Music In n. 9 Primavera

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PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE A CURA DEL SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSIC Primavera 2009 L’uomo ha bisogno di misurare tutto il suo mondo per poterlo definire nel suo peso, nel suo spessore, nella sua importanza, e per poterlo facilmente paragonare ad altri oggetti omologhi e compilare le classifiche su tivvu- sorrisiecanzoni. Mi occupo di musica da più di ven- t’anni, ma solo recentemente ho compreso quali siano i vari gradi di percezione che il pubblico utilizza per definire un artista come un genio o squalificarlo come pezzente. Secondo una probabile futura indagine Istat, il 96 per cento degli italici - fra cui comprendiamo la maggior parte dei senatori - misura la statura di un personaggio, cantante, attore o musicista che dir si voglia, in base al successo: quindi Lori Del Santo ha più spessore di Arnold Schoenberg (nella foto). Da un certo punto di vista non posso che trovarmi d’accordo, anche se lo spessore cui penso poco inerisce al talento artistico. L’altro parametro è quello della monetizza- zione: se dalla tua occupazione ottieni un gua- dagno hai comunque vinto, il tuo pensiero merita di essere amplificato nel salotto di Raiuno e certamente varrà di più rispetto a quello del carrozziere da mille euro al mese. Quasi a riprendere un po’ il concetto calci- stico per il quale chi segna ha sempre ragione. Si tende pur- troppo a confondere l’arte con lo spettacolo, la cultura con gli indici di ascolto, una bella canzone con l’estratto conto Siae, a giudicare la passione di un pianista in base alla sua notorietà o la qualità di un chitarrista dai salti che fa sul palco. Johann Sebastian Bach ha definito la musica come l’arte che ci permette di non sentire dentro il silenzio che c’è fuori; magari ai suoi tempi sarà stato pure vero, ora però là fuori c’è un gran rumore. Con internet che ha reso possibile la libera e istantanea - ma non sempre proficua - circolazione delle idee, anche le più idiote; con il computer che consente a tutti di dire la propria, spesso senza alcuna cognizione o competenza; con la televisione che crea personaggi del tutto impreparati che la gente si beve; ma questo non è il bello della democrazia, è il turpe del dilettantismo. D’altronde ancora c’è chi definisce Carla Bruni una donna in gamba, ma se lo fosse stata davvero sarebbe diventata lei presidente di un Paese e non avrebbe dovuto sposarne uno per sedere in un’auto ministeriale; per non parlare poi di come canta. PARACADUTARIA di Giosetta Ciuffa Giovanni Allevi si è laureato in Filosofia con la tesi «Il vuoto nella Fisica contemporanea»; un suo omonimo, Giovanni, conosce bene il vuoto di un uomo in un corpo di donna (sempre fisica è). Lo interpreta un grande Roberto Herlitzka in Aria, film che lo stesso regista Valerio D’Annunzio definisce «un lancio senza paraca- dute». È proprio nell’aria che si lancia un paraca- dute, poi si sta in silenzio ad ascoltare suoni naturali e attendere l’impatto con la terra, morbi- do o duro, il confronto tra il sogno - quello fatto volando - e la veglia di chi non dorme mai. (...) LE MADRI DELLE FIDANZATE di Romina Ciuffa Confondiamo Opera ed operai tutte le volte in cui trattiamo i musi- cisti come salariati e, ciononostante, li pri- viamo di una dignità professionale. Succede perché le madri delle fidanzate li considerano «scansafatiche», perché le Scuole di musica non sono equiparate alle Università alla stregua dell’Accademia di Belle Arti (che un impervio percorso ha dovuto com- piere per dare un senso al «pezzo di carta»), perché il sindaco di Roma è anche presidente del Teatro dell’Opera di Roma, e perché il Fondo Unico dello Spettacolo è gestito sempre da politici che sono i genitori delle fidanzate. Io - quando il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi ha commissariato il Teatro capito- lino e nominato commissario straordinario, nella patria delle multiple cariche, il sindaco di Roma - nel dubbio ho sentito Federico Mollicone. (...) STEFANO MASTRUZZI EDITORE Periodico di informazione, attualità e cultura musicale a cura del Saint Louis College of Music CONTINUA NELLA PAGINA SOUNDTRACKING CONTINUA NELLA PAGINA JAZZ&BLUES CONTINUA NELLA PAGINA BEYOND Direttore ROMINA CIUFFA Direttore Responsabile SALVATORE MASTRUZZI Redazione Romina CIUFFA [email protected] Flavio FABBRI [email protected] Rossella GAUDENZI [email protected] Valentina GIOSA [email protected] Roberta MASTRUZZI [email protected] Corinna NICOLINI [email protected] Progetto grafico Romina CIUFFA Impaginazione Cristina MILITELLO Logo Caterina MONTI Redazione Via del Boschetto, 106 - 00184 Roma Tel 06.4544.3086 Fax 06.4544.3184 Mail [email protected] Marketing e Pubblicità Mail [email protected] Tipografia Ferpenta Editore Via Tiburtina Valeria, Km 18.300 Guidonia Montecelio - Roma Contributi Elisa Angelini, Lorenzo Bertini Nicola Cirillo, Giosetta Ciuffa Stefano Cuzzocrea, Cristina D’Eramo Alessandra Fabbretti, Gianluca Gentile Chiara Grimaldi, Adriano Mazzoletti Paolo Romano, Eugenio Vicedomini Livia Zanichelli Anno III n. 9 Primavera 2009 Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 349 del 20 luglio 2007 NORA, THE PIANO CAT JOAQUIN CORTES SHROEDER E LUCY BRONZO DI TIVOLI TOO LANDMARK PLAZA, ST . P AUL TI SI APRE UN PORTAL di Adriano Mazzoletti Pochi sanno - o meglio è ormai dimenticato - che il primo ad utilizzare il clarinetto basso nel jazz moderno è stato un italiano, Aurelio Ciarallo, clarinettista diplomato a Santa Cecilia. Una sera uscendo dal Conservatorio di Via dei Greci, passando da Via del Corso di fronte alla «Conchiglia» all’epoca sede del Jazz Club Roma, incuriosito dalla musica che ascoltava in lontananza entrò nell’ultima sala dove si stava svolgendo una jam session. Colpito da quella musica che non aveva mai udito prima, abban- donò Mozart per dedicarsi al jazz. (...) BALLET BALLET UN PESO E DUE MISURE LENNY KRAVITZ BEYOND BEYOND &further Stefano Mastruzzi CLASSICA MENTE P P O O P P C C K K pop&rock

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MUSIC IN n. 9PRIMAVERA 2009www.musicin.euwww.myspace.com/[email protected]: ROMINA CIUFFAEDITO DAL SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSICwww.slmc.itRubricheJazz&Blues Rossella GAUDENZIALTerNATIVE Valentina GIOSAPop&Rock Corinna NICOLINIBeyond Romina CIUFFAClassica-MENTE Flavio FABBRISoundTracking Roberta MASTRUZZIMusicALL Romina CIUFFABallet Rossella GAUDENZIFeedback Romina CIUFFACONTRIBUTI DI RUBRICANicola CirilloRedazione Via del Boschetto, 106 - 00184 RomaTel 06.4544.3086 Fax 06.4544.3184STEFANO MASTRUZZI EDITORE

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PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE A CURA DEL SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSIC

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L’uomo ha bisogno di misurare tutto il suo mondo perpoterlo definire nel suo peso, nel suo spessore, nella suaimportanza, e per poterlo facilmente paragonare ad altrioggetti omologhi e compilare le classifiche su tivvu-sorrisiecanzoni. Mi occupo di musica da più di ven-t’anni, ma solo recentemente ho compreso quali sianoi vari gradi di percezione che il pubblico utilizza perdefinire un artista come un genio o squalificarlocome pezzente.

Secondo una probabile futura indagine Istat, il96 per cento degli italici - fra cui comprendiamo lamaggior parte dei senatori - misura la statura di unpersonaggio, cantante, attore o musicista che dir sivoglia, in base al successo: quindi Lori Del Santo hapiù spessore di Arnold Schoenberg (nella foto). Da uncerto punto di vista non posso che trovarmi d’accordo,anche se lo spessore cui penso poco inerisce altalento artistico.

L’altro parametro è quello della monetizza-zione: se dalla tua occupazione ottieni un gua-dagno hai comunque vinto, il tuo pensiero merita diessere amplificato nel salotto di Raiuno e certamentevarrà di più rispetto a quello del carrozziere da milleeuro al mese. Quasi a riprendere un po’ il concetto calci-

stico per il quale chi segna ha sempre ragione. Si tende pur-troppo a confondere l’arte con lo spettacolo, la cultura con

gli indici di ascolto, una bella canzone con l’estrattoconto Siae, a giudicare la passione di un pianista inbase alla sua notorietà o la qualità di un chitarrista daisalti che fa sul palco.

Johann Sebastian Bach ha definito la musica comel’arte che ci permette di non sentire dentro il silenzioche c’è fuori; magari ai suoi tempi sarà stato purevero, ora però là fuori c’è un gran rumore. Coninternet che ha reso possibile la libera e istantanea -

ma non sempre proficua - circolazione delle idee,anche le più idiote; con il computer che consente a

tutti di dire la propria, spesso senza alcuna cognizioneo competenza; con la televisione che crea personaggi del

tutto impreparati che la gente si beve; ma questo non è ilbello della democrazia, è il turpe del dilettantismo.

D’altronde ancora c’è chi definisce Carla Bruni una donna ingamba, ma se lo fosse stata davvero sarebbe diventata lei

presidente di un Paese e non avrebbe dovuto sposarne unoper sedere in un’auto ministeriale; per non parlare poi dicome canta.

PARACADUTARIA

di Giosetta Ciuffa

Giovanni Allevi si è laureato in Filosofia conla tesi «Il vuoto nella Fisica contemporanea»; unsuo omonimo, Giovanni, conosce bene il vuotodi un uomo in un corpo di donna (sempre fisicaè). Lo interpreta un grande Roberto Herlitzkain Aria, film che lo stesso regista ValerioD’Annunzio definisce «un lancio senza paraca-dute». È proprio nell’aria che si lancia un paraca-dute, poi si sta in silenzio ad ascoltare suoninaturali e attendere l’impatto con la terra, morbi-do o duro, il confronto tra il sogno - quello fattovolando - e la veglia di chi non dorme mai. (...)

LE MADRI DELLEFIDANZATE

di Romina CiuffaConfondiamo Opera

ed operai tutte le voltein cui trattiamo i musi-cisti come salariati e,ciononostante, li pri-viamo di una dignitàprofessionale.

Succede perché lemadri delle fidanzateli considerano «scansafatiche», perché leScuole di musica non sono equiparate alleUniversità alla stregua dell’Accademia di BelleArti (che un impervio percorso ha dovuto com-piere per dare un senso al «pezzo di carta»),perché il sindaco di Roma è anche presidentedel Teatro dell’Opera di Roma, e perché ilFondo Unico dello Spettacolo è gestito sempreda politici che sono i genitori delle fidanzate.

Io - quando il ministro dei Beni CulturaliSandro Bondi ha commissariato il Teatro capito-lino e nominato commissario straordinario, nellapatria delle multiple cariche, il sindaco di Roma- nel dubbio ho sentito Federico Mollicone. (...)

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ContributiElisa Angelini, Lorenzo BertiniNicola Cirillo, Giosetta CiuffaStefano Cuzzocrea, Cristina D’EramoAlessandra Fabbretti, Gianluca GentileChiara Grimaldi, Adriano MazzolettiPaolo Romano, Eugenio VicedominiLivia Zanichelli

Anno III n. 9 Primavera 2009

Registrazione presso il Tribunale di Roman. 349 del 20 luglio 2007

NORA, THE PIANO CAT

JOAQUIN CORTES

SHROEDER E LUCYBRONZO DI TIVOLI TOO

LANDMARK PLAZA, ST. PAUL

TI SI APRE UN PORTAL

di Adriano Mazzoletti

Pochi sanno - o meglio è ormai dimenticato -che il primo ad utilizzare il clarinetto basso neljazz moderno è stato un italiano, AurelioCiarallo, clarinettista diplomato a Santa Cecilia.Una sera uscendo dal Conservatorio di Via deiGreci, passando da Via del Corso di fronte alla«Conchiglia» all’epoca sede del Jazz ClubRoma, incuriosito dalla musica che ascoltava inlontananza entrò nell’ultima sala dove si stavasvolgendo una jam session. Colpito da quellamusica che non aveva mai udito prima, abban-donò Mozart per dedicarsi al jazz. (...)

BALLETBALLET

UN PESO E DUE MISURE

LENNY KRAVITZ

BEYONDBEYOND&further

Stefano Mastruzzi

CLASSICAMENTE

PPOOPPCCKKpop&rock

RIVISTA primaveraNEW:Layout 1 24-04-2009 17:58 Pagina 1

Page 2: Music In n. 9 Primavera

a cura di ROSSELLA GAUDENZI

Music In �� Primavera 2009

MICHEL PORTAL Poliedrico, sceglie Brahms eStockhausen, Galliano e Fresu, libera improvvisa-zione ed Ellington. Tutti per uno (uno per tutti).

SESSION VOICES Cosa succede aproporre un po’ di Seeger-Springsteen?Coro femminile e recupero del folk

CAMILLERI-RAVA-RUBINI Un ellepi fanta-sma, l’uragano alle porte

JJAZZAZZ&&&& bbbblllluuuueeeessss

i sono quattro Muse quest’oggi sedutealla tavola rotonda delle Arti. C’è Clio,musa della Storia, incoro-

nata d’alloro; c’è Euterpe, musadella Musica, che si accompagnacon il flauto, ghirlande e fiori trai capelli; c’è Calliope, musadell’Eloquenza e della PoesiaEpica con stilo e tavoletta tra lemani, e c’è Melpomene, musadella Tragedia, che sorregge lamaschera tragica ed un pugnaleinsanguinato. Dialogano a bassavoce, hanno il difficile compitodi stabilire in quale modo e attra-verso quali artisti diffondere ipropri talenti.

Non impiegano poi molto tempo. Hannodeciso, e la scelta è caduta sul trombettistaEnrico Rava, sullo scrittore Andrea Camilleri esull’attore Sergio Rubini.

«Requiem per Chris», in scena all’AuditoriumParco della Musica il 24 aprile, è il risultato diun lavoro corale. Tratto da un soggetto ineditodi Andrea Camilleri, è stato inserito tra i proget-ti curati da Enrico Rava, che ha gestito per que-sta stagione la rassegna Carta Bianca.

Alla voce narrante di Rubini, affermato nomedel cinema italiano (pregevole attore-sceneggia-tore-regista non a caso scoperto da Fellini) siaffida la vicenda del trombettista ChrisLamartine, personaggio di fantasia morto suici-da in giovane età nel 1917. Si intrecciano passa-to remoto e passato recente, le origini e la storiadel jazz afro-americano alle vicende della Siciliafascista; si sovrappongono Palermo, Roma e laNew Orleans devastata dall’uragano Katrina.

Frammenti sospesi tra tempo e spazio, in bili-co tra la tromba di Enrico Rava e quella di ChrisLamartine.

Il trombettista italiano più celebre al mondoche ha collaborato con i grandi del jazz (da Jackde Johnette a Pat Metheny, da JohnAbercrombie a Richard Galliano, a Steve Lacy)con il suo spirito indomito e la sua immediatez-za dà linfa vitale e ritmo all’opera di Camilleri.Tragica, suggestiva e struggente.

Rossella Gaudenzi

Era il 1950. Immediatamente NunzioRotondo gli propose di entrare nel suo

gruppo e di utilizzare il clarinetto basso strumen-to fino allora assai poco impiegato nel jazz. SoloJelly Roll Morton in If Someone Would Love Me(1930) aveva previsto una parte scritta per questostrumento eseguita, forse, da Ernie Bullock.

Anche Harry Carney con Duke Ellington lo uti-lizzava soprattutto negli assieme orchestrali(Mood Indigo) assai raramente in assolo.

La prima volta che il clarinetto basso in sibe-molle venne utilizzato negli Stati Uniti, in unaincisione di jazz moderno, fu nell’aprile 1958quando a Los Angeles Eric Dolphy incise con ilQuintetto di Chico Hamilton. Ben cinque annidopo le incisioni di Rotondo, dove il suono delclarone di Aurelio Ciarallo, si amalgamava per-fettamente, nelle parti arrangiate, a quello dellatromba del leader e del sassofono di GinoMarinacci. Non so se furono le incisioni diCiarallo con Rotondo a destare l’interesse perquesto strumento oppure quelle di Eric Dolphy.

Sta di fatto che, quasi contemporaneamente,due musicisti europei - il francese di originebasca Michel Portal e il bergamasco GianluigiTrovesi - si dedicarono a questo strumento.

Il settantaquattrenne Portal è da tempo ilsolista di clarinetto basso più ammirato e sti-mato non solo nel mondo della musica improv-

visata, ma anche in quellodella musica classica con-temporanea.

Nella prima è ben nota lasua attività con musicistieuropei e americani, BernardLubat, Daniel Humair, JohnSurman, Richard Galliano,Paolo Fresu, Jack DeJohnette, Dave Liebman,Howard Johnson, SonnyMurray. Nella seconda è ilprediletto di grandi musicisticontemporanei che lo richie-dono per l’interpretazionedelle loro composizioni.

Difensore ad oltranza delfree e dell’incontro musicale

aperto, il suo gusto lo porta verso l’enfatizza-zione, che raggiunge spesso momenti di briocon un trascinante senso del ritmo ed altri digrande tragicità. A Portal va anche il merito diaver dato al jazz europeo una sua originalità,avulsa dall’imitazione del jazz originale.

È stato uno dei primi, inizialmente con ilNew Phonic Art, basato sulla improvvisazionecollettiva e, nel 1971 con il Michel Portal Unit,ad inserire nel linguaggio jazzistico elementidella cultura musicale europea, colta, masoprattutto popolare. Se vogliamo, Portal neljazz europeo è stato un caposcuola, ma è soprat-tutto un musicista colto con stile e sonorità stru-mentali assolutamente personali.

Le Muse scelgono Enrico Rava, Sergio Rubini eAndrea Camilleri per un requiem: il primo losuona, il secondo lo narra, il terzo lo scrive. È la storia di un suicida, le origini del jazz afro-americano, le vicende della Sicilia fascista.Poi Roma, Palermo e la New Orleans dell’uragano Katrina

Il recupero della tradizione folk statunitensepare essere operazione in voga nel corso

degli ultimi anni; dopo la nascita dei molti cen-tri di studio e ricerca nati qua e là nella «pan-cia» degli Usa, a partire dalle tante cittadine delTennessee intorno a Nashville (dove sorge il piùgrande museo di musica country e folk naziona-le), giù giù fino alla Louisiana (che è e resta ilbrodo primordiale della musica afroamericanaprima del big bang che ha prodotto la fortunata«diaspora» dei musicisti verso le coste e il cen-tro degli Stati Uniti).

Con operazione un po’ «furbacchiona» macommercialmente lungimirante, come pure èavvezzo, è stato il Boss Springsteen a intuire lepotenzialità di questo recupero e allontanatolosubito da ogni rischio di erudizione e di alam-bicco filologico s’èimpossessato dellamusica di Pete Seeger eha registrato un album(molto bello a dire laverità), con tanti branidi uno dei padri nobilidel folk bianco, riar-rangiati a puntino es t r a tos fe r i camen teenergici e vitali.

Dev’essere questo,forse, il contesto che hamosso Laura Montanarie le sue complici a pro-vare a verificare cosapoteva succedere a pro-porre un po’ di Seeger-Springsteen (perchéquanto il secondo abbiamediato nella sensibili-tà delle ragazze è evi-dente) in formatogospel.

E così le SessionVoices hanno iniziato acantare brani meravigliosi da Oh Mary don’tyou weep, fino a Jacob’s ladder e ancora JohnHenry. E già la contaminazione è servita: corofemminile bianco, recupera la tradizione folkamericana nella forma nera del gospel. E da lì,le sette «voices» hanno iniziato ad arrangiare ecantare un vasto repertorio di musica tradizio-nale spiritual, soul e blues.

E la ricetta funziona! A dispetto di una qual-che perplessità con la quale pure avevo approc-ciato l’iniziativa (confesso e abiuro). Funzionaperché le Session Voices trasmettono una caricaed una effervescenza davvero notevoli con leloro performance dal vivo e funziona perché

dietro ognuna di loro (ma non trascuriamo l’im-portante apporto della chitarra e della batteria)c’è una brava solista e musicista, capace di farbrillare le canzoni con arrangiamenti solidi ericchi di tessiture intriganti.

La tradizione musicale cui il gruppo fa riferi-mento è trattata con grande sensibilità, frutto diautentica passione di conoscenza, e trova riferi-menti sicuri nelle signore in nero del blues e deljazz (da Bessie Smith, ad Ella Fitzgerald fino aCarmen Mac Rae), nei moderni stilemi dei Take6 e anche nelle riletture del Vocalese deiManhattan Transfer.

Ma soprattutto è l’entusiasmo contagioso chesanno trasmettere a fare da stella cometa perentrare in contatto con il pianeta delle SV, chefanno della musica popolare, folk in senso

pieno e autentico, il luogo eletto per celebrare lamusica e i suoi simboli.

Molti i progetti in cantiere e molte le date liveper poterle ascoltare (entrambi disponibili sulloro myspace virtuale) e che già le hanno porta-te lo scorso luglio al prestigioso e oramai ultra-decennale Varese Gospel Fest. Insomma, cisono tutte le premesse per dare una buona noti-zia alla musica italiana, mentre può legittima-mente crescere la curiosità per l’avvio di unaproduzione originale di brani che - garantisco-no le SV - è in via di realizzazione.

Paolo Romano

ALAMBICCO GOSPELDal Tennessee allontanato ogni rischio di erudizione e di alambicco filologico

(...)

�� CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA di ADRIANO MAZZOLETTI

TI SI APRE UN PORTAL

C

LE MUSERACCOLTE

RIVISTA primavera.QXP 22-04-2009 13:49 Pagina 2

Page 3: Music In n. 9 Primavera

MARIA PIA DE VITO Non esiste una voce, ma «le»voci. Non esiste una personalità, ma «le» personalità.

