n°2 numero ero Z - polourbani.edu.it marzo 2017 - GIO… · tra i suoi interessi principali...

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GIORNATA“CARLO URBANI” 2 Immagini Opere di J. Kounellis, E. Erwitt e G. Berengo Gardin Editoriale Aiutare, l’essenza di una vita e di molte professioni 2 Violenza sulle donne L’esperto risponde Violenza sulle donne Eppure non cambiamo 3 - 4 4 - 5 5 Bullismo e cyberbullismo “E la paura frantumava i pensieri, che alle ossa ci pensavano gli altri 10 - 11 Giornata internazionale delle donne Non solo mimose, non solo l’otto marzo 12 - 13 Libera Giornata della memoria e del ricordo delle vittime della mafia 14 Laboratori Laboratorio sulla gestione dell’affettività 15 L ’ intervista Conoscersi meglio 16 - 17 Stereotipi di genere Screenshoot da “The representation project” Forse non lo sai, ma potresti essere vittima degli ste- reotipi di genere 6 - 7 8 - 9 27 MARZO 2017 Intercultura Un cantante indiano Un cantante e attore cinese: Huang Zitao Il dibattito sul velo islamico Principesse a scuola 24 - 27 Esperienze Il calcio femminile: la mia esperienza 28 Mistero Una chiaroveggente delle nostre terre: Pasqualina 29 Laboratori Vecchiaia: la forza dell’età debole L’ascolto terapeutico per anziani 30 - 31 Arte Jannis Kounellis e l’Arte Povera 32- 34 Mostre Il mezzo della mia vita 35 Scienze A spasso per i parchi 36 - 39 Scuola e ambiente Giornata “Puliamo il mondo” 40 numero ero Z Testimonianze Visso, ci sono nato, l’ho vissuta, vorrei ritrovarla 18 Altri linguaggi Carlo cuor di coraggio 19 Libri Una più uno; Resta anche domani; Molto forte, incre- dibilmente vicino; The giver. 20 - 22 Film Moonlight; La La Land; Manchester by the sea 22 - 23 Dalla scuola La mia esperienza all’evento di Science Therapy Progetto “Ristoro anziani” 41 41 La Batalla de Santa Clara Un’avventura rivoluzionaria… durante l’ora di Spagnolo 42 Cronisti sportivi Le novità del basket a Porto Sant’Elpidio 43 Stage La mia esperienza di alternanza scuola-lavoro 43 Concorso giornalistico 2° Premio Giornalistico Carlo Urbani Ultima Pagina 27 marzo 2017 — 3^ Uscita 44

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GIORNATA“CARLO URBANI”

n°2

Immagini Opere di J. Kounellis, E. Erwitt e G. Berengo Gardin

Editoriale

Aiutare, l’essenza di una vita e di molte professioni

2

Violenza sulle donne L’esperto risponde Violenza sulle donne Eppure non cambiamo

3 - 4 4 - 5 5

Bullismo e cyberbullismo “E la paura frantumava i pensier i, che alle ossa ci pensavano gli altr i

10 - 11

Giornata internazionale delle donne Non solo mimose, non solo l’otto marzo

12 - 13

Libera Giornata della memoria e del ricordo delle vittime della mafia

14

Laboratori Laborator io sulla gestione dell’affettività

15

L ’ intervista Conoscersi meglio

16 - 17

Stereotipi di genere Screenshoot da “The representation project” Forse non lo sai, ma potresti essere vittima degli ste-reotipi di genere

6 - 7 8 - 9

27 MARZO 2017

Intercultura Un cantante indiano Un cantante e attore cinese: Huang Zitao Il dibattito sul velo islamico Pr incipesse a scuola

24 - 27

Esperienze

Il calcio femminile: la mia esperienza

28

Mistero Una chiaroveggente delle nostre terre: Pasqualina

29

Laboratori Vecchiaia: la forza dell’età debole L’ascolto terapeutico per anziani

30 - 31

Arte Jannis Kounellis e l’Arte Povera

32- 34

Mostre

Il mezzo della mia vita

35

Scienze A spasso per i parchi

36 - 39

Scuola e ambiente Giornata “Puliamo il mondo”

40

numero ero Z

Testimonianze Visso, ci sono nato, l’ho vissuta, vorrei r itrovarla

18

Altri linguaggi Carlo cuor di coraggio

19

Libri Una più uno; Resta anche domani; Molto forte, incre-dibilmente vicino; The giver.

20 - 22

Film

Moonlight; La La Land; Manchester by the sea

22 - 23

Dalla scuola La mia esperienza all’evento di Science Therapy Progetto “Ristoro anziani”

41 41

La Batalla de Santa Clara Un’avventura r ivoluzionaria… durante l’ora di Spagnolo

42

Cronisti sportivi Le novità del basket a Porto Sant’Elpidio

43

Stage La mia esper ienza di alternanza scuola-lavoro

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Concorso giornalistico 2° Premio Giornalistico Car lo Urbani

Ultima Pagina 27 marzo 2017 — 3̂ Uscita

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EDITORIALE

Chi di anni ormai ne conta un po’, ma non vuole di-vulgare quanti, certamente avrà ancora nella memoria i due terribili eventi sismici del 1976 e del 1980 che colpi-rono il Friuli Venezia Giulia, l’Irpinia e la Basilicata. De-vastanti e disastrosi anche per l’altissimo numero di vitti-me che procurarono: 990 il primo e 2914 il secondo.

In quei tempi di anni ne contavo molti di meno e soprattutto avevo tempo a disposizione, voglia di essere utile agli altri e anche l’entusiasmo di quell’età. Facevo parte insieme ai miei amici del Gruppo Scout della mia città e tutti insieme decidemmo che rendersi utili era non solo opportuno ma assolutamente necessario. Via allora, zaino in spalla e tutti sul treno, ora per raggiunge-re Travesio in provincia d i Udine e qualche anno dopo Castelgrande in provincia di Potenza.

Non starò qui a raccontare di quali disastri siamo stati testimoni, non rievocherò le lunghe giornate trascorse ad aiutare famiglie biso-gnose di tutto, non immergerò me e voi lettori in una carrellata di immagini che ho ancora forti e chiare nella mia memoria, voglio solo raccontarvi di quanto io sia cam-biato proprio dopo aver visto da vicino la distruzione nel corpo e nell’anima di popolazioni e di singole persone a cui il sisma aveva potato via tutto.

Non ho più in mente i nomi e i volti, in quei tempi d i tecnologia “ai minimi” non era facile come oggi fare fotografie; ma sono indelebili in me i sorrisi e i grazie che abbiamo ricevuto: quelli di un anziano contadino a cui dopo una giornata di movimentazione di macerie abbiamo restituito il corpo senza vita del suo cane e la cassetta degli attrezzi entrambi sovrastati dall’intera casa crollata; quelli di una giovane a cui erano stati tagliati tutti i capelli a seguito di una infestazione di “scabbia” nella tendopoli e a cui avevo regalato il mio cappello scout; quelli dei bambini a cui nel pomeriggio organizza-vamo i giochi d i animazione, e … l’elenco sarebbe infi-nito. Ma ancora oggi sempre più mi scopro a ringraziarli per quello che mi hanno donato in cambio, a loro insa-puta: esperienze umane fortemente tenere e assolute.

Proprio una sera, intorno ad un fuoco di bivacco, ci domandammo tutti del perché del nostro essere in quei luoghi lontani, colmi d i disperazione. Ancora oggi ho forte il ricordo della mia osservazione che suonava più o meno così.“Sono qui ad aiutare i nostri fratelli italiani

perché per tutta la vita non avrei potuto perdonarmi l’essere rimasto a casa a far nulla quando qui ci c’è una montagna di dolore”.

Ecco, penso proprio che quelle parole risuonino an-cora oggi come forte caratterizzazione della mia idea di vita insieme. In fondo anche nel lavoro di tutti i giorni a scuola sento forte in me il desiderio di essere di aiuto seppur in forme che potrebbero apparire diverse.

A supporto di questa mia convinzione rimane im-pressa ancora nella mia mente la risposta che un alunno, seppur con grandi difficoltà comportamentali tali da condurlo anni dopo a perdere se stesso e la propria vita, mi diede alla domanda che gli posi: “Ma secondo te co-sa deve fare un preside?”. Con l’innocenza di un tredi-cenne non esitò a sentenziare “Un preside deve aiutare”.

Rimasi basito per come un ragazzo abbia potuto in una parola racchiudere e sintetizzare quello che in anni di studi nessun pedagogista, giurista, amministrati-vista, umanista aveva saputo trasmettermi con tanta efficacia. Un m ess a g g io d i r e i “evangelico” ma terri-bilmente reale. È proprio così, l’essenza del mio lavo-ro ma anche dei tanti lavori che si svolgono

all’interno della scuola a ben vedere trovano geniale sunto in quella parola di quatto vocali e una consonante dentale.

Considerare tali occupazioni solo un lavoro è davve-ro riduttivo; c’è molto di più, di umano, di affettivo, di speciale, di insostituibile. Lavorare nella scuola avvicina potentemente all’essenza dell’umanità.

Spiace constatare quanta fatica mi costi oggi riuscire a trasmettere queste mie convinzioni. Forse perché non le testimonio abbastanza nei fatti. Proverò a migliorare. Spero di riuscire a partecipare a tutti il bello dello speri-mentare la relazione formativa con giovani la cui mente è ancora sgombra da quelle convinzioni adulte che ren-dono la vita solo un dare per avere.

Non è affatto strano pensare che in questo rapporto sinergico chi ha più da apprendere e ricevere spesso sia-mo proprio noi adulti a cui, ormai non più estranea la stanchezza dell’età e la disabitudine alle emozioni e al coinvolgimento, spesso la fatica ruba l’entusiasmo.

Ecco allora la vera eccellenza che può esplodere, fio-rire e moltiplicarsi nello sporcarsi le mani per portare aiuto agli altri.

Aiutare, l’essenza di una vita e di molte professioni di Roberto Vespasiani

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“Ma secondo te cosa deve fare un preside?”.

Con l’innocenza di un tredicenne non esitò a sentenziare

“Un preside deve aiutare”.

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Il femminicidio è un fenomeno sociale in cre-scita nel nostro paese?

Partiamo dal presupposto che, dai dati presenti in Italia, abbiamo assistito ad una dimi-nuzione dei femminicidi. Da centocin-quantasette nel 2012, ai centoventotto del 2015. Ora, nel 2016, la situazione è migliore rispetto agli altri anni ma non dobbiamo assolutamente di preoccu-parci perché purtroppo, come i fatti di cronaca riportano, il due ottobre è avvenuto un altro femminicidio, in Piemonte, sempre in ambito familiare e in questo caso l’assassino è stato un pensionato ottantenne che ha confes-sato poi alle autorità di aver ucciso la moglie per una banale lite familiare.

Quali possono essere le cause sociali che portano al compimento di questi crimini?

Possono essere molteplici, ma la possibile causa principale è quella che l’uomo non considera la donna come il soggetto indipendente che oggi è, ma come un oggetto di puro possesso maschile, che può essere controllato e usato a piacimento. Viviamo in un’epoca storica che sta portando ad un grandissimo cambiamento a livello di ruolo e di identità sessuale. Le don-ne si stanno emancipando, si stanno ritagliando i propri spazi, raggiungen-do livelli di identità sociale che a volta superano di gran lunga quelli del ma-schio. Questa situazione, viene vissuta da soggetti maschili problematici come una minaccia alla virilità e al proprio ego. Essi consumano l’omicidio, a fronte di numerose violenze preceden-ti, senza alcun raptus ma con estrema lucidità.

Qual è la forma di violenza più ricorrente nel femminicidio?

Esistono due tipi di violenze che vengono riscontrate: quella fisica e quella psicologi-ca. Avviene spesso che l’omicida, prima di compiere

l’atto stesso, passi dalla violenza psicologica, sotto forma di insulto, a quella sessuale, passando poi per veri e propri tentativi di aggressione fisica e verbale,

fino all’atto ultimo dell’uccisione. E’ stato constatato dai criminologi che sette femminicidi su dieci sono stati preceduti da violenze ripetute, sia fisi-che e verbali, sulla propria compagna. Spesso il più grande nemico per la donna si trova già dentro casa. A livello psicologico il femminici-dio, inteso come violenza, può es-sere paragonato al bullismo? Il femminicidio comprende sia una violenza psicologica che una fisica. Questo passaggio è molto importante. Le azioni lesive del carnefice rispec-chiano quello che accade nel bullismo. Esse sono spesso di tipo psicologico e il passaggio da queste alle violenze di tipo fisico o sessuale è sempre più fre-quente. Che cosa porta il maschio a sentirsi

minacciato da una donna in piena emancipa-zione?

L’uomo, evoluzionisticamente parlando, è sem-pre stato il dominatore, il cacciatore. Nel suo ego risiede una quota di virili-tà. Questa, viene minacciata quando il suolo della donna cambia. Egli rifiuta l’evoluzione del soggetto femminile, rifiuta una situazione paritetica tra sé ed il sesso femminile, poiché egli non riesce a vederla diversamente da un oggetto in proprio possesso. Cosa porta all’abuso sessuale della vittima? A livello psicologico, l’abuso sessuale sulla vittima, può rappresentare il deli-rio di dominio e di sottomissione. Il carnefice, con l’abuso, tende a dimo-strare la propria onnipotenza, proiet-tando l’idea di sé in una posizione ge-

rarchica più alta rispetto alla donna

L’esperto risponde Jacopo Bregoli intervistato da Feder ico Assolar i per LeiStyle

VIOLENZA SULLE DONNE Pagina 3

Il termine femminicidio è stato coniato per indicare l’atto che compie un uomo quando uccide una donna. Questo fenomeno sta dilagando ed è giusto affrontarlo e porsi degli interrogativi. Abbiamo chiesto al Dottor Jacopo Bregoli, psicologo, psicoterapeuta in formazione ed esperto di comportamenti devianti, di aiutarci a capire le motivazioni di tali gesti e cosa può fare una donna per evitare di rimanerne vittima.

Avviene spesso che

l’omicida passi dalla

violenza psicologica,

sotto forma di insulto,

a quella sessuale,

passando per

l’aggressione fisica e

verbale, fino

all’uccisione.

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VIOLENZA SULLE DONNE numero ero Z Pagina 4

Jacopo è nato a Fermo nel 1986. È uno psicologo laureato in Scienze del Comportamento e delle Relazioni Sociali e spe-cializzato in Psicologia Cognitiva Applicata presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. È psicoterapeuta in formazione ad indir izzo Analitico-Transazionale. Collabora in progetti educativi e riabilitativi rivolti a pazienti psichiatr ici e minori con disabilità. Da circa tre anni è impegnato sul territor io nazionale in workshop sulla Psicologia del Traffico dal format “Guida la tua mente”, r ivolto ad operator i di autoscuole, studenti e a tutti gli utenti della strada. Appassionato di calcio e viaggi, tra i suoi interessi principali spiccano la cr iminologia ed il cinema.

donna, che viene posta ideologicamente in basso. Che ruolo giocano le emozioni e le sensazio-

ni del possibile femminicida, quando l’atto di violenza viene compiuto?

La maggior parte di questi as-sassini sono soggetti che hanno una scarsa gestione della rabbia o addirittura sono soggetti alessiti-mici, termine che in psicologia logia indica un deficit della con-sapevolezza emotiva, palesato dall’incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrive-re verbalmente i propri stati e quelli degli altri. Aggiungiamo, a queste categorie, tutti quei sog-getti che tendono a voler tutto sotto controllo. Possiamo quindi concludere che la donna viene vista come una minaccia proprio a causa del suo tentativo di e-manciparsi all’interno della coppia.

