Nero su Bianco 54 - marzo 2015

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Editoriale Il deserto interiore di Francesca Grosso Pag. 3 L‟angolo del Don Il distacco nella vita spirituale di Don Roberto Bianchini Pag. 4 Parole Benedette Verso la Pasqua di Fabio Fiorino Pag. 5 Cappellania Distacchi e altri addii di Francesco Giardini, Francesco La Commare, Rossella Tinti Pag. 6 Riscoprire il “desiderio” di Dio di Veronica Navobi Porrello Pag. 7 La riscoperta della realtà nell‟arte italiana di Luca Mansueto Pag. 8 Sulle orme di Sant‟Ignazio di Decoroso Verrengia Pag. 9 Quarant‟ore alla sua presenza di Francesca Grosso Pag. 10 Esperienze Siena, le SS. Particole e l‟Anno Eucaristico di Alice Pappelli Pag. 11 Condividere la musica, una passione di gruppo di Martina Medori, Alessandro Turci, Marta Marini Pag. 12 CO.MI.GI. 2015: Formazione per la missione di Alessia Ruggeri Pag. 13 Fotografando di Angelo Donzello Pagg. 14-15

Personaggio Nino, l‟atleta di Dio di Cecilia Aprile Pag. 16 Riflettendo Camminatori o pantofolai? di Maria Grazia Virone Pag. 17 “E vissero felici e contenti..” di Rosaria Paciello Pag. 18 Bambini raminghi di Mariella Di Pumpo Pag. 19 “Nihil amori Christi Praeponere” di Claudio Mullaliu Pag. 20 Sergio Mattarella: il presidente della speranza di Giuseppe Vazzana Pag. 21 Consigli di lettura “Le imprevedibili conseguenze di una banale ca-duta..” di Alessia Giannola Pag. 22 Ciak si gira Amici per caso di Mickey Scarcella Pag. 23 Arte a parte San Francesco: un disegno popolato di segni di Francesco Mori Pag. 24 Tradizioni Arancini o arancine? di Roberta Pipitone Pag. 25 Passatempo Cruciverba di Filippo Bardelli Pag. 26 Bacheca di Angelo Donzello Pag. 27

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In questo numero vi augurano buona lettura...

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Tardi ti amai […]. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi get-tavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te” (Le confessioni, 10, 27-38). Quando il nostro ego non desidera altro che imporsi alla realtà che vive e di indirizzarla, ad ogni costo, verso i suoi desideri profondi, la nostra smania di appagarli inizia una ricerca spa-smodica verso l‟esterno. Grazie al nostro cammino di fede, abbiamo un fuoco di speranza più ardente che ci rende meno arrendevoli di fronte a ciò che vorremmo e che la vita sembra

negarci: preghiamo, chiediamo, ci adoperiamo per fare umanamente tutto il possibile affinchè la nostra per-cezione di Dio non diventi mera pretesa di vederci esauditi. Ma spesso la sete sembra non abbandonarci e la fiducia lascia spazio alla frustrazione: iniziamo quasi a chiederci perché Dio sembra proprio non ascoltarci, ritrovandoci a tentare di decifrare le sue aspettative su di noi. Proprio quando iniziamo a sostituirci a Dio con i nostri ragionamenti scopriamo che questi stabiliscono tempi, modi e luoghi per appagare quella sete, disperdendo la nostra e la sua vera forma: quell‟io, credendo con convinzione di padroneggiarsi, proietta la sua mancanza all‟esterno, attribuendola all‟involucro e non alla sostanza di ciò che incontra. Quella volontà di ottenere amore, amicizia, realizzazione, si tramuta in oggetto principale della mente: pensiero ossessivo che scava dentro di noi e senza il quale sembra di non poter fare più a meno. Lascia inquietudine, tristezza, debolezza, ma sembra abbia donato un nuovo sapore a quella vita che era ormai stanca di aspettare. Ogni giorno ci lasciamo autoconvincere, logorare, continuando ad invocare Dio perché ci indirizzi e ci riveli se ciò che viviamo è la strada giusta, mentre ci ritroviamo già a batterla con decisione. E in fondo, dentro di noi, ad ogni passo, ciò che avvertiamo è piuttosto la voce della nostra mente, la solitudine dell‟arido raziocinio. In tante Quaresime ci ritroviamo in queste strettoie che ci attanagliano col filo del nostro stesso pensiero, spingendoci oltre, pur di non fermarci, e iniettandoci un veleno di tristezza costante. Abbiamo paura di fer-marci davvero, perché questo significherebbe tornare a perdere anche la parvenza dell‟esaudimento; ad esse-re soli con le proprie mancanze; a rompere quell‟illusione e a scoprire amaramente di esserne stati i soli co-struttori, non aiutati né da Dio né dalla realtà. La tentazione che gioca sulle nostre debolezze vuole farci evitare il trapasso nel deserto e credere di poterne utilizzare la sabbia come fondamento per una casa resi-stente tanto quella sulla roccia. Il deserto è quel luogo necessario alla nostra anima in cui, sprofondando nella sabbia ad ogni faticoso passo, impariamo a discernere quale desi-derio del cuore ha dirottato la sua ricerca verso la cieca imposizione della nostra volontà. A una settima-na dalla gioia del mattino pasquale, benediciamo questo tempo di Qua-resima e tutte le prove che ci ha posto dinanzi, perché ci conduce ad accettare l‟idea del deserto, a vivere spogliandoci, nell‟intimo, di qualcosa di noi per lasciare spazio alla voce di Dio, insegnandoci il vero abbandono dei figli quando pronunciamo “sia fatta la tua volontà”. ■

IL DESERTO INTERIORE

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IL DISTACCO NELLA

VITA SPIRITUALE

Come tutti i valori cristiani quel-lo del distacco si presenta sotto una luce paradossale. Il cristiano deve e vuole vivere tutto con in-tensità: si impegna, lotta, soffre, gioisce così che il suo ideale è quello di una vita in pienezza.

L‟amore che è la cifra della fede cristiana è dinami-smo trasformante e non certo fredda immobilità. Dove allora si situa lo spazio per l‟atteggiamento spirituale del distacco? La base di esso è nella visione dell‟uomo e della sua relazione con Dio. Solo Dio è un assoluto e l‟uomo qualcosa che si concepisce in relazione prima di tut-to col suo creatore, e poi coi suoi simili. Tutte le realtà create sono relative e attraversate dal male nell‟una o nell‟altra forma. Perciò l‟uomo non può risolversi nel-la relazione con esse. Anzi, quando le assolutizza ne re-sta deluso e il suo desiderio di pienezza e felicità rimane frustrato. Dunque, nel di-stacco si crea uno spazio di libertà dove Dio interviene e l‟uomo si decentra da se stes-so e dalle realtà create. La tradizione spirituale cri-stiana suggerisce che l‟atteggiamento del distacco si esercita su tre ambiti prin-cipali: distacco dalle cose, dalle creature e da se stessi. Il distacco dalle cose si basa sulla persuasione che l‟uomo non vive di solo pane, che la sua ansia esistenziale non si placa col possesso delle cose. La terapia per costruire in noi l‟atteggiamento spirituale corretto è quella di evitare l‟accumulo di ciò che non serve, di essere pronti alla condivisione, di praticare l‟elemosina, di non rattri-starsi se le cose vengono meno per qualsiasi motivo.

Passo ulteriore è il distacco dalle creature. In que-sto ambito si riorientano tutte le relazioni. Ogni le-game può diventare malato o idolatrico, può allonta-nare da Dio anziché condurre a lui. Spesso rimania-mo delusi nelle relazioni perché ci aspettiamo trop-po o pretendiamo da esse quello che non è possibile. La terapia spirituale che facilita il distacco dalle creature consiste principalmente nel considerare gli altri per quello che sono accettandoli ed avendo misericordia: i loro limiti sono lo specchio dei nostri. I maestri della vita spirituale ci insegnano che il di-stacco più arduo da conquistare è quello da se stes-si, dalla volontà propria. Null‟altro infatti come il nostro ego ci tiene in schiavitù ed è difficile da sconfiggere a motivo dell‟orgoglio. La terapia per crescere in tale ambito della vita spirituale è acco-

gliere quelli che Benedetto chiama gli obbrobria, cioè le umiliazioni che la vita ci of-fre senza andarle a cercare e che depotenziano il nostro ego, ci ridimensionano e mortificano la nostra pre-sunzione. Concludendo dobbiamo dire che il distacco non è il pun-to di arrivo del cammino spi-rituale, quanto piuttosto un suo strumento. Il punto a cui deve approdare è piutto-sto l‟abbandono in Dio. Man mano che progrediamo nella vita spirituale il distacco sarà principalmente dal no-stro progetto per accogliere quello di Dio e lasciarci con-durre davvero da lui nella vita, indifferenti al fatto se si stia realizzando o no quel-lo che volevamo in partenza. In questa fase rinunciamo non tanto a cambiare il mon-do, ma ci persuadiamo che

per cambiarlo davvero possiamo solo cercare di cambiare noi stessi. ■

“Quando per grazia di Cristo, ti sarai abituato a recidere la tua volontà non vorrai più che le cose avvengano secondo la tua volontà, ma vorrai ciò che accade e così sarai in pace con tutti” (Doroteo di Gaza).