JUDY NIEMACK Una californiana che è un tributo alla notte, a7 anni cantava nelle chiese, il suo jazz «twists, turns, scats, leapsand bounds» con grazia olimpionica

Music In � Primavera 2009 JAZZJAZZ&& bblluueess

P otremmo definirla Maria Pia la pasionaria, volendo osare e puntare il tutto e per tutto sullasua forte personalità innovatrice, «rivoluzionaria» appunto. La celebre cantante, compositri-

ce ed arrangiatrice partenopea che il mondo della musica jazz segue con interesse e stima da oltretrent’anni è una delle perle nostrane che all’estero tanto ci invidiano – il suo nome è stato inseritodalle più celebri firme del giornalismo musicale americano nella prestigiosa categoria Beyond Artistdel Down Beat Critics Poll 2001 accanto ad artisti come Caetano Veloso, Joni Mitchell, CesariaEvora…–. Ha iniziato l’attività concertistica a metà anni Settanta come cantante e strumentista,accompagnandosi con percussioni e piano e concentrando l’attenzione sulla musica etnica, in par-ticolar modo mediterranea e balcanica. Poco dopo viene rapita dalla scena jazzistica, collezionan-do collaborazioni importantissime: da Kenny Wheeler a John Taylor; da Joe Zawinul a MichaelBrecker; da Dave Liebman a Steve Turre, a Paolo Fresu, a Giorgio Gaslini, a Rita Marcotulli, percitarne alcuni.

La sua ultima opera discografica è Dialektos (per l’etichetta Parco della Musica/Egea, 2008),disco nato dall’incontro tra la sua vocalità ricca di sfumature e le note pianistiche dell’inglese HuwWarren: è lo scambio di due menti creative, versatili, fantasiose e raffinate che hanno saputo tro-varsi in un progetto volto a sperimentare le molteplici possibilità della voce insieme ad innovazio-ni pianistiche.

La vita artistica di Maria Pia De Vito si scinde tra registrazioni, concerti ed insegnamento. Ladimensione della didattica rappresenta un momento di particolare rilievo, vitale e necessario. Per ilsecondo anno consecutivo Maria Pia tiene presso il Saint Louis College of Music un Corso diPerfezionamento di Canto Jazz con cadenza mensile, ogni incontro della durata di oltre sei ore,seguito con altissimo interesse da allievi provenienti dalle regioni più diverse.Così racconta la propria formazione.

Sono totalmente autodidatta, sul versante jazzistico. Anche se poi non si impara mai del tutto dasoli, quando si è insieme ad altri musicisti. Il pianoforte è stato il mio strumento guida, mi sono cir-condata di libri e libri di piano e armonia; tutto ciò al fine di sviluppare la mia vena compositiva.Napoli, la mia città, è un focolaio di talenti, lì non mancano mai, è stato un ambiente sempre moltostimolante.Il passaggio da Napoli a Roma avviene quando Maria Pia ha ventisei anni, e già possiedeun’esperienza di insegnamento.

Avevo ventun anni quando ho iniziato a insegnare tecnica di canto, risiedevo ancora a Napoli.

L’insegnamento del canto jazzè arrivato dopo tre o quattroanni. La didattica è stata perme una fonte di lavoro e disostentamento vera e propria.

L’insegnamento mi garanti-va da vivere e non solo, mi hadato la possibilità di fare lescelte per ciò che amavo.Dopo una lunga fase di inse-gnamento del canto jazz,ormai in pianta stabile a Roma, è arrivato un momento molto significativo: dal ‘90 ho iniziato a pren-dere parte ai seminari del Nuoro Jazz Festival. Il seminario rappresenta la forma di insegnamento ame più congeniale, entro un contesto importantissimo. Quei dieci giorni annui trascorsi con allievi ealtri musicisti danno vita ad uno scambio, ad un laboratorio creativo.

Questa è la mia vena di didatta, l’essere una motivatrice. Mi considero in primis una concertista,e ciò che è per me importante trasmettere è un’esperienza, un metodo. Nessuno mi deve riprodurre,nessuno mi deve somigliare. Non esiste una voce, ma «le» voci, non una personalità, ma «le» perso-nalità… Certamente tutto si impara per imitazione, ma per trovare poi «le proprie cose». Ecco cheallora il mio diventa un lavoro di formazione dell’artista.C’è stato anche un periodo di assenza dalla didattica; dal ‘95 ha poi smesso di insegnare pri-vatamente, l’incremento dell’attività di concertista le ha imposto delle scelte. Credendo fer-mamente nella necessità di continuità e di costanza per apprendere, ha deciso di lavorare conallievi già indipendenti.

Accolgo con maggiore entusiasmo le richieste di livello avanzato. Cerco di far misurare gli allievicon l’armonia, con la trascrizione degli assoli. Non creo le fondamenta, ma vado ad operare laddo-ve c’è già un livello intuitivo, psicologico, emotivo. Una volta che si dà per scontato che ci siano A,B, C e D, ossia il «cosa», si passa al «come».

Da tutto ciò io traggo un arricchimento pazzesco. Toccare con mano il talento dei miei studenti ècommovente: mi sento utile, ho davvero costruito qualcosa. Incontrarli a distanza di tempo e consta-tare la loro crescita… Ciò che ho dato torna indietro decuplicato.

MARIA PIA DE VITO: LA MOTIVATRICE di Rossella Gaudenzi

Ho avuto il piacere di incontrare Judy alJazz Institute di Berlino dove è responsa-

bile del corso di canto jazz. L’appuntamento eraprevisto nella grande sala d’attesa di questopunto di riferimento per i giovani e aspirantimusicisti tedeschi. In sottofondo note di piano,melodie di sax, una voce lontana che intona laspensierata Beautiful Love. Ecco che arriva:capelli rossi, sorriso smagliante e una bellezzatipica delle vecchie attrici di Hollywood. Unacarriera luminosa e tante le soddisfazioni. Iniziaa girare l’Europa con il gruppo Pipedreams e daquel momento non si è più fermata. Collaboracon David Byrne, George Benson, Lee Konitz,Dave Brubeck, Cedar Walton, Kenny Werner,Joe Lovano, Eddie Gomez, inciso nove dischi,pubblicato metodi di canto.

Una voce che racchiude innocenza e universa-lità. Attualmente Judy Niemack vive fra Berlinoe New York dove sta ultimando il suo nuovolibro All Kinds of Blues: The Jazz/ Pop vocalist’sguide to improvising e sta lavorando al suonuovo disco In the Sundance, album che si pre-annuncia fresco ed estivo e che fra le cover con-tiene anche il brano italiano Estate.

Com’è nata la tua passione per il jazz?Sono arrivata al jazz dopo aver esplorato la

musica classica, il folk e il rock.

Quando hai capito che volevi fare della tuavoce il tuo lavoro?

All’età di 17 anni. Ho cominciato a studiarecon un insegnante della mia città, Pasadena,California. Si chiamava Primo Lino Puccinelli,era un cantante d’Opera giunto in Americadall’Italia durante la seconda guerra mondiale.Lui mi ha insegnato il metodo del Belcanto.Faceva anche del buon vino che ogni tanto mifaceva assaggiare dopo la lezione. È stato uninsegnante favoloso.So che una delle tue prime esibizioni interna-zionali è stata quella del Pisa Jazz Festival…

Si, viaggiavo con un clarinettista free-jazz,Perry Robinson, un chitarrista e un altrovocalist. Il gruppo si chiamava Pipedreams. Èstata una meravigliosa esperienza, a trattisurreale per me. Non capivo una sola paroladi italiano e mi sentivo come in un film... maho trascorso delle giornate bellissime e lagente era stupenda.Hai collaborato con David Byrne, GeorgeBenson, Lee Konitz, Eddie Gomez, tanto pernominarne qualcuno. Qual’è statal’esperienza per te più memorabile?

Quando ho cantato con George Benson inFinlandia al Pori Jazz Festival. Mentre stavoeseguendo Moody’s Mood For Love, George èspuntato all’improvviso sul palco suonando lachitarra e cantando insieme a me. È stato moltodivertente.

E poi suonare con Eddie Gomez al basso èsempre emozionante. È un vero maestro di into-nazione, suono e groove. Durante una sessiondi registrazione di About Time (Sony Jazz),Eddie si stava preparando per andare via ma iltaxi tardava trenta minuti. Allora mi ha chiesto:«C’è qualcos’altro che vuoi fare?».

Mio marito, Jeanfrançois Prins, che ha pro-dotto e suonato la chitarra del disco voleva pro-vare un’altra canzone Time Remembered, cheEddie aveva originariamente registrato con BillEvans. E Eddie: «Certo, proviamola!». Ed ecco

che in una sola prova è venuta fuori la versionedefinitiva perfetta!Come definiresti la tua voce in tre parole?

Bellezza, colore, espressione. Queste sono lemie priorità.Qual è il brano che avresti voluto scrivere?

The Cost of Living di Don GrolnickC’è qualche artista con cui ti piacerebbe colla-borare?

Si, ho intenzione di collaborare con GilGoldstein per il mio prossimo progetto a mi pia-cerebbe inoltre lavorare con Til Brönner, CurtisSteiger e Simone Zanchini.Ti piace solo il jazz o ascolti anche altro? Neltuo disco Blue Nights c’è per esempioun’emozionante versione di Blue di JoniMitchell e fra i tuoi riarrangiamenti compaio-no anche brani di Stevie Wonder, Sting,Beatles e Cindy Lauper…

Ascolto tantissimi tipi di musica, per esempiocantanti e cantautori come Steely Dan, Bjork,Paul Simon e Jacques Brel. Sono affascinatainoltre dalla musica indiana.

Ho un progetto con una cantante classicaindiana di Mumbai, Sangeeta Bandyopadhyay esto inoltre scrivendo i testi di pezzi strumentali dicompositori classici.Credi che sia cambiata la scena jazz negli ulti-mi anni?

Certo. A causa di internet e della proliferazio-ne delle scuole di jazz c’è una maggiore consa-pevolezza della musica jazz. Perciò ci sono piùmusicisti e più cantanti jazz. Ora abbiamo solobisogno di più pubblico!Cosa pensi della scena jazz italiana?

Visto che vivo tra Berlino e New York e insegnoogni due settimane in Spagna, non ho una gran-de conoscenza della scena jazz italiana. Però cisono stata spesso e so che c’è una scena jazzmolto forte. Ho inoltre cantato con meravigliosimusicisti come Claudio Fasoli, Dado Moroni eSimone Zanchini. Maria Pia De Vito e RobertaGambarini sono molto diverse ma entrambe delle

vocalist eccezionali. Inoltre mi piace molto ascol-tare Enrico Pieranunzi al piano.Oltre ad essere una vocalist sei ancheun’ottima insegnante. Dove insegni attual-mente?

Sono responsabile del corso di Vocal Jazz alJazz Institute di Berlino e al MusikeneConservatory a San Sebastian, Spagna. Mi piacemolto lavorare con i cantanti e aiutarli a trovarela propria strada.So che da poco dai anche lezioni via internet…

Si, sul mio sito (www.judyniemack.com) è pos-sibile prendere delle audiolezioni da me ad unacifra molto limitata tramite ArtistShare, il sitocreato da Maria Schneider. Ci sono lezioni diimprovvisazione e di fraseggio.Hai scritto anche dei metodi…

Si, ho scritto due metodi: Hear It and Sing It!Exploring Modal Jazz (Second Floor Music), unbook/cd molto utile per l’improvvisazione dovegli allievi sono invitati a ripetere frasi e patternscostruiti sui sette modi della scala maggiore.Vocal Jazz Standards, (Hal Leonard) è stato rea-lizzato lo scorso anno e riporta le melodie e isolo di dieci fra gli standard jazz più conosciutiche lo studente può imparare ad orecchio e conla trascrizione.A cosa stai lavorando ora?

Sto ultimando il mio nuovo libro All Kinds ofBlues: The Jazz/ Pop vocalist’s guide to improvi-sing e mixando il mio prossimo cd, In theSundance, che ho registrato a New York lo scor-so anno. Include anche una canzone italianaresa famosa da Chet Baker, Estate e riarrangia-menti di How About You?, Summertime e alcunibrani originali.

Sono molto soddisfatta di questo cd. È ricco dienergia positiva ed è molto estivo!Dove suonerai nei prossimi mesi? Verraianche in Italia?

Ho alcuni concerti in Germania, Spagna eNew York ma non in Italia. Mi piacerebbe davve-ro venirci presto.

JUDY NIEMACKAUDIOLEZIONI DA BERLINO a cura di Valentina Giosa

RIVISTA primaverap3-11.QXP:Layout 1 22-04-2009 15:04 Pagina 3

Page 4: Music In n. 9 Primavera

a cura di CORINNA NICOLINI DEPECHE MODE Altro che modaveloce: sono 29 anni di seminale carriera.

BOB DYLAN Sapevo bene quandomi sono dedicato alla musica folk chesi trattava di una cosa molto più seria

LADIFFERENZAMusica è la cosapiù bella che un avvocato sa fare.

Music In �� Primavera 2009PPPPOOOOPPPPCCCCKKKKpop&rock

ltro che moda veloce. Il loro nome di bat-tesimo sembra dare un tocco scaramanti-

co ad una longeva e seminale carriera: sono 29anni che i Depeche Mode smuovono le masse.Non farà eccezione la folla che si lascerà cattura-re dalla quintessenza dell’electro-pop, per l’en-nesima volta, il 16 giugno allo Stadio Olimpicodi Roma. Il tour si preannuncia lunghissimo,anche se sono in agenda solo due show italiani.Il loro Tour of Universe 2009, già dal titolo è unviaggio, e sbarca prima in Europa, poi inAmerica del Nord e in quella del Sud. «Si chia-ma Tour dell’Universo–ironizza DavidGahan–perché l’esercito americano ci ha assi-curato che c’è vita su altri pianeti, e così noisaremo i primi. Non vogliamo suonare in Paesidove c’è la guerra–aggiunge Fletcher–ma nonconsideriamo Israele un Paese in guerra per-manente e quindi vogliamo ritornarci».

Questa serie di show porterà sui palchi ilsuono di Sounds Of The Universe e segna lareunion tra i Depeche Mode e Ben Hillier, cheaveva già prodotto Playing The Angel, il loroalbum del 2005.

Eclettico ed energico, il dodicesimo albumdella band é stato registrato tra Santa Barbara eNew York, e arriva nei negozi di dischi ad apri-le. Parlare di uno spirito di fondo vintage sem-bra essere un paradosso. La band, seminale perun’infinità di fermenti sonori, porta tra le pro-prie note iniziali, avvertite nel 1980, un prima-to: quello di aver stimolato e fecondato latechno di Detroit, ovvero di essere stata, assie-me ai Kraftwerk, la prima realtà musicale occi-dentale ad aver ispirato un genere afroamerica-no, divenuto tra l’altro la chiave di volta delsound che fa vibrare il presente a suon di loopda due decenni. Unici.

Tra l’altro Sounds of the universe continua apercorrere le innovazioni d’equipe inauguratenell’assetto compositivo nel passato più recente.È solo nel 2005, dopo 25 anni dal loro esordioe 50 milioni di dischi venduti, che i DepecheMode al completo entrano in studio di registra-zione e ne escono con il singolo Precious e conl’album Playing The Angel.

E poi, una nuova particolarità: per la primavolta Dave Gahan è coinvolto nella scrittura. Eanche questa volta Gahan firma alcune canzoni,prendendo comunque le dovute distanze daimeriti principali: «Quando sei in una band devisperimentare, mettere in gioco le tue idee, senzapreservarle. Martin ha fatto un lavoro incredi-bile, aiutandomi anche a vestire le canzoni.Non posso paragonarmi a lui, anche solo per laquantità delle canzoni che scrive. Diciamo cheadesso mi sento come un giocatore che non è

più in tribuna, ma in panchina e può giocare 10minuti a partita». Lui, del resto, pur essendoarrivato più tardi degli altri all’interno del com-plesso, gli ha fornito unsemi della lineup vengono, infatti, gettati aBasildon, Essex, nel lontano 1976, quando iltastierista Vince Clarke e Andrew Fletcher for-mano i No Romance in China, duo che non duraa lungo ma che sfocia, nel 1979, prima neiFrench Look e poi nei Composition of Sound,dei quali fa parte anche il chitarrista e tastieristaMartin Gore.

Il moniker definitivo viene assunto solo nel1980, appunto quando Dave Gahan diventa ilcantante ufficiale della band; fino a quelmomento era stato Clarke a cantare, ma è con latonalità di Dave che la band assume una strut-tura stabile. Speak And Spell, il disco di debut-to, è subito un successo, ma la dipartita dell’ir-requieto Clarke sembra minare la stabilità dellaband. Ma Some Great Reward del 1984 con-quista Usa e Europa.

Il termine contemporanei, per loro, sembraessere riduttivo. Infilando in un lettore unoqualsiasi dei loro album, e premendo il tastoplay, si avverte un’attitudine a non invecchiare.Complice un certo, modaiolo, ritorno in augedel sound anni 80, certo, ma anche la minuzio-sa tendenza dei Depeche a sperimentare, adosare e ad avanzare a colpi di elettronica.Sounds of the universe è un disco semplice,almeno nella realizzazione. «Mentre Dave face-va il suo secondo album solista, Martin scrive-va canzoni», spiega Fletch. «ci siamo trovatil’anno scorso, e abbiamo iniziato a registrare».

Le loro nuove ed ultime tracce incrocianopassato e presente. «È un album quasi vinta-ge–chiarisce Martin–realizzato con strumentiantichi come sintetizzatori di prima generazio-ne, drum machine, chitarre e pedali che hoacquistato su ebay e sono arrivati in studioogni giorno, nei mesi scorsi, in grandi pacchi».La tendenza, però, è quella di rimarcare i propritratti somatici: «Qualsiasi cosa facciamo, perquanto proviamo a mutare, suoniamo semprecome noi stessi».

Del resto la loro tempra è forte, ha genera-to un carattere che ha saputo riscrivere la storiadella musica mondiale e ha dominato le scenee le nicchie degli ultimi 30 anni. «La voce diDave è inconfondibile, per esempio. Ma cipiace pensare che suoniamo contemporanei,che andiamo avanti».

Il resto è storia recente che accomuna piùgenerazioni. Pop ancora moderno e sempre digran moda.

Stefano Cuzzocrea

L’ESERCITO

AMERICANO

RASSICURAHo imparato più dalle canzoni che daqualsiasi altra entità. Le canzoni sono ilmio lessico. Io credo nelle canzoni.Sapevo bene, quando mi sono dedicato

alla musica folk, che si trattava di una cosamolto più seria. Le canzoni folk sono colme didisperazione, di tristezza, di trionfo, di fede nelsovrannaturale, tutti sentimenti molto più pro-fondi. [...] C’è più vita reale in una sola frase diqueste canzoni di quanta ce ne fosse in tutti itemi del rock’n’roll. Io avevo bisogno di quellamusica.»

Menestrello, cantore, oracolo, profeta, tradito-re, Bob Dylan regala (il 17 aprile) quel folk alPalalottomatica. Più diquarant’anni di carriera e uncontinuo sfuggire alle defi-nizioni e agli stereotipi,quasi una costante contrad-dizione delle infinite aspet-tative legate indissolubil-mente al suo nome.L’America e gli anniSessanta. La riscoperta delfolk e del blues tradizionalisi iscrivono in un quadrogenerale in cui tra le vie delGreenwich Village si discu-te del movimento per i dirit-ti civili e nei locali ognunopuò salire sul palco e canta-re con la propria chitarra.

Appassionato instancabi-le di Woody Guthrie,Robert Allen Zimmerman,in arte Bob Dylan comincia a suonare nei clubdella grande mela, poco meno che ventenne, conchitarra e armonica; le armi di battaglia che loaccompagneranno sin dal primo disco omonimo(1962), passando per The Freewheelin’ (1963) eThe Times They are a-changing (1964) tra lan-guide ballate folk, canzoni d’amore, di attualità,ironia e talking blues surreali.

Partecipe, tra gli altri eventi, alla marcia suWashington in cui Martin Luther King pronunciòil suo famoso discorso «I have a dream», Dylane la sua musica sono spesso stati innalzati aicone e simboli del movimento folk per i diritticivili. Le pressioni dell’opinione pubblicaaumentano nel 1965, l’anno della svolta elettri-ca con Bringing it all back home e il seguentetour accompagnato per la prima volta da unaband al completo. Fan e soprattutto sostenitoridel movimento folk rimangono scandalizzati.

Emblematico quel concerto al Newport FolkFestival dove Dylan, fischiato, lasciò il palco

Giuda! gli gridavano. Mail cammino dell’arte e delle sensazioni proseguea prescindere da tutto. Dylan percorre gli inter-minabili chilometri di quella Highway 61 tra icampi assolati che separano il Minnesota daNew Orleans, cullato dal caldo sound dei bluesdel delta del Mississippi, per poi spostarsi aNashville e dare vita al capolavoro Blonde onBlonde. Poi buio. Quell’incidente con la suamotocicletta quasi gli costa la pelle ma gli offre

l’occasione di scappare dalle opprimenti pres-sioni che lo ossessionavano, e scappa a rifugiar-si in un periodo di isolamento lungo 18 mesi.

Nei successivi anni 70 dovette subire diverseaccuse e critiche, complice quel Self Portraittanto bistrattato e odiato dalla critica. Nel ‘73 sitorna on the road e le canzoni che man manoprendono forma nel suo bloc notes rosso neiritagli di tempo, diventano Blood on the Tracks(1975), considerato uno dei suoi migliori albumdi sempre. Il tour con la incredibile RollingThunder Revue, collettivo di artisti itineranti,musicisti e non, tra cui Allen Ginsberg, è unadelle esperienze più profonde e significative vis-

sute da Dylan. La fine deiSeventies significa rinascitacristiana e si porta dietro,oltre che un aspro dibattitotra fans e critica, una serie dialbum, Slow Train Coming(1979) su tutti, in cui si fapiù forte il simbolismo reli-gioso delle liriche ma senzamodificare il suo tempera-mento iconoclasta.

L’andamento negli anni80 è molto altalenante e pro-babilmente l’unico baglioreè rappresentato da Infields(1983). D’obbligo per unocome lui è la partecipazioneal progetto di We are theworld con conseguente LiveAid e nel 1988 inizia quelloche ancora oggi è il suo

«Neverending Tour».Quando entra nella Rock ‘n Roll Hall of

Fame, Bruce Springsteen afferma: «Suonavacome qualcuno che avesse aperto a calci laporta della tua mente. [...] Sapevo di star ascol-tando la voce più forte che avessi mai sentito.»Me è solo l’inizio di una sfilza interminabile diriconoscimenti internazionali, grammy e laureead honorem che lo vedono protagonista per tuttigli anni 90 e il nuovo millennio e che culmine-ranno con l’Oscar per Things Have Changed,nel film Wonder Boys fino al 2006 e al grandesuccesso dell’ultimo Modern Times.

