NATURALMENTE · 2009. 12. 8. · Marco Tongiorgi doc. Stratigrafia Università di Pisa NATURALMENTE...

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anno 22 • numero 4 • dicembre 2009 trimestrale NATURALMENTE Fatti e trame delle Scienze Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, CB PISA NATURALMENTE scienza Un numero un po’ speciale Charles Darwin Brunella Danesi La teoria dell’evoluzione e il cancro Anna Maria Rossi Scienza e produzione ideologica (spontanea?) degli scienziati Ranieri Salvadorini Dall’evoluzione all’antropologia Andrea Cavazzini Il linguaggio per comunicare l’evoluzione Marcello Sala Arte e scienza: del colore e dei colori Matilde Stefanini Il verziere di Melusina Laura Sbrana Gracido... striscio… sibilo… salto Marco A .L. Zuffi Recensioni Il falso scopo Vincenzo Terreni

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    anno 22 • numero 4 • dicembre 2009 trimestrale

    NATURALMENTEFatti e trame delle Scienze

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    NATURALMENTEscienza

    Un numero un po’ specialeCharles DarwinBrunella Danesi

    La teoria dell’evoluzione e il cancroAnna Maria Rossi

    Scienza e produzione ideologica(spontanea?) degli scienziati

    Ranieri Salvadorini

    Dall’evoluzione all’antropologiaAndrea CavazziniIl linguaggio per comunicare l’evoluzioneMarcello SalaArte e scienza: del colore e dei colori Matilde StefaniniIl verziere di MelusinaLaura Sbrana

    Gracido... striscio… sibilo… saltoMarco A .L. Zuffi

    RecensioniIl falso scopo

    Vincenzo Terreni

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    Hanno collaborato a questo numero

    1. Un numero un po’ speciale1. Charles DarwinBrunella Danesi29. La teoria dell’evoluzione e il cancroAnna Maria Rossi doc. di Genetica e genetica umana,Università di Pisa38. Scienza e produzione ideologica (spontanea?)degli scienziati Il caso dell’orgasmo femminileRanieri Salvadorini Giornalista freelance47. Dall’evoluzione all’antropologiaLa “nuova sintesi” nelle scienze della vitaAndrea Cavazzini Università di Venezia “Cà Foscari”52. Il linguaggio per comunicare l’evoluzioneMarcello Sala Biologo e formatore, Roma57. Arte e scienza: del colore e dei colori Prima parteMatilde Stefanini Storica dell’Arte, Pisa61. Il verziere di Melusina Di alcune piante di NataleLaura Sbrana64. Gracido... striscio… sibilo… salto Testa dalucertola (non è un insulto): ovvero cosa mi aspettoguardando la tua testa (retrospettiva di un’intervistavirtuale)Marco A. L. Zuffi66. RecensioniBruno Barsella, Francesca Civile, Maria Turchetto71. Il falso scopoVincenzo Terreni

    Degli articoli firmati sono responsabili gli Autori

    Fonti delle illustrazioniCopertina e quarta di copertinaTommaso EppesteingherThe Complete Work of Charles Darwin Onlinehttp://darwin-online.org.uk/

    NATURALMENTE anno 22 • numero 4 • dicembre 2009 trimestrale

    Spedizione: Poste Italiane SpA - Spedizione in abbona-mento postale - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, CB PISAIscrizione al ROC numero 16383Direttore responsabile: Luciano LucianiSegretario di redazione: Enrico Pappalettere([email protected])Redazione: Sandra Bocelli, Francesca Civile, Brunella Da-nesi, Tomaso Di Fraia, Fabio Fantini, Isabella Marini, LuciaStelli, Vincenzo Terreni, Marco ZuffiProprietà: ANISN - Pisa c/o Museo di Storia naturale e delTerritorio, Via Roma, 79 - 56011 Calci (Pi)Impaginazione: Vincenzo Terreni([email protected])Stampa: La bottega della stampa, la Capannina, Lari (Pisa)Abbonamenti:- CC POSTALE: n. 95772273, per bonificiIBAN: IT10J0760114000000095772273intestato a Associazione Nazionale Insegnanti ScienzeNaturali - Pisa- CC Bancario CREDEM: n. 000000059, per bonificiIBAN IT89 E030 3271 1300 1000 0000 059intestato a NATURALMENTE A.N.I.S.N. PISAOrdinario 20,00 euro, ordinario e CD tutto Naturalmente30,00 euro, ordinario e tutto Naturalmente pdf 25,00 euro,sostenitore 35,00 euro, Scuole, Associazioni, Musei, Entiecc. 27,00 euro, biennale 36,00 euro, estero 40,00 euro;singolo numero 8,00 euro; numeri arretrati 12,00 euro; copiesaggio su richiesta.Registrato il 25 febbraio 1989 presso il Tribunale di Pisa aln. 6/89Informazioni: www.naturalmentescienza.it050/571060-7213020; fax: 06/233238204

    Un ringraziamento particolare alle case editriciZANICHELLI e BOVOLENTAper l’aiuto alla realizzazione di questo numero.

    CollaboratoriMaria Arcà Centro studi Ac. Nucleici CNR RomaMaria Bellucci doc. St. Fil. PratoClaudia Binelli doc. Sc. Nat. TorinoLuciana Bussotti doc. Sc. Nat. LivornoStefania Consigliere dip. Antropologia Università di GenovaLuciano Cozzi doc. Sc. Nat. MilanoElio Fabri doc. Astronomia Università di PisaFabrizia Gianni doc. Sc. Nat. Ist. S. Carlo MilanoTiziano Gorini doc. Lettere LivornoAlessandra Magistrelli doc. Sc. Nat. RomaPiegiacomo Pagano ENEA BolognaMarco Piccolino doc. Fisiologia e Storia della ScienzaUniversità di FerraraLaura Sbrana doc. Lettere PisaMarco Tongiorgi doc. Stratigrafia Università di Pisa

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    Charles DarwinBRUNELLA DANESI

    Charles Darwin (1809-1882) nacque a Shrewsbury, dauna famiglia alto-borghese; il padre, Robert, esercitavacon successo la professione medica ed era figlio diErasmus Darwin, medico lui stesso e una delle figurepiù rappresentative dell’illuminismo inglese -poeta,filosofo e naturalista, autore fra l’altro del libro medico-evoluzionista Zoonomia (1794-1796)-; la madre, Susan-nah, era figlia di Josiah Wedgwood, il fondatore del-l’omonima fabbrica di ceramiche, famosa in tutta Eu-ropa. Il piccolo Charles, persa la madre a soli otto anni,fu affidato alle cure delle sorelle più grandi e a nove annientrò nel college locale, diretto da Samuel Butler (1774-1839), brillante studioso e appassionato bibliofilo,autore di saggi e di testi scolastici di geografia di grandesuccesso. La scuola non suscitò il minimo interesse nelgiovane Charles, che così ricorderà quegli anni: Niente

    è stato più sfavorevole allo sviluppo della mia mente quanto lascuola del dottor Butler, che era esclusivamente a indirizzoclassico e nella quale non s’insegnava nient’altro che un po’ distoria e geografia antiche. La scuola fu per me assolutamentepriva di valore educativo (1). Il ragazzo non mancava peròd’interessi; fin da piccolo si appassionò alla chimica e,insieme al fratello Erasmus, mise in piedi un attrezzatolaboratorio, in cui eseguire esperimenti “esplosivi”,tanto che i suoi compagni gli diedero l’appellativo diGas; maturò inoltre una non comune passione per lacaccia, la pesca, la raccolta di qualunque materialeriuscisse a trovare durante le sue escursioni all’ariaaperta. Il padre, prendendo atto del suo scarso rendi-mento scolastico, lo ritirò dal college con due anni dianticipo e decise di inviarlo a Edimburgo, perché,seguendo la tradizione di famiglia, diventasse medico.

    Un numero un po’ specialeChi scorra l’indice di questo numero di NATURALMENTE, o sfogli il fascicolo per una prima esplorazione, noterà immediatamenteuna presenza particolarmente fitta di articoli e recensioni legati al tema dell’evoluzione e dell’evoluzionismo e a molti suoi protagonisti-a cominciare da Charles Darwin.Nell’anno darwiniano, che sta per chiudersi, NATURALMENTE non ha preso iniziative editoriali specifiche, sia per comprensibiliragioni economiche, sia perché non è facile per un piccolo gruppo come il nostro partecipare, conferendo qualche tratto di originalitàe utilità al proprio contributo, a un dibattito ricchissimo e superaffollato da esperti di ogni calibro come quello che ha caratterizzatoquesto anniversario. Tuttavia la nostra rivista ha pubblicato nel 2009 un vero numero speciale, intitolato Oltre il DNA?, costruitointorno a un breve saggio di Giuseppe Longo e Pierre-Emmanuel Tendero con lo stesso titolo, e arricchito da interventi più o menocritici, riguardante il tema dei fondamenti epistemologici della biologia moderna.Anche se non si parla di evoluzione in modo diretto, il dibattito porta inevitabilmente a sconfinamenti in questo campo. Il numerospeciale è stato inviato a tutti gli abbonati, senza spese aggiuntive, ed è acquistabile on line (www.naturalmentescienza.it) da tuttigli interessati non abbonati. Giunti in prossimità della chiusura dell’ultimo numero dell’anno, la Redazione ha constatato cheparticolarmente numerosi erano gli scritti inviati da amici e collaboratori nei mesi precedenti su aspetti diversi dell’evoluzione e dellesue teorie, nonché su libri e riviste comparsi in occasione di questo importante anniversario.Abbiamo perciò deciso di pubblicarli tutti insieme, anzichè diluirli all’interno delle prossime uscite, per rendere un po’ specialequest’ultimo numero del 2009, senza costruire un vero speciale, fisicamente autonomo dalla rivista, perché sarebbe stata una sceltaper noi costosa e forse troppo tardiva. Riteniamo che questi contributi siano interessanti e utili. Anche il lungo pezzo che apre ilsommario, a firma di Brunella Danesi e intitolato semplicemente Charles Darwin, che potrebbe far pensare immediatamente a unripetitivo deja vu, in realtà è il risultato di letture vaste e appassionate, che non tutti potrebbero o vorrebbero ripercorrere. Esso ci presentaun Darwin vivo e palpitante, immerso in una società e in una comunità intellettuale inglese ed europea percorse da dinamiche politichee culturali complesse e intrecciate, caratterizzato, in ogni passo della sua esistenza, da una umanità concreta e tangibile, mite eragionevole, sicuramente un po’ sorprendente rispetto al ritratto oleografico corrente.Lo scritto si rivela ben presto diverso dal solito elenco di notizie che caratterizzano i racconti ormai convenzionali sulla vita di Darwin,ma conserva una dimensione che potrebbe renderlo per molti lettori un po’ speciali (pensiamo a tanti insegnanti alle prese con milleproblemi) uno strumento di lavoro alternativo ai poderosi volumi sulla biografia del grande scienziato.Buona lettura.

