Muntagne Noste - caigiaveno.com · di Massimo Gai 42 Perchè e come nasce la Cappella sul Monte...

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SEZIONI DELL’INTERSEZIONALE VAL SUSA - VAL SANGONE

ALMESE Via Roma 4, 10040 ALMESE - Apertura: mercoledì ore 21 www.caialmese.itPresidente: Giuseppe Isabello Anno di fondazione: 1975 (fino al 1977 sottosezione di Alpignano)

ALPIGNANO Via Matteotti 10, 10091 ALPIGNANO - Apertura: venerdì ore 21Presidente: Doretta Cattaneo www.caialpignano.it - Anno di fondazione: 1955

AVIGLIANA Piazza Conte Rosso 11, 10051 AVIGLIANA - Apertura: venerdì ore 21Reggente: Valter Zinzala Anno di fondazione: 1972, sottosezione di Alpignano

BARDONECCHIA Piazza Europa 8, 10052 BARDONECCHIA - Apertura: giovedì ore 21Presidente: Piero Scaglia www.caibardonecchia.it - [email protected] - Anno di fondazione: 1972

BUSSOLENO Borgata Grange 20, 10053 BUSSOLENO - Apertura: venerdì ore 21Presidente: Osvaldo Vair www.cai-bussoleno.it - Tel. 0122.49.461 Anno di fondazione:1924

CHIOMONTE Via V. Emanuele 38, 10050 CHIOMONTE - Apertura: sabato ore 21Presidente: Valentina Jacob Anno di fondazione: 1970 (fino al 1977 sottosezione di Torino)

e-mail: [email protected]

GIAVENO Piazza Colombatti 14, 10094 GIAVENO - Apertura: merc. ore 21, giov. ore 21Presidente: Rosanna Pavanello (speleo) www.caigiaveno.com - Tel. 011.9378002 - Cell.339-5755995

Anno di fondazione: 1966

PIANEZZA Via Moncenisio 1, 10044 PIANEZZA - Apertura: giovedì ore 21Presidente: Giovanni Gili [email protected] - Anno di fondazione: 1976 (fino al 1979 sottosez. di Alpignano)

RIVOLI Via Allende, 5 - Cascine Vica, 10098 RIVOLI - Apertura: venerdì ore 21Presidente: Dario Marcatto www.cairivoli.it Anno di fondazione: 1982

(dal 1927 sottosez. di Torino - Sciolta dal ‘36 al ‘45)

SUSA Corso Stati Uniti 7, 10059 SUSA - Apertura: venerdì ore 21Presidente: Antonio Pezzella Tel. 0122.62.31.78 - 338.652.54.26 e-mail: www.caisusa.it

Anno di fondazione: 1872 (sciolta nel 1942, ricostituita nel 1977)

SAUZE D’OULX Strada Provinciale Oulx/Sauze - Viale Genevris, 10050 SAUZE D’OULXTel. 335.694.55.48 - Anno di fondazione: 1979 (sottosez. di Bussoleno)

Per la realizzazione di questo numero hanno collaborato con articoli, ricerche e fotografie:

Abrate Tiziana, Blandino Claudio, Cattaneo Doretta, Cordola Stefano, Ferrero Vincenzo, Gai Massimo, Gastaldo Anna, Girodo

Vittorio, Guerciotti Giorgio, Manenti Paolo, Marcatto Dario, Oglino Susanna, Pronzato Gianni, Scaglia Piero, Secondo Beppe,

Usseglio Min Claudio, Giai Via Franco.

3Muntagne Noste

La Rivista dell’Intersezionale Val Susa e Val Sangone si avvale della volontaria collaborazione dei soci delle sezioni e ditutti gli appassionati. La pubblicazione viene distribuita gratuitamente a tutti i soci delle sezioni dell’Intersezionale.La redazione si riserva la proprietà assoluta di quanto pubblicato in originale e ne consente l’eventuale riproduzione conl’obbligo della citazione dell’autore e della rivista. Gli articoli firmati comportano ai rispettivi autori ogni responsabilitàsul contenuto mentre quelli non firmati si intendono pubblicati a cura della redazione.

Direttore: Carlo Cantamessa

Presidente Intersezionale: Piero Scaglia

Segretario: Claudio Usseglio Min

Edizioni e marketing: Servizi Editoriali - Collegno (To) - tel. 011.4059119

Impaginazione: Rosa Zecchino

Stampa: Giglio Tos s.r.l. - Ivrea (To)

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Grandi novità in questo nume -ro dell’annuario: frutto di unascelta che il direttivo dell’Inter-

sezionale ha operato per ridurre i costidella rivista, anzi azzerarli per que-st’anno. Sin dalle origini – tre decennifa – infatti questa pubblicazione èstata possibile grazie alle pubblicitàche ogni sezione del CAI della Val Su -sa e della Val Sangone reperiva, nonsenza difficoltà. Oggi invece il costo èa carico dell’editore che si è occupatopersonalmente degli sponsor pubbli-citari. Il numero delle pagine a dispo-sizione per gli articoli si è ridotto, male foto a colori e in un più grande for-mato rendono vivace la grafica e la ti-ratura è raddoppiata (7000 copie),permettendoci di raggiungere un piùvasto pubblico di lettori. Per questo

motivo non ci siamo soffermati sola-mente su un tema monografico, maabbiamo spaziato su tanti aspetti eluoghi delle muntagne noste, convintiche sia importante condividere la co-noscenza del nostro territorio e la no-stra passione per la montagna ancheall’esterno delle sezioni. è stata unabuona scelta? Ai posteri – pardon – ailettori l’ardua sentenza...Un doveroso ricordo va infine a Gior-gio Guerciotti che è stato un prezio -so collaboratore di Muntagne Nosteper moltissimi anni ed un instancabileanimatore di innumerevoli incontrigastronomici dell’Intersezionale, chepurtroppo a novembre ci ha lasciatiper luoghi migliori: ciao Giorgio!

Piero Scaglia

Editoriale

5 Editorialedi Piero Scaglia

7 Via Ferrata Carlo Giordaalla Sacra di San Micheledi Beppe Secondo

10 Acqua addormentata, la nuova guida alle cascate di ghiaccio della Valle di Susadi La redazione

16 Alpinismo giovanile: in montagna con i ragazzidi Doretta Cattaneo e Paolo Manenti

20 Una nuova falesia di arrampicata

22 In montagna con il CAI(da “In montagna con il CAI” –CAI Regione Piemonte, 2009)

25 L’Intersezionale di oggidi Dario Marcatto

28 Scialpinismo: il Monte Chabriere m 2403 (Susa)di Gianni Pronzato

32 Il “Sentiero Monti”di Livio Lussiana e Michele Giovale

36 Uno strano modo di esploraredi Stefano Boscolo

38 La scuola Carlo Giordadi Massimo Gai

42 Perchè e come nasce la Cappella sul Monte Aquiladi Claudio Usseglio Min e Giuseppina Giai Miniet

46 Il mondo dei carbonaidi Franco Giai Via

51 Il francoprovenzaledi Guido Ostorero

55 I Monti di Giaveno: tra natura, storia, memoriadi Livio Lussiana e Michele Giovale

Sommario

MuntagneNoste

Anno 2017 - Numero 32

L a Sacra di San Michele sorge all’in-gresso della Valle di Susa: è una senti-nella che dal monte Pirchiriano (962

m) domina l’intera valle, spesso raffiguratacome simbolo del Piemonte. Turisticamenteè un forte richiamo per la sua valenza sto-rica, insieme all’indubbio valore spirituale(è meta secolare di pellegrinaggio interna-zionale). Ora curiosamente è stabile dimoradi un gruppo di camosci, che vi vive indi-sturbato.Tutti possono ammirarla arrivando como-damente in macchina, ma è un altro paio dimaniche – e una grande soddisfazione –pervenirci attraverso la via ferrata.La descrizione della salita è ben nota tralibri, pubblicazioni varie (vedi AltoX.it), in-ternet (Gulliver & C.), ciò su cui vale soffer-marsi è il nuovo ponte tibetano inauguratonella primavera del 2016.Al primo impatto visivo si rimane colpitidalla sua struttura (è lungo più di 70 m), masorgono perplessità appena si inizia il per-corso: se si è da soli l’oscillazione è relativa,ma in gruppo numeroso diventa evidente equindi il camminamento più incerto. Normalmente i moschettoni si attaccano allefuni laterali, qui viene invece spontaneo at-taccarli alle funi di sostegno, che però nel-l’avanzare si innalzano sempre di più finoalla staffa, motivo per cui ciò risulta un fortehandicap per chi è basso di statura. Tuttaviabisogna considerare il grande lavoro fattoper costruirla e metterla in funzione e le evi-denti difficoltà incontrate durante i lavori. èpur sempre un ponte sospeso!

In ogni caso la traversata risulta altamentesuggestiva, per la visuale che spazia dallacollina torinese fino al Rocciamelone, so-prattutto nelle belle giornate.Nel complesso la salita non è impegnativa ealla portata di tutti gli appassionati di mon-tagna. Nota divertente arrivare a fine per-corso sotto i muri della Sacra e notare i tu -risti (magari in maglietta e pantaloni corti)

7Muntagne Noste

Via Ferrata Carlo Giordaalla Sacra di San Michele

che incuriositi osservano gli escursio-nisti imbragati e muniti di casco.A questo proposito è doveroso ricor-dare che per qualunque ferrata è ne-cessario avere una minima esperienzae l’attrezzatura corretta: kit di ferrata,imbragatura e casco.Si è notato infatti che molti giova -ni af frontano questo tipo di percorsisen za un’adeguata preparazione e inpar ticolare senza casco, nonostante icartelli segnaletici.

Arrivare alla Sacra non in veste di pel-legrino – che a piedi e perigliosa-mente ha affrontato i pericoli lun -go la via Francigena – ma in qualità di escursionisti – che a loro voltahanno sfidato il vuoto e sostenutoun certo sforzo fisico – è vincereuna scommessa con se stessi edunque un meritato premio.

Beppe Secondo

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La seconda cascata della mia vita è stata la via Centrale alle Scale del Moncenisio, salitatutta da primo con le piccozze a manico dritto di mio fratello; la terza Acqua Stregata, sem-pre al Moncenisio, la quale avrebbe una lunga storia da raccontare…

Come è nata la tua passione per l’arrampi-

cata su ghiaccio?

Sinceramente non lo so nemmeno io, ma l’idea disalire su un muro verticale di ghiaccio mi ha sempreaffascinato sin da quando ero bambino e vedevo miofratello preparare lo zaino con piccozze e ramponi:a quei tempi mi portavano ad arrampicare su rocciaed io non trovavo mai gli appigli ed ero convinto chesu una cascata di ghiaccio sarebbe stato tutto più fa-cile poiché potevo piantare le piccozze dove volevoio. Mio fratello cercava di spiegarmi che non eraproprio così, ma non ci credevo. Dopo la mia terzacascata ho capito che aveva ragione: peccato chenon abbia più potuto dirglielo!

Chi ti ha insegnato a scalare le cascate di

ghiaccio?

La parte tecnica posso dire di averla imparata da autodidatta, leggendo relazioni, provandoa salire e guardando gli altri: ero ragazzino, e con un gruppetto di amici più grandi di me -anche loro alle prime esperienze sul ghiaccio verticale - ho mosso i primi passi e piano pianosiamo migliorati. L’insegnamento più grande però me lo ha dato Dante, che mi ha insegnatoa guardare laddove gli altri non sanno guardare, trasmettendomi lo spirito di avventura cheviveva ai tempi di Grassi e mio fratello: è lui, insieme a Nello, che con i suoi aneddoti e rac-conti sulle prime salite ha sempre tenuto vivi in me gli ideali di scoperta e ricerca, trala-sciando gli itinerari super gettonati e relazionati per seguire quelli storici, pressochésconosciuti ma altrettanto belli.

A cqua addormentata, la nuo -va guida alle cascate dighiaccio della Val di Susa

inizia così, con queste parole checon una fine metafora racchiu-dono in sè sia la vita di un alpinistasia quella di una cascata di ghiac-cio: due realtà opposte che hannoportato alla nascita di questo libro.Stefano Cordola, istruttore nazio-nale di alpinismo del Club AlpinoItaliano, accompagnato da diversiamici ha ripercorso i flussi ghiac-ciati della Valle di Susa seguendole tracce dell’ormai obsoleto ed in-trovabile libro Ghiaccio dell’Ovest

di Gian Carlo Grassi, attualizzandole vecchie relazioni tecniche, gli iti-nerari di avvicinamento e discesae catalogando l’enorme mole di iti-nerari non ancora recensiti e per-lopiù sconosciuti.Ma è lo stesso Stefano a raccon-tarci della sua passione che lo hacondotto alla decisione di scrivereAcqua addormentata.