Con 40 anni di carriera alle spalle e collabora-zioni con i più grandi della musica di tutti itempi (Tom Petty, Joan Baez, George Harrison,Johnny Cash, Eric Clapton, Neil Young, VanMorrison solo per fare qualche nome), cantauto-re ma anche scrittore, pittore, attore e condutto-re radiofonico, Bob Dylan è sicuramente tra lefigure artistiche più importanti e significative ditutti i tempi. Parole e melodie di brani qualiBlowing in the Wind, Knockin on Heaven’sDoor, Like a Rolling Stone, Mr. TambourineMan, Just like a Woman sono scritte indelebil-mente nei cuori di nuove e vecchie generazionie continueranno ad accompagnarci, trasportatedal soffio del vento, per le strade che ognuno dinoi dovrà percorrere prima di poter bussare alleporte del paradiso.

Gianluca Gentile

GIUDA!

a

CI SONO I DEPECHE MODE SU ALTRI PIANETI

«

GGGG razie a Che farò, nel 2005, la Differenzasi è imposta tra le giovani band italiane

consacrando un successo radiofonico confer-mato dalla loro presenza, per svariati mesi,nelle classifiche dei singoli più venduti.

Dopo una significativa esperienza liveall’estero, eccoli tornati con un nuovo lavoro, inuscita nei negozi a maggio. Fabio Falcone ciparla di 3, e non solo.

Il vostro nuovo cd: comesi pone rispetto agli altri,c’è un senso di continui-tà, di crescita, o è unpunto di arrivo?

Semmai siamo giunti aun punto di «non ritorno»;la nostra musica continuaad evolversi insieme a noi.Ci rappresenta, ci contienee ci sfugge. Il nuovo albumè ricco e variegato.Energico nei brani veloci,intenso nelle ballad, che

secondo me sono le più belle che abbiamo maiscritto. Il sound, quello de La Differenza ma conpiù chitarre elettriche e ritmiche serrate. La miavoce, finalmente senza compromessi.Quanto vi hanno contaminato le vostrenumerose esperienze all’estero?

L’estero ci ha resi liberi di suonare la musicache volevamo. È stata una sorta di fuga per puri-ficarci. Qui in Italia eravamo ingabbiati in una

serie di limiti strutturali e secondo me anche cul-turali che ci stavano distruggendo. In Europa epoi in Thailandia ci siamo completati e siamovenuti a contatto con musica totalmente diversadalla nostra che ci ha fatto crescere, questo giàda Un posto tranquillo ma con 3 ancora di più.Alla domanda «che musica ti piace», in moltirispondono: tutta» Tu cosa ne pensi?

Anni fa avrei saputo rispondere a questadomanda. In questo preciso momento no. Oggi iltutto e il niente si accavallano e si intreccianorendendo pericolosa la fruizione moderna, tec-nologica della musica. C’è troppa offerta, trop-pa musica in circolazione, molta della quale sca-dente.

Penso che la cosa migliore da fare sia tornaread affezionarsi a quei cinque album che ascolta-vi quando eri adolescente e conoscevi a memo-ria, persino nelle pause tra una traccia e l’altra.

La grande musica classica, Chopin,Mozart, l’opera di Puccini: pensi che ci siauna «sottile linea rossa» che la unisce con lamusica di oggi?

C’è un collegamento, per forza! Basta ascolta-re le grandi opere di artisti come Bach o Mozartper scoprire che gran parte della musica moder-na proviene da lì. In un’opera di Bach ci troviuna decina di canzoni pop, è incredibile. Ognibuon musicista dovrebbe studiare questi artistiimmortali per completarsi.Sei un avvocato: l’amore per la musica el’amore per il diritto. Ti va di parlarcene?

Con gli anni mi sono accorto che se non faces-si l’avvocato, probabilmente, avrei smesso anchedi fare musica. Il cosiddetto «lavoro serio» mi hasalvato, mi ha reso libero e più consapevoledello spazio e del tempo intorno a me.

Oggi è difficilissimo vivere di sola musica,cosa che magari qualche anno fa era ancorapossibile. E poi, da quando gestisco tutta la con-trattualistica de La Differenza, le cose giranomeglio.Fabio, che farai da domani?

Comincio a scrivere le canzoni per il nuovoalbum… è ancora la cosa più bella che so fare.

LA MUSICA CHE FA LA DIFFERENZA a cura di Chiara Grimaldi

Le canzoni folk sono disperazione e trionfo

RIVISTA primavera.QXP 22-04-2009 13:50 Pagina 4

'

"solo dopo" tre canzoni.

« .

impronta decisiva. I

Page 5: Music In n. 9 Primavera

VINICIO CAPOSSELA La terra si spezza in due inIrpinia, strade chiassose, un terremoto e molto randagismomusicale. Il risultato? Una specie di abbuffata secolare GIORGIA Scioccamente in tour

LENNY KRAVITZ Dopotutto questo rock, altro rock

Music In � Primavera 2009 PPOOPPCCKKpop&rock

Torna il Romeo blu coi suoi vent’annidi carriera sulle spalle. Vent’anni in cui,a partire dal 1989 e da quel Let LoveRule, Lenny Kravitz ha dimostratocosa voglia dire suonare rock contami-nato dalla black music ed essere tra imigliori a farlo.

Vent’anni e 9 album, una serie infini-ta di grammy vinti per i suoi singoli digrande successo e la stima a livellointernazionale da parte di critica e arti-sti. Quegli stessi artisti coi quali haavviato sempre interessanti collabora-zioni come mucisista, produttore ecompositore e che rispondono ai nomidi Guns ‘n Roses, Michael Jackson,Puff Diddy, Jay Z, N.E.R.D., Lennon,Aerosmith, Alicia Keys e soprattuttoMadonna. La signora Ciccone gli aprele porte del successo nel 1990 cove-rizzando la sua Justify My Love stando-gli vicino proprio nel periodo in cuistava divorziando dalla moglie LisaBonet.

Polistrumentista e grande appassio-nato di funk, soul, black music, maanche di jazz, pop, reggae, elettronica,Lenny Kravitz è diventato negli anniuno degli artisti più eclettici attualmen-te esistenti. Ma è sul palco che si sca-tena tutta la sua energia devastante.

Forte del successo mondiale di TimeFor a Love Revolution (2008), mistoviscerale di rock classico anni 60 e70, Kravitz ha posticipato il tour causaricovero in ospedale per problemi disalute. Ma si è rimesso e il 5 giugnosarà a Roma a riempire di rock ilPalalottomatica.

Gianluca Gentile

R ullino i tambu-ri, squillino le

trombe, venghinosignori, venghino!

Ecco VinicioCapossela al TeatroSistina, un mago e ilsuo circo errante sullavita e la sua magia.Un lungo viaggio cheVinicio comincia inGermania 44 anni fa,passando per l’Italia,l’Irpinia, sua terrad’origine - qualcosache oggi più che ierifa pensare a un terre-moto - per approdarenel nuovo mondo, trale sconfinate strade diNew York, e tornarein Italia.

Viaggio infinito einterminabile che si

porta dietro come simbolici souvenir i suoni, le atmosfere, le culture,sapori perduti e suggestioni aliene. Le contaminazioni tra canzone italia-na, mambo, swing, jazz, tango, twist, marce e ballate, filastrocche, polke,ninnananne e gli incredibili strumenti magici e sognanti, al limite dell’im-

maginazione e dell’esistenza. «I suoni fanno da sfondo al mio mondo immaginario. Un mondo pieno

di guai, affollato di guitti stralunati, strade chiassose e vecchie macchi-ne». Sentimento, poesia, humor, attitudine teatrale.

Quello di Capossela è un randagismo musicale che si nutre di visioni epersonaggi surreali.

Tra i blues deliranti alla Tom Waits e il mood jazzistico intriso di popo-larità alla Paolo Conte, tra divertissment esotico e riscoperta delle proprieradici popolari antiche, tra le mille suggestioni letterarie e teatrali, traGeofrey Chaucer, John Fante, Celine, Wilde e Brecht, Capossela, coi suoinove album all’attivo, i tre premi «Luigi Tenco» ed il libro Non si muoretutte le mattine (2004) è tra i cantautori italiani più originali ed estrover-si di sempre.

La sua carriera inizia nel segno dell’incontro emozionante con un certoFrancesco Guccini con quel All’una e trentacinque circa nel 1990.

Passando per le atmosfere pittoriche di Modì (1991), la canzone popo-lare italiana e mediterranea de Il ballo di San Vito (1996), le splendide,affascinanti e immaginarie Canzoni a Manovella (2000) e le grandi col-laborazioni con il chitarrista Marc Ribot (che ha collaborato spesso conTom Waits) e i desertici Calexico, l’istrionico cantautore italiano tornacon nuovo album.

Da Solo è un lavoro più intimo ed interiore pur senza tralasciare il suocostante e tipico sincretismo di stili. E allora, «Venite!, Venite! Affittate ilsalone per le feste, vestitevi eleganti, mettete i vostri abiti da sera, luci-date i bottoni e le mostrine, perché l’orchestra ce l’abbiamo messa noi,ed è a vostra disposizione. Una specie di abbuffata secolare, questo è indefinitiva il risultato».

Gianluca Gentile

AFFITTATE IL SALONE PER LE FESTEVenite, venite! Vestitevi eleganti, mettete abiti da sera, lucidate bottoni e mostrine!

uando guardo il cielo, cerco te/Distrattamente guardo il cielo ecerco te/E scioccamente mi solle-

vo/su con te, su con te, su con te…». Saranno intanti a cantarla, aggrappati con gli occhi e leorecchie all’eleganza delle movenze e allemagie vocali di Giorgia.

Il 15 aprile al Palalottomatica di Roma e il 17al Dutchforum di Milano, le prime due date cheaprono ufficialmente lo ‘Spirito libero tour’,nato dall’ultima tripla raccolta della cantanteromana: «Spirito libero, viaggi di voce 1992-2008» (Sony BMG).

Più di quindici anni di canzoni, successi, per-formance live, video e videclip con l’aggiuntadi 4 inediti, tra cui il singolo «Per fare a menodi te», già doppio disco di platino che ha antici-pato l’uscita del tris di cd. La canzone, che i piùmaligni hanno subito additato come scopiazza-tura della bellissima «Philadelphia» di NeilYoung, è stata scritta da Giorgia con la collabo-razione di Fabrizio Campelli e ha fatto partedella colonna sonora per il film di Luca Lucini«Solo un padre» (2008).

Un poderoso Greatest hits, speciale cofanettoche conterrà oltre ai tre cd, un dvd con 19videoclip di Giorgia e alcune chicche televisi-ve: dal debutto sul palco di Sanremo nel 1994 allive di Capodanno.

Più di 40 canzoni, completamente riarrangia-te e reinterpretate, in cui ogni disco è stato pen-sato come un viaggio tra ricordi, foto, amici evoglia di raccontarsi: un primo cd («Per riab-bracciarsi») più intimista, un secondo più rit-mato («Per liberarsi») e un terzo per ripropor-re i live e alcune tra le più belle collaborazionidell’artista («Per ®incontrarsi») con RonanKeating, Pino Daniele, Herbie Hancock e Mina.

Un assaggio, insomma, di quello che i piùfortunati potranno godere a Roma il prossimoaprile, mentre per tutti gli altri non resterà cheattendere le numerose date che porterannoGiorgia in giro per l’Italia: 10/05 Bologna,13/05 Genova, 15/05 Torino, 16/05 Firenze,18/05 Ancona, 19/05 Napoli, 21/05 Barletta,23/05 Catania.

Flavio Fabbri

GIULIETTA E LENNY

«Q

CON TUTTO QUEL CHE GIORGIA HA DA FARETra dire e fare tra terra e mare / tra tutto quello che avrei da dire sto qua a parlare d’amore

tra dire e fare tra bene e male / con tutto quello che avrei da fare sto qua

RIVISTA primaveraNEW:Layout 1 24-04-2009 18:00 Pagina 5

Page 6: Music In n. 9 Primavera

a cura di VALENTINA GIOSA

CRISTINADONÀ L’inter-vista La sua Rolling Stone èstata suo marito

BLOODY BEETROOTS Sono pepe-roni o barbabietole, comunque sanguina-ri. Salvo voler tradurre «bloody» con...

NANNUCCI Chiude il più antico rivenditore didischi per corrispondenza, sogno rocker della pro-vincia italiana rimpolpata a colpi di vinili introvabili

Music In �� Primavera 2009ALTERNATIVENATIVE

nizia a lavorare come scenografa ese-guendo importanti opere (fra cui quelle

per la Scala di Milano) e ricevendo grandi sod-disfazioni professionali. Il suo crescente amoreper la musica e in particolare per le canzoni diBruce Springsteen la portano in breve tempo adimbracciare la chitarra e salire sul palco dandovita ad ipnotiche esibizioni. La sua prima pro-duzione, Tregua, risale al 1997 per conto del-l’etichetta indipendente Mescal.

Dopo gli acclamatissimi Nido (1999) e Dovesei tu (2003), il 2007 segna l’approdo ad unamajor, la EMI, con cui incide La QuintaStagione. Piccola Faccia (2008) è il suo ultimolavoro, intimo ed acustico e in assoluto uno deisuoi dischi più ispirati. Tanti i riconoscimentied attestazioni di stima da parte di critica e pub-blico anche a livello internazionale, e numerosele collaborazioni fra cui Manuel Agnelli(Afterhours), Mauro Pagani, Morgan, RobertWyatt, Davey Ray Moor e Peter Walsh, il pro-duttore dei suoi due ultimi lavori.

Music In ha avuto il piacere di scambiare duechiacchiere con una delle artiste femminili piùaffascinanti del panorama italiano, che a brevesarà anche mamma.

Prima di diventare una musicista, hai dedi-cato molti anni all’arte, al teatro, la sceno-grafia e i videoclip. Per Springsteen è statol’attacco della canzone Like a Rolling Stonedi Bob Dylan, per te quale è stata la mollache ti ha portato a scrivere canzoni?

In realtà secondo me lui ha avuto le idee moltopiù chiare delle mie fin da subito. Non a caso hainiziato molto prima di me. Per quanto miriguarda, nonostante avvertissi fin da piccolaun’attrazione fortissima verso la musica ho indi-rizzato i miei studi verso il liceo artistico e l’ac-cademia di scenografia ricevendo anche grandisoddisfazioni professionali. Sotto sotto però,ardeva sempre quella fiamma per la musica cheho alimentato solo come ascoltatrice per tantis-simi anni. Poi ho avuto la fortuna di incontrare

personaggi importanti all’interno dell’ambientee fondamentale è stato l’incontro con DavideSapienza, oggi mio marito che all’epoca - tiparlo dell’86 - lavorava per Fire una rivista natacome primo fans club degli U2 (tra parentesi ilnuovo disco nuovo degli U2 è strepitoso). È statoDavide la mia «Like a Rolling Stone». Un gior-no mi ha detto: «Ma tu non puoi non fare la can-tante», e così è stato.1997-2009. Sono passati dodici anni daTregua. Cosa è cambiato in te in questi anni?

Penso di aver acquisito una maggiore maturi-tà, sebbene a scapito della perdita dell’istintodegli esordi. Quando ho iniziato, mi sembravabello solo ciò che fosse difficile ed ostico. Poi,con il passare del tempo, ho approfondito la miaconoscenza musicale ed imparato ad apprezzarealtre realtà che solo apparentemente potevanosembrare più semplici, come le canzoni deiBeatles e quelle di Lucio Battisti. Non mi ritengoancora una artista completa: ho studiato canto,ho preso lezioni di chitarra, ogni tanto faccio lemie escursioni sul pentagramma ma faccioancora troppa fatica. Nel 2007 con il disco La quinta stagione seipassata ad una major come la EMI. Com’èandata?

Trovo che sia stato un passaggio molto positi-vo. La Mescal, in precedenza, ha fatto degliautentici miracoli per promuovere me ed altriartisti del calibro di Afterhours e MassimoVolume. Una major però, ti apre delle porte cheuna label indipendente fa fatica ad aprire. Come nasce una tua canzone?

Ai tempi di Tregua partivo sempre dalle paro-le perché mi piaceva pensarmi come una cantau-trice che avesse testi particolari. Adesso mi capi-ta spesso di cominciare anche prima con l’ ideamelodica.Qual’è la canzone a cui sei più affezionata?

Ce ne sono diverse canzoni di cui mi sento orgo-gliosa: Dove sei tu (prodotta da Davey RayMoor, leader del gruppo inglese dei Cousteau),Universo e Goccia (scritta con Robert Wyatt)molto amata questa anche dal mio pubblico.E la cover che senti più tua?

Premetto che decido di fare una cover soloquando penso di poter dare qualcosa di mio. Misto affezionando sempre di più a quella diLabbra blu di Federico Fiumani, un «must» deimiei ascolti giovanili. Tra l’altro la canzone èsuonata e prodotta interamente da me. Quali voci femminili ti hanno emozionata?

La prima è Ginevra di Marco. Anche SineadO’ Connor mi ha influenzata moltissimo: OldEngland è stata la mia prima cover dal vivo. Lacanzone L’aridità dell’aria è ispirata ad un suobrano intitolato Just Like You Said It Would Be.Hai riscosso moltissimi riconoscimenti alivello internazionale ed attestati di stima daartisti di primo piano (primo fra tutti RobertWyatt). Quanto è difficile per un’artista ita-liana ritagliarsi uno spazio a livello interna-zionale?

Ci sono tanti fattori che rendono difficile ilpercorso di un artista italiano alternativo per-ché, se si parla di persone del target di ErosRamazzotti e di Laura Pausini, il problema non

si pone. Però se tu fai qualcosa di meno «nazio-nal popolare» e vuoi uscire fuori, è piuttosto dif-ficile. Spesso sono le stesse major che, come nelmio caso, focalizzano le loro strategie commer-ciali esclusivamente sul mercato italiano.

Per un artista italiano la vita è più dura inquanto si trova ad operare, da una parte, all’in-terno di una crisi che non è solo quella discogra-fica e, dall’altra, in una dimensione prettamentedomestica con un mercato di sbocco per forza dicose più ridotto.La lingua può essere una barriera culturalein questo senso?

Sicuramente. Tanto è vero che quando uscì ilmio terzo disco con l’etichetta indipendenteMescal, la Ryco, pur esprimendo attestati distima, decise subito di farne una versione in lin-gua inglese per il mercato internazionale.Come vivi la dimensione live?

Il live per me è un momento molto importantecon cui sento un legame imprescindibile. BruceSpringsteen in questo senso è il mio punto di rife-rimento. Quando suono dal vivo mi piace faruscire quella parte di me che magari all’internodelle canzoni non si sente o si sente meno.

Ritengo che ogni concerto abbia una sua iden-tità. Il pubblico crea l’atmosfera che di volta involta cerco di assecondare. Mi piace pensare cheuna persona che viene a vedere più volte un con-certo possa vivere, ogni volta, delle emozionidiverse.Hai partecipato lo scorso 15 marzo aGenerazione X in qualità di madrina dellaMarcosbanda. Cosa pensi di manifestazionidi questo genere?

Sicuramente esse sono importanti per tutti italenti emergenti che vogliono farsi conoscere.Ma - come dice anche il mio amico Morgan -bisognerebbe lavorare su quella che è la forma-zione scolastica dei ragazzi e magari spiegarloro che prima dei Tokyo Hotel c’erano i LedZeppelin. C’è qualche artista contemporaneo che ti èpiaciuto particolarmente fra i tuoi ultimiascolti?

In Italia i Baustelle e Beatrice Antolini. Perquanto riguarda l’estero, mi sono innamorata diJoan as Police Woman. Mi piace molto ancheMy Brighest Diamond, con cui ho avuto il piace-re di condividere il palco quest’estate.Quante opportunità per gli artisti e bandsalternativi vedi derivare dalla rete (comeMySpace per esempio)?

Penso che sia una strada importante chepotrebbe portare maggiori possibilità per tuttiquegli artisti che vivono una realtà discograficaindipendente e aumentare la possibilità di svi-luppare contatti con etichette straniere e conlocali. Conosco molta gente che ci riesce ma congrande fatica. Si va all’estero, se va bene a rim-borso spese e spesso ci si rimette del proprio.Hai già idee per un nuovo disco?

Sto già lavorando alle nuove canzoni per undisco in uscita a giugno 2010. In realtà c’è unevento che ha una priorità assoluta sia cometempistiche che come importanza che sarà lanascita di mio figlio fra qualche mese: eventostraordinario che mi rende immensamente felice.

CRISTINA DONÀ: NIDO DI EMOZIONIa cura di Eugenio Vicedomini

ALTAFEDELTÀ

NANNUCCILa notizia, recapitata fredda come un

lancio di agenzia, non gli rende davveroonore: «Chiude ad aprile Nannucci, il piùantico venditoredi dischi per cor-rispondenza inItalia. Dopo annidi lento calo delfatturato percause facilmenteintuibili legate allacrisi del mercatodel disco, la deci-sione di chiudere.

È stato firmatol’accordo di mobi-lità con i 9 dipen-denti». PerchéNannucci eraqualcosa di moltodi più. Nato nel‘36 come nego-zio di elettrodo-mestici, si era poiconvertito in totoalla musica, conuna politica did i s t r i b u z i o n ecapillare di dischidi importazione a basso costo.Nannucci diventò allora un’eco, un sapo-re, alimentando nei foschi e gloriosi anni70 e 80 il sogno rocker della provinciaitaliana, rimpolpata a colpi di vinili intro-vabili alle nostre latitudini, quando l’uni-ca navigazione possibile non era quellaalgida del download, ma quella fisica econtrabbandistica tra le copertine deidischi, all’uscita dalle scuole, o nei neb-biosi pomeriggi d’inverno.

Quando l’arrivo a casa del disco ago-gnato, rigorosamente segnato all’ango-lo da punzonatura postale era precedu-to da ferventi attese messianiche. E coni pochi spiccioli racimolati si partiva allavolta della storica sede di Via Oberdan 7di Bologna, in una sorta di muto pellegri-naggio. Era il mondo prima dell’avvento,il mondo pre-digitale.

Oggi un manipolo di aficionados si èattivato su facebook nel comitato «Quelliche non vogliono chiudere Nannucci».Cose, direbbe Nick Hornby, «da AltaFedeltà».

Lorenzo Bertini

TECHNOBERLINO

Lost and Sound

Giornalista, dj, critico musicale ed estremoconoscitore della scena musicale tedesca,Tobias Rapp è music editor per DieTageszeitung e collabora regolarmente con laDeutschland Radio oltre che scrivere pernumerosi magazine come Spex, Groove,De:Bug, Spiegel. Lost and Sound. Berlin,Techno und der Easyjetset, edito dalla casaeditrice Suhrkamp Taschenbuch, è la sua ulti-

ma pubblicazione.Un accurato ritrat-to dell’affascinan-te, estrema einfluente culturaTechno berlinese(che non è maistata così concen-trata in un unicoluogo) con tutti isuoi potagonisti: idj, le discoteche, iproduttori e il feno-meno dell’easyjet-set. «Ogni fine set-timana arrivano aBerlino giovani datutta Europa con

voli low cost e ci restano fino a quando l’ultimoafter hour si fonde nel weekend successivo»,dice l’autore. Il libro è disponibile al momentosolo in lingua originale.

