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Realf#hing .it "e carpfishing e non solo, raccontato dai pescatori n 10 Maio

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Maggio/Giugno/Luglio

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Realf#hing .it"e

carpfishing e non solo, raccontato dai pescatori

n 10 Maggio

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Pescare non è una fuga dalla vita,ma spesso è una più profondaimmersione in essa...

Harry Middleton

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Scarichiamo ocarichiamo?

Condizionamento sullo spot

The kay Rig

River calling!

Spot di una volta...

I pescatori che hanno reso possibile questa uscita...

Michele Finocchi

Federico Gennaro

SimoneRossi

Roberto Bussolari

Nicolò Coledan

Piccoli corsi fluviali

Marco Bacchelli

Forti emozioni in terra straniera

Giulio Varoli

Sogni (quasi) infranti

Leonardo Bresolin

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Piccoli corsiFluviali

Marco Bacchelli

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In questi anni di carpfishing ho frequentato molteplici acque, di ogni tipologia e dimensioni, grandi o piccoli laghi, grandi o piccoli fiumi e canali.L’approccio più completo e spesso tecnico, per quanto concerne la quantità di risorse e attrezzatura impiegate, è sicuramente quello sui grandi laghi in long-sessions spesso di molti giorni e pescando sempre di notte.Vi è pero’ un approccio diverso, apparentemente più leggero ma non certo meno impegnativo per quanto concerne le risorse impiegate ovvero lo studio, l’osservazione, la preparazione e la costanza, ed quello effettuato nei corsi d’acqua diciamo minori.La pesca diurna in corsi minori quali fiumi e canali è ancora tra le mie preferite in certi periodi dell’anno, perché a differenza delle lunghe attese di più giorni o notti su grandi specchi, trovo molto interessante affrontare certi piccoli ambienti vergini o semi-vergini, e nel farlo ritorno quasi bambino.Il poter restare in assoluto silenzio, stando attento a qualunque movimento o rumore nelle brevi pescate diurne è qualcosa che mi fa entrare in simbiosi con ciò che mi circonda e mi fa sentire più cacciatore che semplice pescatore.Ricordiamoci sempre che siamo nati come pescatori e non come carpisti, quindi con pesca di tipo marginale e magari un galleggiante di pochi grammi tra le mani,

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e che nella ricerca dei nostri obiettivi a volte non è determinante quante “notti” si passano a pesca in un anno.Adoro pescare durante le ore diurne, amo l’alba e la natura che ogni volta si risveglia come d’incanto e sembra riprendere vita…un ciclo che si ripete sempre in modo inarrestabile.Così come apprezzo il tramonto e quando sta per giungere il crepuscolo e devo per forza rientrare la mia mente pare dirmi “ancora 5 minuti”…come fa solitamente un bambino quando viene richiamato a un dovere.

Gli ambienti fluviali o i canali risentono maggiormente delle piogge in modo direttamente proporzionale alle dimensioni, va da se che nei piccoli corsi importanti sbalzi di livello sono più frequenti rispetto ai grandi fiumi.Allo stesso modo pero’ la fauna ittica impiega molto meno tempo a riprendere le proprie abitudini alimentari dopo questi stravolgimenti, quindi vi sono aspetti negativi che ci obbligano a sospendere le attività in breve tempo, ma allo stesso modo di positivo c’è il fatto che la durata sarà tendenzialmente più breve dei grandi specchi.

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Va da se che nell’ arco di un anno intero riusciremo a pescare con più continuità.La scelta accurata dello spot in questi ambienti è una delle cose fondamentali quando si è alla ricerca di grosse prede stanziali o di possenti amur.Se non si hanno conoscenze specifiche sulla quantita e/o dimensione dei pesci una strategia utile è quella di visitare gli ambienti durante la frega nei periodi durante i quali sospendiamo le attività alieutiche.Sarà semplicissimo capire in breve tempo, durante le ore più calde, che potenzialità possa avere lo specchio che ci interessa.Erbai, canneti, alberi sommersi sono gli spot che cercheremo di visitare in questi periodi e che parleranno a noi come un libro aperto, svelandoci segreti importanti.

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Durante l’anno, in periodi differenti dalla frega, è basilare farlo alle prime luci dell’alba, nel momento in cui il pesca rolla, salta e non pare vergognarsi nel farsi vedere.In questo caso bisogna accantonare la pigrizia ed essere già lungo i corsi prima che faccia l’alba.

La scelta dell’approccio può essere di due tipi sostanzialmente: uno molto dinamico che prevede di sfruttare uno spot per un max di 2-3 sessioni e uno stanziale dove pasturiamo a lungo e in modo continuativo (dove ne esista ahimè ancora la possibilità).In entrambi i casi è proprio qui che nasce il dilemma e una infinità di domande: che esca dovrò utilizzare? Quante ne dovrò usare? Con che frequenza dovrò pasturare? E mille altre che per trovare risposta non basterebbe una vita e cento libri letti…

Ma nel tempo abbiamo tutti affilato le armi e abbiamo creato una sorta di statistica o regola generale che rispettiamo.Una che ho fatto mia e nella quale credo in modo molto convinto è che, per insidiare con continuità i target fish di un piccolo ambiente, è fondamentale far si che gli orari scelti per pasturare siano antecedenti di una-due ore a quelli che normalmente poi sono gli inizi delle nostre pescate.Questo ci permette di giocare le nostre carte fin da subito e far si che i pesci più “interessanti” siano normalmente già presenti a quegli orari.In piccoli ambienti è fondamentale perché come inizieremo a catturare pesce creeremo una sorta di disturbo importante e continuativo, che non farà altro che allontanare gli esemplari più diffidenti, che non torneranno sullo spot se non dopo ore di inattività semi-totale.

La scelta dell’esca è cosa molto importante e spesso è legata alla quantità di alimento naturale presente, naturalmente non possiamo improvvisarci biologi e lo strumento più efficace risulta essere lo stesso per raccogliere il maggior numero di informazioni.Spesso questo genere di aiuto ci balza all’occhio sicuramente durante le nostre battute ma il miglior metodo di osservazione lo si ottiene senza canne e in

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totale assenza di pesca frequentando gli ambienti interessati in momenti molto diversi, così come orari ben differenti e condizioni atmosferiche.Si, le pescate possono essere di poche ore, ma il tempo da dedicare a tutto il resto è quasi sempre di gran lunga molto maggiore.In effetti ci troviamo di fronte a una vera e propria ottimizzazione delle risorse e, maggiore sarà l’attenzione e il tempo rivolto alla fase preventiva, migliori saranno i risultati ottenuti, niente di più vero…Osservare i corsi durante i periodi di siccità, o quando i livelli sono minimi, ci permette di poter vedere talvolta alberi sommersi o porzioni di fondale, che ci mostrano facilmente la presenza di cozze attaccate ai rami o sui fondali, così come le scie lasciate dai piccoli invertebrati (come lumachine), o dagli stessi gamberi che abbandonano le zone di benessere per raggiungere fondali maggiori.Durante le ore più calde non è affatto difficile notare le carpe cibarsi in superficie dei piccoli gamberetti di fiume nel sottoriva o vicino a cespugli che crescono sulle sponde riversandosi in acqua.Tutte queste informazioni, legate anche alle quantità di carpe che riusciamo a vedere (non solo pescando), ci devono dare i giusti input

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e farci capire che genere di competizione alimentare ci può essere in quell’ambiente.Spesso siamo portati a pensare che in quei piccoli corsi ci sia talmente poco da mangiare per le carpe che possiamo affidarci a qualunque tipo di esca senza alcun problema.Non è affatto così e in posti semivergini ci basterà vedere le prime carpe catturate per capirlo in base alla loro genetica e conformazione, per realizzare quindi che in realtà siamo di fronte a un ecosistema assolutamente completo, dove ciò che noi offriamo è semplicemente un surplus e niente di magico.Nel dubbio è sempre consigliabile affidarsi a due esche ben differenti ma che oltre ad un buon gusto offrano (almeno per una tipologia) un elevato valore nutritivo con ingredienti di qualità.L’attività di prebaiting deve infatti interessare l’alimentazione dei pesci più frequentemente possibile, perché di fatto non riusciremo mai a sostituire appieno l’alimento naturale, ma semplicemente cercheremo di farlo quanto più spesso.

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Credo sia quindi superfluo parlare dell’importanza di gusto, nutrimento, digeribilità, ammettendo che, per quanto mi riguarda, do davvero molta importanza al primo, sempre e comunque.

La frequenza e la quantità di esche da usare in pasturazione non possono seguire una regola universale valida ovunque e per chiunque.Una buona norma che invece è valida ovunque e per chiunque è quella di annotarsi tutto in una piccola agenda se intendiamo affrontare seriamente questi ambienti e non affidarci semplicemente al fato.Quantità di esche, tipologia, temperatura dell’acqua, livello, frequenza di pasturazione e soprattutto tempo intercorrente tra ultima pasturazione e azione di pesca sono solo alcune delle nozioni più importanti da segnare, annotando poi i risultati veri durante le pescate.Andando poi a rileggerle ci accorgeremo non solo che sarà più facile ripartire in un momento successivo, ma sarà incredibile scoprire che, anche negli stessi ambienti, tutti questi dati saranno incredibilmente

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diversi al cambiare delle stagioni, così come incredibilmente uguali e ripetitivi ogni anno.

In realtà nei piccoli corsi c’è veramente tanto da fare e spesso la fatica risulta essere molto maggiore rispetto ad ambienti molto più vasti, il tutto resta ovviamente legato all’approccio e alle reali risorse che decidiamo di spendere per raggiungere i nostri obiettivi…ma c’è ancora tanto da scoprire su questi piccoli ambienti speciali!

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Forti emozioni in terra stranieraGiulio Varoli

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Finalmente arriva il giorno che attendevo dallo scorso anno, quando abbandonai le sponde del

mitico fiume spagnolo, come sempre ansioso di tornare prima possibile.

