un disegno molto più complesso ed articolato nell’ambito del quale una richiesta istituzionale sposava l’esercizio di un mandato proprio di una Fondazione, riferito al soste-gno di progetti a forte valenza sociale. Era, in altri termini una collabo-razione tra Enti che, per vie diverse, si occupano di quelle parti sociali più fragili e compromesse.Con il tempo, quindi, è nata la consapevolezza di far parte di una cordata impegnata su un percorso comune. Tutto questo con uno spi-rito, mi si permetta, tutto subalpino, caratterizzato da un basso profilo mediatico, un grande impegno e una vicendevole serietà attraverso la quale le proposte vengono presentate e valutate nel merito al netto di inutili orpelli e ove le idee e le cifre vengono attentamente limate per ottenere il massimo del risultato senza che a questo debba corrispon-dere uno spreco.Credo, e il fatto che mi sia stato consentito di occupare questo spazio me lo conferma, che le stesse cose vengano riconosciute anche da parte della Compagnia.È nato quindi un sodalizio che accomuna le parti sulla base di obiettivi condivisi ed un reciproco riconoscimento di serietà, sodalizio che, per quanto riguarda l’istituto che dirigo, significa aver dato attuazione a quello spirito ordinamentale che, come detto in premessa, vuole che la pena non sia solo un fatto carcerario bensì frutto dell’interessamento della società esterna della quale la Fondazione è ottima espressione.

Pietro Buffa

Al termine del secondo conflitto mondiale, in Italia, si ripensò radi-calmente al senso e alla funzione da dare alla pena e, in particolare, a quella da scontare in carcere.La Costituzione italiana introdusse il concetto di rieducazione scalzando una concezione che fino a quel momento vedeva nella pena detentiva la mera emenda e neutralizzazione del reo. La Riforma penitenziaria del 1975 evidenziò, da parte sua, la necessità che il processo rieducativo pe-nale dovesse vedere la fattiva collaborazione della comunità esterna su-perando, in tal modo, la separatezza del carcere dal suo contesto sociale.Sono passati molti anni da quelle affermazioni di principio e occorre riconoscere che il paradigma rieducativo non è riuscito a dimostrare la propria efficacia, per vari problemi ma soprattutto perché tale paradig-ma si fondava su una concezione tardo - positivistica che prevedeva la possibilità di un cambiamento interiore a sfondo pedagogico - penale che ha mostrato tutta la sua fragilità alla prova dei fatti.Molto più pragmaticamente ad esso si è, via via, sostituta una conce-zione, ma soprattutto una prassi, che tende, viceversa, all’accoglienza e all’accompagnamento verso un reinserimento sociale più congruo e fon-dato. Questo comporta la necessità di progettare interventi che concre-tizzino tale percorso, che sostengano quelle parti più fragili delle vicende personali che facilitano la commissione dei reati e così determinano la carcerazione. Il carcere di Torino è un grosso istituto penitenziario, tra i primi in Italia, in termini di capienza e complessità, al quale afferisce una variegata tipologia di detenuti che copre tutte le tipologie detentive previste dal modello penitenziario italiano.Grande è quindi la diversità tra le esigenze che queste persone esprimo-no in ragione del loro rientro in libertà. È quindi naturale che questo carcere si sia dotato di un progetto globale, formato di tanti filoni pro-gettuali che alcune volte si intersecano sinergicamente, altre volte per-seguono obiettivi specifici. In ogni caso il progetto è complessivamente orientato a cogliere quelli che noi riteniamo essere gli snodi di maggiore problematicità rispetto al disagio e alla possibilità di recupero.Tutto questo ha significato studiare i fenomeni ed ingegnarsi per co-struire iniziative, tentare strade, fare tesoro dei successi ma anche dei fallimenti. Con il tempo si sono consolidate le direttrici principali del progetto e si sono implementate iniziative fondamentalmente dirette a rinforzare l’accoglienza e la gestione del disagio psichico precedente o derivante dalla carcerazione, l’istruzione a tutti i livelli e la formazione professionale ed il lavoro interno. In tutto questo la società esterna ha partecipato e partecipa attivamente, portando idee, presenza, attività, aiuto e sostegno. Con il tempo l’insieme di queste attività, la pervicacia dimostrata nella sua realizzazione e i risultati ottenuti hanno fatto sì che l’istituto abbia acquisito una credibilità nei confronti dei suoi part-ner e questo stimola tutti, all’interno come all’esterno, alla proposta di nuove idee ed iniziative e, contestualmente, facilita la ricerca delle risorse necessarie. La Compagnia di San Paolo e l’Ufficio Pio ci hanno costantemente accompagnati in questo percorso e attentamente valuta-to tutte le nostre richieste. Mi si permetta, a questo punto, alcune con-siderazioni che riguardano non tanto il rapporto istituzionale, quanto quello umano e professionale che attraversa costantemente il primo e che lo concretizza materialmente.Quando iniziai questa professione il direttore che mi accolse e mi accom-pagnò nei primi mesi di servizio, un giorno, mi disse che nel corso della carriera avrei dovuto imparare a chiedere aiuto per portare avanti la non indifferente incombenza di dirigere un carcere.Debbo riconoscere la profonda verità di quelle parole e ricordare anche il grande imbarazzo che ogni volta mi ha pervaso nel chiedere all’ester-no i denari necessari per realizzare idee e programmi, consapevole che la funzione che ricopro appartiene allo Stato e che quindi chiunque avrebbe potuto obiettare che da questo le risorse devono discendere.

Serving a sentence in prison: the Penitentiary of Saluzzo.

testo strutturale interno e esterno alle mura perimetrali del carcere, riten-go pertanto che sia la condizione necessaria per costruire una detenzione protesa ad evitare il rischio di deresponsabilizzazione dell’individuo e di regressione nella sfera di autonomia decisionale, fattori che ridurrebbero il carcere ad un contenitore generatore di patologia. La sperimentazione in sistemi di relazioni “sane” e in meccanismi atti a far emergere profili di responsabilità individuali (declinati in modo particolare attraverso l’esercizio di attività lavorative intra o extra mu-rarie) consentono in definitiva di modulare adeguatamente l’esperienza detentiva, contrastandone il potere amplificatore di identità negative. In quest’ottica e nonostante le contingenti e note difficoltà organizzative ol-tre che i limiti connessi alla natura totalizzante della stessa comunità carcere, si inquadrano le iniziative eterogenee avviate nel contesto sa-luzzese. Da quelle afferenti ad una dimensione prettamente culturale e formativa, estemporanee o via via sempre più strutturate - quali i corsi professionali gestiti dal Centro di Formazione Professionale Piemontese (corso per ebanisti-falegnami, per addetti alla ristorazione e per rilegatori) e il laboratorio teatrale - alle opportunità propriamente lavorative più o meno professionalizzanti.L’esperienza di recente attuazione del laboratorio artigianale interno del Microbirrificio, gestito dalla Cooperativa Sociale Pausa Cafè, si colloca come quello che auspico sia solo il primo tassello di una politica peniten-ziaria che, sotto l’effetto propulsivo della Legge Smuraglia n.193/2000 e grazie alla sensibilità preziosa delle fondazioni bancarie (fondamentale in tal senso il contributo della Compagnia di San Paolo), mira a costruire offerte lavorative e professionalizzanti per le persone detenute, agevolan-do l’ingresso all’interno del sistema carcere della rete dell’imprenditoria pubblica e/o privata e delle Cooperative sociali. Un sistema che può so-pravvivere solo in ragione di una stretta connessione con il territorio, convogliandone risorse e reti di competenza oltre che valorizzandone le eccellenze. E proprio in questa direzione si colloca la produzione alimen-tare di una birra che, anche nelle sue ultime varianti quale la birra con l’aggiunta di pere bio Martin Sec proprie della zona (che sarà presentata ufficialmente il prossimo 5 giugno presso l’antico palazzo comunale di Saluzzo) intende unire il territorio, il carcere e la giovane imprenditoria locale rappresentata dalla Coldiretti saluzzese. Concludendo, credo che una giusta e fortunata commistione tra una lo-gica pragmatica data dalla “produttività e visibilità” del contesto peni-tenziario e una logica di relazione personale non mediata consentirebbe di ricucire quella cesura sociale data dall’immissione nel sistema della detenzione. E certamente conferirebbe un livello adeguato di civiltà alla pena detentiva.

Giorgio Leggieri

Giorgio Leggieri

Nato il 19 maggio 1959 a Torino. Laureato in Scienze Politiche.Specializzato in Criminologia Clinica con indirizzo psicolo-gico-sociale. Già esperto criminologo presso il Tribunale di Sorveglianza di Torino. Direttore di istituto penitenziario dal 1993 Coordinatore di vari progetti e gruppi di studio a livello locale, nazionale e internazionale volti all’approfondimento di problematiche attinenti le risorse trattamentali intramurarie, le strategie di collegamento con la realtà esterna, la forma-zione del personale penitenziario.

Pietro Buffa Nato a Lecce il 31 marzo 1966, assunto nell’Amministrazione Penitenziaria nel 1997 nel profilo professionale di direttore pe-nitenziario, inizia la carriera come vicedirettore presso la Casa Circondariale di Torino, per poi andare a dirigere nel 2007 la Casa Circondariale di Aosta fino al 2008. Dal dicembre 2008 ricopre l’incarico di Direttore della Casa di Reclusione di Saluzzo. Specia-lizzato in Criminologia Clinica nel 2001 presso l’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia, ha poi conse-guito gli attestati di perfezionamento in “Psicologia investigativa e psicopatologia delle condotte criminali” nell’anno 2002 presso l’Università degli Studi di Parma e in “Psicologia Penitenziaria” nel 2006 presso l’Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Psi-cologia. Nel 2005 è stato pubblicato sulla Rassegna Penitenziaria e Criminologica, l’articolo “Gradualità dell’offerta penitenziaria: I Livello Trattamentale per detenuti tossicodipendenti”.Nel 2008 viene pubblicato il contributo dal titolo “Multiculturali-smo e carcere: natura del fenomeno e riflessioni su un’ipotesi di intervento di integrazione tra detenuti stranieri e italiani nel Ser-vizio Nuovi Giunti”, nell’ambito del testo AA.vv. “Oltre a Sorveglia-re e punire - Esperienza e riflessioni di operatori su trattamento e cura in carcere” ” a cura di Daniela Pajardi - Giuffrè Editore, Prospettive di Psicologia Giuridica, Collana fondata da A. Quadrio.