    la Redazione

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    EdimburgoCharles si trattenne per due anni (1826-1827) nellacosmopolita Edimburgo, dove si potevano incontrarericercatori, filosofi, scrittori provenienti da tutta Euro-pa; qui socialisti sperimentavano forme di vita comuni-taria; intellettuali si confrontavano sui temi più dibattu-ti del momento: l’origine della vita, il rapporto spirito-materia, la formazione delle rocce per via ignea o daifondali oceanici. Da pochi anni (1820) era stata fondatala Società Frenologica di Edimburgo cui avevano aderitocon entusiasmo molti medici, convinti che le teorie delneuro-anatomico tedesco Franz Joseph Gall (1758-1828) potessero riuscire a stabilire la personalità e lecapacità mentali e morali degli uomini sulla base dellamorfologia cranica.Provvisto di numerose lettere di presentazione fornite-gli dal padre, poté accedere alla tavola delle famiglie piùin vista della città e frequentare gli ambienti Whigs cuitutta la sua famiglia apparteneva da generazioni. IWhigs si battevano per l’abolizione della schiavitù, ilsuffragio allargato, la libera competizione dei mercati,la possibilità di accesso alle cariche pubbliche da partedi Dissenzienti, Cattolici ed Ebrei, insomma per tuttequelle cause attraverso cui la borghesia cercava disottrarre il potere all’aristocrazia e all’alto clero. Lelezioni accademiche erano tenute da docenti spessomediocri, nominati non per particolari meriti scientifi-ci, ma su base ereditaria o per fedeltà indiscussa alpartito Tory, allora al potere; così, molti studenti pre-ferivano seguire lezioni nelle numerose scuole private,sorte in competizione con l’università. Charles, co-munque, si rese ben presto conto di non amare gli studimedici: aveva orrore delle lezioni di anatomia svolte sulcadavere, disertava la sala operatoria, dove –in assenza

    di anestetici- l’abilità del chirurgo consisteva soprattut-to nella rapidità con cui maneggiava bisturi e sega, perabbreviare il più possibile il trauma al paziente legato alletto e vigile. Charles trovava tediose anche le lezioni difarmacologia e l’unico corso istituzionale che frequen-tò assiduamente fu quello di chimica. Così, anche aEdimburgo gli interessi di Charles si volsero altrove;s’iscrisse a una serie di lezioni private tenuta da unoschiavo negro affrancato, John Edmostone, uno deimigliori imbalsamatori del regno, che gli insegnò tuttii trucchi del mestiere per trattare le pelli dei vertebratie per conservare inalterati i pesci e i fragili invertebratimarini e d’acqua dolce. Il tassidermista e Charles diven-nero amici e, dopo la lezione, John descriveva algiovane allievo la dolorosa vita degli schiavi nellepiantagioni del Sudamerica e anche le splendide forestetropicali, facendogli desiderare di poter un giornovedere quei luoghi. Darwin frequentò assiduamente ilMuseo di Storia Naturale della città in cui era presenteuna ricca collezione di organismi esotici e s’iscrisse a uncorso di Scienze in cui erano previste anche lezionipratiche, durante le quali imparò a osservare i materialial microscopio, preparare i reperti, identificare piante eanimali; lezioni in campagna permettevano agli studen-ti di acquisire almeno i primi rudimenti di geologia.A Edimburgo Charles conobbe il naturalista RobertEdmond Grant (1793-1874) che, dopo la laurea inmedicina, si era dedicato allo studio della biologiamarina e avrebbe in seguito ricoperto la prima cattedradi anatomia comparata a Londra. La frequentazionecon Grant fu fondamentale per la sua formazionescientifica: grazie a lui imparò a riconoscere e analizzaregli invertebrati marini, dissezionandoli al microscopio,seguendone le fasi embrionali e larvali, studiandone ladistribuzione e il comportamento; sempre consigliatoda Grant, si cimentò nello studio in lingua originale diHistoire naturelle des animaux sans vertebre di Lamarck,l’opera più moderna ed esaustiva sugli invertebrati.Grant aveva visitato le principali università europee,era in contatto epistolare con le più importanti societàscientifiche ed era amico e collaboratore di ÉtienneGeoffroy de Saint-Hilaire. Il naturalista era un liberopensatore dalle idee radicali, appassionato alle teorie diErasmus Darwin, Lamarck e Geoffroy e, quando sco-prì che anche i molluschi possedevano un pancreas,pensò di aver trovato una conferma della teoria del-l’amico secondo cui tutti gli animali possedevano unpiano di organizzazione simile, segno dell’ascendenzada un antenato comune, a sua volta originatosi daparticelle elementari di vita. Grant, che aveva preso abenvolere il giovane Charles, forse lusingato di poterfrequentare il nipote del grande Erasmus, lo conducevacon sé lungo le coste scozzesi alla ricerca di celenterati,briozoi e molluschi e spesso gli parlava con entusiasmodella trasmutazione dei viventi e dei suoi teorici.

    Erasmus Darwin (1731 - 1802)

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    Nell’Autobiografia Charles così ricorderà le conversa-zioni con Grant: Dichiarò la sua entusiastica ammirazioneper Lamarck e per le sue idee sull’evoluzione. Meravigliato, loascoltai in silenzio ma, a quanto oggi posso giudicare, non ne fuimolto colpito. Avevo già letto la Zoonomia di mio nonno, in cuisi sostengono opinioni analoghe, ma anche questa non aveva avutoalcun effetto sul mio pensiero (...) (2).Lo stesso dottor Robert aveva suggerito al figlio dileggere l’opera del nonno, che affrontava anche moltiargomenti medici, nella speranza che in Charles siaccendesse un po’ di passione per la professione; ilragazzo, diligentemente, aveva accolto l’invito, ma erarimasto dell’avviso che la pratica medica non facesseper lui. Conosceva del resto le idee repubblicane delnonno, il suo poco patriottico entusiasmo per la rivo-luzione francese, la sua vita libertina, così lontana dallarispettabilità borghese di cui invece lo aveva circondatoil padre.A Edimburgo ebbe modo di rendersi personalmenteconto di quanto le tesi lamarckiane fossero considerateeversive; partecipando con una piccola comunicazionesulle larve dei molluschi a una riunione del club perstudenti Plinian Society, poté ascoltare l’intervento di unbrillante giovane medico, William Browne, che sosten-ne che mente e coscienza sono semplici emanazioni delcervello e che quando le classi lavoratrici se ne fosserorese pienamente conto, niente avrebbe potuto tratte-nerle dall’opporsi alle ingiustizie di cui erano vittime.L’intervento suscitò un tale scandalo che gli organizza-tori lo omisero dal verbale e si preoccuparono dicancellare anche l’iscrizione di Browne a parlare, mal-grado molti studenti si ribellassero di fronte a questaintollerabile censura; all’esterno dell’Università, variarticoli condannarono aspramente l’accaduto, soste-nendo che la Plinian Society avrebbe dovuto chiudere eche la scuola di medicina formava atei e materialisti;

    Robert Edmond Grant (1793 - 1874)

    Charles Lyell (1797 - 1875)Il giovane Darwin, che per sua natura amava esserebenvoluto da tutti, si rese conto di come fosse rischiosoesprimere apertamente il proprio pensiero, soprattuttoquando si parlava dell’uomo, ma capì anche che moltiagitatori approfittavano di queste idee per trasformarela società non soltanto a scapito dell’alto clero e dell’ari-stocrazia, ma anche dei ceti medio-alti cui la sua fami-glia apparteneva. Il dottor Robert, visti gli scarsi risul-tati che il figlio stava ottenendo, pensò che l’unicaprofessione adatta a un gentiluomo amante della natu-

    Coleridge (3) stesso, ormai vecchio e malandato, parlòdi un intervento atto a promuovere sollevazioni politi-che. Anche fuori delle istituzioni scientifiche, moltiradicali facevano leva sulle idee di trasformazione deiviventi per cambiare profondamente una società basa-ta sul diritto di casta; per loro la Natura stessa insegnavache il progresso della nazione si sarebbe potuto ottene-re solo attraverso una sana competizione che spazzassevia tutti i privilegi non basati sul merito. Il pensiero delcittadino Lamarck, però, era stato messo all’indice nelRegno Unito e i suoi libri circolavano solo in linguaoriginale, tanto che Philosophie sarà tradotto in inglesesolo nel 1914. Paradossalmente fu Charles Lyell chefece conoscere Lamarck perché, nel secondo volumedi Principi di Geologia (1833), ne espose i concetti fonda-mentali per confutarli; anche per il padre dell’Unifor-mismo, il pensiero del francese era un attentato allareligione che avrebbe portato, se condiviso, allo sgre-tolamento della società costituita. È da notare, tuttavia,che Lyell -letto il libro- aveva scritto al geologo Mantell:Ho divorato Lamarck… le sue teorie mi hanno deliziato.

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    ra e della vita all’aria aperta, fosse quella di pastoreevagelico; ciò gli avrebbe dato rispettabilità, una certasicurezza economica e tempo libero sufficiente percurare le proprie passioni; il ragazzo, che aveva ideevaghe sul proprio futuro, fu d’accordo. La sede prescel-ta per l’avvio al sacerdozio fu Cambridge.

    CambridgeCambridge era tenuta saldamente nelle mani del cleroanglicano che ne controllava tutte le istituzioni, soprat-tutto attraverso la presenza di proctor -veri e propriguardiani della morale- che vigilavano su studenti eabitanti e comminavano pene severe ai trasgressori.Il tempo trascorso a Cambridge fu sprecato nel modo piùmiserevole... (4). Questa affermazione non è esatta; anchese Charles frequentava feste e “giovani sportivi, alcunidei quali dissoluti e poco intelligenti”, faceva lunghecavalcate, non rinunciava mai a una battuta di caccia oalla pesca, gli anni di Cambridge (1828-1831) furonofondamentali per la sua formazione di naturalista:studiò il Viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo continentedi Alexander von Humboldt e ne rimase talmenteaffascinato da progettare un viaggio alle Canarie. Lapreparazione alla professione di curato di campagnaprevedeva studi che Charles non gradiva, come giàaveva verificato al college. Trovava insopportabilmen-te noiosi il greco e il latino e aveva difficoltà conl’algebra, ma studiò con attenzione e piacere i due testidi William Paley (5) Evidence of Christianity (Prova dellacristianità) e Moral and political Philosophy (Filosofia moralee politica), trovando le argomentazioni dell’arcivescovomolto convincenti e la sua logica stringente; proprio laconoscenza di questi testi gli consentì di superaredignitosamente l’esame finale.I suoi interessi maggiori, però, erano altrove: divenneespertissimo nella caccia, cattura e relativa conserva-zione degli insetti e, insieme al cugino William DarwinFox, batté palmo a palmo le campagne inglesi allaricerca di coleotteri, mettendo insieme una collezioneinvidiabile e intessendo una fitta rete di relazioni conaltri appassionati con cui scambiava il materiale. L’espe-rienza che aveva maturato con Grant, unita allo studiodi numerose guide di sistematica, gli fu molto utile perclassificare i suoi esemplari; strinse con diversi futurisacerdoti naturalisti legami di amicizia che sarebberodurati per tutta la vita e in particolare divenne intimo diJohn Henslow (1796 - 1861), vicario di Cholsey. Questipossedeva una solida formazione scientifica; professo-re di mineralogia a Cambridge, nel 1819 aveva accom-pagnato Adam Sedgwick (1785 - 1873), uno dei fonda-tori della geologia moderna, in un tour all’isola diWhight; in seguito aveva spostato i suoi interessi versola botanica. I due divennero talmente assidui cheCharles fu presto noto come “l’uomo che passeggiacon Henslow”; insieme raccoglievano piante e minerali

    e Charles trovava l’andare a erborare altrettanto appas-sionante che il dar la caccia agli insetti; così, seguì ilcorso di botanica tenuto dall’amico. Non aveva fre-quentato le lezioni accademiche di geologia di Se-dgwick, ma recuperò il tempo perduto perché Henslowchiese all’amico di impartire qualche lezione pratica eteorica a Charles; questi fu ben lieto di avere un giovaneaiutante e Charles trovò il vecchio maestro moltoautorevole e pieno di fascino. Insieme si recarono nelGalles del Nord, dove il giovane imparò i trucchi delmestiere e presto fu in grado di condurre autonomerilevazioni stratigrafiche, utilizzare con sicurezza ilclinometro e il martello, tracciare accurate mappegeologiche dei territori visitati. Durante questa escur-sione si imbatté anche in ossa fossili di mammifero evide una ricca collezione che testimoniava come untempo la regione fosse stata abitata da una fauna ormaiscomparsa. Fu un apprendistato prezioso che, insiemealla lettura dei Principles di Lyell, i cui volumi studiò,freschi di stampa, durante il viaggio, gli avrebbe per-messo di modellare la cornice indispensabile alla suateoria.

