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35GAZZETTA AMBIENTE N2 / / 2014

Aree protette

Il Parco nazionale del Pollino: ambienti naturali, biodiversità e paesaggidi Annibale FormicaDirettore Parco nazionale del Pollino

Il Parco Nazionale del Pollino è il territorio dell’Appenino calabro-lucano che com-prende i complessi montuosi del Pollino, di Orsomarso e del monte Alpi. Entro i confini dell’Antica Lucania, quel territorio tra la via Istmica, che univa Cirella sulla costa tirrenica a Sibari sullo Jonio, in Calabria, e il fiume Sele, in Campania, costitui-sce insieme ai Parchi nazionali dell’Appennino Lucano-Val d’Agri-Lagonegrese e del Cilento-Vallo di Diano-Alburni un ampio sistema di Aree protette del Mezzogiorno d’Italia, nel cuore del Mediterraneo.L’idea della tutela del Pollino risale al 1958, con la celebrazione della VII Festa nazio-nale della Montagna per le Regioni dell’Italia Meridionale, in occasione della quale il massiccio montuoso dell’Appennino calabro lucano e i suoi grandi valori naturalistici e culturali si affacciarono, per la prima volta, con interesse e clamore sulla scena nazionale. Seguì, poi, nel 1962, la prima proposta di istituzione di un Parco nazionale del Pollino. Nel 1972 venne presentato da parte del CNR e del WWF-ITALIA un Piano di assetto naturalistico territoriale del Parco nazionale Calabro-Lucano del Pollino in contrap-posizione ad un progetto di sviluppo turistico dell’OTE-EFIM. Per superare tale con-trapposizione la Regione Basilicata, nel 1973, propose, con un Libro bianco, l’inizia-tiva di una elaborazione, insieme alla Regione Calabria, di un “Progetto speciale per la valorizzazione del Pollino”. Fallita, però, quella iniziativa, la Regione Basilicata si assunse l’onere di promuovere da sola l’istituzione di un Parco regionale. Dopo un concorso di idee, bandito nel 1977, per la creazione, nel versante lucano del Massic-cio, di un Parco naturale, “un Parco naturale che non doveva escludere alcuna spe-cie vivente storicamente insediata”1, la Regione Basilicata, nel dicembre del 1985, approvò, quindi, il Piano territoriale di Coordinamento e, con L.R. n. 3/1986, istituì il Parco regionale del Pollino. Il Parco nazionale del Pollino, nella sua attuale peri-metrazione e assetto amministrativo, è stato istituito solo dopo e grazie alla Legge quadro sulle Aree naturali protette n. 394/91, con il D.P.R. 15 novembre 1993. Il Parco ha una estensione di 192 mila ettari ed una popolazione di circa 150 mila abitanti. Comprende 56 Comuni: 24 nel versante lucano e 32 in quello calabrese. Ne fa parte una catena di montagne, con una morfologia molto aspra, con versanti mol-to acclivi e con forti incisioni, che si sviluppa lungo le cime più alte dell’Appennino meridionale. Percorrendo, da sud-ovest e dal Tirreno, il gruppo montuoso di Orsomarso, si in-contrano il sito archeologico di timpa di Civita di Sangineto, il Passo dello Scalone, il Sasso dei Greci, il Monte La Caccia (m. 1744), la Montea (m. 1825), La Mula (m. 1935), il Santuario della Madonna del Pettorruto, il Varco del Palombaro, il Cozzo del

1 Progetto Pollino, a cura del Gruppo interdisciplinare di studio per la creazione del Parco del Pollino, Quaderno n. 1, stampato nella Tipografia G. Capponi, Firenze, giugno 1981.

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Piani del Pollino e Monte Pollino.(Foto di Annibale Formica).