“La prigione, luogo di esecuzione della pena, è nello stesso tempo luogo di os-servazione degli individui puniti. In due sensi. Sorveglianza, certo. Ma anche conoscenza di ogni detenuto, della sua condotta, delle sue disposizioni profonde, del suo progressivo miglioramento... è nello stesso tempo sorveglianza e osserva-zione, sicurezza e sapere, individualizzazione e totalizzazione, isolamento e tra-sparenza...”. (Foucault M., Sorvegliare e punire: nascita della prigione, 1976).Ecco, il richiamo al sistema Benthamiano del panopticon, della famosa torre centrale di osservazione come meccanismo di esercizio del potere di controllo e di disciplina sul detenuto è la metafora di quello che potremmo definire come il perno intorno a cui dovrebbe ruotare l’attuale apparato penitenziario: lo sforzo di sostituire il colpevole condannato e il fatto reato commesso nell’ “individuo delinquente da conoscere” in funzione di un possibile cambiamento rieducativo, seppure nell’ambito di una sorta di “teatro artificiale e coercitivo” che è il carcere.Ciò che avviene dentro le mura di un carcere costituisce spesso argomento che richiama la curiosità del senso comune, soprattutto sull’onda emotiva di fatti eclatanti evocativi di degrado e violenze o comunque stretta-mente connessi al momento immediatamente successivo alla commissione del reato. È inesorabile il ritorno all’invisibilità nella fase successiva alla condanna del colpevole, quella in cui l’istituzione carcere declina l’arduo mandato di garantire il recupero del detenuto in direzione della cosiddetta funzione di prevenzione speciale della pena, cioè la funzione volta a dimi-nuire il rischio di recidiva.Nel mio personale vissuto di direttore di una Casa di Reclusione, come il “Rodolfo Morandi” di Saluzzo, il tema della gestione della pena detentiva come percorso di emancipazione non solo per l’individuo, ma anche in ul-tima analisi per l’intera collettività che ne beneficia in termini di sicurezza sociale, è quanto alimenta la mia quotidianità nella ricerca di contenuti e significati da fornire alla durata della pena, al cosiddetto “tempo finaliz-zato” che va a sostituire il “tempo misura” come corrispettivo del reato commesso (Foucault, 1976). L’impianto normativo di riferimento dettato dalla nostra Costituzione e tradotto dall’Ordinamento Penitenziario, ci suggerisce che la strada da seguire per innescare un processo che definirei di auto-cambiamento è quella di avviare dei percorsi di osservazione e trattamento che mirino a modificare in senso sociale positivo gli stili di condotta deviante, attraver-so l’offerta di sostegno psico-sociale e di opportunità a chi ha intenzione di servirsene, al di fuori di ogni coartazione. In questo senso, lo sforzo assunto come direttore è di lavorare sul potenziamento delle risorse di cambiamento e sulle stesse condizioni contestuali dell’ambiente carcere che possano favorire delle scelte individuali. Lavorare in questa direzione implica necessariamente incidere sul sistema di relazioni complesse che va a connotare il contesto organizzativo del carcere, sugli equilibri interni e l’interazione costante tra figure professionali di estrazione eterogenea.Significa in sostanza lavorare su quello che è il clima organizzativo in-terno del carcere, inteso efficacemente come “la percezione condivisa del modo in cui si fanno le cose” (Reichers, Schneider, 1990), nella convin-zione che l’interazione tra tutti i componenti dell’organizzazione (in modo particolare il personale di polizia penitenziaria e gli educatori) e le impli-cite mediazioni gestite dal direttore dell’istituto, sia fondamentale per il perseguimento di un obiettivo comune, ovvero dare utilità alla pena nel complesso rapporto tra controllo e trattamento, sorveglianza e cura. Nel contesto organizzativo dell’istituto penitenziario di Saluzzo, il fattore che ne connota marcatamente l’identità è certamente il regime di reclusione, ovvero a “celle aperte” destinato all’esecuzione della pena della reclusione nei confronti dei condannati e la conseguente stanzialità della persona detenuta che si ritrova nelle condizioni favorevoli per avviare un percor-so graduale di cambiamento. Alcuni dati giusto per fornire la fotografia dell’istituto. Sotto il profilo della capienza e tipologia di popolazione dete-nuta presente, risultano quattro i circuiti cosiddetti di media sicurezza che ospitano allo stato circa 250 detenuti con condanne a pene medio-lunghe, mentre tre sono le sezioni a regime differenziato con una capienza mas-sima tollerabile di 50 posti cadauna, di cui due destinate al circuito Alta Sicurezza e una ai reati a riprovazione sociale. All’insegna di tale conformazione strutturale, allo stato attuale si registra un totale di circa 400 detenuti, con una presenza di stranieri del 40% circa suddivisi in prevalenza tra etnie albanesi e nord africane.Sotto il profilo dell’organico, ci si avvale di una forza di Personale di Polizia Penitenziaria pari complessivamente a 178 unità effettive e di un organico amministrativo di circa 18 unità assegnate. Altro indicatore di identità dell’istituto è poi la collocazione geografica e la rete di servizi sul territorio sensibile alla funzione di risocializzazione del condannato. In questa direzione si orienta la tradizione consolidata in questi ultimi anni che vede il carcere di Saluzzo come promotore di una serie di iniziative per favorire la collaborazione e la comunicazione con la realtà esterna. Si fa riferimento ai diversi progetti di inserimento lavorativo, tramite ad esem-pio le borse lavoro finanziate dalla Regione Piemonte con la L.R. 45/95, che hanno visto aumentare nel corso degli anni il numero di detenuti impiegati nei comuni del circondario di Saluzzo: si tratta di opportunità lavorative del tipo di cantieristi, cuochi nelle scuole o nelle case di riposo, bibliotecari nelle strutture ad hoc del Comune di Saluzzo. Questo del con-

Prisons evoke the kind of curio-sity that stem from the prurient sensationalism of violence and crime, but after sentencing the in-mate turns invisible once again. It is my experience as Director of the “Rodolfo Morandi” Prison of Saluzzo that imprisonment can of-fer a path to emancipation both for the inmate and for the outside community: this is my tenet and an inspiration to provide contents and meanings to serving a sentence.In Italy imprisonment aims to repla-ce deviant behavior with a more so-cially acceptable alternative, making opportunities available to those wish to take them. My task is to encou-rage such change and to safeguard the expression of individual choices. The Prison of Saluzzo is organized into “open cells” to foster this kind of change. There are currently 400 inmates, of whom 40% are foreign-born, mostly from Albania and North Africa. Personnel consists of 178 Prison Guards and 18 Office Staff. Over the past few years the prison of Saluzzo has promoted several initiatives to encourage collabora-tion and communication with the outside world by providing em-ployment opportunities, promoting “healthy” relations and respon-sible behavior through cultural and educational projects, vocatio-nal training, theatre workshops. The Micro Brewery project is yet ano-ther step in the right direction. Spon-sored by the Compagnia di San Paolo and other Foundations of Banking Origin, the project aims to open up new work opportunities for the inma-tes of the Saluzzo prison. It success depends largely on the interaction with the outside community: in this sense the brewery is now using or-ganic Martin Sec pears grown in the area, in an effort to pool resources. This pragmatic approach to “produc-tion and visibility” and the chance to build personal relations serve the re-ach out and to provide a more civilized dimension to serving one’s sentence.

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Prison as a chance at rehabilita-tion is a concept that started to take root in Italy in the aftermath of World War II. The Reform of Penitentiaries of 1975 called for the collaboration of the outside community, so as to overcome the social isolation of these fa-cilities. Today this idea has been replaced by the belief that inma-tes should be gradually and rea-listically prepared to re-enter so-ciety by working on the personal weaknesses that may lure them back to crime and imprisonment. The prison of Turin is a large fa-cility, one of the largest in Italy, home to a mixed population with very different needs. In order to accomplish our mission, we set out to identify aspects on which to focus our activity: providing assi-stance in case of mental distress, education at all levels, professio-nal training and opportunities to work. Today, also thanks to the active participation of outside society and a stubborn determi-nation to persevere, the results achieved have increased our cre-dibility, inspiring new ideas both inside and outside, while making the search for funding somewhat easier. When I started my pro-fession, I was told that it was my task to ask for help, which was true, and yet it always made me uneasy: this is a State-run fa-cility and, as such, some may object that funds should come from the State. The Compagnia di San Paolo and Ufficio Pio con-stantly supported our project and carefully evaluated our requests: their kindness and eagerness to understand made it clear that there was more to it than a mere application for a grant. To them it was about accomplishing their mission as a Foundation deeply rooted in the community, a joint effort to approach and assist the most fragile elements of society by fine-tuning proposals and ma-ximizing results. Our objectives are the same, our attitude is the same: the concept of imprison-ment well beyond the scope of punishment has turned into the concern of outside society, of which the Foundation is a perfect expression.

A Prison and a Foundation: joining forces for the good of society.

Giorgio Leggieri

Il Garante delle persone private della libertà personale della Città di Torino.

Nuove Opportunità per i Minori Stranieri.

Il carcere appartiene alla Città con tutti i suoi contrasti, i bisogni e i cambiamenti legati alla nostra epoca; occorre quindi rinsaldare e ridefinire, alla luce dei nuovi processi sociali, il quadro delle garanzie, dei diritti dei detenuti e dei lavoratori del carcere e di tutta la città per la quale l’Istituto Penitenziario deve essere anche “servizio di legalità”.

In questa ottica la Città di Torino ed altre città italiane tra le più importanti quali Roma, Milano, Firenze, Bologna, Reggio Calabria da qualche anno hanno istituito la figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale.

L’Italia non si è ancora adeguata ad altre nazioni europee che già da vari anni hanno nominato il “Garante Nazionale”; in attesa che ciò avvenga l’esperienza dei garanti locali appare particolarmente significativa.

Il Garante di Torino similmente agli altri ha tra i propri compiti quelli di:

a) promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone private della libertà personale ovvero limitate nella libertà di movimento domiciliate, residenti o dimoranti nel territorio del Comune di Torino, con particolare riferimento ai diritti fondamentali, alla casa, al lavoro, alla formazione, alla cultura, all’assistenza, alla tutela della salute, allo sport, per quanto nelle attribuzioni e nelle competenze del Comune medesimo, tenendo altresì conto della loro condizione di restrizione;

b) promuovere iniziative di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani delle persone private della libertà e dell’umanizzazione della pena detentiva;

c) promuovere iniziative congiunte ovvero coordinate con altri soggetti pubblici e in particolare con il Difensore Civico cittadino, competenti nel settore per l’esercizio dei compiti di cui alla lettera a);

d) promuovere con le Amministrazioni interessate protocolli d’intesa utili a poter espletare le sue funzioni anche attraverso visite ai luoghi di detenzione in accordo con gli organi preposti alla vigilanza penitenziaria.

L’attività del Garante di Torino in questi cinque anni, caratterizzata soprattutto dal rapporto diretto con le persone ristrette ed i loro familiari: altro 550 colloqui con le persone detenute, circa 200 lettere ricevute e così via evidenziano che le richieste riguardano essenzialmente i temi della salute, lavoro, casa, famiglia (in quest’ambito spesso la possibilità di stabilire o recuperare il senso di genitorialità), temi a quali non sempre le istituzioni locali: comuni, province, regioni hanno dimostrato la sensibilità necessaria.

La Compagnia di San Paolo, anche attraverso i propri enti strumentali, quali l’Ufficio Pio, ha avuto la capacità di intuire che occuparsi del territorio vuol dire occuparsi anche del mondo del carcere.

Nell’ambito di questa sensibilità la Compagnia di San Paolo ha promosso o partecipato a progetti che intervengono nelle necessità sopra indicate sia rispetto al settore degli adulti ristretti, sia rivolti ai minori, creando rete tra i vari soggetti interessati: istituzioni, privato sociale, agenzie territoriali; i vari progetti della Compagnia - compresi quelli rivolti a i cittadini stranieri - hanno portato a risultati eccellenti e soprattutto sono un esempio unico nel panorama nazionale.

Maria Pia Brunato

Il progetto Nomis (Nuove opportunità per i minori stranieri) nasce per offrire ai minorenni stranieri autori di reato un’alternativa al carcere. L’obiettivo è di rendere possibile, per una parte almeno di loro, il superamento delle difficoltà che li hanno indotti a commet-tere reati, evitando così la recidiva e il definitivo inserimento in contesti delinquenziali.

Un obiettivo ambizioso, difficile da perseguire, ma coerente con l’impegno della Compagnia a promuovere l’integrazione nel ter-ritorio di giovani e giovanissimi immigrati, tutelandone i diritti e offrendo opportunità anche a chi ha commesso errori, in coerenza con i principi espressi nelle Convenzioni sull’infanzia e l’adolescenza e nelle linee guida internazionali sulla giustizia minorile. Ma anche coerente con l’impegno a operare per migliorare la vivibilità del territorio, affrontando - in chiave di prevenzione secondaria e di reinserimento sociale - i problemi di chi trasgredisce le norme, per evitare che si rinforzino “carriere” devianti, con conseguenze sulla sicurezza collettiva.