    Alexander von Humboldt (1769 - 1859)

    continua...

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    La teoria dell’evoluzione e il cancroANNA MARIA ROSSI

    PremessaAlcune delle ipotesi prese in considerazione in questoarticolo son ben fondate e sostenute da numeroseevidenze sperimentali ed osservazioni epidemiologi-che. Altre, invece, pur essendo molto plausibili, sonoancora a livello puramente speculativo.

    Il cancro comprende un gran numero di patologietumorali, che colpiscono vari tipi di cellule e tessuti epresentano caratteristiche diverse a seconda dell’orga-no colpito e del grado di malignità raggiunto. Purcoprendo un ampio spettro di malattie, le svariateforme condividono alcuni elementi distintivi, tra cuiuna particolare capacità proliferativa delle cellule checostituiscono il tumore e la loro aggressività nei con-fronti degli altri tessuti dell’ospite.Il processo che porta allo sviluppo del cancro, dettocancerogenesi, non ha un andamento definito, anzi sipuò dire che ogni cancro ha una sua storia, che puòcompiersi in tempi brevi o nell’arco di anni o addirittu-ra di decenni. In genere, però, il processo prende il viada una cellula progenitrice che subisce un’alterazionegenetica o epigenetica (1), trasmissibile al clone dicellule che derivano dalla sua moltiplicazione, chediventa incontrollata.Un importante paradigma della cancerogenesi deglianni ’80 è fondato sul riconoscimento che molti cance-rogeni ambientali (per esempio costituenti del fumo,della dieta, dei farmaci, l’inquinamento, le radiazioni,etc.) causano mutazioni e quindi che l’esposizione aquesti agenti causa il cancro attraverso l’induzione dialterazioni genetiche (2). Oggi questo paradigma nonha minimamente perso la sua validità, ma è insufficien-te a spiegare la complessità del fenomeno.La cellula somatica alterata può anche essere presentefin dalla nascita (3), ma la sua moltiplicazione rimarràsotto controllo fino a che l’ambiente, o meglio ilmicroambiente, in cui si trova non sarà favorevole allasua espansione. Quindi l’ambiente non solo innesca ilprocesso, ma continuamente ne influenza il destino permezzo della selezione naturale, anche se il temponecessario può essere molto variabile ed è imprevedi-bile, come in qualunque fenomeno evolutivo. Nelquadro della teoria di Darwin, la cancerogenesi puòessere interpretata come l’evoluzione di una popola-zione di cellule, con una dinamica simile a quella di unapopolazione di organismi (4).Già negli anni ’20, era stato postulato che ciascuncancro fosse il risultato di un processo evolutivo soma-

    tico indipendente, che implicasse cicli ripetuti di eventidi mutazione e di selezione. Questa ipotesi, che è stataripresa a partire dalla metà degli anni ‘70 (5)(6), èsuffragata dalle più recenti acquisizioni scientifiche erappresenta l’oggetto di questo articolo.

    Il modello darwiniano della cancerogenesiLa cancerogenesi può essere paragonata sia al processoche porta alla speciazione in un dato ambiente siaall’adattamento di individui di una specie a determinatecondizioni ambientali. In entrambi i fenomeni evoluti-vi, come nella cancerogenesi, la variazione e la selezio-ne hanno funzioni essenziali e in parte complementari.Nel corso della cancerogenesi si possono schematica-mente individuare due fasi:1. la variazione o trasformazione.In genere il primo evento (iniziazione) è una mutazioneo un’epimutazione che permette al clone iniziale dieludere i meccanismi di controllo della divisione cellu-lare e quindi di proliferare in modo incontrollato.2. la competizione/selezione.Nel corso dell’espansione clonale (progressione) av-vengono altri eventi genetici che portano alla diversifi-cazione delle cellule iniziali e, attraverso un processo dicompetizione tra i vari cloni e tra cellule neoplastichee cellule “sane” dell’organismo, si verifica una selezio-ne del clone più adatto (che non sempre è quellotumorale).Negli stadi più avanzati è possibile che non si ritrovi piùla mutazione iniziale, perché il clone primario puòessersi “estinto” per effetto della competizione concloni più aggressivi che hanno preso il sopravvento oper cambiamenti avvenuti nel microambiente, in cui sisono create condizioni non permissive per la suasopravvivenza.Secondo il modello dell’evoluzione clonale, i tumori sisviluppano da una sola cellula iniziale, la cui progenieattraversa una successione di eventi, che non avvengo-no rigidamente nello stesso ordine. Peter Nowell scri-ve: I tumori diventano spesso più aggressivi e più malignidurante la loro storia evolutiva il cui corso può avere duratavariabile… Questo fenomeno, detto progressione tumorale, ègraduale… e potrebbe riflettere la comparsa sequenziale all’in-terno del tumore di sottopopolazioni sempre più diversificategeneticamente e quindi che hanno acquisito nuove proprietà.... (7)La dinamica è quella di un’alternarsi di fasi di diversifi-cazione e di selezione di sottopopolazioni con nuovecaratteristiche, legate in parte ad un aumento dell’atti-vità proliferativa e alla capacità di sfuggire ai meccani-

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    smi di controllo della divisione cellulare. Queste nuoveproprietà includono una risposta alterata ai fattoriormonali (8) ed ai segnali che inducono il differenzia-mento (9), la perdita di recettori per i fattori cheinibiscono la moltiplicazione e la produzione autocri-na, cioè autostimolante, dei fattori di crescita cheinvece la stimolano. La popolazione neoplastica nonaumenta il tasso di proliferazione accorciando il tempodi divisione, ma piuttosto aumentando la frazione dicellule anormali che continua a dividersi, invece diandare incontro al differenziamento o alla morte. Nelcontempo vengono acquisite proprietà associate aduna maggiore invasività rispetto ai tessuti circostanti edalla capacità di disseminarsi in altri tessuti (metastasi).Vengono mascherati i determinanti antigenici che per-mettono al sistema immunitario di riconoscere le cellu-le trasformate e compare anche una maggiore resisten-za alle sostanze citotossiche (10).Nelle fasi avanzate della cancerogenesi, ci possonoessere nello stesso tumore decine o centinaia di popo-lazioni cellulari diverse rispetto a ciascuna di questeproprietà o sottogruppo di esse, per cui alcuni clonisembrano più avanti nel percorso che porta ad unamaggiore aggressività e malignità rispetto ad altri. L’ete-rogeneità biochimica, genetica e immunologica dellecellule del tumore ha acceso un lungo dibattito sel’origine del cancro sia monoclonale o policlonale, cioèse esse derivino da una singola cellula o da cloni diversi.Il punto critico del processo neoplastico che porta allamalignità sembra legato proprio all’espansione di unoo più cloni che hanno un potenziale di aggressivitàmaggiore di altri per aver acquisito un vantaggio

    selettivo in uno specifico milieu. Ma quali proprietàcaratterizzano questo/i clone/i? e quali sono le circo-stanze in cui si esplica il suo/loro vantaggio? Questadomanda è ancora senza risposta: non essendo deltutto chiaro quali proprietà conferiscano un maggiorvantaggio selettivo alle cellule trasformate, non è faciledistinguere quali cambiamenti siano veramente impor-tanti e quali invece costituiscano una sorta di rumore difondo.Secondo alcuni autori, l’evoluzione clonale parte da unsingolo clone, geneticamente instabile (fenotipo muta-tore), che ha una maggiore probabilità di andare incon-tro ad alterazioni del genoma e procede per selezionedelle varianti che si generano, molte delle quali sonotalmente deteriorate da non poter sopravvivere (11).Tra le tante varianti prodotte, anche una sola cheacquisisse un vantaggio selettivo potrebbe espandersi,diventando il clone prevalente. La presenza continua disottopopolazioni che si diversificano spiegherebbel’eterogeneità che si osserva nell’ambito del tumoreconclamato. Secondo altri autori, invece, non è neces-sario postulare l’esistenza del fenotipo mutatore se lapressione selettiva è sufficientemente potente da ren-dere vincenti le cellule del clone più aggressivo (12).Forse uno dei modelli più documentati che sostengonol’ipotesi dell’evoluzione clonale è quello del cancro delcolon. Nel modello proposto da Fearon e Vogelstein(13), che è noto anche come ipotesi a multi-hit (14), laprogressione tumorale parte da una miriade di piccoleescrescenze della mucosa intestinale, detti polipi, daiquali evolvono prima delle forme benigne, gli adenomi,

    Il cambiamento evolutivo secondo Darwinha origine da un processo governato dal caso

    Le cellule tumorali si comportano come unapopolazione in cui si accumulano mutazioni che si generano per effetto del caso

    La mutazione è la fonte primaria dellavariabilità ed ha una contropartita: il caricogenetico L’evoluzione è il risultato di una selezione naturale cioè della sopravvivenza e dellariproduzione differenziale di soggetti chedifferiscono per alcune caratteristiche

    Le cellule tumorali si diversificano per mutazionisuccessive ed hanno un vantaggio selettivo sullecellule normali perché si dividono ad un tassomolto più elevato

    L’adattamento è la capacità di sopravviveree/o di riprodursi in un determinatoambiente

    Le cellule neoplastiche si confrontano con diversepressioni selettive, si adattano e tendono amodificare l’ambiente a loro vantaggio

    Il cambiamento evolutivo non è necessariamente “buono”

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    Scienza e produzione ideologica(spontanea?) degli scienziatiIl caso dell’orgasmo femminile

    RANIERI SALVADORINI

    Pubblichiamo in questo numero di NATURALMENTE una versione leggermente ridotta di un breve saggio di Ranieri Salvadorini,comparso sul numero 8 del 2008 di QUADERNI MATERIALISTI (Edizioni Ghibli, Milano), insieme a numerosi altri di vari Autori,sotto il titolo Darwin tra natura e storia. La curatrice del volume è Maria Turchetto.Nell’articolo Salvadorini sviluppa un’analisi puntuale e articolata di un recente libro di Elisabeth Lloyd, allieva di S. J. Gould, sulleinterpretazioni in chiave evolutiva dell’orgasmo femminile nella nostra specie. L’analisi si sviluppa in molteplici direzioni, illuminandonon solo i termini dell’aspro dibattito in corso fra gli studiosi di evoluzione sul tema centrale dell’adattamento a partire dal caso inoggetto, ma anche i fattori culturali –spesso meno chiari e consapevoli per gli stessi scienziati protagonisti- che condizionano non dirado pesantemente i processi della produzione di modelli e teorie da parte della comunità scientifica.La Redazione di Naturalmente ringrazia per la gentile collaborazione sia l’Autore che la curatrice del volume citato.