Questa è la quarta volta che sfido il Rio Ebro e i risultati in termini di

catture sono sempre stati ottimi, nei tre anni precedenti ho catturato un

centinaio di carpe, ma voglio di più. Voglio fare qualcosa che pochi altri

farebbero, decido così di impostare la sessione di quest’ anno in modo

completamente diverso dal solito, di osare. Tutto quello che porto con me

per una settimana di pesca a 1400 km da casa sta in una borsa. Niente

tenda, niente pod, niente minuteria inutile, solo canne da 10 piedi,

picchetti, lettino con la bed box attaccata e una ventina di terminali

pronti, ovviamente semplicissimi nodo senza nodo. Voglio una sessione di

carpfishing vero, senza fronzoli o eccessive comodità come si usa al

giorno d’ oggi, per dimostrare a me stesso e agli altri che si può fare.

Dopo quasi un giorno in traghetto e 200 km in auto arriviamo a

Mequinenza, dormiamo per riprenderci dal viaggio estenuante e il mattino

successivo ripartiamo verso Chiprana, la nostra meta. Con me c’è

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Alessandro, un ragazzo che per la prima volta affronta il Rio Ebro e che, durante

il viaggio, ho caricato a dovere con i racconti delle mie fortunate pescate

precedenti. Arrivati al porto dove ci attendono le nostre barche, vedo quello che

non mi sarei mai aspettato di vedere. Il fiume è altissimo, c’è acqua ovunque,

almeno tre metri sopra il normale livello, le postazioni accessibili erano infinite, ora

si contano sulle dita di una mano, fa freddo e dalle informazioni che mi danno

alcuni amici arrivati qualche giorno prima, le carpe sono bloccate da questo

improvviso calo delle temperature, praticamente un incubo. Carichiamo l’attrezzatura

e partiamo, mentre nella mia testa si delinea uno scenario decisamente sconfortante,

ogni riferimento fissato negli scorsi anni non esiste più, l’ ecoscandaglio segnala 2,5

metri d’ acqua nel punto in cui lo scorso anno ho piazzato la tenda, proprio

stavolta che ho deciso di partire senza niente avrei bisogno di molte cose, sono

davvero preoccupato e Alessandro inizia a percepire che qualcosa non va. La mie

sicurezze si sono trasformate in dubbi, la mia spavalderia è sparita e come se non

bastasse alcuni amici spagnoli ci dicono di essere in pesca nella nostra zona da tre

giorni e di non aver visto una carpa nemmeno a pagare. In qualche modo riusciamo

a piazzare il nostro campo, ma l’ acqua continua a salire. Solitamente la prima

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notte di pesca regala una decina di catture, quest’anno non sentiamo nemmeno un bip

e il mattino seguente il fiume si è già mangiato altri metri di sponda, costringendoci a

spostare di nuovo tutto. Facciamo qualche telefonata agli altri amici italiani in pesca

e scopriamo che siamo tutti a cappotto, incredibile. Non ci sto, conosco le potenzialità

di queste acque e non mi rassegno alla sconfitta. Preso da un attacco di follia

“carpistica” salgo in barca e vado in cerca di un segnale qualsiasi che indichi la

presenza di carpe. Nel frattempo il sole ha ricominciato a farsi sentire e le cose

sembrano prendere una direzione diversa, sento dei salti e avvicinandomi capiscono che

i rumori provengono da una zona di vegetazione fitta completamente allagata, forse ci

siamo. Per la terza volta in due giorni carico l’ attrezzatura in barca e mi sposto,

Alessandro invece resta ancora una notte sulla stessa postazione per capire se anche li

si muove qualcosa. Esattamente a metà piazziamo una canna su un picchetto per

coprire più spot possibili. La nuova postazione è perfettamente in linea con lo spirito

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avventuriero che mi anima in questa pescata, il fiume

quasi non si vede a causa di una fila di alberi a circa

cinque metri da riva che chiude l’ accesso all’ acqua,

c’è solo un passaggio di un paio di metri che permette

di entrare ed uscire con la barca per calare le canne.

Sento le carpe saltare in continuazione all’interno della

vegetazione sommersa alla mia destra e scandagliando la

zona trovo quasi due metri di profondità e un fondale

duro che in realtà è una lingua di ghiaia, che in

condizioni normali costeggia il fiume. Il problema da

risolvere ora è quello di calare gli inneschi in un’ area

distante circa 200 metri, a destra e alle spalle della

postazione all’interno di una grande ansa. Sono nato e

cresciuto pescando in fiume e sono abituato a situazioni

complicate, ci metto poco a capire che in questo caso la

soluzione migliore è pescare in breack-line, lasciando

solo una canna a centro fiume per tenere sotto controllo

eventuali passaggi o movimenti di carpe. Individuo due

punti in cui il fondale è completamente libero da

ostacoli, larghi non più di un metro quadrato ed inizio

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le operazioni prima che faccia buio. Nel

frattempo la canna di Alessandro,

piazzata a metà tra le due postazioni

con una pop-up staccata un metro e

mezzo dal fondale è partita, regalandogli

una regina di oltre 16 chili. Come primo

segnale di risveglio direi che non è male.

Una volta piazzati gli inneschi mi fermo

ad osservare in silenzio il fiume che mi

ha regalato tante emozioni e in cuor mio

spero che tutta la fatica fatta serva a

qualcosa. Lo sguardo cade sulle canne e

realizzo quello che ho fatto, senza quasi

rendermene conto, preso dall’ istinto e

dalla voglia di cattura, completamente

immerso in quella sorta di “trance” che

nelle situazioni più difficili porta noi

carpisti a fare cose strane, quasi folli,

che a molti altri non verrebbero nemmeno

in mente. Vedo le mie trecce uscire dai

cimini e appoggiarsi sui rami degli alberi

che ho di fronte per poi girare verso

destra e attraversare tutta l’ ansa a

mezz’ aria per finire legate con un nylon

sottile alle fronde dalla parte opposta,

esattamente sopra a quei due piccoli spot

puliti dove ho calato i miei terminali.

Forse sono un pochino strano io, ma in

quel momento mi sono sentito soddisfatto.

Torno da Alessandro per prendere le

ultime cose che avevo lasciato e al mio

ritorno trovo la canna più a destra

completamente piegata con la bobina che

corre, quasi incredulo ferro e salto in

barca per iniziare il combattimento e per

non fa rm i manca r e nu l l a , ne l l a

concitazione del momento, pesto il manico

del guadino e lo rompo. Il pesce mi porta

quasi al centro del fiume e dopo un

discreto tiro alla fune riesco a infilarlo

in quel che resta del guadino. Sembra

bella, ma non ho tempo di guardarla

bene e pesarla perché parte un’ altra

canna e devo uscire di nuovo. Inizia così

una lunga notte che trascorro quasi tutta

in barca tra combattimenti e canne da

rilegare in breack a grande distanza dopo

ogni partenza. Il mattino seguente mi

ritrovo con tutti i carp- sack in acqua e

un bel pò di fotografie da scattare.

Alessandro mi raggiunge e anche lui

inizia a catturare. L’attività delle carpe

sembra in ripresa e decidiamo di

aumentare la quantità di pastura per

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invogliarle ulteriormente. La scelta si rivela azzeccata e le canne partono a raffica,

anche al centro del fiume, dove cominciano a transitare gli enormi branchi tipici del

Rio Ebro. La temperatura aumenta ancora e le condizioni diventano ottime. Con un

lavoro di un paio di giorni e più di un quintale di pellet riusciamo a concentrare le

carpe in alcune zone precise e ad aumentare la taglia delle catture, raddrizzando

definitivamente una sessione partita in modo veramente preoccupante. Come sempre, a

metà settimana, arriva puntuale il temporale che rimescola le carte in tavola,

fortunatamente stavolta a nostro favore e ci ritroviamo a passare quasi tutta una

notte in barca, sotto il diluvio e in balia del vento forte, a combattere una carpa

dietro l’ altra. Roba tosta insomma, proprio quello che volevo. Gli ultimi giorni

passano veloci, forse troppo e tra una partenza, una ripresa e una quantità

industriale di fotografie arriviamo alla fine della settimana. Le forze fisiche sono

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esaurite, poche ore di sonno e sempre interrotte da qualche partenza, la pelle che

brucia per il tanto sole preso in barca a combattere, ricalare e rilegare le canne, le

braccia indolenzite dall’ incredibile forza delle carpe spagnole, ma la fatica è

ampiamente ripagata dalle tante catture, più o meno 50, con alcuni pesci di ottima

taglia. Ci riposiamo seriamente per qualche ora e poi ripartiamo verso l’ Italia. Il

lungo viaggio di ritorno mi da la possibilità di ripercorrere gli ultimi sei giorni e

tirare le somme di questa ennesima esperienza di pesca. Mi rendo conto di aver

centrato in pieno il mio obbiettivo, di aver trascorso una settimana a stretto contatto

con l’ ambiente circostante, con il sole, la pioggia, il fiume e le carpe. Quasi tutti i

vestiti sono bagnati e sporchi, il lettino è pieno di sabbia, le canne e i mulinelli sono

inzuppati dall’ olio dei pellet che ho avuto sulle mani per tutto il tempo. Io sono

sfinito, ma mi sento più forte di quando sono partito, orgoglioso di aver trascorso la

settimana di vero carpfishing che volevo, sulle sponde di uno dei fiumi più grandi del

mondo e di aver affrontato e risolto, con un’ attrezzatura ridotta al minimo

indispensabile, una delle situazioni più complesse che ho incontrato fino ad ora.

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Una sessione dell’anno passato, una delle più divertenti, e redditizie dal punto di vista di catture e partenze, condivisa assieme al socio Alessandro in un perfetto gioco di squadra, progettato, ed eseguito in maniera impeccabile nonostante qualche piccolo imprevisto.

Mi trovo a scrivere questo racconto in un duro periodo di lavoro, che ahimè mi tiene lontano dalle rive dei miei amati luoghi di pesca. Sbircio, con un po’ di malinconia ,tra le foto dell’anno appena trascorso mi riaffiorano meravigliosi ricordi, i successi e gli insuccessi, tutti i momenti a pesca con gli amici, le notti secche infrasettimanali, che una volta arrivata l’alba smontavo tutto di corsa e tornavo a lavorare. Eh si ormai ci sono abituato a questa vita così frenetica, cosa non si fa per andare qualche ora a pesca. Le pause pranzo ,oppure appena uscito dal lavoro a pasturare, a visionare gli spot nella speranza di vedere un salto o un qualsiasi segnale, che mi convincesse che dove voglio pescare, ci siano LORO ad attendermi. Proprio mentre scorrono alcune foto sul monitor del pc, mi ritorna in mente questa pescata, quanto ci eravamo divertiti.

