MUSEO ARCHEOLOGICO DI ANCONA · Storia avventurosa delle sculture in bronzo dorato trovate a...

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MUSEO ARCHEOLOGICO DI ANCONA I BRONZI DI CARTOCETO :QUANDO UN FURTO DEL PASSATO DIVENTA UN TESORO PER I POSTERI. Storia avventurosa delle sculture in bronzo dorato trovate a Cartoceto di Pergola Il 26 giugno del 1946, due agricoltori proprietari di un podere a Santa Lucia di Calamello, località della frazione Cartoceto del Comune di Pergola ( provincia di Pesaro e Urbino) , mentre scavavano una canaletta per prosciugare l’acqua che aveva allagato il loro campo dopo una pioggia torrenziale, inciamparono in un paio di zoccoli di cavallo in bronzo dorato . Iniziati gli scavi ,nel punto del ritrovamento si aprì una buca a cono rovesciato che restituì accatastati 318 pezzi di varie dimensioni di bronzo dorato per un totale di circa 900 kg. di peso. Come è noto i bronzi dorati giunti fino a noi dall’antichità classica e medievale sono assai rari visto che il materiale stesso di cui sono composti era prezioso per fondere monete e farne cannoni e campane. Con i cavalli di Venezia e il Marco Aurelio di Roma, il gruppo di Cartoceto di Pergola costituisce perciò uno dei pochissimi grandi gruppi scultorei equestri dell’antichità romana giunti fino a noi grazie al fatto di essere stato sepolto in frammenti in un ripostiglio forse conseguente ad un antico saccheggio al di fuori di ogni contesto archeologico. Esposti nel 1959 nel Museo Nazionale Archeologico di Ancona dopo un primo e incompleto restauro vi rimasero fino al 1972 quando il terremoto rese inagibile quella sede. Dopo un nuovo intervento di restauro comprendente anche le indagini sulla tecnologia antica di fabbricazione e doratura presso il Centro di Restauro della Soprintendenza Archeologica per la Toscana, il gruppo fu esposto nel 1987 a Firenze .

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MUSEO ARCHEOLOGICO DI ANCONA

I BRONZI DI CARTOCETO :QUANDO UN FURTO DEL

PASSATO DIVENTA UN TESORO PER I POSTERI.

Storia avventurosa delle sculture in bronzo dorato trovate a

Cartoceto di Pergola

Il 26 giugno del 1946, due agricoltori proprietari di un podere a Santa Lucia di Calamello, località della

frazione Cartoceto del Comune di Pergola ( provincia di Pesaro e Urbino) , mentre scavavano una canaletta

per prosciugare l’acqua che aveva allagato il loro campo dopo una pioggia torrenziale, inciamparono in un

paio di zoccoli di cavallo in bronzo dorato . Iniziati gli scavi ,nel punto del ritrovamento si aprì una buca a

cono rovesciato che restituì accatastati 318 pezzi di varie dimensioni di bronzo dorato per un totale di circa

900 kg. di peso.

Come è noto i bronzi dorati giunti fino a noi dall’antichità classica e medievale sono assai rari visto che il

materiale stesso di cui sono composti era prezioso per fondere monete e farne cannoni e campane. Con i

cavalli di Venezia e il Marco Aurelio di Roma, il gruppo di Cartoceto di Pergola costituisce perciò uno dei

pochissimi grandi gruppi scultorei equestri dell’antichità romana giunti fino a noi grazie al fatto di essere

stato sepolto in frammenti in un ripostiglio forse conseguente ad un antico saccheggio al di fuori di ogni

contesto archeologico.

Esposti nel 1959 nel Museo Nazionale Archeologico di Ancona dopo un primo e incompleto restauro vi

rimasero fino al 1972 quando il terremoto rese inagibile quella sede. Dopo un nuovo intervento di restauro

comprendente anche le indagini sulla tecnologia antica di fabbricazione e doratura presso il Centro di

Restauro della Soprintendenza Archeologica per la Toscana, il gruppo fu esposto nel 1987 a Firenze .

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A lungo conteso fra Pergola ed Ancona ( gli abitanti della cittadina di Pergola giunsero a murare le porte

del Museo locale dove i bronzi erano ospitati per evitarne il trasporto ad Ancona), il gruppo è oggi esposto

definitivamente presso il Museo Archeologico di Ancona per decisione giunta nel maggio del 2012 da parte

di una commissione tecnica appositamente nominata .

Museo Archeologico di Ancona, copie in resina dei bronzi di Cartoceto collocate sul tetto del museo.

Una prima ricostruzione dei bronzi negli anni ‘70

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Come si presentano oggi al Museo Archeologico di Ancona i bronzi di Cartoceto.

La tecnica di realizzazione

Le sculture sono state realizzate con la fusione a cera persa indiretta in un lega di bronzo assai

ricca di piombo , e dorate a foglia.