Quando hai iniziato ad arram -

picare sulle cascate di ghiaccio?

Avevo 14 anni, anche se era già daqualche inverno che volevo pro-vare. La mia prima cascata è sta -ta Chi cerca trova, la facile colatasopra il rifugio Levi-Molinari: èstato il mio regalo di Natale, aven-dola salita a comando alterno ilgiorno prima della vigilia con unmio professore di prima superiore.

Come le più maestose

cascate di ghiaccio,

che nascono da un lento ma

continuo stillicidio

lottano per tutto l’inverno

contro i raggi del sole,

per poi ritrasformarsi in acqua

con l’arrivo della primavera,

la vita scorre…

…scorre tra mille difficoltà,

per poi ritrasformarsi in acqua

con l’arrivo del sole estivo.

Acqua addormentata,la nuova guida alle cascate di ghiaccio della Valle di Susa

11Muntagne Noste

Quando è nata l’idea di scrivere una

nuova guida sulle cascate di ghiaccio

della Val Susa?

Diciamo che l’idea c’è stata sin dai primianni in cui arrampicavo su ghiaccio: Dantemi parlava di cascate che non erano pre-senti sulla vecchia guida di Grassi del 1989,e la nuova edizione Ghiaccio dell’ovest 2 del1995 si è rivelata sin da subito non aggior-nata e costellata di errori. I miei unici puntidi riferimento erano alcuni amici di miofratello, che insieme a Grassi avevano scrit -to la storia delle cascate di ghiaccio: loroerano gli unici che sapevano darmi indica-zioni dettagliate anche sui flussi più nasco-sti e sconosciuti, ed è proprio grazie a loro,ai loro racconti e materiale fotografico, chesono riuscito a scrivere Acqua addormen-

tata, la nuova guida delle cascate di ghiac-cio della Val Susa. Sarebbe stato un peccatolasciar cadere nell’oblio la storia della valledove è nata l’arrampicata estrema su ca-scate di ghiaccio in Italia.

Come mai questo titolo: Acqua addor -

mentata?

Per me arrampicare sulle cascate di ghiac-cio è qualcosa che va ben oltre il gesto pu-ramente sportivo ed atletico, è una ricercadi qualcosa, una ricerca su se stessi se vo-gliamo. Non sono mai stato attratto da queiflussi famosi che restano in super condi-zioni per 4 mesi all’anno, ma sono semprestato appassionato dalle colate effimere edeteree che restano formate pochi giorni al-l’anno, nei quali occorre saper cogliere ilmomento propizio. Per tanti anni, ai primifreddi autunnali, io e Lorenzo partivamoalla ricerca dell’acqua addormentata, unaricerca che ci ha permesso di scalare cascatedi ghiaccio già a metà ottobre quando tuttiandavano ancora a scalare in falesia in ma-niche corte: per moltissimi anni io e Lo-renzo abbiamo salito le prime cascate dellestagione in valle, dando il “via” alle danze…

Quali sono i ricordi più belli delle

cascate che hai salito in Val Susa?

In Val Susa ci sono più di duecento ca-scate, ed ho avuto la fortuna di salirlequasi tutte: le uniche che mi mancanosono quelle che non sono più riuscite aformarsi negli ultimi quindici anni. Lepiù belle sono quelle che più ho so-gnato, che ho “coccolato” per anni eanni prima di trovare il momento pro-pizio per la salita: una fra tutte la ca-scata della Sacra di San Michele, l’ave -vo vista formata dal treno tornando acasa da scuola e sono andato a salirlada solo nel pomeriggio andando all’at-tacco in bici, ricordo ancora adesso lafatica a pedalare con gli scarponi in pla-stica nei piedi! L’episodio che ha piùdell’incredibile però l’ho vissuto conLorenzo nella gola del Frejus, quandosiamo arrivato alla base di una colatastupenda ma non potevano accederviperché alla base vi era un’enorme pozzad’acqua non gelata: io avevo venti annie Lorenzo poco di più, non potevamolasciarci scappare una stalattite simile,così abbiamo rotto un enorme blocco dighiaccio e lo abbiamo utilizzato comezattera per arrivare all’attacco!

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Come è nato questo libro?

Sono riuscito a scrivere questo libro perchého sempre raccolto, sin dalle mie prime sca-late, materiale fotografico e relazioni che sisono rivelati di fondamentale importanza,anche perché negli ultimi anni la maggiorparte dei flussi di bassa quota non si sonopiù formati. Da solo però non sarei mai riu-scito a redarre questa guida, fondamentaleè stato l’auto degli amici che mi hanno ac-compagnato a ripercorrere gli itinerari, non-ché quello di alcuni compagni di cordata diGrassi che mi hanno supportato laddove lepoche relazioni esistenti erano imprecise e talvolta si limitavano a riportare solo ilnome dell’itinerario. In ultimo, quando lamole di dati era raccolta, restava il problemaeconomico della stampa del volume: un gra-zie di cuore va a Claudio che si è occupatodell’impaginazione e a Maurizio, titolaredella libreria Editrice La Montagna di To-rino che ha creduto nell’opera accollandositutte le spese tipografiche.

Quanto tempo hai impiegato a scri-

vere questa guida?

Cinque anni da quando si è concretizzatal’idea; ma se non avessi iniziato già moltoprima a raccogliere materiale non sarei mai

riuscito nell’opera. Questo libro è frutto ditante serate passate ad ascoltare i raccontidi Dante, Nello e molti altri alpinisti chehanno scritto la storia delle cascate di ghiac-cio, nonché di moltissime giornate passatee scattare foto e camminare per i boschi allaricerca degli itinerari, spesso senza neanchemettere i ramponi ai piedi: le giornate pro-pizie per scattare foto ad una cascata sonodavvero poche e vanno spese al meglio!

Come è strutturato il libro Acqua ad-

dormentata?

Acqua addormentata, edito dalla LibreriaEditrice La Montagna di Torino, racchiudein 160 pagine le relazioni di più di duecentocascate di ghiaccio, suddivise in nove settoriidentificati da colori differenti: è stato dedi-cato molto spazio sia all’itinerario di avvi -cinamento sia a quello di discesa, spessocorredati da foto a colori dove è stato indi-cato il tracciato della scalata. Non sono statesminuite le cascate di terzo grado nè esaltatequelle che rasentano la soglia del sesto: tuttepresentano relazioni dettagliate al fine digarantire un punto di riferimento omogeneoe oggettivo per ogni esigenza di scalata.

La redazione

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A rrampicare sugli alberi, sui murettidei giardini, sui sassi, è da sempre unodei giochi preferiti dei bambini. è la

curiosità di scoprire ciò che si vede da più inalto e sentirsi grandi. Proprio così: sentirsigrandi, imparare a conoscere i propri limitie le proprie capacità, ad accettarle, imparareil rispetto per se stessi e gli altri. Ma ancheosservare, conoscere, rispettare l’ambientemontano e i fenomeni fisici che lo regolano,vivere sul campo esperienze dirette ad ap-profondire la geografia, la geologia, la mor-fologia dell’ambiente, la flora, la fauna, illavoro dell’uomo sulla montagna. Le sezioni CAI dell’Intersezionale Val Susae Val Sangone lavorano con i ragazzi nellaconvinzione che l’amore per la montagna e

Alpinismo giovanile:in montagna con i ragazzi

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la natura sia una parte importante dell’edu-cazione di una persona. La montagna inte -sa come una grande palestra che allena ilcorpo, ma anche l’anima. Lo scenario idealedove i ragazzi possano meglio conoscere sestessi e la solidarietà con gli altri. Lo spa -zio immenso dove ognuno può percorrereun sentiero per ritrovare la propria dimen-sione. Sono i valori che i gruppi di AlpinismoGiovanile, con l’impegno dei propri accom-pagnatori, insegnano ai giovani alpinisti dietà compresa fra 6 e 16 anni, offrendo l’op-portunità di frequentare la montagna nelgioco affascinante dell’esplorazione e del-l’avventura. Si dice che la nascita dell’Alpinismo Giova-nile sia immediatamente successiva alla fon-dazione del nostro sodalizio. è facile pen -sare che già nell’Ottocento qualche socioabbia iniziato ad accompagnare in mon-tagna il figlio o il nipote iniziandoinconsapevolmente quella attivitàche oggi prosegue con tanto entu-siasmo. I cronisti dell’epoca ci ri-feriscono che lo stesso QuintinoSella mobilitò il gruppo di figli edi nipoti e li portò con sé, primasulle facili montagne del Biellese epoi in imprese più impegnative.

Tra i suoi scritti troviamo: ”Correte alle Alpi,

alle montagne o giovani animosi,

che vi troverete forza, bellezza,

sapere e virtù”. Uno dei nipotiera Guido Rey. è trascorsooltre un secolo e il pensierodel nostro padre fondatore èancora attuale e costituisce il

nostro riferimento ideale. Doretta Cattaneo

Paolo Manenti

ALMESE:

Il gruppo di Alpinismo Giovanile del CAIAlmese nasce nel 2012 su iniziativa di al-cuni soci con l’obiettivo di favorire il ricam-bio generazionale e contrastare la costanteriduzione degli iscritti al sodalizio.

L’iniziativa riscuote subito grande partecipazione ed entusiasmo da parte dei ragazzie fiducia dei genitori. Il coinvolgimento dei genitori assume importanza di caratterepromozionale, per l’influenza che esercita sul giovane, e informativa per la cono-scenza delle attività svolte all’interno della Sezione. Il gruppo cresce. Il programma delle gite si arricchisce di attività che spaziano dal-l’escursionismo estivo e invernale, all’arrampicata e vie ferrate, alla scoperta dellegrotte. Momenti ludici si affiancano ad altri educativi e formativi. Chi guida oggi il gruppo è un team affiatato di accompagnatori di Alpinismo Giova-nile riconosciuti dal Club Alpino Italiano. La montagna è la protagonista indiscussadelle attività, gli Accompagnatori sono lo strumento che permette ai ragazzi di avvi-cinarsi a essa, mentre l’approccio è basato sul gioco. Al centro delle attività sono i valori della solidarietà e della condivisione, del ri-spetto degli altri, dell’ambiente, delle altre culture, delle genti di montagna. L’ob-biettivo formare un giovane capace di ascoltare, di essere amichevole, non con -dizionato dai miti del consumismo. Un giovane positivo e protagonista, in gradodi gioire e di amare la natura. La partecipazione alle escursioni è libera e aperta a tutti i ragazzi con età compresatra 6 e 16 anni. Ogni mercoledì la sede è aperta dalle 21.00-23.00 ed è possibile in-contrare gli Accompagnatori di Alpinismo Giovanile per informazioni sulle attività. Una ricca documentazione fotografica delle gite è disponibile sulla pagina Facebook

del CAI Almese.Info: [email protected] www.caialmese.it

ALPIGNANO:Negli anni passati un bel gruppo di ragazzi si è cimentato in escursioni, scalate, vacanze inmontagna, giochi e quant’altro; i ragazzi sono cresciuti e alcuni di loro collaborano ora at-tivamente con la Scuola Carlo Giorda (vedi articolo). La scarsità di ragazzi in fascia di età6-16 non ferma certo la progettualità e le proposte della Sezione verso i ragazzi.Le scuole di Alpignano da anni si avvalgono della nostra collaborazione per organizzareuscite didattiche sul territorio, ogni anno vengono concordate gite che coinvolgono dai 100ai 200 ragazzi. Le esperienze sono sempre molto gradite dai ragazzi che hanno modo di ap-prendere nozioni e curiosità “sul campo”. Il progetto educativo CAI-SCUOLE prevede e so-stiene la conoscenza, il rispetto e la tutela dell’ambiente montano, visto come fonte dibenessere materiale e dell’anima. Vengono proposti inoltre corsi di Mountain Bike, in col-laborazione con varie Sezioni del Torinese, che sono rivolti proprio a questa fascia di età eche riscuotono sempre un grande successo. La Sezione – aperta il venerdì dalle ore 21.15alle 22.30 – è a disposizione degli insegnanti, dei genitori e dei ragazzi interessati, per for-nire informazioni, per consolidare i rapporti e per offrire a tutti l’opportunità di vivere delleesperienze insieme. Info: [email protected] www.caialpignano.it

Esperienze dalle sezioni

Muntagne Noste18 19Muntagne Noste

C ome spesso accade, più per caso cheper ricerca, abbiamo scovato questanuova falesia. Inizialmente aveva ac-

ceso la nostra curiosità la grande parete chesovrasta la strada del Moncenisio, pocodopo l’abitato di San Martino. La presenzadi reti parapietre, gli evidenti lavori di di-sgaggio e la posizione proprio sopra la stra -da, ci avevano dissuaso dal piantare spit

rischiando di provocare eventuali cadute di massi sulla carreggiata. “Con le pive nel

sacco” ritorniamo all’auto, parcheggiata inun piccolo spiazzo a destra della strada. Ilposto è panoramico con veduta su Venaus esul Rocciamelone, ma quello che subito ciincuriosisce è la verticalità del luogo sotto ilmuretto del parcheggio.“Ci sarà una parete di roccia?”. “Andiamo

a vedere!”. Costeggiamo la strada, imboc-chiamo una breve sterrata che diventa sen-tiero, tagliamo nel bosco di castagni selva -tici superando una scoscesa pietraia e siamoalla base della presunta parete. Presunta,perché enormi ammassi di edera ricopronoquella che sembrerebbe una parete verticalee strapiombante.Dopo un giorno di riflessione – per deciderese è il caso di sobbarcarci il grosso lavoro di

disgaggio – decidiamo di fare una verifi -ca su che tipo di roccia si nasconda sottol’edera. Da sopra, con una doppia ancorataad un albero, ci caliamo sull’edera e con unlavoro di qualche ora riusciamo a staccarladalla parete, disturbando un grosso scoiat-tolo grigio e numerosi uccelli.Quello che vediamo ci convince e così ini-ziamo a ripulire e attrezzare la parete.