    La biologa dell’evoluzione e filosofa della scienza Eli-zabeth Lloyd, allieva di Stephen Jay Gould, mostra inmodo convincente in un suo lavoro recente, Il casodell’orgasmo femminile. Pregiudizio nella scienza dell’evoluzione(1), che l’orgasmo femminile non ha una funzioneevolutiva, o almeno che quest’idea è insostenibile sullabase delle prove disponibili. Al tempo stesso interpretala risposta fisiologica della femmina umana come “do-nazione embriologica casuale”, una “potenzialità” (2)che può attivarsi in determinate circostanze. L’idea chel’orgasmo femminile sia il risultato delle pressioniselettive ha un prezzo sociale troppo alto, oltre adessere scientificamente più fragile, poiché implica lariduzione della sessualità femminile, in qualche modo,alla funzione riproduttiva.Il tentativo di slegare la sessualità femminile dallafunzione riproduttiva è condotto affrontando la com-plessità del dibattito evoluzionista, rileggendone inmodo critico le categorie alla luce degli studi, semprenuovi, di biologia, genetica, fisiologia e primatologia.L’aspetto davvero significativo e interessante di questogrosso lavoro di ricostruzione storico-logico-critica èla radicalità della critica mossa al modo di produzionescientifico.La sua tesi risulta tanto più convincente, documentata,solida e rigorosa, quanto più emerge in che misural’ideologia sia penetrata, al di là delle intenzioni e/odella consapevolezza degli scienziati stessi, nella comu-nità scientifica e nel processo di produzione scientificanel corso del Novecento, condizionandone in mododeterminante lo sviluppo storico. Di lì in poi le traccedel condizionamento sono ben visibili, e innescanouna dialettica tra ipotesi scientifiche avverse solo inapparenza, ma in realtà speculari. Posizioni scientifiche(e politiche) diverse si ritrovano, loro malgrado, asostenere l’idea che l’orgasmo femminile una funzione

    evolutiva ce l’abbia, giustificando così il primato delsesso riproduttivo. Tale logica è sbagliata, e nei suoitratti teorici essenziali lascia ben poco spazio al caso,centrando viceversa il resoconto evolutivo su unoschema rigidamente meccanicistico: se un determinatotratto esiste, una funzione dovrà avercela, e se non èstata trovata, sicuramente un errore è stato commesso.Questa istanza necessitante è una forma di determini-smo che nella storia della scienza può rivelarsi parados-salmente molto produttiva; non va rigettata a priori, alcontrario; ma è necessaria una vigilanza rigorosa perintervenire, qualora si ritenga che il confine tra determi-nismo rigido e dogmatismo pernicioso sia stato supe-rato. In questo lavoro è ben documentato il “percorsodel pregiudizio”, da potenzialmente positivo a perico-losamente distruttivo. Vedremo per quale parte dellacomunità scientifica si può esprimere un giudizio tantosevero.

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    Dall’evoluzione all’antropologiaLa “nuova sintesi” nelle scienze della vita

    ANDREA CAVAZZINI

    Il panorama scientifico contemporaneo vede le scienzedella vita conquistare il rango di scienze guida. Oggiesse costituiscono un focus intorno al quale molti altridiscorsi (scientifici, giuridici, politici) si organizzano ediventano comprensibili. Le scienze biologiche forni-scono paradigmi, spesso in modo soltanto analogico, atutti gli altri campi del sapere. Le scienze cognitive e lericerche psicologiche fanno sempre più riferimento aconoscenze biologiche per proporre modelli valididella conoscenza e del pensiero; la psicopatologia èsempre più egemonizzata dai paradigmi biologici; lescienze umane cercano relazioni e combinazioni pos-sibili con le scienze della vita.La specificità della situazione attuale delle scienze dellavita si caratterizza per un tratto sconosciuto alle con-giunture precedenti: la centralità del concetto di evolu-zione -un concetto che è, per l’essenziale, quello del-l’evoluzione darwiniana. L’età dell’oro dell’evoluzionismocome ideologia è stata la seconda metà del XIX secolo,ma si può supporre che, in quel caso, la teoria darwinia-na si inserisse in un clima ideologico autonomo: Her-bert Spencer aveva elaborato la sua versione dell’evo-luzione prima di Darwin ed è quella versione che si èimposta come ideologia ufficiale del mondo industria-lizzato. Nel discorso evoluzionista corrente all’epoca ildarwinismo non era che una delle varianti di una fedegeneralizzata nel progresso e nella superiorità dellaciviltà europea. Per contro, le scienze della vita nonerano affatto unificate sotto il cappello dell’evoluzione:il campo biologico del XIX secolo era diviso tra leteorie dell’evoluzione (darwiniane e non), la tradizionepsicologica (Claude Bernard, Helmholtz, JohannesMuller) e il pasteurismo (che ha fornito strumenticoncettuali al movimento igienista). Tra il XIX e il XXsecolo, il darwinismo è sembrato addirittura irreversi-bilmente in crisi e in via di sparizione.Oggi invece l’evoluzionismo darwiniano è portatore diun ruolo quasi trascendentale nelle scienze della vita, edunque in tutte le discipline che utilizzano concetti,teorie, immagini o stili di ragionamento ricavati dadette scienze. Ma tutto questo è vero solo a partire dallacosiddetta Sintesi Moderna che, a cominciare daglianni ’30, combinò darwinismo e genetica mendeliana,facendo delle piccole mutazioni genetiche la base ma-teriale delle variazioni la cui accumulazione continua,guidata e determinata dalla selezione naturale, sarebbestata sufficiente a spiegare i processi di evoluzione. Inquesto quadro l’evoluzione divenne un processo sem-

    plice e univoco, caratterizzato da un adattamento cre-scente degli esseri al proprio ambiente, attivo essenzial-mente al micro-livello (da cui si può estrapolare ladinamica macro-evolutiva, cioè la formazione di nuovespecie).Già a partire dagli anni ’30 e ’40, tuttavia, un evoluzio-nista eretico come Conrad Hal Waddington avevaavanzato riserve su questo schema molto semplificatoe aveva proposto un modello del processo dell’evolu-zione come interazione di quattro sotto-sistemi: ilsistema genetico, che presiede alla trasmissione del-l’eredità tra le generazioni, il sistema della selezionenaturale, responsabile dell’adattamento all’ambiente, ilsistema epigenetico, che presiede all’espressione deigeni nel fenotipo nel corso dello sviluppo del vivente,e il sistema di sfruttamento, costituito dall’interazionetra vivente e ambiente da esso scelto e selezionato invista della sopravvivenza.

    Raccolta 1987 - 20081.106 articoli

    263 recensioni5.145 pagine

    ricerca libera per Autori, titoli, parole su tutto il testo

    NATURALMENTEFatti e trame delle Scienze

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    Il linguaggio per comunicarel’evoluzione

    MARCELLO SALA

    Come parlano di evoluzione studenti di 17 anni:tipi di errori concettualiHo chiesto a studenti di 17 anni di rispondere in nonpiù di tre righe e in non più di 3’ alla domanda che cos’èl’evoluzione?.Non riporto dati statistici: non si tratta di una ricercaquantitativa; la prospettiva è quella del formatore chesi occupa dello sviluppo della conoscenza scientificadei bambini e in generale dei non esperti. Intendosottoporre all’attenzione degli insegnanti e di coloroche fanno comunicazione scientifica il problema chesollevano le risposte che seguono, che sono condivisein forme simili da almeno la metà dei ragazzi interpellati(due classi di liceo a orientamento bio-sanitario, chequindi hanno studiato l’evoluzione). Sono convintoche chiunque possa ottenere risposte simili in qualsiasiscuola e che siano risposte significative in merito allaconoscenza dell’evoluzione in Italia oggi.Le circostanze della produzione di queste rispostefanno parte di una tecnica formativa; i limiti stringentidi tempo e spazio imposti non consentono di elaborarerisposte esperte, ma favoriscono l’emergere delle rappre-sentazioni culturali più diffuse e più profondamenteradicate nel contesto sociale in cui i soggetti vivono.L’evoluzione è un cambiamento fondamentale nel corso della vita.... è un processo con il quale un organismo animale o vegetalecambia quindi si evolve.Le evidenziature (1) mostrano errori concettuali; inquesto caso: l’evoluzione è un cambiamento delle specieviventi che si realizza attraverso il succedersi delle generazioni;è un fenomeno di natura e di scala completamentediversa dallo sviluppo del singolo organismo nell’arcodella sua esistenza (errore di tipo individuo).... rappresenta dei cambiamenti che portano una specie a cambia-re delle proprie parti o delle proprie abitudini per adattarsi meglioall’ambiente e per riuscire a sopravvivere.La direzione dell’evoluzione non è necessaria né casua-le, ma contingente: l’evoluzione non è finalizzata (erroredi tipo finalità).... rappresenta dei cambiamenti che portano una specie a cambia-re delle proprie parti o delle proprie abitudini per adattarsimeglio all’ambiente riuscire a sopravvivere.L’adattamento è il risultato e non lo scopo del cambiamento(errore di tipo effetto-causa).... rappresenta dei cambiamenti che portano una specie a cam-biare delle proprie parti o delle proprie abitudini peradattarsi meglio all’ambiente e per riuscire a sopravvivere.

    L’evoluzione non è finalizzata tanto meno in modointenzionale e consapevole da parte del soggetto cheevolve, cioè la specie (errore di tipo animismo). Del restoil singolo organismo, anche qualora sia dotato di inten-zionalità, è fortemente limitato nella possibilità dicambiare se stesso.... è il cambiamento delle specie in meglio, in un certo senso ilprogresso delle specie.L’evoluzione non è progresso né miglioramento, masolo cambiamento (errore di tipo progresso).L’evoluzione è un cambiamento in positivo che permette dimigliorare alcune caratteristiche di un qualsiasi organismoper adattarsi all’ambiente.(errori di tipo progresso, progresso, individuo, finalità, e effetto-causa).

    Come parlano di evoluzione bambini di 8 anni:pensieri profondiRiporto ora alcune espressioni di bambini di 8 anni, chenon hanno studiato l’evoluzione a scuola, raccolte nelcorso di una esperienza condotta in una classe terzaprimaria (2), durante una conversazione in cui l’inse-gnante rispettava la condizione di non esprimere maiproprie idee nel merito né valutazioni su quelle espres-se dai bambini.