A partire dalla fine del VI sec. a.C., la graduale acquisizione di nuovi mezzi tecnici per la costruzione di statue bronzee, quali la tecnica indiretta della cera persa (costruzioni di parti separate di statua per mezzo di modelli di cera desunti da matrici ausiliarie, cioè da calchi del modello iniziale), aveva reso possibile la creazione di grandi bronzi, per i quali l’estensione nello spazio tridimensionale e la presenza di difficili parti “in sottosquadra” non creano più insormontabili difficoltà tecniche. Nella costruzione di grossi bronzi a fusione cava si applicava la tecnica a cera persa. Quando il modello di cera è costruito su un’anima di fusione in terra, si tratta della tecnica a cera persa “diretta”; quando invece si usano dei calchi tratti da un modello originale e si utilizzano questi per costruire la cera ed in seguito l’anima di terra, si tratta della tecnica “indiretta”. Ambedue i metodi erano conosciuti in età classica sia dai Greci che dagli Etruschi. Tecnica diretta Per prima cosa si costruisce un’intelaiatura di sbarre di ferro disposte in modo da seguire le masse della composizione e sostenere il peso della terra che verrà ammassata intorno ad esse . Questa

terra, ancora morbida, viene modellata secondo le linee di direzione principali dell’opera e costituisce l’anima interna della statua. Il tipo di terra usata deve essere, allo stesso tempo, modellabile e più magra e porosa possibile, per permettere la fuoriuscita dell’aria e dei gas che si formano al momento del getto. La superficie della terra, che costituisce l’anima della statua, viene modellata con gli strumenti

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usuali per la ceramica (stecche, spatole ecc.) fino ad ottenere una forma di dimensioni leggermente minori rispetto alla futura statua di bronzo. L’anima deve essere poi asciugata perfettamente e cotta, dopodiché viene ricoperta con uno strato di cera su cui si esegue il vero e proprio lavoro di modellaggio e rifinitura . Sulla cera si trattano tutti i particolari minuti della figura come le unghie, le venature ecc. Lo spessore della cera non potrà essere agevolmente controllato perché aggiungendo o togliendo cera durante la rifinitura, non è sempre possibile mantenere lo stesso livello di superficie. La successiva fase di lavoro consiste nel sistemare la rete di canali per l’entrata del metallo e l’espulsione dei gas. Ciò avviene collocando bastoncelli di cera nelle zone più idonee in modo da impedire il formarsi di bolle e sacche d’aria e in modo da facilitare la distribuzione del metallo liquido anche nelle zone più rilevate e negli spazi di minore diametro . Si procede poi coprendo il modello ed i canaletti con un involucro esterno di terra. Questa è riportata a strati, cominciando con terra molto fine adatta a riprodurre fedelmente tutti i particolari della cera e proseguendo poi con terra più grossolana, in modo da ricoprire completamente tutti i canali. Dopo aver lasciato ben asciugare il tutto all’aria, si riscalda e si cuoce tutta la massa per togliere ogni residuo di umidità ed allo stesso tempo per eliminare la cera (fatta defluire da appositi canali), mantenendo lo spazio vuoto che dovrà accogliere il bronzo fuso. Per impedire che l’anima interna si sposti rispetto all’involucro esterno, una volta che tra di loro si è formato lo spazio vuoto, vengono in precedenza sistemati dei chiodi distanziatori che, inglobati nelle due terre, servono a impedire ogni movimento. La forma è ora pronta per il getto del bronzo fuso, fatto defluire direttamente da un forno o da crogiuoli. Tecnica indiretta Si prendono i calchi in tasselli del modello originale rifinito nei particolari . I tasselli vengono poi rivestiti internamente con uno strato uniforme di cera e risistemati insieme. Si ricava in questo modo uno spazio vuoto nel cui interno vengono inserite le sbarre di ferro e la terra di fusione . Prosciugata la terra si tolgono i calchi, si ripulisce la cera dalle sbavature e si ritoccano i particolari. Da qui in poi si procede allo stesso modo della tecnica diretta. Le fusioni dei bronzi di Cartoceto risultano di spessore sottilissimo ( 1/3 dei bronzi moderni e 1/5 di quelle greche del IV sec. a.C.) e questo ha reso possibile il loro accartocciamento e la piegatura durante il furto. I cavalli risultano fusi in soli due pezzi : il corpo completo e la testa. La saldatura eseguita in modo magistrale è ottenuta facendo scorrere del metallo caldissimo tra le due parti in contatto sì da fondere i bordi e congiungerli. Doratura La doratura è stata ottenuta tramite l’applicazione di oro in foglia fatto aderire alla superficie bronzea grazie all’uso di uno strato di mercurio. Nella fase di riscaldamento si fa aderire uno strato sottilissimo di mercurio sulla superficie bronzea e su questo strato si appoggia la foglia d’oro. L’oro è avido di mercurio e dunque aderisce molecolarmente al bronzo. Il mercurio viene assorbito dall’oro ma in quantità talmente trascurabile da non mutare il colore naturale della doratura. La presenza di mercurio sui bronzi di Cartoceto è risultata dalla spettrografia. La foglia d’oro aderisce perfettamente non solo perché estremamente compatta per effetto della “battitura” ma anche per effetto della “brunitura” cioè lo strofinamento della superficie della foglia con una pietra dura sia essa agata o calcedonio.