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5 Per approfondire: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2015/index.html#angelus

VERSO LA PASQUA

Camminiamo nel mondo come Gesù e facciamo di tutta la nostra esistenza un segno del suo amore per i no-stri fratelli, specialmente i più deboli e i più poveri. Così lo rendiamo “incontrabile” per tante persone che tro-viamo sul nostro cammino. Se noi siamo testimoni di questo Cristo vivo, tante gente incontrerà Gesù in noi, nella nostra testimonianza. Ma il Signore si sente veramente a casa nella mia vita? Gli permettiamo di fare “pulizia” nel nostro cuore e di scacciare gli idoli, cioè quegli atteggiamenti di cupidigia, gelosia, mondanità, invidia, odio, quell‟abitudine di chiacchierare e “spellare” gli altri? Ognuno può rispondere a sé stesso, in silen-zio, nel suo cuore. Gesù farà pulizia con tenerezza, con misericordia, con amore. La misericordia è il suo mo-do di fare pulizia. Apriamogli la porta perché faccia un po‟ di pulizia. (8 mar 2015)

La consegna per i discepoli e per noi è questa: “Ascoltatelo!”. Ascoltate Gesù. E‟ Lui il Salvatore: seguitelo. Ascoltare Cristo, infatti, comporta assumere la logica del suo mistero pasquale, mettersi in cammino con Lui per fare della propria esistenza un dono di amore agli altri, in docile obbedienza alla volontà di Dio, con un atteggiamento di distacco dalle cose mondane e di interiore libertà. Occorre, in altre parole, essere pronti a “perdere la propria vita” (cfr Mc 8,35), donandola affinché tutti gli uomini siano salvati: così ci incontreremo nella felicità eterna. Il cammino di Gesù sempre ci porta alla felicità, non dimenticatelo! Ci sarà in mezzo sem-pre una croce, delle prove ma alla fine sempre ci porta alla felicità. Gesù non ci inganna, ci ha promesso la felicità e ce la darà se andiamo sulle sue strade. (1 mar 2015)

Se un cristiano vuole conoscere la sua identità, non può starse-ne comodo in poltrona a sfogliare un libro perché al mondo non c'è catalogo con dentro l'immagine di Dio. E nemmeno può dise-gnarsi un Dio di comodo obbedendo a regole che con Dio non hanno niente a che fare. L'immagine di Dio, la trovo certamente non sul computer, non nelle enciclopedie. Per trovarla, e quindi capire la mia identità, si può fare solo in un modo, soltanto met-tendosi in cammino. I cristiani seduti, i cristiani quieti non cono-sceranno il volto di Dio: non lo conoscono. Dicono: "Dio è così, così...", ma non lo conoscono. Per camminare è necessaria quella inquietudine che lo stesso Dio ha messo nel nostro cuore e che ti porta avanti a cercarlo. (10 feb 2014) ■

Il deserto è il luogo dove si può ascoltare la voce di Dio e la voce del tentatore. Nel rumo-re, nella confusione questo non si può fare; si sentono solo le voci superficiali. Invece nel deserto possiamo scendere in profondità, dove si gioca veramente il nostro destino, la vita o la morte. E come sentiamo la voce di Dio? La sentiamo nella sua Parola. Per questo è impor-tante conoscere le Scritture, perché altrimenti non sappiamo rispondere alle insidie del mali-gno. E qui vorrei ritornare sul mio consiglio: ogni giorno leggere il Vangelo, meditarlo, un po-chettino, dieci minuti; e portarlo anche sempre con noi: in tasca, nella borsa… Ma tenere il Vangelo a portata di mano. (22 feb 2015)

Estratti dai pensieri di Papa Francesco

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6 Abbiamo imparato […] che perdere è il prezzo che paghiamo per vivere ed è anche la fonte di gran parte della nostra crescita.

I DISTACCHI E ALTRI ADDII

sono passati tre anni da quando Rosanna Marchionni ci invitò a partecipare agli incontri sulle emozioni che teneva a voi ra-gazzi della cappella universitaria, convocandoci scherzosamen-te come i “ricchi e poveri”, nome che ci identifica tuttora. Non sapevamo allora esattamente cosa questi incontri ci a-vrebbero portato ma non avremmo mai immaginato che sareb-bero stati così coinvolgenti, formativi e nutrienti. Il primo an-

no le emozioni: rabbia, tristezza, paura e gioia sono come onde; nascono, crescono, si sviluppano e finiscono; e per uscirne si sentono, si riconoscono. Si dà loro un nome sapendo che non si padroneggiano, ma che, se sappiamo addomesticarle, saranno la bussola indispensabile per le nostre relazioni. E poi l‟anno successivo “vivere con l‟Altro” sapendo che per individuarsi è necessario un Tu e che il bisogno di relazione è una “ fame “ che abbiamo fin dalla nascita. Durante gli incontri abbiamo circumnavigato la rela-zione prendendone in considerazione i tempi, vedendola come una danza o come costituita da stagioni, ri-cordandoci che “c‟è un tempo per nascere e uno per morire ... uno per sorridere e uno …”. Infine quest‟anno “I Distacchi”… gli affetti, le illusioni, i legami, i sogni impossibili a cui tutti noi dobbiamo rinunciare per crescere. Abbiamo imparato che nel corso delle nostre vite lasciamo, veniamo lasciati e lascia-mo andare molto di quello che amiamo; che perdere è il prezzo che paghiamo per vivere ed è anche la fonte di gran parte della nostra crescita. Un viaggio appassionante, dunque, con la consapevolezza sempre presente che ogni persona è ok, ogni perso-na può pensare e autodeterminarsi e che le decisioni prese possono essere modificate. Ma noi tre ricchi e poveri quanta strada di questo lungo viaggio abbiamo fatto in vostra compagnia? Se mi-surata in intensità, la risposta è: tanta, veramente tanta. Soprattutto in relazione alla costruzione della no-stra persona. Non vi immaginate quanta linfa si riceva dall‟interazione con le vostre individualità e, in manie-ra diversa, anche con il vostro gruppo. Quasi mai abbiamo percepito la differenza generazionale; ci siamo sentiti come voi e accanto a voi. Abbiamo accolto la profondità dei vostri pensieri e l‟abbiamo utilizzata per massaggiare le nostre parti più rigide, più sclerotizzate. Dal canto suo Rosanna, con il suo fluttuare fra profondità di contenuti e leggerezza nel contatto, è stata capace di estrarre da ognu-no le parti più nascoste, a volte accettando anche di farvi sentire un po‟ di dolore. Ma mai lasciandovi soli. Sempre con un sensibile pren-dersi cura di ognuno. Per noi, lo ribadiamo, sono stati tre anni bel-lissimi e se la relazione è un filo fragile di cui aver cura, il filo che ci lega a voi ragazzi ci sembra preziosissimo. Grazie a tutti. Rosanna aggiunge un affettuoso abbraccio caldomorbido a tutti. ■

Lettera aperta ai ragazzi della Cappella Universitaria

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RISCOPRIRE IL “DESIDERIO” DI DIO

“Tempo in cui vigilare con gran fervore sulla purezza della propria vita, attendendo gioiosi la Santa Pasqua”(San Benedetto).

Quando abbiamo l‟opportunità di fermarci e staccare la spina dalla frenesia quotidiana, di tuffarci nella semplicità di una giornata par-ticolare e siamo già in pieno perio-do quaresimale: ecco, ci regaliamo un prezioso momento in cui l‟anima

oltrepassa la logica del nostro vivere per guardarci dentro, condividere sensazioni ed emozioni e scam-biarci un sorriso. È sabato 28 febbraio, suona la sveglia, tutto di cor-sa e come una saetta arrivo in ritardo all‟appuntamento. Ci riuniamo, come siamo soliti fare, in Piazza Gramsci alle ore 8:30 del mattino. Dopo aver atteso l‟arrivo di tutti, si parte verso la nostra meta. Giunti a Firenze, imbocchiamo via delle Porte Sante e, con gli occhi puntati oltre il finestri-no, scorgo un‟incantevole scali-nata e in alto, impo-nente e maestosa, l‟Abbazia di San Mi-niato al Monte. É questa uno dei ca-polavori dell‟ archi-tettura romanica fiorentina che una piccola comunità di monaci benedettini ha il privilegio di cu-stodire come antico presidio di bellezza e speranza per Firen-ze. Ad attenderci, in veste di guida spi-rituale del nostro ritiro di quaresima, c‟è Padre Ber-nardo, un giovane monaco benedettino. Sono subito evidenti la sua grande simpatia e genui-nità. Sin dalle prime parole ci invita, quali ospiti del mo-nastero, a recuperare la grande ricchezza che com-porta l‟essere rinati in Cristo risorto. “Riscoprirsi strumenti che ci riportano al primato di Dio, attraverso la qualificazione del desiderio uma-no come desiderio di Dio, è un esito profondamente

quaresimale di purificazione del cuore. Siamo cer-catori dell‟Assoluto e, a piccoli passi, andiamo in-certi alla scoperta di Dio.” Questi i punti salienti della profonda catechesi di Padre Bernardo sul senso della Quaresima, “tempo in cui vigilare con gran fervore sulla purezza della propria vita, attendendo gioiosi la Santa Pasqua”, come scriveva San Benedetto. La serenità toccata con mano è stata la mia perce-zione di questa soleggiata giornata di febbraio; un senso di gratitudine verso tanta saggezza espressa in parole di vita e, dulcis in fundo, la consapevolez-za di poter proseguire con la giusta carica questo cammino di penitenza quaresimale. Dopo un pranzo frugale sotto il sole, aspettiamo Padre Bernardo per una visita guidata dell‟Abbazia. Della sua accurata descrizione, due cose in partico-

lare mi colpiscono. Nella navata centra-le spicca ai miei oc-chi il bellissimo Zodi-aco sul pavimento, motivo di origine pa-gana che qui acqui-sta una valenza sim-bolica cristiana, con la suddivisione in 12 segni allusivi ai dodi-ci apostoli. Usciti, sul gradino di una delle grandi por-te laterali, troviamo la scritta “Haec est Porta Coeli”: questa è la “porta del cielo”. Meravigliosa davve-

ro. Siamo al termine del ritiro dopo un momento dedi-cato alla condivisione di sensazioni e nostre doman-de curiose e la consueta foto di gruppo. Guardando il sole che tramonta dietro le bellezze artistiche fio-rentine, il pensiero va alla stupenda giornata appena trascorsa, alla nuova avventura interiore vissuta insieme e alla speranza che ve ne saranno tante al-tre ancora. ■