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    Arte e scienza: del colore e dei coloriPrima parte

    MATILDE STEFANINI

    Al termine del suo saggio La vista e i colori, ArthurSchopenauer scrive: “Ma il postero, quell’unico tramilioni, che sarà cosciente della sua forza di produrrenell’arte e nella scienza qualcosa di originale, di nuovo,di straordinario e che quindi nell’arte dovràprobabilmente combattere contro qualche stilesuperato, nella scienza dovrà certamente contrapporsia qualche antica assurdità: costui prima di consegnarela sua opera ai contemporanei, rifletta dunque sullevicende della Teoria dei colori di Goethe; dall’Optics, cheallora, ormai da lungo tempo, si troverà come puromateriale bibliografico nelle biblioteche, imparerà aconoscere il fantasma newtoniano a cui non crederàpiù nessuno; legga subito dopo la Teoria dei colori diGoethe, il cui contenuto fondamentale, brevemente econcisamente, gli sarà già stato insegnato a scuola;infine legga anche quanto, dei documenti sul-l’accoglienza all’opera di Goethe i vermi avrannorisparmiato e il suo stoicismo saprà sopportare; paragonil’inganno evidente, gli esperimenti truccati dell’Opticsdi Newton con le verità così semplici, così facilmentecomprensibili, così inequivocabili presentate daGoethe...” (1)Non si dovrebbero mai fare predizioni sul futuro. Esoprattutto in questioni che riguardano la fisica, lafisiologia umana e i problemi di percezione. E l’arte.La previsione fallisce anche sul fatto che pochi sisarebbero occupati del problema: dopo la metà dell’ot-tocento è stato tutto un fiorire di letteratura sull’argo-mento e, con buona pace di Schopenauer, sono gliesperimenti newtoniani che vengono insegnati a scuo-la, mentre la teoria di Goethe fa capolino, ogni tanto,negli insegnamenti di Storia dell’Arte -anche perché inItalia la materia è negletta e la prima traduzione deltrattato nella nostra lingua è avvenuta solo nel 1972 (!)-come un modello di idealismo empirico, dove l’ele-mento colore è luce modificata dalle tenebre.Ma la luce, per Goethe, non è quella solare: è un’entitàpuramente spirituale ed è la base comune a tutte lesensazioni di colore. I processi fisici possono essereimportanti per il prodursi della percezione, ma nonhanno nulla a che fare con l’essenza della medesima: unaposizione diametralmente opposta a quella della scien-za sperimentale, che dallo studio del fenomeno deducela regola, mentre per il letterato tedesco l’idea è primariae il fenomeno fisico è utilizzato per confermarla (2).Newton pubblica l’Optics nel 1704. Lo scritto rappre-senta la base dei successivi studi scientifici sulla percezio-

    ne [scientifica] dei colori attraverso un principio fisicoe, com’è noto, presenta esperimenti in cui si analizza larifrazione della luce attraverso un prisma di vetro finoad arrivare a scomporre lo spettro della luce solare neicolori denominati rosso, arancio, giallo, verde, blu,indaco e violetto. Questi diventano componenti di undisco rotante che, per effetto del suo movimento, creauna luce “bianca” (3).Goethe si opponeva alla teoria scientifica che sostene-va la struttura della luce “bianca”, arrivando a indivi-duare una procedura della visione in cui la suppostafisiologia era in realtà la capacità di percepire la sensa-zione del colore, quindi qualcosa di meramente sogget-tivo.Schopenauer e Goethe hanno avuto, comunque, ilmerito di aver messo per primi in relazione la retina, lavisione e la soggettività del percipiente, anche se oggisappiamo che il sistema è ben più complesso di quantosia stato poi teorizzato dagli artisti nella seconda partedell’ottocento, a partire dall’impressionismo fino allascomposizione dei puntinisti e dei divisionisti, chemettevano punti o filamenti di colore accostati, adesempio un rosso e un giallo, per ottenere, in sintesi,sulla retina l’arancio, basandosi proprio sullo spettronewtoniano.

    NATURALMENTEscienza

    MARIA ARCÀInsegnare Biologia

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    Il verziere di MelusinaDi alcune piante di Natale

    LAURA SBRANA

    La presenza di un elemento vegetale sempreverde hasempre caratterizzato le feste del solstizio invernale:pare che si possa risalire addirittura a Babilonesi edEgizi che per questa occasione utilizzavano, almenocosì sembra, l’albero del paradiso (il nostro ailanto?), poicristianizzato in pianta che perde le foglie per il peccatodi Adamo ed Eva e le riacquista alla nascita di Gesù;l’albero del paradiso sarà tanto importante da diventarepiù tardi elemento scenico “deputato” nei Misteri me-dievali.Quanto all’“albero di Natale”, si racconta che nel 720d.C., in pieno dicembre, il missionario san Bonifacio(o, forse, san Vilfredo!), dopo aver invitato i Celtiancora pagani ad abbattere la quercia di Thor, persistenteoggetto di culto da parte degli ultimi Druidi a Geismar,nell’odierna Assia, vide la pianta colpita da un fulmineche la divise in quattro pezzi: questi si disposero a croceintorno ad un piccolo abete lasciato miracolosamenteintatto dalla folgore, il santo interpretò l’evento comeun segno prodigioso legato alla nascita di Cristo e vollecosì tramandarlo proprio con l’albero che ne era statoprotagonista. L’uso natalizio di alberi sempreverdi èdocumentato già nel 1441 in Estonia, nel 1444 aLondra, nel 1510 in Lettonia; nel 1531 in Alsazia undecreto a protezione delle foreste ingiungeva che nonsi potessero utilizzare per questa festa arbusti alti più diotto piedi.In Germania è testimoniata ai primi del Seicento lapresenza di un “albero di Natale”, non meglio identi-ficato, addobbato di rose (simbolo di Maria), seppur dicarta, mele (ricordo dell’albero del paradiso) e cialde(che rimandano all’ostia); pare che sia stato per primoMartin Lutero a “istituzionalizzare” gli ornamenti del-l’albero, in ricordo di un abete sui cui rami, coperti dineve, aveva visto di notte brillare le stelle, mentrel’aggiunta delle candele sembra risalire al 1660.Nel 1740 alcuni coloni moravi immigrati portarono unimprecisato “albero di Natale” in quelli che sarebberopoi diventati gli Stati Uniti d’America, mentre nel 1781soldati tedeschi mandati a rinforzare i difensori delQuebec ne diffusero l’usanza in Canada; in Franciapare che solo nel 1840 la principessa tedesca Elena diMecklemburgo, che aveva sposato il duca d’Orléans,figlio di Luigi Filippo, abbia allestito il primo “albero diNatale”, precisamente alle Tuileries, provocando sor-presa generale e desiderio di imitazione, ma l’usanzadiventò veramente popolare solo con l’arrivo degliAlsaziani espatriati dopo la grave sconfitta di Sedan del1870.

    Negli USA, ed esattamente a New York, si ebbe nel1851 il primo commercio di “alberi di Natale”che poinel 1856 fecero il loro ingresso ufficiale alla CasaBianca.Non va dimenticato che nell’Ottocento era molto invoga l’albero di piume, generalmente d’oca, colorato diverde o al naturale, antenato dell’albero sintetico, e chei primi alberi di Natale erano generalmente piccoli ependevano da una trave del soffitto; c’è stata, però, unaparticolare eccezione: negli USA nel 1926 fu proclama-ta Albero di Natale della Nazione una gigantesca sequoiadella California, alta ottanta metri e con una circonferen-za di trenta metri: si trova(va) nel Parco Nazionale diKings Canyon, era la terza per grandezza in America,era detta Generale Grant e si pensava che avesse quattro-mila anni; recenti e raffinati studi dendrocronologicihanno stabilito che in realtà gli anni eran circa duemila,gli stessi anni del Natale!Non bisogna dimenticare che, anche se oggi quasiovunque l’“albero di Natale” è l’abete, altre piante sonostate associate, con varie leggende, a questa festa, peresempio il ciliegio che, secondo il Vangelo dello pseudo-Matteo, per ordine divino si piegò per permettere allaMadonna incinta di cibarsi dei suoi frutti: il ricordo diquesto miracolo è ancora presente in un popolare cantonatalizio inglese, Cherry-tree carol. Piante natalizie son statenel tempo considerate anche le palme, perché, secondo iVangeli apocrifi, si inchinarono in direzione di Betlemmeper indicare la via ai Re Magi; e il frassino, perché, quandoi pastori arrivarono alla grotta, per scaldare Maria e Gesùnon trovarono altro che quest’albero che tagliarono eche, sebbene verde, prese subito fuoco.Ed ancora il crisantemo, perché, secondo una pia leggen-da, i Magi, giunti a Betlemme, si persero nella notte, matrovarono un fiore a forma di stella (la cometa?). Mel-chiorre lo colse e ai loro occhi si mostrò la via che portavaalla grotta con la Sacra Famiglia; ed il rosmarino, perchéaveva offerto alla Madonna dove stendere le fasce diGesù durante la fuga in Egitto: il rosmarino si adoperavamolto in passato nelle chiese per le decorazioni di Natale,infilzando sui suoi aromatici rami mele rosse.

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    Gracido... striscio… sibilo… saltoTesta da lucertola (non è un insulto): ovvero cosa mi aspettoguardando la tua testa (retrospettiva di un’intervista virtuale)

    MARCO A. L. ZUFFI

    Mi chiedo se riuscirò a presentarvi i prossimi contributiin modo formalmente compassato.Per ora desidero mantenere uno standard dinamico e,per quanto possibile, il più informale possibile.Veniamo a noi.Dire testa da lucertola può sembrare facilmente un insultoe, forse tra zoologi, potrebbe anche esserlo. Con iltermine “lucertola” noi italiani intendiamo un piccolorettile, con coda e quattro zampe del genere Podarcis,Archaeolacerta o Zootoca, mentre tra gli anglosassoni conlizard si intende tutto ciò che può essere una lucertolapropriamente detta, ma anche un iguanide, un’agami-de, un teide, un varanide. Alcuni di questi Sauri, ineffetti, sono anche bruttini, altri di meno. Quindi, sevogliamo, il dare della lucertola a qualcuno si potrebbetranquillamente configurare come un appellativo nonsimpatico. Studiare la morfologia e l’anatomia di unalucertola, della sua testa in particolare, invece riservadelle sorprese alquanto interessanti e stimolanti.In generale, lo studio della morfologia del capo rientranegli scopi dei morfologi e dei sistematici, perchél’analisi di lunghe serie di esemplari (meglio con seriemuseali, di esemplari conservati in alcool o in formal-deide) permette di controllare le fonti di variazione diun parametro cefalico, come la lunghezza o larghezzadi una squama, la variazione nel numero delle squamedella mascella o, ancora, il numero di squame checircondano per esempio la membrana timpanica. Daovest a est di una data area, ad esempio, si può vederequanto un certo parametro può cambiare (o meno) inuna stessa specie o tra popolazioni di sottospecie di unastessa specie o tra specie strettamente imparentate (iramarri del genere Lacerta, le lucertole spagnole, Podar-cis carbonelli, o altre ancora). Se chiedessi (potessi farlodavvero…) a una lucertola, cosa mangia, oltre a rispon-dermi probabilmente che sono fatti suoi, potremmoper altro avere informazioni piuttosto interessanti,oserei dire gustose, sulla dieta, sulla frequenza di ali-mentazione, sulle differenze tra i sessi sia complessivesia di tipo stagionale, ma anche sulle preferenze di unparticolare tipo di cibo rispetto ad altri.