Siamo ormai alla fine di Maggio, le carpe si sono lasciate alle spalle la frega, e sono di nuovo pronte ad alimentarsi con costanza e continuità. È il classico momento in cui bisogna entrare in azione; con una buona pasturazione preventiva di una decina di giorni potevamo fare bene, avevo molta fiducia; il pesce avrebbe risposto bene alle nostre palline, ne ero certo. Scelgo assieme al socio di pasturare soltanto con boilies. In acqua nei giorni precedenti alla sessione di pesca, non cascarono in acqua molti kg di palline; a mio avviso il

River calling

Federico Gennaro

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segreto del nostro “successo” questa volta è stata la continuità della pasturazione più che il quantitativo di esche utilizzato. Non volevamo saziare il pesce, ne tanto meno “bloccarlo” sui nostri spot; la nostra strategia era di far trovare alle carpe , negli spot in cui avremmo pescato, le nostre esche. Le carpe erano molto attive, nella trasparenza delle acque lo si notava bene, erano in continuo movimento; le avrebbero trovate con facilità, e avrebbero prima o dopo visitato i nostri spot. Pochi giorni prima di andare a pescare un forte acquazzone cambia le carte in tavola. Nonostante nella pianificazione, avessimo consultato diversi siti meteo on line, le piogge si erano verificate molto abbondanti contro ogni pronostico. La corrente aumenta ed il fiume rischia di diventare impraticabile. Inizia il solito sconforto in queste circostanze. E adesso?? Cavolo io li ci ho pasturato!! Se non riuscivo a pescare avevo perso del gran tempo e denaro; tanto non sarebbe la

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prima volta che mi capita; non ci fasciamo la testa prima di essercela rotta, vediamo nei giorni successivi cosa sarebbe successo. Passata la burrasca esce il sole, il maltempo sembra averci abbandonato; mentre mi trovo al lavoro fremo dalla voglia di essere sulle rive di vedere tutta quell’acqua cosa ha comportato in termini di corrente e livello del fiume. Finito l’orario lavorativo “volo” a vedere la situazione; il livello si è alzato, la corrente è aumentata come immaginavo, ma è ancora fattibile; le previsioni danno bel tempo sino a quando andrò a pescare; già ora è fattibile secondo me, potrebbe anche migliorare; pasturo gli spot di sempre e fiducioso mi avvio verso casa. I giorni seguenti pasturazione di routine; il gran giorno si avvicina e la mia curiosità di vedere che sarebbe successo a pesca, aumenta in maniera esponenziale. Il giorno precedente alla breve sessione vado a controllare la situazione per l’ultima volta: il livello è buono, ma la corrente “tira” ancora parecchio. Iniziano a sorgermi dubbi per il buon esito della pescata. Vedremo se riesco a rimanere in pesca in queste condizioni, altrimenti pescherò’ con pesanti sassi a perdere legati al lead clip con camere d’aria di bici ( ricavati da pneumatici di ruotini di carriole), o alla malparata robusti elastici; tanto avrei calato con la barca, non avrei dovuto sforzare nel lancio, e la cosa si faceva meno complicata.

Arriva il fatidico giorno; alle 18 mi ero promesso di riuscire a liberarmi ( speravo anche prima) degli impegni lavorativi e catapultarmi al fiume; ma come spesso accade, numerosi contrattempi, mi causano un ritardo di mezzora buona sulla tabella di marcia. Macchina già carica dalla sera prima, mi cambio alla velocità della luce e sono già per strada; chiamo il socio che da qualche ora era già in postazione, gli dico che sono vivo e vegeto e che come sempre sono solo in ritardo; arrivo in postazione ,barca e tenda già montati da Ale; lui ha anche le canne aperte e i picchetti posizionati, come sempre manca solo da preparare la mia roba; apro le canne e lui mi pianta i picchetti; così facendo ottimizziamo i tempi ed entriamo in pesca prima. Lui ha anche già innescato una canna omino Black Protein e Sweet Pineapple, un'altra con Mussel singola affondante, e la terza con Nutric acid snow man. Fortunatamente come faccio sempre, avevo preparato a casa gli inneschi: snow man Sweet Pineapple Nutric acid dipata nell’All Amino Nutric, omino di neve Caviar & Fruits dipato nell’apposito dip, e una singola affondante Sweet Pineapple dippata nell’omonimo dip. Le boilies utilizzate per la pasturazione in pesca erano imbevute nell’All Amino Nutric, volevo dare intorno all’innesco una buona traccia nutritiva. In un

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oretta circa riusciamo a metter giù tutte le canne. Ci mettiamo a cena, tra un operazione all’altra sono quasi le 20 e 30, ci avviciniamo al tramonto e in lontananza sentiamo un fragoroso salto, che ci da fiducia e morale. Appena finito di cenare, mi guardo intorno e mi rendo conto che nella fretta, appena arrivato in postazione, avevo sparpagliato gran parte della mia roba dappertutto; mentre il socio Ale come sempre, aveva accatastato in maniera più ordinata tutta la sua buffetteria. Mi faccio “coraggio”. Mi alzo dalla sedia ed inizio a riordinare, non volevo andare a dormire con intorno all’ombrellone tutto quel caos; se di notte ci fosse stata una partenza avrei perso tempo inutile, per ricercare con la pila al buio ciò che mi serviva per poter innescare e ricalare. Mentre sono in fase di riordino mi chiamano al cellulare; è il mio socio del lavoro che mi da la buona notizia che la mattina successiva non sarei servito al lavoro: evviva!!!! Sarei rimasto a pesca tutta la mattina seguente sino al pomeriggio; avrei avuto la possibilità di pescare di più, ma soprattutto avrei evitato le frenetiche trafile mattutine del smonta tutto, carica

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la macchina e corri al lavoro. Riordinato tutto mi metto un po’ a chiacchierare con il socio; soliti argomenti: opinioni sulla temperatura dell’acqua, pareri su dove avevamo posizionato gli inneschi, costatazioni sulle esche, e roba simile. Ma la nostra conversazione non dura molto: il segnalatore del socio di punto in bianco inizia ad urlare, la canna con la Mussel singola, inizia a piegarsi verso valle. Ale ferra, e dopo un bel combattimento tipico delle carpe di corrente, ha la meglio su una piccola regina, che non esce neanche dall’acqua, la slamiamo e la rilasciamo immediatamente. Dopo la giornata di lavoro inizio ad accusare un po’ di stanchezza mentre lui va a ricalare la canna io me ne vado a letto; mi addormento dopo poco; passerà si e no una mezz’ora; il suono della centralina è un colpo al cuore per me; mi levo il sacco a pelo di dosso , impugno la canna ed inizio a tirare come un matto, quella canna l’avevo messo vicino a dei sassi sommersi, concedere un metro in più al pesce in quello spot sarebbe equivalso a perderlo; sento che non è grande, ma ha una forza incredibile. Il pesce si stacca dal fondo lo sento sgallare nella notte quasi priva di luna. Ale mi attende con il guadino in posizione, ancora un paio di ripartenze et voilà, è nella rete, una preda non grande; anche questo pesce avrà il solito destino del precedente, slamato in acqua e subito libertà. Bene! Inizio ad avere fiducia di ciò che avevamo fatto nella pasturazione dei giorni precedenti. Ritorniamo in branda. La notte trascorre con un'altra piccola carpa per Ale ed una per me, poi niente più sino alle 5, quando il segnalatore di Ale comincia a suonare, mi dirigo come un razzo verso la canna, è quella calata più lontana, il socio ed io arriviamo davanti al segnalatori: come nelle barzellette ci puntiamo le lampade da testa negli occhi; lui è convinto che io abbia la canna in mano, io sono con sicuro che ce l’abbia lui; fatto sta che né io né lui abbiamo ferrato, l’unica certezza è che questa canna è sparita dai picchetti; per paura che il pesce prendesse troppo filo avevamo tarato la frizione un po’ troppo stretta e la canna era “volata” via dopo la mangiata. Ok, il mio compare non si fa prendere dal panico, esce in barca per tentare di trovare la canna. Fortuna vuole che nell’acqua trasparente, con l’aiuto della torcia la trova nell’immediato basso fondale. Con il guadino riesce ad agganciarla in qualche modo, ed una volta riuscito ad impugnarla si gira vero di me e dice : “ Non ci crederai, c’è ancora il pesce attaccato…” Mette il motore in quarta e in un battibaleno è sul pesce, dopo un bel combattimento rientra alla base e mette la preda in sacca, eravamo stravolti per fare le foto, tra poco sarebbe sorto il sole, le avremmo fatte all’alba. Torniamo a dormire stanchi ma contenti, avevamo avuto una partenza mediamente ogni ora, alcune anche più ravvicinate; La pasturazione aveva avuto successo e la sessione si stava rivelando molto spassosa. Mi addormento, appena tocco il lettino, cado in una specie di catalessi. Tant’è che alle 8 precise di mattina la mia canna più lontana da segno di vita. Prima qualche bip, ma a

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causa del mio stato “semi-comatoso-dormiente” non ci faccio più di tanto caso. Un bip, un altro bip, e poi la partenza, lenta ma continua. Apro gli occhi e non avendo dormito molto durante la notte non capisco bene la situazione, meno male che Ale è più lucido di me; prende la canna ed inizia a forzare il pesce. La canna era stata calata a circa 200 mt vicino ad una legnaia superficiale, dove avevo pasturato con un buon quantitativo di Nutric Acid e Sweet Pineapple, Bagnate con All Amino Nutric. Ale si volta verso di me e mi dice : “ Fede ma ti muovi!!! E Svegliati!!”. Mi passa la canna, riesco faticando a portare il pesce verso il centro del fiume lontano da eventuali pericoli, ora li la corrente tira parecchio, e la situazione che si stava creando non giocava a mio

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favore. Ancora mezzo addormentato salgo sul gommone, il socio si mette alla guida, Andiamo in contro al pesce sempre “pompandolo” con forza per evitare che la corrente ci facesse perdere il contatto diretto con la preda. Siamo ormai ad una ventina di metri, l’acqua cristallina del mattino ed il sole mi fanno intravvedere il pesce, che tenta di salire con forza verso la superficie nel tentativo di slamarsi; ci avviciniamo ancora ormai ci siamo sopra, eccola! La sto combattendo in 4 metri circa di acqua, ma l’acqua è così limpida che è come fossi in 1 metro scarso. Vedo il mio omino di neve “penzolare” dalle sue labbra ed il mio amo saldamente ancorato nella parte inferiore della bocca; Ancora qualche potente ripartenza sotto il gommone poi la guadiniamo. Non è enorme, ma è la più grande della sessione, mentre sgallava avevo notato avesse anche una bella pancia pur essendo un pesce di fiume. Stacco le stecche del guadino la lascio in acqua dentro la rete, e torniamo verso la base. Bagnamo il guadino ed iniziamo fare tutte le foto del caso. Riposizioniamo le canne. Rifacciamo una partenza a testa, poi è ora di andare, a malincuore dobbiamo tornare verso casa.