Valentina Giosa

NN on è certo la prima volta che un gruppo italiano viene notato all’estero molto prima che a casa propria. È successo anche ai The Bloody Beetroots,oramai fenomeno di fama mondiale in continua e veloce ascesa (basta guardare la lista interminabile di date del loro ultimo tour) tanto da poter

essere considerati uno dei gruppi rivelazione degli ultimi anni.Originari di Bassano del Grappa (vicino Venezia), Bob Rifo e Tommy Tea danno vita al progetto nel 2007 e dopo pochissimo tempo divengono il

fenomeno più chiacchierato e scaricato del web. Etienne De Crecy e Alex Gopher (Solid, V2France) li «arruolano» subito come remixer ufficiali epoco dopo iniziano anche le collaborazioni con Martin Solveig, Crookers, South Central, Rinocerose, The Whip, The Toxic Avenger e AudioPorno,tanto per citarne qualcuna. Un concentrato esplosivo di Electro, Punk e Tropical che rimanda tanto ai Misfits quanto ai Daft Punk e dove estro e linea-rità sembrano trovare un equilibrio perfetto ed estremamente attuale. Rombo Ep è il titolo del loro recente album uscito per la Dim Mak Records (casaproduttrice anche di Steve Aoki e Mstrkrft) che il «duo mascherato» sta portando in giro per il mondo registrando continuamente il sold out.

La band sarà a Roma in occasione di Deepsession il 6 maggio al Brancaleone (Via Levanna, 11).Valentina Giosa

I LOVE THEBLOODY

BEETROOTSAlcuni loro pezzi si trovano in CSI Miami,

amano punk, colonne sonore e cartoni animatima sulla Luna porterebbero Fred Buscaglione

i

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Page 7: Music In n. 9 Primavera

RECENSIONE Is Tiny Dancer Really Elton’s Little John? La domanda sulle parruc-che, ma anche che voti avesse Mick Jagger alla London School of Economics. Rispondeun curioso, Gavin Edwards, che è andato alla ricerca del capello (è il caso di dire).

COMMAND CLIENT Volete ilvostro sogno erotico latino materia-lizzato dal vivo?

Music In �� Primavera 2009 ALTERNATIVENATIVE

voce eterea e sognantedi Antony Hegarthy

torna a regalarci impalpabi-li dipinti sonori con l’ulti-mo lavoro, The CryingLight. Sulla copertina: ilvolto di Kazuo Ohno,attore e co-fondatore del-l’arte Butoh del 1977da uno scatto diNaoya Ikegami aTokio. Un voltointenso quellodi Ohno, unaposa reclinata,un mood goti-co-espressio-nista cheriecheggiasensazioniche vannodalla cullaalla tomba,

contrapponendo efficacemente la vita e lamorte in un’unica immagine.

«Il mio nuovo album The Crying Light èdedicato al grande ballerino Kazuo Ohno -dice Antony - lo vidi in uno spettacolo get-tare un cerchio di luce sul palco, entrarcidentro, e svelare i sogni e i desideri del suocuore. Erano i suoi occhi a danzare ema-

nando mistero e creatività; in ogni gestoincarnava la bellezza femminile e il bambino. È come se la mia arte fosse stata generata daquel momento». Un nuovo disco dall’ estetica impeccabile,

così come da copione per il dandy neworkese,seguito da un nuovo tour, ha portato Antonyand the Johnson a Roma in una sensibilitàantica e «ultraterrena», in una voce che -come ha ammesso anche Diamanda Galas- riesce a racchiudere «tutte le emozioni

del pianeta».

Valentina Giosa

V olete il vostro sogno erotico latino materia-lizzato dal vivo? Bene, prendete queste tre

algide bellezze d’oltremanica, fasciatele in abitida hostess scandinave, adagiatele sul palco. Maattenzione, maneggiare con cura, non aspettate-vi candore o dolcezza, perché lo spettacolo ha illucore lucido e opaco del latex. Estetica da regi-me sovietico, tappezzerie sonore acuminate esottili come strisce di neon, vibrazioni danightclubbing berlinesi, o, come da auto-defini-zione, «un mix dipastiglie, sesso e pro-stituzione», questo ilmanifesto programma-tico delle Client,«commando» gla-mour-futurista al fem-minile (Kate Holmesaka Client a ai synth,Sarah Blackwood akaClient b alla voce, latop-model e dj EmilyMann, aka Client e, albasso, più all’occor-renza altre performerrigorosamente recluta-te sotto l’identità«client») in orbitaormai da un decennio edi passaggio al Circolodegli Artisti a Romal’8 maggio. Con altereferenze alle spalle,alla voce Kraftwerk,New Order, Ladytron eDepeche Mode (Client,

del 2003, è stata la prima produzione dellaToast Hawaii, la label di Andrew Fletcher), piùsvariate collaborazioni, dalla coppia Doherty-Barat (i fratellini dispersi dei Libertines), aMartin Gore fino a Tim Burgess dei Charlatans,le Client approdano al loro quarto album,Command, uscito a marzo per la Out of LineRecords, affidandosi alla produzione di JoeWilson (già Sneaker Pimps) e Youth (tra glialtri, collaborazione con Sir Paul McCartney).

Il risultato è elettropopelegante e acido, fedelealla linea Client. Siparte con la corrosivaYour love is like petrol,per poi scivolare suibattiti di Can you feel,nuovo singolo da dan-cefloor. Atmosfere inpuro stile Pet ShopBoys in Lullaby, men-tre con Blackheart sifila dritto nel cuoredella notte, seduti sucomodi sedili vinilitici.Satisfaction è la tracciapiù suggestiva e spet-trale, con recitativo ebackvocals smozzati insottofondo. In tuttododici pezzi lineari ecompatti. Da mandaregiù lisci come vodkaorange.

Lorenzo Bertini

Sono uscite fuoritante one-womanshow negli ultimitempi, ma non si puònon restare colpiti daAnja Plaschg, crea-tura decadente inarte Soap & Skin. Ununiverso misterioso,inquietante e fragile.

Un dipinto espressionista, un’essenza introspet-tiva e a tratti ultraterrena tanto da richiamareDead Can Dance, Sinead O’Connor e CatPower, Shannon Wright e Bat for Lashes allostesso tempo. Una voce che fra sussurri e urla

resta impressa nella memoria e quasi non sidirebbe che a cantare sia poco più di una ragaz-zina. Solo un pianoforte e un laptop accompa-gnano la musicista austriaca in una conturbantee teatrale ode alla Notte.

Anja Plaschg si era già fatta notare nel 2006,all’età di soli sedici anni, con Mr. Gaunt Pt1000, brano inserito nella compilationShitkatapult Empfiehlt!, insieme ad artisti fracui Apparat e Fenin. Dopo un ep composto daquattro brani ecco finalmente arrivare il suoprimo disco, Lovetune for Vacuum (Pias, 2009),un racconto mistico dove la parola d’ordine nonpuò che essere: malinconia.

Valentina Giosa

Q ualcuno si è mai chiesto se Mick Jaggerabbia preso buoni voti alla London

School of Economics? Oppure sapete se BobDylan ha davvero avuto un incidente con la suamoto o se stava solo «coprendo» qualcosa? Ecosa rappresentano quei simboli sulla copertinadi Led Zeppelin IV? E ancora Robert Johnsonha poi venduto la sua anima al diavolo?

Tutto ciò e tante altre risposte a domande cheforse mai vi sareste fatti potete trovarlo in IsTiny Dancer Really Elton’s Little John?:Music’s Most Enduring Mysteries, Myths, andRumors Revealed, il nuovo libro di GavinEdwards. «Durante gli anni in cui ho lavorato aquesto capitolo [NdR capitolo 15] che poi mi hadato lo spunto per il mio nuovo libro, c’eranoalcune domande a cui non trovavo risposta –dice Edwards -. Alcune erano banali, altre trop-po specifiche e alcune sembravano fuori dallamia portata. E non riuscivo a capacitarmi di nonessere in grado di placare la mia sete di curiosi-tà e scoprire finalmente: quali rockstar indossa-no la parrucca?».

La domanda secondo lo scrittore americano,giornalista di Rolling Stones, Details, Wired,Spin, New York, GQ, nonché già autore di unaltro avvincente libro ‘Scuse Me While I KissThis Guy and Other Mishead Lyrics, ha unabellezza elementare: sono così tante le rockstarche vanno ormai per i sessanta che senza alcundubbio ci deve essere qualcuno la cui folta cri-niera dei bei tempi andati deve averlo giàabbandonato da molto! Così come ci sono tanti,

a parte Elton John che si è fatto una bella risataquando il pubblico si è reso conto che i suoicapelli non erano veri, che cercano di nasconde-re la loro età e apparire ancora «giovincelli» evigorosi. E addirittura Edwards sostiene chequesta particolare vanità è una caratteristicatipica dei cantanti e dei chitarristi; i membridella sezione ritmica sembrerebbero invece piùaperti e inclini a lasciare che la natura prenda ilproprio corso. Lo spunto per questo divertentecapitolo, da cui è nata poi questa insolita e spas-sionata storia del rock, è nato dall’incontro del-l’autore con David Bowie. Mentre il duca bian-co si trovava in tour con Moby, Edwards lo haraggiunto al Jones Beach Theater, a pochi chi-lometri da New York City, per intervistarlo edopo che Bowie gli aveva già offerto tantomateriale e curiosità riguardo a Moby e BustaRhymes ecco balzar fuori l’ ossessione «antica»di Edwards: la domanda sulle parrucche.

«Ma perché vuoi saperlo?» pare sia stata larisposta di Bowie. «Gli ho esposto la mia nobi-le volontà di sapere – dice Edward –. Lui èscoppiato a ridere, ha riflettuto. «Oh – ha detto– ovviamente morendo dalla voglia di spettego-lare – non dovrei». Pare che la «questione par-rucca» abbia dovuto attendere un altro giornofin quando poi Bowie si sia finalmente deciso aparlare. E da quel giorno ecco l’idea di un libro,un tesoro di piccole e incredibili chicche erisposte a tanti e immortali misteri del rock.

Valentina Giosa

DO YOU WANT TO KNOW A SECRET?«1. His lack of compositional abilities aside, is Ringo Starr generally considered as a drummer: A. A very talented instrumentalist whose abilities are/were underestimated? B. A not-bad musician elevated byhis good fortune in winding up a Beatle? C. A pretty lamemusician by comparison not just to his bandmates but to most of his contemporaries in successful rock bands? I have thought both B and C at various points, but heard(possibly fulsome/insincere) testimony to A. Help me out!»

(Gavin Edwards)

POCO PIÙ DI UNA RAGAZZINA

COMMAND CLIENT

LaTUTTE LE EMOZIONI DEL PIANETA

RIVISTA primavera.QXP 22-04-2009 13:50 Pagina 7

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a cura di ROMINA CIUFFA ROCKOPERA L’intervista Quando ci si mette intesta di fare musical entra in ballo anche Jesus Christ

ROBIN HOOD L’intervista Valeria Monetti è Marianna,Robin Hood il suo superladro. E mentre ruba, canta e balla

Music In �� Primavera 2009MUSICALALLL

introduce il direttore Simone Giusti:Rockopera è un progetto nato nel 1998.

Si tratta di una struttura che opera nell’ambitoartistico sotto vari profili: produzione, organiz-zazione di eventi e formazione. Al centro di ogniattività c’è la musica, che ovviamente è sempredal vivo. Questo perché noi non conosciamoaltro tipo di esecuzione.Se il musical sgocciola e lo si trova - quello diqualità - per puro caso, c’è un progetto, quellodi Rockopera, che unisce un gruppo di giovanida ben 10 anni e li fa credere in una sorta di«resurrezione». Proprio come quella pasquale -e non sarà un caso che tra i più grandi successidi questi artisti ci sia proprio Jesus ChristSuperstar. Il primo spettacolo prodotto è stato proprioJesus Christ Superstar che abbiamo portato inscena fino al 2001. Sono seguiti altri progettifino al 2002, anno in cui abbiamo realizzato laprima produzione italiana di Joseph and theamazing technicolor dreamcoat di A.L. Webbere T. Rice. Lo spettacolo vedeva la partecipazio-ne di Antonello Angiolillo eRossana Casale, per la regiadi Claudio Insegno e lecoreografie di FabrizioAngelini. A supportare iltutto naturalmente l’orche-stra dal vivo. Lo spettacolo èrealizzato su licenza dell’edi-tore inglese. Con vocazione imprendito-riale Rockopera decide direalizzare le repliche in auto-produzione, e la consacrazio-ne avviene nel 1999 quandoviene invitata a partecipare alFestival La Versiliana e ottie-ne un risultato eccellente(tutto esaurito per 2 repli-che). Ciò convince la dire-zione a riconfermare lo spet-tacolo che viene replicato nel cartellone 2000con il medesimo risultato. La produzione diJesus Christ Superstar viene replicata 30 voltetra il 1999 ed il 2000. È un’opera meravigliosa. Rappresentarla èsempre una grandissima emozione. Questanuova produzione è fresca e vivace con un castmotivatissimo ed un’orchestra combattiva. Lospettacolo raccoglie tantissimi consensi ed ilpubblico è entusiasta.Nel 2001 Rockopera è tra i finalisti del proget-to regionale Il debutto di Amleto e si esibisceper il Teatro della Pergola di Firenze. Nel con-tempo Rockopera sviluppa nuovi progetti comeMusical Greatest Hits, Beatles Forever, RadioHollywood: progetti in cui la musica (sempredal vivo) è la base sulla quale la drammaturgiasi articola. Parallelamente all’attività teatrale sisviluppano iniziative di formazione e nel 2001a Lucca il Jam-Centro Musica Moderna, uncentro per l’insegnamento della musica leggerache vanta attualmente oltre 300 allievi. Nel 2002 il gruppo realizza la produzione diJoseph e la strabiliante tunica dei sogni intechnicolor di Andrew Lloyd Webber e TimRice. La regia è affidata a Claudio Insegno e leparti principale sono di Antonello Angiolillo,

Lighea ed Ivan Cattaneo. Lo spettacolo debuttaa Lucca e compie un tour di prova tra Trieste,Novara, Grosseto, Bari e Viareggio. Nel 2002viene realizzata la produzione dello spettacolo-recital Sì, Viaggiare, dedicato a Lucio Battisti.Lo spettacolo è costituito da un collage dellepiù significative canzoni del compositore, ese-guite da 3 solisti ed un’orchestra dal vivo. Lacoreografia è affidata alla compagnia delBalletto di Milano diretta da Carlo Pesta.È un omaggio alla figura di Lucio Battisti. Nonsi tratta di un tributo di carattere imitativo. Inpoche parole, niente teste cotonate e foulard.La line-up prevede 4 musicisti e 3 solisti. Gliarrangiamenti vocali sono molto curati è c’èspazio anche per le interpretazioni femminilidei grandi classici di Lucio. L’atmosfera èmolto intima e lo spettacolo, che portiamo inscena dal 2001, è stato rappresentato sia informa teatrale che in forma di concerto.Nell’estate 2004, Rockopera produce lo spetta-colo Back to Beatles, basato sulle musiche delquartetto di Liverpool; in autunno 2004 il musi-

cal Cannibal di Trey Parker, autore della fortu-natissima serie televisiva South Park; nel 2005il tour dello spettacolo Joseph e la strabiliantetunica dei sogni in technicolor è inserito nellestagioni teatrali ufficiali del Teatro Nuovo diMilano, il Teatro delle Celebrazioni di Bologna,il Teatro Sociale di Trento, il Teatro Alfieri diTorino ed altri. Lo spettacolo i avvale di unnuovo cast con la partecipazione di RossanaCasale e le coreografie di Fabrizio Angelini. Normalmente mi occupo io della direzionemusicale ma operiamo sempre in squadra. Perle produzioni più grandi abbiamo sempre fattodei casting, mentre per le produzioni più picco-le possiamo attingere da una rosa di professio-nisti di grande talento.Nel 2006 Simone Giusti, direttore diRockopera, riceve l’incarico di direttore delTeatro Oscar di Milano, acquisito dal gruppoSogete del Teatro Nuovo di Milano. E comevede lui il Musical in Italia? Di quali musical stai parlando? In Italia gira-no solo mega karaoke con basi e cori registra-ti. Non ricordo di aver visto produzioni di musi-cal fatta eccezione per qualche produzionedella Compagnia della Rancia e poche altreeccezioni.

ROCKOPERA

Valeria Monetti, attrice giovane e versatile, èin tournee con Robin Hood accanto al bravoManuel Frattini, già al Teatro Brancaccio diRoma e in giro fino a Civitavecchia, dove liaspettano a maggio. Lei comincia a recitareall’età di 13 anni, studia canto e segue corsi didanza classica e moderna, è finalista alla V edi-zione del concorso teatrale femminile ‘La paro-la e il gesto’ e lì per due volte vince il premio delpubblico. La sua carriera professionale inizia nel2001 quando è ammessa alla trasmissioneSaranno Famosi, oggi Amici, un’esperienza chele apre le porte del mondo dello spettacolo.Quindi è la protagonista del musical Sette sposeper sette fratelli nel ruolo di Milly, al fiancoprima di Raffaele Paganini e Manuel Frattini,quindi di Michele Carfora; dopo c’è il musicalLungomare di Maurizio Costanzo e Alex Britti.Nel 2007 è in scena con due spettacoli: la com-media musicale Datemi tre caravelle! conAlessandro Preziosi e il Rugantino DanceOpera di Gino Landi e Renato Greco.

Robin Hood è la nuova celebrazione del viag-gio di un uomo alla ricerca di se stesso, che siritrova nel più debole e nell’amore perMarianna. Una leggenda eterna di eroi e malva-gi dove un ladro gentiluomo sarà il principedella foresta incantata di Sherwood. Ambizione,coraggio, amore e avventura: tutto in un grandemusical originale di Beppe Dati con ManuelFrattini e Valeria Monetti.

Che ci dice:Valeria, è già passato qualche anno ormai daltuo debutto.

Ormai 7 anni. Nel 2001 terminai la trasmis-sione Saranno famosi di Maria De Filippi esubito dopo cominciai a lavorare in Sette sposeper sette fratelli. La ricordi ancora come la tua esperienza piùsignificativa.

Sì, pensa che era anche il mio sogno recitarein quel musical. Poi ne sono venuti altri, ovvia-mente, tutti molto belli. Sette spose per sette fratelli è un classico,Robin Hood un musical originale. È stato piùdifficile affrontarlo senza avere riferimenti?

No, anzi, io l’ho vista come un’opportunità,una fortuna. In questo modo ho potuto dare alpersonaggio che interpreto un carattere moltovicino alla mia personalità, al mio gusto.In cosa siete simili tu e Marianna?

Ci sono aspetti in cui è simile a me, altri in cuiè lontana. Sicuramente è una donna dalle moltesfaccettature: è vanitosa ma con uno spiritoforte, sicura, fiera. Una donna moderna perquei tempi. Comunque una donna con le suepaure. Un po’ è facile identificarsi: Marianna èinnamorata ed è innamorata anche Valeria.Una storia vera, dunque, non una favola consupereroi.

Esatto. Robin Hood non è un eroe coi super-poteri, ma un ragazzo che diventa uomo, unosplendido uomo, e nella sua crescita impara adassumersi le proprie responsabilità, credendo invalori come l’altruismo e la generosità.Tu la senti questa responsabilità «educativa»dello spettacolo?

Be’, un po’ sì. Quando vedi tra il pubblicotanti bambini e ragazzi è confortante sapere chestai trasmettendo dei valori che condividi. Madevo essere onesta: se mi presentassero uncopione che presenta contenuti in cui non credo,prima di rifiutare ci penserei due volte. Il lavo-ro è lavoro e per me è prioritario farlo bene. In effetti molti ragazzi possono vedere in voidei modelli di riferimento, proprio oggi che ilmusical sta rivivendo una stagione d’oro.Come ti spieghi questo successo?

Il motivo è che il musical riesce a coinvolge-re un pubblico davvero eterogeneo che va dairagazzi alle persone più mature. C’è chi ama ladanza, chi il canto, chi lo spettacolo in sé.Ultimamente vedo anche molti artisti che ven-gono dalla prosa pura o cantanti e ballerini chesi mettono in gioco nelle altre arti, e questoovviamente contribuisce al successo del genere. Nei vari musical che hai interpretato haicambiato impostazione vocale, fisicità, aseconda dei personaggi. Ma Valeria Monettinon vuole uscire sul palco come ValeriaMonetti? Non hai mai pensato a una carrierada cantante?

No, io cerco di mettere la mia personalità neivari ruoli che interpreto. Non ho mai pensato aun futuro discografico. Sin da piccola ho studia-to danza, canto, recitazione, proprio perché ilmusical era quello che volevo fare. E tra tutti,sognavo proprio il primo che mi è toccato fare,«Sette spose per sette fratelli».L’esperienza di «Saranno famosi» dunquel’hai vissuta con questo spirito? Sei cresciutaall’interno di quel programma?

Dal punto di vista didattico c’è poco tempo,non si riesce a fare un percorso approfondito.Abbiamo cercato di imparare, ma il periododella trasmissione non è certo sufficiente aformare una professionalità. Però comeformazione artistica, come contatto col mondodello spettacolo è molto utile. Tutte le sere una recita. Massacrante?

Tutte le sere troviamo un motivo per divertir-ci. Direi solo che è un lavoro impegnativo. Losvago, il divertimento, il relax ce lo concediamodurante la giornata, magari andando al cinemao seguendo i nostri colleghi nelle matinée.Cercando di risparmiare la voce per la sera.Cosa chiedi al futuro?

Di fare ancora tanti musical.

RUBA AI RICCHI

PER DONAREA LEI

di ROMINA CIUFFA

a cura di Nicola Cirillo

Lo

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s

Page 9: Music In n. 9 Primavera

a cura di ROSSELLA GAUDENZI

JOAQUIN CORTES Noi rom siamo stati perseguitati, umiliati e maltrattatiper molti secoli. Da sempre la musica e la danza sono il nostro grido di libertà.Credo prima di tutto nello spirito di ribellione. Salvifica solitudine.