Una nuova falesiadi arrampicata

21Muntagne Noste

Accesso: da Susa seguire la stra -da statale 25 del Moncenisio finoalla frazione San Martino (8,7 Kmda Susa) proseguire ancora percirca 1 Km fino ad una piccolapiazzola sulla destra (9,6 Km daSusa) dove è possibile parcheg-giare (se il parcheggio fosse oc-cupato proseguire ancora per 300m fino a Molaretto e raggiungereun piazzale posto di fronte ad unbar). Dalla piazzola tornare indie-tro sulla statale per circa 20 m escendere lungo una strada sterrata, superando una costruzione di cemento dell’acquedotto, pro-seguire per 70 m su comodo sentiero fino ad individuare una traccia di sentiero che scende a si-nistra nel bosco (segni bianchi). Da qui in 3 minuti si raggiunge la base della falesia che in linead’aria risulta posizionata 50 m sotto la costruzione dell’acquedotto. Descrizione: la falesia, alta circa 30 metri, attualmente presenta 12 vie attrezzate con lunghezzadi 20-25 metri ottimamente chiodate con sosta su catena e moschettone di calata. La parete, leg-germente strapiombante, presenta tacche nette, fessure e alcuni svasi imponendo un’arrampicatadi forza, soprattutto di braccia. Le caratteristiche della parete rendono possibile arrampicare anchein giornate di tempo umido e in presenza di piccole precipitazioni.

Coordinate: 45.170349 N, 7.002329 EQuota: 1150 m s.l.m.Orientamento: ESERoccia: micascisti quarzosiTempo di avvicinamento: 5-10 minuti dalla piazzola

Falesia di San Martino

1 Petits Albert 6a2 Ogondra 5c3 Der kleine Lehrer 6a - 6a+4 Der Lehrer 6b - 6c+5 Nurejeva 6b+6 La Dea arrampicatrice 6c7 Il ragno 6c8 Der zweite Lehrer 6c+9 L’esodato 7a+10 Tenacissimo 6b+11 Il capo non passa 6b+12 Piovono pietre 6b

NB: le difficoltà indicate sonoprovvisorie e in attesa di conferme.

I l Club Alpino Italiano venne costituito aTorino nel 1863 con lo scopo statuta-rio “di far conoscere le montagne, più

specialmente le italiane e di agevolarvi le

salite e le esplorazioni scientifiche”. L’asso-ciazione, che vide la luce due anni dopo laproclamazione dell’Unità d’Italia, dovevaessere nazionale e tale fu da principio, percui potè espandersi, dai 200 aderenti del1863, ai 306.553 di oggi iscritti presso 811Sezioni e Sottosezioni presenti in tutto il ter-ritorio nazionale.    Il CAI, nei suoi 150 di storia, ha diffusola pratica dell’alpinismo e del turismoalpino, anche grazie alla costruzione deiRifugi alpini che, dai 57 edificati pri -ma del 1900, assommano ai 750 attuali.Al suo interno, fra le sue molteplici fun-zioni e gruppi, c’è il Corpo Nazionale

di Soccorso Alpino e Speleologico

che svolge l’importantissimo compito diricerca e di soccorso in montagna.

Perchè iscriversi al CAISe indubbia è l’importanza delle ragioniideali nell’aderire al CAI, cioè passione perla montagna e condivisione dell’impegnonella tutela dell’ambiente montano e di chilo frequenta, altrettanto lo è quella dellemolteplici ragioni pratiche. Essere soci CAIsignifica infatti godere di particolari servizie agevolazioni:

In montagna con il CAI

Muntagne Noste22 23Muntagne Noste

• usufruire a condizioni e prezzi preferen-ziali dei rifugi CAI nazionali ed esteri

• partecipare ai corsi, alle gite e agli eventiorganizzati dalle Sezioni

• essere coperti da polizza assicurativa perla Responsabilità Civile verso Terzi e perinfortuni nelle attività sociali e per in -terventi effettuati dal Soccorso Alpino incaso di infortunio sia in attività socialeche individuale

• ricevere gratuitamente i periodici del CAInazionale e godere di sconti su tutte lepubblicazioni edite dal Club (compresecarte e guide dei sentieri)

• usufruire del materiale tecnico, biblio -grafico e foto-cinematografico messo a di-sposizione dagli organi Centrali e dalleSezioni

• usufruire di prezzi agevolati con i nume-rosi negozi e strutture convenzionate.

Diventare soci consente quindi di perfezio-nare e accrescere la propria preparazione

tecnica ed esperienza, aggiornarsi su tecni-che e cognizioni alpinistiche ed escursio -nistiche, vivere dall’interno la realtà dellamontagna che da sempre affascina e av-vince per la sua ricchezza naturale, la suastoria e la sua civiltà.

(Da “In montagna con il CAI” –

CAI Regione Piemonte, 2009)

Per poter più agevolmente coordinare e dare visibilità all’Intersezionale e per avere unasimultanea informazione riguardante le singole sezioni, dal 2016 è stato realizzatoun sito internet che si può consultare all’indirizzo www.caivalsusavalsangone.it

S ono quasi 40 anni che si parla dell’In-tersezionale Valsusa Valsangone, per laprecisione dal 1978, quando i rappre-

sentanti di cinque sezioni e sottosezioni delledue valli (Alpignano, Avigliana, Coazze, Gia-veno e Pianezza) iniziarono a incontrarsi.Noi umani non siamo come i cani, non ci an-nusiamo, ma i nostri predecessori fiutavanola stessa aria, fatta di voglia di guardarsi in-torno e di uscire un poco dal proprio orti-

cello particolare, per vedere se quello delvicino produceva ortaggi migliori o se c’erapossibilità di scambiare i nostri prodotticon i suoi... Con ogni probabilità, essi non intendevanodare una veste istituzionale (un nome, untimbro, un logo, uno statuto) ai loro incontri,ma avevano davanti agli occhi i problemi ele domande che venivano dalle loro sezioni,alle quali cercavano risposte provando a in-ventare qualcosa che da soli forse non eranoin grado di intraprendere. Erano riunionisenza verbali e senza ordini del giorno, senza

presidenti né segretari, incontri di personeanimate da una passione e una volontà diprovare a condividere, per cambiare arianelle sezioni del CAI provando a percorreresentieri nuovi. In un sodalizio che crescevasensibilmente di numero c’era la voglia di te-nere il passo con i tempi e di tentare inizia-tive comuni. Così sono partite le gite, leserate, le merende, i corsi per formare gio-vani e meno giovani alla cultura della Mon-

L’Intersezionale di oggi

Muntagne Noste24 25Muntagne Noste

tagna, scoprendo e facendo scoprire i valoriprincipali di un sodalizio al quale appartene-vano e che sembrava sempre così lontano eoccupato nella sua funzione di assicuratore,di organizzatore di convegni culturali e di ga-rantista di rifugi e stampa sociale.In questi 30 anni molte cose sono cambiate,e il raggruppamento – che oggi riunisce 11sezioni con un numero di soci vicino a 3500 –vuole ripensare alle sue origini; l’incontro diCaprie della seconda metà di novembre intende essere una riflessione sul cammi-no fatto, e una testimonianza verso chi hamosso quei primi passi. Siamo passati dalleprime stringate comunicazioni scritte alle te-lefonate, dalle mail agli SMS, dal primigeniocalendario unificato di gite (le Gite del Ca-liffo) a quello che oggi si può consultare sul

sito del raggruppamento: modi diversi esempre più veloci per comunicare, per esseremessi a conoscenza, informazioni che spessorischiano di perdere di valore perché sovra-state da mille altre. E se gli incontri man -gerecci (castagnate, incontri di giugno) se -gnano il passo e impongono di cercare nuove

modalità, altre possibilità possono decolla-re (dalla gita comune al mare alle giornatedi formazione sulla sicurezza in montagna,sull’uso di GPS e Artva). Allo stesso modo, dal convegno LPV del 1993realizzato dal raggruppamento alla Sacra diSan Michele a quelli più recenti (2006 e2016) organizzati dalle singole sezioni (Gia-veno e Pianezza) sono cambiate molte cosenel CAI e nelle persone che lo rappresen-tano. Analogamente, dai discorsi sulle Olim-piadi invernali del 2006 a quelli sulla TAV invalle di Susa, dall’eliski alle moto sui sentierie strade di montagna (come quella del Colledelle Finestre), dai disastri ambientali an-nunciati al nuovo Bidecalogo presentato aTorino nel 2013 ci sono tanti spazi che le se-zioni del CAI possono occupare con la de-

nuncia e la riflessione, non riducendo il tuttoa iniziative individuali, segnale preoccupantedi una partecipazione sempre più ridotta espesso delegata ai pochi informati e prepa-rati. Nel CAI, si sa, da sempre c’è voglia difare, e va bene. Pensare alla Montagna nonsolo come luogo di pratica sportiva e di relaxma come luogo di vita e di conoscenza da tu-telare e difendere cercando obiettivi comuni,è fondamentale oggi più che mai: un per-corso che passa attraverso la partecipazionealle serate e ai convegni, alle gite e alle ini-ziative promosse dagli enti locali, dai Co-muni e da altre associazioni di volontariato.In questa prospettiva, l’incontro di Caprienon è un momento per ripensare con no -stalgia ai primi anni né per fare delle auto-celebrazioni per quanto si è realizzato (dal -la Scuola di alpinismo e scialpinismo “CarloGiorda” all’annuario Muntagne Noste chedal 1985 viene distribuito ai soci al momentodell’iscrizione, dalla mostra “Due valli peruna Montagna” del 2002 ai Quaderni del-

l’ISZ), ma uno stimolo per valutare il seg-mento di cammino che si è percorso grazieall’impegno e alla lungimiranza di molti, peraprire gli occhi sui limiti e soprattutto sullepotenzialità che dobbiamo e sul coraggio chedobbiamo tirar fuori per andare avanti.