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Sarebbe arduo ripercorrere i tre appuntamenti delle conferenze serali svolte da Francesco Mori, presso la nostra Cappella Universi-taria, dedicati a Duccio di Buonin-segna, Giotto e Piero della France-sca. Per tale ragione, cercherò di

tracciare una brevissima considerazione circa un aspetto comune ai tre protagonisti: la riappropria-zione e la rappresentazione dello spazio. Per Cimabue e per i pittori medievali, la parete da affrescare era una superficie e la figurazione che la riempiva era calata in uno spa-zio bidimensiona-le. Così la decora-zione ai margini era come quella di un codice mi-niato, con motivi vegetali o con na-stri esornativi. Invece, gli affre-schi giotteschi della Basilica Su-periore di Assisi sono concepiti come fossero in-c o r n i c i a t i dall‟architettura stessa della chie-sa, gli oggetti e figure sono rap-presentate come ci appaiono nella loro tridimensio-nalità; una volon-tà di illusionismo p r o s p e t t i c o -architettonico evidente quando la finta architettu-ra dipinta va a congiungersi con quella reale. Le scatole architettoniche „costruite‟ pittoricamen-te da Giotto, coerenti e razionali nella concezione

dello spazio, possono essere considerate, come no-tato dall‟illustre storico dell‟arte Luciano Bellosi, «non soltanto un mezzo per creare un vano spazio-so, ma sono anche una traduzione dell‟architettura italiana a lui contemporanea, a volte da veri e propri ritratti di edifici esistenti». Francesco Mori, con la proiezione di splendidi con-fronti delle opere pittoriche di Cimabue e Duccio, ha messo in evidenza la cesura tra questi e Giotto la cui pittura potrà apparire più povera, per l‟assenza dei bagliori lucenti dei fondi oro o delle striature metalliche presenti nei panneggi, abbandonando de-

finitivamente la tradizione figurati-va bizantina e i suoi stereotipi for-mali. La riscoperta della realtà da parte di Giotto era una no-vità dirompente per i pittori a lui contemporane i , un‟innovazione che Francesco Mori ha paragonato ad un „salto quantico‟ che ritroviamo ri-proposto nel Rina-scimento col sor-gere delle teorie della prospettiva che implicavano una svolta antro-pologica e simboli-ca senza preceden-ti. Piero della Fran-cesca rappresenta uno dei più alti interpreti di tale rinnovamento sia con le sue opere

pittoriche, come la Flagellazione di Cristo, sia con i suoi trattati matematici e geometrici, De prospecti-va pingendi e De quinque corporibus regularibus. ■

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LA RISCOPERTA DELLA REALTÀ

NELL’ARTE ITALIANA

«Giotto rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che avessi mai più nessuno» (Cennino Cennini).

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SULLE ORME DI SANT’IGNAZIO

Per saperne di più: www.gesuiti.it, Ad maiorem Dei gloriam

Un'iniziativa per approfondire la vita e la spiritualità di santi che hanno abitato la nostra terra e co-noscere da vicino uomini e donne che li hanno seguiti. Pensando a Papa Francesco, primo Papa gesui-ta della storia, iniziamo con S. I-

gnazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Ge-sù. L‟appuntamento è per il 14-15 marzo, Roma. La nostra visita ha inizio dai Fori imperiali. Con P. Jean Paul e P. Leonardo facciamo un percorso sulla Ro-ma paleocristiana. I Gesuiti li riconosci subito, par-lano di arte, storia, simboli, personaggi, ma in fondo stanno sempre e solo parlan-do di Gesù. C‟è una domanda a cui ogni riferimento condu-ce: chi è Gesù per te? Tu da che parte stai? P. Jean-Paul attraverso la storia introduce temi di spiritualità: il limite, il confine tra noi e gli altri, il cammino della fede e il di-scernimento degli spiriti, ov-vero la battaglia quotidiana che viviamo tra una voce che sempre ci accusa dei nostri fallimenti (diavolo, divisore) e quella che invece ci parla di speranza, gioia. Il nome di questa voce è paraclito, pos-siamo riconoscerla perché ci consola e ci lascia nella grazia di Dio, a differenza dell‟accusatore che ci lascia desolati e divisi dalla grazia. Visitiamo poi l‟antica basilica dei ss. Cosma e Damiano, nel pomeriggio la chiesa di S. Ignazio. Lì ci aspettano la „pietra viva‟ spagnola Beatriz, un suo collaboratore e il gesuita in forma-zione Borja. Pietre vive è un gruppo di volontari lai-ci di spiritualità ignaziana, che offre un servizio di guida in diverse chiese d‟Italia e d‟Europa, con lo scopo di far conoscere da un punto di vista cristia-

no le opere d'arte presenti nelle chiese. Visitando la chiesa di S. Ignazio rimaniamo stupiti dai giochi e dalle logiche di prospettiva. Della chiesa del Gesù Beatriz ci illustra lo splendore del barocco, la volta con il trionfo del nome di Gesù e la macchina baroc-ca ancora funzionante con i meccanismi originali del 1600. Prima di concludere la giornata approfon-diamo con P. Jean-Paul il tema della desolazione e consolazione spirituale e siamo invitati a condivide-re un momento di desolazione e consolazione perso-nale della giornata. È un momento intenso e arric-chente. La domenica visitiamo le stanzette di s. I-gnazio con la guida di P. Claudio Raiola S.I. Qui S. Ignazio ha scritto le costituzioni, ha dettato la sua

biografia, ha diretto la Com-pagnia. Nella stanza dove S. Ignazio è morto i gesuiti han-no creato una cappella. Lì P. Raiola ci racconta la vita di S. Ignazio e si sofferma sugli esercizi spirituali. Ci introdu-ce alla preghiera ignaziana fondata sulla meditazione della parola di Dio, sulla ne-cessità di darsi un tempo e un luogo per pregare, sulla com-posizione di luogo, sul sentire e gustare la parola, terminan-do con un dialogo con Gesù come tra due amici. Ci invita a distinguere tra bisogni e desideri, a realizzare piena-mente le nostre vite, cercan-do ciò che oltre a soddisfare i nostri sensi e la nostra men-te soprattutto soddisfi il no-stro cuore. Poi un momento

di preghiera personale su un brano del vangelo dove Gesù ci chiede: voi che cosa cercate? Dopo la con-divisione, la messa. Lasciamo le stanzette, nel corri-doio in un dipinto c‟è S. Ignazio, intento a scrivere gli esercizi, ti guarda e ti scruta: mi lascio giusto il tempo di uno sguardo di intesa ed un sorriso, ciao Generale. ■

Storia, spiritualità e luoghi romani della Compagnia di Gesù

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“Contemplare Cristo implica sa-perlo riconoscere dovunque Egli si manifesti, […], ma soprattutto nel Sacramento vivo del suo corpo e del suo sangue. La Chiesa vive del Cristo ecauristico, da Lui è nutri-ta , da Lui è i l luminata.

L‟Eucarestia è mistero di fede e insieme mistero di luce. Ogni volta che la Chiesa la celebra, i fedeli possono rivivere in qualche modo l‟esperienza dei discepoli di Emmaus: si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24,31)”. (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia). Durante l‟esperienza delle Quarant‟ore abbiamo cer-cato di preparare i nostri cuori all‟accoglienza, all‟adorazione, a quell‟apertura che avrebbe propa-gato la grande pace che tutte le nostre vite freneti-che attendevano di incontrare notte e giorno in quell‟ occa-sione. Dal meraviglio-so ornamento della chiesa, realizzato da Suor Lilia e da tanti ragazzi che hanno intrecciato composi-zioni di mimose per indorare altari e co-lonne, alla disponibili-tà di avere come uni-co obiettivo condivi-so la premura di non voler rischiare che l‟Amore rimanesse ad aspettarci senza incontrare i nostri occhi, abbiamo portato noi stessi, in quanto persone e in quanto Chiesa, dinanzi a lui, ogni istante. Il vero miracolo della presenza di Cristo che si offre non solo come cibo, ma anche nella dimensione fisi-ca dell‟incontro, rivela tutta la tenerezza di un pa-dre che conosce le debolezze e le fragilità dei pro-pri figli. In questo tempo di Quaresima che ci sotto-pone a tante e dure prove, aver avuto l‟opportunità di lasciarsi inondare dalla dolcezza della sua custo-

dia, verso ognuno di noi, ci ha fatto davvero pregu-stare la speranza del mattino pasquale. Pregare non solo con la propria voce, ma anche uniti, in diversi gruppi, ci ha donato tutta la gioia di percepire l‟eterogeneità di quanto facciamo, organizziamo e inventiamo, come una ricchezza per seguirlo sempre con maggiore passione e dedizione. La presenza del-la preghiera di ogni singolo gruppo della cappella universitaria, che con cuori colmi di gioia ha voluto affidarsi e affidare, con tutta l‟attività, le persone che la svolgono e quelle a cui si rivolge, ci ha forni-to un‟occasione speciale per fermarci e concepirci soprattutto come Chiesa, in cui ognuno esprime e accoglie l‟amore sfruttando i singoli doni e talenti. Il giornalino, il gruppo di evangelizzazione, il gruppo di volontariato, quello del coro, dei ministranti e delle giovani coppie hanno voluto simbolicamente unirsi per adorare e trarre solo da lui l‟energia per conti-

nuare a svolgere un servizio che abbia il profumo e la delica-tezza dei fiori. Ciò che nondimeno ha contribuito ad essere specchio di quanto vive la nostra comu-nità ogni giorno e in tante forme diverse, è stata l‟esperienza di evangelizzazione di strada, vissuta duran-te le Quarant‟ore, a cavallo tra venerdì e s a b a t o n o t t e . L‟accoglienza dei ra-

gazzi di San Miniato, che spesso vengono ad aiutar-ci in occasione delle “Luci nella notte”, e la possibili-tà di poter invitare altri e tanti giovani ad incontra-re quel bene che libera dal vuoto in cui molte vite spengono la propria gioia, ci ha fatto percepire in maniera ancora più viva la fratellanza, la condivisio-ne e la bellezza dell‟apertura che ogni giorno è no-stro senso d‟amore che ci proponiamo di osservare, crescere e migliorare. ■

10 “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6,57).