Concretamente, in questi anni il progetto ha attivato o rafforzato servizi e iniziative indispensabili per avvicinare, conoscere e ottene-re la fiducia di adolescenti stranieri smarriti, spesso sfruttati dalle reti criminali, sempre incerti sul loro futuro, diffidenti verso le isti-tuzioni, ma disponibili all’incontro con chi si dimostri interessato a dare loro una mano. Soprattutto i ragazzi alle prime esperienze di contatto con la giustizia penale, cui proporre - per il tramite di relazioni con educatori di strada, operatori “pari”, mediatori cul-turali, rappresentanti di associazioni informali, operatori di servizi diversi - un “patto minimo” di legalità in cambio dell’accettazione di opportunità di integrazione e crescita positiva.

Si è così costruita una “rete” capace di affiancare intensamente i soggetti (in questi 4 anni quasi 150), incontrandoli nei luoghi “naturali”, creando legami, accogliendoli in “case” adeguate, pro-ponendo opportunità utili per la loro quotidianità e il loro futuro (istruzione, formazione, inserimento lavorativo, aggregazioni posi-tive per il tempo libero).

Importanti le peculiarità dell’approccio metodologico: contempora-neamente rinforzare servizi e risorse esistenti e sperimentare, con coraggio e fantasia, nuove forme intervento. Ma soprattutto scom-mettere sulle potenzialità di un vero “lavoro di rete”, attraverso una governance del progetto partecipata (una “regia” interistitu-zionale in cui sono presenti Prefettura, Provincia, Comune, magi-stratura minorile, Centro di giustizia minorile, ecc.), lo sviluppo di sinergie con altri settori e progetti della Compagnia, tavoli tematici con gruppi di referenti di istituzioni ed enti coinvolti, un ente di valutazione esterno.

Progetto “aperto”, Nomis non può che essere in continua evo-luzione, poiché costanti sono i cambiamenti nella realtà: così, se all’inizio la problematica più evidente appariva quella dei minori non accompagnati (prevalentemente maghrebini e romeni), oggi ci si misura con la crescente presenza - nell’area penale - di ado-lescenti ricongiunti di genitori stranieri residenti nel territorio (di nazionalità e culture molto varie). E se al centro dell’impegno, in precedenza, si doveva porre il minorenne solo, oggi l’attenzione va posta sul nucleo e, dunque, anche sulle difficoltà dei genitori a svolgere il loro ruolo educativo.

Una sfida - quella di Nomis - di lungo periodo, chiamato a misurar-si, come già successo in passato, a Torino, per le migrazioni interne, con la crescita delle “seconde generazioni” in difficoltà, per le quali continuare a sperimentare forme di sostegno all’integrazione e al raggiungimento di una cittadinanza piena.

Franco Prina

NOMIS - New Opportunities for Foreign Minors.

Ufficio Pioof the Compagnia di San Paolo.

Project NOMIS (New Oppor-tunities for Foreign Minors) aims to provide juvenile fo-reign offenders an alternati-ve to prison, in order to give some of them the chance to escape the conditions that led them to crime in the first place, to prevent relapse into delinquency and crime. Several initiatives and ser-vices were put in place with the purpose of approaching, understanding and assisting lost teenagers exploited by criminal organizations, who are uncertain about their fu-ture and distrustful of insti-tutions. These adolescents were of-fered a “minimum pact” to abide by the law in exchange for opportunities to become integrated and ensure their growth. A network of operators and services is now available to work closely with these youth (around 150 over 4 years), meeting them in their “natu-ral element”, creating bonds, providing adequate accom-modation and opportunities that are useful to their daily life and future (education, training, job placement, lei-sure activities).

Since 1595 Ufficio Pio, one of the Instrumental Bodies of the Compagnia di San Paolo, has worked to support individuals and families in distress in Tu-rin, encouraging projects to consolidate their autonomy and promote social and cultural in-clusion. This is possible than-ks to the 195 “Delegates”, the volunteers who work to pro-vide personal guidance to the beneficiaries of these actions. Projects include: A. O. S. (As-sistance, Guidance, Support), Employment Training, Senza dimora, il Trapezio, Social Trai-ning projects, Provaci ancora Sam (“Try it again, Sam”), free dental care at the “Lorusso e Cutugno” Prison Facility, scho-larships for Fondazione Piazza dei Mestieri. Other projects are implemented jointly with the Compagnia di San Paolo: Lo-gos, University Education, Men-se, il Bandolo and Nomis.

I Delegati, riuniti nell’Associazione Volontari Ufficio Pio San Paolo sono 195. I principali progetti dell’Uffici Pio sono: l’A. O. S. (Ac-coglienza Orientamento Sostegno), i Tirocini formativi con attiva-zione di borse di formazione lavoro, il Progetto “Senza dimora”, il progetto “il Trapezio”, i Progetti di Formazione e di Abilità Sociale, il Progetto “Provaci ancora Sam”, la convenzione per le Cure e Protesi Dentarie Gratuite nella Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno”, le Borse di studio per i ragazzi della Fondazione Piazza dei Mestieri.

Importanti progetti vengono anche sviluppati in collaborazione con la Compagnia di San Paolo: il Progetto Logos, il Polo Universi-tario, il Progetto Mense: il Progetto il Bandolo e il Progetto Nomis.

Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo.Sin dal 1595 l’Ufficio Pio, ente strumentale della Compagnia di San Paolo, svolge una funzione di sostegno rivolta a favore di persone e nuclei familiari in difficoltà, con riferimento all’area metropolitana torinese.

Al fine di proporre percorsi di emancipazione, l’azione dell’Ufficio Pio, grazie ad uno staff di operatori professionali, è sempre più rivol-ta allo sviluppo della progettualità e dell’autonomia del singolo e del nucleo familiare. Importanti sono i percorsi di inclusione sociale con azioni finalizzate all’inserimento sociale e culturale di persone adulte.

L’attività dell’Ufficio Pio è possibile grazie al contributo fonda-mentale dei Delegati, che sono un’importante risorsa sul territorio, attraverso la relazione di aiuto, per lo sviluppo di un più ampio progetto di accompagnamento individuale per gli assistiti.

Testimonianze

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The prison is part of the city and shares the same contrasts, the same needs and changes of our time. In this sense the City of Turin and other Public Administrations in Italy appointed an Authority for the protection of the personal freedom of private individuals whose tasks include: - promoting the affirmation of

the rights and opportunities to participate in civil life and ac-cess municipal services for pe-ople with restrictions on their freedom;

- promoting initiatives to raise awareness on the human rights of people with restrictions on the their freedom.

Many suggestions have come from the hundreds of contacts with people who are subject to restrictions on freedom (mee-tings, letters, etc) that indicate the need for much work both in-side and outside the prison, he-alth, family, home: mostly issues that are the concern of municipal authorities. In the past few years the Compa-gnia di San Paolo has promoted and participated in projects that aim to meet those needs throu-gh grants and facilitating contact among the various subjects in-volved. In this sense Project LOGOS for the employment of former con-victs deserves special mention for its quality and its results.

Turin’s Authority for the protection of the personal freedom of private individuals.

Lending a hand for a new beginning.Interview to Jolanda Ghibaudi, coordinator of Project Logos.

Il carcere credibile.In visita alla Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, “Le Vallette”, di Torino e alla Casa di Reclusione Morandi di Saluzzo (Cuneo) - di Paola Assom, Giulia Coss e Alessandra Rota.Per motivi di privacy i nomi dei detenuti sono di fantasia ma le persone intervistate sono reali.

Aiutare a voltare pagina.

La Compagnia di San Paolo sostiene Logos fin dal 2003 e lo ha inserito nelle sue linee guida primarie nel settore delle Politiche sociali, come pure ha fatto l’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo. Si tratta di un progetto complesso, che richiede una esperta coordinazione ope-rativa tra i diversi Enti che lo compongono: dalle Amministrazioni e Istituti Penitenziari di Piemonte e Valle d’Aosta a varie associazioni e cooperative sociali, fino allo stesso Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo. “Bisogna evitare sovrapposizioni - dice Jolanda Ghibaudi, dal 2006 co-ordinatrice del progetto - per ottimizzare al meglio le risorse economiche.” La Ghibaudi è una solida professionista del terzo settore, da anni al Gruppo Abele. Una donna determinata e sicura, ma non per questo meno sensibile e attenta al prossimo in difficoltà. “La nostra Costituzione - spiega - afferma che la pena non deve rappre-sentare una vendetta bensì deve tendere alla riabilitazione. E nel solco del dettato costituzionale, che è la nostra bibbia civile, ci muoviamo con le ini-ziative di Logos. Noi lavoriamo con i detenuti in fine pena, le nostre azioni non sono “spot” ma integrate, e fungiamo da ponte tra i trattamenti psico-terapici che vengono messi in atto dentro e poi fuori del carcere. In questo percorso ci sono di fondamentale aiuto il direttore Buffa e gli educatori: loro conoscono i detenuti uno ad uno, con le loro storie e i loro problemi.”“La flessibilità – prosegue la Ghibaudi – è una carta vincente nella nostra attività. Bisogna adattarsi ad esigenze differenti: c’è per esempio la situa-zione dei giovani che terminano il percorso di messa alla prova per reati compiuti da minorenni; per loro abbiamo pensato a un percorso professio-nalizzante che faciliti un inserimento nel mondo del lavoro. Aiutare le persone a superare il pregiudizio: questo è un tassello importante delle azioni di prevenzione della ricaduta nel crimine in quanto si permette

a chi ha saldato il proprio debito con la giustizia di essere considerato “persona” e non “ex carcerato”. Altrettanto fondamentale è restituire la responsabilità dei propri atti alla persona e, insieme alla responsabilità, la dignità. Per questi motivi nessuno viene costretto ad aderire a Logos: un percorso di riabilitazione ha senso solo se è scelto e voluto da chi deci-de mettersi in gioco. A chi aderisce chiediamo lo stesso impegno che noi mettiamo nell’accompagnare per diversi mesi (talvolta più di un anno) coloro che sono inseriti nel progetto, che prevede anche inserimenti lavorativi facilitati da borse lavoro. Un progetto importante, che abbiamo realizzato con l’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo e che consente di sostenere anche i datori di lavoro: anche questi ultimi hanno bisogno di sentirsi supportati per poter continuare a investire con fiducia sui lavora-tori ex detenuti. La fiducia è indispensabile per permettere serenità nelle relazioni di lavoro: il supporto psicologico e l’accompagnamento educativo sono elementi vincenti per aiutare a voltare pagina.”

Farfalle per portare vita e colore nel carcere.

Per raggiungere il laboratorio di Papili bastano pochi tornanti e si è subito sulla collina, da dove il panorama sulla città è emozionante. E lei, Silvia Braga, torinese classe 1961, è una biondina minuta e discreta. Ma quello che fa è sbalorditivo.

Una carriera di amministrazione aziendale interrotta perché, dice, “Volevo cambiare vita e fare, da donna, qualcosa per le donne in pri-gione. Un corso di arte terapia mi aveva insegnato che il lavoro può essere una cura, purché ben finalizzato. La legge 381, che agevola le

cooperative che impiegano dipendenti in condizioni svantaggiate, ha dato l’occasione a me e a tre soci di fondare nel questa attività di im-presa che si base sul lavoro come terapia per donne che hanno bisogno di affrancarsi psicologicamente, ma anche poter mandare del denaro a casa, dove magari hanno figli privi di altre fonti di reddito. “Papili” è il nostro nome e il nostro simbolo e viene da papilionidi, le farfalle tropicali, grandi e multicolori”.

Making sense of prison.A visit to the district peniten-tiary Lorusso e Cutugno, “Le Vallette” of Turin and the Mo-randi Prison of Saluzzo (Cu-neo) - by Paola Assom, Giulia Coss and Alessandra Rota.For reasons of privacy the names of the

inmates are invented but the interviewees

are real.