Dario Marcatto

Muntagne Noste26 27Muntagne Noste

P ercorrendo la Val di Susa alla volta di Oulx, in corrispondenza del paese di Exilles eavendo lasciato alle spalle l’omonimo forte, s’intravedono sul lato sinistro orograficoi pendii sostenuti e regolari delle punte Casses Blanche e Chabriere. Entrambe rien-

trano nell’elenco delle gite poco distanti da Torino e relativamente facili nel periodo tra lafine dell’inverno e l’inizio della primavera. Per quanto riguarda la Chabriere – consideratoil dislivello contenuto – potremmo definirla una classica salita, utile per accrescere l’alle-namento per le più importanti ascensioni di maggio e giugno. In pratica, giunti al bivio dal quale parte sulla destra la strada asfaltata verso le Grangedella Valle, si raggiunge e si supera l’abitato di Eclause, fino a quando la presenza di nevelo permette. A questo punto, calzati gli sci, si prende a salire lungo una traccia per poipiegare decisamente sulla sinistra sui ripidi fianchi della montagna, immersi in un boscodi larici. Usciti dalla macchia boschiva, il percorso prosegue verso la cima oramai ben visibile conun semicerchio verso destra e – lasciati alle spalle anche gli ultimi larici solitari – si af-frontano i pendii sommitali che in funzione della stagione e della quantità di neve possono

richiedere un po’ di attenzione. In breve si scorgono i ruderi didue costruzioni militari del Bat -taglione III Alpini, posti sulla cre-sta finale e con essi la cima, pocodistante dalla più elevata CassesBlanche. Dalla vetta il panorama è notevole,con in sequenza: il monte Ambin,più in basso il Rocciamelone, lospartiacque della Val di Susa conla Valle di Viù, la Ciantiplagna difronte, tutto il Gran Bosco di Sal-bertrand e su su fino allo Chaber-ton, con la Grand’Hoche e la Clo -tesse in primo piano. Ricordo che nel corso dell’ultimasalita – credo nel 2009 in compa-gnia di un gruppo di amici – sia -mo stati testimoni di uno scenario,oserei dire terrificante. Lasciate leauto e iniziata la salita, eravamogiunti in prossimità dell’enormecanale che separa due fianchi del -la montagna, ed entrati a semicer-chio, attorno a noi avevamo visto isegni inconfondibili del passaggiodi una enorme valanga invernale.E così, un po’ per neve, un po’ suterra, ci eravamo trovati a doverscavalcare blocchi di roccia, rama-glie e quant’altro. Ma la cosa spa-ventosa erano i larici: piante al -te oltre quindici metri e con undiametro di 40/50 cm, spezzati dinetto quasi fossero fuscelli... Incredibilmente questi alberi nonsi presentavano con l’apparato ra-dicale fuori dal terreno, ma eranospezzati a circa tre metri dal suolo!Nel senso che la frattura non erain prossimità della terra, ma mol -to più in alto… Eravamo letteral-mente senza parole. Una forza de -vastante doveva aver fatto rovi -

Scialpinismo: il Monte Chabrierem 2403 (Susa)

Muntagne Noste28 29Muntagne Noste

Muntagne Noste30

nare giù nel vallone neve, ghiaccio, sassi travol-gendo tutto quello che incontrava sul suo cammi -no, e lo spostamento d’aria aveva fatto il resto. Com-mentando in seguito con alcuni conoscenti dellaGuardia di Finanza di Bardonecchia, venni a sapereche quella importante valanga non aveva per for-tuna causato delle vittime, se non alcuni ungulatiche di lì a poco sarebbero stati oggetto di recuperocon la Guardia Forestale. I recuperi delle carcasse…. ennesima prova che contro le forze della natural’uomo non ha possibilità di riuscita.

Gianni Pronzato

31Informazione pubblicitaria

DescrizioneDa Exilles si prosegue versoEclause, utilizzando la stradache d’estate conduce fino alleGrange della Valle. Raggiungereil paese di Eclause 1383 m • Dislivello: 1002 m • Difficoltà: BS • Tempo di salita: h. 3,00 • Periodo consigliato: fine febbraio, marzo

• Esposizione: Sud

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S i tratta di un itinerario ad anelloche si sviluppa nella valle del tor-rente Romarolo. Il sentiero è dedi-

cato alla memoria dello scrittore cheamava questa piccola valle incastonatanella più ampia Val Sangone e che ri-cordò in uno scritto apposito “Val d’Ar-

mirolo, ultimo amore” ultima sua operaa vedere la luce.Realizzato nel 2006 - nella ricorrenza del40° anniversario della morte di Monti ead opera del CAI Giaveno in collabora-zione con l’Istituto Pascal e il Circolo Ri-creativo di Giaveno - il percorso possiedele caratteristiche tipiche del sentiero te-matico letterario.

Descrizione dell’itinerario Tempi di percorrenza 4h - Sviluppo Km 9,5 - Dislivello m 280 Presso la borgata Mollar dei Franchi

(m 600), al termine di un lungo rettili-neo della rotabile che da Giaveno sale aProvonda, si imbocca sulla sinistra lasterrata che conduce alla borgata Gen-

tina (m 623). Giunti a Case Rat, all’al-tezza di una fontana e di una sbarra, siscende sulla sinistra fino ad un ponte(Punt da Balueri) che attraversa il tor-rente Romarolo. A partire da questo punto l’itinerario sisnoda per un lungo tratto sulla destraorografica del torrente (sentiero 452,non ancora segnalato) fino a un caratte-ristico ponte in pietra, (superato il qualesi guadagna la sinistra orografica neipressi di Case Galletto (Can Galet, m670). La mulattiera si trasforma ora inuno sterrato (sentiero 452A, non anco -ra segnalato) che con alcune ripide cur -ve conduce a Case Nanot (Can Nanot,

m 803), da cui si prosegue a destra sulla ro-tabile asfaltata fino a Provonda (m 769),da notare la bella chiesa parrocchiale de -dicata a San Michele Arcangelo. Di qui sisegue in discesa la rotabile fino al bivio chesulla sinistra, con un breve strappo, con-duce al nucleo inferiore di Case Franza

(La Fransa, m 763). Si prosegue poi su unviottolo (sempre sentiero 452A) che, supe-rata in piano una zona di prati e orti untempo coltivati a vigne, si inoltra nel boscoe scende ripidamente su Pian Siva. Se-guendo la segnaletica, si prosegue in discesanel bosco a riguadagnare la rotabile che sirisale per un brevissimo tratto fino a unbivio segnalato a sinistra, che immette allaborgata Cordria ( m 650), dove soggiornòAugusto Monti. Di qui si scende in bre -ve alla borgata Gentina e, percorrendo a ritroso il primo tratto dell’itinerario, siraggiunge Mollar dei Franchi, chiuden -do l’anello.Una variante permette di dimezzare lalunghezza dell’itinerario descritto, esclu-dendone la parte alta. Dal citato Punt da

Balueri si segue la destra idrografica deltorrente Romarolo fino ad un ponte in ferroche immette in sinistra orografica su un ri-pido sterrato che tocca dapprima la fon-

tana “du Duca” e successivamente leborgate Mador (m 673) e Madorera (m701), dove si guadagna la rotabile asfaltata,che si risale fino al bivio per Case Franza.

Lungo l’intero percorso del “Sentiero Mon ti”sono distribuiti 18 pannelli che riportanobrani tratti dalle opere dello scrittore, conl’indicazione dell’itinerario che si sta per-correndo.

Augusto Monti nacque a Monastero Bor-

mida nel 1881. Appena conseguita la lau-

rea in lettere classiche nel 1902 presso

l’AteNeO tORINeSe, intraprese la car-

riera didattica nella Scuola tecnica Pareg-

giata “Giacinto Pacchiotti” di Giaveno. Do -

po i due anni del noviziato giavenese, rico-

prì incarichi nelle scuole medie superiori di

diverse città in tutto il territorio nazionale,

considerandosi “maestro di scuola classica

e vita moderna”. tra il 1921 e il 1926, pe-

riodo del suo insegnamento presso il Liceo

Classico “D’Azeglio” di torino, contribuì in

modo determinante alla formazione di un

gruppo di giovani intellettuali che avreb-

bero rivestito un ruolo rilevante nel quadro

culturale italiano dagli anni ’30 alla fine

Il “Sentiero Monti”

Muntagne Noste32 33Muntagne Noste

Muntagne Noste34

del secolo scorso. Ne facevano parte, tra gli

altri, Cesare Pavese, Massimo Mila, Giulio

einaudi, Salvatore Luria, Leone Ginsburg

e Vittorio Foa. Fervente ammiratore di Go-

betti, di lui più giovane, Monti militò nel

movimento antifascista “Giustizia e Li-

bertà”. Per questo fu condannato dal tri-

bunale Speciale a tre anni di reclusione, che

scontò tra il 1936 e il 1939 nel carcere ro-

mano di Regina Coeli e nel penitenziario di

Civitavecchia. trasferitosi a Roma dopo la

guerra, vi morì nel 1966, dopo aver conti-

nuato la sua attività di scrittore e opinioni-

sta stimato sulle colonne di alcuni impor -

tanti quotidiani nazionali.Nei suoi romanzi (“I sansôssì” e “La coronasulle ventitré”), nel saggio autobiografico“I miei conti con la Scuola” e nelle “ Letterea Luisotta” scritte dal carcere alla figlia (1),si trovano riferimenti a Giaveno e alla Val-sangone, che testimoniano di un legametenace, non scalfito dal tempo e dalle av-versità.

La minuscola borgata della Cordria, si-

tuata a lato della strada che sale a Pro-

vonda nella valle del Romarolo (o Ar mi -

rolo, nella traduzione più vicina alla di-

zione ‘Armireu’ della parlata locale), tra il

1931 e il 1936 fu per Monti il rifugio appar-

tato e discreto dove trascorrere le vacanze

tra gente semplice, la cui vita era ancora

scandita dal ritmo delle stagioni. Le sen -

sazioni suscitate da questi soggiorni, an -

notate in un quadernetto dimenticato per

anni in fondo a un cassetto, furono ripor-

tate alla luce dalla figlia Luisotta, duran -

te un soggiorno a Roma presso il padre,

ormai cieco. Le note, buttate giù a suo tem -

po con l’intento di ricavarne un romanzo,

decifrate e ordinate amorevolmente dalla

figlia, diedero vita a “Val d’Armirolo, ul-

timo amore” che, pubblicato nel 1965 dal-

l’editore Mursia, fu proposto per il Premio

Strega.

Protagonisti di questa raccolta di ritrat -

ti, quasi acquerelli d’ambiente e di atmo-

sfere, sono le borgate che si guardano in

cagnesco dagli opposti versanti, il torrente

che vi scorre sul fondo, l’arietta, le stagio -

ni; la gente e le sue storie; gli animali come

la Bionda, regina della stalla, o il galletto

americano che alza sulle borgate deserte il

suo canto struggente, inascoltato e vano,

come di uno “sperduto”, di un “confinato”.

(1) L’opera completa di Augusto Monti è stata ristam-pata dall’Editrice Araba Fenice.

Livio Lussiana

Michele Giovale

Foto di Bartolo Vanzetti

Un pellegrinaggio? Un voto? Questo era quel-lo che ci chiedeva la gente mentre salivamo.Forse sì, forse per cercare qualcosa in quellafatica, forse per vedere il Rocciamelone daun altro punto di vista... fuori sella! O fuoridi testa? Una via crucis! Solo per divertirsi.Questo è quello che andiamo cercando, unparco giochi incontaminato, altro che Bike-Park e seggiovie!Sicuramente una delle cose belle della MTBè che ti invoglia a partire da casa, oggi come

sessanta anni fa, e ogni tanto è bello farecosì. La MTB un “velocizzatore” di emozione,un po’ come gli sci.La discesa è stata grandiosa! Sul versante Sudè praticamente tutta godibile dalla Croce diFerro in poi, con una grande scelta di sentieri.Sul versante Nord-Ovest invece è una veraciclo-alpinistica, con una gran varietà di ter-reni, dalla ciapléra al ghiacciaio, dalla ferrataalla strada sterrata e poi asfalto fino a Lansle-villard, poi ancora su al Moncenisio per poiscendere a Susa e quindi rientrare a casa.Che dire? Io mi sono divertito, altrimentinon ci sarei salito due volte nel giro di tresettimane. Sicuramente è la discesa che puòdare questa sensazione, la ricerca del “ride”

perfetto! Scendere con la MTB a spalle è veramente dura, quasi insensato, ma quan -do la ciclabilità supera il 70%, allora apriticielo e... giù!In ogni caso la salita è indispensabile, pertanti motivi: ti scaldi, ti sciogli i muscoli e liprepari per la discesa, sudi, bruci kcal (tan-tissime!!), guardi il paesaggio per non pen-sare alla fatica, pensi a tante cose, spessonon pensi a niente, magari solo alla discesa,riposi la mente e stanchi il corpo.

Una discesa da manuale, che non lascia trac-cia (difficile sul Glacier du Ribon visto losfondage delle ruote sulla neve), una di quel -le discese che fanno ben convivere escursio-nisti e ciclisti (il rispetto è d’obbligo). Perchéin quest’epoca, è su questo tema il dibattito:chi usura di meno!Ultimamente mi è venuto questo pensiero:se il riscaldamento globale farà scioglieretutti i ghiacciai poco male, ci andremo inMTB… se non saremo già morti di sete!Concludendo, questa ascensione è riser-va ta a chi vuol soffrire un po’ ma anche a chiha voglia di un ricordo indelebile e forse difare qualcosa che esca dagli schemi!