Senza dubbio questa è stata una delle sessioni più riuscite ed entusiasmanti dell’ormai passato 2013. Tante parenze, nessuna big, ma tanta soddisfazione, per essere riusciti ad avere un buon risultato in uno spot che da diversi anni non regala molte emozioni. Sicuramente la pasturazione e la scelta degli spot sono stati due fattori determinanti. Il giusto affiatamento con il socio, ed esche di qualità questa volta ci hanno fatto tornare a casa con il sorriso. Anche in questa occasione ci sono stati alcuni intoppi ed imprevisti ma ormai fare buon viso a cattivo gioco fa parte di me del mio carattere, ci vuole ben altro per farmi gettare la spugna.

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Eccoci di nuovo alla nostra piccola rubrica di “cucina”, questa volta i vostri realchef vi illustreranno una piccola ricetta veloce e fresca per l’arrivo dell’estate, stagione che vuole pasti veloci e leggeri per tenersi in forma in vista delle fotografie con le nostre amate prede. Quello che vogliamo farvi conoscere del nostro “bagaglio culinario”

durante le nostre sessioni è la piadina con la scarola e wurstel.Questa prelibatezza è molto veloce e consiste nel farcire una classica piadina con della scarola o lattuga a vostro piacimento (a noi piace più la lattuga per il suo sapore leggermente amaro) precedentemente fatta stufare in padella per qualche minuto. Vi presento qui di seguito i vari passi della preparazione.

Ingredienti per due persone:2 piadine 1 pianta di scarola o lattuga50 gr di olive nere taggiasche denocciolate1 cipollotto fresco2 pacchetti di wurstel

Per prima cosa passate in padella per bene i wurstel arrivando al punto che formino una crosticina sulla superficie della pelle e metteteli da parte.Dopo aver pulito la padella, lavate e tagliate il cipollotto in piccoli pezzi, unite in padella le olive taggiasche, un corposo filo d’olio e soffriggete per bene fino alla doratura del cipollotto.Una volta fatto, lavate e tagliate grossolanamente tutta la pianta di scarola e unitela al vostro soffritto, una mescolata al tutto e coprite con il coperchio in modo che si stufi e perda di volume.Appena vedete che la scarola è completamente appassita spegnete e prendete le piadine.

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The kay rigNicolò Coledan

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Diciamo che io non sono un grande amante di rig troppo sofisticati o troppo complicati, però devo dire che sono continuamente alla ricerca di un rig che possa aumentare il numero delle carpe portate a guadino.

Troppe volte ho visto con i miei occhi carpe pascolare sullo spot, mangiare tranquillamente la pastura e poi riuscire ad aspirare e poi risputare l’innesco. Sono situazioni che capitano molte più volte di quello che crediamo, quindi che fare per cercare di “fregare” anche le carpe più furbe e smaliziate? Esistono vari modi per cercare di diminuire questa diffidenza:

-aumentare o diminuire la quantità di pastura

-variare la presentazione della pastura

-cambiare la presentazione dell’innesco

-migliorare la meccanica del terminale

Diciamo che i punti elencati qua sopra vanno logicamente interpretati in base al luogo e alla situazione di pesca. Dato che si potrebbe scrivere un articolo per ognuno, questa volta ci soffermeremo solo sull’ultimo: il terminale.

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Dopo aver passato diverso tempo in riva a fiumi, canali, laghi, cave d’italia e non posso dire di aver fatto qualche buona ipotesi sul funzionamento del terminale ideale.

Questo terminale ideale secondo me deve essere abbastanzaa morbido , leggero e mobile da non fare sentire al pesce la presenza del trecciato e dell’amo, ma allo stesso tempo deve avere un angolo di uscita del filo dall’amo molto agressivo(line aliner) per far si che al minimo movimento del pesce l’amo si giri inesorabilmente verso il basso.

Voi mi direte che non è per niente difficile fare ciò che ho descritto sopra! Basta fare un combi stiff treccia- nylon o al massimo un line aliner un po’ più accentuato con un bel termorestringente !

Infatti è quello che ho fatto fino ad un po di tempo fa, ma dopo prove e prove in pesca e non, mi sono accorto che accentuando il line aliner in quel modo o ancora peggio facendo l’ultima parte di terminale in nylon o fluorocarbon, il terminale si irrigidiva e non di poco. E con questi 3-4 cm di

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terminale così rigido sicuramente la meccanica non sarebbe stata delle migliori, o almeno non come la volevo io !

Dopo aver pensato e ripensato a come poter fare il mio “finale ideale” una sera mentre stavo realizzando l’ennesimo terminale di prova mi venne un colpo di genio!

Finalmento ero riuscito ad unire la rigidita e l’agressività di uno stiff rig con la morbidezza e la mobilità di un semplice terminale in treccia!

In poche parole ero riuscito a realizzare ciò, semplicemente utilizzando un piccolo spezzone di fluorocarbon bloccato sul amo da una pallina dello stesso filo realizzata scaldandolo con un accendino, mentre sul finale bloccato da un tubetto di silicone fissato con colla o sempre un tubetto in silicone .Facendo ciò si ottiene la rigidità e l’angolo agressivo di uno stiff ma allo stesso tempo grazie al fluoro bloccato solo dalla sua pallina, l’amo è libero di ruotare intorno al fluoro di 360° . Facendo così si aumentano di molto le poissibilità di allamata perché l’amo in ogni caso si appoggerà sempre con la punta verso il basso della bocca del pesce, ed al primo movimento ruoterà inesorabilmente verso il basso, garantendo un allamata pressochè perfetta !

Ed ecco come si costruisce:1 Prendiamo uno spezzone di treccia morbida da hair rig da 10 15lb, facciamo una piccola asola ed applichiamo ad essa una micro girella , anche un anellino può andar bene. Poi facciamo passare la girella all’interno dell’amo e blocchiamo il tuttto con un senza nodo facendo uscire la treccia che va alla girella nella parte interna dell’amo. E’ importante che l’asola scorrendo nell’amo non fuoriesca da esso, ma dopo un po’ di prove si riescono a prendere le giuste misure!

2 Prendiamo la treccia con cui costruiremo il resto del terminale e la leghiamo all’amo con un altro senza nodo, poi passiamo circa 3-4mm di tubetto in silicone all’interno di essa

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3 Tagliamo circa 2cm di fluorocarbon di buon diametro, scaldiamo una sua estremità con un accendino fino a creare una pallina e poi lo passiamo dentro l’occhiello dell’amo

4 Con l’atra estremità del fluorocarbon passiamo all’interno del tubetto in silicone e poi facciamo con il fluorocarbon che esce un'altra pallina con l’accendino. ( un consiglio che posso darvi per evitare di bruciare il terminale, è quello di far scorrere il più indietro possibile il tubetto prima di bruciare il fluoro con l’accendino, così facendo riusciremo a tenere il filo ben distante dalla treccia ed eviteremo di danneggiarla!)

5 Ora non ci resta che far tornare indietro il tubetto in silicone fino a quando non si incastrerà nella pallina del fluorocarbon. Ed ecco fatto, il nostro terminale è pronto a pungere!

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6 In caso di forti lanci o forte disturbo da parte del pesciame vi consiglio di sostituire l’asola con girella con un semplice tubetto in silicone, così facendo sarà sicuramente un po’ meno mobile, ma eviteremo sicuramente fastidiosi attorcigliamenti!

La voglia di provare la mia ultima creazione in pesca era tanta e dopo un paio di telefonate mi accordo con gli amici, mirko e mattia per una pescata di 3-4 giorni in fiume.

Arrivati in postazione, dopo aver calato le canne e montato il campo ho subito voluto mostrare il mio rig ai miei amici, e non appena ho passato il terminale In mano a mirko ho notato subito che era rimasto un po’ allibito, poi sorridendo mi disse:

Abbiamo avuto la stessa idea!

All’inizio ho pensato che volesse solo prendermi in giro ma poco dopo, mi passo il suo portaterminali.

Non potevo crederci dentro ad esso c’erano dei terminali praticamente identici ai miei, avevamo veramente avuto la stessa intuizione!

Poco importa se abbiamo praticamente ideato lo stesso terminale contemporaneamente, la cosa più importante era la sua reale efficacia, cosa che abbiamo potuto constatare con successo nei successivi mesi di pesca, abbassando drasticamente il numero delle slamate e delle false partenze!

Altri vantaggi di questo terminale:

Quante volte vi è capitato di rovinare l’angolo e segnare il fluorocarbon del vostro stiff o combi stiff dopo un cobattimento prolungato, o quante volte si è rovinato o tolto il pezzo di termorestringente usasto per fare un buon line aliner?

Bene: questo terminale potete praticamente portarlo “a nuovo” quante volte volete grazie al pezzettino di fluorcarbon che possiamo sostituire in pochi secondi.

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Basta tagliare il pezzo vecchio, preparare il pezzo nuovo nuovo della misura desiderata, fare la pallina con l’accendino, passare l’altra estremità all’interno dell’occhiello e rifissare sul tubetto di silicone il nostro fluoro con la colla!

In caso di molte partenze o necessità di sostituzioni ancora più rapide ho trovato un'altra soluzione per rendere ancora più rapida la sostituzione del fluorocarbon.