The FIL ROUGe OF IdeALS NOT TO Be FORGOTTeN.

“I always wear a piece of red string with a tiny bell on my wrist: it re-minds me of the principles I live by.”Pietro Buffa is the director of the Turin prison. Born in Turin, he spent the last 10 of his 51 years at the helm of this facility. According to many, he knows the name of all his inmates. “They are all human beings”, he says, “and they are treated as such.” He leads us through the wings of the “Lorusso e Cutugno” peniten-tiary, one of the largest in Italy, and yet one of the most huma-ne. “There are 35 thousand non-convicted visitors every year”, he says, “they can attest to life in this place: it is still a prison, but a be-lievable one.”“There are 1600 inmates and one thousand staff, a total population of three thousand,” he says. “Here those who can work, work.”

Benches for the city gardens

Butterflies fluttering in prison.Interview to Silvia Braga, President of the Social Cooperative Papili Factory Onlus (vinovo-Turin).

The Papili art studio sits on a hill just outside Turin. From here the view is breathtaking. Silvia Braga, a Turin native born in 1961, is petite with ash-blond hair. What she does is just as amazing.She quit her job in business ma-nagement because, she says, “I wanted to change my life and do something for women in prison. An art therapy programme taught me that work is the best medicine. So I created a small business to help women gain more self-este-em and send some money back home to support their children. “Papili” is our name: it comes from Papilionidae, tropical butter-flies that are large and colourful.

Intervista a Jolanda Ghibaudi, coordinatrice del progetto Logos. Intervista a Silvia Braga, Presidente della Società Cooperativa Sociale Papili Factory Onlus (Vinovo-Torino).

from the prison’s carpentry.

A three-year carpentry course is available and in the carpen-try many pieces of furniture are produced to be sold, including benches for Turin’s gardens1. Giuseppe, a prison guard for 28 years, the last 11 at the vallette facility, explains: “When the inma-tes work, their conditions improve and ours too, because everybody feels useful and tensions ease.”

Angels and other administrative matters.

Franco and Saverio work with the Prison’s chaplain, Father Piero Stavarengo, they are in charge of distributing clothing2 and medica-tions and they keep the chapel (the “Holy See” in prison lingo) in order. Father Piero looks like the Pope, a mop of chalk white hair and gentle eyes. “The priests are here for all, regardless of their faith. We are their angels, because we give them what they really need, even shoes. Most just need to find some comfort.”

I do things here I never imagined I could do.

Laura, Stéphka, valeria, Dazmena, Aminah and other women, twenty in all, spend around 6 hours a

1 The Compagnia di San Paolo supported the social cooperative Puntoacapo in project “Siediti” in place at the Lorusso e Cutugno Prison in Turin and at the Prison of Quarto Inferiore d’Asti, for the production of park benches and other garden furniture. The project also includes apprenticeships spon-sored by Ufficio Pio.

2 The Compagnia di San Paolo supports Associazione volontari di San Martino that provides clothes to be distributed to the in-mates.

A reason in prison

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Project Logos, one the Compagnia’s and Ufficio Pio’s priorities in the social sector, has been sponsored by the Compagnia di San Paolo since 2003. It is a complex project that requires cooperation in the field among several actors, from Public Admi-nistrations to the Correctional Centres of Piedmont and valle d’Aosta. “Coordination serves to prevent overlapping, - explains Jolanda Ghibaudi, project coordinator since 2006 – and to ensure economic efficiency”. Ghibaudi is a professional in the voluntary sector, a strong-willed and self-confident woman who is sensitive to the needs of others. “Serving a sentence in prison, - she says, - is not about revenge, it is a chance at rehabilitation. In this sense we work with inmates who are coming to the end of their sentence and we provide psychological support both inside and outside of prison. Mr Buffa, the prison’s director, and all the other counselors play a key role in this project because they know all the inma-tes, their story, their problems.” “Flexibili-ty, - continues Ghibaudi, - is key to adapt to many different conditions. In order to pre-vent relapse into criminal behavior we help them overcome prejudice and become “persons” rather than “ex convicts”, accep-ting responsibilities and winning back their dignity. For this reason nobody is forced to join Project Logos: rehabilitation makes sense only if you are willing to do some se-rious soul searching and to show the same commitment that we have. We also provide support to the employers, who need to feel someone is looking out for them while they invest in former convicts. In order to build constructive working relationships trust is of the essence: psychological support and mentoring can make a difference and help them turn over a new leaf.”

Il fil rouge degli ideali da non dimenticare mai.Una fettuccia rossa con un campanellino legata al polso destro: “Mi ricorda sempre di non tradire i miei ideali. Come il ragazzino del film The Polar express. L’ha visto? È bellissimo”. Parla come un sognatore ma è Pietro Buffa, direttore del carcere di Torino, una curiosa somiglianza, nell’aspetto e nei modi, con Montalbano, il commissario più amato dagli italiani. Torinese, cinquantuno anni e gli ultimi dieci a dirige-re questa prigione, pare che conosca i “suoi” detenuti uno per uno: passa attraverso il cortile deserto e si sente “Buongiorno Direttore”.Sono i carcerati nascosti dalle sbarre delle loro celle. “Non ti vedo ma so che sei... - risponde lui, e dice il nome... - ognuno è una persona e come tale va trattata. Io non sono il giudice, il mio compito è di dare loro la possibilità di cambiare.” Un uomo contro corrente: “Se mi attengo alla lettera alle regole - dice - disumanizzo il carcere. Io non faccio promesse impossibili, cerco di risolvere i problemi. Sa che cosa è la pena? Nessuno

assistenti sociali, educatori e volontari, ma non bastano mai e fanno turni massacranti. In tutto ci sono tre mila persone, e dico persone, perché sono convinto che ognuno sia un valore e debba esser elevato al massimo delle sue potenzialità intellettive. Questo significa responsabilizzare tutti ed è il primo passo per far funzionare una collettività. “Fai con quello che hai” è il mio motto. E quello che ho, nel 2009, ha prodotto un reddito che è stato il 23% in più dell’anno prima. In quale parte del mondo il reddito medio è aumentato così tanto? Qui tutti quelli che sono in grado di lavorare lo fanno.”

Dalla falegnameria del carcere escono le panchine per i giardini della città.

Nella falegnameria si producono molti arredi, veri e completi, che ven-gono poi venduti, incluse le panchine dei parchi pubblici2. C’è anche un corso professionale triennale che serve “A imparare qualcosa, se no in carcere si rischia di fare addormentare la mente - ammonisce Giuseppe,poliziotto penitenziario da 28 anni, gli ultimi 11 alle Vallette. Ma badi - dice - che io non sono solo un poliziotto, sono una persona e quan-do i detenuti hanno da lavorare le loro condizioni di vita migliorano e ne abbiamo vantaggio anche noi: c’è meno nervosismo perché tutti si sentono utili”. Poi ci porta a vedere dove si tengono i corsi di teoria, sulla lava-gna dell’aula di terza è trascritta qualche riga di Shemà, la poesia che introduce “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

Angeli e burocrazia.

Franco, occhialini da studioso, e Saverio, viso semplice e cordiale, sem-brano due bravi ragazzi. Forse lo sono, o lo sono diventati, perché qui c’è chi crede in loro e si fida del loro lavoro. Sono i collaboratori del Cappellano del carcere, Don Piero Stavarengo, nell’amministrazione del dispensario degli abiti3 e dei medicinali e aiutano a tenere pulita la chiesa. Nel loro gergo è “la santa sede”. Franco è contento di questo lavoro, burocratico ma utile a riprendere dimestichezza con cifre e re-gistri. “Chissà - dice - magari un giorno mi iscrivo pure io all’Università del carcere, ma devo fare ancora un po’ di strada: per ora ho solo la licenza

dice che cosa sia. Solo queste lettere me lo dicono, cosa sia la pena - e tira fuori un dossier alto quaranta centimetri di fogli scritti dai detenuti - e sono solo quelle di quest’anno. Ci ho scritto un libro, su queste cose.1”

Ci accompagna attraverso le sezioni del “Lorusso e Cutugno”, Casa Circondariale tra le più grandi d’Italia, ma anche, a detta di tutti quelli che la conoscono, tra le più umane. “I visitatori non detenuti - spiega Buffa - sono ogni anno 35000: testimoni di come si svolge la vita in questo che è pur sempre un carcere, ma ha saputo diventare un carcere credibile”. I corridoi sono puliti, persino luminosi. Con i muri dipinti, addirittura: “Li hanno fatti i detenuti, questi murales. A me paiono inquietanti, riflettono la vita in prigione”. A noi invece paiono fatti be-nissimo e molto interessanti, nulla da invidiare a molte opere d’arte moderna rinchiusa nei musei. “Vede quanto è grande questo carcere? Pen-si che ci sono circa 1600 detenuti e circa mille tra poliziotti penitenziari,

media”. Don Piero somiglia a Papa Ratzinger, la capigliatura folta e bianca, lo sguardo mite. “Noi sacerdoti siamo a disposizione di tutti, qualunque sia la loro religione. Ci considerano i loro angeli, perché diamo loro quello di cui hanno materialmente bisogno, a volte persino le scarpe. Ma molti hanno solo bisogno di conforto. È vero che hanno sbagliato, ma, mi creda, ci sono casi terribili, anche di innocenti che pagano per colpe non loro”.

So fare cose che nemmeno immaginavo.

Laura, Stéphka, Valeria, Dazmena, Aminah e altre donne, in tut-to una ventina, passano cinque-sei ore al giorno nei laboratori4 dove producono oggetti di stoffa, addobbi, fanno orli e rifiniture per ditte esterne. “Mettere al lavoro la fantasia fa sentire viva - racconta Laura - e ho la soddisfazione di creare qualcosa di bello con la mia mente e con le mie mani”. “Sapevo appena un po’ cucire - interviene Stéphka - e ora uso la macchina elettrica. Ho scoperto di poter fare cose che nemmeno immaginavo. Farò la sarta, quando sarò fuori. Una di noi ci è già riuscita e ora vive del suo lavoro, onestamente. Una volta si può sbagliare, non la

A cura di Paola Assom, Giulia Coss e Alessandra Rota

“Abbiamo cominciato un anno fa - continua - grazie alla Compagnia di San Paolo che ci concesso i fondi per avviare una piccola sartoria, 20 metri quadrati appena, alle Vallette e impiegavamo solo due detenute. Numeri piccolissimi, per cominciare, ma il Dott. Buffa, direttore del carcere ci ha sempre appoggiato: è uno di quegli uomini che fanno la differenza. Da su-bito i nostri prodotti sono piaciuti, anche per la filosofia con la quale li pro-duciamo. La Compagnia è stata uno tra i primi clienti e ci ha dato fiducia, poi ne sono venuti molti altri, anche aziende private. Dovevamo produrre molto di più: grazie ancora una volta ai fondi della Compagnia di San Paolo stiamo facendo ampliare quel piccolo iniziale laboratorio nel carcere, che a breve potrà ospitare ben dieci postazioni di lavoro. Altre tre donne, una detenuta in semi libertà e due profughe lavorano in questo laboratorio, con questa stupenda vista sulla città: è davvero il sapore della libertà.”

Silvia racconta e i suoi occhi scuri, sempre in movimento, parlano molto più di quello che lei dica. Mostra i prototipi, dal design sem-plice ma originale: zaini, pantofole, monili; borse in panno, juta e persino carta dei sacchi della farina. Con orgoglio Silvia mostra il sigillo del Ministero di Giustizia, marchio che certifica la correttezza etica del prodotto e che riporta il simbolo che identifica le donne, il cerchio con la croce. “Tutte le lavoratrici di Papili - spiega - hanno contratti di assunzione a tempo indeterminato, perfettamente in regola, tanto che possono continuare anche dopo aver scontato la pena, e spero che lo vorranno fare in tante, almeno quelle in regola con i permessi di soggiorno. Un giorno una donna mi ha detto «il lavoro libera».Una frase forte. Certamente quella donna non sapeva che le medesi-me parole campeggiavano all’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz. Ma di sicuro non intendeva la stessa cosa.