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38WILDERNESS: UN CONCETTO FILOSOFICO DI CONSERVAZIONE INTEGRALE DELLA NATURA

Aree protette

Pellegrino (m. 1987), il Monte Caramolo (m. 1813), il Monte Palanuda (m. 1632), le valli dell’Esaro, del Rosa, dell’Abatemarco, del Fiume Argentino, le grotte dell’Angelo e del Frassaneto, le gole del Lao, la grotta del Romito, i piani di Lanzo, di Campo-longo, di Novacco, la dolina di Masistro, la Piana di Campotenese. Sopra il Coscile e la Piana di Castrovillari, si stagliano le rupi di Frascineto e la serra Dolcedorme (m. 2267), il monte Pollino (m. 2.248), da cui prende il nome l’intero massiccio e il parco, e la serra del Prete (m. 2.181); andando ad est, verso lo Jonio, si scoprono le gole del Raganello, le gole del Caldanello, la Gravina di Cerchiara di Calabria, l’Abisso del Bifurto e il Santuario della Madonna delle Armi; da qui, volgendo a nord si trovano timpa di San Lorenzo e La Falconara, Serra delle Ciavole (m. 2.127), la Grande Porta del Pollino, Serra di Crispo (m. 2.053), i Piani del Pollino, caratterizzati da morfologie legate a glacialismo relitto. Su queste cime e in questi pianori c’è neve per cinque-sei mesi all’anno con le più basse temperature dell’Italia del Sud; nel 2013 si sono registrate temperature minime fino a – 30°C. Proseguendo sempre verso nord, a valle del Santuario della Madonna del Pollino, nel versante lucano del massiccio, spiccano le timpe di Pietrasasso e delle Murge, e, lungo il fiume Sinni, svettano so-litari il monte Alpi, con le cime Pizzo Falcone (m. 1.900) e S. Croce (m. 1.893), e il complesso montuoso Zaccana-La Spina; più a valle, si distendono il costone di con-glomerati calcarei ed arenacei di Episcopia, le forme calanchive di Fardella, la diga di

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Aree protette

Monte Cotugno, la grande pietraia del Sarmento, i dossi argillosi sabbiosi di Noepoli e, verso le spiagge ioniche del metapontino, le mille grotte e i calanchi di San Giorgio Lucano e il Castello di Isabella Morra a Valsinni.Il massiccio del Pollino è formato da rocce calcareo-dolomitiche di origine biogena, mentre la catena dell’Orsomarso mostra rocce di tipo sedimentario più o meno me-tamorfosate2.A nord-est del massiccio del Pollino, le rocce laviche di Timpa delle Murge e di Timpa di Pietrasasso, in territorio di Terranova di Pollino, testimoniano l’attività vulcanica sottomarina, avvenuta nel Terziario in era mesozoica; sono siti di un raro e sugge-stivo “giardino geologico”, dove affiorano masse di lava a cuscino, “pillow lavas”, e verdastre rocce ofioliti.L’inizio della orogenesi che ha portato alla formazione dei rilievi del Pollino risale alla fine del Cretaceo, quando la compressione della Tetide, dovuta all’avvicinamen-to delle due placche continentali, europea ed africana, provocò un corrugamento del territorio e la lentissima formazione dei rilievi.Si sono sommati, poi, altri fattori ambientali che hanno costruito e caratterizzato l’attuale geomorfologia e paesaggio del Parco. L’azione erosiva delle acque ha dato

2 Nota preliminare al Bilancio 2014, a cura del direttore e della struttura tecnica e amministrativa dell’Ente Parco, Rotonda, 11 dicembre 2013.

Fiume Argentino.(Foto di Annibale Formica).

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40WILDERNESS: UN CONCETTO FILOSOFICO DI CONSERVAZIONE INTEGRALE DELLA NATURA