QUARANT’ORE ALLA

SUA PRESENZA

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SIENA, LE SS. PARTICOLE

E L’ANNO EUCARISTICO

“In questi tempi, tanto difficili per la cristianità e per la Chiesa, […] la città di Siena alza il suo segno e mostra al mondo il suo miracolo”

(Enrico Medi a proposito del Miracolo Eucaristico di Siena)

1914-2014: sono trascorsi cento anni dalle analisi scientifiche che attestarono l‟incorruttibilità delle Sacre Particole. Da allora quelle antiche ostie costituiscono il Mira-colo Eucaristico senese. Quella del 1914 fu la prima vera e propria rico-

gnizione scientifica, promossa dall‟allora Arcivesco-vo di Siena Prospero Scaccia e affidata a un presti-gioso gruppo di specialisti che, con analisi chimiche, accertarono che le Particole esaminate erano real-mente “pane azzimo con pasta contenente amido, in stato di buona conservazione”. Un fatto certamen-te prodigioso dato che per sua natura anche in con-dizioni propizie tale sostanza è soggetta ad altera-zioni almeno entro qualche anno. Ne sono trascorsi ben 285 da quando il 14 agosto 1730 ladri ignoti pe-netrarono nella chiesa di S. France-sco e rubarono la pisside. Le ostie furono poi ritrova-te il 17 agosto in una cassetta di ele-mosine nella chiesa di Provenzano. Le analisi scientifiche effettuate sulle Particole il 10 giu-gno 1914 permisero di far conoscere al mondo cattolico il “Miracolo Eucari-stico” con una co-municazione auto-revole nel Congresso Eucaristico Internazionale di Lourdes (22-26 luglio 1914), tanto da poter definire Siena come Città Eucaristica, ed è per questo che si è deciso di commemorarne adeguatamente il Cen-tenario con l‟indizione diocesana di un Anno Euca-ristico nei tempi liturgici 2014-2015. In data 10 set-tembre 2014 l‟Arcivescovo Mons. Antonio Buoncri-stiani, coadiuvato da una commissione, ha provve-duto a una nuova ricognizione, con analisi non inva-

sive di alcuni campioni di SS. Particole e la ripulitu-ra del cilindro di cristallo contenitore, eseguita l‟ultima volta nel 1952 a seguito del furto sacrilego dell‟Ostensorio. Si è inizialmente provveduto alla verifica numerica delle Particole, che sono risultate 225 più alcuni frammenti, conformemente alla pre-cedente ricognizione. Le Ostie sono state poi sotto-poste, in tre campioni, a varie analisi. Dai risultati degli esami eseguiti emerge la conferma di quanto anticipato dall‟esame visivo, il buono stato di con-servazione delle ostie e la totale assenza di contami-nazione. Il test colturale non ha messo in evidenza nessuna crescita microbica. Le Particole continua-no pertanto ad essere prodigiosamente incorrotte, un segno evidente che rafforza la fede del popolo di Dio nell‟Eucaristia, culmine e fonte di tutta la vita della Chiesa. Varie sono le iniziative dell‟Anno Eucaristico diocesano, con celebrazioni in program-

ma nella basilica di S. Francesco e nelle p a r r o c c h i e dell‟Arcidiocesi per tutto il presente anno pastorale, tra q u e s t e u -na peregrinatio del-le SS. Partico-le nelle varie zone del l ‟Arcid ioces i . Per l‟occasione l‟ Arcivescovo ha an-che chiesto e otte-nuto da papa Fran-cesco l‟Indulgenza plenaria, dal 1° no-

vembre 2014 al 4 ottobre 2015, per tutti i fedeli che devotamente sosteranno in preghiera di adorazione dinanzi alle SS. Particole, nella Basilica di S. France-sco e nelle chiese dove saranno esposte. Nella città del Palio è anche assai significativa la decisione del-la Giunta che ha stabilito che la parte allegorica del drappellone del prossimo Palio del 2 luglio 2015, quello in onore della Madonna di Provenzano, sarà dedicato alla devozione per le Sacre Particole. ■

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CONDIVIDERE LA MUSICA, UNA

PASSIONE DI GRUPPO

...la musica ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita…

...una volta che si è dato il massimo, la passione e il divertimento vanno oltre il risultato…

...un problema […] non sminuisce, anzi esalta i punti di forza che ognuno possiede...

Lo scorso 13 dicembre, Santa Lucia e Giornata Nazionale del Cieco, la sezione provinciale dell‟Unione dei ciechi e degli ipovedenti di Siena ha celebrato la ricorrenza con un evento organizzato quest‟anno presso la sede della contrada della Selva. In tale occasione si è dato molto spazio alla musica. In particolare, la serata ha visto esibirsi il coro della sezione di Siena “Melodie solidali”, il coro della Cappella Universitaria e il gruppo “Vari ed Eventuali”. Entrambi i cori sono diretti dalla maestra Marta Marini, che collabora di tanto in tanto, come chitarrista, anche con i “Vari ed Eventuali” e che dunque ha avuto un ruolo fondamentale nel prepara-re la serata.

La preparazione di questa serata ha richiesto un impegno e un lavoro particolarmente in-tensi, dato che oltre ad esibirmi come solista dei “Vari ed Eventuali” in brani di musica leg-gera, ho collaborato anche insieme ai due cori, eseguendo canti di musica popolare con “Melodie solidali” e canti natalizi con il coro della Cappella che frequento soltanto da qual-che mese. Nonostante l‟esperienza del cantare in un coro sia per me del tutto nuova ha sa-puto già trasmettermi molto permettendomi di migliorare vocalmente e acquisire una mag-giore consapevolezza delle mie capacità. La musica ha avuto un ruolo fondamentale nella

mia vita: ho avuto da sempre una grande passione per questa arte e sviluppato un interesse attivo per il can-to, sebbene non abbia mai preso lezioni. In più avere Marta come insegnante e talvolta come compagna di gruppo con cui condividere l‟esperienza della musica è per me sempre occasione di formazione e arricchi-mento non solo artistico ma anche personale. Partecipare alle sue lezioni durante le prove e preparare con lei un repertorio per una serata rappresenta per me sempre un momento di crescita a livello formativo e al tempo stesso umano, che mi dà la possibilità di consolidare le mie conoscenze della musica, acquisite finora soltanto da autodidatta. ■

Ho iniziato a suonare il pianoforte all‟età di cinque anni e ho continuato fino ai sedici, ma per varie ragioni non ho mai dato gli esami in conservatorio. Negli ultimi tre anni ho ripreso a suonare e ho anche sviluppato una nuova passione per il canto, passioni che hanno acqui-stato un ruolo sempre più importante per me, specialmente dopo la laurea, e che hanno tro-vato una via d‟uscita naturale nei due cori e nel gruppo “Vari ed eventuali” dove suono la tastiera. Marta ha molto arricchito il mio bagaglio musicale ed umano, insegnandomi che, una volta che si è dato il massimo, la passione e il divertimento vanno oltre il risultato. ■

“TRIAL” CORE! Il 13 dicembre scorso abbiamo potuto gustare l‟ incontro tra due cori amatoriali, diversi ma con il fine comune di vivere e comunicare calore attraverso il canto. Abbiamo alternato canti natalizi a canti di musica popolare e leggera grazie anche alla presenza del gruppo mu-sicale “Vari ed Eventuali” concludendo la serata con un meraviglioso “Oh Happy Day” a cori uniti ed improvvisando, durante le varie esecuzioni, seconde voci mai provate ma nate spon-

taneamente dalla sensibilità di ogni corista indipendentemente dall‟ “appartenenza” di coro. E‟ solo da questo anno che ho iniziato a dirigere anche il coro dell‟ Associazione Non Vedenti; se dal punto di vista musicale è una crescita continua udibile ad ogni prova settimanale, ancora di più è la crescita umana che apporta ad ogni persona che ne fa parte, a me per prima. L‟insegnamento più importante che ne traggo ogni volta, tra tanti, è che un problema, se pur così pesante come la mancanza della vista, non sminuisce, anzi esalta i punti di forza che ognuno possiede. Trovo una quantità di coraggio, di fiducia e di ottimismo che spesso faccio fatica a trovare perfino in me stessa e in tante persone che sono, almeno fisicamente, prive di difficoltà an-che più lievi. Certo la fatica ad ogni prova, da parte di tutti, non manca, ma più grande è la fatica più grande è la soddisfazione una volta raggiunta la meta. Ringrazio Dio per queste opportunità e spero di riuscire a portarle avanti al meglio, con tutta l‟ attenzione e la dedizione che meritano. ■

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13 Per informazioni visitare il sito http://www.giovani.missioitalia.it/

CO.MI.GI. 2015:

FORMAZIONE PER LA MISSIONE

Il Convegno Missionario Giovanile è un appuntamento a cadenza tri-ennale, promosso dal settore giova-ni della Fondazione Missio (organismo della pastorale CEI), organizzato dalla Consulta Missio-naria Nazionale, costituita dagli

istituti missionari presenti in Italia. Si tratta di un‟esperienza particolare dedicata a tutti i giovani di età compresa tra 18 e 35 anni che sono in cammi-no verso Cristo e che lavorano per lui nel grande cantiere missionario che è il mondo. Quest‟anno il Co.Mi.Gi. è alla sua quarta edizione e si svolgerà a Santa Maria degli Angeli-Assisi (PG) dal 30 aprile al 3 maggio 2015. Il titolo del convegno è Tre per-sonaggi in cerca d‟amore. Si rivivrà infat-ti la storia di tre perso-naggi: Tommaso, Gio-vanni e Maria di Ma-gdala, persone che non si erano mai viste prima, di età diverse, con vis-suti completamente differenti. Tutti, però, hanno incontrato un uomo speciale, carisma-tico, un profeta che poi scopriranno essere il Figlio di Dio e del quale si sono perduta-mente innamorati. Ho partecipato alla ter-za edizione del conve-gno, che si è tenuta a Frascati nel 2012, dal titolo Da discepoli a testimoni: la parabola di Pietro. È stata un‟esperienza irripetibile grazie alla quale ho vissuto tutto il discernimento che ha portato Pietro a dive-nire da semplice discepolo ad autentico testimone di Cristo, tanto che, con la propria vita, ha annun-ciato la resurrezione del Signore. Le provocazioni dei relatori, la voce dei testimoni,

le dinamiche dei laboratori, l‟alternarsi di animazio-ne e preghiera hanno reso viva l‟esperienza di Pietro e, come lui, mi sono sentita amata, chiamata ed in-viata ad annunciare il Vangelo a tutti i popoli della Terra, fino ai confini del mondo. Il convegno ha rappresentato, per me, un inestima-bile momento di pausa dalla frenesia della quotidia-nità. A volte credo sia necessario fermarsi, allonta-narsi dal caos da cui costantemente siamo circon-dati. È necessario rallentare per riflettere, cono-scersi, pregare, approcciarsi ad opportunità di for-mazione che, a mio parere, non fanno altro che faci-litare e accrescere il cammino della nostra fede. Grazie a quei tre giorni ho poi avuto la grande occa-sione di conoscere tanti ragazzi e ragazze che, co-

me me, condividono de-gli ideali, si impegnano in parrocchia o in grup-pi missionari e che han-no avvertito l‟esigenza di allontanarsi dalla vita quotidiana per condivi-dere questa forte espe-rienza di formazione. Sarà sicuramente emo-zionante ritrovarci tutti ad Assisi: alcuni si sono consacrati al Signore, altri hanno vissuto e-sperienze in terra di Missione, altri ancora hanno continuato nella loro quotidianità a fare la volontà di Dio impe-gnandosi a costruire il suo regno. Credo che ognuno di noi dovrebbe vivere e-sperienze simili, poiché rappresentano momenti di crescita che ci per-

mettono di cambiare la prospettiva con cui analiz-ziamo il mondo e i suoi abitanti. Vi invito, quindi, a prendere parte al prossimo convegno! Ci vediamo ad Assisi! ■

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MOMENTI DI COMUNIONE

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SULLE ORME DI SANT’IGNAZIO

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16 “Lui mi fa camminare per il mondo pur restando fermo nel mio letto, mi fa abbracciare il mondo anche se le mie mani non si muovono…”

un “prodigio della comunicazione nell‟immobilità”, così è stato egre-giamente definito il giovane modi-cano Nino Baglieri. A soli 17 anni lavora già come muratore, quando il 6 maggio 1968 cade dal quarto piano di un‟impalcatura facendo un

volo di 17 metri; 17 come l‟età di un giovane pieno di sogni, di speranze, che ha dovuto prendere presto consapevolezza che quella caduta lo avrebbe reso tetraplegico per tutta la vita. Dopo i primi due anni passati tra vari ospedali senza grandi miglioramenti, rientrato a casa sperimenta la rabbia della sua con-dizione di infermità. “Non sopportavo la commisera-zione della gente. Non credevo in Dio, mi ribellavo, non accettavo la sofferenza, bestemmiavo dalla mattina alla sera, odiavo tutto, ero senza amici”. Trascorre le calde giornate estive presso un alberel-lo vicino casa perché lì, lontano dagli sguardi della gente, può stare “in compagnia della sofferenza e della disperazio-ne”. “Anche se non credevo in Dio, gli chiedevo lo stesso di farmi morire”. Parole forti, quelle di Ni-no, che per ben dieci anni si sono contrapposte alle docili preghiere della mamma, la quale, scegliendo di accudire il figlio con infinita dedi-zione, ha detto per prima sì alla croce di Dio che, Padre amorevole, ha esaudito le sue preghiere: il 24 Marzo 1978, venerdì Santo, un gruppo di persone facenti parte del Rinnovamento nello Spirito prega-no per lui. Nino sente in sé una trasformazione, co-me una forza nuova che avrebbe cancellato in pochi secondi dieci anni di isolamento e disperazione. Da quel momento anche lui accetta la croce perché il

Signore ha operato in lui “qualcosa di più grande” di una guarigione fisica, facendogli conoscere la sua Grazia e riservandogli la grande missione di annun-ciare la sua parola. In uno di quei pomeriggi in cui aiuta quattro bambi-ni a svolgere i compiti, Nino prende una matita in bocca per fare un disegno e ci riesce. In seguito comincia a esercitarsi con la penna rendendo viva testimonianza al Signore con i suoi scritti. Con un‟asticella compone i numeri telefonici e chiunque rimane contagiato dalla sua gioia di vivere, dal suo sorriso e serenità. Innumerevoli le visite che quoti-dianamente riceve e numerosi i giovani che tramite la testimonianza di gioia e di speranza di un “apostolo instancabile” come lui si sono avvicinati a Dio. Il ricordo di quel tragico evento viene celebra-to annualmente come il suo “compleanno della Cro-ce”, quella Croce che ha portato con fede fino a quel 2 marzo 2007 quando il suo spirito di volonta-rio con Don Bosco, titolo del quale è stato insigni-to, incontra il volto di Dio. Finalmente può “correre

nei verdi prati fio-riti e saltellare co-me una cerva lun-go i corsi d‟acqua, libero in tuta e scarpette”. Le stesse, come da lui disposto nel suo testamento spiritu-ale, calzerà per la sua maratona nel Cielo. Nino è dive-nuto così “l‟atleta di Dio” che ora concorre verso quella Santità che in fondo gli è sem-

pre appartenuta. Il 18 aprile 2012, i vescovi della Si-cilia, conosciuta l‟esperienza umana e spirituale di Nino Baglieri, si sono pronunciati favorevoli all'aper-tura della causa di beatificazione. Lo scorso marzo 2014 il Vescovo di Noto, Mons. Antonio Staglianò, ha ordinato ufficialmente l‟istruzione del processo. ■

NINO, L’ATLETA DI DIO

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Mi ha sempre colpito, nel Vange-lo, il racconto di Maria che si met-te in viaggio per raggiungere “in fretta” sua cugina Elisabetta, in-cinta al sesto mese, come le ha ap-pena rivelato l‟arcangelo. Maria, donna della contemplazione e del

raccoglimento del cuore, è anche la stessa donna che non si risparmia mai le fatiche del viaggio; anzi, comincia da subito a prepararsi all‟arrivo di Dio con l‟amore concreto, portando il suo aiuto a chi ne ave-va bisogno e condividendone le gioie. Forse proprio l‟esempio e la guida di Maria, nel mio cammino di fede, mi hanno fatto sentire in modo molto forte l‟esigenza di mettermi in viaggio: ho capito che c‟era qualcosa che mi sarebbe sfuggito rimanendo a casa, una dimensione di accomodamento piacevolissima, ma in fondo insoddisfa-cente. I miei viaggi di fede so-no sempre nati da una voglia di cercare pace, che non è benessere né piattezza emotiva, ma piuttosto una „sana inquietudine‟ che, come diceva Sant‟Agostino, trova riposo soltanto nel cuore di Dio. Met-tersi in viaggio vuol dire accettare la sfida mera-vigliosa che Dio vuole ingaggiare con ognuno di noi, per farci capire che siamo chiamati a cose grandi e che, nella nostra finitezza, abbiamo l‟immensa responsabilità di essere le sue membra in questo mondo. A volte ho viaggiato per una missio-ne di evangelizzazione, e quindi per andare con lui incontro ad altri fratelli; altre volte per cercare pa-ce in quei posti in cui Gesù sembra parlare più chia-ramente al nostro cuore. Altre volte ancora si è trattato di viaggiare per condividere gioie o dolori

di coloro che amo, anche perché credo che la di-mensione della presenza, dell’esserci per gli altri, sia in fondo ciò a cui il Cristianesimo ci chiama. Non sempre mi metto in cammino con uno stato d‟animo positivo, perché spesso prevarrebbe la voglia di sta-re nel proprio cantuccio, piuttosto che accettare l‟invito a uscire fuori di noi. Ma poi ogni volta che si pronuncia quel piccolo „sì‟, le meraviglie ricevute in dono si moltiplicano. Siamo discepoli di un Maestro esigente: nel Vangelo, a un tale che gli dice “Ti se-guirò dovunque tu vada” Gesù ricorda che “Il Figlio dell‟uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,51-62). È però meravigliosa anche la promessa che ci fa: rice-veremo il centuplo e avremo in eredità la vita eter-na, se impareremo a lasciare i nostri attaccamenti, che spesso ci paralizzano. I viaggi mi hanno insegna-to che essere Chiesa significa essere a casa ovun-que, perché davvero riceviamo cento volte tanto in

case, fratelli, sorelle, madri e padri. Ogni viaggio poi è sem-pre stato simile a una porta che mi ha con-dotto in una doppia dimensione: è una porta che conduce dentro, a capire cosa mi abita nel profondo, ma ogni por-ta conduce anche fuo-ri, fuori dai nidi e dalle certezze, verso una vita che si gioca nel con-fronto e nella diversità, e questo dilata la men-te e il cuore. Mi piace sempre immaginare Dio

come il più grande pellegrino, costantemente alla ricerca dell‟uomo e del nostro amore; e dunque non a caso, nella Bibbia, anche il credente è sempre co-lui che cammina per cercare Dio, per ascoltarlo o adorarlo. Lasciamoci allora contagiare anche noi da questa sete di Dio: e camminiamo, con le gambe e col cuore, verso la Bellezza di cui abbiamo nostal-gia. ■

CAMMINATORI O PANTOFOLAI?