Praticamente i primi passi sono uguali a prima, cambia solo il metodo di fissaggio del fluoro alla treccia del terminale. Invece di bloccarlo sul silicone con la colla, bastera far scorrere il silicone sul fluoro fino all’occhiello, poi fare un'altra pallina sul fluoro con l’accendino e poi far scorrere nuovamente il silicone verso l’alto fino a bloccarlo quando incontra la pallina !

Per concludere…… Questo terminale secondo è abbastanza universale, ma secondo me da il meglio di se con inneschi affondanti e bilanciati comunque anche pescando in pop up non ho mai avuto brutti risultati quindi che dire…..ora non vi resta che provarlo!

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Carichiamo o scarichiamo?

Roberto

Bussolari

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a volte siamo così annoiati che anche le nutrie davanti al pod diventano interessanti

Che dire, se parliamo dell’auto per andare a pesca….carichiamo di sicuro. Ma quando siamo arrivati a destinazione le incognite sono moltissime. Il bello del carpfishing è anche questo. Ma se 15 anni fa mi ponevo il problema di come far conoscere le boilies alle carpe ora il problema è l’opposto, ovvero che le conoscono fin troppo bene pressoché ovunque. Nonostante sia fermamente convinto che una buona esca sia accettata di buon gusto da una carpa per via di ottime doti gustative e spesso anche nutrizionali, sono meno convinto che non le provochi altrettanto senso di pericolo. Questo è facile intuirlo, in molte acque, grandi o piccole che siano alcuni pesci sono stati catturati ben più di 10-15 volte. Sarebbe difficile credere il contrario, ovvero che le carpe non provino remore nel cibarsi di boilies. Anche perché vivono in un contesto “sociale” anche loro, fatto nel loro modo, ma esiste ed è radicato. Pertanto ciò che accade ad un esemplare del branco si riflette negativamente anche sulle altre. Basti pensare un luccio all’attacco su di un branco di alborelle. Non è che ne scappa una, quella inseguita, scappano tutte, anche se sono in 100! Al pericolo, la conservazione animale impone la fuga. Sono discorsi che fanno sorridere ma non da dare per scontati se vogliamo affrontare ogni sfaccettatura di questa tecnica. I pericoli non sono

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in attesa della sera le esche si scaricano, cambiamo l'acqua ogni ora

dati solo dai predatori con le pinne ma anche forse dico, soprattutto, da quelli umani. Quindi esche allettanti sul fondo che generano tutta una moltitudine di stress, legati a ricordi e catture, sono indubbiamente associate a pericolo. Quando ho intavolato questi discorsi con altri carpisti spesso ho visto ridere sotto i baffi e con pochi, pochissimi ho potuto affrontare l’argomento. La prima domanda a brucia pelo che mi fanno pensando di chiudere subito la partita è: Ma allora quelle carpe che vengono prese 10 volte sono stupide? Dopo rido io perché aprono il campo a molti altri ragionamenti. Non credo sia questione di stupidità anche se dico sempre che spesso ritengo siano più intelligenti i pesci di noi umani visto ciò che accade nel mondo, ma a parte questa digressione credo che in determinate carpe sia molto più appagante il gusto, il sapore e la facilità di disporre di cibo data da una boilies rispetto alla reale paura di subire un trauma. C’è chi si appende al soffitto per i capezzoli attaccato a delle anelle di ferro….devo aggiungere altro?? Potrebbe essere anche che alcuni esemplari dimentichino più velocemente certi traumi di altri e quindi cadano più frequentemente nel tranello della nostra esca, ma tutte queste sono solo mie idee, e sono anche consapevole che la reale verità non la saprò mai. Credo piuttosto di aver dato già troppo spazio ai pesci che vengono catturati più e più volte rispetto a quelli che escono di rado o quelli che non usciranno mai, e forse veramente mai. Come banalmente ci sono carpe definibili “stupide” ci sono pure quelle

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“troppo intelligenti”. Prima non ho tirato fuori la parola branco a caso. Infatti spessissimo carpe enormi non girano sole, ma già carpe di taglia considerevole oltre i 15kg non nuotano tendenzialmente sole. Quindi un avvenimento traumatico per un esemplare del branco si ripercuote su tutte le altre. Avete mai pensato che se quella carpa “stupida” (la chiamerò così per facilitare alcuni discorsi ma non la ritengo tale in ogni caso) abbocca regolarmente, significa che appena individua le esche se ne ciba, potrebbe non essere così positivo? Avete mai pensato che le sue compagne di branco potrebbero osservarla ad ogni cattura e decidere sempre di più di non cibarsi più delle nostre esche. Inoltre, caso forse assurdo ma non improbabile, ovvero che le altre carpe del branco aspettino proprio che lei si alimenti per attendere gli eventi e decidere cosa fare? Adesso vi metto una pulce in orecchio a mio avviso importante. Avete mai notato se in un lago o cava arriva a morire una di queste carpe “stupide”, o peggio prelevata, e da lì a qualche mese iniziano ad uscire pesci nuovi e magari anche molto grossi? Io ci ragionavo qualche tempo fa in quanto tre o quattro anni fà almeno,

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morì una carpa da 24kg molto conosciuta in una cava dalle mie parti, nel giro di un paio di anni iniziarono ad uscire alcuni pesci enormi tra cui una 28kg, 26,5kg ecc. Forse è un caso, ma dov’erano questi pesci prima? Non è che non avendo più la vecchia compagna ingorda erano costrette a dover assaggiare direttamente loro le esche e ogni tanto rimanevano fregate? Guardate che ritengo sia un punto di riflessione molto importante. Se una carpa muove le boilies sul fondo per vedere le palline che si alzano libere dal terminale può benissimo essere che alcuni grossi esemplari usino propri simili da cavie! In fondo credo che il desiderio di “gola” di una carpa verso una buona e comoda esca sia costante anche perché non si spiega la loro propensione ad alimentarsene. Potrebbero benissimo vivere di cibo naturale ma non sempre lo fanno. Perché? Credo che le boilies nel tempo in alcune acque possano addirittura essere entrate a far parte della loro catena alimentare. Non credo di sbagliarmi a pensare questo. Dettò ciò si aprono molti altri spunti perché il discorso porta a mille sfaccettature ma mi fermo qui perché mi interessava

puntualizzare quanto possono essere intelligenti ed allo stesso tempo approfittatrici e talvolta ingenue le carpe. Ma noi carpisti dobbiamo esserlo di più e spesso pur impazzendo non siamo abbastanza scaltri. Tantissime volte sono stato sicuro di posizionare i miei terminali in spot perfetti ma quante notti mi è toccato dormire tranquillo senza che nessun segnalatore mi desse la sveglia. Un giorno di fine marzo mi svegliai alle prime luci, aprii gli occhi con lo snervante rammarico di constatare che era già giorno e non avevo catturato nulla. Da sdraiato sulla branda vedevo il pod, i segnalatori erano stati completamente muti tutta la notte ed in pochi frangenti di secondo vidi una meravigliosa regina, forse sui 17-18kg saltare esattamente su di uno spot dove avevo calato. L’adrenalina ha iniziato a scorrermi nelle vene ma purtroppo (pensavate...eh?) tutto tacque anche quel giorno. Era già il secondo giorno che accadeva la stessa cosa ma nulla, non avevo catturato nulla. Eppure da qualche parte l’errore ci doveva essere. Attonito e molto perplesso mi levai e mi sedetti su un secchio di fianco le canne, come se volessi essere già pronto a ferrare se la carpona decidesse di farmi visita. Gettai lo sguardo in acqua, in quei giorni ancora molto limpida in quanto eravamo ad inizio stagione, e notai qualche esca che mi era caduta nel sottoriva la sera prima. Il mio sguardo ormai disilluso cadde sul colore delle esche che quasi non riuscivo a distinguere per tipo, tra quelle che in origine erano le bianche e quelle marroncine.

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anche l'innesco deve rimanere in ammollo, altrimenti non c'è senso

L’azione dell’acqua le aveva slavate. Caxxo, il mio ventricolo destro ebbe un sussulto e pensai tra me e me: vuoi dire che sono così stronze?Bhe si lo erano perché in parole povere lasciai la canna in acqua per tutto il giorno seguente, sollevai solo il terminale per verificare se il mini innesco era ok e lo ricalai nello stesso identico punto. Gettai una manciata di fresche e profumatissime esche a 7-8mt di distanza e me ne tornai a riva. Volevo simulare una nuova calata poco distante da quella della sera prima, come si fa di solito insomma. Alle 21 della stessa sera avevo già a guadino quella carpa, o forse una sua compagna di branco ma era un gran bel pesce. Le altre canne ricalate con gli inneschi nuovi sono rimaste morte anche per la terza ed ultima notte. E che cavolo quante storie di inneschi lasciati giù ad oltranza abbiamo sentito e letto in questi anni. Avete ragione ma questa intanto è la mia storia ed il mio modo di pensare e ragionare, poi non finisce tutto qui. Intanto si sente tanto parlare ma a riva dei

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gran secchi con dentro boilies a scaricare non ne ho mai visti, a parte i miei. E’ giusto che sia così perchè ognuno deve pescare come meglio crede. Però adesso io credo fermamente in questa teoria e sono fermamente convinto della validità del sistema perché in situazioni successive mi ha aiutato a portare pesci a guadino. Prima parlavamo di essere più furbi delle carpe e spesso ci spacchiamo la testa nel tentativo di esserlo ma spesso sono i piccoli dettagli che ci sfuggono. La questione non gira solo intorno al concetto di esca carica o scarica ma ruota anche sull’orario che ho effettuato quella cattura, per parlare a fondo del fatto specifico. Alle 21 di sera tutti hanno calato da appena