Quanto è importante segnalare per tempo abu-si o maltrattamenti al fine di evitare il degenerare

della situazione? Segnalare quanto prima gli abusi e le violenze subite è fondamentale, al fine di prevenire e quindi evitare scenari molto più gravi. I dati stati-stici ci presentano una situazione allarmante ed indicano che una par-te considerevole delle vittime di femminicidio, precedentemente vittime di abusi, non hanno mai denunciato il proprio carnefice. Segnalare quanto prima gli abusi e le violenze subite è fondamentale, al fine di prevenire e quindi evitare scenari molto più gravi. I dati stati-stici ci presentano una situazione allarmante ed indicano che una par-te considerevole delle vittime di femminicidio, precedentemente vittime di abusi, non hanno mai

denunciato il proprio carnefice.

Sono amareggiata al solo pensiero che nel 2017 ci siano ancora uomini, se posso definirli tali, che usano la violenza sulle donne.

A quale scopo? La violenza è priva di qualsiasi senso, è debolez-

za allo stato puro. Voglio provare a tornare indietro con la mente

di qualche secolo, al Medioevo, quando una donna non poteva neanche discutere con il proprio mari-to, altre addirittura venivano accusate di stregoneri-a solo perché provavano a dire ciò che pensavano.

Molti “uomini” sono convinti di essere superiori, di avere maggiori diritti rispetto a noi perché la Storia ha visto sempre prevalere le prerogative del genere maschile su quello femminile ed è per que-sto che ricordo a tutti voi le Suffragette, un movi-

mento di emancipazione femminile nato ad inizio Novecento per ottenere il diritto di voto proprio co-me i “grandi uomini”. Pensate per un attimo alle dure lotte, alle donne che hanno sacrificato la propria vita, a quelle soffocate con la violenza solo perché desideravano un semplice diritto che ci spetta eccome: esprimerci nella pienezza di ciò che siamo. Nel 1944 l’Unione Donne in Italia (UDI) prese l’iniziativa di celebrare l’8 Marzo, la pri-ma giornata della donna, per ricordare la morte di ben 129 operaie a New York in un incendio, mentre protestavano per le pessime condizioni in cui si tro-vavano a lavorare.

Da diversi anni l’attenzione pubblica e le istituzioni si sono maggiormente concentrate su questo tema, affinché si crei un’educazione civica adeguata.

Violenza sulle donne di Asia Tiburzi, 3E Alberghiero di Porto Sant’Elpidio

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Molti hanno cercato negli anni di tutelare la figu-ra della donna, promulgando leggi sul rispetto e sull’uguaglianza, sul diritto e sull’isonomia, eppure non sono riusciti a scalfire la corazza del senso di superiorità di cui si ricoprono gli uomini restii a riconoscere la parità dei sessi. Ma non c’è troppo da stupirsi, se consideriamo che da tempo immemorabile l’uomo si è conside-rato superiore, per la mania di grandezza, che gli è propria, e per lo spiccato ego-centrismo. Insomma, gli è parso come se tutto gli fosse lecito, e questa oggi è la causa di molti casi di violenze, che, in casi estremi, degenerano in brutali femminicidi. Negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui oltre il 70% in am-

biente familiare. Inoltre in ben tre casi su dieci l’assassino si è tolto la vita, lasciando così i propri figli non solo traumatizzati, ma anche orfani di en-trambi i genitori. In 15 anni il numero di bambini orfani di madre per colpa del marito (o compagno)

assassino ha raggiun-to quota 1628. Questi dati devono farci ri-flettere sulla gravità e sul peso che certe nostre azioni posso-no acquistare, soprat-tutto se fatte istinti-vamente e senza al-cuna riflessione; azio-

ni che troppo spesso, purtroppo, si ritorcono sui bambini inermi e indifesi, che pagano per l’immaturità e l’irragionevolezza di uomini ricurvi su se stessi, incapaci di dominare gli istinti e, per orgoglio, di ammettere i propri sbagli.

Pagina 5 VIOLENZA SULLE DONNE

"È violenza contro le donne ogni atto di violenza

fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le don-ne", così si legge dal sito del ministero degli interni.

Torno al presente riportando alcuni dati ISTAT su que-sto ampio e diffuso fenomeno.

Circa 6milioni 788mila donne nel corso della propria vita hanno subito una violenza fisica o sessuale. E’ un dato sconcertante.

Viene addirittura fatta violenza su donne con problemi di salute e disabilità, infatti l’ISTAT riporta percentuali pari al 36%; tro-vo che sia una cosa inconcepibile e che questi “grandi uomini” dovrebbero farsi un esame di co-scienza per poi vergognarsi di ciò che sono.

Tutt’oggi ci sono ancora commenti dispregiativi sulle donne, battutine tra ragazzi della mia età che creano violenza psicologica e quest’ultima - lo dico senza esagerare - può portare a conseguenze drasti-

che, come il suicidio. Non credete sia ora di smetterla? Esistono gli uomini come esistono le don-ne e DOBBIAMO essere rispettate per ciò che siamo, nella diversità che contrad-distingue i nostri ge-neri. “Fino a quando sei viva, sentiti viva. Insisti anche se tutti si aspettano che abban-doni, non lasciare che

si arrugginisca il ferro che c’è in te, fai in modo che ti portino rispetto”. Dedico queste parole di Madre Teresa di Calcutta a tutte voi donne forti e piene di coraggio.

Eppure non cambiamo di Gabr iele Vitttor i 3A Liceo Scientifico di Porto Sant’Elpidio

Pagina 5 numero ero Z

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STEREOTIPI DI GENERE Pagina 6

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STEREOTIPI DI GENERE

numero ero Z

Screenshot tratti dal trailer del progetto “The representation pro-ject” contro gli stereotipi di genere e ogni forma di discriminazione sessuale, razziale, sociale, religiosa,

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Può una donna fare il chirurgo, la rugbista o la camionista? E il meccanico? Potrebbe essere il gene-rale supremo delle Forze Armate oppure il mister della nazionale maschile di calcio ai prossimi mon-diali? Ecco: se hai trovato “strane” alcune o anche solo una di queste possibilità, potresti essere vittima di stereotipi di genere e non saperlo!

Gli stereotipi impongono confini netti che delimi-tano non solo i ruoli nel mondo femminile e ma-schile, ma anche il nostro modo di pensare. Siamo condizionati fin da bambini: questo è il problema principale. Battute e modi di dire (“donna al volante, pericolo costante”, “il sesso debole”, “la regina della casa”, “bulli e pupe” ecc...), consuetudini sociali, persino miti e fiabe, i giochi, la tv e il web: dal reale al virtuale, crescono con noi del-le convinzioni incon-sce.

Il primo passo è smascherare gli stere-otipi di genere, pren-derne coscienza. Ci abbiamo provato in classe a par-tire da una domanda semplicissima: come stabiliamo il sesso di un neonato? Immaginate voi, ora, una sala parto e la risposta sarà scontata: dalle parti intime del neonato! E da cos'altro, sennò? Ovvio, anzi naturale, perché è la natura che ci differenzia in maschi e fem-mine. Non stabilisce però ruoli né gerarchie di valo-re, la natura. Quelli li decidiamo noi. Immaginate lo stesso neonato cresciuto di qualche mese (è a casa, nella sua culla...) oppure fate un salto di sette o otto anni (lo vedete mentre sta giocando?): bene, come stabilite adesso il sesso? Accessori, indumenti e colo-ri, scarpe, giochi e taglio dei capelli, ma anche i com-portamenti vi staranno guidando: con noi l'hanno

fatto. Rosa è femmina, azzurro è maschio; se è speri-colato è un lui, se tranquilla è una lei; lui si sporca giocando a fare l'eroe in guerra o lo scienziato pazzo, lei accudisce le bambole; a lei le armi della seduzione (specchio, spazzole e trucchi, fornelli, profumi e tu-tù), a lui costruzioni, macchinine, astronavi e armi-giocattolo fotoniche. Chi dei due ha le lacrime agli occhi? Ma lei, chiaro: il maschio non piange, sennò sarebbe una “femminuccia”.

Luoghi comuni, questi, con i quali la natura non c'entra più nulla. È la cultura che assegna “ruoli” del “genere”. Noi semplicemente ci omologhiamo, sen-

za rendercene più conto. Ci sembrano naturali, ma in realtà non lo sono. Un e-sempio per tutti? È naturale che una don-na partorisca, non lo è l'aspettativa cultura-le che la vuole in casa ad accudire i figli. A questo punto o-bietterete: “Ma no, non è più così”, “lo era un tempo, oggi le

cose sono molto cambiate.” Indubbiamente lo sono. E per fortuna. Ma che lo stereotipo di genere sia ra-dicato culturalmente nel profondo, è facile dimo-strarlo. Lo abbiamo fatto riflettendo in classe su un noto indovinello-test americano, tanto in voga negli anni '70-80: papà e figlio precipitano scalando una montagna, il padre muore e il ragazzo deve essere operato d'urgenza, ma il chirurgo si rifiuta dicendo: “Non posso operarlo, è mio figlio”. Com'è possibi-le? Semplice: il chirurgo è la madre del ragazzo! La maggior parte delle persone che allora si sottopone-vano al test, fallivano. Ma anche in classe si sono rincorse le risposte più più incredibili, tra tresche e amori clandestini. Tranne in un caso, nessuno ha

An English professor wrote the words: “A woman without a man is nothing”

On the chalkboard and asked his students to puntuate it correctly.

All the males in the class wrote: “A woman, without a man, is nothing.”

All the females in the class wrote: “A woman: without her, man is nothing.”

Punctuation is powerfull!

STEREOTIPI DI GENERE

Forse non lo sai, ma potresti essere una vittima degli stereotipi

numero ero Z

L'articolo è una riflessione sul tema degli stereotipi di genere a partire da alcune attività didattiche proposte nella classe 2^A dell'Istituto tecnico economico di Montegiorgio.

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pensato che “il” chirurgo potesse essere...donna. Certamente una sola classe non è un campione rap-presentativo, ma la domanda resta: perché non pen-sarlo? Risposta: gli stereotipi di genere si nutrono di aspettative, di attese, di abitudini e abiti mentali consolidati. E allora ci saranno pure le camioniste, ma in fondo tanti ancora non se le “aspettano” (le considerano al massimo delle eccezioni che confer-mano la regola). Per le “chirurghe”, le “pugilesse”, le “generalesse”, le “meccaniche” o le “mister” (sic!) c'è poco spazio persino sul dizionario! E nell'uso quotidiano. Gli studi sul “sessismo linguistico” esistono da tempo. Non tutti li condi-vidono, ma se certi femmi-nili suonano stridenti (o non sono previsti affatto), se il femminile di un nome si forma dal maschile (mentre il maschile sempli-cemente...“esiste”), po-trebbe esserci sotto qual-cosa di più che non una semplice consuetudine grammaticale. Se “la” go-vernante amministra una casa e “il” governante un paese intero, se “il” single è scapolo mentre “la” single è una zitella, il dub-bio è che – aldilà del politi-cally correct esteriore – Eva resti ancora per troppi, nel profondo, una co-stola di Adamo. Con tutto ciò che ne consegue: lui vale più di lei. Fin da piccoli è lui il principe, lei la fanciulla da salvare, data in sposa con la sua dote; è lui il piccolo esploratore di spazi aperti, un avventu-riero ardito e temerario: un conquistatore; lei è gra-ziosa, ordinata e precisa nella sua cameretta: una bambolina tutta da ammirare.

Samantha Cristoforetti, con la sua spedizione,

avrebbe destato lo stesso clamore sulla carta stam-pata, se fosse stata un uomo? Meritatissimo il plau-so, sia chiaro. L'esempio vale solo per precisare che quando il “trattamento” è diverso, e lo è in base al genere, lì s'annida sempre uno stereotipo. L'eccezio-nalità di Samantha ha confermato la regola: l'apo-strofo rosa tra “un” e “astronauta” in pochi se l'a-spettavano.

La donna ha conquistato l'emancipazione dall'uo-mo, il voto, il diritto al lavoro eppure quanti pregiu-

dizi ancora, quante disu-guaglianze sul lavoro, in società e anche tra le mura di casa? La sua immagine, non a caso, continua ad essere fortemente stereoti-pata. Basta uno sguardo a pubblicità, spettacoli di intrattenimento televisivo e web: è più frequente che spazi “leggeri” siano occu-pati da donne. Non a caso “la” soubrette esiste e “il” soubrette no! I ruoli più gettonati? Restano ancora quelli della “madre-moglie-casalinga” e della “Venere narcisista” – giovane, bella, seducente – “oggetto del desiderio maschile”. La gratuità del corpo nudo esibito negli spot e negli show, come pure le am-miccanti baby reginette di

bellezza o le loro fashion dolls in minigonna, stivali e tacco – civettuole e un po' frivole – non possono non destare preoccupazione per l'immedesimazione precoce in un modello femminile che vive di imma-gine, di apparenza esteriore. Se giocare è innato per qualsiasi bambino o bambina, non lo è il “modo” di farlo e i giochi sul mercato, non dimentichiamolo, sono pensati dagli adulti. Pur involontariamente, possono riflettere stereotipi di genere nocivi, come

STEREOTIPI DI GENERE

del prof. Stefano Bracalente

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Un professore di inglese entra in classe e scrive alla lavagna "A woman without her

man is nothing". Poi chiede alla classe di in-serire la punteggiatura. Lo abbiamo replica-to anche noi. Esito: tendenzialmente i ragazzi scrivono effettivamente: "A woman, without her man, is nothing" (l'universo femminile la

vede un po' diversamente: "A woman: wi-thout her, man is nothing"). La punteggiatu-ra è potente, come il linguaggio che dà cor-po al pensiero! Questione di punti di vista,

dunque: quelli che occorre cambiare per u-scire dagli steccati imposti dagli stereotipi

di genere al nostro modo di pensare.

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in questo caso, perché insegnano a pensare che il “valore” sia dato dalla considerazione ricevuta e non per altro. Barbie non ha uno stetoscopio al collo, è pronta a mostrarsi bella in pubblico, non a entrare in sala operatoria come chirurgo. Quante pre-disposizioni, quante attitudini e aspirazioni, quanti desideri vengo-no indotti e altrettanti scoraggiati, in questo modo? Qual è il prezzo in termini di autostima e realizzazione di sé?

La questione è anco-ra più allarmante per-ché fatti gravissimi co-me la violenza sulle donne e il femminicidio affondano chiaramente le prime radici negli stereotipi di genere. Melania Rea, Roberta Ragusa, Sara di Pietrantonio sono le vittime di una società in cui qualcuno si sente superiore, pa-

drone e predatore di qualcun'altra, libero di disporne come vuole. Analfabeti emotivi, incapaci di gestire relazioni al di fuori del desiderio di possesso e domi-nio, possono commettere poi i più efferati delitti. Il

problema è enorme, estremamente delicato e molto più complesso: le variabili e i fattori che concorrono nei singoli casi di femminicidio e violenza sono moltepli-ci, non è solo questione di stereotipi di genere. Ma se una malapianta va sradicata è importan-te agire anche alla radi-ce. La scuola può fare tanto. Proprio perché

gli stereotipi sono una questione culturale, è solo con le armi dell'educazione che si impara a riconoscerli, ad aprire gli occhi e spalancare la mente.

STEREOTIPI DI GENERE

Riferimenti bibliografici consultati:

G. Priulla, C'è differenza. Identità di genere e liguaggi: storie, corpi, immagini e parole, Franco Angeli, Milano 2013 V. Napolitano, Calcio e Tv. Stereotipi di genere e prospettive educative, Franco Angeli, Milano 2014 A. Sabatini, Il sessimo nella lingua italiana, Ist. Pol. Zecca dello Stato, Roma 1987 G. Lepschy, Lingua e sessismo, Il Mulino, Bologna 1989.