CARMEN STORY Antonio GadesCompany Ha lasciato tutto a una fonda-zione. Compresa la sua eredità artistica

Music In �� Primavera 2009 BBALLETALLET

Le soglie dell’intimo tablao sono state varcate da un pezzo. Con ilpasso di chi possiede l’energia straripante di un fiume in piena e

carisma e sensualità tali da rompere gli argini, un talento del flamenco èdestinato ad andare oltre. Ad imporsi come solista e a diffondere prepo-tentemente la propria arte in giro per il mondo, tanto più se ha lo spirito

dello sperimentatore. Questo è il flamenco: la danza che colpisce dritto alcuore, sapendo che si passa da un cuore messo a nudo per arrivare all’ani-ma. Non ha catturato l’interesse di storici e accademici, ma ha contami-nato da sempre il mondo dei poeti, dei musicisti, degli scrittori. Nella sto-ria del flamenco c’è la storia del gitano Joaquín Cortés, nato quarant’an-ni fa a Cordova, che grazie al prestigioso Balletto Nazionale di Spagna hapresto raggiunto i lontani palchi di Mosca e New York ed è stato forte-mente voluto da registi del calibro di Almodóvar e Carlos Saura per esse-re consacrato al successo mondiale. Lo spettacolo Mi Soledad, dal 23 al25 giugno in scena al Teatro Sistina, ha debuttato il 3 maggio 2005 pres-so l’Auditorium di Città del Messico; da oltre due anni continua ad esse-re richiesto dai maggiori teatri del mondo e questo successo non accennaa diminuire. La musica originale è qui commistione di stili ed è stata com-posta dallo stesso Cortés, da José e Antonio Carbonell: il jazz, la classicae la musica cubana si intersecano alla musica flamenca. La scenografia èsemplice, i costumi eleganti e sobri, creazioni di Jean-Paul Gaultier. Lacittà di Londra, divenuta da tempo suo quartier generale, lo ha ringrazia-to con 17 sold out alla Royal Albert Hall.

Il più celebre ballerino di flamenco dei nostri giorni ha messo in scenail viaggio che attraversa le emozioni umane, giungendo alla desolante,salvifica, suggestiva, misteriosa solitudine. Solitudine che è al contempoluce ed ombra, e che appartiene a noi tutti. Donataci con la freschezza, lamaturità artistica, l’eleganza di cui è capace da sempre.

ROM SOLO

P ochi mesi prima della sua scomparsaavvenuta nel 2004, Antonio Gades aveva

dato vita ad una Fondazione a cui lasciare lapropria eredità artistica, una compagnia stabilegrazie alla quale i cinque lavori più importantida lui creati vengono ancora oggi riproposti conciclicità sui palcoscenici di tutto il mondo, laAntonio Gades Company.

Tra questi un classico meraviglioso comeSuite Flamenca del 1968, Nozze di Sangue del1974, ispirato all’opera Bodas de Sangre diFederico García Lorca e la sofferta e appassio-nata Carmen del 1983, un esempio di un’inimi-tabile eleganza e nobiltà.

L’idea del balletto era venuta fuori dopo lefortunate riprese di Carmen Story, film nato dalsodalizio di Gades con Carlos Saura, premiato

al festival di Cannes e nominato agli Oscarcome migliore film straniero. Ma la Carmen quiappare un po’ diversa dalla versione «storica»di Bizet. Nella versione Gades – Saura laCarmen è non solo una donna attraente, sensua-le e spregiudicata ma soprattutto indipendente,libera, non frivola e proprio per questo ancorpiù ricca di fascino e potenza.

«La cosa più grande che esiste al mondo è lalibertà-afferma Gades-. E per la libertà bisognalottare, perché non te la regala nessuno. Nellamia Carmen Story, in fondo, è di questo che sitratta. Ne hanno fatto spesso un personaggio fri-volo, ma Carmen non ha niente di frivolo! Èuna donna che si fa rispettare dagli uomini, e vacon gli uomini, e non crede nella proprietà pri-vata dei sentimenti.

Quando ama, ama e quando smette di amare,smette di amare. Pur di non perdere la sua liber-tà, si precipita verso la morte: la morte è presen-te e visibile fin dall’inizio, non arriva all’im-provviso.

Carmen sa che la uccideranno, ma per lei èmolto più importante questo senso, così nobile,della libertà. No, non è frivola e non è sciocca!È una ribelle. Contro determinate situazioni, econtro determinate classi. Una Carmen moltopiù vicina a quella «autentica» di ProsperMérimée, da cui Bizet si ispirò nel 1872: un’eroina rivoluzionaria che crede nell’intangibili-tà dei sentimenti tanto da preferir morire inveceche rinunciare alla sua libertà.

Stella Arauzo and Adrian Galia, insieme adun cast di 26 cantanti, musicisti e ballerini, sonostati i protagonisti del riadattamento di questoclassico di tutti i tempi in scena al TeatroOlimpico ad ap ile. A seguire, Nozze diSangue+Suite Flamenca.

Sul palco, rispettando l’estetica rigorosa diGades, pochi elementi saranno sufficienti acreare la giusta l’atmosfera, minimale e priva diinutili orpelli e proprio per questo ancora piùincisiva. La Antonio Gades Company è reducedalla fortunata ed acclamata esibizione alFestival Flamenco Festival London 2009.

Valentina Giosa

Battiti, forse battiti del cuore. Acqua scro-sciante, forse acqua di pioggia lontana, intermi-nabile. Una radio, a intermittenza, si sintonizzacon i ballerini e gli spettatori. Accenni di canzo-ni jazz. Musica elettronica. Poi nuovamenteacqua, e poi nuovamente battiti.

Questa come vera e propria colonna sonoradella coreografia Luogo Comune-PausaParadiso del duo Samuele Cardini-MarinaGiovannini, vincitrice del Premio Equilibrio2008, in scena come prima assoluta lo scorso 21febbraio all’Auditorium Parco della Musica. Siparte dalla musica perché i ballerini e coreogra-fi in questione di musica se ne intendono pro-fondamente, come specifica Marina:

Siamo dei cultori musicali molto appassionati.Abbiamo scelto di comporre in prima persona,per la nostra coreografia, per far riecheggiareciò che suona dentro di noi. Si tratta della colon-na sonora che è il filtro che c’è tra me, Samuelee coloro che hanno contribuito attivamente aquesto progetto. È stato proprio Samuele a mon-tare l’apparato musicale, denso di passaggi elet-tronici forti, di schitarrate. La radio che torna, ilbattito che torna, hanno il fine di riportare iltutto ad una circolarità.

Marina e Samuele sono i vincitori della primaedizione di un concorso importante, all’internodi Equilibrio Festival della nuova danza, la ras-segna giunta alla quinta edizione prodotta dallaFondazione Musica per Roma e curata daGiorgio Barberio Corsetti. La finalità del con-corso è quella di stimolare la creazione nell’am-

bito della danza contemporanea, sostenendo epromuovendo il lavoro di artisti emergenti. Icoreografi toscani si sono fatti largo tra bennovantotto gruppi partecipanti, e si sono impo-sti tra i dieci progetti finalisti con un’idea di«luogo comune», coreografia della durata diventi minuti, poi sviluppatasi in un lavoro omo-geneo che rapisce lo spettatore per oltre un’ora,sul filo di un’energia ad altissimo livello chemai tradisce cali di tensione.

Definiamo questo nostro lavoro come l’evolu-zione di una serie di appunti, i primi dei qualirisalgono al settembre del 2007. Lo stesso titoloiniziale, Studi per Luogo Comune, voleva appro-dare, come attraverso un percorso, ad altro dasé. Ad una Pausa Paradiso, appunto, ossia ilrisultato di materiale stratificato, di movimentimolto diversi da loro seppure amalgamati. Sigiunge ad una sosta di contemplazione tra unafigura e l’altra, come se si aprisse un immagina-rio sull’Eden, un paradiso ideale per tutti: è laPausa Paradiso. Rispetto al momento del concorso (febbraio2008) il lavoro di Marina e Samuele è statoenormemente arricchito: dalla presenza deiballerini Martina Gregori e Leone Barilli eda una serie di elementi singolari portati inscena.

Avere altre persone, altri danzatori attorno, lavoglia di confrontarsi con loro è stata importan-te. Una pianta, una mazza da baseball, unimpermeabile bianco, una coda… Non voglionoessere elementi metaforici di difficile lettura.Abbiamo trasformato le figure in scena perdescrivere la cultura che ci appartiene, per esse-re riconoscibili.

I tempi non sono ancora maturi per farebilanci, valutare la reale portata di questosuccesso.

Avvertiamo indubbiamente una sensazione dicambiamento, ma ora tutto è «in fieri»: le propo-ste iniziano ad arrivare, c’è un gran fermentoattorno a noi e dentro di noi. Stiamo da un latocercando di riprendere fiato dopo aver fatto unafatica sovrumana, perché questa esperienza ciha obbligati a cercare tutto da soli, da un puntodi vista tecnico ed organizzativo.

La ricerca delle sale prova, ad esempio, èstata estenuante. Nel contempo, siamo in movi-mento, Pontedera, poi il Festival Danae, aMilano. E davvero la vita a volte manda stranisegnali: la prima del nostro spettacolo ha coin-ciso con l’unica data romana del lavoro diVirgilio Sieni, nostro maestro. Tu prova ad inter-pretarla, questa coincidenza…

Agli inizi del ‘900 i migliori ballerini dei due teatri più importanti al mondo, il Bolshoi di Mosca e il Mriinskij di San Pietroburgo, venneroselezionati per far parte di un nuovo corpo di ballo, fondato dal brillante impresario Sergei Diaghilev: nasceva Les Ballets Russes, la compagniadi danza destinata a divenire la più prestigiosa del XX secolo. L’intento era quello di diffondere nell’Europa Occidentale l’arte della danza russa,ricca di balletti di breve durata ed intrisa di tecnicismi. Forte di un immediato successo, dovuto a celeberrimi ballerini e coreografi - VaslavNijnskij, Adolph Bolm, Michel Fokine - la compagnia si stabilì dapprima nella Ville Lumière, per spostarsi in seguito a Monte Carlo. L’ondatadi esotismo catturò presto l’attenzione dei maggiori artisti del tempo: pittori come Picasso, Henri Matisse, Giorgio De Chirico si prestarono allacreazione di scene e costumi; tra i compositori si annoverano Claude Debussy, Sergej Prokofiev, Maurice Ravel, Ottorino Respighi, RichardStrauss… Diaghilev fu anche un «talent scout», aprendo le porte al successo di un giovane Igor Stravinskij.

L’Orchestra e il Corpo di ballo del Teatro dell’Opera metteranno in scena le migliori coreografie di Fokine, Massine e Nijinska: LesSylphides, Les Biches, Cléopâtre, Il Cappello a Tre Punte, L’uccello di Fuoco.

Dal 17 al 22 aprile; dal 28 aprile al 3 maggio TEATRO DELL’OPERA Piazza Beniamino Gigli, 7 - Tel. 06 481 601 - www.operaroma.it

LES BALLETS RUSSES

«Credo prima di tutto nello spirito di ribellio-ne. Noi rom siamo stati perseguitati, umiliati emaltrattati per molti secoli. Da sempre lamusica e la danza sono il nostro grido di liber-tà. È la nostra unica arma, la forza dei mieispettacoli, il perno della mia popolarità. Dopotutto chi sono io se non un nomade del ventu-nesimo secolo?».

Joaquín Cortés

di Rossella Gaudenzi

LIBERANASCELIBERAMUORE

Antonio Gades: Carmen Story, la cosa più grande che esiste l mondo è la libertà.

AND THE WINNER IS…Il Premio Equilibrio va a Samuele Cardini e Marina Giovannini. Acqua scrosciante

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a cura di FLAVIO FABBRI

KURT WEILL-MARIANNE FAI-THFULL Voglio che la mia musicasi ascolti adesso, finché sono vivo

FRANZ JOSEPH HAYDN BicentenarioLe ultime sette parole di Cristo sulla crocele sapeva tutte lui

Music In �� Primavera 2009CLASSICAMENTEMENTE

Bisognerebbe riprendere in mano un numeroqualsiasi dei Peanuts e cercare di capire

perché Schroeder si arrabbiava così tanto quan-do Lucy lo tormentava con le sue battute, oquando i suoi amici lo chiamavano per le soliteinterminabili partite di baseball. Stiamo parlan-do di Charlie Brown, di Linus e la sua coperta,di Snoopy, Piperita e Mercie. MentreSchroeder, con la sua maglia arighe verdi e nere, eternooggetto dell’amore noncorrisposto di Lucy,voleva solo stare colsuo piccolo pianogiocattolo e tutteq u e l l en o t eche

gli volteggiavano sulla testa. Un ottimo pianistaovviamente, perché così l’ha voluto il suo crea-tore Schulz, quasi un virtuosista, con una profon-da venerazione per Ludwig van Beethoven, dicui il 16 dicembre festeggiava sempre l’anni-versario della nascita.

È da qui che sono nate tutte quelle magnifi-che note che inondavano gli spazi bianchi delfoglio. Le straordinarie melodie fuoriuscite dalpiano di Schroeder, anzi, sarebbe meglio diredall’amore del suo disegnatore per Beethoven.Note vere, trascritte una per una dagli spartitidel Maestro di Bonn. Si proprio lui, il grandeLudwig van, il genio indiscusso, tempestosoindagatore dell’animo umano, la prima granderock-star dei tempi moderni. Qui musa ispiratri-ce di un piccolo Schroeder e del suo papà

Charles Schulz. Certo, ma solo per un motivo:l’idolo di Schroeder avrebbe dovuto essereBach, ma il disegnatore preferì alla fineBeethoven. Perché? Semplice, «suonava piùbuffo». Così vuole la leggenda e le leggendedevono essere rispettate, altrimenti si perde lamagia: come quella che ogni tanto faceva appa-rire, sopra il pianoforte giocattolo del nostrogiovane talento, un busto che riproduceva la

testa di Ludwig van Beethoven. Il soggetto di Schroeder, secondo ifumettofili, compare in realtà solo nel

1951 e viene subito fatto crescere nel-l’arco di tre anni per raggiungereun’età simile a quella degli altri

compagni di giochi. Al debutto nonmostrava caratteristiche particolari, maquando Schulz volle inserire nel fumet-to il pianoforte giocattolo (un regalo perla figlia Meredith), nacque immediata-mente un personaggio davvero singola-re: il pianista estatico, scontroso eincompreso che tutti gli appassionati

della striscia oggi conoscono. Ogni voltache Schroeder si piega sul pianoforte e i

suoi occhid i v e n t a n odue fessure,c a d e n d oquasi in tran-ce, le noteche fluttuanosulla suatesta nonsono sempli-ci macchie dii n c h i o s t r o

disposte a caso o in chiave di Sol. Schulz avevaaccuratamente scelto ogni singolo brano dimusica che ha disegnato, trascrivendo tutte lenote dagli spartiti. Più che un’illustrazione, lamusica era diventata così la colonna sonoradella striscia, un assaggio di quello che oggichiamiamo multimedialità, un anticipo preliba-to di quello che sarebbe stato l’ipertesto, il traitd’union tra le pagine, la ‘chiave’ per legare traloro gli stati emotivi dei personaggi, passandodall’uno all’altro con una nota, formulando unadomanda o sottolineando un’esclamazione.

La musica ha assunto nelle pagine di CharlieBrown le dimensioni e lo spessore di ‘un perso-naggio’ del fumetto, al pari degli altri, perché èla musica a dare alle strisce la giusta tonalità.Questo amava raccontare spesso la figlia

Meredith quando gli chiedevano cosa avessespinto Shultz a scegliere Beethoven e ad inseri-re quelle nuvole di note nelle strisce. E propriola figlia ha impiegato oltre un anno a identifica-re le composizioni, raccogliere le registrazioni ereinterpretare le strisce, per rendere possibile lamostra intitolata Schulz’s Beethoven:Schroeder’s Muse (Il Beethoven di Schulz, lamusa di Schroeder), allestita al Charles M.Schulz Museum in California, con la collabora-zione del Beethoven Center e conclusasi il 26gennaio scorso.

Una mostra che, oltre la possibilità di riper-correre la storia dei Peanuts, ha fornito lo spun-to per qualche riflessione su come la musicapossa interagire con le arti visive, in questocaso il fumetto. Musicologi ed esperti comeWilliam Meredith, direttore dell’Ira F. BrilliantCenter for Beethoven Studies all’università sta-tale di San Jose in California e profondo cono-scitore delle strisce dei Peanuts dedicate allamusica di Beethoven, hanno scoperto una fortecorrelazione tra le note disegnate sulle strisce eil grado di comprensione profonda del messag-gio. C’è molto di più di un semplice tratto dimatita nella passione per la musica diBeethoven da parte di Charles Schulz e giànegli anni Settanta in molti, soprattutto pianisti,l’avevano capito.

Come ricorda in un’intervista rilasciata alquotidiano La Repubblica, un particolare fan diBrown & Co., Nicola Piovani: «… Eravamoragazzi, innamorati di Charlie Brown, provam-mo a suonare quelle note e scoprimmo che cor-rispondevano a opere reali, delle vere suonateper pianoforte».

Questo ci aiuta a capire che se non si legge lamusica, se non si identificano i brani degli spar-titi nelle varie strisce, si perde una grande partedel loro significato. Leggere le note ci permettedi considerare la musica come un vero perso-naggio al pari degli altri, perché è la musica adare alle scene la giusta tonalità.

Schulz, bisogna ricordarlo, amava la musicaclassica e l’ha sempre ascoltata, fin dai tempidell’Istituto d’arte, quando con i compagni gio-cava ‘all’indovina chi suona’, ascoltando perore adagi e sonate. Chissà se l’indovinava tutte,colui che diceva sempre: «… Non pretendo diavere tutte le risposte… A dire la verità nonm’interessano nemmeno tutte le domande».Pensiamo proprio di si, «Good grief!».

Flavio Fabbri

«Al diavolo i posteri, voglio che la mia musica si ascolti adesso,finché sono vivo», disse Kurt Weill poco prima di morire. In

questa frase è compendiato tutto il valore della sua opera attraverso cui,finalmente, la distanza tra la musica colta e quella popolare - ampia a queltempo - cominciò a ridursi in maniera significativa.

Con gli anni l’opera di Kurt Weill è diventata oggetto di culto, soprat-tutto da parte di artisti marcatamente rock: il regista canadese LarryWeinstein ne ha tratto ispirazione per il progetto cinematograficoSeptember song; Sting, Tom Waits, Lou Reed. Nick Cave, PJ Harvey etanti altri hanno inciso (o hanno in repertorio) alcuni dei suoi brani. Laragione di tanta devozione del rock per un autore di musica classica èanche la comune concezione dell’arte come luogo della riflessione, dellaprotesta, della divulgazione di istanze sociali e politiche.

Marianne Faithfull, che interpreta Anna nei Sette peccati capitali (tito-lo originale Die sieben Todsünden), una delle opere più eseguite delmusicista tedesco, si inserisce perfettamente tra questi due mondi musi-cali: il primo rappresentato dalla raffinatezza colta della musica classica,l’altro dalla necessità di utilizzare l’arte come strumento di riflessione eprovocazione per i contemporanei.

Celebre per essere autrice di alcune canzoni leggendarie e provocato-rie - scritte con il compagno di allora Mick Jagger - ma anche per essereuna delle più intense interpreti del pop, nonché attrice di successo (comeha confermato nella sua interpretazione cinematografica più recente,Irina Palm di Sam Garbarski del 2007), Marianne Faithfull ha già incisoin inglese i brani dei I sette peccati capitali nel 1998; negli ultimi annil’ha rappresentata con enorme successo di pubblico e di critica nei prin-cipali teatri del mondo.

L’opera, scritta su libretto di Bertold Brecht, è un balletto cantato, dicui sono protagonisti due personaggi femminili di nome Anna: la prima,immagine della razionalità e del senso pratico, si rivela danzando; laseconda, che invece si esprime col canto e con la recitazione, rappresen-ta l’istinto, la passionalità. Probabilmente due aspetti della stessa perso-nalità, o voci contrastanti all’interno della stessa coscienza.

La forma del balletto dà una maggiore enfasi all’amara ironia della sto-ria, che sottintende una critica sociale spietata, facendo muovere Anna trasette scenari in cui i vizi umani prendono forma come mali sociali della

borghesia. Non a caso Weill e Brecht scrissero l’opera quando si trovava-no entrambi in esilio dalla Germania nazista.

L’Accademia di Santa Cecilia propone la versione inglese dell’opera:diretta da Ingo Metzmachei, va in scena a Roma il 25, il 27 e il 28 apri-le, nella Sala Santa Cecilia, in una serata che prevede la messa in scenadi un altro celebre balletto, il Petruska di Igor Stravinskij, oltre che l’ese-cuzione di Storie di altre storie di Salvatore Sciarrino, uno di più genialicompositori contemporanei. Insieme con Marianne Faithfull su palco cisaranno Mark Bleeke (tenore), Eric Edlund (baritono), Peter Becker(bass-baritono), Wilbur Pauley (basso), ovvero l’Hudson Shad Quartet, ainterpretare i ruoli dei familiari di Anna.

Nicola Cirillo

UN CASSETTO DI CALZE DI LANA,QUESTO È SICUREZZABeethoven è meglio di Bach perché ‘Suona più buffo’: la storia del piano giocattolo che Shulz ha regalato a Schroeder

In occasione del bicentenario dellamorte di Franz Joseph Haydn, avvenu-ta a Vienna il 31 maggio del 1809,l’Orchestra Sinfonica di Roma, sottola direzione di Francesco la Vecchia,ha scelto di eseguire pressol’Auditorium della Conciliazione dellaCapitale alcune delle composizioni perle quali il genio austriaco è più noto.Saranno presentate le ultime cinqueopere che fanno parte delle 12 sinfoniecosiddette «londinesi» (la Sinfonia n.100 Militare il 19 e il 20 aprile, laSinfonia n. 101 La Pendola il 26 - 27aprile, la Sinfonia n. 102 il 2 e il 3 mag-gio, la Sinfonia n. 103 Rullo di timpani il10 e l’11 maggio, la Sinfonia n. 104Londra il 17 e il 18 maggio), e duecomposizioni sacre: il Die letzen worteunseres erlosers am kreuze (Le ultimesette parole di Cristo sulla croce) e ilDie Schopfung (La Creazione).