Studiare per un “dopo” migliore .

“L’esperienza più dura, forse perché la prima, è stata a Cuneo, nel supercarcere dove ci eravamo recati con alcuni docenti per far sostenere un esame a un brigatista. Era l’inizio degli anni ‘80, ultima scia degli anni di piombo. Gli abbiamo potuto parlare solo dietro ai vetri blindati, intorno a noi poliziotti con i mitra spia-nati. Non lo dimenticherò mai.” A raccontare è Maria Teresa Pichetto, titolare della cattedra di Storia del Pensiero Politico alla Facoltà di Scienze Politiche

dell’Università di Torino. Laureata all’inizio degli anni Ses-santa, una tesi guidata dal prof. Luigi Firpo sul razzismo in Italia, una carriera accademica e decine di saggi su temi come emancipazione e democrazia, rappresentanza delle minoranze, antisemitismo: l’aspetto è da signora della buona borghesia, ma il curriculum è da pasionaria.

day in the workshops3 where they manufacture ornaments and trimmings for external busines-ses. “Setting creativity in motion makes me feel alive,” says Lau-ra, “and I can create something beautiful using my mind and my hands.” “I barely knew how to sew, now I can even use an electric sewing machine,” says Stéphka, “I found out I could do things I never would have imagined.” “I will be al-lowed to leave the prison during the day, - says Dazmena - I will work as a waitress. I really believe in this job.” She smiles a bright smile, now that her mouth is no longer the mirror of her turbulent past.4

Changing one’s horizons through education.

The University Centre5 is made of cells with one or two seats, they are wide enough to encourage study and concentration and they are available to the twenty in-mates who attend the University courses held here where Law and Political Science professors come to teach and hold exams. Antonio, 38, has spent 13 years in prison, where he got a high school di-ploma and a university degree: “I want to get a Master’s Degree now. Studying has changed my horizons, it has offered me a new life.”

“One year ago, - she continues, - thanks to a grant by the Com-pagnia di San Paolo we set up a tiny shop at the vallette Correc-tional Centre where two inmates worked, encouraged by Mr Buffa, the Prison’s Director, one of tho-se men who really make a diffe-rence. Our products were an immediate hit. The Compagnia was one of our first customers, then others followed suit. Production increased: the Com-pagnia provided more funds to expand the shop and soon ten wo-men will be working there. Three other women, one on probation and two refugees, work in this studio: the view reflects their ta-ste for freedom.”Silvia’s eyes tell the story, as she shows off prototypes, all simple and original: backpacks, slip-pers, shopping bags, all bearing the seal of Ministry of Justice for ethical products and the symbol for women, the circle with the cross. “All the women who work at Papili have open-ended con-tracts, they can stay after serving their sentence. I hope they will.”

The privilege of work.

“We feel privileged - says Marco, 30, one of the four inmates wor-king in the coffee roasting facili-ty run by Pausa Cafè6 - and lucky: this job makes me learn about new worlds, it has opened my eyes.” “In my cell I turned into a rabid dog”, says Adbel, who looks much ol-der than his 23 years. “It felt like a pitch dark room. Then a world ap-peared before my eyes: working is like tasting a new dish and finding out that you like it. It makes you feel alive, a human being.”

A wALL ThAT IS MUCh TOO hIGh.

The wall that surrounds the Ro-dolfo Morandi Prison of Saluz-zo is so high you cannot see the mountains. “30 inmates are ser-ving life sentences here,” explains Giorgio Leggieri, the prison’s di-rector, “the others are men, 370 in all, who are serving medium-long sentences. There is a risk of over-crowding. Therefore no more than 2, 3 people per cell and everybody is expected to work.” Leggieri is a doctor specialized in criminology. When he arrived here, one year and a half ago, important projects were already under way7. “I would like to extend them,” he says, “and to set in motion a virtuous circle

An education for a better tomorrow.Interview to Maria Teresa Pichetto, in charge of the University Centre at Lorusso e Cutugno prison - “Le vallette”- Torino.

“The harshest experience was the first one, at the maximum secu-rity prison in Cuneo. In the early 80s, at the end of that terrorist era, a convicted member of the Red Brigades was working on his final dissertation.

We communicated across a bul-let-proof glass, there were armed guards everywhere. I will never forget that experience.” These are the words of Maria Teresa Pichetto, full professor of politi-cal doctrine at the University of Turin. “Later,” she says, “toge-ther with other fellow professors we decided to bring the University into the prison: the right to study extends also to the inside of a pri-son and getting an education im-proves the chances for the future and keeps the convicts away from relapsing into crime”.

“For twelve years the Compagnia has always supported us in this project, that is extremely enri-ching from a human as well as a professional point of view. 70 in-mates attended our classes and 19 got their degree: a stimula-ting example for many. “Inmates from across the country ask to attend University in Turin,” she adds with pride, “and this has led to another project: we signed an agreement with the prison’s Management, the University, the Town and the Province to offer apprenticeships to students on probation, so that they can attend the Master’s course that follows. Apprenticeships at times lead to

3 The Compagnia di San Paolo supports workshops for women managed by the Papili Factory coopera-tive, Associazione Arione and Associazione La Casa di Pinocchio.

4 The Ufficio Pio of the CSP provides dental prosthe-ses to the inmates.

5 The Compagnia di San Paolo and Ufficio Pio spon-sor the University Centre in the Prison of Turin, managed by the Faculty of Political Science of the University of Turin.

6 Since 2005 the Compagnia di San Paolo has supported the projects by Pausa Cafè in the Lorusso e Cutugno Prison of Turin and the Morandi Pri-son of Saluzzo (Cuneo).

Intervista a Maria Teresa Pichetto, delegata per il Polo Universitario di Torino presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno - “Le Vallette”, di Torino.

A reason in prison

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seconda”. Stringe gli occhi per trattenere le lacrime, Stéphka. Il denaro che guadagna con questi lavori lo manda a casa e ci mantiene sua figlia. “Avrò presto il permesso di uscire di giorno - dice Dazmena - e farò la ca-meriera in un ristorante. Spero tanto in questo lavoro...”. E il suo bel viso di giovane donna è illuminato da uno splendido sorriso. Sorride sempre, Dazmena, ora che la sua bocca ha smesso di essere lo specchio sdentato del suo turbolento passato.5

Studiare per cambiare i propri orizzonti.

Esiste un’isola quasi felice, alle “Vallette”: è il Polo universitario6, con celle a uno o due posti, ampie e idonee alla concentrazione e allo studio. Riservata a una ventina di detenuti, che seguono le lezioni universitarie che si tengono in una apposita saletta del carcere. Non possono uscire, loro. Sono i docenti, tutti volontari, che si spostano e vengono qui, a fare lezioni ed esami. Le facoltà sono Scienze Politiche e Giurisprudenza. “Ho scelto giurisprudenza perché volevo capire la legge”

che verrà, Gianni, e per tutti i carcerati che, come te, dalla prigio-ne riescono a iniziare una nuova vita.

Un muro troppo alto.

A Saluzzo il Monviso è lì, scintillante di neve e così vicino che pare di poterlo toccare. Ma dal cortile dell’aria il panorama non si vede: il muro è troppo alto. Ci dicono che in carcere si perda la percezione dei colori e dei suoni. Si respira aria di ineluttabi-lità e il motivo è chiaro: “Abbiamo 30 ergastolani - spiega Giorgio Leggieri, direttore qui a Saluzzo della Casa di Reclusione Rodolfo Morandi - e anche gli altri, in tutto circa 370 e solo uomini, hanno condanne mediamente molto lunghe. Per mantenere condizioni di vita dignitose bisogna evitare il sovraffollamento, perciò 2, al massimo 3 persone per cella, e far sentire utili e attivi tutti con il lavoro, anche se per questo è necessario fare dei turni”. Quarantaquattro anni, leccese rigoroso e preciso come un asburgico, Leggieri è un medico con un lungo curriculum di specializzazioni in crimino-logia. Al suo arrivo al Morandi, un anno e mezzo fa, ha tro-vato un carcere in cui erano già avviate iniziative importanti8.“Vorrei ampliarle - dice - e mettere in moto un circolo virtuoso con le imprese del Saluzzese, così ricco e operoso”. Al lavoro con arte e passione.

Nel laboratorio di arti musive uomini dalle mani grandi e nodose lavorano con tessere minuscole e colorate: il risultato è di grande raf-finatezza. Lavorano in silenzio, con passione e impegno. Radio carcere trasmette solo in differita, ma pare davvero uno studio TV. Nicolae è l’esperto di pc, luci e telecamera, Antonio, loquace come un navigato uomo di spettacolo, è il redattore: “Anni fa - racconta - ero cronista in una emittente locale e mi piaceva molto, ma qui è addirittura più interessante: fa bene a questi ragazzi avere notizie dal mondo fuori...”. Antonio parla di questi ragazzi come se lui non ne facesse parte, quasi che il lavoro lo faccia sentire libero. Facciamo insieme un servizio che

racconta Antonio, 38 anni, di cui 13 passati in prigione e utilizzati per prendersi prima un diploma e poi una laurea. Sguardo intenso, con-versazione disinvolta e precisa, abbigliamento sobrio, persino elegante: “Ho la laurea triennale, punteggio 106. Sono contento, ma potevo fare me-glio, potevo avere 110. Una scelta di impegno come lo studio non si fa per risultati mediocri, né per lasciar perdere prima di aver finito. Ora voglio arrivare fino alla specialistica. Lo studio ha cambiato i miei orizzonti, mi ha offerto una vita nuova. Tra due anni sarò libero e voglio ripartire da zero, rimarrò in questa città che mi ha offerto tanto anche se non è la mia. Il carcere è stato illuminante, tutte le carceri dovrebbero essere così, forma-tori e non contenitori. L’uomo è nato libero e la devianza non si combatte con l’inattività. Se fossi un legislatore proporrei…” e elenca le riforme che lui vorrebbe, perché ne ha sentito il bisogno in prima persona. Forse riuscirà un giorno, Antonio, a diventare l’avvocato Antonio. Spera nella riabilitazione, che gli cancellerà le pene accessorie. È una promessa che fa a se stesso, per non aver speso invano tanto tempo e tanta fatica. “In carcere ogni testa è un tribunale. Io qui ho imparato a ragionare, a pensare, a capire”. Il privilegio di lavorare.

“Ci sentiamo privilegiati - racconta Gianni, 30 anni, uno dei quattro de-tenuti addetti alla tostatura nel laboratorio di Pausa Cafè7 - e fortunati: questo lavoro mi fa conoscere altri mondi e mi fa guardare con altri occhi: i coltivatori del Guatemala, per esempio, che non hanno nulla eppure si rimboc-cano le maniche. Sono contento di essere anche io un anello della catena utile per la loro esistenza. Io di fronte a loro mi sento umiliato, perché a me il pane non mancava eppure ho sbagliato lo stesso.” “In cella diventavo un cane rabbioso - interviene Adbel, tanto indurito dalla vita che dimostra ben più dei suoi 23 anni - ero come in una camera tutta buia. Poi ho scoperto un mondo: prima il caffè lo bevevo solo, nemmeno sapevo da dove arrivasse. Lavorare è come assaggiare un piatto nuovo e scoprire che è buono: ti fa sentire vivo, un essere umano. Ora sono una persona utile agli altri, e il mio lavoro mi piace, perché non è una cosa meccanica, ma dipende da me se la tostatura viene bene o no...”. “Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Per quando sarò libero - dice Abdel - sogno una vita normale: una casa e un lavoro e poter passeggiare per le strade a testa alta”. “Per quando sarò libero - dice Gianni - sogno di avere un figlio”. E ci fa rabbrividire: un desiderio che è anche speranza, rinascita, fiducia nel futuro e nel mondo. Tanti auguri per il tuo bambino

passerà il giorno dopo a Radio Carcere. Speriamo che sia piaciuto. “…ti amo, dunque vivo…” recita Juljan. Sono le prove dello spettacolo “Vita”. A fine mese la rappresentazione. Si terrà fuori di qui: anche se in un altro carcere, sarà comunque un evento.

with local entrepreneurs.”