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2-3 ore alla fine di marzo. Giusto? Le esche puzzano a bestia! Se siamo in un’acqua difficile e pressata prima di 6-8 ore nessuno cattura nulla generalmente. Mi sono giustificato che spesso le catture avvengono all’alba o nella notte inoltrata non solo perché magari i pesci sono più attivi, potrebbe essere anche perché le esche si sono già scaricate a sufficienza da abbassare il livello di diffidenza di alcune carpe. Le aziende badano solo a produrre esche che quando apri il sacchetto ti ribalti. Ce ne fosse una che produce una boilies con 1 ml di aroma per kg. Nessuna!! Sono convinto che sarebbero super catturanti….ma nessuno le comprerebbe se si sentisse solo la “puzza” delle farine! Chiudendo un po’ il cerchio del discorso, questo fatto per dire che se le carpe cercano e si nutrono delle esche rimaste sul fondo 24 ore o più, è sintomo che ciò che gli proponiamo è di loro gradimento molto di più di quello che potremmo immaginare. Credo unicamente che la diffidenza sia talmente elevata da farle desistere molto più spesso di quello che crediamo dal cibarsi di boilies “fresche” di sacchetto. Il concetto non è ready o self, il concetto è quanto tempo una pallina è stata immersa nell’acqua di quel lago, hanno imparato a gestire i pericoli e questo non ci aiuta. L’autunno scorso ho posizionato una canna in un posto “UFO” come lo chiamo io, ovvero che non ci avrei dato due lire, in mezzo al lago nel nulla più totale ma con esche completamente scariche. Da non credere, una gran partenza ma non si è allamata. Mi ha rotto la clip porta piombo e mi si è allentata la linea. Avevo sicuramente sbagliato qualcosa nel terminale. Però chissà se in quello spot così anonimo, impiegando una esca neutra, ero riuscito a convincere ad abboccare qualche bel pesce, magari nuovo?Altro esempio, poco più di un mese fa in una cava pescavo, per forza di cose, attaccato a gente che la frequenta abitualmente e che ha lo spot super pasturato. Con i terminali a 10mt l’uno dall’altro partiva la mia canna con esche scariche e la loro neanche un bip. Non credo sia stato un caso, io ci pescavo per la prima volta. Non vi sto ora ad elencare altri avvenimenti, sarebbe noioso. Il concetto è che le carpe pur adorando le boilies ne sono spesso talmente intimorite da indurle a trovare metodi estremi per cibarsene e questo ci mette a dura prova. Mi piace pensare che in ogni acqua in cui peschiamo, di fianco a tante carpe grosse che catturiamo, ve ne sono altre che forse mai vedremo a guadino che continuano però a stuzzicarmi l’inventiva ed il pensiero. Adoro pensare come ingannarle e adoro pensare a cosa mi ha portato a non catturare. Ci sono acque in cui ora pesco quasi solo con esche scariche ed in altre che ammollo le boilies nell’aroma puro. Sono questi gli estremi talmente opposti da farmi continuare ad amare questa pesca nonostante le mille difficoltà e le mille “schifezze” che a volte mi porterebbero ad abbandonarla. In tanti anni che scrivo ho messo giù tante idee e pensieri

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senza mai parlare di verità assolute, credo con sufficiente umiltà, e ogni tanto mi capita che qualcuno mi dica che ha provato a fare qualcosa che ho suggerito tramite un mio scritto, ottenendo risultati, questo mi ripaga di moltissimi sforzi e sacrifici. Sarebbe molto più facile dirvi di comprare la tal pallina e metterci a fianco la tal pellet con il relativo booster o che altro diavolo di liquido c’è in commercio. Qualcuno avrebbe di sicuro catturato, ma non ci sarebbe nulla di mio, ve lo potrebbe raccontare anche mio figlio che non sa pescare. In diverse occasioni ho raccontato di come amo pescare con gli ami rivolti con la punta all’insù, molti mi hanno deriso, alcuni hanno provato e catturato ma non mi interessa io continuo a farlo. Se avessi pensato una cosa simile 10 anni fa mi sarei dato del matto. I miei pensieri a volte sono folli ma sono i miei. Avrei tante altre cose da dirvi riguardo al mio pensiero sul comportamento dei pesci sotto pressione di pesca ma ci saranno occasioni future.

un innesco scarico e reso equilibrato dalla spugnetta.

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dai che diventi meglio del papà...

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Spot di una volta...

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Simone Rossi

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Ogni inizio stagione in fiume è un eccitante salto nel vuoto, il continuo evolversi dei fondali non lascia spazio all’abitudinario e ci costringe ad accettare sempre nuove stimolanti sfide nella ricerca del posto e del pesce. Potrebbe sembrare una scocciatura ma è proprio questo aspetto che rapisce molti di noi frequentatori del fiume e probabilmente è spesso anche la causa dei nostri successi e, si spera sempre pochi, insuccessi.

La continua erosione e il continuo relativo riporto di sabbia, ostacoli e materiale organico, porta a creare sempre nuove interessanti situazioni per noi ma soprattutto per le carpe che vi andranno ad alimentarsi.

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Fondali monotoni e stabili non hanno mai attirato la mia attenzione e ,quelle poche volte in cui vi ho calato i miei inganni, hanno sempre portato a risultati mediocri. Sarà che la novità attira sempre, sarà che in un fondale smosso si può nascondere una maggior quantità di cibo, sarà che effettivamente in quei punti non è mai stato calato un amo o quasi; ma cambi di livello formati di fresco, ostacoli incagliati durante l’ultima piena o secche trasportate a valle da poco tempo, mi hanno sempre dato piacevoli sorprese.

Ad un nostalgico come il sottoscritto, piange sempre il cuore vedere sparire da un mese all’altro, spot a cui sono legati ricordi di bellissime pescate…a due di questi sono particolarmente grato, e vorrei rendergli omaggio nelle righe seguenti.

Era la primavera 2010 quando iniziai a pescare sul primo di questi due posti, da poco era franata una sponda terrosa molto vecchia della lunghezza di circa 500mt, portando con sé in acqua numerosi grossi alberi, se non ricordo male quattro. In quello specifico punto la profondità vicino a riva era notevole e tutta questa legna portò ben presto ad attirare l’attenzione di buona parte del pesce della zona.

La corrente era molto lenta per via della secca che si trovava qualche centinaio di metri più a monte. In aggiunta, il flusso principale del fiume lambiva la sponda opposta, dove era stata creata una imponente sassaia.

Iniziai a pescare assieme ad altri 2 amici a monte del primo albero caduto, lì la secca lasciava spazio alla profondità che passava repentinamente da circa 3 a 6 metri. Facemmo in tempo a fare un paio di buone pescate ma la sponda su cui ci accampavamo continuava a franare, costringendoci a spostarci 50 metri più a monte, sul secondo albero caduto.

Davanti a questo grosso albero, l’estate e l’autunno che ne seguirono, furono i periodi caratterizzati da più catture della mia vita, aiutato dal tanto tempo libero a mia disposizione che mi permise di godere a pieno le potenzialità che un fiume dalla maestosità e da un ecosistema unico come il Po sa regalare.

Bei tempi quelli, almeno dalle mie parti, erano gli anni in cui iniziavano a moltiplicarsi le licenze di professione nella provincia di Rovigo... potevamo ancora solo immaginare i

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risultati di questa mala gestione delle acque, speravamo in un cambio di rotta che non c’è mai stato e che ha portato, appena pochi anni dopo, al far-west.

Tornando allo spot, col susseguirsi degli anni e delle piene invernali, gli alberi in acqua, ormai ridotti a rami secchi, andavano via via scomparendo, e con essi anche la quantità di catture diminuiva ad ogni uscita…era tempo di spostarsi.

Ad ottobre 2011, dopo una stagione di pesca nomade, durante un rilassante giro in barca post-lavoro con la morosa, incappai in uno spot per niente usuale, in un fondale troppo pulito, uno di quei posti su cui si passa oltre senza nemmeno guardare l’eco, sul quale non si scommetterebbe un euro, ma attirò la mia attenzione per l’interessante giro d’acqua che si veniva a creare a valle di una estesa secca.

Le profondità e la distanza su cui avremmo impostato la nostra azione erano sempre state finora per noi un azzardo, abituati a fondali ben maggiori, avremmo lanciato i nostri piombi a non più di 5 metri da riva, in un fondo sabbioso di un metro scarso.

Improntammo una prima veloce pescata con l’amico Luca e ci accorgemmo fin da subito della bontà della nostra scelta. Dopo poche ore infatti il socio ebbe la fortuna di abbracciare una vecchia signora over del fiume e durante la pescata successiva, lo stesso spot mi regalò una rarissima specchi.

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Il tempo di iniziare ad ingranare che l’arrivo delle piogge e dei rigori invernali ci videro costretti ad abbandonare la zona a favore di ambienti con profondità maggiori.

Dopo un inverno interminabile, il caldo unito all’abbassamento del livello ci segnalava che era l’inizio di una nuova stagione ed era obbligo approfittare di quello spot al più presto! La secca fortunatamente era ancora al suo posto e le carpe erano pronte ad abboccare come pochi mesi prima. Fu così che durante una calda e limpida notte di Luglio 2012, dopo anni passati ad inseguirla per km di fiume, a perfezionare strategie giorno per giorno, a lanciare in acqua diverse tonnellate di palline, è arrivata lei …un combattimento interminabile, in assoluto silenzio, senza alcuna luce se non quella delle stelle. Poi la visione stupenda nella rete del guadino della sagoma di una regina tanto maestosa da togliere il fiato.

Ora di quel bel giro d’acqua rimane solo la fotografia appesa alla parete della mia camera, la sabbia della secca è stata trasportata chissà dove, a formare nuovi spot, a fare sognare nuovi angler.

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CondizionamentoSullo

Spot

Michele

Finocchi

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Spesso capita di sentir parlare di grandi campagne di pasturazioni mirate a condizionare le carpe sullo spot da noi scelto. Personalmente ho riscontrato che ci sono acque dove sacrifici economici e fisici sono

ampiamente ricompensati da book fotografici riempiti con poche sessioni, mentre ci sono luoghi dove si rischia di buttare completamente al vento denaro, carburante e sudore se non facciamo tutte le operazioni

maniacalmente e senza lasciare nulla al caso.