Aree protette

luogo ai fenomeni carsici tipici delle rocce carbonatiche, sia di superficie, come pia-nori e doline, sia ipogei, come le numerose gallerie e profonde voragini che si insi-nuano per chilometri in profondità: un patrimonio sotterraneo di grotte e inghiottitoi come la Grotta di “Piezze ‘i trende” nei pressi di Rotonda, la Grotta di S. Paolo nel territorio di Morano Calabro e l’Abisso del Bifurto a Cerchiara di Calabria, noto per la sua profondità di 683 metri.L’azione erosiva delle acque ha inciso a fondo le rocce dei rilievi, producendo spetta-colari gole e canyon che caratterizzano le aree più suggestive del Parco: le Gole del Raganello, del Lao, della Garavina, del Caldanello.L’ultima glaciazione Wurm, avvenuta tra 100 mila e 12 mila anni fa, ha modellato e caratterizzato le valli e i pianori di alta quota. Testimonianze di forme glaciali relitte caratterizzano, infatti, il nucleo centrale della Catena del Pollino e i monti dell’Orso-marso: i depositi morenici dei Piani del Pollino, i circhi glaciali e i massi erratici, os-servabili nel versante settentrionale del Monte Pollino, di Serra del Prete e di Serra Dolcedorme, nella conca della Fossa del Lupo, nel Piano di Acquafredda, sul Monte La Mula e su Cozzo del Pellegrino.Nel territorio del Parco sono presenti anche importanti testimonianze paleontologi-che; nelle rocce calcaree sono osservabili, infatti, fossili di Rudiste, molluschi vissuti nei fondali della Tetide e scomparsi 65 milioni di anni fa.Nella Valle del Mercure, nel 1979, è stato rinvenuto, in ottimo stato di conservazione, lo scheletro di un grande esemplare di Elephas antiquus italicus; si tratta di un pa-chiderma alto circa 4 metri, vissuto tra 700 mila e 400 mila anni fa, quando l’area del Pollino era interessata da un clima subtropicale.

Le Gole del Raganello.(Foto di Roberto Sinibaldi).

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La tormentata e possente orografia e i notevoli contrasti morfologici, sono deter-minanti nel conferire al clima del massiccio del Pollino una peculiare individualità nell’ambito del meridione d’Italia e nel concorrere alla formazione di più ambienti differenti fra loro.Nei versanti che si affacciano verso il mare si riscontra il clima tipicamente medi-terraneo con inverno mite ed estate calda e siccitosa. La divisione in due versanti determinata dall’estensione del sistema orografico fa si che la fascia ionica sia espo-sta alle influenze africane e, quindi, si riscontrino temperature più elevate e preci-pitazioni brevi ma molto intense, mentre la fascia tirrenica sia soggetta alle correnti occidentali con temperature meno elevate e piogge orografiche molto frequenti. Con l’aumentare dell’altitudine e nelle zone più interne il clima può definirsi montano mediterraneo con inverni più freddi e piovosi ed estati meno calde e con qualche precipitazione.

Gola della Garavina.(Foto di Annibale Formica).

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Piano di Novacco. (Foto di Annibale Formica).

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44WILDERNESS: UN CONCETTO FILOSOFICO DI CONSERVAZIONE INTEGRALE DELLA NATURA

Aree protette

La gran parte del territorio del Parco, partendo dalle quote basse e arrivando fino ad oltre i 2.200 metri, è ricoperto da boschi di Leccio, di Roverella, di Castagno, di Cerro, di Faggio, e da nuclei di Pino loricato (Pinus leucodermis): sono i boschi di Monte Caramola, della Fagosa, di Iannace, di Lagoforano, di Magrizzi, di Magnano, di Pollinello, di Vaccarizzo e la grande foresta che ricopre i Monti dell’Orsomarso.Rara specie di albero di eccezionale valore naturalistico e scientifico è il Pino lori-cato Pinus leucodermis (Antoine 1864), conosciuto, agli inizi dell’Ottocento, solo da pastori e boscaioli. F. Antoine trovò, nel 1864, nei territori dell’ex Jugoslavia dei pini simili a quelli trovati sul Pollino e per essi coniò il nome di Pinus leucodermis. Biagio Longo, nel 1905, riferì dei suoi ritrovamenti, sul Pollino e sui Monti della dorsale del Pellegrino, di Pinus leucodermis Antoine, che per la prima volta chiamò Pino loricato per la peculiarità della corteccia, le cui fessurazioni in grandi placche poligonali la rendono simile alla corazza a squame dei legionari romani, detta appunto lorica.Il Pino loricato, simbolo del Parco, è un albero robusto e maestoso che cresce, sul massiccio del Pollino, generalmente non troppo alto, tozzo e contorto a causa delle condizioni atmosferiche difficili che caratterizzano la maggior parte del suo areale. In condizioni favorevoli, invece, cresce alto e diritto e può raggiungere notevoli di-mensioni, come sono alcuni dei giganti del Monte Palanuda, nella catena dell’Orso-marso, che raggiungono i 38 metri di altezza. Quelli, che vivono a quote più elevate maggiormente esposti all’azione del vento, sviluppano rami a “bandiera” allineati