La scelta di eseguire le ultime sinfo-nie di Haydn (a volte conosciuto, forsecon un eccesso di enfasi, come ‘ilpadre della sinfonia’) rende omaggio achi, comunque, contribuì enormemen-te a riscattare la musica sinfonica (epiù in generale quella strumentale)dalla subalternità rispetto a quellavocale, che in quel tempo si stava impo-nendo sia nelle corti che negli altriambiti sociali. Lo stile di Haydn (cheoggi porta l’etichetta di classico, mache tra i suoi contemporanei fu consi-derato come uno stile innovativo, conorchestrazioni complesse e chiassose)si manifesta al meglio in queste sinfo-nie, che incontrarono un successo

senza precedenti. La ragione è da attribuirsi, probabil-

mente, al grande richiamo ‘popolare’della sua musica, che pure mantieneuna struttura colta e rigorosa: l’inseri-mento di elementi folcloristici (in parti-colare nei finali delle sonate o nell’aper-tura del tema finale) creava una certacontinuità e riconoscibilità in composi-zioni che avevano una struttura forma-le molto elaborata. Elementi stilisticiche si trovano anche nelle due operecon cui l’Orchestra sinfonica di Roma,terminerà le celebrazioni haydniane: Leultime sette parole di Cristo sullacroce (il 24 e 25 maggio,) e l’oratorioDie Schopfung (La Creazione), chesarà eseguito proprio la sera del 31maggio (e replicato il giorno successi-vo). Opere che appartengono all’ultimafase della vita del compositore e cheriflettono anche una maggiore maturi-tà nella scelta dei temi. In particolare«La creazione» contiene il tema delsignificato della vita e dell’umanità erappresenta - per il religiosissimoHaydn - un tentativo di rappresentarein musica l’idea del sublime.

Francesco La Vecchia, direttore sta-bile dell’Orchestra, in tre occasionicede il podio ai colleghi EdwardCumming (il 19 e 20 aprile), MuhaiTang (2-3 maggio), Edvard Tchivzhel(17-18 maggio) per una serie di con-certi con grandi solisti come GiladKarni, Angela Hewitt, Gesualdo Coggi,Marco Fiorni, Andrea Noferini, AnitaSelvaggio, Michael Smallwood, DavidWilson Johnson.

Nicola Cirillo

HAYDN È MORTO!

AL DIAVOLO I POSTERII vizi umani prendono forma come mali sociali della borghesia in sette peccati capitali. Marianne Faithfull li compie tutti

PEANUTS Schroeder e CharlesSchulz Beethoven suona più buffo

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FUTURISMO Centenario Tutti gli innovatori sono stati logicamente futuristi, in relazione ai loro tempi. Palestrinaavrebbe giudicato pazzo Bach, e così Bach avrebbe giudicato Beethoven, e così Beethoven avrebbe giudicato Wagner.Rossini si vantava di aver finalmente capito la musica di Wagner leggendola a rovescio.

Music In � Primavera 2009 CLASSICAMENTEMENTE

M acchine al lavoro, echidi motori lontani,

rumori diffusi, urla, rotturadi giunture metalliche, sinte-si, forse un teatro della sor-presa, un ‘cabaret epiletticoche fa tanta musica’, con lasuggestione infine di avere ilsignor Igor FëdorovicStravinskij tra il pubblico.Un mondo atonale e anar-monico che avrebbe cambia-to per sempre il modo di faremusica. Questo e molto dipiù ci aspetta al Teatrodell’Opera di Roma dal 7al 10 maggio, con il ritornodei Bad boys of piano, glianarcoidi esteti dell’artemusicale, i camaleonti del

Futurismo sonoro: Alberto Savinio, Arthur Vincent Lourié, Alfredo Casella, Virgilio Mortari, SilvioMix, Franco Casavola, George Antheil e Aldo Giuntini. Gli alfieri di un grande movimento artisti-co italiano di respiro internazionale, nato nel 1909 e che proprio quest’anno festeggia i suoi primi100 anni.

Il Teatro dell’Opera di Roma renderà così omaggio a quella che da molti è stata definita l’ultimaavanguardia artistica del Novecento nel nostro Paese, forgiata dal furore creatore dei suoi esponen-ti più carismatici: da colui che ne coniò il termine, Filippo Tommaso Marinetti, da UmbertoBoccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Luigi Russolo, Gino Severini e tanti altri nomi più o menonoti. Una vita, quella del futurista, che doveva essere scandita dalla creazione continua e dal tremo-re delle idee, fino al fanatismo tecnologico e all’abisso oscuro, cosciente o meno, in cui il fascismoprima e la Grande Guerra poi trascinò molti di loro. Alcuni abbracciarono l’impeto bellicoso, facen-do del Futurismo più una fede politica che una pratica culturale, altri se ne allontanarono portandocon sé, comunque, la forza pura e primigenia dell’istinto creatore futurista. Casella non si definìmai un futurista, come non lo era Savinio, ma le loro opere portavano e portano inevitabilmente isemi dell’avanguardia artistica, come i Deux contrastes dedicati a Boccioni e alla sua prematurascomparsa, o gli Chants con il loro carico di innovazione tecnica.

Vale lo stesso per gli altri autori in programma, fin da subito dichiaratisi figli del Futurismo, videdicarono la loro vita artistica, sociale e politica, tesa alla creazione di suoni e mondi sonori ine-diti, che il pianista Daniele Lombardi riproporrà al Teatro dell’Opera di Roma in un’atmosfera sine-

stetica e storicamente proiettata all’indietro. Sì, proprio al passato, lungo un percorso in cui i colo-ri, le luci, la musica, la danza e i filmati saranno la miscela base per rinnovare il clima futurista deltempo, tutto lanciato, invece, verso quello spettacolare futuro tecnologico e multisensoriale in cuinoi oggi viviamo.

Anche gli allestimenti grafici, con evidenti richiami ai lavori di Antonio Sant’Elia, lo stessoAlberto Savinio, Pablo Picasso e Fernand Léger, spingeranno il pubblico tra le braccia della storia,quella dimensione temporale che i futuristi non hanno mai amato, rivolti anima e corpo al futuro ealla radice del progresso, al domani radioso, che qualcun’altro ha chiamato Il sol dell’avvenir. Unospettacolo pensato sulle linee teoriche dell’avanguardismo, con il corpo di ballo del Teatrodell’Opera, il soprano Susanna Rigacci e le coreografie di Ileana Citaristi, Vittorio Di Rocco,Tadashi Eudo, Mario Piazza, Luca Veggetti e Gillian Whittingham. Una tempesta animata dallelinee-forza dinamiche delle note, dalla potenza visiva e visionaria del cinema, dalla poesia fisicadella danza, dal sex appeal immateriale del video e quindi dalla musica deformata a rumore e a lin-guaggio delle macchine.

Franco Casavola (1891-1955) è stato forse il più conosciuto del folto gruppo dei Bad boys ofpiano: compositore, direttore d’orchestra, critico d’arte e scrittore, porterà la sua firma il Manifestosul Futurismo musicale in Puglia. Ebbe come maestro il grande Ottorino Respighi e nello stile alcu-ni vi ritrovano anche la poetica colorita e pedissequa di Giuseppe Mulè. Non meno interessanti sonole produzioni musicali di Silvio Mix e Francesco Pratella, tra i firmatari del Manifesto dei musici-sti futuristi nel 1911 e del successivo La musica futurista-Manifesto tecnico: «… Tutti gli innovato-ri - scriveva Pratella nel Manifesto dei musicisti - sono stati logicamente futuristi, in relazione ailoro tempi. Palestrina avrebbe giudicato pazzo Bach, e così Bach avrebbe giudicato Beethoven, ecosì Beethoven avrebbe giudicato Wagner. Rossini si vantava di aver finalmente capito la musicadi Wagner leggendola a rovescio!».

Tentativi di rinnovare la musica, di strapparle di dosso quel velo di popolarità, tradizione o fol-clore che tanto il movimento rifiutava, fino all’incitamento a «disertare i conservatori, i licei e leaccademie, e determinatene la chiusura; si vorrà certamente provvedere alle necessità dell’espe-rienza, col dare agli studi musicali un carattere di libertà assoluta».

La ricerca profetica di ‘sgocciolii’ e ‘fruscii’, intesi quali suoni e non come rumori, quindi le anti-cipatrici realizzazioni meccano-sonore dell’Intonarumori e dell’Arte dei rumori di Luigi Russolo,oggi riconosciuto come antesignano della musica elettronica contemporanea. Fino ai cosiddetti«rumori trovati», già sperimentati negli spettacoli radiofonici di Marinetti e alla base delle avan-guardie musicali anni Sessanta, di artisti eclettici come John Cage e Steve Reich.

Concludendo, con le parole del Manifesto della musica futurista di Pratella, per i Futuristi biso-gna sempre e solo: «… Liberare la propria sensibilità musicale da ogni imitazione o influenza delpassato, sentire e cantare con l’anima rivolta all’avvenire, attingendo ispirazione ed estetica dallanatura, attraverso tutti i suoi fenomeni presenti umani ed extraumani». Che il pubblico romano delTeatro dell’Opera si prepari.

Flavio Fabbri

cosa dobbiamo quel senso di inquietu-dine e terrore che ci pervade mentreassistiamo alle scene salienti del film

horror Shining di Stanley Kubrick,come il palesarsi definitivo della pazzia di JackTorrance, alias Jack Nicholson o l’apparizionedelle gemelle Grady a suo figlio Danny? È pos-sibile che, se non del tutto, almeno in parte talesensazione ci derivi dall’incalzare delle notedell’opera per orchestra Lontano di GyorgyLigeti. Dello stesso Ligeti, è anche la musicaAtmospheres che aleggia lungo le scene di 2001Odissea nello spazio insieme a molte altreopere del compositore transilvano.

È in questi e in numerosi altri componimentidi Ligeti che emerge l’anticonvenzionalismodel suo linguaggio artistico; che si concretizzaquell’abbandono totale di melodia, armonia,ritmo, in favore della supremazia del timbro delsuono; che prende formaquel fenomeno chia-mato, con un termi-ne coniato daLigeti stessomicro polifo-nia. Una tec-nica tramitecui l’autore,servendosi dicanoni escrittura poli-fonica, togliealle varie vocila loro specificaidentità melodica,rendendo l’organicouna densità sonora chemodifica il timbro. Lamicropolifonia e l’uso antidogmaticodel linguaggio musicale quanto verbalepermeano tutta la produzione di Ligetifino agli anni 70 rendendo i suoi lavoridelle vere e proprie anti-opere, radicalmen-te distaccate dalla tradizione, cui si guardasolo attraverso una lente deformante. Ma qual-cosa cambia nell’ultimo periodo creativo diquesto compositore ebreo nato nel 1923 nellacittà ungherese Dicsoszenmarton. Ligeti senteinfatti di dover ripensare il proprio linguaggio:da un lato sviluppando la componente mimica,già presente in sue opere precedenti, dall’altrorecuperando elementi più vicini alla tradizione.

È in questo contesto «retrospettivo» chenasce Le Grand Macabre, opera in due atti equattro scene composta tra il 1975 ed il 1977,revisionata nel 1966, definita dal suo stessoautore un’anti-anti-opera, caratterizzata daun’azione evidente e da un testo comprensibile,in contrapposizione all’anti-operismo diMaurice Kagel. Anti-operismo che trova la suamassima espressione nello Staatstheater(Balletto per non danzatori) del compositoreargentino fautore del teatro strumentale, la cuiopera, improntata al teatro dell’assurdo, si allon-tana dai classici del passato ripensandoli e dis-sacrandoli in una deformazione parodistica.

Le Grand Macabre sarà per la prima volta inscena a Roma al Teatro dell’Opera con 5 reci-te: il 18-19-20-21-23 giugno. Un nuovo allesti-mento del Teatro La Monnaie di Bruxelles incoproduzione con il teatro dell’Opera di Roma,l’English National Opera di Londra e il GranTeatro Liceu di Barcellona, diretto del Maestro

Zoltan Peskò e per la regia di Alex Ollè.Rappresentata per la prima volta il 12 apri-

le 1978 al Teatro Reale dell’Opera diStoccolma, ente e committente tramiteGoran Gentele direttore del Teatro, LeGrand Macabre è un’opera in due atti equattro scene, su libretto di Michael

Meschke, liberamente ispi-rata ai toni grotteschi,

all’atmosfera misti-ca e carnevalesca

presenti nellapièce teatraleLa ballade dugrand maca-bre deldrammatur-go belgaMichel deGhelderode,

nonché aitemi fantastici,

ai raccapriccian-ti, apocalittici sce-

nari dei quadri diBrueghel.

È infatti proprio a Brueghellandia che giungeNekrotzar, le grand macabre, per annunciare lafine del mondo e dare il via con l’aiuto del-l’ubriacone Piet al dies irae. L’angelo dellamorte si imbatterà nel corso della sua opera in

due coppie di amanti dai nomi ridicoli: Amandoe Amanda; Mescalina ed Astradamors; nonchénel principe Go-Go nel cui palazzo Nekrotzarfa la sua apparizione accompagnato da unamusica terrificante, tema distorto del finaledell’Eroica di Ludvig van Beethoven. Ma leperipezie dei personaggi culminano in un ina-spettato finale, non si sa se più lieto o grottesco,in cui la Morte unitasi agli stravizi di Piet eAstradamors stramazza al suolo ubriaca, essen-do così l’unica a perire in questo parodisticoGiorno del Giudizio.

La trama di Le Grand Macabre è già emble-matica della dimensione ironica che caratteriz-za quest’opera di Ligeti, incontro felice tra i piùdisparati generi teatrali e musicali. Tradizioneoperistica, music hall, teatro delle marionette,teatro Alfred Jarry da un lato; jazz, musica fol-klorica magiara citazioni classiche di Giuseppe

Verdi, Gioachino Rossini e Ludvig vanBeethoven dall’altro; sono gli ingredienti diquesto pastiche dalle tinte umoristiche ed ironi-che che tuttavia non possono non imprimere unforte senso di inquietudine ed irrequietezza inchi vi assista.

Livia Zanichelli

DISERTARE I CONSERVATORICento anni di Futurismo e di musica d’avanguardia: ‘Bad boys’ per un piano, quello di Daniele Lombardi

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CRONACHE DI BRUEGHELLANDIAUn’anti-anti-opera, un «pastiche» grottesco, frivolo ed assurdo, dal music hall al teatro delle marionette jazz, folclore magiaro,citazioni classiche, echi verdiani, rossiniani, beethoveniani. Pur sempre la Morte, nel Grand Macabre di Gyorgy Ligeti

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SOUNDSOUNDa cura di ROBERTA MASTRUZZI

MOKADELIK L’intervista aCristian Marras Nella moka caffè,Salvatores e Ammaniti. Da servire caldo

CHE GUEVARA AlbertoIglesias, un eclettico, racconta inmusica la vita del Comandante

ONDA Disoccupazione, ingiustizie sociali,malcontento, inflazione, nazionalismo esa-sperato favoriscono la nascita di una dittatura

Music In �� Primavera 2009

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COME SALVATORES COMANDAQUATTRO FORMAGGI È OSSESSIONATO DA DIO, DAL PRESEPIO E DA UNA PORNODIVA (MA CHI NON LO È?)

N ati nel 2000 con l’iniziale nome Moka, iromani Mokadelic mescolano sapiente-

mente post rock e suggestioni psichedeliche inun impasto sonoro denso e rarefatto allo stessotempo nel suo incedere esclusivamente stru-mentale. Con due dischi e diversi ep all’attivo,già protagonisti con la loro musica di diversicortometraggi e partecipi del progetto Violenza124 con Niccolò Fabi, vengono in seguito inca-ricati dal registra Gabriele Salvatores di com-porre la colonna sonora per il suo film ComeDio comanda, tratto dall’omonimo romanzo diNiccolò Ammaniti. Music In approfondiscequesta interessantissima realtà alla ribalta.Com’è avvenuto l’incontro con GabrieleSalvatores?

L’incontro artistico è avvenuto quasi per caso:un giorno Gabriele Salvatores ha sentito a casadi un amico comune il nostro precedente lavoroHopi e giudicando le atmosfere che avevamodescritto nel nostro precedente album in lineacon quelle che aveva intenzione di descrivere inCome Dio comanda siamo entrati in contatto.Niccolò Ammanniti l’avete conosciuto?

Lo abbiamo conosciuto di persona a casa suaa Roma in occasione dell’ascolto collettivo del-l’opera Violenza 124 di Niccolò Fabi.La vostra musica già in passato era diventa-ta colonna sonora per alcuni cortometraggi.Salvatores invece vi ha chiesto di scriverebrani liberamente ispirati alle atmosfere e aitemi che sarebbero stati affrontati nel film:

composizioni suggerite dalla sceneggiatura,dai luoghi, dai personaggi. Cosa ha compor-tato questo modo di procedere differente peril vostro approccio alla composizione?

Questo ha comportato per noi una immersionenel mondo che veniva descritto da Ammaniti, unmondo dalle tinte molto forti, decise, drammati-che, un metodo per noi assolutamente nuovo einusuale anche nel cinema. Fino a Come Diocomanda infatti abbiamo avuto esperienze comecolonne sonore ma in maniera differente, i nostribrani venivano utilizzati a commento delle imma-gini dopo che questi erano già ultimati effettuan-do così solo un lavoro di editing. In questo casoinvece siamo partiti dalla psicologia dei perso-naggi, dalle sensazioni che noi per primi aveva-mo provato nel conoscere la storia e le abbiamotrasportate nei temi principali che poi sono anda-ti a comporre la colonna sonora del film.Avevate già letto il romanzo di Ammanitiprima di accettare l’incarico di comporre lacolonna sonora per Come Dio comanda?

Alcuni di noi si, altri no, in ogni caso leggereil libro e la sceneggiatura, firmata anch’essadallo stesso autore, è stato un passaggio fonda-mentale e precedente all’intero lavoro dunque ilvero punto di partenza di tutto il processo. Senzaleggere il libro sarebbe stato tutto molto più dif-ficile, mentre conoscere i personaggi fino al loroprofondo ha aiutato ad esprimere in musica ciòche con le parole non è possibile esprimere.Una volta terminate le riprese, come è stato

vedere il film con la vostramusica ad accompagnarlo?

È stata davvero una forteemozione. Una caratteristicadel f i lm è quel la di farparlare i personaggi attraversola musica, che quindi ha rico-perto anche un ruolo fonda-mentale, per questo essereinvestiti di una tale responsabi-lità ci ha lusingato.Come Dio comanda, oltre cheun romanzo ed un film, è anche un disco deiMokadelic a tutti gli effetti. Post rock e psi-chedelica gli ingredienti principali per untipo di musica strumentale che spesso sem-bra nascere anche dall’improvvisazione. Dacosa o da chi vi sentite ispirati nel momentoin cui prende vita un brano dei Mokadelic?

Niente in particolare se non dalle sensazioniche proviamo nel momento in cui iniziamo a suo-nare. Sicuramente l’incipit è l’improvvisazione,che è per noi il metodo di creazione più natura-le che avviene per ognuno in maniera molto libe-ra. Una volta individuate delle idee interessantisi inizia a condividere e lì nasce il lavoro digruppo. Il risultato che assume le sembianzemokadeliche però è qualcosa che va al di là dellevolontà e delle abilità di ognuno di noi.

Il 2008 è stato sicuramente un anno impor-tante per voi. Vi ha visti protagonisti anchedel progetto Violenza 124 con Niccolò Fabi,

che tra l’altro è presente al piano anche inalcuni brani di Come Dio comanda. Cosa hasignificato per voi questo progetto e in parti-colare la collaborazione con un artista affer-mato da anni nel panorama italiano?

Ha rappresentato innanzitutto una grandepossibilità: collaborare con Niccolò infatti ci halusingato, anche perché ha coinvolto nel proget-to persone che stima tantissimo e per noi fareparte di quella cerchia è stato motivo di grandesoddisfazione. Inoltre la natura del progetto ci èsembrata davvero particolare, una occasioneper sperimentare un metodo nuovo di fare musi-ca e per noi una sfida molto appassionante.Cosa c’è invece nel futuro dei Mokadelic?

Portare il più possibile in giro la nostra musi-ca con i live. Dopo tanto tempo passato in stu-dio, ora fare concerti è diventata una vera neces-sità per noi che siamo una band che ha sempresuonato più dal vivo che in studio.

H ave you ever seen a one-legged dog making its waydown the street? La ballata acustica che Bruce

Springsteen ha scritto per The Wrestler di Darren Aronofskynon è solo la musica che accompagna i titoli di coda, ma èanche la sua chiave di lettura.

Mickey Rourke interpreta Randy «The Ram» Robinson,eroe del wrestling americano degli anni 80, che venti annidopo aver raggiunto l’apice del proprio successo, si trova afare i conti con se stesso. La vita non è facile, soprattutto sesei stato acclamato come un eroe, ti hanno fatto credere diessere indistruttibile e invece ti ritrovi con un corpo che riven-dica il suo diritto ad invecchiare.

È cosa abbastanza nota che nel wrestling tutto sia finto e ilregista ci mostra come negli spogliatoi ogni botta, ogni colpo

basso sia pianificato a tavolino. Forse non tutti sanno però che, al contrario di quanto succede neifilm, il sangue è tutto vero. Come in molti mestieri, più o meno leciti che siano, il corpo è strumen-

to di lavoro, ma qui è anche un corpo che volontariamente soffre, si procura ferite profonde, sop-porta i dolori più estremi fino a diventare carne da macello. E tutto perché lo spettacolo continui.Poi, quando si spengono i riflettori, ci si ritrova fare i conti con l’altra parte della vita.

Quella in cui non puoi sbagliare, perché un colpo dato male è una ferita nell’anima di qualcun’al-tro. È così che Randy deve confrontarsi con una figlia (Evan Rachel Wood) che ha abbandonato econ la quale tenterà di riavvicinarsi, con l’amore per una ballerina di lap-dance non più giovanissi-ma (Marisa Tomei) con cui vorrebbe ricostruire una famiglia, con un cuore malato che non gli con-sente di fare ciò che più ama al mondo, il suo lavoro. Ma il destino non si può cambiare e alla fine,come salmoni che risalgono la corrente per tornare al luogo in cui sono nati, ognuno arriva alla pro-pria meta.

Il richiamo è troppo forte, la gente vuole il suo spettacolo e l’avrà, anche a costo della tua stessavita. La risposta è nelle parole del Boss, che ogni volta che viene chiamato dal cinema non deludegli spettatori e come già con Philadelphia, Dead Man Walkin’ e The Fuse (scritta per La 25° ora)aveva inchiodato il pubblico alle poltroncine del cinema fino all’ultimo dei credits, così anche inthe wrestler Springsteen incanta e invita a riflettere sul triste destino di certi eroi: If you’ve ever seena one-legged dog then you’ve seen me.

THE WRESTLERSE MAI VEDESSI UN CANE CON UNA ZAMPA SOLA, QUELLO SONO IO

sono stati fatti davvero pochi di film suChe Guevara. Considerando la mole del

personaggio, il mito che alimenta se stesso e laforza catalizzatrice, non si capisce perché dal1969 sono state girate solo 7 pellicole. Steven

Soderbergh ne hafirmate addirittu-ra due, in realtàun unico prodottocinematograficoche il mercato hachiesto di scinde-re in due: Che-L’argentino eChe-Guerriglia(sugli schermiitaliani rispettiva-mente ad aprile emaggio).