Stefano Boscolo

Uno stranomodo di Esplorare

L a mountain bike attualmente è stata portata su molte montagne come il Monte Bianco,il Gran Paradiso, la Punta Gnifetti con la Capanna Regina Margherita nel Monte Rosae molte altre. Ma qui si vuole parlare del Rocciamelone e della sua cavalcata in sella

alle due ruote. Quasi impensabile immaginare una MTB sul Rocciamelone, con la sua formaad uncino, su quei pendii scoscesi.Un giorno invece, quasi per scherzo mi son trovato sul Rocciamelone, la montagna simbolodella Val di Susa, in sella alla mia bici.Come disse il rifugista Fulgido (il custode del Rocciamelone) ormai tre anni fa, mentre ri-posavamo un po’ le spalle dal portage: “Sonomeno di dieci le persone che ho visto sudi qui con la MTB!”. Poichè sette diqueste eravamo noi, ne rimane-vano ben poche, e questo cidiede una gran carica!

37Muntagne Noste

L’arrampicata, l'alpinismo classico e loscialpinismo hanno registrato in que-sti ultimi tre decenni un'evoluzione

spaventosa come numero di partecipanti.Le nuove tecnologie e tecniche – ma so -prattutto l'intervento mediatico sempre piùmassiccio – hanno spinto giovani e menogiovani verso le falesie di fondo valle o suipendii delle cime più famose e dei 4000delle Alpi.Inevitabilmente una grossa fetta di questineofiti si rivolge al CAI e alle sue Scuole perapprendere i primi rudimenti di queste me-ravigliose attività.In questi 21 anni di vita la Scuola Interse-zionale di alpinismo, scialpinismo e arram-picata libera “Carlo Giorda” ha svolto unruolo di primo piano nella formazione nellenostre valli.La Scuola nasce nel 1994 come risposta del-l'Intersezionale Valle di Susa e Val Sangonealle nuove disposizioni – varate dalla Com-missione Centrale Scuole – riguardanti i re-quisiti minimi necessari per poter svolgereattività didattica in ambito delle scuole CAI.La nuova scuola fu dedicata alla memoria di

Carlo Giorda, istruttore Nazionale di Scial-pinismo deceduto nell' agosto 1985 duranteuna scalata nel gruppo del Monte Bianco.Nel 1994 il primo corso di Alpinismo fu de-dicato unicamente alla formazione di nuoviaiuto-istruttori provenienti da quasi tuttele sezioni delle nostre valli, con lo scopo diunificare la didattica e creare quello spiritodi corpo che ci ha poi caratterizzato in tuttiquesti anni.Molti dei giovani allievi di allora sono di-ventati bravi istruttori regionali e nazionali,sostituendo negli anni il gruppo dirigenteche fondò la Scuola.

Muntagne Noste38 39Muntagne Noste

La scuola Carlo Giorda

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti,molti allievi hanno condiviso con noi qual-che domenica, alcuni si sono fermati nellesezioni CAI, altri hanno intrapreso il per-corso di formazione per diventare istruttore.Alcuni istruttori hanno preso altre strade, ri-nunciando all'insegnamento o mettendo leloro capacità a disposizione di altre Scuole.Sono stati 21 anni di impegno serio, com-petente ma anche allegro e conviviale. Al-cuni allievi o istruttori all'interno della Scuo -la hanno trovato il compagno/a della lo -ro vita. Montagna maestra di vita ma an chemontagna semplicemente vissuta con sere-

nità insieme ad amici che condividono ituoi stessi valori.La Scuola Giorda è servita all'Intersezio-nale? è stata una scelta giusta? è utile all'In-tersezionale investire su questa Scuola?Alcuni dati sono la migliore risposta a que-ste domande. In 21 anni sono passati neivari corsi circa 1200 allievi di cui il 40% hafatto la tessera CAI per la prima volta e sisono formati circa 70 istruttori di cui attual-mente 52 in organico.

Massimo Gai

SCUOLA GIORDA Programma corsi 2017

Corso di scialpinismoDirettore: Andrea Rizzi 3391531024Vicedirettore: Marco Lerre 349.4095493Segretario: Stefano Boscolo 339 2057400Presentazione del corso e termine iscrizione:

giovedì 26 gennaio Uscite pratiche: 5/02, 12/2, 26/02, 11-12/3, 26/3, 9/4,22-23/4 Lezioni teoriche: giovedì precedenti le uscite praticheSede: CAI Alpignano (Via Matteotti 10), ore 21.00Per info e iscrizioni: [email protected]

Corso di cascate di ghiaccioDirettore: Stefano Cordola 347.0412145Vicedirettore: Marco Saccardo3392868782, Segretario: Valerio Duzzi 3272458725Presentazione del corso e termine

iscrizione: mercoledì 11/01Uscite pratiche: 22/01, 28-29/01, 12/02,18-19/02Lezioni teoriche: mercoledì precedenti leuscite pratiche Sede: FIE Almese (Piazza della Fiera 1),ore 21.00Per info e iscrizioni:

[email protected]

Corso di scialpinismo avanzatoDirettore: Pier Carlo Martoia 3488891911, Vicedirettore e segretario:

Enrico Usseglio 3387960058Presentazione del corso e termine

iscrizione: mercoledì 25 gennaioUscite pratiche: 25-26/03, 9/04, 29-30-01/05, 21/05Lezioni teoriche: mercoledì precedenti le uscite praticheSede: FIE di Almese (Piazza della Fiera 1),ore 21.00Per info e iscrizioni: [email protected]

Corso di arrampicata liberaDirettore: Giacomo Portigliatti 3391262770Vicedirettore: Massimo Cedrino348.3164874, Segretario: Enrico Griotto 340.9628164Presentazione del corso e termine

iscrizione: venerdì 31 marzoUscite pratiche: 2/4, 9/4, 23/4, 7/5, 13-14/5Lezioni teoriche: venerdì precedenti le uscite praticheSede: CAI Giaveno (Piazza Colombatti 14), ore 21.00Per info e iscrizioni:

[email protected]

Corso di alpinismoDirettore: Alessandro Nordio 3339834228 Vicedirettore: Pasquale Bocina335.6005050, Segretario: Ezio Castagno 339.2412441Presentazione del corso e termine

iscrizione: giovedì 27 aprileUscite pratiche: 7/5, 14/5, 27-28/5, 10-11/6, 8-9/7Lezioni teoriche: giovedì precedenti le uscite praticheSede: CAI Rivoli (Via Allende 2), ore 21.00Per info e iscrizioni:

alpini [email protected]

Corso di arrampicataDirettore: Alessandro Carcano 3475720745Vicedirettore: Claudio Blandino 327655011 Segretario: Alessio Moretta 3355687626Presentazione del corso e termine

iscrizione: giovedì 7 settembreUscite pratiche: 17/9, 24/9, 8/10, 15/10,5/11, 11-12/11Lezioni teoriche: giovedì precedenti le uscite praticheSede: CAI Bussoleno (Borgata Grange 20),ore 21.00Per info e iscrizioni:

[email protected]

L a Grande Guerra è terminata da pocoquan do nel 1919 arriva alla guida dellaparrocchia della Maddalena il nuovo pie-

vano, don Giovanni Battista Gallo.Originario di Trana, dove è nato nel 1885, donGallo è all’inizio guardato con un po’ di diffi-denza dai suoi nuovi parrocchiani, spiazzati daquel suo carattere irruento e a volte un po’ in-disponente che mette soggezione principalmen -te alle donne, abituali frequentatrici della chiesa.Ma “le vie del Signore sono infinite” predicavaDon Gal (come fu subito ribattezzato dai suoifedeli), mentre tra una partita a bocce oggi euna a carte domani in breve tempo alla messaprima della domenica cominciarono ad entrarein chiesa anche i cappelli e non solo i veli… Lacomunità trovava la propria identità anche in-torno al suo parroco.Fu proprio durante una messa che, interrom-pendo improvvisamente l’omelia, don Gal pro-pose ai parrocchiani di andare a celebrare una

messa sul monte Aquila per ricordare i cadutidella Grande Guerra e ringraziare la Madonnaper tutti quelli che erano tornati salvi dal fronte.La proposta trovò grande consenso; si stabilìla data che casualmente coincise con la se-conda domenica di luglio e lassù sul monteAquila quel giorno a presenziare la messa fu-rono veramente in tanti.Al momento di iniziare l’omelia, Don Gal invitòi parrocchiani ad ammirare il panorama, unmeraviglioso 360°che spaziava dalle Marittimeal monte Rosa, e lì li colse di sorpresa con unaproposta intrigante: “Perché non costruiamouna cappella in onore della Madonna dellaPace?”.Anche questa volta ci fu il pieno consenso; il sogno di don Gal cominciò lentamente aprendere forma; dopo aver scelto l’ubicazioneideale e risolto le pratiche con il Comune diGiaveno, ebbe inizio l’approvvigio namento delmateriale, che veniva depositato alla Madda-

Muntagne Noste42 43Muntagne Noste

lena (dove terminava la carrozzabile) per poiessere portato in vetta a spalle o a dorso dimulo. Don Gal si rivolse allo iutificio Prever diPonte Pietra chiedendo gli scarti di iuta, con iquali le donne delle borgate cucirono dei sac-chetti di varie dimensioni (dai 2 ai 10 kg di ca-pienza) che dovevano essere riempiti di sabbia.Al rientro dal lavoro nelle fabbriche del fondo-valle, i parrocchiani che abitavano nelle borgateche si trovano sul tragitto tra la Maddalena e ilmonte Aquila si caricavano un sacchetto di sab-bia e lo depositavano nella loro borgata di ap-partenenza (Verna, Chiarmetta, Pra Fieul, Presedi Lui, Prese Loiri), mentre le donne e i bambininel tempo libero li portavano poi in vetta.Per il trasporto del materiale più pesante vennero utilizzati dei muli: alla Maddalena cen’erano due, uno dei fratelli Beniamino e Giu-seppe Giai Chel (papà di Candido, lo storico sa-grestano della Maddalena) proprietari di unmulino tra le Roccette e il Mollar, l’altro di GiaiCostantino Pron (Custan du Del), di profes-sione boscaiolo.La seconda domenica di luglio del 1925 venneposata e benedetta la prima pietra e iniziaronoufficialmente i lavori.

L’8 agosto del 1926 don Gal organizzò una fe-sta alla Maddalena con lo scopo di raccoglierefondi per proseguire i lavori: furono invitati deicommedianti dialettali piemontesi che diederospettacolo recitando anche una poesia a tema(Prologo al trateniment - pro Capela Madona

d’la Pas) della quale venne rilasciata una copiaa tutti i presenti. La seconda domenica di luglio del 1928 la Cap-pella venne inaugurata e dedicata appunto allaMadonna della Pace.Da un po’ di anni essa è gestita dal gruppoA.N.A. Giaveno-Valgioie, che a fianco ha co-struito anche un piccolo rifugio e ne cura la ma-nutenzione in modo encomiabile.

Claudio Usseglio Min

Giuseppina Giai Miniet

La poesia nella pagina successiva è stata tra-scritta rispettando fedelmente l’originale un po’sgualcito, che ho ritrovato per caso in un cas-setto di nonna Maria, coetanea e parrocchianadi don Gallo. L’articolo è frutto di ricordi fedel-mente tramandati.