At work with art and passion.

In the mosaic art lab men with lar-ge, gnarled hands work with tiny tesserae of various colours. The re-sult is extremely refined. They work in silence, with passion and atten-tion.The prison’s radio never broadcasts lives, but it does look like a Tv stu-dio. Nicolae is the computer wizard in charge of lighting and cameras, Antonio is the editor in charge: “Years ago,” he says, “I worked as a journalist for a local station and I liked it. Here it is even more intere-sting: these guys really need news from the outside.” “… I love you, hence I live…” says Juljan. The rehearsals of the play are under way, the show will debut at the end of the month. It will be held in another prison. “Now I can look people in the eye when I talk”, says Lorenzo. “It brings you out of the cell, away from your obsessions”, says Mario. Grazia Isoardi is their coach and the director: she works in an Academy of Performing Arts: “working with inmates is much more interesting,” she says. “There is truth here. Where there is suffering, there is no cheating.”

Un caffè buono per davvero.

7 In the Morandi Prison of Saluzzo the Compagnia di San Paolo supports the projects of Associazione voci Erranti Onlus of Racconigi (Cuneo) for theatre, mo-saic and journalist activities, and the Micro Brewery Project by Pausa Cafè Società Cooperativa Sociale of Turin.

There is a businessman who does not ex-ploit the work of the poor, but promotes instead the social inclusion of convicts in order to prevent relapses. His name is Marco Ferrero, the president and the soul of a cooperative called “Pausa Café” created in Turin in 2004. He started a coffee roasting operation in prison: “Our business philosophy,- he explains, - is the short production chain. We buy from the producer, a farming community in the Huehuetenango Highlands in Guatema-la. Their product’s worth was 60% lower than the standard trading value, today it is on a par and it has Slow Food and Fair Trade certification. The rest is done at the prison facility. Wood roasting is a craft and the roaster trained for several months in order to select the right quantity of wood, set the right temperature and check the colour of the bean once the roasting pro-cess is over. Then there is packing and shipping.” In 2008 Pausa Cafè also star-ted an artisanal brewery sponsored by the Compagnia di San Paolo in the Cor-rectional Institute of Saluzzo, near Cuneo. “In 2009,” he explains, “we produced 600 hectoliters of beer.”“In prison,” he continues, “there are many resources. 12 inmates have worked with us so far: none of them has relapsed into crime and one is on the Board of our com-pany. The greatest challenge is conveying the values in which we strongly believe.” The Compagnia di San Paolo shares the same values too and sponsors another project to set up a bar and a restaurant in the University Citadel of Grugliasco near Turin to further promote social inclusion of inmates and former convicts who em-brace a new ideal of life.

Really good coffee.Interview to Marco Ferrero, President of the Social Cooperative “Pausa Cafè”, Turin.

Intervista a Marco Ferrero, Presidente di Pausa Cafè Società Cooperativa Sociale di Torino.

abbia dovuto percorrere una strada tanto tortuosa. In quel caldo pomeriggio di primavera abbiamo brindato tutti insieme con la loro stupenda birra e bevuto alla loro salute. È stata quasi una festa. Se non fosse stato per quel muro, lì davanti al Monviso…“Si dice il peccato ma non il peccatore”, recita il proverbio. Ma noi non abbiamo voluto raccontare nessun peccato e additare nessun peccatore. Abbiamo voluto solo raccontare storie vere, di persone.

Responsibility will set you free.

The brewery is another project by Pausa Cafè. Three inmates work here with Andrea, who is a member of the cooperative. “At times I won-der,” he says, “why they are in and we are out”. Renzo, Filippo and Giulia-no are aware of their responsibility: they take great care in what they do and are proud of their beer.

1 Pietro Buffa, I territori della pena, Ed Gruppo Abele - Torino 2006.

2 La Compagnia di San Paolo ha sostenuto la Cooperativa sociale Puntoacapo per il progetto “Siediti” attivato presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino e la Casa Circondariale di Quarto Inferiore d’Asti, che riguarda tutte le fasi di produzione di panchine da parco e elementi di arredo urbano. Il progetto prevede anche borse lavoro finanziate dall’Ufficio Pio.

3 La Compagnia di San Paolo sostiene l’associazione Volontari di San Martino che for-nisce gli indumenti per il Centro Distribuzione Vestiario Detenuti.

4 La Compagnia di San Paolo sostiene i laboratori femminili gestiti da Cooperativa Papili Factory, Associazione Arione e Associazione La Casa di Pinocchio.

5 L’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo interviene per le protesi dentarie dei detenuti.

6 La Compagnia Di San Paolo e l’Ufficio Pio finanziano il Polo Universitario del carcere di Torino gestito dalla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino.

7 Dal 2005 la Compagnia di San Paolo interviene a sostegno delle attività di Pausa Cafè all’interno della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino e della Casa di Reclusione Morandi di Saluzzo (Cuneo).

8 Nella Casa di Reclusione Rodolfo Morandi di Saluzzo la Compagnia di San Paolo so-stiene le attività di Arti Musive, di Teatro e di Redazione realizzate dall’Associazione Voci Erranti Onlus di Racconigi (Cuneo), nonché del Microbirrificio di Pausa Cafè Società Cooperativa Sociale di Torino.

A reason in prison

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permanent employment and em-ployers are happy too.” And yet there are disappoin-tments, when some attempt to get in contact with the outside, which is forbidden: this is the end of their education, a grim outcome for all.

But it happens very rarely: it is for all the inmates who believe in culture that we continue day after day.

“Normalmente - dice Aziz, flessuoso come un giunco - ognuno sta per conto suo, invece noi del teatro siamo un gruppo e non ci vergo-gniamo di aiutarci tra noi”. “Ho imparato a guardare le persone in faccia quando gli parlo - spiega Lorenzo - e a camminare a testa alta”. “Ti stacca dalla cella, dalle nostre ossessioni” interviene Mario e “Ho trovato me stesso” fa Billy, il veterano, da tre anni nel gruppo di teatro. Juljan, albanese, è più spigliato: “All’inizio ero timido ma ora mi piace, soprattutto il monologo. E poi è bello quando prendi gli applausi del pubblico...”. La tecnica di insegnamento di Grazia Isoardi, la regista, è la stessa che in una scuola accademica di teatro “Ma - spiega - la-vorare con i carcerati è più interessante; qui c’è la verità: dove c’è sofferenza non puoi barare”.

Una responsabilità che fa sentire liberi.

Il birrificio è proprio rivolto dalla parte del Monviso e il sole entra dalla grande porta aperta. Sono stati assunti tre detenuti e lavorano con Andrea, che fa parte di Pausa Cafè: “Sono io - dice - che ringrazio loro, sono straordinari. A volte mi chiedo cosa ci fanno loro dentro e cosa ci facciamo noi fuori”. Renzo, Filippo e Giuliano sentono la responsabilità assegnata loro nel birrificio e lo curano come un gioiello, perfettamente pulito ed efficiente. Raccontano con competenza ogni fase di preparazione delle va-rie birre e spiegano che per Natale ne hanno fatta una speciale con ingredienti che hanno indicato loro stessi.È squisita ed è la loro birra: ne vanno fieri. Giuliano fa gli onori di casa e ci fa gustare tutto l’assortimento della produzione. Dice con modestia: “Ho ancora molti anni da scontare, ma per for-tuna ho questo lavoro: qui il tempo vola. Ora sono contento di avere un riconoscimento quando una cosa è fatta bene”. “Quando sono qui - parla Filippo, 35 anni di entusiasmo e parlantina sciolta - sono una persona che lavora, non penso al carcere fino alla sera, quando ritorno in cella”. Renzo sarà libero tra pochi mesi: “Mi sono innamorato della filo-sofia di Pausa Cafè: non è solo un lavoro, è un progetto di vita che spero di poter continuare. Ho imparato la solidarietà nel lavoro e voglio continuare così, anche fuori”. Fa stare male pensare che per arrivare a questi valori

“L’esperienza di Cuneo - racconta - aveva dato a un gruppo di noi docenti universitari l’idea di portare l’Università dietro le sbarre: lo studio è un diritto costituzionale e va garantito anche a chi è in carcere. Inoltre utilizzare il tempo della detenzione per studiare significa avere migliori chance per il “dopo” e limitare il rischio di recidiva, che è una cosa terribile. Fin dall’inizio, dodici anni or sono, la Compagnia di San Paolo ci ha sostenuto perché, anche se noi sessanta docenti siamo tutti volontari, occorreva denaro per scrivanie, sedie, lavagne, libri e tasse di iscrizione. Per noi pro-fessori è una grande esperienza didattica e umana: impariamo ad adattarci a situazioni difficili e abbiamo avuto grandi soddisfazio-ni. In questi anni dal Polo Universitario del carcere sono passati 70 detenuti e 19 si sono laureati: un esempio e uno stimolo per molti. Oggi c’è persino una docente che insegna il latino: i carce-rati hanno capito che la cultura va appresa dalle radici.”“Ci sono continue richieste da detenuti da tutta Italia per studiare a Torino - dice con orgoglio la professoressa Pichetto - e questo fatto ci ha incoraggiati a pensare un nuovo progetto: grazie al sostegno dell’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo abbiamo firmato con la Direzione del carcere, Università, Comune e Pro-vincia una Convenzione per tirocini di lavoro a studenti in semi-libertà, affinché possano frequentare il biennio di specialistica. Il tirocinio è risultato un validissimo mezzo anche per l’inserimento nel mondo del lavoro. I datori di lavoro sono molto soddisfatti, tanto che uno di questi tirocini si è ormai trasformato in una as-sunzione stabile. Ma bisogna essere anche sempre pronti alle delusioni. Alcuni ap-profittano dello studio per avere contatti con l’esterno, che sono vietati: per loro è la fine del corso di studi e per noi è il vanificarsi di molti sforzi. Capita molto raramente, però: per tutti gli altri carcerati che continuano a credere nella cultura, noi teniamo duro e andiamo ancora avanti.”