“Chi non si mette in cammino, mai troverà il volto di Dio. Per camminare è necessaria quell’inquietudine che lo stesso Dio ha messo nel nostro

cuore e che ti porta avanti a cercarlo” (Papa Francesco).

La dimensione del viaggio nella fede

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18 Il matrimonio è l'icona dell'amore di Dio per noi (Papa Francesco, Udienza 2-4-2014).

“Amore, vuoi sposarmi? Siiii, ti amo!!”...e tutti vissero felici e con-tenti. È così che si concludono le belle storie d'amore, le favole incantate dove dopo una serie di peripezie l'amore trionfa e i due amanti con-

volano a giuste nozze. Ma siamo proprio sicuri che una storia d'amore si concluda sempre con un bel matrimonio? Non ne sono così sicura..anzi! Direi con una certa convinzione che il matrimonio non è il traguardo ma la partenza. Per usare una metafora, il matrimonio non è la torretta del castello ma rap-presenta le sue fondamenta! C‟è tutto da costruire, tutto ancora da tirar su, solo che per grazia di Dio la fatica è divisa a metà. E allora bisogna iniziare a c o s t r u i r e questo ca-stello, a sce-gliere il ter-reno più adatto su cui edificar-lo, ricordan-do i versetti di Matteo “Cadde la p i o g g i a , strariparono i fiumi, sof-fiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia” (7, 24-26). Bisogna saper progettare anche un bel fossato, per tenere lontani i pericoli che inevitabilmente busse-ranno alle porte. Ci si sposa e in due si guarda il pro-getto per la “nuova costruzione”; ma siamo già così bravi ed esperti da non aver bisogno di un "direttore dei lavori" che ci guidi nelle scelte e ci

dia una mano nell'interpretazione delle planimetrie? No, o meglio non esattamente. Dall'inizio dello scor-so anno accademico in cappella c'è una nuova pro-posta formativa, un incontro mensile per giovani sposi, guidato da Don Antonio Bartalucci (docente di teologia morale). Un incontro che ha la finalità di guidare i novelli sposi nel loro cammino, aiutandoli ad avere una visione un po' più chiara del percorso che li aspetta e delle difficoltà che potrebbero pre-sentarsi. Questi incontri sono davvero una grazia perché il confronto fra giovani sposi non è un aiuto da sottovalutare. La vita di coppia è entusiasmante, ma è fatta anche di piccoli dubbi e incertezze! Sco-prire che quegli stessi dubbi sono condivisi da altri rende la visione delle cose più serena. Viene spesso da pensare: “Allora non capita solo a me, anzi a noi!” E l‟acquisizione di queste piccole certezze non fa

altro che aiutarci nel cammino, nel darci la spin-ta a non fer-marci e so-prattutto a non sentirci soli. Le paro-le, i consigli di chi è illu-minato dallo Spirito e dal-le esperienze a c q u i s i t e durante il m i n i s t e r o sono come un balsamo che placano

l‟anima quando è un po‟ inquieta e magari preoccu-pata. Siamo davvero fortunati a essere seguiti da don Antonio e don Roberto: ci tendono una mano e come padri affettuosi non si stancano di stare ac-canto ai loro figli. ■

“E VISSERO FELICI E CONTENTI”

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19 …È incredibile l'estensione di territorio, che questo invisibile subdolo ospite può conquistare attraverso l'illusione dell'amore.

Quando l'egoismo dell'adulto chiede a un bambino di rinunciare a una parte del nucleo che lo ha generato, lo costringe a “non essere”; ad arbitrare una partita senza tempo tra avversa-ri irresponsabili, trincerati dietro l'alibi dell'amore. Un turbinio soltanto, ferita beante. Per ogni bimbo dovrebbero accendersi le stelle col bacio della buonanotte di mamma e papà, ma troppi chiudono gli occhi, sognano quel bacio che a qualcun altro verrà donato. I genitori di Gabriel, dolce, ma ostile e introverso, sono separati: suo padre ha un'altra compagna e con lei un figlio; sua madre un altro compagno. Durante i colloqui siede di fronte alle mae-

stre tra mamma e papà; di tanto in tanto, teso, guarda l'uno poi l'altra. Pur con delicatezza, papà gl'imparti-sce regole da osservare. Indignata tento contegno, ma faccio notare ai genitori che il compito più difficile è stato assegnato a Gabriel: mediare fingendo di essere d'accordo. Con lui vorrei esprimere rabbia, disappun-to; come lui taccio lasciando che quella spina nel petto CI tormenti. Daniel aveva undici anni quando suo padre disertò per realizzare il suo “sogno d'amore” con un'altra donna. Disteso sul letto, braccia incrociate sotto il viso, piangeva silente mentre quell'uomo, che avrebbe dovuto proteggerlo dal dolore, se ne andava con il suo borsone da viaggio carico di niente, verso il nul-la. Sollecitato da sua madre a liberare il bambi-no ilare segregato in una cella di un cuore ormai blindato, eruppe: - Smetti di cercarlo! Tuo figlio è morto a undici anni. Ero un bambino che por-tava per mano due adulti. Sono stanco -. La donna, vittima e carnefice, tra sensi di colpa e rivendicazioni pensò: - Anch'io -. Gabriel, Da-niel, Isabelle... Bambini sperduti sulla sempre più affollata “Isola che non c'è”. Negli occhi la pau-ra, poi la rabbia. Bambini raminghi, senza identi-tà nelle cosiddette “famiglie allargate”; spaccati a metà, derubati del diritto di sognare, alzarsi in volo planando sicuri. L'abbandono li sensibilizza al rispetto di sé fino a sentirsi indegni, colpevo-li. Dietro la Creazione si cela Amore supremo per la vita piuttosto che lussuria. Madre Natura dovrebbe brevettare un “maturometro” che generi fertilità solo nel momento in cui l'individuo saprà garantire alla pro-le un percorso di crescita sereno in un contesto famigliare inattaccabile dalle insidie del Male. E' incredibile l'estensione di territorio, che questo invisibile subdolo ospite può conquistare attraverso l'illusione dell'amo-re. Bisogna insegnare ai bambini a non lasciarsi travolgere dalla furia ciclonica devastante “dell'idea dell'amo-re”; a intrecciare con esso fili di poesia pur vigilando sulla realtà. Prenderlo per mano, dialogare per appurare la sua capacità di generare rispetto, comunione d'intenti, affinché i figli che metterà al mondo, costretti a subire la volontà di coloro che decidono di condurli sulla soglia del divenire, non debbano mai rimpiangere di essere nati. D. L. Nolte afferma che “i bambini imparano quello che vivono: ... Se i bambini vivono con la pau-ra imparano a essere apprensivi; con la correttezza imparano cos'è la giustizia; con la sicurezza imparano ad avere fiducia in se stessi e nel prossimo...”. ■

BAMBINI RAMINGHI

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Per chi un poco si occupa o si in-tende di storia e dottrina della Chiesa, il periodo che si estende dal post-Concilio Vaticano II al pontificato di Francesco vede oriz-zonti interessanti per la Chiesa del nuovo millennio: la storia umanisti-

ca la sfida a tenere il passo e reinventarsi, ri-schiando però di snaturare il senso stesso della missione evangelica di cui tutti siamo investiti. E così la Chiesa, assai spesso, si è vista quasi com-battersi al suo interno, per seguire e inseguire po-sizioni più o meno ortodosse o più o meno progres-siste. Quello che stupisce è che, sia la Chiesa sia i suoi “dissidenti” (tridentini o progressisti) sembra-no aver dimentica-to quale sia il senso della parola scisma, così medievale al suono e al signifi-cato, tanto da con-trapporsi volentieri per affermare la propria parte di “Verità”, dimenti-cando così quale profonda lacera-zione si faccia alle membra di questo corpo mistico, la Chiesa, e quali ne siano, poi, le inevi-tabili conseguenze. Siamo chiari: questa Chiesa non è una democrazia, sebbene ognuno ha ampia facoltà di pensarla come vuole o di dispensare i consigli che ritiene più sen-sati; la Chiesa è, invece, una “comunione gerarchi-ca” la cui più alta gerarchia è Nostro Signore. Per nostra salvezza! Questo, almeno, dovrebbe voler dire incondiziona-ta obbedienza alla Chiesa e al suo capo visibile, il Papa. Ebbene, nelle fortunose circostanze che hanno ispirato questo articolo, ho potuto parlare con uno di coloro che tanto sembrano avversare la Chiesa ora: un vescovo lefebvriano (per informa-

zioni, seguire il link a fondo pagina). Dire cosa sia stato l‟incontro con lui, sarebbe ora lungo e diffi-cile ma c‟è un momento di cui voglio mettervi a parte. Quando, alla mia domanda se fossero pronti a rischiare uno scisma per quello in cui credono, mi ha risposto: “Molti dimenticano cosa voglia dire la parola scisma, quali ne siano le sofferenze e le conseguenze. Il nostro è un combattimento spiri-tuale, che ha luogo nel profondo della nostra ani-ma, lì dove la Grazia di Cristo ci tocca e ci parla. Io amo la Chiesa, e non perché sono un Vescovo e sacerdote, amo la Chiesa perché è la mia vocazio-ne autentica e profonda e la amo di un amore im-menso e profondo e provo un dolore al cuore quando, agendo per il suo bene, sono costretto (dalla mia coscienza, dalla mia anima, e dal mio a-

more a Cristo) ad assumere certe posi-zioni. Se non lo fa-cessi, sarebbe come non amarla, non a-marLo.” Se è vero che la rigidità e, in estrema posizione, lo scisma sono semi e segni di divisione allo-ra in che modo com-prendere chi si dice disposto ad una simi-le scelta “per amore”? L‟amore in cui, come dice Paolo (1 Cor. 13, 4-7) si costituisce

l‟unità, non la divisione. Credo, e qui sono soltanto io a parlare, che la Chiesa abbia dimenticato che Unità non vuol dire uniformità, ed è lo sforzo comprensibile, ma errato, di chi cerca di tenere unito ciò che il tempo del mondo vuole separare. Dovremmo, forse, avere l‟umiltà di ricordare che il linguaggio dell‟amore, Gesù docet, è spesso incom-prensibile e che il bene passa per vie insospettabili. Sapete cosa ho visto io in quell‟uomo che mi parla-va? Non uno scismatico, no, ma un uomo che cer-ca di amare la Sua Chiesa, e di amarla davvero, con l‟amore di Cristo. ■