BULLISMO E CYBERBULLISMO di Gaia Gianni 3A Liceo Scientifico , PSE “E la paura frantumava i pensieri, che alle ossa ci pensavano gli altri”

Al giorno d’oggi bullismo e cyber bullismo sono terribili realtà purtroppo molto diffuse soprattutto tra i giovani. Sentiamo parlare quotidianamente di ragazzi e ragazze discriminati, emarginati, presi in giro e, nei casi più estremi, persino vittime di violen-za fisica, oltre che psicologica. Gli episodi sono tal-mente frequenti che ormai ci scivolano addosso, non ci facciamo nemmeno più caso. Quella che viviamo è una violenta, omertosa normalità e tutto ciò è dav-vero spaventoso.

Il bullo è una persona segnata da una profonda spaccatura interiore, che cerca di scaricare tutta la violenza repressa, tutta la sua rabbia verso il mondo, su un bersaglio che reputa incapace di difendersi perché in qualche modo diverso o non conforme allo stereotipo. Può farlo in vari modi, sia con atti fisici che attraverso il web: in quest’ultimo caso si parla di cyber bullismo, la forma più spregevole di bullismo. Facile nascondersi dietro lo schermo di un computer o di un cellulare, è da vigliacchi.

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una mancanza: la diversità è sempre una ricchezza. Oggi, in una società segnata indelebilmente dal co-lore grigio dell’omologazione, abbiamo bisogno più che mai di qualcuno che restituisca un po’ di colore.

Allo stesso tempo, però, oltre ad una buona dose di indifferenza nei confronti dei bulli è necessa-rio anche il dialogo: parlare, svuotarsi da tutti i problemi, può aiutare a comprendere meglio la situazione in cui ci si trova e allo stesso tempo può permettere a chi ascolta di attivarsi per fare qualcosa in merito. A questo pro-posito, è interessante il progetto attuato da una scuola di Lecce: si chiama MaBasta e rappresenta un’opportunità per tutte le vitti-me di bullismo, che possono de-nunciare anche in modo anonimo la loro situazione inserendo un bigliettino in una scatola chiama-

ta Bullibox. I ragazzi di MaBasta hanno dato vita anche ai Bulliziotti, che hanno il compito di assicu-rarsi che nelle scuole non avvengano atti di bulli-smo.

Come ultima cosa, date libero sfogo alle vostre passioni: vi distrarranno dai pro-blemi. Seguite l’esempio di Sofia, una ragazza adolescente discrimi-nata fin da bambina per il suo problema di dislessia: nonostante fosse perseguitata dai compagni con pesanti vessazioni psicologi-che, nonostante nessuno credesse in lei e tutti, compresi gli inse-gnanti, la considerassero stupida, ha trovato un conforto e un vali-do aiuto nella musica, che l’ha so-stenuta neutralizzando tutte le sue insicurezze. Non perdete mai la consapevolezza di

ciò che siete, perché se la vostra essenza vi ha contraddistinto

dalla massa significa che è qualcosa di prezioso.

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Certo, se il bullo agisse da solo, se la guerra si svolgesse su un piano di equità, uno contro uno, forse sarebbe più facile arginare il problema. Ma la cosa che spaventa di più è proprio il seguito che questi elementi hanno da parte di coloro che non sanno riflettere con la propria testa e che quindi ritengono più comodo lasciarsi trascinare dalla corrente schieran-dosi dalla parte di chi è apparen-temente più forte. Questi, insie-me a chi assiste a episodi di bulli-smo ma si gira dall’altra parte fa-cendo finta di non vedere, vanno ad alimentare il cosiddetto “bullismo passivo”, che forse è anche peggiore di quello attivo. La moltitudine è certamente uno dei fattori che spaventano mag-giormente la vittima che, senten-dosi sempre più sola e indifesa, perde a poco a poco la fiducia in se stessa e tende a richiudersi nel suo guscio. La fra-se che esce più spesso dalla bocca delle vittime di bullismo è: “Io gli do ragione. Se me lo dicono tutti, allora deve essere vero.”

A tutti i ragazzi vittime di bullismo e cyber bulli-smo vorrei dire una cosa: impara-te a lasciarvi aiutare e soprattutto a dare il giusto peso alle cose, per-ché non sempre (anzi, quasi mai) ciò che dice la moltitudine è vero. Molte volte nella vita sarà più ne-cessario e utile andare controcor-rente. Se imparerete a sentirvi be-ne con voi stessi e acquisirete la chiara consapevolezza di chi siete, nulla di ciò che accade fuori vi toccherà. Non abbiate paura di farvi valere, ma soprattutto senti-tevi superiori ai bulli perché loro si nutrono del vostro dolore. Non date loro questa soddisfazione, reagite, rivalutatevi perché le persone discriminate sono sì quelle non conformi allo stereotipo, ma questa non è affatto

Non perdete mai la

consapevolezza di ciò che

siete, perché se la vostra

essenza vi ha contraddistinto

dalla massa significa che è

qualcosa di prezioso.

Come ultima cosa, date libero

sfogo alle vostre passioni: vi

distrarranno dai problemi. Sofia,

una ragazza adolescente

discriminata fin da bambina per

il suo problema di dislessia ha

trovato un conforto e un valido

aiuto nella musica

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Un modo alternativo di vivere la GIORNATA INTERNAZIONALE DALLA DONNA (non “la festa” della donna) quello dei ragazzi del terzo e del quarto A AFM della Sede di Porto Sant’Elpidio.

Il percorso è iniziato in ottobre ed è partito da uno studio storico della condizione femminile. Con l’operatrice del Centro An-tiviolenza dell’Ambito XX- S porte l l o d i P ort o Sant’Elpidio i ragazzi han-no svolto un’attività di la-boratorio in cui hanno in-dividuato gli stereotipi di genere. Si è parlato di vio-lenza di genere e di femmi-nicidio. Sono stati realizzati cartelloni e scritte.

Il progetto ha avuto il suo culmine ili giorno 8 marzo, in cui hanno condiviso con i loro compagni i risultati del percorso compiuto. In aula magna, pre-senti la prof.ssa Ada Granatelli, in rappresentanza del dirigente (assente per motivi di servizio) e la prof.ssa Annalinda Pasqua-l i, in rappresentanza dell’Amministrazione Co-munale, hanno letto le loro riflessioni, intervallandole con letture di brani e di testimonianze, corredan-dole con slide e con l’ascolto di canzoni sul te-ma della violenza di gene-re.

Dopo aver invaso la scuola con volantini ed immagini contro la violen-za di genere, i ragazzi hanno iniziato l’incontro con una carrellata di volti femminili: ogni donna simbo-leggiava un luogo, un modo di vivere, un pensiero, ogni volto ha lanciato un messaggio diverso.

Poi i ragazzi del quarto A AFM hanno parlato del-la donna nella storia, dal medioevo ad oggi, di volta

in volta tentatrici, diverse, madri e mogli virtuose, casalinghe appagate e poi attiviste egualitarie, staffet-te partigiane e finalmente cittadine della Repubblica, concludendo con la lettura di alcuni articoli della Co-stituzione Italiana.

I ragazzi del terzo hanno presentato il loro lavoro, intitolato “Di genere si muore”, parlando di donne uccise, o comunque vittime di violenza, illustrando l’origine e il significato del-la parola femminicidio, ci-tando i numeri impressio-nanti, illustrando la norma-tiva in proposito. Hanno rivolto anche un pensiero alle vittime di cui non si parla: gli orfani del femmi-nicidio.

Il progetto ha avuto come scopo quello di dare rilievo all’importanza della partecipazione democrati-ca, del valore della giustizia e della equità, nel conte-sto della applicazione delle regole che stabiliscono i

comportamenti in famiglia e nella società. Lo scopo è stato anche quello di favo-rire una maggiore autosti-ma e una migliore autoedu-cazione alla comprensione del proprio ruolo familiare, sociale e comunitario nell’ottica del rispetto e dell’integrazione. Si sono occupate della rea-lizzazione del progetto le professoresse Maria Pamela Bulgini, Gigliola Ribichini e

Renata Romagnoli, che si augurano di aver contri-buito a cambiare, con la riflessione e la consapevo-lezza, l’atteggiamento ed il modo di rapportarsi dei ragazzi con le donne, imparando a considerarle per-sone e non oggetti, rispettandole ed amandole come compagne di vita e di cammino in assoluta parità.

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA

Non solo mimose, non solo l’otto marzo della prof.ssa Renata Romagnoli

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GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA Pagina 13

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Giornata della memoria e del ricordo delle vittime della mafia Grazie alla professoressa Mazzaferro la nostra

classe ha avuto l'opportunità di partecipare alla mar-cia organizza-ta da Libera per ricordare tutte le vitti-me della ma-fia. Libera è un'associa-zione fondata 21 anni fa da don Luigi Ciotti per sensibilizzare i cittadini alla lotta contro tutte le mafie e per pro-muovere legalità e giustizia. L’associazione agisce sul territorio attraverso i coordinamenti, dove i cittadini possono re-carsi liberamente e i presidi, scuole dove viene portato avanti un percorso sulla le-galità rivolto a tutte le fasce di età. Il 21 mar-zo è la data scelta da Libera per comme-morare tutte le vitti-me innocenti uccise dalla mafia, molte delle quali non hanno ancora avu-to giustizia; è una forma di vicinanza a tutte quelle persone che hanno perso per colpa del-la criminalità organizzata una persona cara, il cui nome viene spesso di-menticato dopo poco tempo. È stata scelta questa data che coincide con l'inizio della primavera, come a simboleggiare la ri-

nascita della società. La marcia viene organizzata in una città significativa per Regione; per noi marchigiani

si è svolta a Grottammare dove è stata con-fiscata una villa alla mafia che verrà usata come centro per le di-sabilità. Libera si occupa infatti anche del riuso sociale delle pro-prietà confiscate ai mafiosi. La marcia è stata accompagnata da striscioni e cori

fino in piazza dove si è tenuto un momento, a mio parere, molto intenso nel quale sono stati letti tutti i nomi delle vittime di mafia, da quelli di grandi magistrati come Borselli-no e Falcone, a quelli di semplici persone che si trovavano nel posto sba-gliato al momento sba-gliato. Durante la lettura dei nomi è stata scoperta pezzo per pezzo una fo-to che raffigurava tre

scimmiette con un significato inverso rispetto a quello che normalmen-te simboleggia-no, ovvero "vedo, sento, parlo".

a cura di Asia Speca 2D Socio Sanitar io

LIBERA numero ero Z

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SCUOLA DI VITA Laboratorio sulla gestione dell’affettività a cura della pro f.ssa Mar ia Cinzia Mazza ferro

Il laboratorio nasce dalla richiesta di alcune inse-gnanti specializzate che, consapevoli della precocità delle curiosità sessuali e dei primi rapporti fra gli adolescenti, hanno ideato uno spazio di osservazio-ne e di approfondimento sulla gestione dell’affettività dedicato ad un ristretto gruppo di allieve. Allo scopo di fornire una corretta informa-zione sulle trasformazioni e sul funzionamento del corpo nell’età dell’adolescenza, sulla procreazione e l’importanza della contraccezione per prevenire gravidanze indesiderate e malattie sessualmente tra-smissibili.

Il laboratorio si è inoltre proposto di aiutare le allieve a superare i naturali timori, esortandole a confrontarsi sulle tematiche più personali con figu-re competenti, e non con gli amici, per evitare futu-ri errori.

La prof.ssa Roberta Di Rosa, che ha condotto il laboratorio, ha condiviso le sue grandi qualità uma-ne, la sua solida esperien-za come madre, inse-gnante e farmacista e le sue competenze profes-sionali per guidare i lavo-ri. Incontrando così l’interesse e l’approvazione delle ra-gazze, che hanno espresso il desiderio di partecipa-re a nuovi incontri.

Il progetto si è svolto in due appuntamenti di due ore ciascuno. Nel primo incontro la professoressa ha spiegato la procreazione da un punto di vista scientifico; mentre nell’incontro successivo si è par-lato di contraccezione: sono stati presentati i meto-di proposti dalla scienza, è stata evidenziata la non totale copertura dei metodi indicati e sono stati se-gnalati gli errori più comuni che compromettono il successo dei metodi contraccettivi.

Durante gli incontri sono stati dedicati spazio ed attenzione a soddisfare le molteplici curiosità sulle tematiche proposte. Le insegnanti sono rimaste po-sitivamente sorprese dalla spontaneità con cui le ragazze hanno condiviso liberamente le proprie esperienze e con cui hanno posto numerose do-mande, che hanno evidenziato il basso livello di conoscenza e che hanno offerto l’occasione per sfatare i luoghi comuni sui quali, spesso, gli adole-scenti fanno affidamento.

Al termine del secondo incontro è stata proposta una riflessione sulle motivazioni che guidano le ado-lescenti al primo rapporto. Partendo dalla lettura del-le inquietanti conclusioni di un’indagine conoscitiva, è stato messo in evidenza come il rapporto sessuale debba coinvolgere non solo gli istinti fisici, dettati dalle alterazioni ormonali proprie dell’età adolescen-ziale, ma debba giungere a conclusione di un percor-so consapevole, che comporti la maturazione di un sentimento vero, differente dal bisogno di essere u-guali agli altri, appagare i propri istinti e di sfuggire alla solitudine e alla noia. Un sentimento che, fonda-to sull’empatia, la reciproca intesa, il coinvolgimento intellettuale e la condivisione di valori comuni, ne-cessita di un giusto tempo di maturazione, che per-metta la reciproca conoscenza, consolidi il rapporto affettivo e convinca della solidità del rapporto. Soli-

dità necessaria ad intra-prendere un percorso di coppia per gestire una pos-sibile gravidanza inattesa. Le ragazze sono state con-cordi nel riconoscere che l’arrivo di un figlio rappre-senta un momento “magico” che deve essere accolto ed accettato da entrambi i genitori: è quin-di importante che i partner

condividano un rapporto consolidato nel tempo. È emersa infine l’importanza di introdurre il compagno nella propria famiglia, per confidare sul parere favo-revole di chi gode della loro fiducia, e di essere a loro volta introdotte nella famiglia dell’altro, come un segnale che comprovi l’importanza della relazione.

A conclusione degli incontri la nostra esperta ha spiegato come le differenze fisiche fra i due sessi de-terminino una diverso approccio alla sessualità − che non sempre la cultura e l’educazione riescono a col-mare − che è causa di fraintendimenti e delusioni. La cultura e l’educazione, invece, stabiliscono tal volta una disparità di giudizio tra i sessi, entrambi coinvol-ti nel medesimo gesto.

E ancora: mai dimenticare che l’amore non è pos-sesso, violenza e sopraffazione, ma un sentimento che, orientato al bene reciproco, favorisca il benesse-re, la crescita e la realizzazione di entrambi.

Maryna, stop al femminicidio https://www.youtube.com/watch?v=Mj7fyRi4 isU

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Perché scrivere un libro sull’assertività?

È un argomento che mi ha sempre affascinato fin da quando frequentavo la scuola di specializzazione a Genova. È da allora che mi guardo intorno in modo più con-sapevole, capendo che la comunicazione non è certo un punto di forza di molti esseri umani. Spesso le incomprensioni, la rabbia, e la mancanza di autostima derivano proprio dal fatto di non saper gestire la co-municazione, non avere chiaro chi siamo, cosa vo-gliamo. Da allora ho iniziato ad af-frontare questo argomento nelle mie lezioni a scuola e grazie anche ai miei meravi-gliosi studenti ho compreso che un percorso assertivo può cambiare in meglio la qualità di vita di una per-sona (compresa la mia).

Cosa propone di nuovo il tuo libro

“Conoscersi meglio”?