    Una provaD. “Cosa mangi?”R. “Insetti, altri artropodi, qualche mollusco, a voltebacche, semi e altre minutaglie.”

    Uhm, sarebbe una risposta accettabile, di fatto dimo-strata in natura (Henle e Klaver, 1986).D. “Mangi sempre le stesse cose?”R. “In genere sì, ma -sai- oltre a essere di bocca buona,cerco -se posso- di alternare la mia dieta con dei dolcie altre prelibatezze, tipo il nettare fiorale (parlo bene,eh?)”D. “..No, non ci credo, ma dai!”R. “Eh già!”Colleghi spagnoli e italiani hanno infatti trovato che inhabitat insulari, ma non solo, le lucertole (sia spagnolesia italiane, si badi bene) integrano la propria dieta consostanze vegetali e zuccherine (Perez-Mellado e Corti,1993), quasi pascolassero tra fiori e cespugli.

    Un esempio ad hocÈ cosa abbastanza recente la scoperta, da parte di unodei gruppi di ricerca più brillanti che abbiamo inEuropa, che la lucertola campestre, Podarcis sicula, unavolta spostata da un isola su un’altra isola, ove la specienon era presente, ha rapidamente e profondamentemodificato la sua struttura corporea e anatomica. Lelucertole introdotte, dopo circa 36 anni, sono aumen-tate in taglia, allargate e allungate in tutti i parametricorporei e cefalici. Fin qui, tutto sommato, niente diparticolarmente strano. Il genere Podarcis ha vita mediadi 5-7 anni e in 36 anni si possono sovrapporre circa 30generazioni, con una-due covate l’anno. Numeri nonesagerati, ma in specie a vita media bassa la cosa sarebbecompatibile con tassi di mutazione abbastanza alti.

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    GIROSOrchidee d’Italia Guida alle orchidee spontaneeBruno Barsella, coordinatore iconografico304 pagine, oltre 550 illustrazioniEdizioni Il Castello, Cornaredo, Mi

    Orchidee d’Italia descrive le specie di Orchidaceae sponta-nee della flora italiana e nasce da una scelta che la nostraAssociazione ha fatto parecchi anni fa, a somiglianza dimolte altre Associazioni europee. È un libro collettivoa cui hanno partecipato decine di iscritti sia “amatori”che specialisti universitari, e a cui Paolo Grünanger,come responsabile scientifico, e io, come coordinatoreiconografico, abbiamo dedicato più di un anno dilavoro.Quando abbiamo cominciato a realizzarlo si è postauna prima domanda: doveva essere un libro di tiposcientifico o a diffusione generale? Nella Botanica unlibro che abbia pretese di scientificità deve essereillustrato da una iconografia che possa descrivere l’aspet-to grafico delle specie. Abbiamo deciso di rinunciarecompletamente a questo aspetto stante la presenza, inItalia, di una straordinaria pubblicazione iconograficadovuta alla penna di Walter Rossi dell’Università del-l’Aquila e alla matita e al pennello di Anne EldredgeMaury di Firenze e pubblicata dal Ministero italianodell’Ambiente. Il libro è perciò diventato una guidafotografica, limitata da problemi editoriali che ne han-no fatto una via di mezzo fra la guida da campo e il testodi riferimento. Nelle discussioni che si sono fatte nelcomitato di redazione, in accordo col responsabilescientifico Paolo Grünanger, si è deciso di inserire ungruppo di capitoli “generali” per introdurre alle carat-teristiche della famiglia Orchidaceae, ma la gran parte dellibro è costituita dalle schede dei generi e delle speciepresenti in Italia.I capitoli generali sono stati scritti da botanici italiani dichiara fama. Le schede sono state scritte da soci del-l’Associazione particolarmente esperti sull’argomento.Alcuni generi sono stati corredati da una chiave anali-tica alla determinazione di specie e/o sottospecie.Ciascuna scheda di specie è corredata da una descrizio-ne della stessa, da una cartina sintetica di distribuzioneitaliana e dall’indicazione del periodo di fioritura; leimmagini fotografiche (anche queste fornite in mag-gioranza da soci dell’Associazione) sono state scelte inmodo da permettere, per quanto possible, una determi-nazione non ambigua. Abbiamo dato precedenza allefotografie dell’autore della scheda: una didascalia for-

    Recensioni nisce la locazione approssimativa del sito, la data dellafoto e un eventuale acronimo per identificare l’autore.Un discorso a parte va fatto per la scelta della nomen-clatura adottata: negli ultimi anni ci sono state moltediscussioni fra gli specialisti, in gran parte anche a causadi una serie di dati forniti dall’analisi del genoma delleorchidee spontanee. Gli specialisti sono divisi in due“scuole” che potremmo approssimativamente descri-vere così: alcuni hanno optato per una estrema specifi-cità del concetto di “specie” -sono i cosiddetti splitters-;altri, i lumpers, hanno preferito mantenere largo ilconcetto di specie e ricorrere a quello di sottospecie. Ilnostro libro aderisce molto a quest’ultima posizione:così rispetto a quella che è stata la regola fino a pochianni fa il genere Orchis è stato profondamente modifi-cato invadendo i generi Anacamptis e Neotinea. Anche ilgenere Ophrys, uno dei generi più complessi dell’interopanorama delle orchidee spontanee europee, è statoprofondamente rimaneggiato. Chi desidera vedere ilrisultato senza acquistare il libro potrà utilizzare il sitoWeb del gruppo: http://www.giros.it. Il sito verrà inbreve tempo riaggiornato alla tassonomia e alla no-menclatura presenti nel libro.Per esigenze editoriali si è scelto di limitare al massimola sezione dedicata agli ibridi: ci è dispiaciuto moltoperché specialmente in alcuni generi (in particolare nelgenere Ophrys) l’Italia presenta una quantità veramenteelevata di ibridi.Il volume è completato da un “Glossario”, necessarioper introdurre i meno esperti alla particolare termino-logia botanica, e da una “Bibliografia essenziale”, an-che questa ridotta ai volumi più fondamentali e alleguide locali, molte delle quali possono essere utilissimequando ci si aggira nelle zone più interessanti del nostropaese.Il libro è completato da un “Indice Analitico” in cuiabbiamo scelto di inserire tutti i nomi e i sinonimiaccompagnati dall’indicazione degli autori della relati-va descrizione.In complesso il libro rappresenta un grosso passoavanti per permettere una conoscenza scientificamen-te corretta di questa parte della flora del nostro paese.Credo che lo scopo di fornire un’opera che fossedivulgativa e al tempo stesso scientifica della famigliaOrchidaceae sia stato sostanzialmente raggiunto.Essendone stato il coordinatore iconografico vorreiaggiungere qualche parola sulle immagini che sonostate scelte. La massima parte delle immagini sonomolto recenti e di notevole qualità. Alcune immaginisono un po’ vecchie: tutti i fotografi di fiori sanno chele diapositive, anche se conservate con la massima cura,alterano nel tempo il loro contenuto cromatico. I tempidi consegna del materiale all’editore non hanno con-sentito di poter chiedere a qualche collega di fare unanuova foto. I membri del GIROS sanno già che nella

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    prossima stagione di fioritura dovranno fare nuovefotografie nella speranza che il libro possa avere unaristampa o, meglio ancora, una seconda edizione.Tutta la nostra Associazione spera che quest’operapermetta di migliorare la conoscenza delle orchideespontanee italiane e che perciò la loro conservazione,che è parte essenziale del nostro Statuto, ne risultiavvantaggiata. Saremmo molto lieti se anche la Scuolapotesse contribuire alla diffusione della conoscenza diquesta interessante parte della nostra Flora.

    *QUADERNI MATERIALISTI 6Ghibli, 2008

    Mi occuperò soltanto della parte più ampia di questovolume, unificata sotto il titolo Darwin tra natura e storia,curata da Maria Turchetto. È costituita da otto saggi, diautori diversi, che esplorano in modo accurato unaserie di argomenti fra loro connessi, costituendo unasorta di monografia a più voci su un tema centrale: ilrapporto tra darwinismo (nell’accezione contempora-nea del termine, che recepisce gli sviluppi di Gould eEldredge) e scienze sociali. Sociologia, antropologia,storia, psicologia sono osservate e interrogate dagliautori partendo da un’ipotesi generale e comune: che,cioè, la separatezza forzata di cui le cosiddette “scienzeumane” hanno sofferto, nel secolo scorso, rispetto aglisviluppi delle conoscenze scientifiche (in particolarenella cultura italiana, fino a tempi assai recenti...) siaormai entrata in una crisi irreversibile, e che l’operascientifica, e la stessa posizione culturale di Darwin,rispetto alle scienze, naturali e umane, del suo tempopossa fornire oggi alcune chiavi conoscitive di grandeinteresse per superare in positivo tale crisi.Tutti i testi, al di là di qualche differenza di valutazionespecifica (ad es. sul valore scientifico e sulla coerenzadell’Origine dell’Uomo rispetto a L’Origine delle specie, cheMorfino considera un’opera “predarwiniana” e so-stanzialmente ideologica, d’accordo con Yvette Conry(p. 208); mentre per Vidoni (p. 47) si tratta di una“grande opera”, la cui mancata lettura avrebbe com-portato una serie di fraintendimenti da parte di Engels)respirano un’atmosfera comune, che rimanda alla filo-sofia francese di impianto strutturalista (Althusser,Deleuze sono spesso citati in contesti anche moltodiversi).L’obiettivo delle ricerche specifiche potrebbe esserequello che Morfino (La filosofia di Darwin) definisce,con Althusser, “la mossa copernicana di decentramen-to del soggetto” (p. 205). Althusser si riferisce alrovesciamento materialistico della concezione dellastoria da parte di Marx, e allo spiazzamento dell’io dal

    centro della realtà psichica da parte di Freud. Analoga-mente, Darwin sposta la specie umana dal centro dellarealtà naturale e la ricolloca a livello e in compagnia ditutto il mondo vivente. E la questione dell’approccioscientifico delle scienze umane al loro oggetto sta forseun po’ qui: c’è una scia di antropocentrismo inevitabilenel fatto stesso che le scienze, anche quelle “dellanatura” (chissà perchè poi l’umanità, con la sua psico-logia, antropologia, storia ed etica, filosofia, starebbefuori della natura!) sono costruite dalla specie umana,con i suoi propri strumenti percettivi e concettuali, erispondono a bisogni della specie umana, almeno perquel che ne sappiamo. Tuttavia questa caratteristica hain un certo modo attardato, zavorrato lo sviluppostesso delle conoscenze scientifiche (e forse, ancheoggi è di ostacolo alla formazione di un senso comune“scientifico”) in quanto ci porta, quasi inconsapevol-mente, a rispecchiare la figura umana, la centralitàumana, anche sull’oggetto della conoscenza, che nerisulta deformato in maniera ideologica. Molto utile suquesto punto mi sembra la riflessione di Salvadorini,che dall’esame di un singolo caso di discussione subiologia e genetica di un tratto, l’orgasmo femminile,studiato da biologi, genetisti e quant’altro, uomini edonne, in un lasso di tempo abbastanza lungo e con ladisponibilità di una vasta strumentazione conoscitiva,ha visto la persistenza di una sorta di “cecità” concet-tuale nella maggior parte degli studiosi/e che lo hannoaffrontato, ivi compresi quelli che partivano da unaposizione evoluzionista matura. Il lettore può trovareil saggio di Salvadorini (Il caso dell’orgasmo femminile) inquesto numero di NATURALMENTE, modificato e ridi-mensionato per rispondere alle esigenze di sintesi e didivulgazione proprie di questa rivista.Di notevole interesse è l’indagine di Lecourt (Marx alvaglio di Darwin), che approfondisce, sulla corrispon-denza Marx- Engels e nell’epistolario di Darwin, il notoepisodio, qui confutato in modo convincente, sullapresunta richiesta di Marx di dedicare il Capitale algrande naturalista. Niente del genere, probabilmente sitratta di una risposta a una lettera perduta, finita nelposto sbagliato. Certo, anche qui l’equivoco dice qual-che cosa: gli studiosi successivi vedono l’analogia della“mossa copernicana di decentramento del soggetto”nel lavoro che i due compiono, quasi negli stessi anni,su oggetti tuttavia troppo diversi per poter portare auna confluenza delle loro acquisizioni. Le dimensionidelle vicende storiche di cui si occupa Marx, e latipologia dei cambiamenti che in esse avvengono epossono avvenire, non hanno niente a che fare con itempi dell’evoluzione biologica e con la tipologia dellemutazioni che vi si succedono. Né Marx né Engelshanno una formazione scientifica, men che menobiologica; né Darwin ha una base culturale storico-filosofica o economica. Il problema è posto in partico-