Sono questidue ottimi film infondo, che vedo-no Benicio DelToro interpretarein modo superbo

il Comandante Guevara, tanto da aggiudicarsi laPalma d’Oro come Miglior Attore a Cannes2008. Una produzione cinematografica moltolunga (sette anni), tra biografie più o meno uffi-ciali e consulenze, che poi in fin dei conti nonstravolgono più di tanto la biografia del ‘Che’che tutti conosciamo. Una storia infinita, tra libri,pellicole, ricordi e speranze mai infrante, cheanche la musica ha continuato ad alimentare edaccrescere.

La colonna sonora del ‘Che’ di Soderbergh,(in Italia ancora non disponibile), è uscita negliStati Uniti con l’etichetta Varese Saraband e inun unico cd. Musica curata dal compositore

spagnolo Alberto Iglesias, fedelissimo collabo-ratore di Pedro Almodovar (Tutto su mia madre,Parla con lei, La mala educación) con cui havinto sei Goya, ricevendo anche una nomina-tion ai Golden Globe per la miglior colonnasonora di Il cacciatore di aquiloni e agli Oscarper The Costant Gardener.

Un compositore eclettico, esperto malgradola giovane età, che spesso è passato a comporredalla musica sinfonica a quella da camera, dalladanza classica a quella moderna. In questasoundtrack sono da evidenziare due pezzi moltosignificativi: Fusil contra fusil di SilvioRodriguez e Balderrama di Mercedes Sosa.Due score piene di malinconia, passione, amoreper la vita e per i propri ideali, che vedono lapartecipazione di due artisti molto popolari,rispettivamente dalla tradizione cubana e argen-tina. Tracce di forte impatto narrativo, comeSierra Maestra o Luces Y Sombras, che fannoda cassa armonica al coinvolgimento del CheGuevara nella ribellione di Fidel Castro controil regime di Fulgenzio Batista nel 1959 a Cuba.

Mentre nel secondo episodio, quando il Cheaccoglie su di sé la missione di diffondere l’idearivoluzionaria in tutta l’America Latina parten-do dalla Bolivia, emergono le tracce I Want ToTake The Revolution To Latin America e PatriaO Muerte che fermano in note drammatichequanto evocative i momenti più emozionanti.

Si arriva così all’epilogo, che per noi coinci-derà al cinema con l’episodio Che-L’argentino,quando il Comandante troverà la morte nel1967, fucilato da un reparto militare antiguerri-glia boliviano assistito da agenti speciali dellaCIA, che il tema musicale La Higuera, October9, 1967 (luogo, giorno e anno della sua morte)sottolinea solennemente, accompagnando lafine dell’uomo e la nascita del mito.

CHE GUEVARAQuali sono i fattori che favoriscono lanascita di una dittatura in un Paese?»«La disoccupazione, le ingiustizie socia-

li, il malcontento, l’inflazione, il nazionalismoesasperato

Queste sono le risposte degli allievi di RainerWenger, docente che tenta di spiegare ai suoiragazzi cosa sia l’autarchia. Siamo inGermania, ma potrebbe essere l’Italia o qualsia-si altro Paese del mondo. Siamo ai giorni nostri,ma ciò che viene raccontato nel film L’onda èrealmente capitato nel 1967 in una scuola diPalo Alto, California. Per far capire ai propristudenti come il pericolo del nazismo sia sem-pre dietro l’angolo, un inse-gnante inizia un esperimen-to: trasforma la sua classein un movimento - «l’on-da» che dà il titolo al filmdel regista Dennis Gansel -invitando tutti a seguire unarigorosa disciplina, avestirsi in un determinatomodo, inventando gesti diriconoscimento e piccoliriti e assumendo egli stessoil ruolo di guida. Nulla dipericoloso all’apparenza. Iragazzi accettano con entu-siasmo il compito, quasi ungioco per loro, sperimen-tando la potenza e il fascinodel sentirsi parte di ungruppo. Ma quando l’ugua-glianza diventa omologa-zione, non c’è più spazioper le voci fuori dal coro ela coesione del gruppo diventa violenza controchi non ne fa parte. Dopo soli sei giorni, la

situazione è inevitabilmente compromessa el’esperimento deve essere interrotto.

Per una volta, non parleremo della colonnasonora, seppur essa risulti perfettamente inte-grata al contesto, con i suoi ritmi incalzanti efrenetici, quasi volesse gridare un disagio trop-po grande da sopportare, per dare invece risaltoal senso profondo del film, che è prima di tuttoun monito contro chi pensa che il fascismo e ilnazismo siano episodi storici e isolati.Cambiano nome, forma ed appartenenza politi-ca ma sono sempre lì, negli angoli più nascostidel nostro animo, perché l’uomo è anche istin-to. Ed è un istinto di sopravvivenza, innanzitut-

to. Non a caso sono le per-sonalità più deboli a cedereper prime al richiamo del-l’ideologia: per sentirsifinalmente gratificati dal-l’appartenenza ad unacomunità e per sopravvive-re all’interno di una societàsempre più indifferenteall’esigenze più profondedell’animo umano. Ilrischio è quello di caderenell’errore di pensare checerte debolezze capitinosolo agli altri. Ma già rite-nere di essere migliori delresto dell’umanità è forse ilprimo passo verso l’autar-chia, concetto ben sintetiz-zato da uno dei protagonistiall’inizio del film: «quandoun singolo uomo o un grup-po ha il potere di fare le

leggi per sé e per il proprio gruppo senza alcu-na reale opposizione».

L’ONDA

Roberta Mastruzzi

Roberta MastruzziFlavio Fabbri

«»

a cura di Gianluca Gentile

Ne

RIVISTA primavera.QXP 22-04-2009 13:51 Pagina 12

Page 13: Music In n. 9 Primavera

ARIA L’intervista a Roberto HerlitzkaRespirare non vuol dire aspirare se nei pol-moni non c’è aria, ma vuoto.

CINEMA ITALIANO Le colon-ne sonore di Enzo Pietropaoli,Fulvio Maras e Giovanni Venosta

REVOLUTIONARY ROAD ThomasNewman ancora su un film di Sam Mendes

Music In �� Primavera 2009 SOUNDSOUNDttttrrrraaaacccckkkk iiii nnnngggg

DDopo American Beauty Sam Mendes torna araccontare la famiglia americana a modo

suo, e così anche in Revolutionary Road la vitafamiliare è rappresentata senza ipocrisie eromanticismi. La sceneggiatura nasce dal librodi Richard Yates e nella sua versione cinemato-grafica il ruolo dei protagonisti è affidato a

Leonardo DiCaprio e KateWinslet.Ancora una

volta, comein tutti i pre-cedenti filmdi Mendes,la colonnasonora è diT h o m a sN e w m a n .Nella sound-track il com-p o s i t o r esembra quasicitare sestesso: lamusica ricor-

da molto quella scritta nel 1999 dallo stessoNewman per il film interpretato da KevinSpacey e Annette Bening con cui il registainglese esordì e che gli valse l’Oscar. Ma qui, inRevolutionary Road, nella sceneggiatura e nellamusica, manca quella nota di ironia e leggerez-za con cui in American Beauty il regista ripren-deva i suoi personaggi.

A guardar bene, la differenza sta proprio nelfatto che nel primo film erano «personaggi»appunto, rappresentativi ognuno di un partico-lare tipo di genere umano: il quarantenne incrisi, la madre in carriera, la ragazzina un po’lolita, il padre severo e così via. Nell’ultimofilm di Mendes, i personaggi sono diventati«persone» e hanno acquisito sfumature ancorapiù reali e proprio per questo drammatiche. Lamusica che in American Beauty quasi commuo-veva ora è tragica, la poesia ha lasciato il postoalla realtà.

Il titolo non inganni: Revolutionary è solo ilnome della strada di una cittadina nelConnecticut dove vivono i protagonisti, Frank eApril. Quando si conoscono lui ancora non sacosa fare della sua vita, lei studia per diventareattrice e si sentono destinati a diventare qualco-sa di speciale. Il tempo passa e Frank si ritrovaintrappolato in un lavoro che non ha scelto,April ha rinunciato alle sue ambizioni artisticheper dedicarsi alla famiglia.

I sogni giovanili hanno ceduto il passo all’ur-genza della realtà: la casa da comprare, i figli dacrescere, le regole della convivenza sociale.Sono gli anni Cinquanta e il conformismo è larisposta all’insicurezza di una società appenauscita dalla guerra: gli uomini con abito scuro ecappello al lavoro e le donne con grembiule dacucina e messa in piega perfetta accanto alfocolare. Qualcosa non va nel rapporto tra i duee la donna immagina un futuro diverso in unluogo dove poter vivere liberi e realizzare i pro-

pri sogni, Parigi. Mai sottovalutare la potenzadell’immaginazione: l’idea di lasciarsi tutto allespalle e ricominciare da capo in un’altra cittàsembra appianare ogni conflitto. Il risveglio dalsogno sarà brusco e inevitabilmente tragico.

La tesi di Sam Mendes è che la nuova formadi schiavitù sia il mutuo da pagare, invenzionedell’età moderna per consentirci di vivere l’illu-sione che a questo mondo tutto si possa com-prare, a rate. Ma queste ti legano per sempre aun progetto che può cambiare, a un amore chepuò finire, a un lavoro che non puoi lasciare. Loscontro con la realtà può essere molto duro eper fuggire da essa (e da se stessi) ci si inventaun posto dove essere felici. È così in tutto ilmondo, che siano gli anni Cinquanta o il ventu-nesimo secolo, che sia il Connecticut ol’Europa, ognuno sogna di essere da qualchealtra parte: Parigi o New York, cambia solo lasponda da cui si guarda l’Oceano. La felicitàsembra essere sempre al di là di qualcos’altro.

Roberta Mastruzzi

La colonna sonora la scrive quello stes-so Allevi che considera la musica

«parente stretta della settima arte», che è lacinematografia, una «colonna sonora di filmimmaginari». Questa volta il film c’è, è uscitosolamente in due sale a Roma nel WarnerVillage Parco dei Medici e nel CineplexGulliver - e rischia di passare inosservato comequei piccoli capolavori coraggiosi che affronta-no temi delicati. La disforia sessuale, l’infelici-tà, il buio, la rinnegazione di se stessi sino allarinuncia a suonare il pianoforte. RobertoHerlitzka è qui ed è un uomo, una donna e unpianista.

Cosa ha trovato in Giovanni?Ho trovato il significato del percorso che ho

compiuto per immedesimarmi. L’aspirazione aun tipo di bellezza che non si possiede si identifi-ca, nell’uomo, con il significato attribuito all’im-magine femminile, quella che Giovanni diversa-mente non desidera possedere indirettamente,tramite una donna, ma avere per se stesso.

Essendo un artista trasferisce il proprio desi-derio dentro quell’aspirazione alla bellezza cheanche l’artista vuole rappresentare. Nel caso di

questo personaggio l’identificazione è addiritturafisica, pur sempre impossibile, quindi dolorosa.La musica svolge un ruolo di catarsi?

Nella storia ciò non accade, niente catarsi: lamusica rappresenta sì un richiamo a qualcosache Giovanni aveva molto desiderato ma a cuilui rinuncia. Durante l’infanzia e la giovinezzaattraverso di essa riusciva ad ottenere parte diquanto nascostamente desiderava; poi, per cre-arsi una vita normale, reprime tutto.Abbandona anche la musica e, all’apparire diquel bisogno ecco che essa diventa un tormen-to più che una salvezza.Lei suona qualche strumento?

Ho studiato da ragazzo il pianoforte, per lun-ghi anni ho letto la musica di mia iniziativa, nello spettacolo teatrale Le tre sorelle diCechov suonavo il piano.

Nel film ho suonato solo nella scena in cui ese-guo in un bar un «mio» brano, in realtà compo-sto da Giovanni Allevi; nel resto del film fingo disuonare Bach durante il concerto o Brahms incasa con mia figlia, ma si tratta di riproduzionida dischi.Com’è stata la collaborazione con Allevi,avendo voi un punto di incontro che è stata lamusica e una necessità di collaborare cheimmagino più forte per lei rispetto agli altri?

Devo ammettere che Allevi l’ho visto una solavolta quando, prima che cominciassimo a gira-re, venne chiamato dalla produzione per mostra-

re come si sta seduti al piano-forte agli attori Olivia Magnanie Francesco Martino (che inter-preta me da giovane). Io non neho avuto bisogno. L’ho cono-sciuto allora e, con gli altriattori, abbiamo trascorso delleore insieme ma non c’è statauna collaborazione vera e pro-pria, anche perché la colonnasonora è stata composta dopoaver girato il film.Che cosa la musica aggiungeal film?

Le composizioni originali diAllevi per accompagnare il filmsono suggestive; accanto adesse i classici come Bach,Brahms, Chopin, Beethoven, dicerto «non guastano». Cosa rappresenta per lei lamusica e quale genere prefe-risce?

Sono appassionato, la ascolto, vado ai concer-ti. Ho ascoltato tanti cantanti quando ero ragaz-zo, ora di meno. Apprezzo la musica classica,non direi che la preferisco ma è difficile fare unadistinzione tra classica e leggera perché se unacanzone è molto bella può dare un’emozione nontanto diversa da una composizione; la musicaclassica tocca più nel profondo, arriva proprio

allo spirito, la canzonesi ferma a uno stadio piùsentimentale.Quale pezzo le ha datoun’emozione?

Se ne citassi solamen-te uno farei un torto adaltr ; mi piacevano mol-tissimo le canzoni diLucio Battisti e Mina,brani che fanno partedella mia giovinezza, unmomento in cui interes-sano di più le canzoni;mentre, per la musicaclassica, quando sentoChopin mi pare sia il piùbello, ma Bach mi emo-ziona di più. A quali altri progetti sidedicherà?

Girerò la versionecinematografica di

Edipo a Colono, uno spettacolo teatrale scritto eridotto per il cinema dal regista RuggeroCappuccio, che a teatro ho già interpretato in unmonologo anche calandomi in altre parti con iburattini, come vecchio puparo siciliano. Nellasceneggiatura cinematografica sarò un profes-sore un po’ fuori di testa con dei ricordi similialla vicenda di Edipo. Un Edipo vedente.

REVOLUTIONARY ROAD

La bella notizia è: esistono registi italianiche tentano di battere nuove strade

espressive, cosa insolita per il cinema nostranodegli ultimi anni. Quella cattiva è che il risulta-to è a volte deludente, e non solo a livello di«incasso al botteghino».

È il caso ad esempio di Aspettando il sole,prima opera di Ago Panini, regista che viene dalbel mondo della pubblicità: nonostante un castdi tutto rispetto, formato dagli attori più noti del-l’ultima generazione - Giuseppe Cederna,Claudio Santamaria, Raoul Bova, ClaudiaGerini, Vanessa Incontrada e molti altri - è rima-sto in pro-grammazionenelle sale ilbreve spaziodi una setti-mana o pocopiù.

Al pubbli-co, ma anchea parte dellacritica, non èpiaciuto iltentativo di«confeziona-re» un filmche ricordatroppo davicino nellatrama e nelsuo svolgi-mento registicome RobertAltman (unc o m p l i c a t ointreccio divite e destini)e Quentin Tarantino (il rac-conto si svolge nelle cameredi un albergo - vedi FourRooms - e non mancanoscene alla Pulp Fiction).

Ambientato in una nottequalsiasi del 1982, quando -come dice il regista - eraancora possibile perdersiprima che l’avvento di telefo-nini, internet e navigatorisatellitari ci rendesse tutticostantemente rintracciabili,il film è da apprezzare per lascelta coraggiosa di affidarela colonna sonora a NicolaTescari, giovane compositoreautore della colonna sonoradi Texas.

Tra gli interpreti del filmc’è Raiz, voce storica degli Almamegretta, esarebbe stato logico affidare la musica del film alui che invece si limita ad interpretare nel finaleun suo brano, Sole, in una nuova versione com-

pletamente riarrangiata dallo stesso Tescari edeseguita dagli Hotel Bellevue (dal nome dell’al-bergo in cui si svolgono le vicende), gruppo dimusicisti del calibro di Enzo Pietropaoli eFulvio Maras, riuniti insieme per l’occasione. Ilrisultato è un’ottima colonna sonora, inconsuetae in linea con lo spirito noir che accompagna ilfilm. Le corde del contrabbasso di EnzoPietropaoli - che già con Note di basso, il suoultimo lavoro per contrabbasso solo, ha lasciatointendere quanta forza inespressa ci sia nel suostrumento - lasciano vibrare nell’aria un suonomorbido e doloroso allo stesso tempo.

Molto più convenzionale invecela colonna sonora che GiovanniVenosta ha scritto per il nuovo filmdi Roberto Faenza, Il caso dell’in-fedele Klara. Il tema centrale delfilm, tratto da un romanzo diMichal Viewegh, è l’eccessivagelosia di Luca, musicista italianointerpretato da ClaudioSantamaria, verso la fidanzataKlara (Laura Chiatti) che lo porte-rà ad assumere un investigatoreprivato per trovare le prove dell’in-fedeltà della ragazza.

Il film gioca su due piani, la pas-sione e il dramma di Luca contro lafreddezza e lo sguardo cinico del-l’investigatore, e la musica si tienein equilibrio nel gioco delle parti,spaziando tra vari stili, dal jazz alreggae, e utilizzando strumenti

come il cimbalomungherese e il mandoli-no (il film si svolge traPraga e Venezia).

Venosta, finora notosoprattutto per le colon-ne sonore dei film diSilvio Soldini, si ispiradeliberatamente aEnnio Morricone(Indagine su un cittadi-no al di sopra di ognisospetto) ed inseriscesuoni un po’ vintage,come lo scacciapensierio il fischio, che richia-mano i tempi d’oro deifilm polizieschi anni 70e della commediaall’italiana. Una colon-na sonora costruita adarte, un po’ scontataforse, ma capace di farrivivere i tempi in cui ilcinema italiano era

ancora capace di emozionare e divertire senzafar sentire stupidi gli spettatori.

Roberta Mastruzzi

NOTIZIE: UNA BELLA UNA BRUTTA

«ASPETTANDO IL SOLE» E «IL CASO DELL’INFEDELE KLARA»

�� CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA a cura di GIOSETTA CIUFFA

ARIA(...)

PARACADUT

RIVISTA primavera.QXP 22-04-2009 13:51 Pagina 13

i

Page 14: Music In n. 9 Primavera

a cura di ROMINA CIUFFA

POLITICA Intervista a Federico Mollicone Ci siamodomandati se il direttore del Teatro dell’Opera non debba, percaso, essere sordo, oltre che Muti.

Music In �� Primavera 2009BEYBEYONDOND&further

NORA THE PIANO CAT Intervista a una gattapianista In Pennsylvania c’è una gatta che sa suo-nare il piano da quando aveva un anno

LE MADRI DELLE FIDANZATE

Al presidente della Commissione Cultura di Roma ho chiesto se percaso non ci sia qualcosa che non va nel nostro sistema, considerato

che, per cause politiche che nulla hanno a che vedere con la musica, stava persaltare l’Ifigenia del Maestro Riccardo Muti.

Mutatis mutandis: questa figlia di Agamennone non era stata già una voltaimmolata ad Artemide su consiglio di un indovino, per placare le tempesteche la dea aveva provocato nel mare che bagnava Aulide, sulle coste dellaBeozia, per impedire che Agamennone partisse per Troia?

Ne avevamo parlato su Music In, primaancora che accadesse il «fattaccio». Teatrodell’Opera o degli Operai?

Le linee di indirizzo per il rilancio delTeatro dell’Opera prospettate dal SindacoGianni Alemanno contengono indissolubil-mente la difesa dei dipendenti del Teatrodell’Opera, dagli artisti del coro dell’orche-stra fino all’ultimo figurante o tecnico.Perché non si considera lo spettacoloun’industria e l’artista un lavoratore?

Il problema risiede nella forma giuridicache vede i teatri dell’Opera rappresentati dafondazioni liriche, e questo rende complessosia il discorso dei finanziamenti pubblici chequello delle sponsorizzazioni private.La dignità professionale degli artisti ècompromessa, considerarli «scansafati-

che» è prerogativa italiana; noi non dimentichiamo mai che alleAccademie di Musica non è ancora stato riconosciuto il grado diUniversità. Non è necessario riqualificare gli artisti anche «dal basso»?

Il Comune di Roma ha dato il via ad una serie di iniziative che afferma-no il riconoscimento delle eccellenze giovanili artistiche. Il Festival«Adrenalina-L’arte emerge in nuove direzioni» è il paradigma di questapolitica culturale che ha promosso giovani emergenti nelle arti visive, musi-cali e coreografiche. Si è parlato, nel dibattito sul rilancio del Teatro dell’Opera, di elimina-re gli sprechi. Ciò vuol dire eliminare gli artisti: vero o falso?

È vero che i tagli del FUS colpiscono soprattutto le produzioni: purtrop-po, per come sono stati gestiti gli enti lirici e i teatri pubblici in passato, cisono stati e ci sono ancora molti sprechi che possono essere eliminati.Fus: come «ripartire»? In entrambi i sensi: ri-partenza e ri-partizione.

Il Fus è un contesto sicuramente da ripensare, in quanto troppo condizio-nato da influenze politiche ma anche da scelte apparentemente tecniche, inrealtà discrezionali.Quali i punti principali della discussione in corso in CommissioneCultura sui finanziamenti pubblici allo spettacolo?

In Commissione Cultura abbiamo aperto una fase di ascolto che ha giàesaminato le audizioni del Teatro dell’Opera e dell’Auditorium.Proseguiremo nei prossimi mesi con il Teatro di Roma, Santa Cecilia e tuttele realtà istituzionali che hanno come interlocutori la Commissione stessa.Da questi incontri purtroppo emerge una mala gestione negli anni passatiche porterà a scelte dolorose e comunque obbligate nel prossimo futuro.Quale, idealisticamente, il modello di sostegno che in Italia più si addir-rebbe alle attività musicali?

Un modello basato sul concetto sussidiario degli investimenti privatinella Cultura. Ogni realtà dovrà potenziare gli uffici di Fund Raising e met-tersi sul mercato. Penso alle grandi potenzialità che avrebbe l’Opera ita-liana sul mercato orientale, mentre oggi siamo costretti ad acquistarel’Aida da registi texani.Tante case (una del Jazz, una del Cinema, una delle Letterature,l’Auditorium e così via) pochi (selezionati) inquilini?

Il riordino delle strutture create dalla precedente Amministrazione è unadelle urgenze a cui sto lavorando, in collaborazione con l’assessoreUmberto Croppi. La cosa incredibile che abbiamo trovato è la disomoge-neità nella gestione amministrativa. Alcune case sono autonome, altre addi-rittura sono uffici comunali. Occorre mettere ordine, razionalizzare e vede-re chi ha avuto capacità e successo, e chi no.Cultura e fondazioni. È solo un problema di soldi?