Quando iniziai questa meravigliosa tecnica ero ancora uno studente e nonostante al pomeriggio facessi qualche lavoretto, la mia situazione economica non mi permetteva di avere a disposizione quantitativi di esche ingenti, e non mi sarei sicuramente potuto permettere nemmeno di andare su qualche lago due tre volte a settimana a pasturare

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visto che le carpe che nuotano più vicino a casa mia sono a circa 35 km di distanza! Leggendo le riviste e i libri di allora, ero sicuro che quando mi sarei potuto permettere di fare grandi campagne di pasturazione, come era scritto sui testi, le catture di mostri sarebbero fioccate, ma purtroppo era soltanto una mezza verità.Negli anni seguenti infatti sono rimasto spesso deluso da questo approccio, e l'esperienza maturata mi ha insegnato che troppe volte tendiamo a pensare che tutto il nostro lavoro sia di buttare con costanza un ingente quantitativo di esche su uno spot per arrivare ai risultati.... ma purtroppo non è così semplice.Ci sono diversi fattori che sono fondamentali per una buona riuscita del nostro lavoro come la scelta dello spot, la scelta dell'esca da utilizzare, la scelta della tattica di pasturazione e la costanza nell'eseguire tutto il lavoro.Per eseguire correttamente tutte queste operazioni è doveroso fare molte valutazioni che

riguardano lo specchio d'acqua che abbiamo deciso di affrontare, e questo ci obbliga a reperire più informazioni possibile sull'ambiente in questione, come la quantità di pesci presenti, la dimensione media, la quantità di pesci di disturbo, la presenza di gamberi o tartarughe, la temperatura dell'acqua nei vari periodi dell'anno, la conformazione del fondale, l'esposizione ai venti, la pressione di pesca, la quantità di cibo naturale ecc.Una volta che abbiamo in mano più dati possibile possiamo iniziare a progettare il nostro approccio di pasturazione, facendo delle scelte ben precise riguardo i fattori fondamentali sopra citati. La scelta dello spot non è mai semplice, ed è l'operazione che inciderà più di ogni altra cosa sull'andamento delle nostre pescate. Lo spot è decisivo in ogni ambiente, anche in piccole cave dove si presuppone che le carpe prima o poi circolino ovunque, perchè anche in questi luoghi ci sono sempre delle zone predilette dai pesci, che ci faranno sicuramente risparmiare fatica e tempo se siamo bravi nell'individuarle. E logico che in piccoli ambienti un errore nella scelta dello spot è comunque meno disastroso che nei fiumi o nelle grandi acque dove non ci possiamo permettere sbagli di valutazione perchè potremmo restare mesi e mesi senza avvertire alcun segnale d'abboccata. Ricordo la prima volta che iniziai una pasturazione a lungo termine, lo feci in una piccola cava poco sfruttata. Al mattino mentre andavo a lavorare mi fermavo e pasturavo con 4-5 kg di boilies in un settore di un centinaio di metri quadrati per tre volte a settimana. La cava era con un fondale molto monotono, senza grandi variazioni di fondale o di compattezza dello stesso. Scelsi dunque uno spot sul quale avevo notato qualche salto, ma che non vi erano particolari peculiarità.

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Dopo tre settimane di pasturazione decisi di provare a pescarci e i risultati furono impressionanti, una serie di catture di buona taglia mi accompagnarono nelle 12 ore della prima sessione,e anche le successive mantennero comunque le aspettative. L'anno successivo feci lo stesso approccio su un altro settore della stessa cava, mantenendo gli ottimi risultati dell'anno precedente. Questo perchè in un ambiente piuttosto ristretto e senza grandi diversità di fondale, la pasturazione preventiva fa veramente la differenza riuscendo a condizionare sul settore scelto gran parte delle carpe presenti.Il discorso cambia drasticamente nei grandi specchi d'acqua dove le carpe tendono a non cambiare facilmente le proprie abitudini, e soprattutto negli ambienti con a disposizione molto cibo naturale è estremamente difficile condizionare i pesci presenti a visitare il nostro spot se questo non è già un punto di alimentazione abituale delle carpe. Ho ancora in testa la primavera del 2005, quando decisi di fare una grande campagna di pasturazione in un grande bacino idroelettrico. Passai l'inverno intero a rollare palline in modo

di avere a disposizione 300 kg di boilies per la primavera. Avevo bene in testa un punto d'acqua bassa dove spesso avevo catturato nel periodo estivo, e un ansa alla mia sinistra con fondale roccioso e molto meno profondo del resto del lago mi aveva convinto che era lo spot ideale per il periodo primaverile. Quindi con i primi solicelli di marzo decisi di iniziare la pasturazione.Inizialmente non volevo calcare la mano con i quantitativi, viste le temperature ancora un po' rigide, ma con l'aumentare dei gradi dell'acqua aumentavo anche l'esche e la frequenza di pasturazione, fino ad arrivare a gettare in acqua 15 kg di boilies per tre volte a settimana in un area grande quanto un campo da calcio. Finalmente iniziai a pescarci, ma fin dalle prime uscite le cose non andarono come previsto, e dopo due mesi intensi di pasturazione e pesca mi resi conto che era andato in fumo tutto il mio progetto, infatti nonostante le cose fatte nel miglior modo ( a mio avviso) possibile non ero riuscito a catturare un pesce, anche se ero incredulo mi bastò cambiare spot per avere partenze con costanza, e senza pasturazione preventiva... Questo per un motivo molto semplice, le carpe in questi ambienti le catturi solo se peschi dove loro si alimentano, altrimenti nessuna esca e nessuna strategia le condizionerà in massa sul nostro spot.A conferma di quanto detto, l'anno successivo in autunno mi accadde la stessa cosa in un altro settore dello stesso lago, Dopo aver pasturato tutto il mese di settembre e metà ottobre iniziai a pescarci ma dopo quattro o cinque uscite di pesca i risultati erano stati veramente scarsi contando tre o quattro carpe di piccola taglia. Decisi di provare una breve sessione in una zona diversa, dove avevo visto qualche salto di carpe, e così in 12 ore riuscii a catturare 3 bei pesci.

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Semplicemente nei 2 casi presi in esame avevo sbagliato due cose fondamentali, avevo fatto l'errore di scegliere lo spot poco proficuo per il periodo e avevo soprattutto fatto l'errore di pensare che il pesce con quei quantitativi di pastura si sarebbe comunque abituato a transitare nella zona.Per scegliere lo spot da pasturare è importante valutare il periodo dell'anno, e dopo aver scandagliato attentamente per conoscere la conformazione del fondale, si può iniziare a pensare se ci potrà regalare catture oppure no, ovviamente anche considerando l'esposizione ai venti miti e il riparo da quelli freddi che sicuramente giocherà un ruolo fondamentale per il nostro successo. L'eco scandaglio ci aiuterà inoltre a trovare i pesci che sicuramente se lo spot è giusto si mostraranno come archi ben definiti sul nostro display, anche se a confermarci la loro presenza saranno salti e rollate in orari ben definiti. Quindi trascorrere anche un po' di tempo sulle sponde ad osservare il nostro spot ipotetico ci aiuterà a stabilire la presenza di carpe in quel determinato periodo.

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Un altro fattore da prendere seriamente in considerazione è la scelta delle boilies da utilizzare. Anche qui dobbiamo fare alcune considerazioni come ad esempio la taglia media delle carpe presenti e della quantità di pesce di disturbo presente, che ci aiuterà nella scelta dei diametri da utilizzare, nel caso in cui la taglia media sia elevata e la quantità di pesce di disturbo non sia particolarmente abbondante non avremo bisogno di selezionare granchè, e andare su diametri standard 18-20-22 mm andrà più che bene, mentre se dobbiamo selezionare la taglia delle carpe o eliminare il disturbo dei pescetti potremo salire a delle 24mm fino anche alle 32 mm senza problemi, a seconda di quanto decidiamo di far selezione, ma dobbiamo tener conto che anche piccole carpe in alcuni ambienti si divorano le 28/ 30 mm senza problemi! Per la scelta del mix da utilizzire è importante che sia ben equilibrato e soprattutto digeribile, questo è un fattore fondamentale, perchè soprattutto se utilizziamo quantitativi ingenti è importante che le carpe si alimentino senza aver problemi di digestione, sia per la loro salute, sia perchè in questo modo continueranno ad alimentarsi senza stancarsi delle nostre palline.

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Anche il grado di durezza è importante, e la presenza di tartarughe o gamberi dovrà farci riflettere sull'utilizzo di farine indurenti, come farina di riso, albumina, caseina, lactalbumina. In base alla quantità di questi disturbatori possiamo fare ricette di palline più o meno dure, ma è opprtuno anche scegliere farine ed aromi che attraggono meno questi animali, magari escludendo o limitando farine animali. Un ultimo fattore fondamentale nella scelta dell'esca da utilizzare è la pressione di pesca. Questo perchè se siamo in pochi a pasturare uno specchio d'acqua abbastanza vasto, avere un esca semplice ed economica sarà giusto, ma se dobbiamo competere con altri carpisti che come noi effettuano la pasturazione preventiva, allora sarà il caso di curare di più l'esca, scegliendo delle farine equilibrate, con il giusto livello proteico e con un ottimo gusto, in modo da farle scegliere rispetto a quelle degli altri. In questo caso, i costi delle esche per la pasturazione cresceranno, ma saremo sicuramente premiati quando ci recheremo a pesca.Un ultimo fattore che intendo analizzare è l'approccio di pasturazione,inteso come definire i quantitativi, e la frequenza di pasturazione stessa.Anche questo aspetto deve essere calcolato nei migliore dei modi tenendo sempre conto della quantità di carpe presenti, di disturbatori (gamberi, tartarughe o pescetti), della taglia media dei pesci e della mobilità dei

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branchi di carpe.Solitamente quando si ha intenzione di pescare in un ambiente è importante stabilire approssimativamente la quantità di carpe presenti rispetto alla massa d'acqua. Questo ci farà decidere quante esche gettare. E' logico che più carpe ci saranno maggiori saranno i quantitativi di pastura, così come se la presenza di disturbatori è alta, dobbiamo pensare che molte delle nostre palline saranno divorate da loro anche se decidiamo di usare boilies dure come il marmo o particolarmente generose di diametro. Anche la frequenza varia con la presenza di molti disturbatori o carpe, in quanto è importantissimo mantenere sempre pasturato lo spot, quindi se le nostre esche vengono spazzate via velocemente è il caso di

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pasturare con una frequenza maggiore. Dobbiamo valutare anche se lo spot scelto è di stazionamento delle carpe o di passaggio, questo perchè se peschiamo in zone di stazionamento basterà far trovare un quantitativo minimo di esche nel settore con una frequenza media di tre volte a settimana, mentre nelle zone di passaggio sarà più importante curare il quantitativo rispetto alla frequenza, che si abbasserà a due volte a settimana, ma con la seconda pasturazione a ridosso del giorno di pesca, se riusciremo a bloccare il pesce nella zona sarà probabile che questo sia ancora presente nel momento in cui entreremo in azione.Una cosa che volutamente non ho menzionato è l'utilizzo delle granaglie, questo perchè

volevo fare un discorso specifico. In questo articolo abbiamo visto le scelte che dobbiamo fare nella pasturazione a lungo termine. Le granaglie non avendo particolari proprietà nutritive ed essendo poco digeribili non si prestano granchè ai nostri scopi, se non per aggragarle alle boilies per le prime due settimane di pasturazione nei luoghi poco pressati o laddove necessiti un quantitativo ingente di esche per fare massa.A questo punto spero di aver dato uno spunto a chi vuole intraprendere per la prima volta una pasturazione a lungo termine, non bisogna però dimenticare che quando abbiamo fatto tutte le scelte che abbiamo visto, dobbiamo essere convinti di quello che stiamo facendo, in modo di avere costanza nel svolgere il lavoro e insistere anche quando le cose non vanno proprio come ci aspettavamo, perchè basterà allentare il nostro ritmo per mandare in fumo tutto quello che abbiamo fatto in precedenza.