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    lare nel saggio di Vidoni (Sulla base naturalistica delmaterialismo storico); ne emerge con evidenza che laricerca, logica da parte di due intellettuali che si pro-pongono come materialisti, di trovare una base natura-listica e scientifica alla concezione della storia umana,li induce a una serie di letture voraci e a volte acritichedi carattere scientifico e antropologico (vedi la sbanda-ta di Marx per Trèmaux, garbatamente rintuzzata daEngels, o le inclinazioni positivistiche dello stessoEngels). Niente di men che effimero ne vien fuori,salvo un’istanza forte di riavvicinamento tra le famosedue culture, che anche a metà Ottocento si guardavanocon reciproca diffidenza e sufficienza, prima sull’ondadell’idealismo tedesco, poi dell’egemonia culturalepositivista. Simmetricamente, le eventuali suggestionimalthusiane che si possono trovare in Darwin (oppor-tunamente ridimensionate da Vidoni) si limitano, conogni probabilità, all’uso di una terminologia e di pro-blematiche molto presenti e discusse nel contestoculturale in cui lo scienziato si trova a vivere.Assai utile e documentato, sulla sua formazione cultu-rale, sul dibattito del tempo, in Inghilterra e fuori, esulle ricadute, utilizzazioni e distorsioni successive deldarwinismo è il testo di Gèrad Molina (Darwinismosociale?), dove il titolo dà conto soltanto della domandainiziale che l’autore si pone, mentre la trattazione è assaipiù ampia. Due temi di grande interesse, un po’ decen-trati rispetto alla discussione più comune intorno aldarwinismo, sono quelli trattati rispettivamente neltesto di Talenti (Antropologia culturale e antropologia biolo-gica) e in quello di Cammelli (Darwin in famiglia).Talenti mette in luce una dissimmetria di base tra ilpercorso “in avanti” della ricerca bio-antropologica,focalizzata sul processo di ominazione, e la direzione“retrograda” della ricerca sviluppata dall’antropologiaculturale. Il testo ci dà un’immagine un po’ inconsueta,ma persuasiva, dell’antropologo culturale, intento, giànegli ultimi decenni dell’Ottocento, all’impresa quasidisperata di trovare il primitivo: gruppi, società, famiglie,strutture che si sarebbero volute incontaminate dalprogresso tecnologico e culturale, ma che ormai ilcolonialismo ha decimato e condizionato pesantemen-te dal punto di vista linguistico, economico, della stessalocalizzazione geografica, e in cui la stessa presenzadell’antropologo, con i suoi strumenti e gli obiettividella sua ricerca, costituisce un forte elemento di di-sturbo. La società primitiva sparisce nel tempo stessoin cui diventa oggetto di ricerca scientifica, e col passaredei decenni anche l’antropologia culturale, che si ètenuta a distanza dalla bio-antropologia in una sorta didifesa del proprio campo, valorizzando la dimensionesimbolica a scapito di quella materiale e biologica, vedeil proprio campo dissolversi.La ricerca di Cammelli (Darwin in famiglia) propone ilvalore metodologico delle osservazioni sistematica-

    mente effettuate da Darwin sul figlio William Erasmus,nato nel 1839 e seguito fino all’età di 5 anni dal padre,reduce dal viaggio sul Beagle e intento a rielaborare lenotazioni raccolte e le idee che ne erano scaturite, conun atteggiamento decisamente scientifico, e anche colsupporto di una delle prime macchine fotografichereperibili all’epoca. Le osservazioni, che riguardano, inun certo senso, il processo di ominazione di un cuccio-lo d’uomo, saranno pubblicate molto più tardi, nel1877 (A Biographical Sketch of an Infant ) e già nel 1872ampiamente utilizzate, anche in filigrana, nel saggioL’espressione delle emozioni negli animali e nell’uomo. Cam-melli si concentra sul metodo di indagine, l’osservazio-ne, quasi per fotogrammi, di espressioni e comporta-menti del bambino legati a sensazioni di piacere, dolo-re, desiderio, comunicazione con le persone vicine.Darwin conclude la sua indagine al momento in cui ilbambino, secondo lui, mostra, con comportamenti efrasi, di aver elaborato qualche cosa di simile a unembrione di sentimento morale, una consapevolezzadel carattere “buono” o “cattivo” (accettato o nonaccettato dall’autorità paterna?) delle proprie azioni.Forse l’autore, nella sua interpretazione, spinge un po’troppo Darwin in direzione di una critica radicale dellafamiglia borghese, e della posizione del bambino al suointerno. Una radicalità in cui il biologo, in quanto essereumano di quel tempo e di quell’ambiente, molto pro-babilmente non si sarebbe riconosciuto. La prospettivadella ricerca tuttavia è effettivamente molto nuova.Negli stessi anni, fra il ’36 e i primi anni ’40, Darwinindaga in modo approfondito le tecniche di allevamen-to e di selezione degli animali. L’osservazione del figlio,a quel che pare, non è disturbata da nessun tipo disentimentalismo o di orgoglio paterno. L’utilizzo dellenote nel saggio sull’espressione delle emozioni tendeesplicitamente a individuare analogie tra specie vicine.Certamente, pur rimanendo un tranquillo borghesemonogamo e benpensante (come Freud, del resto),Darwin, nella sua attività di ricerca scientifica, non silascia intimidire dal rischio di andare controcorrente, odi arrivare a conclusioni che potrebbero confliggerecon la sua visione del mondo.Il saggio di Cavazzini, oltre a ricostruire la storiadell’evoluzionismo, i dibattiti e i conflitti interni che lohanno attraversato (e che non sono probabilmenteconclusi) mette in luce, attraverso una serie di passaggimetodologici, la presenza ineliminabile, anche se percerti aspetti inquietante, di un orizzonte storico all’in-terno della teoria darwiniana, e nello stesso tempo unmodo, nuovo per il suo tempo, di intendere la storia. Alcentro c’è -ormai è abbastanza divulgato- il rifiuto diqualunque concezione finalistica, o anche necessaria-mente consequenziale dei fatti, facciano essi parte dellastoria delle trasformazioni degli esseri viventi o delleistituzioni, idee e vicende umane. Anche se di queste

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    ultime Darwin non si occupa in modo diretto, lastoricità interna dell’evoluzione, data l’impossibilità diinvertire la direzione della freccia del tempo, porge ildestro ai critici dell’evoluzionismo, compresi i nostricontemporanei, per affermare che si tratta di una teoria“indimostrabile”. Certo, la teoria non è riproducibilecon esperimenti di laboratorio di tipo galileiano, e usai dati di fatto di cui disponiamo ora come indizi di quelche è successo prima, per operare una ricostruzionepiuttosto che un rispecchiamento. Si tratta di una difficol-tà che la biologia condivide con l’astrofisica, le neuro-scienze e altre discipline di grande valore conoscitivo.Qualcosa che mi lascia delle riserve, alla fine dellacoinvolgente lettura di questi saggi, è forse un tentati-vo, che mi pare presente in forma più o meno esplicitain tutti i testi, di estrapolare in forme precise, a partiredal lavoro scientifico concreto di Darwin e successori,degli statuti rigorosi per aree disciplinari che consento-no il rigore solo entro certi limiti, proprio per leconsiderazioni fatte sopra: la brevità dell’evoluzionestorica e culturale rispetto all’estensione dell’evoluzio-ne biologica, il fatto che l’oggetto di queste disciplinesia al tempo stesso esterno e interno rispetto allestrutture conoscitive che mette in atto, e che gli stru-menti, tecnici e conoscitivi di cui si serve evolvono avelocità spaventosamente diverse e sfasate. Direi, conGèrard Molina, che “se esiste un messaggio darwinia-no, è contingentista” (p. 80). Mi pare più probabile cheun maggior rigore nelle conoscenze intorno al pensieroe al comportamento umano possa venirci da alcunisviluppi delle neuroscienze piuttosto che dall’estrapo-lazione di una presunta “filosofia” di Darwin (travirgolette anche nel titolo del saggio di Morfino...). Ciònon toglie che la ricerca metodica e la messa a fuoco dilati meno noti del suo metodo di lavoro possa stimolarel’auspicato superamento del contrasto, insensato intermini di valore, tra scienze cosiddette “umane” escienze della natura.