Sicuramente, oltre alla copertura di budget delle stagioni, il problema èil confronto con il mercato culturale. Ci sono delle programmazioni talvol-ta incomprensibili di spettacoli teatrali sperimentali in teatri classici, met-teremo ordine anche in questo ambito al più presto.Dicono che l’udito del Maestro Muti sia assicurato per 10 milioni dieuro. Considerato che le sollecitazioni politiche sono di gran lungamaggiori di quelle musicali - non sarebbe meglio un sordo a dirigere ungrande ente lirico in Italia?

Il prestigio che il Maestro Muti porterebbe al Teatro dell’Opera è condi-zione necessaria ma non sufficiente al suo rilancio, se non accompagnatada una direzione artistica capace di affermare il repertorio tradizionale erilanciarlo nel mondo, inserendo solo episodicamente opere sperimentali. Insostanza non si capisce per quale arcano motivo non vendiamo al mondo chece le invidia le opere classiche e ci facciamo rifilare sperimentazioni già vec-chie e già viste in Europa venti anni fa.

(...)

�� CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA a cura di ROMINA CIUFFA

a cura di ROMINA CIUFFA

ioacchino Rossini aveva scritto un Duetto buffo didue gatti, un brano per piano e due voci femminiliche interpretano il miagolio suadente e lamentoso di

due mici. Il testo faceva proprio «miao». Un pezzo ironicocomposto per ricordare quei due gatti che lo svegliavanotutte le mattine nella sua residenza di Padua e che apparte-nevano alla padrona di casa, alla quale lo dedicava. Oggi inPennsylvania c’è Nora, una gatta che sa suonare il piano daquando aveva un anno: sa scegliersi le note, cerca quellenere, conosce il ritmo e lo segue, sa cambiare il volume.Appoggia anche la testolina sulla tastiera mentre suona,come faceva Beethoven da che divenne sordo. Non sarà uncaso, allora, che ha ottenuto milioni di visite su Youtubequesta micia. Vive con altri cinque gatti e due umani, BetsyAlexander e Burnell Yow, che la presero per caso in unnegozio di animali del New Jersey, il Cherry Hill.

Betsy, diplomata in Composizione, suona e canta dal1978, a 15 anni scrisse il suo primo musical, su Caino eAbele, si trasferì a New York, scrisse i musical Stakin’ MyClaim, Another Kind Of Hero, poi un musical su AnnaFrank, un altro basato sulla commedia I Never Saw AnotherButterfly e molti altri per bambini. Per la sua gatta ha scrit-to duetti, che ha pubblicato perché i suoi allievi potesserostudiarli: Nora the Piano Cat’s Easy Piano Duets (becausenot everything in life should be hard) e Nora The PianoCat’s Impressive Sounding Duets (because sometimes youjust want to impress other people). Burnell è un pittore e unmusicista autodidatta. Insieme a Betsy ha creato il RavenWings Studio (www.ravenswingstudio.com). Nora, come hai imparato a suonare il pianoforte?

Ho vissuto con Betsy e Burnell per circa un anno prima dicominciare a suonare. Mentre i miei fratelli sonnecchiavanoal piano di sopra, io trascorrevo tutto il mio tempo sotto,nello studio con Betsy e i suoi allievi. Ballavo - specchiando-mi nel riflesso delle mie zampe - sopra la coda del pianofor-te formando circoli mentre loro suonavano, e dalla coda delpiano osservavo dall’alto i libri di musica sul leggio e le lorodita; altre volte mi sedevo accanto agli allievi sulla panca osulla poltrona e guardavo Betsy fare lezione. Mi piacevasoprattutto infilarmi nel fodero della chitarra. Vedevo l’at-tenzione che Betsy dava ai suoi allievi mentre suonavano edio adoro essere al centro dell’attenzione.

Di solito non faccio follie per essere coccolata o tenuta inbraccio, ma mi piacciono gli applausi e i complimenti: ungiorno semplicemente sono saltata sulla panca e mi sonoseduta proprio come gli altri allievi, ho usato i cuscinettidelle zampe per premere sulle note e mi sono compiaciuta diascoltare i suoni che ne uscivano. Betsy e Burnell mi hannosentito e sono corsi giù per le scale esultanti: è lì che ho deci-so di continuare a studiare pianoforte. È stato come un viag-gio premio: ricevo mail da tutto il mondo e i fans mi vengo-no a trovare per sentirmi suonare. Sono felice di ispirare glialtri a raggiungere il proprio potenziale e scoprire la gioiadi suonare uno strumento. Ti viene mai da cacciare una mosca che ti ronza intornomentre suoni? O meglio: i tuoi istinti animali prevalgo-no mai sui tuoi talenti umani privandoli di razionalità?

Come ho scritto sul mio libro, Nora The Piano Cat’s Guideto Becoming a Good Musician (or How To Get Good AtAnything Hard), in vendita su Amazon.com, Betsy è umana eha l’attenzione di un umano; io sono un gatto e, per natura,

ho l’attenzione di un felino. Il rumore più sottile, il movimen-to più fine mi distraggono, ahimé, così procedo a intervalli,ma riesco molto perché sono molto concentrata durante lelezioni di pratica e lavoro duramente sulle parti più difficili.Tuttavia, se un insetto mi vola davanti, devo smettere di fareciò che sto facendo e vado a cacciarlo. Sono un predatore,dopo tutto. E se uno dei miei fratelli si avvicina al pianomentre sto suonando, devo interrompermi e dirgli di andarvia: è il mio pianoforte e non mi piace dividerlo con nessu-no, nemmeno con Betsy.

È importante non doversi comparare agli altri mentres’impara a suonare uno strumento. Naturalmente traggoispirazione dai musicisti talentuosi, ma accetto chi sono efaccio il meglio con ciò che ho. Betsy ha dieci dita ma io hosolo due zampe e la mia testa da usare, e suono con passio-ne ed entusiasmo a prescindere da questi limiti. Credo diessere come il primo astronauta che ha camminato sullaluna: sono un pioniere, un esempio per tutti gli altri gatti delpianeta, e ispiro tutti a esaudire i proprio sogni.Chi è il tuo musicista preferito? Chi ti fa fare più fusa,chi ti esalta, chi ti fa venir voglia di suonare di più?

Facile: Betsy è la mia musicita preferita! L’ascolto ognigiorno. Faccio rumorose fusa anche mentre sono io a suona-re il piano (le faccio a volte anche quando dormo e mi acca-rezzano la pancia). Il solo fare musica è in grado di eccitareogni parte di me, come accade ad ogni altro musicista pro-fessionista.

Ho anche degli artisti preferiti: innanzitutto JohannSebastian Bach, un genio. Tutte le volte che ascolto suonareil suo Minuetto in Sol, dal libro di Anna Magdalina, o il dol-cissimo, delirante Preludio in Do, o qualunque altra sua bril-lante composizione, devo correre al piano e suonare, anchese stavo riposando. Sono anche una grande fan diBeethoven, in particolare di Per Elisa. E sono stranamentecolpita da Mary Had A Little Lamb. Qual è il tuo genere preferito?

Sono una musicista classica. Essendo un’intellettuale, nonposso che immergermi nella perfezione matematica ed emo-tiva di questo genere, ma sono aperta a tutti i tipi di musicae di strumenti. Se solo potessi tenere un flauto, proverei asuonarlo: grazie al cielo sono stata adottata in una casa conun pianoforte!

Mi dicono sempre che sembra che suoni del jazz, e sonod’accordo: è facile per me suonare il tritono perché tra il sie il do o tra il mi e il fa non ci sono tasti neri. Per questo miascolterete spesso suonare un si e un fa insieme: è un inter-vallo buonissimo per la mia zampetta. Ma posso anche rag-giungere i tasti neri, che aggiungono molto sapore al suono.Preferisco le note sopra il do5: sono sempre stata attrattadalle note alte poiché posso ascoltarle molto meglio di quan-to non facciate voi umani. Eh già, tutti abbiamo dei limiti dasuperare nella vita.Sai davvero cosa stai facendo mentre suoni il pianofor-te, o suoni a caso?

Mi prendi in giro? Certo che so quello che faccio. Se guar-di i miei video, noterai che spesso nei duetti suono nellamedesima chiave in cui suonano gli allievi. Non è un caso:decido davanti a quali note sedermi prima di suonare. Suonoanche ritmi diversi e ripeto note da pianissimo a forte e alcontrario. Quando l’allievo smette di suonare, anche io ter-mino nel duetto. Ogni volta. Sempre. Quando lui smette, iosmetto. Come potrebbe essere un caso?

Una volta, sotto Natale, Betsy insegnava usando il miopiano, così mi sono seduta all’altro e ho suonato: la la la, lala la, la do fa sol la in ritmo perfetto, l’esatta introduzione diJingle Bells. Quando sono da sola, improvviso. Se Betsy eBurnell entrano per riprendermi, io mi interrompo e salto giù- non mi piace essere interrotta durante momenti di intensacreatività -. A volte utilizzo una zampa per tenere una nota euso l’altra per suonarne un’altra, così posso produrre unsuono uniforme.Cantare è un’ipotesi?

Una volta Betsy e Burnell stavano rilasciando un’intervi-sta al piano di sopra, ed io ho cominciato a suonare furiosa-mente e a cantare (mi piace essere sempre nello «spotlight»)miagolando più forte che potevo: nel futuro proverò anche acantare mentre suono.

Ti senti un gatto differente, o un umano differente?Mi sento un gatto. Ultimamente mi hanno detto che sono

ingrassata: perché la gente comune ha queste aspettativerispetto a una celebrità? Perché bada solo alle apparenze?Noi siamo come tutti. Come Oprah, mi piace mangiare e houn metabolismo lento. Mi piace stare da sola, o con Betsy. Ilmio unico amico è mio fratello Ronnie, i miei fan mi adora-no e per me è un piacere essere intervistata da Music In.

Saluto tutti i miei ammiratori italiani e auguro che i lorosogni di tonno divengano realtà.

GGAATTTTAA PPIIAANNIISSTTAA

NNOORRAA

GG

RIVISTA primavera.QXP 22-04-2009 13:51 Pagina 14

Page 15: Music In n. 9 Primavera

a cura di ROMINA CIUFFAUMBERTO TOZZI Non sololive Una guerra di carta igienica

RAF FERRARI QUARTETPauper Un menù di bordo diventi portate (e vino a profusione)

VANESSA PETERS & ICOMSweetheart, Keep Your ChinUp Volo Itaca-Amsterdam

LUCA OLIVIERI LaQuarta DimensioneCome un film muto

Music In � Primavera 2009 FEEDFEEDback

La Quarta Dimensione ètempo e titolo dell’ultimoalbum di Luca Olivieri (AG Prod

2008). Dodici brani, tra realizzati per spetta-coli teatrali e sonorizzazioni di film muti

d’epoca, o naticome breviframmenti erielaborati intempi diversi. Avanguardia,new age, worldmusic, classi-ca ed elettroni-ca abitanoquesta dimen-sione comefigure danzanti

o flussi sonori di una conchiglia, elemento inprimo piano del progetto grafico del disco. Ilrisultato è una raccolta di brani strumentali,

colonna sonora che scorre liscia e morbida edov’è l’ascoltatore a crearsi di volta in voltanuove immagini. Tinte malinconiche e nostalgi-che nelle prime tre tracce, fra cui spiccanoAngelina, le chitarre a là Ry Cooder e la seducen-te fisarmonica de Il sogno di Napo, uno deimigliori brani del disco. Timbriche più intricate escure per la batteria tribale de L’Attesa, spensie-ratezza arabeggiante in Un Mondo Segreto,circo e mazurca in Fantasmi; in Alibi un coinvol-gente rullante. Dopo una reprise di Angelina il disco si chiudecon l’elettronico-minimale Le Ali del tempo e lasognante Ricordo. Oltre a Luca Olivieri, alle presecon tastiere, wurlitzer, Korg MS 20, program-mazioni, glockenspiel, melodica e, percussionihanno preso parte numerosi musicisti tra cuiMario Arcari, storico collaboratore di FabrizioDe Andrè, Ivano Fossati, Mauro Pagani ed altri.

Valentina Giosa

UMBERTO TOZZI - Non solo live

Un soldo in aria, e in attesa che tocchi terra penso. Una canzone che fa«ti amo» e lo ripete per più di dieci volte di fila non strazia? ti-amo-ti-amo-ti-amo-ti-amo-ti-amo-ti. E il giro di do? do-laminore-fa-sol. E la censura

anni 70? Nel letto comando io ma tremo davanti al tuo seno. La mia moneta non accen-na ad atterrare, se viene testa vuol dire che basta. Attendo.

Umberto Tozzi, a vent’anni dal suo celeb-re disco live Royal Albert Hall, canta nelsuo nuovo Non solo live le storiche - perGloria, per Anna (Perdendo Anna), per glialtri e per noi (Gli altri siamo noi), per gliInnamorati e per la Gente di mare - e aggi-unge 5 inediti e due cover - LullabyeGoodnight my Angel di Billy Joel, e PetitMarie (Stella d’amore) di Francis Cabrel - edue ghost tracks, Vida e Un corpo eun’anima, brano con cui nel 1974 DoriGhezzi e Wess vinsero ‘Canzonissima’ eche per la prima volta il torinese proponein versione studio. Tra gli inediti Anche setu non vuoi, primo singolo in radio,Muchacha, un’ironica ballata ispirata auna giovanile fuga d’amore del figlioGianluca (anche produttore dell’albumper Momy Records) e Oriental Song,brano in cui sperimenta il genere lounge.Ascolto questo guerriero di carta igienicamentre mi fa la guerra (ti-amo-ti-amo-ti-amo-ti-amo-ti-amo-ti) e lui mi chiede: 1)vino leggero, 2) lenzuola di lino, 3) il sonno

di un bambino, 4) un po’ di lavoro, 5) di stirare cantando. Pretenzioso? Mi prende purein giro. Ma poi mi chiede perdono. È a quel punto che il cd si arresta, il soldo cade aterra. Vuol dire basta, lasciamoci. Ma (finalmente) è primo maggio: su coraggio.

Romina Ciuffa

Un album, quello di LorenzoMarsili, in cui Succede. Cosa?Innanzitutto un po(p) di introspe-

zione: sulla società, la solitudine, le scelte. Luivorrebbe fare la canzone di questa generazio-ne, la Pablo del 2000, ma non è proprio in que-sto album. Anche tradizione elettronicad’oltremanica, da techno a jungle, dunqueinfluenze fac-Tiromancino (e infatti questoMarsili nel 2005 incontra Luigi Pulcinelli-exTiromancino che lo produce interamente);ecco a cosa si deve la sperimentazione disonorità e di testo italiano su atmosfere elet-troniche internazionali. Ma è anche un aman-te del primo Fossati, di Francesco De Gregori,comunque della scuola romana e genovese,ha frequentato Franco Battiato, amaPortishead, Massive Attaks e Subsonica. Poi,adora il cartone animato Yattaman. Sarà perquesto che cerca, e cerca ancora: i quattroframmenti della pietra Dokrostone sono spar-si e guerra di bottoni ricomincerà.

Romina Ciuffa

UMBERTO TOZZI - NON SOLO LIVE

LORENZO MARSILI - SUCCEDE

Ultimo e unico album di MalikaAyane (per la Caterina CaselliSugar, 2008), venticinquenne

di Milano, a cui la paternità marocchina hadonato forse la parte più interessante del suotalento: «Il colore della sua voce è un arancio-ne scuro che sa di speziaamara e rara», secondoCarlo Conte e CaterinaCaselli, suoi genitori artistici.Lo stile è deciso, e capace diadattarsi a generi e musica-lità differenti: soul, trip hop,anche vicino alla blackmusic, contagiato dallemelodie della musicad’autore italiana e da quelleafricane, con un timbro mor-bido e una personalità gene-re Amy Winhouse+NorahJones. In italiano e in inglese riesce a far emer-gere queste doti con naturalezza disarmante.Felling better, successo dell’estate scorsa, eTrue Life sono ballate allegre e vivaci arricchi-

te da un violoncello discreto e non invadente,strumento che lei studia dall’età di undici annie che torna in Someday e Sospesa, scritta perlei da Pacifico, versione italiana di SoulWeaver. Come Foglie (firmata da Giuliano deiNegramaro), rivela l’impronta della canzone

italiana. Blue Bird che siapre con un assolo di chitar-ra, presenta una voce ruvidae profonda, vagamentedrammatica e molto interes-sante. Moon e Fandango,pezzi più dark e pop, sono ipiù forti e incisivi. Degna dinota anche la divertenteinterpretazione della celebreOver the Rainbow, di cuiMalika offre una lettura soulche svela la grande capacitàdi fare suoi elementi diver-

sissimi rielaborandoli con una personalità chericorda spezie orientali di color arancio.

Alessandra Fabbretti

MALIKA AYANE - MALIKA AYANE

RAF FERRARI QUARTET - PAUPER

LUCA OLIVIERI - LA QUARTA DIMENSIONE

VANESSA PETERS & ICOM - SWEETHEART, KEEP YOUR CHIN UP

Pauper è il debutto discograficodel Raf Ferrari Quartet. Eppureil pianista lucano sfoggia una

sicurezza e una solidità compositiva che dopocinque battute della prima traccia comanda dichiudere gli occhi al più arcigno dei critici. Cisono suoni talmente diversi, tutti talmente evo-cativi e fortemente personali, da causare unsenso di vertigine. Il Caronte di questa imbar-cazione francescana (che «pauper» sia latinoo inglese poco importa, ma la nobile povertàgià in sé racconta il tipo di cammino ricercato)si fa accompagnare da tre musicisti capaci diintuire al volo la mappa melodica ed armonicadel nocchiero; il contrabbasso di GuerinoRondolone dimostra una sobria eleganza, pre-ciso, ritmicamente fantasioso e mai conven-zionale. Claudio Sbrolli si muove tra i pezzi dellabatteria con decisione e sensibilità, padronedel tocco e attento al flusso. Vito Stano con ilsuo archetto accarezza le quattro corde delsuo violoncello sempre in perfetta interplaycon Ferrari e crea sonorità inattese da unostrumento che pareva destinato a non uscireche dalle camere sinfoniche degli auditori clas-sici. Il resto è l’itinerario personalissimo propo-sto attraverso le otto tracce, brani inediti esofisticati con arrangiamenti originali, che evi-tano tanto il baratro dell’elitarismo sonoroquanto una certa piaggeria da citazioni a cate-na che spesso invade i debutti d’autore. È vero,tra le dita di Ferrari c’è parsa scorrere tanta

musica proveniente da tanti generi diversi, daKeith Emerson, a Chick Corea, a Horace Silvera Theolonius Monk fino al pianismo lirico diClaudio Arrau, ma questo è parso un surplusdi valore perché il carattere di Ferrari si sentefin dalle prime due (affatto lineari) tracce: IlVuoto e Semisfera. Sontuoso del ritmo, varia-zioni di tempi semplici e composti, difficili acce-lerando e rallentando sempre sincronizzatissi-mi e poi melodie ed improvvisazioni esatonali,ottofoniche, lirica-mente dense dijazz fresco e tradi-zionale allo stessotempo. Il quadroc o m p l e s s i v o ,ricco di colori,esclude di incasel-lare questoPauper in alcungenere perché ilrisultato è musicae la sua gioiosa celebrazione. Eppur si hacome l’impressione che Ferrari abbia da diretroppo e subito, un’urgenza espressiva, quelladi quando ti invitano a pranzo e - per far bellafigura - ti sfornano un menu da venti portate:alla fine ci si alza leggermente frastornati.Pauper presenta, appunto, un menù di bordoda venti portate (ma vino a profusione).

Paolo Romano

Al sicuro die-tro le paretidomestiche

diventa naturale e sempli-ce percorrere i sentieri delnostro io, mentre l’amatofuori naviga nella tempe-sta, parte, ritorna, vola,sogna, promette, tradisce.Vanessa Peters attraver-so la rivisitazione dei mitigreci racconta sentimentiuniversali che rivivono traAustin e Itaca, tra Cnossoe Amsterdam. I testi, scrit-ti con un lirismo intenso e ispirato, sembranoframmenti raccolti da una storia d’amore, main realtà raccontano un sentimento più vastoche coinvolge le relazioni tra gli umani, smarri-ti in un’egoistica incomunicabilità, e degli

umani stessi con la natura,con Dio. I quattordici branidi «Sweetheart, KeepYour Chin Up» sono unviaggio nel country-folk ame-ricano più autentico, impre-ziosito dalle esperienze rockmediterranee e mitteleuro-pee dei musicisti coinvolti:oltre agli Ice Cream onMondays (ICOM), sono ospi-ti del disco GuglielmoGagliano (violoncello), il can-tautore danese MC Hansene l’olandese Eva (cori) e Alex

Akela (violino, mandolino e cori). Prodotto conSalim Nourallah, il nuovo disco di VanessaPeters & ICOM è una finestra aperta sulmare. E dall’altra parte scorgi l’America.

Nicola Cirillo

JAZZJAZZ&& bblluueess

In Bretagna e Macedonia vaa ritrovare antichi cantid’amore e da matrimonio

(Au bord de la fontaine del 1842 e Usti ustibaba, canto in lingua rom); poi in Albania sco-pre una lingua difficile in un antico canto stori-co (Ali Pasha). Attraversando l’Italia, ritrova laToscana con La Malontenta - ninna nanna dalsapore amaro (il babbo gode la mamma sten-ta) - e In Maremma - spaccato della Toscanacontadina del Novecento -. Verso sud si va inCampania con un canto cilentano del XVI seco-lo (Li’ffiglile) rielaborato in dialetto fiorentino, lamacchietta napoletana del dopoguerraM’aggia curà, e ancora Il crak delle banche,brano di fine Ottocento sullo scandalo dellaBanca di Roma.Ginevra Di Marco - dopo un primo disco dalvivo, Smodato Temperante - rende omaggioalla musica d’autore con matrice popolare: Iosì di Luigi Tenco (quasi un sirtaki greco) eTerra mia (un vecchio, migliore Pino Danieleche cantava - prima di tradirli con una mar-

chetta - il profondo legame con la tradizionenapoletana e il senso di libertà). Prendere unaereo poi, destinazione Cuba: La Maza di SilvioRodriguez sul senso della vita. La nave va e ci sono momenti in cui, al suoposto, Gabriella Ferri sembra tenere l’àncora(la passione è romana, l’accento toscano).Calda e duttile. Smodata temperante. Un viag-gio nel viaggio.

Romina Ciuffa

GINEVRA DI MARCO - DONNA GINEVRA

ALTERNATIVENATIVE

ALTERNATIVENATIVE

BEYOND&further

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