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SOGNI(QUASI)

INFRANTILeonardo Bresolin

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Quando pianifico una pescata mi prefiggo sempre degli obiettivi, alle volte punto alla cattura del pesce di taglia, a volte punto solamente a vedere qualche partenza senza interessarmi del peso, certe volte non mi aspetto nulla e prendo quello che viene, in certi posti spero di catturare amur, piuttosto che pesci come specchi o fully in ambienti dove so esserci la particolare presenza di questa specie. In questa occasione speravo di riuscire a catturare una delle gigacarpe presenti nel lago.

Come spesso mi accade, ma ormai inizio a farci l’abitudine, mi trovavo ad affrontare l’ennesima batosta che la vita mi propone, sentivo il bisogno di staccarmi dalla quotidianità e soprattutto la compagnia di un buon amico. Decisi con Nicola di dedicare una lunga pescata in una grossa cava delle sue zone dove la presenza di carpe di grossa taglia era ben nota. Avevamo a disposizione 5 notti per combinare qualcosa. Valeva proprio la pena provarci e le ultime notizie di catture erano confortanti. Arrivati alla cava tirammo a sorte per decidere le zone di pesca…io a destra in direzione della fine del lago e di un folto canneto, Nico a sinistra, verso il lago aperto e verso un grosso ostacolo sommerso in prossimità della riva. Dopo due indicazioni da parte sua e una

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“veloce” scandagliata, con tanto di perdita dell’elica del motore, mi fu chiaro che l’azione di pesca si sarebbe concentrata lungo le sponde a ridosso del lungo canneto che circonda quasi tutto il perimetro della cava. La sponda infatti va giù molto ripida raggiungendo in breve profondità elevate. Anche una piccola ansetta al limite destro della postazione attirò la mia attenzione. I mulinelli ovviamente erano caricati con treccia, gli ultimi venti metri montavo uno snag leader molto grosso! Un trecciato da 95 kg di tenuta più un ultimo spezzone di 70-80 cm di nylon dello 0.80 al posto del leadcore. Anche il terminale era robusto, ami dell’uno con treccia 100 lb…insomma avrete capito che non volevo rischiare di perdere un Eventuale pesce di taglia solo per un cedimento della lenza causato dallo sfregamento con qualche ostacolo o nei canneti! Tutto ciò potrà sembrare eccessivo ma per esperienza diretta e di amici ho deciso di mettere da parte la “finesse” e puntare sulla sicurezza (vi invito tra l’altro a rileggere l’Articolo di Fabio Bianchi di qualche numero fa…).

Gli inneschi prevedevano tiger e boilies Rift Line nel diametro 20mm, innescate snow man, affondanti e tiger più una boilie assieme. La prima giornata passò tra opere di sistemazione canne e tende, quando finalmente arrivò sera, dopo una cena alla buona, collassammo nei nostri lettini. Il sonno durò ben poco…le mie

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canne diedero segni di vita verso metà nottata, un” super” combattimento portò a guadino una poderosa carpa di…2 kg!!!! Ma qui non c’erano le big?!?!?!? Poco importa, si ricala, si ritorna in branda e….biiiiiip!! il rituale è lo stesso, ferrata, combattimento in barca e….altra carpa da 2 kg!!! Vabbè per essere la prima notte va anche bene, almeno il cappotto ce lo siamo tolti. Anche nico inizia a catturare, la taglia però è già più alta. Il venerdì arriva Daniele, la giornata passa tranquilla con le solita routine di quando si è a pesca, chiacchiere, terminali, scelta delle strategie di pesca…anche se decido di non cambiare per ora. Quelle calate a pochi cm dal canneto hanno reso pesce quindi ci riprovo, aumento un po’ la pasturazione ma senza esagerare e ricerco qualche piccolo particolare sul fondale come canneti rovesciati, tronchi o qualsiasi cosa che possa destare interesse. Nicola e Daniele continuano a pescare vicino al grosso ostacolo sommerso, uno spot fantastico che renderà a loro un grosso numero di partenze, tutte di “buona taglia”…per lo meno meglio delle mie nane! Anche la seconda notte e il terzo giorno catturo qualche carpetta…le grosse arriveranno!...forse! Inizio a dubitare di questo, forse nella mia zona in questo

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momento girano solo carpette che iniziano a fregare in mezzo ai canneti, ma assieme a loro dovrebbero arrivare anche le altre no? Chiacchierando anche con gli altri ragazzi della rivista, tramite WathsApp spuntano i primi suggerimenti: “cala più profondo” …“ fai inneschi tripli” …”porta le canne lontano da quella zona”...”vai a Lourdes”… decido alla fine di uscire di nuovo con l’eco e trovo una scalino molto stretto ma ben accentuato, il fondale mi sembra anche compatto tastando col piombo! Bene qui ci finirà una pop up fruttata mentre con le altre canne provo ad allontanarmi un paio di metri dalla sponda, dai 2 ai 3 metri di profondità circa e innescando boilies più dure, composte con il mix white, pastoncino Red Devil e farina di tonno. Pasturo con le stesse sopra l’innesco senza esagerare mentre a ridosso della riva butto un po’ di Rift per sfamare carpette e gamberi e tentare di tenerle lontano dai miei terminali. Gli spot producevano carpe, ma non quelle che cercavo! Un cambio di strategia era essenziale ormai e anche se di poco qualcosa dovevo cambiare. In questi casi bisogna osare e avere il coraggio di cambiare i piani…magari col rischio di un cappotto…magari col rischio di fare il botto

Erano circa le 2.30 di notte, la canna centrale iniziò a sbippare. Per 3-4 volte mi vidi costretto ad uscire dalla tenda per controllare cosa succedeva finchè ,vedendo il cimino sussultare mi decisi di ferrare…ma a vuoto.

Senza perdermi d’animo tornai fuori con la barca e riportai l’innesco ad un paio di metri da quella punta di canneto, esattamente dov’era prima. Tornai in tenda e cercai di riaddormentarmi. Ma la centralina mi chiamò di nuovo, stessa storia di prima! Bip…bip…..bip…e

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ripensai a mio zio che mi raccontava di come, in una cava in cui pescava, le grosse erano solite partire dopo una lunga serie di questi bip fastidiosi. Bip…bip…bip…biiiiiiiiip! Neanche farlo apposta una partenza incredibile mi fece correre sul pod. Nico non aveva sentito niente quindi senza chiamarlo salii in barca e corsi verso il pesce che però si slamò! Maledicei tutto ciò che mi era possibile, soprattutto me stesso per la fretta di uscire da solo e commettere quegli errori che hanno fatto si che il pesce, sicuramente di taglia superiore alle altre, se ne andasse.

Pazienza, di nuovo fuori, calata, pasturata e branda! Ma il riposo durò poco perché passata una ventina di minuti un’altra partenza a razzo ci vide in mezzo al lago a combattere una reginotta di buona taglia…ma ancora non

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di quella taglia che cercavamo! Il fatto che il socio sia venuto ad aiutarmi mi ha permesso di mantenere una costante trazione del filo sul pesce ed evitare la slamata.

Nico e Daniele si erano certamente divertiti , totalizzando una buon numero di partenze con pesci di una taglia media sui 10 kg ma io non mi sentivo affatto soddisfatto.

L’alba dell’ultimo giorno mi vide senza nessuna cattura. Il piano era di dedicare un’ultima notte in una cavetta molto bella adiacente a questa. Iniziarono le operazione di smonto e trasferimento nell’altro spot, nel primo pomeriggio eravamo in pesca.

Al tramonto tornai nel primo spot di pesca per smontare la tenda che avevamo lasciato ancora li ad asciugare vista la pioggia presa i giorni prima.

Respiravo quella odiosa sensazione di quando finiscono le cose belle…di quando finisce una vacanza…mi resi conto che l’indomani sarei tornato alla realtà di tutti i giorni, ai pensieri che non se ne vanno e ai problemi della quotidianità. Il sole che incendiava il cielo non mi aiutava di certo ….rimasi qualche minuto ad osservare la cava. L ’acqua era un fuoco, piatta e

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tutt’attorno regnava un rumoroso silenzioso. Solo qualche uccello lanciava il suo canto nascosto tra gli alberi.

Con la tenda si chiudevano le speranze ,i sogni e le possibilità di catturare quel pesce da sogno. Bandiera bianca Leo, anche sta volta è andata male, per carità un bel po’ di pesci li ho fatti ma come dicevo prima, l’obiettivo era un altro! E per me equivale quasi ad un cappotto. Forse però è proprio questo lo stimolo che mi fa andare avanti! A non arrendermi e a non accontentarmi quando mi prefiggo un qualcosa.

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Abbiamo ancora una notte. Abbiamo un altro spot ricco di molte, grosse carpe. Non mi aspetto nulla…cerco solo di recuperare le energie per il viaggio di ritorno del giorno dopo.

Dalle 2.00 alle 2.30 circa registriamo 3 partenze. Due regine a guadino e una slamata…sono grosse…non le aspettavo…le cercavo nell’altra cava…son molto contento ma non soddisfatto!

Grazie Nico e Dani per i giorni passati assieme, mi hanno fatto bene!

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...... ci vediamo ad Agosto.