Ogni volta che sento la parola “nuovo” o “nuova” davanti ad un concetto mi viene in mente il mio prof, “l’ufficiale”, (chi leggerà il libro capirà chi è) che soleva dire: “le cose giuste sono state già dette e tanto tempo fa”.

Quindi la parola d’ordine ora è mi “illudo” che la novità di questo libro sia il fatto che per diventare assertivo un individuo debba imparare molto di se stesso, compresi i suoi obiettivi, sviluppare un pen-siero positivo e trovare la serenità. Un’altra novità è insistere nel sostenere che la genti-lezza, la mediazione, sono altre caratteristiche da

sviluppare per affermare il proprio sé e che nel farlo è importante rispettare l’altro, il suo stile di vita, i suoi pensieri, il suo modo di muoversi nel mondo. C o m e d e f i n i s c i

l’assertività?

Wow, è difficile per me ri-spondere in due parole a questa domanda! Del resto per farlo ho riempito più di 150 pagine.

Direi che “assertivo” è colui o colei che affronta la vita con una base consistente di gentilezza, amore verso se stessi e gli altri, un pensiero positivo e una grande capacità comunicativa; senza dimenticare un’ottima autostima e una stima verso gli altri ben sviluppata. Giorni fa in un libro che stavo leggendo mi sono trovata di fronte questa descrizione di un personaggio: “…guardava la gente con un sincero

Conoscersi meglio Feder ica Curzi, psicologa, intervistata per Psiconline

Pagina 16 L’INTERVISTA

Parliamo di assertività con Federica Curzi, autr ice di “Conoscersi meglio. Consapevolezza e assertività”. “Conoscersi meglio” nasce dall’esper ienza diretta maturata durante i corsi di formazione, nei quali l’autr ice è stata do-

cente. Esper ienza der ivante quindi dal confronto continuo con persone diverse fra loro. Proprio da questi scambi continui

con la gente nasce il bisogno di par lare di assertività. Già, ma cos’è l’assertività? Una parola che viene spesso usata ma anche male interpretata, soprattutto sminuita perché

racchiusa in una de finizione che ne limita e svia il vero significato. Assertività non significa volersi imporre a tutti i costi

sull’altro. L’assertività è molto di più e comincia dall’ascoltare se stessi e conoscere se stessi. Perché senza una reale consapevolezza di se stessi, dei propr i bisogni e aspettative, non si riuscirà a trovare un propr io posto in questo mondo.

Ciò che l’assertività comporta è propr io essere sicur i di quello che si vuole realmente e non vagare senza una meta. Nel libro l’autr ice sugger isce consigli, forse imperativi, per chi decide di cambiare atteggiamento per stare meglio con se

stesso e con gli altr i, imparando l’assertività; perché cambiare è possibile, cambiando il proprio modo di pensare e le pro-

prie abitudini. Ne par liamo con Feder ica Curzi.

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Pagina 17 L’INTERVISTA numero ero Z interesse e con grande benevolenza. Aveva sempre un’aria gentile e uno sguardo divertito… dava sem-pre un senso di gioia a chi stava con lui, irradiava felicità. Era sicuro di sé e capace di trascinare gli altri, aveva le idee chiare e una volontà ferrea”. Ho subito pensato ecco un vero assertivo!

Si può imparare ad essere assertivi?

Certo che si può! Sennò non avrei scritto un libro su questo argomento! E come dico sempre, scher-zando: “se ho imparato io a guidare la macchina tutti possono apprendere ad essere assertivi”.

Si può essere assertivi se non si ha una piena

consapevolezza di se stessi?

Onestamente penso di no. Come si può afferma-re se stessi senza conoscere come siamo fatti, cosa desideriamo dalla vita, da noi stessi? È di per sé un controsenso. Si possono imitare alcuni punti dell’assertivo ma questo non significa essere asserti-vi. È come un attore che imita qualcun altro: po-trà anche farlo bene ma non sarà mai la perso-na che ha imitato; la sua è solo una finzione.

Quali problemi si incontrano oggi nella co-

municazione? Che cosa ci allontana dall’altro

impedendoci di comunicare bene?

Il non saper ascoltare, il voler imporre la propria identità, la mancanza di interesse verso l’altro, la mancanza di capacità di mediazione, la confusione dei pensieri, la non gentilezza; centrare la propria vita sui problemi. Ecco alcune delle cose che ci im-pediscono di comunicare con l’altro.

Si può imparare con le proprie risorse a co-

municare o si apprende da altri?

Penso che la vita non sia bianca o nera e che la via di mezzo porti sempre ad una vita migliore; cosa

voglio intendere? Che le nostre risorse insieme ai modelli positivi da imitare portino alla fine allo svi-luppo di una comunicazione basata sull’ascolto, gentilezza e mediazione vera.

Come fare per conoscere se stessi? Chiedere

a se stessi “chi sono” potrebbe non ricevere u-

na risposta.

Penso sia fondamentale fermarsi e domandarselo, esigendo da noi stessi una risposta ed anche one-sta. Solo volendolo veramente è possibile rispon-dersi. Nel libro ho suggerito alcune cose da fare, ma solo rispondendoci è possibile capire chi siamo.

Quali problemi derivano dalla non conoscen-

za di se stessi?

Penso che muoversi nel mondo senza una consa-pevolezza delle nostre capacità, attitudini, valori, preferenze, obiettivi ci porti a vivere una vita senza nessun particolare senso. Solo la presa di coscienza di noi stessi ci porta a poter raggiungere quella sere-nità, quella sicurezza in noi stessi e quell’atteggiamento positivo che ci permette di vive-re ogni giorno senza mai prendersi troppo sul serio, sempre con un sorriso in bocca.

Quali consigli daresti agli educatori, genitori

di bambini e ragazzi per aiutarli a sviluppare

l’assertività?

Di incominciare ad apprendere e ad agire da as-sertivi loro stessi, così i bambini, i ragazzi avranno modelli che li faranno riflettere come il mio mento-re ha fatto riflettere me. Poi aiutarli nella crescita a mantenere un atteggiamento assertivo.

Federica Curzi è nata in Ancona nel 1971. Vive a Fermo, dove si è diplomata in telecomunicazioni nel 1990 e nel 2001 si è laureata in Psicologia all’Università di Padova. Ha frequentato per due anni la Scuola di Specializzazio-ne in psicoterapia cognitiva comportamentale ed ha svolto in quei due anni tirocinio e volontariato in psichiatria del territorio nella asl 11 di Fermo e in un Centro Diurno per pazienti psichiatrici. Nel 2003 ha iniziato di lavora-re presso una scuola di formazione, dove ha avuto il piacere di insegnare ad estetiste, parrucchiere, apprendi-sti ed operatori socio-sanitari.

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TESTIMONIANZE

Visso, ci sono nato, l’ho vissuta, vorrei ritrovarla di Alessio Borraccini

Ai miei Vissani

Scendendo dalla macchina mi avvolge un’aria pura, fresca, i rami degli alberi si dondolano cullati dal vento. Qui davanti a me c’è il monumento dei caduti, poco più sopra alla collinetta dove io ed i miei amici ci ritrovavamo per passare delle giornate indimenti- cabili. Allegramente scendo per le strade incrociando le solite persone che una ad una rendono il posto migliore e fanno parte della perla nascosta dei Sibillini: Vis-so. Il sole si rispecchia nel mio viso, come a voler sottolineare la mia espressione felice, ed assaporando davvero ogni secondo di quella che sento casa mia, mi siedo su di una panchina dei giardini del Laghetto, chiudo gli occhi dolcemente. Inspiro in mezzo al buio, ritrovo veramente la pace e la felicità del ritornare tra le mie montagne. Ad un certo punto sento un boato sordo che mi fa tremare il cuore. Non so cosa sia, ma ho paura, sento delle vibrazioni che mi stringono lo sto- maco, il respiro diventa pesante. Apro gli occhi, mi avvolge un’aria polverosa, amara, che trasporta sottilmente i resti della distruzio- ne; gli alberi scossi dall’ululare del vento si dimenano nelle polve- ri, il monumento dei caduti non c’è più e con lui sono crollati quei pomeriggi di sole, le risate con gli amici e la possibilità di rivi- verle. Le strade sono desolate, con un silenzio davvero assordante che mette i brividi al solo ascoltarlo, intorno a me ci sono solamente dei mattoni delle case, delle abitudini che scorrevano in quei luoghi. All’improvviso scende una pioggia leggera come se volesse provare a far scivolare via la distruzione, come se volesse pro-vare almeno un po’ del dolore che i n v a d e i l p a e s e . La terra trema e crolla tutto, ma i ricordi no, quelli spesso tor-nano, a volte facendoti spuntare un sorriso, altre facendo nascere lacrime amare piene di malinconia. Tornano riaprendo una ferita che non si curerà da sola, ma potrà guarire solamente quando rivivrò finalmente quelle montagne. La terra trema e crolla tutto, ma i ricordi no, e forse nemmeno la speranza che si legge negli occhi dei ragazzi, mentre negli occhi dei più anziani rimane la tristezza di un paese che non vedranno più e il rammarico per aver perso le piccole sicurezze conquistate in una vita intera.

Alessio

numero ero Z

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ALTRI LINGUAGGI

Carlo cuor di coraggio di Roberto Vespasiani

Il 27 febbraio 2016, in occasione della giornata per l’ intitolazione del nostro Istituto a Car lo Urbani, feci una promessa a Francesco Vintr ici, autore della stor ia “Car lo cuor di coraggio” presentata lo scorso anno al Teatro delle Api .

Questo è il testo della canzone per bambini che in questi ultimi tempi ho realizzato (testo, musica, programmazione digitale e registrazioni audio dei bambini della scuola di Piane di Falerone).

CARLO CUOR DI CORAGGIO 1) C'era una volta un Re che si chiamava Carlo

Se un bimbo era ammalato correva per curarlo I sudditi contenti di avere per sovrano Un medico speciale che ti prende per mano.

RIT. Vola Carlo come fa una rondine Vola veloce come se fossi un fulmine Devi raggiungere la casa di Gino Che vuol guarire come ogni bambino

2) Un giorno il Re Spavaldo che vuole una vittoria

Lo sfida a far battaglia per scrivere la Storia Ma Carlo non lo ascolta perché ai suoi bambini Non servono le guerre ma solo dei vaccini.

RIT. Vola Carlo come fa una rondine Vola veloce come se fossi un fulmine Devi raggiungere la casa di Gino Che vuol guarire come ogni bambino

3) Fu chiaro a tutti da allora il messaggio

E lo chiamarono Cuor di Coraggio Così si poté tutti vivere in pace Anche chi non ne era capace

RIT. Vola Carlo ora che sei una rondine Vola veloce metti tu le cose in ordine Se sarai stanco potrai posarti sul glicine Questa è una fiaba con la tua immagine Questa è una fiaba con la tua immagine

http://www.rimaiolo. it/documenti/cantiperbambini/32_Carlo_cuor_di_coraggio.mp3

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Jess è una giovane mamma single che lotta facendo due lavori per mantenere se stessa ed i suoi due figli Tanzie e Nicky.

Tanzie ha appena nove anni ed è un genietto della matematica; il suo desiderio più grande è quello di frequentare la scuola St Anne's per avere successo nella vita grazie al suo talento. Nicky, un adolescente omosessuale vittima di bullismo, non è il vero figlio di Jess ma la considera come madre, essendo cresciu-to con lei e ricevendo amore, affetto e protezione.

Jess fa di tutto per assicurare il meglio alla sua fa-miglia, percorrendo la vita come un lungo e burra-scoso percorso, ma sempre a testa alta con molta for-za e volontà d'animo.

Durante il suo cammino incontra lui, Ed. Edward, meglio conosciuto come Ed Nicchols, è

un elegante uomo d'affari sconvolto da una crisi cau-sata da un suo stupido errore, al quale lei pulisce casa per aver qualche soldo in più..

Nessuno dei due è a conoscenza dei problemi dell'altro, ma entrambi sanno cos'è la solitudine e,

attraverso un viaggio, capiranno che si completano e che... beh, una più uno fa due.

Seguendo l'autrice da un po' e avendo letto altri suoi tre libri prima di questo, non considero questo romanzo come il migliore che lei abbia scritto ma nemmeno il p e gg i o re . Bella storia ma molto irreale. Se- condo me succed ono troppe sfor-tune in così pochi giorni e quello che può accade-re è abba- stanza pre-v e d i b i l e . Rimane co-munque un r a c c o n t o scorrevole, un'in solita storia d'a- more che si differenzia a suo modo dai soliti r o m a n z i rosa.

Tramite questo libro si può capire che nella vita non si sa cosa può mai accadere e che bisogna sem-pre andare avanti; e si può sempre sperare che l'ani-ma gemella esiste e che una più uno fa…due!

Una più uno

Resta anche domani Mia è una ragazza di diciassette anni, condivide

con la famiglia la passione per la musica ed è fidan-zata con un ragazzo che sta per diventare una ro-ckstar.

Deve compiere una dura scelta: trasferirsi nel lato opposto del mondo per approfondire il suo legame con il violoncello nella Juillard School o rimanere lì dov'è assieme alle persone a cui tiene di più.

L'importanza di prendere una decisione svanisce in un secondo, quando lei, i suoi genitori e il suo fra-tellino Teddy rimangono coinvolti in un grave inci-dente d'auto.

Muoiono tutti, tranne lei. Mia è in coma, riesce a vedere, sentire e provare tutto quello che le accade intorno, ma soprattutto ricorda. Ha un’altra grande scelta davanti a sé: smettere di lottare e raggiungere sua madre, suo padre e suo fratello nell'aldilà e trova-re la pace con loro, oppure svegliarsi e continuare a vivere, coltivando la sua passione per il violoncello,

circondata da persone che tengono molto a lei come i suoi nonni, la sua migliore amica Kim e il suo fi-danzato?

Mia deve trovare un motivo per il quale valga la pena restare anche domani!

“Sono io a condurre il gioco. Tutti quanti a s pe t t a no me. Sono io a decidere. Adesso lo so. E que- sto mi terro-rizza più di q u a l s i a s i altra cosa mi sia suc-cessa oggi.”

Q u e s t o romanzo mi è piaciuto molto, non è come tutti gli altri, è s e mp l i c e - mente di-verso. Ri- sponde ve-ramente alla domanda "Perché vivere?".

Fa comprendere quanto può essere profonda la passione per una cosa e forte l'amore per certe per-

LIBRI a cura di Sofia Volpi 2D Socio Sanitario di Sant’Elpidio a Mare

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Pagina 21 sone. Mi ha emozionata a tal punto di spingermi a vedere il film tratto dal libro, ma devo dire a malin-cuore che mi ha delusa, essendo molto meno coin-volgente del libro.

"Resta anche domani" è uno dei più bei young adult che mi sia capitato di leggere e lo consiglio vivamente perché molto scorrevole, significativo e gradevole.

Oskar è un bambino di undici anni diverso da tutti gli altri, ha un rapporto profondo e particolare con suo padre Thomas. Questo legame si conclude però in un giorno, l'11 Settembre 2001, quando Thomas rimane coinvolto nell'attacco delle Torri Gemelle. Ora vive con sua mamma e sua nonna, che da poco ha un inquilino alquanto misterioso che vive con lei.

Non ha più messo piede nella camera di suo pa-dre da quando è morto, ma un anno dopo, spinto dalla nostalgia e dalla curiosità, decide di sbirciare nel suo armadio; ed è lì che trova qualcosa di vera-mente inspiegabile: rompendo per errore un vaso blu, trova al suo interno una busta con su scritto "Black" con dentro una chiave.

Da quel momento Oskar passerà ogni suo giorno libero possibile alla ricerca di cosa apra quella stra-nissima chiave, cimentandosi in avventure incredi-bili e conoscendo persone speciali e particolari, tut-te di cognome Black ed ognuna con una storia di-versa da raccontare.