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Il luogo del ritrovamento : un incrocio di strade

Il gruppo è stato ritrovato nelle vicinanze della via Salaria Gallica nella valle del fiume Cesano che proprio a Pergola riceve da sinistra il fiume Cinisco, suo principale affluente.

La via Salaria Gallica era una strada romana che collegava la via Flaminia (all'altezza di Forum Sempronii, l'odierna Fossombrone) con la via Salaria (all'altezza di Asculum, l'odierna Ascoli Piceno)

La via era una strada intervalliva larga 16 piedi (circa 4,70 m) che collegava le città della media vallata dei fiumi del Piceno e dell'ager Gallicus. Nel suo percorso attraversava le città romane di Forum Sempronii (Fossombrone), Suasa, Ostra, Aesis (Jesi), Ricina (Macerata), Urbs Salvia (Urbisaglia), Falerio (Falerone) e Asculum (Ascoli Piceno). Quindi questa via correva parallela all'asse costiero ad una distanza di circa 30 km dal mare Adriatico. La via esistente almeno sin dall'età triumvirale-augustea probabilmente ricalca un percorso tracciato e frequentato sin dal periodo preromano.

In giallo la via Salaria-Gallica

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Chi sono i personaggi ritratti?

Il complesso rappresenta un probabile gruppo familiare composto in origine da due coppie di

figure femminili ammantate e velate e da due cavalieri in veste militare d’ alto rango con cavalli

riccamente ornati. All’epoca della prima edizione delle sculture i due bronzi meglio conservati

vennero identificati come Livia moglie di Augusto e Nerone Cesare, lo sfortunato figlio di

Germanico (il cavaliere), ipotizzando un contesto di personaggi nell’ambito della famiglia

imperiale Giulio-Claudia entro il terzo decennio del I sec. d.C. ; gli studi più recenti retrodaterebbero

il gruppo all’età cesariana ( terzo venticinquennio del I sec. a.C.) e vi vedrebbero rappresentati i

componenti di una famiglia magnatizia d’alto rango ( raffigurata secondo gli schemi della ritrattistica

ufficiale) forse in qualche modo legata al territorio marchigiano; le proposte di identificazione spaziano a

seconda degli studiosi, tra la gloriosa e ricchissima stirpe dei Domizi Enobarbi ( Lucio Domizio Enobarbo

celebrò trionfi marittimi in Adriatico) ed il connubio adottivo tra Marco Satrio, senatore e probabile

patrono di Sentinum, e Lucio Minucio Basilo, luogotenente di Giulio Cesare e futuro cesaricida. L’analisi

delle terre di fusione ancora presenti all’interno delle sculture indica che queste furono prodotte in un

atelier a Sentinum attuale Sassoferrato.

Ritratto di Marco Satrio o ( ipotesi di Pollini) Lucio Domizio Enobarbo.

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La sorella di Marco Satrio e madre di Lucio Minucio Basilio o ( ipotesi Pollini) la madre di Gneo Domizio

Enobarbo.

Le teste dei due cavalli con le borchie decorate da busti di divinità.

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Il personaggio a cavallo giunto fino a noi con il braccio alzato nel segno dell’adlocutio sarebbe dunque ,

secondo l’ipotesi oggi più accreditata, Marco Satrio, Patronus agri Piceni e luogotenente di Cesare n Gallia,

tra i congiurati del 44 a.C.; il personaggio non pervenuto collocato sul secondo cavallo sarebbe stato Lucio

Minucio Basilio con la moglie a sinistra e la madre( a destra di Marco Satrio).

Come è noto alla morte di Cesare si scatenò la guerra dei triumviri che vedeva schierati l’uno contro l’altro

Antonio e Ottaviano. Nel 41 a.C. Ottaviano prese Sentinum ai cesaricidi di Antonio. Soldati in fuga della

parte di Antonio o anche vincitori della parte di Ottaviano potrebbero avere abbattuto il monumento

familiare di Marco Satrio e, dopo averlo ridotto in pezzi , nascosto il bottino in una buca capiente scavata

appositamente nel terreno. Il proposito era probabilmente quello di tornare a dissotterrare il piccolo

tesoro una volta organizzatisi con un carro per il trasporto. I ladri non tornarono mai. I bronzi hanno rivisto

la luce per una pioggia torrenziale e ritrovato il loro aspetto originale grazie ad un magnifico lavoro di

restauro solo nel ‘900 e costituiscono oggi l’orgoglio di Ancona e delle Marche.