    Francesca Civile

    Andrea Cavazzini e Alberto Gualandi (a cura)Discipline Filosofiche XIX I 2009Logiche del vivente. Evoluzione, sviluppo, co-gnizione nell’epistemologia francese contem-poraneaQuodlibet, 2009, pp. 231

    Lo stato della filosofia, in Italia, non è dei migliori.L’eredità della cultura crociano-gentiliana ha prodottoun esercito di eruditi che studia propriamente storia dellafilosofia, un manipolo di specialisti che si occupano dilogica e alcuni pomposi personaggi che ritengono dioccuparsi di filosofia a tutto tondo inanellando discorsisapienziali su Uomo, Mondo, Tecnica o Cose Ultime -tutto rigorosamente maiuscolo, per far capire cheappunto di filosofia si tratta. Le cose più interessantiprovengono oggi dal settore disciplinare della filosofiadella scienza, ma la pesante eredità di cui sopra hamarginalizzato questi studi -che prima del prevaleredell’idealismo vantavano una tradizione di grandissi-mo prestigio- facendone uno specialismo di secondariaimportanza accademica.Le cose vanno ben altrimenti in Francia, dove lafilosofia è -in tutta la tradizione novecentesca, ma sipuò ovviamente risalire oltre- eminentemente filosofiadella scienza, epistemologia nel senso forte di discorsosulla conoscenza, dunque interrogazione dei saperi:non solo e non tanto per distillarne un metodo astrattoe formale con pretese universalistiche, quanto percomprendere le modalità concrete -innanzitutto stori-che e sociali- che determinano cambiamenti concettua-li, “rotture epistemologiche”, “rivoluzioni scientifi-che”. Sono perciò da salutare con grande favore itentativi di far conoscere in Italia l’importantissimofilone di studi di epistemologia e storia della scienza diprovenienza francese. Negli ultimi anni ce ne sono statidi cospicui: ad esempio la collana Epistemologia dellacasa editrice Mimesis di Milano, che ha proposto dal2003 ad oggi testi di Alexandre Koyré, Georges Can-guilhem, Gaston Bachelard e Jean Cavaillès; ed alcuninumeri della rivista Discipline filosofiche. Quello che quirecensiamo risulta particolarmente interessante per lacapacità di interrogare alcuni sviluppi recentissimi rela-tivi al campo delle scienze della vita, in cui i curatorivedono delinearsi una convergenza di studi provenien-ti da diversi settori sui temi evoluzione, sviluppo e cognizionenella direzione di una “prospettiva sintetica”.La prima parte della raccolta propone un quadro -nonesaustivo, evidentemente, ma sufficientemente ampio-dell’epistemologia francese novecentesca, rintraccian-do entro questo alveo l’originale percorso della rifles-sione sulla biologia intesa come tematizzazione dellavita. In apertura vengono presentati due testi di autoriormai classici: Georges Canguilhem, Logica del vivente estoria della biologia, che propone una straordinaria rilet-

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    tura dell’opera del grande biologo francese FrançoisJacob; e Raymond Ruyer, L’individualità, scritto que-st’ultimo di estremo interesse. Ruyer è un “filosofobiologico” poco conosciuto in Italia (certamente menodi Canguilhem, che pure vi fa ampio riferimento), male ottime note che corredano i testi (di Andrea Cavaz-zini per Canguilhem e di Fabrice Colonna per Ruyer)aiutano ad inquadrare correttamente gli autori. È il casodi sottolinearlo con lode, perché un ennesimo difettodegli studi filosofici all’italiana consiste nell’importareautori stranieri, oggetto di mode spesso effimere, avulsidal contesto culturale di provenienza: è stato il caso, adesempio -per citare un nome che ricorre negli articoli diquesto numero di Discipline filosofiche- di Michel Fou-cault. Seguono due articoli che fanno il punto sullaproblematica concettualizzazione del vivente tra filoso-fia e scienze, tra realtà e conoscenza: Frédéric Worms,Il problema del vivente e la filosofia del XX secolo in Francia eAndrea Cavazzini, Il concetto e la vita tra filosofia e scienze.La seconda parte della raccolta è dedicata -come siaccennava- a una stringente interrogazione del presentescientifico, ossia di alcune recentissime elaborazioni,successive a quella che a buon diritto si può ormaidefinire la “crisi” della Sintesi Moderna e alle riformu-lazioni che la stessa teoria dell’evoluzione ha conse-guentemente ricevuto (di questa crisi, dei nuovi concet-ti introdotti -come exaptation- e di quelli ripresi dalpassato -come Baupläne, rivisitato come “vincolo strut-turale”- danno conto i saggi di Elena Gagliasso, Bauplä-ne e vincoli di struttura: da ostacoli a strumenti e TelmoPievani, Exaptation: la logica evolutiva del vivente tra funzionie strutture). In particolare la riflessione verte, in primoluogo, sugli studi di Alain Prochiantz che affronta neitermini della nuova disciplina EVO-DEVO la neote-nia responsabile dello sviluppo cerebrale umano, in cuianche Stephen J. Gould collocava la specificità (non lasuperiorità) di Homo sapiens. Da questa prospettiva, incui convergono i nuovi concetti della teoria dell’evolu-zione, le acquisizioni della genetica dello sviluppo(spiegate con esemplare chiarezza da Alberto Gualan-di, L’individuazione neotenica umana e la genesi exattante ecomunicativa del senso) e quelle delle neuroscienze, emer-ge un nuovo approccio all’antropologia capace disuperare in modo originale e radicale tanto il dualismocorpo-mente quanto quello natura-cultura. In secondoluogo vengono proposti gli studi dell’etologo Domini-que Lestel, di cui qui è tradotto il saggio Pensare conl’animale: una critica del “paradigma realista-cartesia-no” finora prevalente in questo campo disciplinare, cuiviene contrapposto un “paradigma bi-costruttivista”capace, anziché di pensare l’animale, di pensare appuntocon l’animale, evidenziando in quest’ultimo gli elementidi creatività e donazione di senso messi in ombra da unapproccio che l’autore non esita a definire “coloniali-sta”. È chiaro che in questa prospettiva un altro duali-

    smo va a pezzi: quello che oppone umanità e animalità.Gli studi di Prochiantz e quelli di Lestel si incontrano-benché il primo autore sia interessato soprattutto allaspecificità dell’uomo, il secondo alla contiguità tra uomo eanimali- nel rifiuto della dicotomia istinto-intelligenza (diProchiantz è presente, in questa raccolta, l’articoloIstinto e intelligenza che ridefinisce questi termini connotevole originalità) e nella convergenza di natura ecultura: perché per Lestel non solo l’uomo, ma ciascunanimale in quanto individuo, risulta dalla “convergenzadella storia biologica e della storia culturale”.Gli ultimi tre saggi della raccolta, infine, propongonouna riflessione che potremmo definire trans-disciplinare.Patrizia A. d’Alessio, in Biologia dell’elasticità, esamina lanozione di elasticità in quanto “è una proprietà dellamateria, ma anche una proprietà delle cellule [...] edancora: essa è in gioco nelle relazioni umane” -dunquea cavallo tra fisica, biologia e scienze umane. GiuseppeLongo, in Antinomie e polarità, determinazione e aleatorietànel processo vivente della materia propone un confronto trateorie fisiche e teorie biologiche, alla ricerca di unallontanamento “dalle tempeste che infuriano tra laScilla del fisicalismo e la Cariddi del vitalismo”, ossia diun apparato concettuale capace di dar conto dellaspecificità del vivente senza pensarlo altro rispetto alcorpo -per altro problematico- delle “leggi esistentidella fisica”. Jean Petitot, in Modelli dinamici di morfogenesie teorie della forma, mostra lo “sviluppo spettacolare” che,a partire dalla fine degli anni ’60, la conoscenza deiprocessi morfogenetici ha conosciuto in numerosidomini -in fisica e in chimica, in biologia e nelleneuroscienze cognitive. In questi saggi emerge conforza quella convergenza verso una possibile “prospet-tiva sintetica” che i curatori segnalano nell’Introduzione,delineando un ruolo possibile -e vorrei aggiungeredignitoso- per la stessa filosofia: esplicitare le novitàfilosofiche presenti nelle attuali novità scientifiche,permettere in tal modo la circolazione di temi e diconcetti oltre i confini disciplinari specialistici, colloca-re i nuovi risultati e le nuove tendenze in un più ampiocontesto storico, sociale e culturale -termine quest’ul-timo che include altri saperi e altre pratiche oltre aquelle accademiche.

    Maria Turchetto

    rosa di Gerico

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    Il falso scopoVINCENZO TERRENI

    meno violento il cardinale Segretario di Stato, TarcisioBertone: “L’Europa del Terzo millennio toglie i crocifissie lascia le zucche di Halloween. E questa è certamenteuna perdita”, poi discetta con grazia civettuola sulparallelismo tra la vacuità delle zucche e delle scatolecraniche di chi ha partorito la sentenza. Gli altri politicisi sono allineati su posizioni del tipo: “Sono cattolico,ma a prescindere da questo, anche se non lo fossi noncapisco che male c’è ad avere il crocifisso in aula”. Uncattolico ha invece dichiarato la sua composta amarezzaper la decisione di togliere i crocifissi dalle aule che peròha la conseguenza di riportare i simboli religiosi neiluoghi di culto visitati e frequentati da chi vuole, senzaimposizioni e senza forzature; ma è stato così pocoascoltato che non è più possibile rintracciarlo suimotori di ricerca. Ora se la croce, come simbolo dellasofferenza e della pietà, non può essere offensiva pernessuno, la sua imposizione ad ogni cittadino italianoin ogni luogo, come emblema della Religione cattolicae di chi la rappresenta, è un’altra cosa. Il fatto che lamaggioranza rumorosa dei nostri concittadini desideriche i crocifissi rimangano nei luoghi pubblici è appuntoun fatto, non un diritto. Seguendo però la logica che lamaggioranza comanda -impone, non governa- si arrivafacilmente a negare i fondamenti essenziali dello Stato didiritto che assicura libertà di culto e di espressione adogni cittadino.

    È un periodo di intenso dibattitto sulla scuola e i suoiannessi. Ormai è quasi dimenticata l’appassionantequanto inutile discussione sull’ora di religione e sullecosiddette materie alternative. Se ne può discuterequanto si vuole, ma se si parte dalla posizione che, perquanto se ne discuta, l’ora di religione rimane inalterata,tutto il resto perde di significato per rimanere solo unadisputa da salotto, da strada, da bar, da televisione:luoghi diversi caratteristici nell’ospitare consumazionifini a se stesse del tempo e delle risorse oratorie. L’altradiscussione, forse ancora più accesa, quantoinconcludente, è quella sull’esposizione dei crocifissinelle aule scolastiche. Per la verità l’esposizione èprevista dal primo Concordato tra Stato e Chiesasottoscritto da Mussolini e dal Vaticano, che mirava ariconciliare lo Stato unitario e la Chiesa cattolica dopo,diciamo così, l’incomprensione di Porta Pia. Fu cosìche, proprio nelle scuole pubbliche che il Vaticano nonvoleva, venne obbligatoriamente esposto il crocifissoe, tanto per non sbagliare, divenne obbligatorio esporloin tutti i luoghi pubblici, mentre prima si limitava ailuoghi di culto e alla cima delle montagne. La discussionesi è avviata in seguito alla sentenza della Corte Europeadi Strasburgo che, accogliendo il ricorso di una cittadinaitaliana, ha intimato la rimozione del simbolo religiosodai luoghi pubblici. Non è facile seguire la discussioneche si è sviluppata e che i giornali, sempre attenti agliaspetti meno qualificanti della nostra società, hannoamplificato e assecondato. Niente in confronto conquanto è accaduto in televisione, dove sono statiorchestrati i confronti più stridenti per offrire al pubbliconon tanto una esposizione civile di posizioni diverseargomentate con finezza e ricchezza di riferimenti,quanto una carrellata di asperrimi improperi control’Europa che non si può permettere di entrare nellenostre tradizioni con argomentazioni futili che tentanodi cancellare la nostra cultura. Quindi il crocifisso che,comunque la si pensi, scolpisce la sofferenza di unapersona che ha sacrificato se stessa per prosciugare lasofferenza e la violenza dell’uomo sull’uomo, diventaun simbolo di divisione che porta ad una aggressivitàverbale che non lascia per niente tranquilli. Una citazioneper tutte, quella di un luciferino ministro che ha ridottol’intervistatore all’impotenza con la sua raffinataeloquenza, ripetendo sei volte di seguito tra gli applausifrenetici del pubblico che: “Possono* morire, loro equei fini organismi internazionali che non contanonulla!”. I “loro” sono quelli che ritengono che lareligione sia un fatto privato e che anche la nonappartenenza ad alcuna religione lo sia. Apparentemente continua...

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