Quale segreto nascondeva Thomas? «L'ho trova-ta, e adesso non la posso più cercare».

In molti mi avevano consigliato questo libro, ma non lo avevo letto prima in quanto ero molto scet-tica riguardo alla trama. Come si suol dire: "mai giu-dicare un libro dalla copertina"! Inizialmente non è molto semplice capire chi sia la voce narrante, ma

dopo un po' tutto si collega e ti coinvolge. Questo racconto fa riflettere su quanto grande possa essere l'amore e l'importanza che possiamo attribuire ad una persona; soprattutto, però, fa capire quanto sia orribile la guerra nelle sue varie sfaccettature, come nell'attacco delle Torri Gemelle dove abbiamo visto morire gente senza alcuna colpa per un motivo ine-sistente. Questo libro riesce a far emozionare, ha uno stile magnifico che ti entra nel cuore e vorresti fosse senza fine.

Assoluta- mente da leggere! Io ho visto anche il film dedica-to a questo roma nz o , ma mi ha un po' de-lusa per il fatto che molte cose non le ho trovate co- me nel li-bro ed altre sono inven-tate.

“A me piace vede-re le perso- ne riunite, forse è sciocco, ma che dire, mi piace vedere la gente che si corre in-contro, mi piacciono i baci e i pianti, amo l'impa-zienza, le storie che la bocca non riesce a raccontare abbastanza in fretta, le orecchie che non sono abba-stanza grandi, gli occhi che non abbracciano tutto il cambiamento, mi piacciono gli abbracci, la ricom-posizione, la fine della mancanza di qualcuno…”.

Molto forte, incredibilmente vicino

The giver

Il romanzo è ambientato in un mondo futuro ed ha come protagonista Jonas, un ragazzo che vive in una delle molte comunità presenti sulla Terra. La società è organizzata rigidamente: i nuclei familiari possono essere composti da due figli, un maschio ed una femmina; tutti devono seguire regole e com-piti ben precisi.

Nelle comunità nessuno prova emozioni e perce-pisce i colori; tutto è grigio e neutro. Ogni anno vengono svolte cerimonie in base all'età dei bambi-ni, la più importante ed attesa è la "Cerimonia dei

Dodici", nella quale a ciascun dodicenne viene asse-gnato il lavoro che svolgerà per il resto della vita.

A Jonas viene dato il compito del "Donatore" (The Giver): dovrà custodire le memo-rie dell'umanità, subendo dolori terribili e provando sensazioni che nessun altro membro della comunità potrà mai conoscere. Il ragazzo si innamora presto della bellezza di avere emozioni, sensazioni e riusci-re a vivere a pieno la vita. Decide così di fuggire via da quella società orribile per poter poi donare a tut-to il resto del pianeta le memorie da lui acquisite. Jonas rappresenta un nuovo mondo, un futuro mi-gliore.

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Moonlight è un intenso ritratto di un ragazzo gay afroamericano che vive nella comunità di Liberty City. Sua madre fa uso di droghe, così lui spesso si rifugia a casa di Juan, uno spacciatore dall’anima buona conosciuto per caso, che vive con la sua fi-danzata Teresa; i due gli offrono un rifugio sicuro dove, attraverso il confronto, può trovare delle ri-sposte alle sue domande e crescere.

Il film è diviso in tre capitoli che portano come titolo i vari nomi che assume il protagonista e che raccontano diverse fasi della sua vita ovvero Little(infanzia), Chiron (adolescenza), Black (età adulta).

La regia ci fa entrare violentemente nella storia dei protagonisti grazie alle inquadrature strette e con-centrate sul viso e sul corpo; la scenografia infatti è essenziale e fa semplicemente da sfondo alle vicen-de.

"Ad un certo punto dovrai decidere da solo chi vuoi diven-

tare. Non lasciare che qualcuno decida per te".

Il film si è portato a casa tre premi Oscar: miglior attore non protagonista a Mahershala Ali; migliore sceneggiatura non originale a Barry Jenkins e Tarell Alvin McCraney (il film infatti è tratto da una pièce teatra le) e Miglior film a A d e l e Roman- ski, Dede Gardner e Jeremy Kleiner.

L a pel l icola non può non la-s c i a r c i i nd i f f e -r e n t i , visto che ci porta in una r e a l t à piena di v iolenza e solitu-d i n e , dove il protago- nista de-ve repri- mere i suoi sentimenti e la propria indole e costruirsi una corazza per continuare a vivere in un contesto diffi-cile che rifiuta il “diverso”.

Moonlight

FILM a cura di Virginia Sbrolla 2D Socio Sanitar io di Sant’Elpidio a Mare

La La Land

La La Land è un musical moderno che racconta la

strana storia d’amore tra un’aspirante attrice e un musicista jazz che vuole aprire un locale. Il titolo “La La Land” si riferisce a Los Angeles

“A volte vorrei che ricorressero più spesso alla mia saggezza… Ci sono tante cose che potrei dire, tante cose che vorrei cambiare. Ma loro non voglio-no cambiare. La vita che hanno scelto è così ordina-ta, così prevedibile…così indolore.”

Anche se non mi posso definire una patita dei fantasy, ho deciso di leggere questo libro grazie ai molti giudizi positivi che avevo letto. Ora ho final-mente capito il motivo del suo successo!

Ho trovato emozionante lo scambio di memorie dal vecchio al nuovo Donatore Jonas. Credo ci sia molto più amore in questa storia che in un altro qualsiasi romanzo rosa. Lo considero un libro com-

movente e i st ru tt i v o, perché ci fa n o t a r e com'è vera- mente il n o s t r o m o n d o , s e mp l i c e - mente rac-contandolo.

Joio Moyes, Una più uno, Mondador i, coll. Omnibus, Milano, 2014 Gayle Forman, Resta anche domani, Mondador i, coll. Chrysalide, Milano, 2014

Jonathan Safran Foer, Molto forte, incredibilmente vicino, Guanda, coll. Narrator i della Fenice, Parma, 2005

Lois Lowry, The giver, Giunti , Firenze, 2010

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Pagina 23 (L.A.), città in cui è ambientato il film e alla parola inglese “Lalaland” che indica uno stato euforico e sognante, distaccato dalla realtà; ed è proprio que-sto l’obiettivo del film: farci sognare, sperare e farci evadere dalla realtà. City of stars, Are you shining just for me? City of stars, There's so much that i can't see. Who knows I felt it from the first embrace I sha-red with you… Così comincia la dedica d’amore cantata alla Città degli Angeli. L.A. è davvero la co-protagonista della pel-licola… A chi, dopo aver visto il film, non è venuta voglia di partire e visitare il planetario del Griffith Ob-servatory o di farsi un giro al molo di Hermosa’s Beach? Pur essendo ricco di citazioni e o-maggi ai classici del cinema e del musical (Balla con me, Gioventù bruciata, Cantando sotto la pioggia,

Funny Face, Grease), La La Land non è un film scontato e rimane comunque fresco e innovativo. L’estetica nel film è una parte fondamentale: ogni dettaglio è curato sotto ogni aspetto e le atmosfere,

i colori e le canzoni lasciano a bocca aperta lo spettatore e rispecchiano le emozioni dei personaggi principali. Mia e Sebastian, i due protagonisti, sono interpretati da Emma Stone e Ryan Gosling, entrambi nominati all’Oscar. Emma Stone canta nel film "The fools who dream" e pro-babilmente a lei è servito sognare, visto che è riuscita a vincere l'ambita statuetta come migliore attrice; an-che il regista del film Damien Cha-zelle, al suo secondo lungometrag-gio dopo Wishplash si è aggiudicato il record come regista più giovane

ad aver vinto un Oscar.

Manchester by the sea tratta il tema del lutto fa-miliare; tuttavia il film non parla solo di morte, ma anche del coraggio di andare avanti e continuare a vivere.

Il film è un dramma che narra la storia di Lee, un ragazzo solitario e burbero, che è costretto a tornare nella sua città natale dopo la morte del fratello Joe per prendersi cura del nipote Patrick.

La pellicola ha un ritmo molto lento, creato appositamente per far-ci conoscere meglio i protagonisti e il loro dolore. I dialoghi sono brevi ma efficaci: molto infatti nel film è affidato al non detto, evidenziando l’incapacità dei protagonisti di espri-mere con le parole la propria soffe-renza.

La fotografia dai toni grigi e la colonna sonora ci accompagnano per tutto il film ed aggiungono in-tensità al racconto.

Casey Affleck interpreta alla perfezione la com-plessità del suo personaggio; meritatissimo dunque

l'Oscar come miglior attore protagonista, come quello assegnato per la migliore sceneggiatura origi-nale al regista del film, Kenneth Lonergan.

Questo film ci ha messo poco per conquistarmi poiché non è il solito film drammatico: le scene non sono enfatizzate, ma il film riesce a commuoverci

anche senza parole, soprattutto nelle scene con protagonisti Lee e Patrick e l’ex moglie di questi, Randy, inter-pretata da un’ottima Michelle Wil-liams. La barca di famiglia si rompe quan-do il fratello di Joe muore e diviene non solo il simbolo del film, ma an-che allegoria della vita e della forza necessaria per affrontarla, come nel-l a p o e s i a G e o r g e G r a y dell’Antologia di Spoon River, che abbiamo letto in classe: “E adesso so che bisogna alzare le vele/ e prendere i venti del destino,

d o v u n q u e s p i n g a n o l a b a r c a . Dare un senso alla vita può condurre a follia/ ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vano desiderio/ —una barca che anela al mare eppure lo teme”.

Manchester by the sea

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In India ci sono molti cantanti ma il più famoso è Diljit Dosanjh. Nasce in Punjab, una regione situata tra il Pakistan e l’India con una grande tradizione culturale. Pubblica il suo primo album pop nel 2004 ed in pochi anni diventa famoso. Oggi è anche un affermato attore di Bollywood, il cinema popolare in lingua hindi che riscuote grande successo in India ma anche nel resto del mondo. Dilijit ha vinto molti premi, sia come cantante che come attore. Il primo film da lui interpretato è uscito nel 2016 e si intitola Udta Punjab, tradotto in inglese come Punjab flying

high. Dove “high” si riferisce allo stato di alterazione dovuto alle droghe.

Diljit proviene da una famiglia sikh, è sposato, ha una sorella e due fratelli più grandi e indossa il tur-bante, che per lui è molto importante.

Mi piacciono le sue canzoni perché sono molto allegre e fanno ballare. Alcune canzoni parlano d’amore, mentre altre sono canzoni religiose.

Diljit infatti vive secondo gli insegnamenti della religione sikh: aiuta molto le persone povere in India ed è molto gentile nei confronti degli altri.

https://en.wikipedia.org/wiki/Sikh

http://www.bollyrama.com/udta-punjab/ https://www.youtube.com/watch?v=P-DhwN87JDY

Un cantante indiano di Kaur Manvir 2D Socio Sanitar io Sant’Elpidio a Mare

Pagina 24 INTERCULTURA

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Uno dei miei artisti preferiti cinesi si chiama Huang Zitao, un cantautore, rapper, artista marziale cinese e attore.

Zitao è nato a Qingdao Shandong, in Cina. A cau-sa del suo cattivo comportamento, quando aveva 5 anni, il padre lo mandò alla formazione Wushu di arti marziali, per imparare la disciplina. Huang ha conti-nuato a praticare Wushu durante gli anni scolastici e gareggiato in competizioni di arti marziali nella sua città natale.

Zitao ha anche sviluppato una passione per la mu-sica fin dalla giovane età e ha deciso di fare carriera in questo campo quando ha lasciato la scuola. Nel 2010 ha partecipato alla MBC Stella Audition, che stava ospitando una ricer-ca di talenti in Cina. Huang è stato subito no-tato da un rappresentante d e l l a C o r e a S M Entertainment e scelto per il debutto nel gruppo K-Pop EXO. Dopo un breve periodo di tiroci-nio, il 27 dicembre 2011 è stato presentato come il rapper guida per il grup-po EXO-M.

Durante il periodo di appartenenza al Gruppo E-xo, continuava a praticare Wushu con l'attore e core-ografo di arti marziali Bruce Khan e ad eseguire le routine di Wushu Taolu durante concerti e program-mi di varietà.

La prima apparizione di Zitao su uno schermo cinematografico è stato nel film cinese You are Sun-shine insieme al suo amico Huang Xiaoming. Qui ha svolto il ruolo di William, l'assistente di Xiaoming. Nell’estate del 2015 Huang Zitao, dopo aver presen-tato istanza di risoluzione del contratto con la SM Entertainment, ha debutto da solista con il mini-album digitale T.A.O sotto il nome d'arte di recente adottato, Z.Tao. L'album ha superato il record con la vendita di 670 000 unità in una settimana. Per il suo

mini album seguente, Z.Tao ha girato un cortome-traggio pieno di azione con grandi e drammatici ef-fetti visivi cinematografici con il regista Nick Lentz, per il suo singolo Corona, che fungeva da colonna sonora del film breve.

Oltre a una carriera come musicista, Huang Zitao ha espresso il desiderio di diventare un artista attore marziale e promuovere le arti marziali cinesi come Jackie Chan. Zitao è stato confermato come uno

dei personaggi di supporto del film in uscita di Jackie Chan, Railroad Tigers diretto da Ding Sheng.

Nel film Zitao combatte insieme a Jackie Chan ed esegue acrobazie. Huang Zitao è anche il protagonista maschile del film Summer, ripresa a 19 anni di distanza di un rac-conto di crimine e miste-ro, basato su un romanzo di mistero dello scrittore giapponese Soji Shimada, d iretto da Jung-Chi Chang. E’stato inoltre conferma-to come il personaggio principale nel film di Gao Xixi The Game Changer, incentrato sulla guerra tra bande rivali in epoca re-

pubblicana di Shanghai. Gao Xixi ha detto di aver scelto Zitao dopo aver visto Tao fare Wushu e la sua idoneità per il ruolo. The Game Changer è il primo film da protagonista di Huang Zitao come artista at-tore marziale. Huang Zitao ha preso anche il ruolo principale nell’adattamento TV della serie cinema-tografica Chinese Odyssey come il Re Scimmia, Zhi Zun Bao. Egli sarà anche nel 2017 il protago-nista dell’adattamento cinematografico dei romanzi fantasy Famen Temple, diretto da Tsui Hark, con il personaggio di Zhao Ye.

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Un cantante e attore cinese: Huang Zitao di Hu Serena Anna 2D Socio Sanitar io SEM

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A marzo si è discusso sui giornali della sentenza della Corte europea in merito alla possibilità di in-dossare il velo Islamico negli ambienti di lavoro. La sentenza faceva seguito al caso di Samira Achbita, una donna di fede musulmana, assunta come recep-tionist per svolgere ricevimento e accoglienza dei clienti in un’azienda. Nel 2006 Samira informa il suo datore di lavoro di voler indossare il velo in servizio; una regola non scritta vietava però a coloro che la-voravano nell’impesa di manifestare attraverso segni

visibili le loro convinzioni politiche o religiose. La direzione comunica quindi alla dipendente che il ve-lo non sarebbe stato tollerato durante le ore di servi-zio. Il 29 maggio 2006 l’azienda approva una modifi-ca del regolamento che introduceva il divieto ai di-pendenti di indossare sul posto di lavoro segni visi-bili delle loro convinzioni politiche religiose o mani-festare qualsiasi rituale e di conseguenza arriva il li-cenziamento di Samira. Comincia, dunque, l’iter di giustizia. La corte Europea ha concluso che il divieto di coprire il capo con un velo Islamico, se scaturisce da una norma interna applicabile a chiunque indossi in modo visibile simboli politici, filosofici o religiosi sul luogo di lavoro “non costituisce una discrimina-

zione diretta fondata sulla religione o sulle condizio-ni personali ai sensi della direttiva”. Si realizzerebbe una discriminazione indiretta solo se messa in atto esclusivamente per i dipendenti aderenti a una deter-minata religione o ideologia.