Un imprenditore che non sfrutta il lavoro dei più poveri ma lo va-lorizza. Un business che si basa sull’inclusione sociale dei detenuti e ha come scopo la prevenzione della recidiva: non sono utopie, esi-stono davvero. Ce ne porta un esempio Marco Ferrero, presidente e anima della società cooperativa Pausa Cafè, creata a Torino nel 2004. In carcere ha avviato una torrefazione di caffè: “la filosofia commerciale - spiega - è di accorciare la filiera acquistando dal pro-duttore. Nel 2002 abbiamo iniziato un monitoraggio sulle Terre Alte di Huehuetenango, in Guatemala, dove vivono 150 famiglie di piccoli proprietari. Il loro prodotto valeva il 60% in meno di quello in com-mercio, mentre oggi il valore è pari e in più è certificato da Slow Food e etichettato Fair Trade, commercio equo e solidale. Ma c’è dell’altro: si tratta di coltivazioni d’altura e di tipo “bajo sombras” cioè all’ombra di piante di alto fusto, quindi preservano il territorio dall’erosione e dal disboscamento. In questo laboratorio del carcere facciamo tutto il resto. Prima la tostatura a legna: una tecnica artigianale per la quale il tostatore ha frequentato un apposito corso di alcuni mesi. Bisogna valutare la giusta quantità di legna, la temperatura e poi capire dal colore del chicco se il procedimento è completato. Poi passiamo a im-ballaggio e spedizione”. “Grazie ai contributi che la Compagnia di San Paolo ci concede fin dal 2005 - spiega Ferrero - abbiamo allestito questa torrefazione e ora la stiamo ampliando negli spazi dati in comodato d’uso dal carcere,

con una lungimiranza esemplare.” Ferrero è un torinese solido, che per anni ha girato mezzo mondo come cooperatore internazionale. Ora, a quarantasei anni, moglie e due figli, ha voluto scommettere su produzioni di eccellenza all’interno delle carceri. Pausa Cafè ha avviato anche nel 2008 un birrificio artigianale, sempre allestito con il contributo della Compagnia, nella Casa di Reclusione Morandi di Saluzzo (Cuneo). Coadiuvato da un mastro birraio professionista, piega “Nel 2009 abbiamo prodotto 600 ettolitri di birra, che ha già vinto parecchi premi di qualità. In carcere - spiega Ferrero - non ci sono solo criticità, ma anche risorse. Finora abbiamo avuto 12 collaboratori detenuti. Han-no condiviso la nostra filosofia e l’hanno applicata. Nessuno di loro è recidivo e uno è persino entrato nel Consiglio di Amministrazione della società. La grande scommessa - conclude - è di trasmettere a tutti i valori positivi in cui crediamo”.Valori nei quali la Compagnia di San Paolo crede e che sostiene con i suoi contributi per il prossimo progetto di Pausa Cafè: la realizzazione di un bar e ristorante presso la Città Universitaria a Grugliasco, alle porte di Torino. Iniziative ancora finalizzate all’inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti. Ma per tutti loro non si tratta solo di un lavoro, bensì di scegliere e condividere un ideale di solidarietà.

Progetto Cantoregi: un destino dentro a un nome.

Arte e carcere. Art in prison.

Margherita Moscardini is the win-ner of the first edition of Premio Pi-nacoteca Giovanni e Marella Agnelli in 2007 for site specific artworks. It concerned a passageway leading into a prison, a symbolic space between freedom and imprison-ment.

Marcella Pralormo: what is the point of art in prison? Margherita Moscardini: It is impor-tant for an artist to approach such challenging contexts. It is a matter of responsibility.

MP: Is there room for dialogue between art and prison?MM: There are places where it’s hard to see art as necessary, where artworks can be vulgar and over-whelmed by their setting.

MP: had you ever been inside a pri-son before? MM: Yes, someone close to me has to spend a long time in there, hen-ce my sense of inadequacy and re-sponsibility. When you visit someo-ne in prison, it is your responsibility to narrate the world outside, a few minutes become invaluable time.

MP: Prisons are communities: tell me about life in prison. MM: I tried to experience as much as possible. I saw the inmates at work, training, interacting with the outside world, playing in a film. “Lo Russo e Cotugno” really is an ex-ception.

MP: Overcrowding is a serious is-sue, as are suicide and violence. MM: It is hard to imagine the violen-ce and suffering of an inmate, the total lack of privacy. You risk losing self-confidence.

MP: did your work serve a purpose? MM: Now I can say that my work ne-ver really belonged there. If I went back I would do exactly the same, but right now I probably would not do it.

Margherita Moscardini was born in Donoratico and lives in Castagneto Carducci. She attended the Art In-stitute of Pisa and the Academy of Fine Arts of Bologna and works on site specific art projects.

Marcella Pralormo is the Director of Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli since 2002.

Project Cantoregi. A name that says it all.

Project Cantoregi aims to organi-ze theatre performances outside the theatre. In the performances staged at the Rodolfo Morandi Prison of Saluzzo - directed by Koji Miyazaki, coordinated by Grazia Isoardi with the assistan-ce of Fabio Ferrero - theatre as an exclusive experience became intimately inclusive by focusing on people excluded by society, like psychiatric patients, the di-sabled and the elderly. Thanks to our partners and sponsors - like the Compagnia di San Paolo - the project set out to give back to the inmates their voice and their dignity. Their desperation cannot be assuaged by indifference, iner-tia, passive words of hope and wisdom, it resounds in our he-arts and our consciences. Be-cause it is our own.

La scelta consapevole di battezzarsi come un progetto architettonico mai realizzato. L’idea audace, congenitamente imperfetta, ma lungimirante, di fare teatro senza teatro, e di votarsi quindi ad un destino randagio, in preda ad un’inquietudine creativa incapace di accasarsi altrimenti, in perenne ricerca dell’agognato ubi consistam, del topos mentale che sa farsi anche luogo fisico. È questo il percorso artistico che Progetto Cantoregi si è scelto: un nome come proprio destino. Forse un azzardo progettuale, che da questo suo apparente limite fondativo ha saputo però trarre slancio vitale e spinta motivazionale, e da cui è scaturita una ricerca espressiva le cui prerogative essenziali sono la precarietà, la povertà, la semplicità, vissute come intima necessità. Una poetica

che, alla prova inesorabile del tempo, non sembra mostrare segni di affaticamento o di cedimento, ma predisporsi piuttosto a nuove esperienze, aprirsi istintivamente a nuove avventure, individuare nuovi territori di senso. Progetto Cantoregi ha intrapreso più di trent’anni or sono il suo viaggio senza meta, dalla navigazione spesso perigliosa, ma dai molti e significativi approdi, anche se mai definitivi. Così è stato anche per il carcere Rodolfo Morandi di Saluzzo. A ben guardare un attracco naturale, avendo scelto di impegnare le energie creative in un teatro “esclusivo” proprio perché intimamente e utopicamente “inclusivo”, in un teatro cioè di attenzione verso chi è escluso dal discorso sociale, come testimoniano anche le precedenti esperienze con gli utenti del servizio psichiatrico, i diversamente abili e gli anziani. La casa di reclusione saluzzese - grazie alla sensibilità di direttori illuminati e al supporto fondamentale di partner, non solo sponsor, come la Compagnia di San Paolo, - si è in questi ultimi anni trasformata nell’altrove sognato, nel luogo dove spendere il nostro impegno, il nostro entusiasmo. Dove far germogliare e crescere, in forma di spettacoli - tutti per la regia di Koji Miyazaki, con la conduzione laboratoriale di Grazia Isoardi e il contributo di Fabio Ferrero -, la nostra voglia di reperire comunque e dovunque un senso, nell’illusione di opporsi alla crescente insignificanza dei nostri tempi. Ma questa produzione di spettacoli nella struttura carceraria, vale a dire La soglia (2003), Il luogo dei cigni (2004), Amen (2005), Lividi (2006), Diario di un cane (2007), Van Gogh: il suicidato della società (2008), La forza del destino (2009), non deve soltanto leggersi come il tentativo di mettere in atto gesti di solidarietà per restituire voce e dignità al mondo dei reclusi. Ma come il segno della volontà di raccogliere e rappresentare le loro grida dolenti, spesso disperate, altrimenti destinate a spegnersi, così come si spegne lentamente un’eco lontana. Nella piena consapevolezza che farsi vincere dall’indifferenza, dall’inerzia, limitarsi alla passività di parole di speranza e di augurio non giova e non risolverà alcunché: le grida di quegli uomini continuerebbero in ogni caso a risuonare, implacabilmente, nei nostri cuori e nelle nostre coscienze. Forse perché sono anche le nostre.

Marco Pautasso

Margherita Moscardini nel 2007 ha vinto la prima edizione del Premio Pi-nacoteca Giovanni e Marella Agnelli, insieme a Jessica Ballerini. Il Premio si rivolge agli allievi delle Accademie di Belle Arti italiane e intende offrire loro una opportunità di realizzare un’opera site specifica per un luogo pub-blico della Città di Torino. Il bando prevedeva la progettazione di un’opera per il corridoio di passaggio tra l’esterno e l’interno del carcere: un luogo simbolico, una linea di confine tra libertà e prigionia.Margherita ha sostituito le sbarre verticali di due finestre con altre da lei disegnate. La luce solare che passa attraverso la grata, si proietta sul muro di fronte dando forma ad un disegno che, solo per pochi giorni l’anno, attorno alla metà di dicembre, si manifesta sopra una didascalia metallica che riporta il titolo del lavoro. Jessica Ballerini ha scelto di lavorare sul rapporto tra silenzio e rumore, collocando un tappeto, una sorta di guida colorata, che attutisce i passi di chi lo calpesta. Entrambe le artiste si sono misurate principalmente con i vincoli fisici del luogo, ma, allo stesso tempo, si sono dovute confrontare con le regole della struttura, e hanno interagito con chi nel carcere vive e lavora.

Marcella Pralormo: Secondo te ha senso introdurre l’arte in un Carcere?Margherita Moscardini: Certamente. È prezioso per un artista potersi rela-zionare con realtà così forti, soprattutto per la responsabilità di cui investe il proprio lavoro. E proprio per una questione di responsabilità, ammetto di aver lavorato al progetto convinta che un lavoro d’arte all’interno di una struttura penitenziaria funzionante sia condannato ad essere atroce o stupido.

MP: Puoi approfondire in che senso atroce o stupido?MM: Atroce perché è un pensiero che nella migliore delle ipotesi conferma la condizione di coloro che abitano la struttura. Stupido perché penso che in qualsiasi contesto un artista si trovi ad in-tervenire, è necessario che ne abbia una conoscenza profonda. E la mia esperienza diretta del carcere è fortunatamente parziale. In ogni caso, ci sono spazi tanto forti da non ammettere divagazioni.

MP: Ma l’arte può dialogare con il luogo-carcere oppure la supremazia del luogo tende a prevaricare qualsiasi tipo di intervento?MM: Non penso ci sia una regola, in generale penso che ci siano luoghi in cui è difficile pensare ad un progetto che sia necessario, e non vanitoso, diciamo. E qui è probabile trovare lavori che proprio nella loro riuscita esprimono volgarità, e nel loro passare inosservati, la prepotenza del luogo che li ospita. Personalmente sono attratta dai lavori che vivono sull’orlo del fallimento. C’è invece un bellissimo lavoro di Liliana Moro: una serie di specchietti retrovisori di auto installati tra le inferriate della Casa Circonda-riale di Novi Ligure, in modo che l’immagine dell’esterno, rimbalzando sui vari specchi, venga condotta fino all’interno della cella e viceversa. È un lavoro straordinario secondo me.

MP: Eri già stata in precedenza in una struttura carceraria, puoi parlarcene?MM: Sì, ho una persona molto cara che dovrà passarci tanto tempo. Il sen-so di responsabilità ed una forma di inadeguatezza verso il mio intervento alle Vallette forse in parte derivano da questo. Chi è fuori e comunica con chiunque viva una forma di reclusione, vive l’impegno di raccontare un mondo che gira. Le parole assumono estrema importanza e i minuti di un colloquio sono tempo inestimabile. Da qui un lavoro sull’attesa che un preciso evento si manifesti, per testimoniare, nonostante tutto, la rotazione terrestre attorno ad un sole.

MP: Il carcere è una comunità, costituita da persone diverse. Ci sono i dete-nuti, gli agenti, il personale di servizio. Puoi esprimere le tue riflessioni sulla vita nel carcere di queste persone e sui rapporti umani?MM: Nei due mesi in cui frequentai la struttura penitenziaria, cercai di vivere tutto quello che mi era consentito, mangiando alla mensa con le guardie, visitando alcuni reparti, conoscendo i detenuti che hanno poi pre-so parte attiva al progetto. Gli agenti della penitenziaria che dovevano assistermi si sono dimostrati curiosi, disponibili, ed estremamente gentili. Mi hanno aiutata e mi hanno raccontato le storie di quel posto, come quella di Armida Miserere, direttrice di molte carceri di massima sicurezza italiani che la notte indossava la tuta della penitenziaria e saliva sui tetti del carcere: andava a controllare che le sentinelle non stessero dormendo. Mi raccontavano che non aveva paura di niente: la mafia aveva ucciso suo marito, educatore carcerario, e lei si buttò nel lavoro finché non ce l’ha fatta più e si è uccisa. Un momento forte è stato poi la messa in opera della mia struttura, per cui siamo saliti sul tetto del blocco per segare le sbarre di ferro esistenti e saldarne altre dall’esterno. Io in quel carcere ho visto alcuni detenuti lavorare, utilizzare laboratori tecnici e partecipare ad attività con l’esterno; nel periodo in cui ci lavoravo stavano girando un film in cui parte degli attori erano detenuti. Sono anche convinta che la Casa Circondariale Lo Russo e Cotugno sia una grande eccezione.