20 Per informazioni sui lefebvriani e su Mons. Lefebvre: http://goo.gl/RdHQuZ

“NIHIL AMORI CHRISTI

PRAEPONERE”

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Il 14 gennaio si è chiuso il settennato più lungo della storia della Repubblica italiana, quello del Presidente Giorgio Napolitano, il primo ad essere eletto per ben due volte di fila. Que-sti è stato un grandissimo punto di riferimento istituzionale e morale per tutti gli italiani in un momento alquanto delicato sotto l‟aspetto economico, politico e sociale. Dopo le dimissioni di Giorgio Napolitano inizia il cosiddetto “toto Quirinale”: nei giornali si leggono una serie di nomi, anche se sin dall‟inizio è difficile capire chi andrà a ricoprire la più alta carica dello Stato.

Il 29 gennaio arrivano a Montecitorio i grandi elettori, inclusi quelli provenienti da tutte le regioni italiane. Stavolta il clima sembra decisamente più disteso rispetto alla precedente elezione presidenziale. Il nome di Sergio Mattarella sembra esser stato un vero e proprio toccasana per la politica italiana. Un nome su cui confluiranno tanti grandi elettori. Per attendere l‟elezione ufficiale occorre però aspettare il quarto scrutinio. Il risultato finale è abbastanza soddisfacente: 665 voti, quasi due terzi dell‟assemblea. Sergio Mattarella è il dodicesimo presidente della Repubblica Italiana. Di origini siciliane, l‟ultimo incarico istituzionale che ha ricoperto è stato quello di Giudice della Corte Costituzionale. In passato è stato anche professore universitario, deputato e ministro della Repubblica. Il Presidente Mattarella nel corso della sua carriera politica si è sempre contraddistinto per il rispetto di valori fondamentali, quali l‟onestà e la legalità. Sin da subito ha esordito dicendo: “il primo pensiero va alle difficoltà e speranze dei concittadi-ni”. Una frase semplice ma ricca di significato, in grado di mettere tanta carica agli italiani che in questo momento affrontano mille sfide nella vita quotidiana, prima tra tutte la ricerca di una occu-pazione lavorativa tra le giovani generazioni. I primi passi del Presidente Sergio Mattarella vengono sin da subito effettuati nel segno della semplicità e del-la modestia, e ciò ci ricorda molto il nostro tanto amato Papa Francesco. L‟elezione di Sergio Mattarella è stata un motivo di orgoglio soprattutto per gli abitanti della Sicilia. É la prima volta che un Presidente della Repubblica ha origini siciliane. Ricorderò sempre con grande emozione il giorno dell‟elezione, perché in quel mo-mento ho capito di appartenere ad una terra stu-penda fatta di grandi uomini. Per me il giorno dell‟elezione di Sergio Mattarella rappresenterà per sempre il giorno in cui hanno tri-onfato i “veri” siciliani, quelli onesti, quelli che han-no sempre detto no alla mafia e quelli che hanno dovuto fare tanti sacrifici, in alcuni casi lasciando anche la loro terra, portata però sempre nel cuore. L‟elezione di Sergio Mattarella rappresenta, dun-que, una speranza per tutti noi italiani, che viviamo nella consapevolezza costante di risiedere in uno dei paesi più belli del mondo. ■

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SERGIO MATTARELLA: IL

PRESIDENTE DELLA SPERANZA

Per approfondire: www.quirinale.it

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Quando mi hanno proposto di par-tecipare all‟incontro mensile “A ce-na con un libro” ho subito accetta-to con grande entusiasmo; d‟altronde non c‟è niente di meglio che riunirsi per discutere di un li-bro appena letto mangiando qualco-sa insieme. Così, tra un libro e

l‟altro è passato più di un anno e, tra tutti, ho scel-to di raccontarvi un breve romanzo di Tolstoj: La morte di Ivan Il'ič. La storia della vita del giudice Ivan Il'ič Golovin, consigliere della Corte d'Appello di San Pietro-burgo “era la più sempli-ce, la più comune e la più terribile”. Figlio di un alto funzionario del governo, dopo gli studi diventa giudice istruttore di una remota provincia, si spo-sa per convenienza con una nobile donna e riesce a ottenere il trasferimen-to nella capitale, con conseguente promozione e aumento di stipendio. Un giorno, alle prese con l‟arredamento della nuo-va casa a San Pietrobur-go, cade dalla scala su cui era salito e sbatte con il fianco sulla mani-glia della porta. Un nor-malissimo e comunissimo incidente domestico, dunque, che inizialmente sembra una cosa da nul-la, ma con il passare del tempo il dolore si manife-sta più acuto che mai: i medici non si spiegano la causa e non riescono a tro-vare rimedio. Ivan Il'ič si trova così ad avere una malattia incurabile, giunta ormai a uno stadio termi-

nale. A causa di ciò il nostro protagonista inizia a vivere in costante inquietudine: più cerca di disto-gliere il pensiero della morte imminente, più questo diventa vivo. Che senso ha morire se si vive una vita onesta, leale e giusta? In questo difficile momento, Ivan trova conforto solo nel servo Gerasim l‟unico che, al contrario della famiglia la quale continua ad adempiere i doveri di una società altolocata, gli dimostra compassione e conforto. La genuina generosità del servo porta Ivan a riconsiderare la sua vita: si chiede se quella

che fino a quel momen-to ha vissuto non fosse in realtà una vita artifi-ciale, dominata dall‟ in-teresse, dagli agi e in cui “faceva ciò che la gente dell‟alta società riteneva giusto fare”. Se ci pensiamo la vita di Ivan non è certo molto diversa da quella che vorremmo per noi: una brillante carriera, stabi-lità economica, una fa-miglia e dei figli, cos‟altro? Tuttavia cade negli errori in cui ognu-no di noi potrebbe in-correre: fugge dalla pro-fondità dei sentimenti, allontana l‟amore come uomo e come padre, si rifugia in un mondo fat-to di scelte convenzio-nali e rispetto delle re-gole. Ma, sia ieri che oggi, attenersi agli stan-dard dettati dalla socie-tà, non significa essere appagati e felici; questo lo capisce molto bene il nostro protagonista che

alla fine dei suoi giorni si trova a dover fare un tri-ste bilancio della sua esistenza. ■

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“LE IMPREVEDIBILI CONSEGUENZE

DI UNA BANALE CADUTA…”

A discapito del titolo, un libro che fa riflettere sulla vita.

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23 Bruno rivolgendosi a Roberto: “Non bevi, non fumi, non sai nemmeno guidare la macchina…ma ti godi la vita tu?”.

AMICI PER CASO

Roma, un‟assolata mattinata di Ferragosto: città deserta e un uo-mo alla ricerca di un telefono e un pacchetto di sigarette. Con questa scena si apre uno dei capolavori del nostro cinema, un caposaldo della commedia all‟italiana: Il sor-

passo. Diretto da Dino Risi, questo film traccia un quadro degli aspetti più rappresentativi dell‟Italia del boom economico: la rinascita di un popolo, la voglia di di-vertirsi e il benessere sono lo sfondo sul quale si snodano le vicende dei due personaggi che vagano lungo la via Aurelia. Bruno Cortona, interpretato da Vittorio Gassman, e Roberto Mariani, interpreta-to da Jean-Luis Trintignant, appartengono a due mondi diversi: il primo è il classico viveur, 36enne nullafacente amante delle donne e della velocità; l‟altro è un ragazzo timido, appartenente alla media borghesia romana, stu-dente model-lo di medici-na. Per i due il viaggio è un mezzo attra-verso il quale trovano la loro dimen-sione psicolo-gica: per Cor-tona rappre-senta la risco-perta del pas-sato e degli affetti più cari; per il “dottorino”, inve-ce, simboleggia una sorta di “iniziazione sociale”, attraverso la quale verrà condotto dal suo compa-gno d‟avventure. Così diversi eppure così vicini: diversi per estrazio-ne sociale, cultura e ambizioni; vicini nella ricerca di sè, di quale sia realmente il vero significato della loro vita, rigorosamente vissuta sul filo della veloci-tà e del rischio. Tra i due il rapporto non è sempre idilliaco: infatti il giovane Roberto si ribella a Bruno

più volte, tanto che spesso cerca di abbandonarlo ma, a causa del suo spirito poco tenace ed arrende-vole, cede sempre al volere dell‟amico. Il viaggio però si conclude in maniera tragica, poi-ché dopo un ennesimo sorpasso, l‟auto sulla quale viaggiavano i due finisce in un burrone a seguito di uno scontro con un camion che veniva nella direzio-ne opposta: Bruno ne esce illeso, ma per il giovane non ci sarà scampo. Il regista, attraverso questa pellicola, esprime tutta la sua critica verso la società nascente, che spinta dal benessere economico, perde completamente di vista quelli che sono considerati i valori sociali: ne esce fuori un ritratto di un‟umanità apatica, priva di affetti, che punta solo al guadagno e al diverti-mento. La stessa critica viene mossa da un altro grande pensatore dell‟epoca, nonché grande amico di Risi de Il sorpasso: Pier Paolo Pasolini. Sembra che Risi abbia preso spunto per la sceneg-

giatura, ma soprattutto nella caratte-rizzazione del personaggio di Roberto Mariani, da alcuni scritti di Pasolini: introverso, riflessivo, cri-tico verso la modernità e i suoi coetanei, quasi un alter ego dello scrittore. Il

personaggio di Bruno Cortona sembra, invece, pre-so pari pari da una poesia pasoliniana dal titolo Il desiderio di ricchezza del sottoproletariato roma-no, dalla quale si evince la voglia di rivalsa, a volte ostentata, delle classi più basse, nei confronti della borghesia del tempo. In conclusione con Il sorpasso riscopriamo gli umo-ri, le speranze e i sogni degli italiani durante il boom, con quel pizzico di ironia che aiuta sempre! ■

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24 Il "Cantico di frate sole" è come la sintesi dello sguardo di Francesco sulle cose, colte nella loro realtà ma anche nel loro essere doni di Dio e frammenti della sua creatività.