Perchè e come nasce la Cappella sul Monte Aquila

Muntagne Noste44

Prologo al Tratenimentpro Capela Madona d’la PasAmis, seve ёl perché che ancheui nôi sôma sì,trucà da cômediant, per feve divertì ?L’è semplice ‘l perché: a l’è ‘n perché grandiôs.La su a dôimila meter, tacà al seren dёl ciel,s’lè spale dёl côl d’l’Aquila, andôva tutt l’è bel,a l’è già d’pì d’un an ch’a l’è là benedia‘na pera fôndamenta per fè ‘na meravia.‘Na maravia: sì. Lassù iè spunteràan mes d’le fiôr d’môntagna, andôva tutt a tas,a gloria d’la Madona, d’la Vergine d’la Pas,una capela bela, un vero cap-lavor:emblema d’religiôn, d’fede, d’pietà, d’amôr!...E a l’è già d’pì d’un an, che forte d’vôlôntà,marciand per d’ôre e d’ôre, sbefiand la strachità,sublimi d’entusiasmo, d’le done d’la Madlenache ‘na medaia d’or ai premieria a pena,a portô a portô su d’le pere, d’trav, dii môn,ch’ass cambieran per lôr ant’ na benedissiôn.Côme a l’è d’pì d’un an che ii môi côn le sômemerit d’Giovan d’le Prese - ass rampiô fina là,purtand dёl material sempre pёr lё stess fin.E tutt lulì a l’è tant e tutt lulì a va bin,ma a basta ‘ncura nen: a venta ‘ncur fè d’pì.Per fabrichè, o amis, a venta travaiè.Ma per fè dёl travai a venta avei co d’né:a l’è l’eterna storia! Purtrop a l’è cusì!E ai ‘na veul tanti amis, fin tropi ai nostri dì.Ma nui ciamuma gnente! No, no, ciamuma gnente.Però ‘v diuma ‘na cosa: scutene, stene a sente!L’è nen mach la Capela,che ‘l vostr stimà Pievana pensa d’fabrichè. A guarda pì luntan!Quand sia faita la Cesa a veul d’co fè spuntèdavsin un bel Rifugio ch’a serva a ôspitè,ch’a d’vena ‘n punt partenssa per tute le escursiunsu stè muntagne vostre, dii tanti furestèche dop, certament, vniran d’pì vulentè.Cusì chè, finalment, quand ch’ai sarà la strà

ch’a peul nen tardè a fesse, perché a l’è prugetà,e ass pudrà ‘ndesse anlà, e sensa bulesse ‘l nass, fina là ‘nt la Cesetta d’la Vergine d’la Pas:anlura, cari amis, anche vostra valà,che fina adess purtropp a l’è ‘n po’ desmentià,ed bot-an- blan vedreve cume ch’ass desviirà!Dunque il discurs a fila, ma a venta cumenssè.Tutti ‘n cit sacrifissi, tutti puduma felu,tant lon che duma adess turnruma a ritruvelu:el sold ch’ii duma adess l’è ‘l sold ch’a fruterà.Ma peui cuss veule d’pì. Continuament da là la Vergine d’la Pas, su nui, su nostre càmandrà d’benedissiun e certo ‘n pruteg-rà.Dunque pensumie nen! Tuti, ma ‘nsun escluss,paguma nostra quota. Gnun dev stè darè l’uss.Che ‘n dì vedend là su l’artistica cesёtta,sentend giù ‘nt la valà l’eco d’la sua baudetta,ii peussu dì cuntent, bevend-ne ‘n gublutinal Ristorante d’l’Aquila,ma d’cul propi pì finch’an daga d’alegria fasend vnì russ ёl nass:D’co mi per la Capela d’la Vergine d’la Pasl’hai dait mia cita part. Ii sôn propi côntent!E ‘nlura avanti, su, l’e cust el mument bun:piandse ‘n divertiment, fuma ‘na buna assiun.Mentre lassù’l Col d’l’Aquila ёl vent a bёsbia piann’Ave a la Madunina ch’a glorierà duman!...

Salvator Ferrero Maddalena, 8 agosto 1926

A lle pendici dei monti Freidur e Cri-stetto (roc Furà) vi sono diverse bor-gate, identificabili sommariamente

con Provonda, Gran Dubbione e Talucco,che fino alla prima metà del secolo scorsoerano densamente abitate. è un’area piut -tosto vasta, inserita in diverse valli, i montisono bassi ed i collegamenti tra le localitàabbastanza facili, attraverso colli transitabilianche d’inverno. Gli abitanti parlavano dialetti ben diversi,non sempre praticavano la stessa religione ofurono della stessa nazione, ma tra questiluoghi che oggi con le autovetture ci appa-iono così distanti, al tempo in cui la gente sispostava a piedi i contatti erano continuativied esistevano intensi rapporti sociali, ami-cali e parentali. Pinerolo e Giaveno erano di-

stanti, la zona costituiva un mondo a parte,dalle caratteristiche simili, sovrappopolato,con ristrettezze economiche generalizzate.Insediamenti montani, terreni ripidi e me-diocri, senza ricchezze del sottosuolo, pocheattività artigiane, volte principalmente a sod-disfare le esigenze locali; l’allevamento erapraticato, ma la scarsità di foraggio facevapreferire i caprini ai bovini, la produzioneglobale di cereali e castagne (in epoche piùrecenti anche patate) era insufficiente percoprire il fabbisogno alimentare interno. èevidente che per sopravvivere dovevano in-ventarsi qualcosa.L’emigrazione stagionale era frequente, laraccolta dei funghi produceva qualche gua-dagno, in periodi di torbidi qualcuno si de-dicava al brigantaggio, ma chiaramente tutto

questo non bastava. La produzione e la com-mercializzazione del carbone di legna eral’attività che per secoli rese possibile un co-spicuo insediamento stabile in aree così dif-ficili. Ciò fu facilitato dalla concomitanza difattori: vasta parte del territorio era occupatoda boschi di latifoglie, il carbone, mante-nendo lo stesso potere calorico, pesava unsettimo della legna e quindi era facilmentetrasportabile. Tale attività si eseguiva princi-palmente nel periodo autunnale-primaverile,quando i lavori agricoli erano meno intensied i non lontanissimi centri della pianuraerano voraci consumatori di tale prodotto.Nel corso dei secoli, lo stesso ambiente sil-vano venne in parte modificato ai fini di taleproduzione: ovunque si costruirono le ciar-

bunère, spazi perfettamente piani (realizzatisui versanti tramite scavo e riporto, con ilterreno trattenuto da muri a secco), costruitealla stessa altimetria, circa ogni cento metridi dislivello, a volte sopra di queste si indi -vidua ancora un altro piccolo ripiano: lì sicostruiva un piccolo capanno di tronchi asezione triangolare coperto di frasche (intempi più recenti da una tela cerata) dove ri-posavano gli addetti alla sorveglianza nel pe-riodo di cottura. Si realizzò un’incredibilerete di sentieri, in perfette condizioni di ma-nutenzione, che collegavano tutte le mon -tagne e portavano al fondovalle, ai lati deiquali, a tratti abbastanza regolari, c’eranomanufatti in pietra (le arpose) sui quali sipoteva posare la gerla (garbin) senza to-glierla dalle spalle e riprendere un po’ difiato. L’unità di peso era il miria (10 kg),molto pratico per contabilizzare un prodottoche veniva principalmente portato a spalle eche di fatto sostituì il rubbo. Si modificaronole essenze arboree, privilegiando le latifogliea danno delle resinose (poco adatte) e la ce-duazione, perché era preferibile impiegarearbusti del diametro da qualche centimetroal massimo di una quindicina, perché i tron-chi più grossi dovevano anche essere spac-

cati con notevole lavoro in più, dalle ceppaiecrescevano i nuovi alberi ed ogni 7/8 anni sipoteva fare una nuova tajà. Anche la super-ficie dei boschi era quantificata non in basead astratte unità di misura, ma secondo lapotenzialità produttiva legata al numero diciarbunère che vi erano presenti.Il processo di carbonificazione è una combu-stione controllata del legname, in teoria èpiuttosto semplice, ma nella pratica neces-sita di una serie di lunghe e sapienti opera-zioni integrate, frutto di ancestrali cono -scenze. Bastava che qualcosa andasse stor-to e, dopo tanto lavoro, ci si trovava con unmucchio di cenere. Il carbone di faggio erapiù adatto per le fucine, quello di castagnoper fabbricare la polvere da sparo e quellodi nocciolo si usava per la potabilizzazionedell’acqua.Le operazioni iniziavano nel tardo autunnoed andavano avanti nell’inverno col tagliodegli alberi, che venivano poi ripuliti dairami (sbrancà), trasportati nei pressi delleaie carbonili, spaccati se necessario e segatiin pezzi uniformi lunghi circa un metro. Na-turalmente le motoseghe e gli altri macchi-nari non esistevano e seghe a mano, asce,pale, picconi, rampini, roncole, mazze dilegno e cunei erano gli unici attrezzi di cuidisponevano, tenuti in piena efficienza, per-ché costosi. Le ramaglie venivano raccolte infascine e vendute ai panettieri.In primavera si costruivano le carbonaie ediniziava il processo di cottura, la parte piùdelicata. Si piantavano tre pali, a distanza diuna trentina di centimetri, legati con delleliorte (rami di salice o più frequentementedi castagno selvatico): era il camino di aera-zione, poi riempito di rami e coperto da unalosa, dove avveniva la combustione, alla cuibase si ponevano due rami a forma di croce,evidente simbolo rituale (se la produzioneandava in modo ottimale, la cruj alla finerimaneva intatta). Intorno a questi pali si di-sponevano i tronchi in posizione quasi ver-

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Il mondo dei carbonai

ticale in due strati sovrapposti e diverse fileconcentriche, di larghezza variabile a se-conda della disponibilità di legno (le car -bonaie potevano essere da 150 miria fino a250), avendo cura di limitare al minimo gliinterstizi d’aria. La catasta (tësè) si ricoprivapoi con uno strato di foglie umide e muffaed il tutto veniva rivestito da un livello diterra. Alla fine risultava un manufatto vaga-mente a forma di cupola, ai cui lati si ponevauna rustica scala in legno. Accanto si am-mucchiava un congruo quantitativo di ramisminuzzati, che servivano ad alimentare ilfuoco (dèli da mingè).A questo punto si poteva procedere all’ac-censione: si praticavano fori di areazionenella parte superiore e si buttavano palate dirami incendiati nel camino centrale; quandole manovre erano regolari, il fumo fuoriu-sciva dagli sfiati e nel corso delle operazionisi facevano altri fori sempre più in basso,fino alla base.La cottura era un processo che durava più didue settimane, durante le quali le ciarbu-

nere erano sempre sorvegliate, sia per ali-mentare costantemente il fuoco, che perriparare possibili guasti: quando c’erano di-fetti, la catasta “bufiava” (scoppiava) da unaparte ed occorreva intervenire prontamentepuntellandola con dei tronchi, altrimenti siincendiava tutto. Una squadra di due per-sone vigilava di solito due carbonaie e re-stava giorno e notte alle intemperie nei bo- schi, senza alcuna comodità. Quando tiravail vento forte o c’erano le ligiande – ovverolunghi periodi di pioggia – occorreva pre-stare maggiore attenzione. Alla fine il fumocessava di uscire dai buchi praticati allabase, la cottura era terminata, però il pro-dotto era là, in mezzo ai boschi (nel vallonedel Romarolo, senza strade carrozzabili,c’erano circa 10 chilometri dal fondovalle edin certi casi quasi mille metri di dislivello).Per prima cosa si smantellava la carbonaia,operazione critica che doveva essere ese-

guita il più presto possibile ed in fretta, per-ché c’era il rischio dell’autocombustione: ilprodotto veniva asportato e sparso sul ter-reno, spegnendo eventuali tizzoni (muciun). Iniziava quindi il trasporto, lavoro in cuiconcorrevano in tanti, donne comprese. Siiniziava di primo mattino, alcuni arrivavanocon i muli o gli asini someggiati, qualchevolta si potevano utilizzare i carri, ma i veriprotagonisti di questa epopea furono i pur-

tandin, persone che, sorreggendosi con unbastone, portavano a spalle carichi che me-diamente erano di un quintale. Colmavanoi garbin, vi aggiungevano sopra 2-3 sacchi epartivano in direzione di can du Tet (TettiVia), la prima borgata del fondovalle, doveavveniva la pesa e c’erano magazzini per ildeposito temporaneo. Il trasporto era remu-nerato l’equivalente di un chilo di pane almiria di carbone consegnato. Tre volte la settimana da can du Tet parti-vano carovane di carri trainati da muli, perportare il prodotto a Torino dalle parti diPorta Nuova. Un prozio, che da bambino eramandato in tali spedizioni, raccontava cheera felice quando vedeva kalaj aut s’la piglia

(la statua di Vittorio Emanuele II), perchéerano quasi arrivati. Il lungo cammino delcarbone di legna del vallone del Romarolofiniva così in qualche oscuro e polveroso ma-gazzino torinese.è difficile un’analisi economica. Negli annidi massima produzione si facevano nel val-lone 20/30 carbonaie e vi vivevano un mi-gliaio di persone. Il prodotto era piuttostocostoso (cosa normale, considerata la moledi lavoro che implicava), gli operatori rica-vavano poco, però si verificava una distribu-zione non uniforme, ma quasi generalizzatadi denaro, indispensabile per la sopravvi-venza (proprietari dei boschi, taglialegna,carbonai, trasportatori e commercianti). Essendo specializzati, alcuni andavano afare carbonaie anche da altre parti in ValSangone. Nella prima metà del ‘900, anche