Secondo me non c’è nulla di male nell’ indossare l’hijab (un fazzoletto o una sciarpa che va a coprire i capelli e il collo ma non il volto), poiché indossarlo rende comunque riconoscibili. Io ho deciso di adot-tare l‘hijab perché credo in questo modo di avvici-

narmi maggiormente alla mia religione; il fatto di indossarlo non ostacola i miei rapporti con gli altri e non mi impedisce di svolgere le stesse attività dei miei coetanei; in particolare per i miei compagni di classe la mia scelta non costituisce un problema. So-no invece contraria all’adozione del burqua e del niquab, che coprono il volto e il corpo della donna. Sono molto contenta della nuova collezione di abbi-gliamento sportivo per le hijabiste, creato da un mar-chio importante come quello della NIKE; credo in-fatti che contribuisca alla partecipazione delle ragaz-ze musulmane alle attività sportive, facendole sentire trendy come le altre e rispettose delle loro convin-zioni religiose.

Il dibattito sul velo islamico di Nadia Aboufaras 2D Socio Sanitario Sant’Elpidio a Mare

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Pagina 27 INTERCULTURA Pagina 27

bind Singh, nel 1699: essi così presero il cognome “Singh” (leoni) e le donne diventarono

“Kaur” (principesse). Da questi “Panj Piare” Go-bind Singh si fece a sua volta battezzare; in questo modo nella nascente Khalsa, la co-munità dei puri, il maestro era uguale al discepolo. Con que-sta cerimonia venne confer-m a t o u l t e r i o r m e n t e l’uguaglianza di sessi voluta dal fondatore del Sikhismo Guru Nanak. Kaur fornisce

alle donne Sikh uno status uguale a quello degli uo-mini.

Alcune principesse di origine indiana frequentano la nostra scuola...Il loro cognome è Kaur!

Nella lingua punjabi significa “principessa” ed è dato come secondo nome a tutte le bambine Sikh. Questa usanza fu introdotta il giorno di Vaisakhi 14 aprile (data che per i Sikh segna l’inizio del raccolto oltre che il nuovo anno solare). In tale giorno i Sikh (parola che significa “discepolo”) ricordano il bat-tesimo dei “Panj Piare” (i cin-que devoti) per mano del decimo e ultimo guru Go-

Principesse a scuola di Parneet Kaur 2D e Marika Bettinelli 1D Socio Sanitar io Sant’Elpidio a Mare

https://en.wikipedia.org/wiki/Kaur http://www.immigraticittadini. it/joomla/images/stories/Chi__un_Singh.pd f

http://www.giuntiscuola. it/sesamo/in-classe/calendar io-multiculturale/vaisakhi-la-festa-dei-sikh-india/

http://www.sikhismguide.org/vaisakhi.aspx

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Il calcio femminile è un sport poco diffuso pur-troppo, le ragazze sono più interessate ad altri sport più tipicamente da ragazze; si tende a pensare erro-neamente che sia uno sport solamente maschile, perché considerato irruento.

In realtà nella pratica è differente dal calcio ma-schile, anche a causa della diversa struttura fisica. Ovviamente è uno sport che richiede molti sacrifici, come impegnarsi sempre e lottare fino alla fine della partita, allenarsi costantemente nonostante il freddo e la pioggia con il campo pieno di pozzanghere. Far parte di una squadra di calcio vuol dire costruire rapporti significativi con le compagne e con l’allenatore e sacrificarsi per il bene del team. Finiti gli allenamenti ci si ritrova sporche di fango, sudate e malconce, ma vi assicuro che ne vale la pena.

Io sono una ragazza estremamente femminile e chiunque scopra quale sport pratico rimane molto sorprese! Il punto è che ho una personalità forte e sono una ragazza iperattiva; ho provato tutti gli sport dalla danza classica a nuoto per poi finire con il calcio. Nessuno degli sport precedenti mi ha dato soddisfazioni, non trovavo quello giusto per me. Un’amica di mio cugino mi ha consigliato di fare qualche giorno di prova presso la squadra di calcio femminile “Monteurano Campiglione” dove gioca anche lei e io non vedevo l’ora di cominciare. All’inizio i miei genitori erano contrari all’idea per-ché anche loro considerano il calcio uno sport vio-lento, non adatto per una ragazza ma ho voluto di-mostragli che anche le ragazze possono praticarlo bene e forse anche meglio dei ragazzi! Alla fine sono riuscita a convincere i miei genitori, cosi ho inco-minciato ad allenarmi ogni lunedì e venerdì; ho fatto amicizia con le compagne di squadra fin da subito: nonostante abbiano tutte più di venti anni mi hanno coinvolto e fatto sentire accettata già dal primo alle-namento. Mi trovo molto bene quando sto con loro, mi aiutano a superare i problemi e mi incoraggiano sempre; grazie a loro in questi ultimi mesi sono mi-gliorata moltissimo sia nel comunicare con gli altri sia nella pratica di gioco.

Il mio primo goal è stato indimenticabile, una sensazione bellissima mai provata prima… ma, co-me dice Alessandro Del Piero, il goal più bello è quello che deve ancora venire.

Il calcio femminile: la mia esperienza di Benedetta Marsili 2D Socio Sanitar io Sant’Elpidio a Mare

Pagina 28 ESPERIENZE

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Mia nonna mi ha raccontato che durante la sua gravidanza si rivolse ad una signora conosciuta nel fermano e non solo per i suoi particolari poteri di chiaroveggente: Costanza Porfiri, da tutti chiamata con il secondo nome Pasqualina (nata a Cascinare nel Comune di Porto Sant’Elpidio il 2 agosto del 1908 e morta a Civitanova Marche il 30 giugno del 2005).

Ogni sera durante il periodo della gravidanza mia nonna aveva la febbre e non si riusciva a scoprire quale ne fosse la causa, con i valori delle analisi tut-ti nella norma. Nell’apprensione, dopo essersi con-sigliata con i genitori e il marito, decise di rivolgersi alla Montesanta (dal toponimo del paese di nascita

del marito Luigi Pezzola, nato a Potenza Picena). Pasqualina alla fine della visita, risvegliatasi da

una sorta di sonno breve durante il quale però sfio-rava con le mani il corpo della paziente, disse che la febbre alla fine dei 3 mesi restanti di gravidanza sarebbe scomparsa e che mia nonna doveva cercare di stare il più possibile a riposo, per evitare un a-borto spontaneo. La cosa strana e straordinaria – come mi ha raccontato nonna – fu che durante la visita Pasqualina riuscì a contare il numero dei glo-buli rossi e ad indovinare il gruppo sanguigno.

Un’amica di mia nonna, Assuntina, mi ha rac-contato di aver sentito dire che i poteri di Pasquali-na si erano manifestati all’età di 20 anni: dopo una lunga giornata di lavoro, seduta davanti al camino si assopì e durante il sonno sognò che il suo ragaz-zo, che in quel periodo si trovava a Roma, aveva

subito un incidente ed era stato trasportato in ospe-dale. Pasqualina si risvegliò subito dal sogno escla-mando: “Oh mio Dio cos’è successo!”. La madre che era seduta vicino a lei le aveva chiesto cosa fos-se accaduto e la rassicurò che il suo era stato solo un sogno. Ma pochi giorni dopo il “sogno” di Pa-squalina arrivò alla famiglia del ragazzo un tele-gramma che confermava l’accaduto, già visto da Pasqualina.

Tornato da Roma il ragazzo, informato dello strano episodio, volle fare una prova. Nascose un anello che aveva da poco comprato e chiese a Pa-squalina di trovarlo. Ella cadde in trance e al risve-glio disse: “Mi hai comprato un anello e lo hai na-

scosto nella capanna”. Il ragazzo dapprima rimase sconvolto ma poi a

seguito di altri episodi non esitò a credere che fosse un dono regalato dal Signore alla sua amata.

A questo punto Pasqualina, appoggiata dal com-pagno ma contro il volere della madre, cominciò ad esercitare come veggente.

Da quel punto tantissima gente con problemi di salute ha cominciato a rivolgersi a lei, facendo la fila fin dalle prime luci dell’alba nella sua casa di Civitanova. Tanti medici illustri nei casi dubbi cer-cavano il suo consulto. Pasqualina diventò così fa-mosa non solo in Italia, ma anche in Svizzera, Francia, Germania, Messico, Stati Uniti; fu una leg-genda del Novecento!

di Elisa Pezzola 2D Socio Sanitar io Sant’Elpidio a Mare

Una chiaroveggente delle nostre terre: Pasqualina

Pagina 29 MISTERO

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Fino a qualche anno fa ci si poneva il problema su quale posto a tavola offrire al nonno o alla nonna e si sceglieva ovviamente, per un senso di rispetto, il capotavola, segno di devozione e autorevolezza. Og-gi è l’ultima delle preoccupazioni, e manifesta l’impoverimento dell’idea stessa di famiglia. In effet-ti è molto cambiata, e se i nonni ovviamente se sono ancora in casa e non negli istituti spesso prendono il posto dei genitori, è perché essi devono recarsi a lavorare, creando una serie di squilibri. Il cosiddetto pranzo di famiglia domenicale è diventato una lonta-na tradizione. I nonni perdono la loro autorevolezza e vengono trattati, nel migliore dei casi, come forza lavoro ma un po’ usurata. La stessa parola “vecchio” è diventata dispregiativa. E non è avvenuto per caso. In questo cambio di significato è nascosta una storia che molti di noi potrebbero raccon-tare. La vecchiaia arriva come all’improvviso, senza ovviamente poterla scegliere. Ad un certo punto ci si accorge di essere anziani, forse sarebbe meglio non accorgersene, ma è una realtà che scoppia come una malattia, gli anni passano inesorabilmente, e pe-sano sempre più. La vecchiaia è divenuta una vera e propria nuova povertà: essa riguarda tutti, anche chi sta bene economicamente. Se dovessimo dire qual è il vero dramma della condizione anziana dovremmo dire che è la solitudine cui si aggiunge il senso di inutilità e di abbandono. E qui emerge la dura con-traddizione della nostra società: allunga gli anni di vita, ma li riempie di solitudine e di abbandono. La pensione è come il capolinea della vita: si scende e si perdono ruolo, importanza, amici, senso dell’esistenza. A che serve continuare a vivere se la convinzione comune da valore solo alla vita attiva? “La qualità di una società, cioè di una civiltà, si giu-dica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune”. Da come si affronta l’invecchiamento dipende l’oggi e il domani di un Paese. L’invecchiamento è senza dubbio una delle grandi sfide da raccogliere per pensare quale società vogliamo costruire in questo nuovo secolo,

anche perché si presenta come il secolo dell’invecchiamento; sicuramente è urgente prendere coscienza che non si può pensare al futuro della no-stra società senza fare i conti con il prolungamento della nostra vita. Si tratta di pensare, di individuare le prospettive, di metterle in atto, di sostenere le realtà che già operano in questo senso e di trovare le risor-se per promuovere iniziative nuove e specifiche. So-lo se ci si pone con decisione su questa strada si po-trà sc onfi ggere i l p rob lema cent ra le dell’invecchiamento che, a mio avviso, è rappresen-tato dall’abbandono e dalla solitudine. Non dob-biamo dimenticare che la solitudine è più temuta della malattia e della stessa morte, è in questo oriz-

zonte che si deve porre il grave pro-blema dell’eutanasia. Mentre si difen-dono i principi è indispensabile non lasciare soli gli anziani. Il problema della solitudine è la vera malattia che affligge l’Occidente e tutte le età del-la vita, la prima causa dei suicidi dei

giovani nelle società del Nord è la solitudine. Essere soli è sempre pesante e difficile da sopportare; ancor più lo è quando le forze mancano, quando gli spazi si restringono, quando è più difficile muoversi. La sconfitta della solitudine, com’è facile immaginare, non passa per la via della tecnica o semplicemente della medicina, ma attraverso un nuovo umanesimo che pone al centro della società il valore assoluto della persona umana, della sua esistenza, della sua dignità. Potremmo dire che torna in primo piano la questione antropologica, il senso stesso dell’uomo. In tale prospettiva si comprende la crudeltà di una concezione che mette valore alla vita umana solo se è vissuta sulle corde del fare e dell’operare. Quindi chiunque sta male è debole, oppure è allettato o im-possibilitato a muoversi, è tagliato fuori dal senso dell’esistenza, è sentito come un ostacolo e quindi va eliminato. La vita “senza valore” di un anziano è un valore inestimabile per la società. Per gli anziani co-me per ognuno di noi conta sapere di essere amati e desiderati: la vita e i giorni riacquistano colore, e la vita riprende senso.

Vecchiaia: la forza dell’età debole a cura del pro f. Gilberto Sandroni

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L’attribuzione di un potere magico alla musica e la funzione religiosa e terapeutica dei suoni sono elementi costanti dell’esperienza umana. L’uso dell’ascolto musicale con anziani e malati d’Alzheimer come rapporto terapeutico rassicura, rasserena, risveglia abitudini, attiva l’esperienza di emozioni, facilita l’attenzione, la coordinazione dei movimenti e l’uso della parola.

L’ascolto terapeutico amplifica potenzialità che troviamo non solo conservate ma sviluppate in vir-tù di quella universale “arte di vivere” che affronta il cammino nonostante la perdita di riferimento. La musica è considerata come un potente strumento per gli anziani ed è utilizzata per portare a ricordare eventi passati e le sensazioni e le emozioni associate a tali memo-rie. Se è usata per evocare ricordi positivi, si ritiene sia in grado di cre-are un’atmosfera di relax e di piace-re.

Curare una persona significa in-nanzitutto prendersene cura e mi-gliorare, per quanto possibile, la sua qualità di vita. Nonostante il progressivo deterioramento delle sue facoltà cognitive e funzionali, in molti casi il malato di Alzheimer è in grado di ricordare le melodie e spesso anche le parole di motivi che sono stati la colonna sonora della sua vita.

Quale la spiegazione si può dare a questi studi? Secondo gli esperti probabilmente il motivo è che l’ascolto musicale coinvolge l’individuo principal-mente sul piano emozionale e non su quello cogni-tivo, infatti sono le emozioni a riportare a galla le parole di una canzone o il suono di uno strumento. “Il potere del suono che restituisce al paziente

ponti privilegiati di comunicazione”. L’anziano, anche quello che non ha ricevuto

un’educazione musicale, ha una competenza di e-sperienze in tutto quello che concerne il campo sonoro-musicale: la conoscenza di canti, il ricordo

di eventi sonori per lui significativi, le pratiche so-ciali inerenti la musica come il ballo, le serenate, il cantastorie e gli strumenti musicali. Questo baga-glio sonoro-musicale che l’anziano si porta dentro, che lo accompagna, che parla della sua storia, del suo vissuto, dei suoi sentimenti, della sua sensibili-tà, delle vicende passate, della sua cultura diventa materiale su cui lavora il musicista e il musico tera-peuta. L’anziano è dunque considerato una per-

sona ancora ricca di potenzialità, di speranze,

di desideri e di bisogni da attivare, conservare,

preservare e rispettare. La musica popolare come ascolto terapeutico lavora sulle parti sane dell’anziano e suo obiettivo primario è quello di valorizzare tutte le po-tenzialità residue; la musica diventa così un mezzo per prendersi cura degli anziani troppo nostalgicamen-te legati al passato e quindi incapaci di vivere un presente proiettato nel futuro, e degli anziani che presenta-no problemi di depressione, aiutan-

doli ad accettare il proprio processo d’invecchiamento e/o ad elaborare un lut-to. L’ascolto musicale è, inoltre un vero e proprio mezzo per “l’attivazione delle funzioni cerebrali, poiché è un’azione complessa che coinvolge non solo la componente affettiva della persona ma an-che quella razionale. E’ dimostrato che l’ascolto della musica con un atteggiamento prevalentemente dominato dalla emotività provoca un netto aumen-to dell’attività cerebrale nell’emisfero di destra, mentre un ascolto analitico-interpretativo, che si accompagna alla lettura dello spartito, produce un aumento della funzionalità dell’emisfero di sinistra” . La musica funziona come una sorta di “chiave” per accedere alle emozioni dei malati: riduce l’ansia, la depressione e i disturbi comportamentali dei pa-zienti quindi diventa una delle tante attività possibili per riattivare e valorizzare la loro esperienza.