Frontale, in rapporto diretto con chi osserva, come nella tradizione delle icone sacre, ma reale e naturale, nella sua fisicità. Un volto umano, incorniciato da un panno di cui si intui-scono pieghe e consistenza, un saio pieno di toppe. Allo stesso tempo, assieme alla realtà della 'carne' il mas-simo dell'astrazio-ne: la parola, che non è altro che

l'estremo concentrato della nostra esperienza delle cose. Le lettere di cui si compongono le parole sullo sfondo ci portano invece oltre l'abi-to di lana e trapassano la carne del petto che le ha incubate, arrivando direttamente dentro il cuore del santo, svelandocene l'anima. Il " Cantico di frate sole" e' come la sintesi dello sguardo di Francesco sulle cose, colte nella loro realtà ma anche nel loro essere doni di Dio e frammenti della sua creatività. La terra su cui poggia i piedi è un reti-colato prospettico diviso in quadra-ti, in cui compaiono gli uccelli e l'er-ba, simboli di gioia, semplicità e vita-lità. Ma sulla superficie della madre terra è presente anche un teschio, simbolo di quella morte corporale, fatale e inevitabile, che però diven-ta sorella nostra, ponte verso quel sole eterno di cui questo nostro è solo simbolo e caparra. Per questo quel povero resto del nostro corpo corruttibile è immerso nell'erba ver-de, quasi come se da esso nascesse nuova vita. Ed ecco che si può sor-ridere anche alla fine della vita ter-rena, pensando come tutte le crea-ture non siano che una pallida anti-cipazione di quel tripudio di vita, di luce e di bellezza che si rivelerà a chi incontrerà sorella morte "ne le Tue santissime voluntati". ■

SAN FRANCESCO: UN DISEGNO

POPOLATO DI SEGNI

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25 “Tutto ciò che viene dalla mia cucina è cresciuto nel cuore” (Paul Eluard).

ARANCINI O ARANCINE?

L'arancino è una specialità della cucina siciliana. Come tale è stata ufficialmente ricono-sciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MiPAAF) con il nome di "arancini di riso". Il nome deriva dalla forma originale e dal colore tipico dorato, che ricordano un'arancia, anche se, nella Sicilia orientale, gli arancini hanno più spesso una forma conica. Nella parte occidenta-le dell'isola, questa specialità è conosciuta come "arancina", mentre nella parte orientale è chiamata "arancino". Secondo lo scrittore Gaetano Basile la pietanza dovrebbe essere indi-

cata al femminile, in quanto il nome deriverebbe dal frutto dell‟arancia che, in italiano, è al femminile. Tutta-via, in siciliano, arancia si dice arànciu. Pertanto il nome originario della pietanza è maschile, come attestato dal Dizionario siciliano-italiano del palermitano Giuseppe Biundi, che nel 1857, al lemma arancinu, scrive: “[...] dicesi fra noi una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia.” Ingredienti: Per il riso: 500 gr di riso per risotti; 1 cipolla; 100 gr di burro; brodo vegetale; zafferano; sale e pepe. Per il ripieno: 500 gr di ragù di carne; 200gr di pisellini; mozzarella e prosciutto a dadini. Per la panatura: pangrattato; 2 albumi. Per friggere: olio di semi di girasole. Procedimento: Uno dei primi consigli nella preparazione degli arancini è di preparare il ragù un giorno prima, in modo che, al momento dell‟assemblaggio, risulti solido. Per preparare un buon ragù iniziamo con il tradizionale soffritto di cipolla, olio e, se preferite, anche una carota e un gambo di sedano finemente tritati; aggiungere la carne e, tenendo la fiamma bassa, lasciare rosolare per qualche minuto. Appena la carne appare rosolata sfumiamo con ½ bicchiere di vino bianco e lasciamo evaporare. Aggiungere qualche fogliolina di alloro, i pisellini, la sal-sa di pomodoro, aggiustiamo di sale e pepe e lasciamo cuocere a fuoco medio per un‟ora e mezza. Finita la cottura, togliere le foglioline di alloro e lasciare raffreddare. Per la preparazione del riso è sufficiente farlo cuocere nel brodo vegetale. In un bicchiere con 2 dita d‟acqua far sciogliere una bustina di zafferano in mo-do che quando il riso sarà cotto si aggiungerà insieme al burro e lasciare raffreddare. Per l‟assemblaggio, noi siciliani, scrupolosi nel realizzare tutti gli arancini delle stesse dimensioni, adottiamo una semplice strategia: facciamo prima tutte le palline di riso delle dimensioni che desideriamo poi ne prendiamo una per volta, appiattendola sul palmo della mano e aggiungiamo un cucchiaio di ragù, i dadini di pro-sciutto e mozzarella e cerchiamo, pian piano, di richiuderla. Il secondo passo è quello di rotolarle prima nell‟albume poi nel pangrattato. Ripetiamo il procedimento per tutte le palline. Siamo così pron-ti per la frittura, che va fatta usando un tegame con abbondante olio di semi: appena l'olio sarà ben caldo immergervi uno o più arancini in modo che siano completamente coperti. Farli imbiondire e, appena avranno raggiunto la doratura, tirarli fuori e farli intiepidire su della carta assorbente. Buon appetito! ■

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CRUCIVERBA

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ORIZZONTALI 1 Sono famose le sue novelle, 9 Repubblica baltica, 15 Sottosegretario del Governo Renzi, 16 Repubblica Popolare Cinese, 18 Prefisso ripetitivo, 19 Il codice a barre, 20 Lo trova chi trova un amico, 21 Nacque dalle ceneri dell‟Unione Sovietica, 22 A noi, 23 Negazione, 24 Comune della provincia di Sassari, 25 La Shoah, 26 La mira in centro, 27 Pompa per grandi mas-se di acqua, 30 Consonanti in rete, 31 Il nano…dei venti, 33 Nota cantante ebrea, 34 Non hanno scopo di lucro, 36 Forma d‟arte priva di legami accademici, 38 È inglese, 40 Misurare, 42 Articolo tedesco, 43 Spesso si contrappone alla pratica, 46 La Basilica di Betlemme, 50 Contempla la dimensione del sacro, 53 La casa degli uccelli, 56 Congiunzione inglese, 57 Gran Premio, 59 Si dice del posto originario, 61 La coppa più ricercata della storia, 64 Dà il via e l‟arrivo alla nota gara ciclistica che passa da Bastogne, 66 Italia, 67 Precede tutto il testo, 70 Fornite di ali, 71 Andata, 72 Vi si rifugiano gli animali, 73 Nel mezzo del Nadir, 74 Alessandria, 75 L‟antica città di Troia, 78 A te, 80 Profeta ebraico, 82 Radio nazionale, 83 Figlio di Crono e Rea, 84 La Madonna di Medjugorje, 85 Rifiutò di sposare Renzo e Lucia. VERTICALI 2 Componimento lirico, 3 Pausa, 4 Ha numero atomico 17, 5 La fine della corsa, 6 Questo, 7 Como, 8 Animale ghiotto di miele, 9 La targa di Lecco, 10 Non allegri, 11 Gli ultimi li hanno per estremi, 12 Imperfezione della pelle, 13 Mina le ha pari, 14 Condottiero acheo che assediò Troia, 17 La Tina con Totò in molti film, 20 Pregiato affresco del Masaccio, 21 Il “Santa” che porta i regali, 22 La prescrive il medico, 23 Costruì l‟arca, 25 Si fa ai pantaloni, 26 Articolo maschile, 28 “Q.B.” è quella più frequente, 29 È frequente quella di maltempo, 32 La contrada di via Dupré, 35 Gode di buona salute, 36 Nel tennis è il tocco del bordo della rete, 37 La pittrice messicana Kahlo, 39 Dirige il reparto ospedaliero, 41 Ravenna, 44 Squadra calcistica di Marsiglia, 45 Isernia, 47 Dentro, 48 Li studia l‟enologo, 49 Somme, 51 L‟India non musulmana, 52 Sem-pre meno frequenti per ascoltare musica, 54 Tenuti lontani, 55 Dispari nella corona, 57 Uno dei dodici profeti minori, 58 Sofferta, 60 Una tragedia di Shakespeare, 61 I misteri del lunedì, 62 Asti, 63 Nipote di Abramo, 64 Mezzo di “trasporto” per Tarzan, 65 Genova, 68 Unità di base informatica, 69 Consonanti nell‟azoto, 70 Lo è il 2015, 73 Associazione Nazionale Bersaglieri, 76 Il Dalla della canzone, 77 Lo iato di Siena, 79 È…inglese, 81 Il Banderas attore, 82 Arde in centro.

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