Marsiglia e le città limitrofe divoravanoenormi quantità di tale combustibile. Peròin Francia stavano già meglio ed era diffici-le trovare gente disposta a fare certe vitac-ce, per cui tanti emigrarono per fare questolavoro, specialmente in Vaucluse. Era unmon do chiuso, che aveva i suoi ritmi e certifatti venivano tramandati per generazioni. Nel 1903 uno della borgata Giai era addet-to alla sorveglianza di carbonaie dalle partidella cara della Resta. Si verificarono disa-strose piogge, che provocarono alluvioni eresero invalicabili i torrenti e lui non se neaccorse in tempo. Quel poveraccio restò iso-lato quasi una settimana, fradicio, con pococibo e con la sola compagnia dei lupi, che dinotte ululavano e si avvicinavano minaccio-samente al suo capanno. Chi faceva quel lavoro doveva essere vestitodi scuro perché ci si sporcava parecchio.Negli anni del ventennio un 21 aprile (festadella fondazione di Roma) barba Notu gi-rava per Giaveno e venne gioiosamente av-

vicinato da alcuni fascisti che gli chiesero:«Camerata, come mai oggi avete la camicianera?» «Perché sono un carbonaio.» fu lasua risposta. Si prese un sacco di botte.Alle Cenà la milizia stava multando un tra-sportatore, perché aveva someggiato sul suomulo più di 12 miria di carbone. In quel mo-mento scendeva il Grò ‘d Girela con il suogarbin stracarico ed il contravventore chieseche multassero pure lui, che di miria ne por-tava almeno 15. Gli risposero che il divietodi sovraccarico valeva solo per gli animali,mentre le persone potevano portare tutto ilpeso che volevano.Alla fine dei lavori nelle aie della borgataMerlera si faceva festa: dal tet portavano sugrosse olle piene di salumi conservati nelgrasso e damigiane di vino; trovare qualcunoche suonasse la fisarmonica non era un pro-blema e si passava la notte a ballare, cantaree festeggiare.Queste ed altre storie non vennero scritte, sicredeva che al di fuori del loro ambiente noninteressassero e poi non erano dei letterati.“A cunte pa vajre ëmprandi a lesi e scrivi, a

cunte ‘d pì ëmprandi a vivi” (conta poco im-parare a leggere e scrivere, conta di più im-parare a vivere) è un detto che la dice lungasulla considerazione sociale che da quelleparti aveva la cultura. Poi tutti pensavanoche sarebbe sempre continuato più o menoallo stesso modo.Dopo la II guerra mondiale la disponibilitàpraticamente illimitata di combustibili li-quidi fece sì che cessasse la domanda di car-bone di legna ed all’inizio degli anni ’50 se necessò la produzione, che al Gran Dubbionecontinuò saltuariamente fino agli anni ’60.Nel vallone del Romarolo non ci sono quasipiù protagonisti di quelle vicende ed in po-chi le hanno almeno sentite narrare diretta-mente da chi certe esperienze le ha vissute. Quel mondo è scomparso e se ne sta per-dendo anche la memoria.

Franco Giai Via

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I linguisti sono concordi nel classificare ildialetto dell’alta Val Sangone come fran-coprovenzale, sottolineandone le caratte-

ristiche conservatrici dovute all’isola men -to dell’area, sita in capo ad una valle chiusa,marginale alle grandi vie di comunicazione.Francoprovenzale è la definizione con cui dal1873, anno in cui il glottologo GraziadioAscoli ne individuò le caratteristiche prin -cipali, i linguisti raggruppano i dialetti del-le vallate alpine del Piemonte occidentale che vanno dalla Val Sangone a Sud alla ValSoana, comprendendo la bassa Val Susa, la Val Cenischia, le Valli di Lanzo e la Valledell’Orco. A questi dialetti si aggiungonoquelli della Valle d’Aosta e, al di là delle Alpi,quelli della Svizzera Romanda e di diversi di-partimenti della Francia sud-orientale.Ascoli lo identifica come “Un tipo idioma-tico, il quale insieme riunisce, con alcunisuoi caratteri specifici, più altri caratteri, cheparte sono comuni al francese, parte lo so-no al provenzale, e non proviene già da unatarda confluenza di elementi diversi, mabensì attesta la sua propria indipendenzaistorica” (1). Infatti quest’area coincide conl’antica sfera d’influenza di Lione ed è ap-punto al peso culturale di questa città nelguidare la romanizzazione dell’area prima ela reazione alla pres sione dell’antico fran-cese (langue d’oïl) e del provenzale (langued’oc) poi, che gli storici attribuiscono il sor-gere autonomo della varietà linguistica chia-mata francoprovenzale.In particolare per quanto riguarda la ValSangone e la bassa Val di Susa, i dialettologiritengono che anticamente vi si parlasseoccitano (occitani o provenzali sono tuttorai dialetti parlati nell’alta Val di Susa - daChiomonte in su, nelle Valli del Chisone, delPellice e nelle valli alpine cuneesi) e che latrasformazione linguistica vi sia stata deter-minata dall’ascesa dei Franchi. Sotto i so-

vrani Carolingi diminuì infatti (VIII secolo)l’importanza dell’antica via romana che attraverso il Monginevro collegava la Pro-venza, mentre il valico del Moncenisio, postosulla direttrice che collegava l’Italia ai nuovicentri del potere politico transalpino (Parigi,Lione, ecc…) e privilegiato nelle loro discesein Italia dai sovrani Carolingi (vi passaronosia Pipino il Breve che Carlo Magno), au-mentò la sua importanza anche commercialeed aprì all’influsso culturale dei centri fran-coprovenzali oltremontani la bassa Val diSusa. Da quest’ultima è probabile che solotardivamente il francoprovenzale sia pene-trato nella Val Sangone, isolata e conserva-trice, e che solo a partire dal IX secolo sipossa parlare per Coazze d’un processo difrancoprovenzalizzazione. A Coazze e nelleborgate alte di Giaveno attualmente il patoisfrancoprovenzale è ancora diffuso: si puòdire che gli adulti lo capiscono e che solo fragli immigrati ed i giovani è alta la percen-tuale di coloro che non lo sanno parlare. Ladiminuita competenza dialettale dei piùgiovani è un indubbio sintomo che l’area didiffusione del dialetto si vada sempre piùriducendo, anche perché diminuiscono le“persone fisiche” che lo parlano. Le esigenzedella vita moderna, con spostamenti e con-tatti sempre più veloci ed intensi e la rile-vanza dei mezzi di comunicazione di massa(automobile, giornali, radio e televisione),che propongono un nuovo modello di vita edi cultura, sono portatori d’una spinta ita -lianizzante che incide negativamente suldialetto a livello di apprendimento, di fre -quenza d’uso e di vitalità. Sostanzialmenteomogeneo, il patois dell’alta Val Sangonepresenta tuttavia differenziazioni interne va-riamente marcate, legate alla passata vitalitàlinguistica autonoma delle borgate ed allaloro diversa capacità di reazione alla pres-sione dei dialetti limitrofi e dell’italiano.

Il francoprovenzaleMuntagne Noste50 51

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del Moncenisio sul Monginevro in epoca me-dioevale spiega la diffusione del francopro-venzale in Val Sangone e Val Cenischia, cosìalcuni vocaboli si comportano come ormelinguistiche dei popoli susseguitisi nell’area.Forse i più antichi abitatori furono i Liguri(insediamento neolitico della Maddalena diChiomonte) e toponimi in –asca e –asco ealp– ne rivelano la presenza diffusa. Nel VIsecolo a.C. arrivarono in Piemonte i Celti, aloro si devono termini come brich (cima ri-pida), trüch (poggio) cùmba e cumbàl (vallee avvallamento), bòina (confine di proprietà)e il toponimo “dur”, per fiume, che ha proli-ferato in Dora, Durance, Duero. Il sostratoceltico venne inglobato dal latino, lingua deinuovi padroni, che travolti dai barbari si sfal-darono politicamente e linguisticamente,dando tra l’altro origine all’antico francese(oil), all’occitano (oc), al francoprovenzale eall’italiano. Le ondate di invasori lasciarono

nei patuà i loro strascichi: süpa, àpi, grépi,gèrba, biunt (zuppa, ascia, mangiatoia, balladi paglia, biondo) sono ad esempio ereditàgermaniche, toponimi come bràida e sàla(pianoro coltivato e borgo) risalgono in par-ticolare ai Longobardi. Anche i Saraceni fu-rono presenti in valle (Porta Sarasina) ed ècurioso che alcuni termini del nostro patuàsiano foneticamente più vicini all’arabo deicorrispondenti italiani: azufre (zolfo) dà inpatuà sùfru, laimun (limone) dà limuń. Unachicca per finire: ar-ramla (percorso lungoun corso d’acqua) dà il catalano Rambla (fa-mose le Ramblas di Barcellona) e ramblé nelnostro patuà, mentre non ha attecchito initaliano. Queste ed altre considerazioni geo-linguistiche sono approfondite nel libro diClelia Baccon Bouvet L’Occitania e la sualingua, edito pochi mesi fa dall’EcomuseoColombano Romean di Salbertrand.

Guido Ostorero

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1. Ascoli ha individuato questo tipo idiomatico soprattutto in base allo sviluppo di A tonica latina in sillaba libera,che il provenzale non palatalizza mai e che il francese tende a palatalizzare sempre. Nel francoprovenzale A tonicain sillaba libera palatalizza solo quando preceduta da consonante palatale. La discriminante ascoliana è fonda-mentalmente ancora valida oggi, insieme ad alcune altre successivamente individuate. Testi fondamentali per unapprofondimento su storia, caratteri e diffusione del francoprovenzale sono: • Graziadio Isaia Ascoli “Schizzi franco-provenzali” Archivio Glottologico Italiano, n. III, 1878 • Tullio Telmon “Le minoranze linguistiche in Italia” Edizioni dell’Orso, Chieti 1992 • Gaston Tuaillon Le Francoprovençal - Progrès d’une définition Centre d’Etudes Francoprovençales “R. Willien”, Saint-Nicolas 1983

Tenendo conto delle principali differenzia-zioni si possono individuare, all’interno delComune di Coazze, tre zone linguistiche:- un’area tendenzialmente conservatrice,

comprendente le borgate montane delcomune di Coazze (Forno, Indiritto e le“Care”)

- l’area all’incirca coincidente col capoluogodi Coazze e le borgate limitrofe, in cui ilpatuà presenta chiari sintomi di piemon-tesizzazione ed italianizzazione (-éi che dà-é; scomparsa di alcune realizzazioni aspi-rate di F e S: fnésta invece di hnésta; so-stituzioni lessicali: matita per caraviúń,carta per papèi, prosciutto per giambúń,ecc.; sostituzioni morfologiche: car bòt -calco di “qualche volta” - invece di bocaië,andè invece di alè “andare”, d∫viése invecedi drüsièse “svegliarsi”).

Alcune aree minori che presentano in qual-che caso difficoltà di classificazione. Questedifficoltà non sussistono per la zona di Com-bacalda che presenta chiari influssi del gia-venese (in qualche caso mediatore del pie -

montese). Più curiosa la situazione del patuàdi Selvaggio, che accanto a caratteristicheconservatrici (-ARe>-ëi; forme sporadichedi g invece di d-: gümängi per dümèngi) e contemporaneamente presenze lessicali(frél, sör; giorni della settimana del tipolüne, mártes, ... ; strábi per buá “stalla”)d’influsso giavenese. Queste contraddittoriecaratteristiche sono forse imputabili allaparticolare posizione della borgata, situatasul confine con Giaveno (parte dell’abitato èamministrativamente giavenese), ma abba-stanza isolata essendo posta su di un assedi comunicazione Giaveno - Coazze alterna-tivo a quello consueto e pertanto poco fre-quentato. Trovare risposte alle contraddizioni lingui-stiche è compito della “geografia linguistica”,un metodo di indagine che ha avuto in Ga-ston Tuaillon e Corrado Grassi grandi espo-nenti. La distribuzione dei tipi lessicali emorfologici rivela stratificazioni di popolimolto interessanti e consente di ricostruirela storia di intere regioni. Come il prevalere

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L a Val Sangone non è terra di grandimontagne: il punto più elevato della suatestata sono i 2681 metri del Robinet. A

breve distanza in linea d’aria spicca la cimabifida del Rocciavrè (m 2778), da cui originala frastagliata cresta spartiacque Dora Ri -paria-Chisone, che culmina a Occidente conl’Orsiera.La parte della Valle su cui insiste il territo-rio comunale di Giaveno è caratterizzata daquote proprie della media e bassa montagna.