LABORATORI numero ero Z

L’ascolto terapeutico per anziani a cura del pro f. Gilberto Sandroni

Attività studenti 2D Socio Sanitario SEM coadiuvati dagli insegnanti: Sandroni Gilberto, Patr izia Virgili, Crocetti Angela.

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Arte Povera. Potrà sembrare un termine ambi-guo, poco esaltante, legato all’uso di materiali eco-nomici, alla scarsità di mezzi, ma non dobbiamo lasciarci ingannare: si tratta di una piccola rivoluzione artistica partita proprio dal nostro Paese.

Ma facciamo ordine nella storia e partiamo dall’avvenimento più re-cente, per poi capire come il nome Arte Povera nasconda una storia davvero importante per il mondo della cultura e della creatività.

Il 16 febbraio 2017 un grande esponente dell’Arte Povera, Jannis Kounellis, è morto all’età di 80 anni. Nato in Grecia nel 1936, l’artista si traferì giovanissimo in Italia, dove ha trovato il suo spazio artistico e ha continuato a lavorare per tutta la vita dando un importante con-tributo all’arte del secondo Novecento italiano.

Tutto nacque tra gli anni ’60 e ’70, quando le nuove tendenze del linguaggio artistico non gravitarono solo intorno ai classici centri di innovazione come New York o Parigi, ma trovarono sede anche a Roma e Torino grazie ad un gruppo di artisti ap-passionati e coraggio-si. In quel periodo ci f u q u i n d i un’esplosione di ricerca e innovazione nel panora-ma artistico italiano, con un successivo risalto inter-nazionale paragonabile nell’ultimo secolo solo al

Futurismo.

Jannis Kounellis è stato uno dei più importanti membri di questo gruppo di artisti, la cui corrente fu soprannominata appunto “Arte Povera”, e le sue

opere sono state ospitate nelle più importanti istituzioni museali. Kou-nellis, sostenuto dal successo del mo-vimento di cui faceva parte, ha porta-to nei musei e nelle gallerie interna-zionali gli elementi di un mondo nar-rativo fatto di legno, pietra, ferro, fuoco e carbone, di animali vivi e materia organica. Cercandone l’origine, possiamo dire che il termine Arte Povera fu utiliz-zato per la prima volta dal critico e curatore Germano Celant per descri-vere il lavoro di Giovanni Anselmo,

Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fa-bro, Piero Gilardi, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gil-

berto Zorio in occa-sione dell’esposizione “Arte Povera - IM Spazio” tenutasi nel 1967 a Genova. Il movimento artistico diventò subito impor-tante, tanto che suc-cessivamente fu scrit-to un manifesto chia-mato “Arte Povera: Appunti per una guerriglia”. Certo, una

guerriglia culturale, una sommossa artistica contro l’ordine prestabilito e le mode imposte, nella vita di tutti i giorni come nel campo artistico.

ARTE ARTE numero ero Z

“Propaganda di libertà. Bisogna insegnare ai giovani il concetto di confine e il suo ampliamento. La possibi-lità di avere una lingua da costruire, una lingua con argomentazioni nuove. E’ un fatto culturale che ti per-mette di essere realmente creativo” ( Jannis Kounellis )

Jannis Kounellis e l’Arte Povera

Figura 1 – Jannis Kounellis,

Margher ita di fuoco , 1968

Figura 2- Jannis Kounellis,

senza titolo

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In ambito strettamente artistico il ’68 della rivolu zione culturale e dei co-stumi iniziò qualche me-se prima, proprio nel 1967 con la nascita dell’Arte Povera, quan-do il gruppo di artisti di cui parliamo diede ad oggetti di uso comune un significato e un valo-re fino a quel momento ignoti.

Quella fatta dagli arti-sti dell’Arte Povera fu un’operazione intellettuale e politica: essi si resero conto che l’opera d’arte è uno strumento fon-damentale per comunicare una cer-ta visione della realtà e che l’arte deve prendere posizione rispetto ai processi sociali che caratterizzano il presente.

Arte Povera fu anche una provo-cazione ideologica, infatti vuol dire anche arte proletaria, una corrente artistica poco incline al mercato, in quel periodo monopolizzato dalla Pop Art di Andy Warhol e dalla sua cerchia. Mentre la Pop Art era basata sui metodi e materie prime che rappresentavano l'iconicità di marche e marchi, sull’identità che ruota intorno ai 15 minuti di fama, l’Arte Povera tentò di lavorare lontano dallo spettaco-lo della merce. Gli artisti dell’Arte Povera avevano una diversa con-cezione del tempo: al tempo dedi-cato al consumo, riferibile alla Pop Art, contrapponevano un tempo rivolto e dedicato alla contempla-zione.

Come possiamo quindi descri-vere concretamente il lavoro di Kounellis e dei suoi compagni

d’avventura? Essi progettarono e pensarono ad un’opera d’arte che non è più un fatto chiuso e definito, ma una “cosa” aperta e in pieno cambiamento, vivente e mutante, quasi un essere che continua a crescere e a modificarsi nel tempo e nello spa-zio. L’arte, per loro, si trasforma ed è vitale,

non è una cosa statica, e l’opera non deve essere “congelata” come un qualsiasi di-pinto, ma deve produrre energia vitale. Insomma, per i Poveristi il quadro da cavalletto è inadeguato a rappre-sentare la complessità del reale. L’opera diventa qualcosa che acca-de: un esempio di questo modo di pensare è il rinnovarsi della cande-la, e quindi della rivoluzione, in Senza titolo di Jannis Kounellis (figura 6) o nella trasformazione dell’acqua salata in una caduta di sale nella Tenda di Gilberto Zorio (figura 5). L’osservatore non è più

messo di fronte a un qualcosa di definitivo, ma os-serva un’opera in divenire ed è invi-tato a partecipare e a mettersi in re-lazione con un elemento che si muove e si modifica: un chiaro e-sempio è l’opera di Giovanni Ansel-mo intitolata Scultura che mangia (figura 8) o, meglio, il pappagallo vivo su sfondo grigio che Kounellis espose nel 1967 a Roma (figura 9). Un luogo simbolo, in cui Kounellis sconvolse il pubblico, fu però l’Attico di Roma, una galleria d’arte

ARTE ARTE

del prof. Domenico Caiati

Figura 4 – Luciano Fabro,

Italia capovolta, 1968

Figura 3 - Giulio Paolini,

Le tre Grazie

Figura 5 - di Gilberto Zor io,

Tenda

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che scorre e la società che muta. Tale intuizione ri-

mane un faro nella Storia dell’Arte, un approccio artistico innovativo, che riesce a scavare nell’essenza di ciò che ci circonda e che ha consentito agli artisti italiani di confrontarsi alla pari con i mostri sacri dell’arte americana e internazionale in genere.

intesa come una “struttura rigida” nella quale egli s t e s s o scelse di i n t r o - d u r r e un ele- m e n t o attivo e vivo in tutti i s e n s i ; qui, nel 1 9 6 9 , e s po s e dei ca-valli or-ganizzati secondo l ’ordine di una s t a l l a ( f i gu ra 2). Lo “spazio r i g i d o” di una ga l le ri a v i e n e i n t e s o c o m e l’ordine borghese e della società, mentre l’irruzione violenta dei cavalli costituisce l’elemento attivo e sensibile. L’inserimento del “sensibile” stravolge l ’ o r d i n e p e r f e t t o della galle- ria d’arte e, in qualche modo, la precisa suc- cessione di eventi della S t o r i a dell’Arte e dei suoi m a n u a l i . Quindi per K ou ne ll is l’artista do-veva scon- volgere gli assetti tra- d i z i o na l i per sperare in un cam-b i a me nt o nella strut-tura della società e per consen- tire una ri-nascita dei valori etici.

L’epopea d e l l ’ A r t e Povera ci i n s e g n a , i n s omma , che l’arte non è una cosa statica, ma si tra- s f o r m a , partecipa al m u ov e r s i del mondo ed è vitale. Il cambio linguistico operato dagli artisti italiani alla fine degli anni ’60 è importante, perché cambia pure l’intero modo di percepire l’opera d’arte, che diven-ta qualcosa in continuo movimento, come la realtà

ART E ARTE

Figura 9 - J. Kounellis, Pappagallo, 1967.

Lo sfondo è una lastra gr igia, r igida, che rappresenta la

realtà industr iale del Nord-America. Fa da contrasto un

pappagallo vivo, simbolo della vivacità del Sud del mondo.

Il trespolo è il legame obbligato tra le due economie.

Figura 8 - Giovanni Anselmo,

Scultura che mangia, 1968.

La scultura vive finché

l’ insalata è fresca, poi

decade, a meno che la

verdura non venga

sostituita.

Figura 7 - Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci,

1969 Figura 6 - Jannis Kounellis,

Senza titolo, 1969

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ARTE MOSTRE numero ero Z Pagina 35

Mostra fotografica di Sergio Tranquilli

Sergio tranquilli | flickr https://www.flickr.com/photos/passenger1976/

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PROLOGO

Mercoledì 12 ottobre 2016 gli alunni delle classi 1A, 1B e 2A ITE di Porto Sant’Elpidio sono andati ad esplorare per la seconda volta nel 2016, i sentieri del Monte Conero (fig. 1), accompagnati dai docenti Fausto Malaspina, Giu-seppe Marcaccio e Pierluigi Stroppa.

A spasso per i parchi degli alunni delle classi 1A , 1B e 2A ITE di Porto Sant'Elpidio

LA CAMMINATA

L’escursione è iniziata salen-do dalla frazione Poggio di An-cona a Pian Grande, lungo il sentiero 301 (figg. 3 e 4), per andare ad ammirare la Baia di Portonovo. A Pian Grande è presente il Livello Marchesini, frana sottomarina avvenuta circa 65 milioni di anni fa, utile per l’individuazione del limite K-Pg (K per Cretacico e Pg per Palogene, rispettivamente ulti-mo e primo periodo delle ere Mesozoica e Cenozoica), posto giusto 80 cm al di sotto di esso (vedi articolo "Alla scoperta del Conero" nel "Numero Zero" precedente).

SCIENZE

Fig. 1 - L'estratto della carta geologica del Parco Naturale Regionale del Monte Conero. In rosso il percorso affrontato dagli studenti con evidenziati gli highlights, i fenomeni geologici e alcuni luoghi importanti dell'area

Fig. 2 – La scolaresca al centro visite del Parco di Sirolo (AN). Foto G.Marcaccio.

Inizialmente studenti e do-centi hanno fatto tappa al cen-tro visite di Sirolo (fig. 2) per osservare immagini, pannelli didattici ed esemplari dal vero di piante, animali, rocce e resti archeologici dell’area di studio. Gli scopi di questa seconda uscita sono diversi:

a) Accoglienza dei nuovi a-lunni; b) elaborazione da parte del consiglio di classe di un'unità didattica; c) conoscenza del territorio regionale.

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LA VEGETAZIONE

Lungo il percorso sono state esaminate prima le rocce sedimentarie, dalla più recente alla più antica: scaglia cinerea, scaglia variegata e scaglia rossa (quest'ultima contenente il famoso limite K-Pg) e poi le foglie di alcuni alberi, in particolare:

N O ME CO MU N E N O ME S CIE N TI FI CO Curiosità

Leccio Quercus ilex L. Detta quercia sempreverde

Roverella Quercus pubescens Willd. Le sue ghiande piacciono agli animali del bosco

Corbezzolo Arbustus unedo L. I suoi frutti sono commestibili

Orniello Fraxinus ornus L. Insieme al carpino nero forma i tipici boschi ad orno-ostrieto appenninici

Lentisco Pistacia lentiscus L. Ha foglie sempreverdi di tipo composto

Delle foglie abbiamo esaminato: Albero Tipo di foglia Margine foglia Forma foglia

Leccio semplice Dentellata o integra Ovato-oblunga

Roverella semplice Lobato Ovato-allungate

Corbezzolo semplice Seghettato Ovato-lanceolata

Orniello composta Dentellato-seghettato Ovato-lanceolata

Lentisco composta Integro Oblungo- lanceolate

numero ero Z

Fig. 4 – I ragazzi si orientano per scegliere il sentiero giusto da percorrere. A destra in un momento di riposo.

Fig. 3 – A sinistra il gruppo in cammino; a destra, il panorama che si ammira da Pian Grande: la Baia di Portonovo, formata da una gigantesca frana avvenuta in epoca preistorica e la Spiaggia di Mezzavalle. Foto G. Marcaccio.

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LE INCISIONI RUPESTRI

Il pranzo è stato consumato a Pian de Raggeti dal quale, a fatica, la comitiva è risalita alla volta delle “incisioni rupestri” (figg. 6 e 7), presunti manufatti dell’uomo primitivo, circondati da un alone di miste-ro. Le ipotesi sulla loro rappresentazione sono due: o è un disegno della mappa dell’area o di una costel-lazione del cielo (forse quella del toro, come descritto in http://alssa.altervista.org/Documenti/Seminari/14/07%20-%20Incisioni%20rupestri%20nel%20Conero.pdf). Inoltre, se fosse stato un luogo ove fossero avvenuti sacrifici di animali, allora i canali e le vaschette sarebbero serviti per la raccolta del sangue. Per saperne di più bisognerebbe esaminare con quali strumenti furono eseguite tali incisioni.

SCIENZE

L’ALBERO PREFERITO

L’albero che è piaciuto di più è stato il corbezzolo, grazie alle sue rosse, dolci e gradevoli bacche, purtroppo, poco digeribili (fig. 5): da cui il nome “unedo” (unum tantum edo, ne mangio uno solo).

LO SAPEVI CHE: sembra che l’origine del toponimo Conero derivi proprio dall’antico nome greco della pianta, “Komaros”.

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Fig. 5 - A sinistra frutti di corbezzolo; a destra foglie di leccio con ghiande. Disegno di Marcelli Gioia, 1A I.T.E.

Fig. 6 - Gli studenti sulle incisioni rupestri. Lo zoom del riquadro rosso tratteggiato è in figura 7.

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IL RITORNO

Dopo aver indagato sui circa 6 km di sentieri percorsi del Monte Conero, a volte affrontando (per alcuni è stata la prima volta) ripide discese sassose, fossi (come quello di San Lorenzo) e cave (come l’area geologica gli arboreti – vedi articolo sul numero del giornalino dello scorso anno scolastico), osservando fantastici panorami (fig. 8) alle ore 16, la scolaresca è giunta al termine del percorso ed è salita, esausta, in pullman, per tornare a casa, consapevole di saperne di più sul perché, nel 1987, sia stato istituito il Parco Naturale Regionale del Monte Conero.

AH PERÒ! Nelle relazioni post-esperienza alcuni alunni hanno dichiarato di aver intravisto addirit-tura le coste della Croazia.

numero ero Z

Fig. 7 – Le incisioni rupestri. Si vede una cavità che forse serviva a raccogliere le acque piovane.