Corteccia del Pino loricato.(Foto di Annibale Formica).

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nella direzione dominante del vento lungo la quale è minore la sua incidenza. Il po-polamento più esteso si trova nel cuore del Parco, sulle cime sopra i duemila metri e sui versanti ripidi delle Serre Dolcedorme, Crispo, Ciavole, del Prete e del Monte Pollino appena al di sopra del limite del faggio, che occupa i terreni migliori, obbli-gando il Pino loricato a ritirarsi nei luoghi rocciosi più impervi dove tutte le altre spe-cie arboree non crescono per mancanza di humus o comunque in quelle aree dove agiscono altri fattori limitanti, dove invece questa specie riesce a vegetare esten-dendo le sue radici anche nelle fenditure della roccia. A settentrione, il popolamento del Monte Alpi segna il limite nord dell’areale ed è composto da piante maestose e plurisecolari. La Montea, nell’Orsomarso, segna il limite occidentale e meridionale dell’areale della specie in Italia, con piante mature oltre che giovani. I limiti altitudi-nali sono in basso i 530 mt. s.l.m. di Canale Cavaiu (Orsomarso) e in alto i 2.240 mt. s.l.m. dell’anticima nord di Serra Dolcedorme.Di grande valore naturalistico e scientifico sono anche i boschi caratterizzati dall’as-sociazione Faggio-Abete bianco (Abies alba), sul Pollino particolarmente estesi ri-spetto ad altre faggio-abetine dell’Italia meridionale. Nel Parco nazionale del Pollino crescono a Piano Conocchiello, Piano Iannace, Bosco Toscano, Riserva del Rubbio, Cugno Ruggero, Cugno dell’Acero. Quest’associazione può essere considerata cli-max in quanto è in equilibrio stazionario col clima e col terreno; essa, infatti, si re-alizza nelle stazioni che meno hanno subito modificazioni, anche se non è possibile

Pino loricato sulla Serra di Crispo.(Foto di Annibale Formica).

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46WILDERNESS: UN CONCETTO FILOSOFICO DI CONSERVAZIONE INTEGRALE DELLA NATURA