MP: Hai toccato una delle piaghe delle carceri oggi, oltre al sovraf-follamento: l’altissimo numero di suicidi e la violenza. Forse queste problematiche non ti hanno toccato da vicino, ma ci hai pensato?MM: La violenza e le sofferenze che subisce un detenuto, da parte delle au-

torità o dei coinquilini, è difficilmente immaginabile. E io posso conoscerla solo indirettamente. La cronaca ci riferisce atti estremi di violenza, ma la violenza più feroce è forse quella più sottile e quotidiana che spesso un de-tenuto comune vive a partire dalla completa mancanza di una dimensione privata. Penso sia difficile, per le istituzioni stesse, pensare di reintegrare un individuo che dopo anni di reclusione rischia di perdere confidenza con sé.

MP: Cosa pensi di essere riuscita a realizzare grazie al tuo lavoro? C’è qual-cosa che a posteriori avresti cambiato o modificato, o che ti rimproveri di non essere riuscita a fare?MM: Penso, adesso, che le ragioni interne al mio lavoro non siano mai riuscite ad appartenere fino in fondo alle ragioni di quella struttura. Io oggi comunico quell’intervento raccontandolo, senza immagini, perché nel-la realtà nessuno tranne chi vive e lavora in carcere, forse, ha mai visto il mio intervento ‘manifestarsi’. È di per sé poco visibile all’osservatore e destinato ad essere assorbito dal contesto. Penso che la sua stessa natura inviti a considerare la permanenza come la possibilità che un’idea ha di appartenere ad un luogo fino a scomparirvi. Si tratta di una specie di declinazione dell’anonimato, che la necessaria presentazione ‘pubblica’ del lavoro ha in qualche modo violato. Io tornando indietro farei esattamente quello che ho fatto, ma se dovessi rifarlo adesso, no, probabilmente non farei quel lavoro.

MP: Ti sei interrogata sul significato della parola Giustizia?Preferisco affidarmi alle parole di Cristina Campo, che scrive: « […] al giusto, contrariamente a quanto di solito si richiede da lui, non occorre immaginazione ma attenzione. Noi chiediamo al giudice una cosa giusta chiamandola con un nome sbagliato, quando sollecitiamo da lui “dell’immaginazione”. Che cosa mai sarebbe in questo caso l’immagina-zione del giudice se non arbitrio inevitabile, violenza alla realtà delle cose? Giustizia è un’attenzione fervente, del tutto non violenta, ugualmente di-stante dall’apparenza e dal mito. […]Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione.Chiedere a un uomo di non distrarsi mai, di sottrarre senza riposo all’equi-voco dell’immaginazione, alla pigrizia dell’abitudine, all’ipnosi del costume, la sua facoltà di attenzione, è chiedergli di attuare la sua massima forma. È chiedergli qualcosa di molto prossimo alla santità in un tempo che sem-bra perseguire soltanto, con cieca furia e agghiacciante successo, il divorzio totale della mente umana dalla propria facoltà di attenzione. » ( Cristina Campo, Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 2004, pp. 169-170)

Il Premio Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli è realizzato grazie a: Artissima, Johan e Levi, Robe di Kappa, UniCredit Group, con il patroci-nio della Città di Torino.

Margherita Moscardini è nata a Donoratico e vive a Castagneto Carducci. Ha studiato all’Istituto d’Arte di Pisa e all’Accademia di Belle Arti di Bologna. La sua ricerca è incentrata sulle fasi processuali del lavoro, attra-verso opere site specific.

Marcella Pralormo è direttrice della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli dal 2002.

Marcella Pralormo intervista Margherita Moscardini.

Testimonianze

Foto di Paolo RanzaniFoto di Paolo Ranzani

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PATRIMONIO STORICO-ARTISTICO

ATTIVITà CULTURALI

SANITà e RICeRCA SCIeNTIFICA

Risorgimento è.

An Exhibition on the Risorgimento.

Malattie Metaboliche e Diabetologia.

Metabolic diseases and diabets.

Le cinque aree operative

Uno dei manifesti della mostra “Risorgimento è”

Locale dedicato al Day Hospital diabetologico

Cupola della chiesa di San Lorenzo

RICeRCAe ISTRUzIONe

Dodici anni di impegno a favore delle persone entrate nel circuito penale.

Twelwe years of work to assist juvenile delinquents and convicted adults.

LOGOS e NOMIS sono due progetti di innovazione sociale promossi e sostenuti dalla Compagnia e rivolti rispettivamente all’integrazione di ex-detenuti e all’in-serimento sociale di minori stranieri entrati nel circuito penale. A questi temi sono dedicati l’articolo di Franco Prina e l’intervista a Jolanda Ghibaudi pubblicati nelle pagine precedenti. Ma nell’ambito delle iniziative a favore della popolazio-ne carceraria e a contrasto della devianza minorile, l’im-pegno della Compagnia dal 1998 fino ai primi mesi del 2010 è ben più ampio, con una molteplicità di interventi e un totale di contributi che arrivano a 13,4 milioni di euro, senza contare quelli dell’Ufficio Pio.

LOGOS and NOMIS are two social innovation projects sponsored by the Compagnia that aim to facilitate social integration of former convicts and foreign-born juveniles offenders. They are described in the article by Franco Prina and the interview to Jolanda Ghibaudi in the previous pages. Since 1998 the Compagnia has sponsored projects to assist con-victs serving their sentence in prison and to prevent juvenile delinquency and in 2010 the scope of the-se projects has significantly expanded, with grants totaling 13.4 million euros, in addition to the ones awarded by Ufficio Pio.

La consapevolezza del valore storico artistico che gli edifici sacri hanno rappresentato per la storia di Torino e il cre-scente interesse nei confronti della valorizzazione del centro storico in chiave sistemica hanno portato la Compagnia a intervenire a favore del patrimonio religioso recuperando le eccellenze architettoniche della parte più antica della città. L’impegno della Fondazione è orientato verso il sostegno al recupero degli edifici più pregevoli del Barocco piemontese ubicati nel cuore di Torino, nel quadro più ampio della re-alizzazione di un distretto culturale urbano, dove il dialogo tra le architetture di pregio, il sistema dei musei e i luoghi per la produzione di cultura e creatività può diventare un catalizzatore di attività ad alto valore aggiunto e di talenti che insieme potranno creare uno sviluppo a lungo termine per la città.

A keen awareness of the artistic value of sacred buildings in the history of Turin and a growing interest for com-prehensive enhancement of the old town centre have led the Compagnia to support the recovery of the religious he-ritage through the restoration of architectural landmarks in the most ancient part of town. The Compagnia di San Paolo sponsors the restoration of palaces that represent the most remarkable examples of Piedmontese Baroque in the heart of Turin, in the framework of a more general plan to establish an urban cultural district, where prestigious architecture, the museum system and the sites that foster culture and creativity function as catalysts for high added value activities and talents that contribute to the long term development of the city.

In view of the celebrations for the 150th Anniversary of Italy’s Unification, the Compagnia recently sponsored a photographic exhibition on the Risorgimento. The open-air display consists of one hundred panels with images on the front and the back presenting events and figures of the past plunged into the modern urban context. “Risorgimento è” aims to draw attention to the city’s cultural heritage – museums, archives, palaces, sites and historical characters – and to celebrate its role in history as Italy’s first capital through images of events and people who contributed to it. The exhibition is mounted under the porticoes of via Po and in piazza Vittorio, piazza San Carlo and piazza Carlo Felice in Turin and it will end in December 2010.

In vista delle celebrazioni del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, la Compagnia ha recentemente sostenuto la mostra “Risorgimento è”: un percorso fotografico open-air costituito da cento pannelli bifacciali che riportano nell’attualità dello spazio urbano odierno la rappresentazione delle vicende e dei personaggi del passato. “Risorgimento è” coglie un duplice obiettivo: segnalare il patrimonio culturale della città – musei, archivi, palazzi, luoghi, personaggi - e porre in evidenza la sua identità storica di prima capitale d’Italia, raccontando con le immagini gli eventi e gli uomini che l’hanno resa tale. La mostra è stata allestita nei portici di Via Po e nelle piazze Vittorio, San Carlo e Carlo Felice a Torino, ove rimarrà fino a dicembre 2010.

The Compagnia allocated € 600,000 to sponsor a project to improve diabetes care at Ospedale Oftalmico in Turin. New facilities are now operational to offer technologically advanced treatment and educate patients suffering from diabetes mellitus using multimedia tools that were specially designed for this project. The new premises of the Centre for Metabolic Diseases and Diabetes on the first floor of the hospital extend over 400 sq. m. and include a waiting room, an administrative office, three rooms for nursing procedures, three examination rooms, an outpatient surgery, a room for diabetic retinopathy diagnostic tests with specific equipment, a meeting room and two utility rooms.

La Compagnia, grazie a un contributo complessivo di oltre € 600.000, ha sostenuto il progetto di miglioramento dell’as-sistenza diabetologica presso l’Ospedale Oftalmico di Torino. Recentemente sono stati resi operativi i nuovi locali dotati di soluzioni tecnologiche mirate all’educazione terapeutica dei pazienti affetti da diabete mellito, con strumenti multime-diali appositamente progettati. La nuova sede della Struttura Complessa Malattie Metaboliche e Diabetologia, situata al primo piano del presidio ospedaliero, si sviluppa su 400 mq. di superficie e comprende: una sala di attesa, una segreteria, tre locali destinati alle prestazioni svolte dal personale infer-mieristico, tre sale visita, un locale dedicato al day hospital diabetologico, un locale riservato al percorso diagnostico del-la Retinopatia diabetica (dotato di strumentazione specifica), una sala riunione e due locali di servizio.

POLITIChe SOCIO-ASSISTeNzIALI

A Buon Diritto.

A Buon Diritto: a Watchdog for the Compagnia.

La Compagnia di San Paolo segue con attenzione l’evoluzio-ne del dibattito su “libertà e diritti fondamentali”: su liber-tà religiosa, libertà terapeutica e libertà personale si concen-tra l’attività di “A Buon Diritto”, associazione presieduta da Luigi Manconi, nata a Roma nel 2001 e sostenuta dalla Compagnia dal 2004. A Buon Diritto opera per diffonde-re presso l’opinione pubblica la consapevolezza su questi temi e per contribuire a proiettarli sulla sfera politico-par-lamentare, perseguendo anche effetti sul piano dell’attività normativa. L’associazione, che opera a livello nazionale, sta rafforzando, anche su impulso della Compagnia, la propria presenza a Torino e in Piemonte.

The Compagnia di San Paolo follows the debate on “free-dom and fundamental rights” with great interest. In this sense it has sponsored the activities of Associazione “A Buon Diritto” on freedom of religion and care and perso-nal freedom since 2004. The association, chaired by Luigi Manconi, was founded in Rome in 2001 and it is engaged in raising awareness on these issues and putting them on the political and parliamentary agenda. It operates throu-ghout Italy and thanks to the support of the Compagnia it has now consolidated its presence also in Turin and in Piedmont.

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La Compagnia di San Paolo per il Patrimonio architettonico religioso di Torino.

The Compagnia di San Paolo for religious architecture in Turin.