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SCUOLA E AMBIENTE Pagina 40

Ci siamo dati appuntamento all'ingresso dell'Isti-tuto ed eccoci pronti per la partenza!!

Dopo una breve camminata siamo giunti al pun-to di ritrovo, precisamente il parcheggio a sud della area Camper attrezzata, sul lungomare sud di Porto Sant’Elpidio.

Era una calda e bella giornata di inizio autunno! Sia-mo stati stai molto bravi!

Abbiamo ripulito benissimo il campo, tanto che, raccogliendo con le pinze o con le mani, abbiamo ot-tenuto un abbondante bottino.

Dal 23 al 25 settembre 2016 si è tenuta, a livello nazionale, la manifestazione “Puliamo il mondo” organizzata da Legambiente.

Nell'ambito del Progetto Ecoschool, anche per l'anno scolastico 2016/2017, il nostro Istituto ha deciso di partecipare all'iniziativa “Puliamo il mon-do” organizzata nel territorio comunale di Porto S.Elpidio, nella mattinata di venerdi 23 settembre 2016. Il tema, a cui era dedicata l'edizione di quest'anno, è stato l'accoglienza e l'integrazione, con l'obiettivo di “pulire il mondo dalle barriere”.

Come Referente del Progetto Ecoschool ed inse-gnante di sostegno, ho coinvolto un gruppo di alun-ni disabili di varie classi dell’Alberghiero, Liceo e Commerciale, ciascuno dei quali ha scelto uno o due compagni della classe.

Giornata “Puliamo il mondo” a cura della prof.ssa Germana D’Abramo Arrivati al punto di ritrovo i responsabili di Legam-

biente ci aspettavano per consegnare ad ognuno di noi il kit della iniziativa: cappellino giallo, casacca e guanti.

Dopo aver ascoltato le indicazioni del responsabile della nostra sede di Legambiente ci siamo messi a la-voro.

Abbiamo lavorato tutti insieme, noi delle scuole superiori e gli alunni delle scuole Primarie, tutti in pic-coli gruppi o a coppia.

L'area era molto sporca! C'era di tutto: bottiglie di vetro e di plastica, cannucce di cocktail, cartacce, ac-cendini, ….

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IL 24 di settembre 2016 LA SCUOLA HA PAR-TECIPATO ALLA MANIFESTAZIONE SCIENCE TERAPHY PREPARANDO la tavo-lozza dei sapori (salato, dolce, amaro, acido, huma-mi).

OLTRE A ME SONO STATI CHIAMATI A PARTECIPARE Barbara Andrenacci che come me fa la terza B a Sant’Elpidio a Mare è venuto Fabio Addad che va a scuola a Porto Sant’Elpidio.

I PROFESSORI CHE CI HANNO ACCOM-PAGNATO E DIRETTO ERANO Il professor Pierpaolo Piermarini, la professoressa Mazzaferro e la professoressa d’Abramo.

DOVEVAMO PREPARARE UNO STAND CON tanti assaggi.

PER IL GUSTO dolce ABBIAMO FATTO bi-scotti al burro.

PER IL GUSTO amaro ABBIAMO PREPARA-TO un crostino con la cicoria.

PER IL GUSTO aspro L’ASSAGGIO ERA cre-ma di limone.

PER IL GUSTO humami ABBIAMO MESSO parmigiano

OGNI PERSONA DOVEVA mangiare e dire quale gusto sentiva di più.

DURANTE LA MANIFESTAZIONE IO HO preparato i crostini e i vassoi poi sono stato dietro a servire agli invitati.

QUANDO LO STAND HA CHIUSO È STATA OFFERTA DAGLI ORGANIZZATORI le penne all’arrabbiata

Per me questa esperienza di alternanza è stata posi-tiva perché mi sono divertito.

NUMERO ZERO DALLA SCUOLA numero ero Z La mia esperienza all’evento Science Therapy di Br ian Cappella 3b pasticceria SEM

Progetto “Ristoro anziani” di Barbara Andrenacci 3B Alberghiero di Sant’Elpidio a Mare

Da Settembre è partito il progetto “Ristoro anzia-ni” dell’Istituto Alberghiero Tarantelli di Sant’Elpidio a Mare. Il progetto Ristoro Anziani serve per dare una mano e aiutare gli anziani che si trovano in difficoltà. Durante le ore di cucina pre-pariamo e impiattiamo i pasti e li serviamo agli an-ziani. Di solito prepariamo: ragù, sugo di trota, tro-ta al cartoccio con contorno d’insalata mista, lasa-gne al forno con piselli e besciamella, ecc. Penso sia un progetto molto utile, per imparare a cucinare piatti nuovi e per trasmettere vitalità agli anziani in solitudine, perché secondo me la vita va vissuta con allegria e felicità. All’interno del progetto, ho cono-sciuto un’anziana, Alba, mi è rimasta particolarmen-te simpatica perché è una persona molto affettuosa, gioiosa e piena di vita.

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pronto a fare guerra politica (e non) al capitalismo e ai suoi subordinati.

Dopo l'ascolto ininterrotto di conferenze all'O-NU, delle velate minacce all'America e delle intra-montabili frasi rivoluzionarie, avevo tutto nero su bianco e la cartuccia in canna.

La mattina dell'interrogazione però mi è venuto un forte dubbio: non avevo previsto la reazione della profe Mercanti.

Ora, davanti a me c'erano solo due possibilità: il suo elogio oppure la sua derisione per il mio tenta-tivo di prendere un voto alto.

Dopo la ricreazione l’insegnante fa il suo ingres-so in aula, vede un ragazzo in uniforme verde, un basco ben sistemato, un sigaro cubano in bocca e… inizia a ridere; ma quando la profe ride, nessuno sa ancora definire se sia una cosa buona o un sarca-smo spietato, puoi aspettarti di tutto da lei. Penso che in questo caso sia rimasta veramente scon- certata ed abbia dovuto mettere a punto in fret-t a l a s u a “tattica” didat-tica. Dopo trenta secondi di puro stupore, esprime il suo compiacimento nel trovarmi così. Posso assi- curare che que-sta seppur breve attesa è stata più critica e tesa di tutta la suc-cessiva interro- gazione.

La prima domanda è molto generica ed io inizio a rispondere in prima persona, la profe coglie al volo… e conti-nua a chiedere direttamente al Che, lasciandolo libero di espri-mere qualche considerazione personale e qualche particolare aneddoto che mi aveva colpito.

Certo c’è voluta una buona dose di convinzio-ne, ma il mio impegno è stato premiato.

In Spagnolo puoi prendere un 2 o un 10 con la stessa facilità… io me ne sono ritornato a posto con un nove sul registro (mai visto un nove in nes-suna mia pagella!) e tanta soddisfazione per le ova-zioni dei compagni e un video assemblato dalla pro-fe. Avevo quasi la sensazione di essere nel 1958 e di aver appena vinto la mia Batalla de Santa Clara!!

di Edoardo Leoni 5C Alberghiero di Porto Sant’Elpidio

Compiti di Spagnolo per casa: presentare un personaggio eroico della lotta per l’indipendenza delle colonie spagnole in America (Simón Bolívar, Pancho Villa, Emiliano Zapata o El Che).

- Me llamo Ernesto Guevara de la Serna; todos me cono-cen como “El Che”- nella mia testa suonava già come un'ottima frase d’inizio!!

Memorizzata e trascritta al computer, seguita ov-viamente dalla storia della vita (non proprio ordina-ria in questo caso) come un normale studente fa-rebbe per l’eroe di turno.

Ho scelto lui per un motivo ben preciso: la sua biografia, seppur introdotta brevemente dalla profe a mo’ di chiacchierata amichevole, è probabilmente la cosa più interessante che io abbia mai studiato: un medico argentino, che conosce per caso Fidel Ca-stro, allora appena sconfitto ed esiliato volontaria-mente a Città del Messico. El Che, giovane idealista e già rivoluzionario, si appassiona alla causa cubana, entra in guerra al suo fianco e libera Cuba con azio-ni militari straordinarie. Come potevo spiegare tutto questo? E ancora di più, come potevo renderlo vivi-damente senza cogliere fino in fondo ciò che fu?

La soluzione è venuta da sé in realtà. Parlando a cena con i miei genitori, scopro che mio zio aveva prestato servizio nell'esercito e conservava ancora l'uniforme: in meno di un giorno ne ero già in pos-sesso! Un basco nero, uniforme verde con stemmi e vessilli oscurati, in perfetto stile guerrigliero, ero già

Io me ne sono

tornato a posto

con un nove sul

registro e tanta

soddisfazione.

Avevo quasi la

sensazione di

aver appena vinto

la mia Batalla de Santa Clara !!

Un’avventura rivoluzionaria… durante l’ora di Spagnolo

Me llamo Ernesto Guevara de la Serna;

todos me conocen como “El Che”

LA BATALLA DE SANTA CLARA Pagina 42

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Le novità del basket a Porto Sant’Elpidio di Lorenzo Petr ini 5B ITE di PSE

CRONISTI SPORTIVI

Una stagione piena di novità in casa Malloni Ba-sket Porto Sant’Elpidio.

Nuovo sponsor, nuovo coach, nuovi giocatori… e i risultati non hanno tardato a venire!

La freschezza dei nuovi inne-sti e la filosofia di gioco dell’allenatore hanno assicurato buone prestazioni e con esse i successi, tanto da far navigare il team nei quartieri alti della clas-sifica del campionato di serie B, girone D, della Lega Nazionale Pallacanestro.

Una squadra molto giovane, di ragazzi che, molto motivati a far notare il loro potenziale in un palcoscenico importante per la lo-ro carriera, mostrano determinazione e disponibilità al sacrificio per il gioco di squadra.

La regia di coach Do-mizioli, l’alchimia giusta per guidare i giovani nel loro percorso di crescita umana e sportiva, ha assi-curato le condizioni per la creazione di un gruppo unito capace di affrontare anche le difficoltà legate alla sorte non favorevole che fin dall’inizio ha ca-ratterizzato la regular season. I numerosi infortuni, infatti, non hanno

permesso al team di essere sempre al completo, co-stringendo lo stesso Domizioli a scelte obbligate.

Soprattutto il forfait, causa infortunio del play Lo-vatti, leader indiscusso sul parquet e uo-mo spogliatoio, ha impedito alla Malloni di raggiungere traguardi ancor più presti-giosi. Le assenze dei titolari hanno rappresenta-to, tuttavia, un’occasione per testare la qualità del vivaio elpidiense, decisamente cresciuto negli ultimi anni. A questo punto della stagione il sogno play off può ancora diventare realtà: deci-sivi in tal senso saranno gli scontri diretti con la Goldengas Senigallia e i Crabs Ri-

mini. La Malloni potrà senz’altro contare fino alla fine

sul calore di supporters e appassionati che sempre più numerosi affluiscono al Palas di Via Ungheria. Il movimento cestistico gio-vanile è in crescita nella no-stra città. Partito venti anni fa con una sola formazione i-scritta alla Prima Divisione, in questi anni ha visto le pro-prie compagini confrontarsi in tutte le categorie giovanili regionali e provinciali. Sem-pre più ragazzi si avvicinano a questo sport di squadra so-gnando, magari un giorno di

vestire la maglia bianco-azzurra.

numero ero Z

STAGE

Dal 23 gennaio al 3 febbraio ho avuto la mia prima esperienza di al-ternanza scuola lavoro.

Ho svolto lo stage presso un hotel di Civitanova Marche dove ho lavora-to al front office, al bar e in sala.

Ho avuto modo di conoscere le difficoltà e le responsabilità del lavo-ro.

Infatti è stato un notevole impegno preparare cappuccini, caffè al bar, ser-

vire ai tavoli, prendere nota delle esi-genze dei clienti, rispondere al telefono del centralino e tanto altro ancora. È stato piacevole conoscere molte per-sone e collaborare con il gentile staff dell’albergo, che mi ha insegnato molte cose che non sapevo. Quest’esperienza è stata molto utile, anche per la mia scelta dell’indirizzo di studio dei prossimi tre anni.

La mia esperienza di alternanza scuola-lavoro di Gianmarco Maur izi 2C A lberghiero SEM

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Come “coideatrice” e coordinatrice del "progetto Giornalino", desidero ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla sua realizzazio-ne: il Dirigente scolastico, prof. Roberto Vespasia-ni, il prof. Leonardo Melatini, i professori Renzi, Bracalente, Stroppa, Cupelli, Caiati e le professo-resse Mercanti, Marini, Mazzaferro, D’Abramo, Vitali e Lodolini per il sostegno morale; i colleghi autori degli articoli e tutti i docenti che hanno gui-dato i ragazzi nella stesura degli interventi.

Un doveroso ringraziamento va al prof Clemen-te, “coideatore” di questo progetto, perché senza il suo spunto, la sua competenza, la sua ironia e il suo amore per la cultura forse non ci sarebbe il giornalino. Un grazie particolare va al prof. Pe-tracci e alla prof.ssa Moro, per l'azione di incorag-giamento e supporto svolta nei confronti degli studenti dell'indirizzo socio-sanitario che hanno dato vita a nuove rubriche, e a tutti i docenti che, impegnati nei progetti scolastici, hanno offerto numerosi spunti alla progettazione delle singole uscite. Un grazie anche alle colleghe, nonché gior-naliste, Irene Cassetta e Maria Pamela Bulgini per alcuni preziosi suggerimenti. Grazie a tutti coloro che avrebbero voluto esserci ma non ci sono riu-sciti.

In ultimo, poiché desiderosi di avvicinare i no-stri allievi alla scrittura, rilanciamo la sfida: la crea-zione della redazione dei ragazzi! Perché non par-tire con piccole redazioni per aree tematiche? Li-bri, film, rassegna stampa, sport e intercultura? Tutti coloro che volessero offrirci spunti, suggeri-menti e collaborazioni, possono contattarci di per-sona oppure scrivere a [email protected]

Arrivederci alle prossime uscite! Prof.ssa Elena Frattani

27 MARZO 2017 — 3^ USCITA

[email protected] — iiss carlo urbani pse sem mtg — www.polourbani.gov.it

n°2

È con grande piacere e, perché no, con un piz-zico d’orgoglio, che siamo qui ad annunciare che “Numero Zero”, il giornalino scolastico del “Polo Carlo Urbani”, è giunto alla sua terza uscita!

Anche quest’anno, grazie al contributo di un nutrito gruppo di docenti e allievi appartenenti alle tre sedi, siamo riusciti nel nostro intento di raccontare la vita della nostra scuola attraverso i temi di studio e di riflessione, gli interessi, i pro-getti, gli incontri di coloro che la frequentano. Siamo cresciuti assieme e abbiamo creato uno spazio che, sicuramente migliorabile, ci rappre-senta e ci appartiene. Qualcosa è cambiato, e nella rigida aiuola sono spuntati fiori e germogli che decorano spontanei una siepe solitaria, dimo-strando al mondo e ai viaggiatori che la realtà stu-pisce e si rinnova con disegni inaspettati, liberi e gentili.

Volevamo un giornalino che fosse luogo e-spressione, informazione, riflessione, dialogo e condivisione ma soprattutto terreno di inclusione, all’insegna della valorizzazione di tutti e di ciascu-no. I risultati ci hanno dato ragione: sempre più adesioni, progetti e aspettative ci confermano che, partiti un po’ per gioco, avevamo visto giusto e che − lasciatecelo dire − c’era proprio bisogno di questo giornale!

Forti di questo successo, dunque, sempre rima-nendo aperti a nuove idee e collaborazioni, vor-remmo confermare quel principio che fin qui ci ha ispirato, rendendo unico questo giornale: ov-vero che l’eccellenza che vogliamo perseguire non lasci fuori il diverso, l’inconsueto, il leggero e il divertente, ma accolga il colore e la varietà dell’esistenza.