Aree protette

Il Pino loricatodi Giuseppe De Vivo

Funzionario del Parco nazionale del Pollino

Del patrimonio naturale del Massiccio del Pollino, il Pino loricato (Pinus leucodermis) è l’emblema del Parco nazionale. È un albero di notevole valore floristico, una specie endemica inserita in un complesso da considerare nel suo insieme da un punto di vista storico, evoluzionistico e conser-vazionistico. Gli aggruppamenti che lo ospitano rappresentano “il rifugio di un importantissimo elemento balcanico relitto che si trova in questo unico punto dell’Italia meridionale a testimonian-za di una ben più ampia distribuzione durante le alterne vicende determinate dalle glaciazioni quaternarie”.È qualificato come un “paleoendemita”, categoria naturalistica indicante entità tassonomiche, che risultano limitate ad aree più o meno ristrette e che, in particolare, hanno praticamente ultimato il loro cammino evolutivo. La straordinaria vitalità che lo ha condotto ai nostri giorni deriva vero-similmente dall’accentuata combinazione di caratteristiche botaniche particolari e al tempo stesso preziose in rapporto all’habitat occupato. È considerata, infatti, una specie eliofila (vegeta molto bene alla luce diretta del sole) e xerofila (grazie a particolari adattamenti fisiologici e/o morfologici, riesce a tollerare condizioni di siccità prolungata o terreni fisiologicamente secchi) ed è inoltre una pianta pioniera e rupicola (tende ad insediarsi in un dato ambiente e riesce a vivere anche su pendii impervi e su pareti rocciose), peculiarità che gli consentono di lussureggiare in aree poco ospitali alle altre specie concorrenti, quali ad esempio il Faggio.È un albero robusto, per molti aspetti affascinante, che cresce non troppo alto, tozzo e contorto a causa delle condizioni climatiche ed ambientali che si trova a fronteggiare. Se trova condizioni favorevoli cresce alto e diritto e può raggiungere notevoli dimensioni, come nel caso dei giganti del Palanuda, che raggiungono i 38 metri di altezza.La chioma non è molto densa ed è di colore verde scuro e di forma ovale. Gli esemplari che vivono più in alto e sono esposti al vento sviluppano i loro rami a “bandiera”, cioè nella direzione del vento dominante per offrire meno resistenza ed a volte, alcuni rami, per non uscire dalla linea del vento, si accrescono verso il basso. La corteccia è inconfondibile, essendo divisa in grandi placche trape-zoidali di colore grigio cenere ricoperte da scagliette lucenti. Gli aghi sono riuniti in fascetti di due, rigidi e pungenti, di colore verde scuro.Conifera ascrivibile al Cenozoico, ha attraversato decine di milioni di anni in un assoluto anonimato naturalistico che è durato fino al XIX secolo quando studi condotti da illustri botanici hanno rinve-nuto esemplari di Pino loricato sia in Grecia, sul Monte Olimpo, sia in Italia, sul Pollino, ipotizzando si trattasse di due specie distinte e separate: l’una, quella della Grecia, ascrivibile a Pinus heldreichii, l’altra, quella del Pollino, a Pinus leucodermis.Solo nel 1905 Biagio Longo, insigne cattedratico calabrese, descrivendo i suoi ritrovamenti sul Pol-lino e sui Monti della dorsale del Pellegrino, li riferisce al Pinus leucodermis Antoine (1864) uguali al Pinus heldreichii Christ (1863) e per la prima volta lo chiama Pino loricato per la peculiarità della corteccia, le cui fessurazioni in grandi placche poligonali la rendono simile alla corazza a squame dei legionari romani, detta appunto lorica.Nel tempo si è visto che le due specie sono talmente affini da suggerire si tratti della stessa entità, sebbene alcuni studiosi ritengono che ci sarebbero delle differenze da giustificare se non due specie separate, almeno due sottospecie o varietà nell’ambito di Pinus heldreichii.Diversi studi di biologia molecolare pubblicati negli ultimi anni dimostrano che le popolazioni ita-liane e quelle greche appartengano alla stessa linea genetica e le divergenze genetiche tra le popo-lazioni dell’aereale del Parco nazionale del Pollino sono paragonabili a quelle esistenti tra queste e quelle balcaniche, quindi il Pino dei Balcani e quello del Pollino possono considerarsi come un’unica specie con popolazioni che si sono evolute separatamente.

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Scheda

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Aree protette

Per quanto riguarda la dislocazione, il Pino loricato fa parte di un esiguo contingente di specie ad areale balcanico con una ridotta disgiunzione nella penisola italiana, nel Parco nazionale del Pollino.Studi condotti dall’Ente Parco nel corso del 2013, nell’ambito della Direttiva Biodiversità promossa dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, hanno portato a definire comples-sivamente l’areale di distribuzione nel territorio del Parco pari a circa 3.000 ettari di superficie, fram-mentato in quattro distinti gruppi naturali di vegetazione: due a distribuzione appenninica (Gruppo del Pollino e Monte Alpi-Spina-Zàccana) e due a dislocazione tendenzialmente costiera (Palanuda, Pellegrino, Montea):Il primo gruppo segna il limite settentrionale (Monte Alpi di Castelsaraceno) dell’areale della specie in Italia. Quello della Montea costituisce il confine meridionale (Monte Cannitello) e occidentale (Monte La Caccia). Quello del Pollino il limite orientale (Timpa di San Lorenzo).Con una popolazione complessiva, pertanto, di poche migliaia di ettari, il Pino loricato risulta essere un albero tra i più rari in Italia e nel Mondo, che il Parco nazionale del Pollino conserva e tutela.

Il progetto di sistema “La costituzione della rete dei boschi vetusti dei Parchi nazionali dell’Appennino meridionale”

di Aldo SchettinoFunzionario del Parco nazionale del Pollino

Tra i progetti proposti dal Parco nazionale del Pollino, ai sensi della Direttiva biodiversità del MATTM del 2012 e del 2013, uno dei più significativi e importanti per la conservazione della biodi-versità è “La costituzione della rete dei boschi vetusti dei Parchi nazionali dell’Appennino meridionale”.Per tale progetto di “sistema” è stato costituito un partenariato tra i cinque Parchi nazionali meridio-nali del Cilento, dell’Appennino Lucano, del Pollino, della Sila e dell’Aspromonte. Capofila del progetto è il Parco nazionale del Pollino.L’obiettivo è quello di istituire una rete di monitoraggio per gli ecosistemi forestali dei Parchi nazio-nali del settore tirrenico dell’Italia meridionale.Per la conservazione della biodiversità l’importanza dei boschi vetusti risiede nel fatto che essi sono degli hot spot di biodiversità. Sono veri e propri scrigni, in cui è contenuta una straordinaria ricchez-za biologica sconosciuta alla maggior parte delle foreste “coltivate”. Il concetto di bosco vetusto è un tema in discussione a livello nazionale e internazionale. Tra le diverse definizioni quella che appare idonea al contesto dei Parchi nazionali dell’Appennino meri-dionale è:“Foreste in cui il disturbo antropico sia assente o trascurabile, caratterizzate da: una dinamica na-turale che determina la presenza, al loro interno, di tutte le fasi di rigenerazione, compresa quella senescente. Tale fase è caratterizzata da individui di notevoli dimensioni ed età; presenza di legno morto (alberi morti in piedi, rami e alberi caduti a terra); una flora coerente con il contesto biogeo-grafico caratterizzata dalla presenza di specie altamente specializzate che beneficiano del basso gra-do di disturbo e di specie legate ai microhabitat determinati dall’eterogeneità strutturale” (Centro di Ricerca Interuniversitario “Biodiversità, Fitosociologia ed Ecologia del Paesaggio” 2010).In attuazione della Strategia per la Biodiversità (2010) il Ministero dell’ambiente ha pubblicato, quale contributo tematico, “Le foreste vetuste in Italia”: uno studio preliminare in cui risultano selezionati, in tutti i Parchi nazionali italiani, 68 siti. Per i cinque Parchi nazionali dell’Appennino meridionale, costituenti la rete, erano stati segnali 48 siti, di cui 21 selezionati e cartografati. A conclusione della prima fase del progetto di costituzione della rete dei boschi vetusti dell’Appenni-no meridionale i siti selezionati sono raddoppiati. È un primo risultato di straordinaria importanza per le politiche di conservazione dei Parchi nazionali, in generale, e del Parco nazionale del Pollino, capofila del progetto.

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48WILDERNESS: UN CONCETTO FILOSOFICO DI CONSERVAZIONE INTEGRALE DELLA NATURA

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considerare del tutto assente l’azione dell’uomo nel favorire direttamente o indiret-tamente locali espansioni secondarie di Abete bianco.Ogni esemplare plurisecolare di Pino loricato è un piccolo ecosistema che ospita vari insetti, tra i quali il rarissimo Buprestide splendente (Buprestis splendens) conside-rato il Coleottero più raro d’Europa.L’articolazione orografica molto varia e la ricchezza di formazioni vegetali e di ac-que, che costituiscono preziosi habitat, è alla base della diversità delle popolazioni animali che vivono nel massiccio. In alcuni torrenti del Parco, con acque di sorgente pulite e ben ossigenate, vivono il Gambero di fiume Austropotamobius pallipes e il Granchio di fiume Potamon fluviatile. Molto interessanti sono le popolazioni del cro-staceo Chirocephalus ruffoi, localizzato nelle pozze più alte del Massiccio. Si tratta di crostacei fragili e delicati all’apparenza, confinati in habitat puntiformi dei monti

Cugno Cumone, associazione Abete Faggio.(Foto di Annibale Formica).

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dell’Appennino, che ne costituiscono l’esclusivo micro areale italiano. Le zone umide sono frequentate da numerosi Anfibi come l’Ululone dal ventre giallo Bombina pa-chypus e la Salamandrina dagli occhiali Salamandrina terdigitata.La specie più maestosa dell’avifauna del Pollino è l’Aquila reale Aquila chrysaetos. È il più grande rapace presente in Italia; ha un apertura alare che può superare i due metri e una lunghezza dalla punta del becco all’estremità della coda di circa 90 cm. Tra gli avvoltoi è presente il Capovaccaio, divenuto ormai molto raro per le mutate condizioni ambientali. Ritorna dall’Africa nei mesi di aprile-maggio e frequenta l’a-rea sud-est del Parco nazionale del Pollino.Tra i mammiferi presenti sul territorio del Parco, la specie che merita più attenzione è il Capriolo di Orsomarso Capreolus capreolus italicus, molto importante dal punto di vi-sta genetico perché è forse una delle ultime popolazioni della sottospecie Appenninica.

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50WILDERNESS: UN CONCETTO FILOSOFICO DI CONSERVAZIONE INTEGRALE DELLA NATURA

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Altra specie, da citare, presente con una popolazione ridotta e molto frammentata, in alcuni corsi d’acqua del Parco, è la Lontra Lutra lutra.Il Pollino, grazie alla morfologia molto accidentata del suo territorio, è la zona di maggior interesse di tutto l’Appennino meridionale per la conservazione del Lupo Canis lupus, presente stabilmente nel territorio del Parco.Il Parco nazionale del Pollino delle vette oltre i 2.200 m.s.l.m, delle rocce dolomiti-che, delle rocce di origine magmatica, dei morfotipi di origine glaciale, delle gole, delle grotte, del pino loricato, dell’associazione abete-faggio, degli stretti rapporti tra la geomorfologia e la geobotanica, del lupo, del capriolo, dell’aquila reale e della lontra è anche la terra del Bos primigenius della Grotta del Romito e dell’Elephas antiquus della Valle del Mercure, delle civiltà lucana, magno-greca, bizantina, lon-gobarda, normanna, delle minoranze etnico-linguistiche arbëresh. È luogo di viaggio e di sosta, dove si può fruire di varietà, di originalità e di rarità di una natura integra ed esuberante.

Riferimenti bibliografici• Il Piano per il Parco Nazionale del Pollino (a cura dell’Ufficio di Piano dell’Ente Parco), approvato dal Consiglio

Direttivo con Deliberazione n. 32 del 17 maggio 2011.

• Siamo tutti pastori. La Valle del Sarmento e I piani del Pollino. Il Viaggio, Annibale Formica, articolo pubblicato sul Quotidiano della Basilicata del 7 giugno 2009.

• Pollino Parco nazionale. Innumerevoli diversità naturali e culturali, Annibale Formica, in Basilicata Regione No-tizie, n.99, 2001.

• I Piani del Pollino, Annibale Formica, Ermes, Potenza, 1995.

• “l Parco o l’abisso, Annibale Formica, in Airone, n. 149, settembre 1993.

• Vecchia Calabria, Norman Douglass, Giunti Ed., Firenze 1992.

• Uomini e Parchi, V. Giacomini e V. Romani, F. Angeli Ed., Milano, 1982.

• Progetto Pollino, Gruppo Interdisciplinare di Studio per la creazione del Parco del Pollino, Regione Basilicata, 1981.

• Risorse del territorio e politica di piano, Guido Ferrara (a cura di), Marsilio Editori, Padova, 1976.

Grotta del Romito (Cosenza).Bos Primigenius.(Foto di Annibale Formica).