Tuttavia di montagna vera si tratta, con isuoi sentieri, le borgate in gran parte fa -gocitate dal bosco, le falesie dove arram -picare, i silenzi e la bellezza aspra e discretadel suo ambiente, che possono offrire al -l’escursionista appaganti sensazioni di pacee di isolamento. Per i Giavenesi è una sortadi domestica wilderness, che si dischiudeappena fuori dall’uscio di casa, a pochi chi -lometri dalla congestionata area metropo -litana che quasi la lambisce.

Guarda le cose anchecon gli occhi di quelli

che non le vedono più.Ne avrai un rammarico,

figlio, che te le renderàpiù sacre e più belle.

Luigi Pirandello

I Monti di Giaveno: tra natura, storia, memoria

transizione storica possono essere consi -derate irrilevanti nel quadro dei cambia -menti epocali che stiamo vivendo: è peròfonte di rammarico la sensazione che laconsapevolezza della sua ineluttabilità siainquinata da un disamore ingeneroso. Ed èesattamente in quest’ottica che mi sembraparticolarmente appropriata la citazionepirandelliana riportata in capo all’articolo.La pratica dell’escursionismo mette in re -lazione il piacere del camminare con vissutiindividuali caratterizzati in diverse propor -zioni da ingredienti come la propensione aindagini introspettive, l’interesse estetico perpaesaggi ed atmosfere, la curiosità e il de -siderio di approfondire gli aspetti natura -listici, storici e antropologici degli ambientiattraversati. La montagna giavenese nellasua veste discreta, “umile, ordinaria, feriale”,ben si presta a una frequentazione “medi -tativa” che può aprirsi alla sintonia con lo“spirito dei luoghi”. All’intrico dei sentieri,alle baite in rovina, al sistema ciclopico deiterrazzamenti che ancora si intuisce nelrigoglìo del bosco, sono impigliati scam-poli di esistenze, di quotidianità serena, didrammi, di vite grame, di esigenze di e -mancipazione; vi si possono persino rav -visare riflessi della “Grande Storia”, che nonfu mai tenera con questi luoghi e con i loroabitanti. Lo “spirito dei luoghi” si può co -gliere a volte posando senza fretta lo sguardosu particolari architettonici singolarmentecivettuoli (architravi in legno o pietra, scalee ballatoi, pareti decorate a vivaci colori…);oppure indugiando sulle soglie di quelle chefurono cucine, camere nuziali, aule di scuola,stalle, fienili…; prendendo tra le dita la ter-ra soffice e nera che tradisce la presenza di antiche aie carbonili; o, ancora, soffer -mandoci davanti ai tabernacoli votivi o aicippi che ricordano crudeltà di una guerrafratricida.Il CAI Giaveno è impegnato tradizional -mente nella promozione di questo tipo diapproccio al suo territorio di riferimento, per

permettere a chi lo voglia di “accostarequesta montagna, per poterla conoscere unpo’ più dentro, per aiutare a scoprirla, aleggerla nella sua filigrana di storia; e acapirla”. L’impegno si è concretizzato nel 2002, An-no Internazionale della Montagna, con la realizzazione del “Progetto Valsango-ne 2000”, che prevedeva l’individuazione,il recupero e la segnalazione di quattroitinerari escursionistici ad anello, a cui si erainteso associare una valenza tematica diriscoperta di alcune peculiarità ambientalie storiche. I percorsi sono stati descritti ecorredati di schede di approfondimentonella guida “ I monti di Giaveno”, purtroppoesaurita da tempo.Descriviamo ora sommariamente i sentierialla cui scoperta vi invitiamo e su cui vor -

Geograficamente è costituita dal territoriosotteso al tratto del crinale spartiacque chedivide le valli del Sangone e del Chisone,compreso tra il Colle Ceresera a Sud e ilColletto del Forno a Nord. Il versante val -sangonese della giogaia del Monte Aquila (m2115, massima quota del settore), rivolto nelsuo complesso verso Nord-Est, è solcato daalcuni profondi valloni, facenti capo ai ba -cini dei torrenti Romarolo e Tauneri, tribu -tari di destra del Sangone.Dal punto di vista ambientale, col progrediredella quota i boschi di latifoglie cedono ilpasso a foreste di conifere (prevalentementelariceto), a magri pascoli e scoscese costiererocciose. Nel complesso si tratta di un eco -sistema fragile, reso ancora più precario daldegrado connesso con lo spopolamento el’abbandono graduale degli insediamentipiù disagiati. I nuclei abitati principali, untempo ben più importanti, sono Provondanella valle del Romarolo e Maddalena nellavalle del Tauneri. Per dare un’idea del fe -nomeno dello spopolamento, basti pensareche la frazione Maddalena (composta dauna ventina di borgate) al censimento del1900 contava circa 2000 abitanti, poco me -no di un quarto della popolazione totaledel Comune di Giaveno. Anche per questogli abitanti del capoluogo si rapportavano

a Maddalena come a n’autu mundu (unaltro mondo).Un documento amministrativo redatto inun passato non così remoto definisce que-sti territori privi di un “particolare interes-se ambientale, paesaggistico e faunistico”:da considerare quindi alla stregua di undeserto, forse meno ancora. D’altronde ilmantra dei pastori provenzali, “après moile désert”, allude allo stretto rapporto tral’abbandono dei pascoli e degli insediamentie la desertificazione: il deserto è visto comefrutto della rottura dell’antico patto basatosulla ricerca di sinergie positive tra l’uomo el’ambiente che lo ospita e di cui egli do -vrebbe essere il custode. Va precisato, tut -tavia, che il giudizio espresso nel documen -to citato diventa tuttavia più facilmente in -terpretabile conoscendone il carattere fun -zionale alla concessione (la prima di unadi screta serie) di un percorso autorizzatoalla pratica sportiva del fuoristrada sui sen -tieri della zona…La montagna giavenese, per la sua vicinanzae la storica tendenza a ibridarsi con facili-tà con il territorio metropolitano, rischia ef - fet tivamente più di altri contesti l’impove -rimento del suo patrimonio di tradizioni,memoria, saperi: in definitiva, della suaidentità culturale. Le conseguenze di questa

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remmo accompagnarvi. Ognuno di essi vie -ne indicato con un nome che ne sottolineale caratteristiche su cui si vuole richiamarel’attenzione, coerentemente con il caratteretematico che si è inteso dare al progetto. Vaprecisato che al momento della loro realiz -zazione, detti percorsi furono individuati conun semplice numero progressivo, da 1 a 4(ancora reperibili nelle bacheche dislocatesul luogo, nella segnaletica verticale e nellaguida). Negli ultimi anni questi tracciati so -no entrati gradualmente a far parte del Ca -tasto Regionale dei Sentieri, con l’assegna -zione di una nuova numerazione.

1) Il sentiero dell’antica frontiera(Tempi di percorrenza 4h 30’ – Svi lup po km 13 – Dislivello positivo m 605)L’anello 1 del progetto “I monti di Giaveno”si sviluppa in gran parte lungo la testata delvallone del Romarolo.

Partendo da Prese Franza (m 1018) col -locata poco a monte della Borgata Tora, ri -salendo il versante sulla destra orograficadel Rio del Parco sul sentiero 407, si rag -giunge il Colle dell’Asino (m 1235). Svol -tando a sinistra, si procede sul sentiero 408verso il Colle del Besso (m 1466). Daquesto valico si prosegue sul versante dellaVal Chisone sul sentiero 450 toccando ilColle Ceresera (m 1310); rientrati nellaValle dell’Armirolo si prosegue per il Colledi Stè (m 1250) e la Cara dei Monti dellaResta, scendendo poi a borgata Merlera(m 885). Imboccato in salita il sentiero 406si risale il versante sinistro del torrente edopo aver incrociato l’antico tracciato dellaBealera di Berbet, divenuta ora sentiero,lo si segue verso sinistra fino alla BorgataBudin (m 920) e di lì in breve lungo unasterrata si torna al punto di partenza.L’itinerario deve il suo nome alla presenza

sul Colle del Besso di resti ancora ab ba -stanza evidenti di trinceramenti francesi delXVII secolo. Dal trattato di Cherasco (1631),che attribuiva al Regno di Francia la cittàdi Pinerolo e la sinistra orografica della ValChisone, al trattato di Utrecht (1713) che le restituiva al Ducato di Savoia, il tratto di spartiacque compreso tra il Colle dellaRoussa e il Colle Ceresera assunse impor -tanza strategica.A una storia più recente si riferiscono invecele vicende della miniera d’oro della Merlera.Nei pressi della borgata, un galleria di circa80 metri e alcuni altri abbozzi di scavi ciriportano agli inizi degli anni ’20 del seco-lo scorso, quando in Valle si accese la spe -ranza che nelle viscere della montagna esi -stesse un promettente giacimento aurifero.Purtroppo le attese andarono deluse e l’il -lusione di un domestico eldorado a portatadi mano si trasformò ben presto in cronaca

giudiziaria, intessuta di storie di buona fedestrumentalizzata, di imbonitori, falsi geo -logi e perizie truffaldine.

2) Il sentiero delle acque (Tempi di percorrenza 4h – Sviluppo km 8 –Dislivello positivo m 574)L’itinerario noto come anello 2 si svolge neivalloni del rio Brunello, percorso in salita, edel rio del Parco, percorso in discesa. En -trambi i corsi d’acqua sono tributari di de -stra del Tauneri. Da Prese Damon (m 930), a cui si arri-va in auto da Maddalena, si raggiungono(sentiero 408A) dopo una breve discesa eun’altrettanto breve salita le rovine dellaborgata Riboda (m 955). Risalendo di quiin destra orografica il vallone del Brunello,si raggiunge l’incrocio con il sentiero 409 elo si segue verso sinistra fino a toccare laCasa Verde (m 1209) e successivamente il

tenendosi sulla sinistra orografica del RioBrunello, tocca le prese Brunello e pro -segue fino al grande agglomerato di case inrovina della Polatera. Da quest’ultima lo -calità si ritorna nel vallone del Tauneri chesi risale per un breve tratto in sponda destrafino ad un guado che immette su un sentieropianeggiante affacciato su un suggestivotratto del torrente. Giunti a Case Bert,percorsa per un breve tratto una carrareccia,si imbocca sulla sinistra una traccia che,dopo un breve strappo, riconduce a Prafieul.

L’itinerario si svolge in gran parte in unambiente severo di pietraie e costiere roc -ciose. Del settore fanno parte Rocca Parei (dicui si gode uno scorcio suggestivo da PreseMatè) e le Baciasse, falesie ben note agliarrampicatori. Ai tre Rii, confluiscono nelsolco principale del tauneri gli impervicanaloni che incidono il versante orientaledella costiera dell’Aquila, che qui incombearcigna per oltre mille metri. Particolar -men te suggestivo è anche il tratto del tau -neri che si costeggia vero la fine del per cor-so: qui il torrente scorre incassato tra paretirocciose in un alveo costituito da grandi la -stroni di gneiss chiaro, tra cascatelle e pozzedi acqua limpidissima, avendo per sfondoun’insolita prospettiva su Rocca Parei.

4) Il sentiero delle cime (Tempi di percorrenza 7h 30’)L’anello 4 permette di toccare le quote piùalte dello spartiacque Sangone-Chisone neltratto compreso tra la Punta dell’Aquila e ilColle del Besso. La combinazione di alcunitratti dei percorsi descritti in precedenzapermette di chiudere un anello escursio ni -stico interessante e panoramico.Il punto di partenza è il piazzale dell’AlpeColombino (m 1261), da cui, seguendouna carrareccia dissestata che poi si tra -sforma in sentiero, si raggiungono la Puntadell’Aquila (m 2115) e il vicino Colledell’Aquila (m 2069), dove sorge la cap -pella dedicata alla Madonna della Pace.Proseguendo verso Sud, il percorso, coin -cidente ora con il sentiero 412, tocca ilMonte Cugno dell’Alpet (m 2072), laPunta Giana (m 1965), il Colle delMuretto (m 1655) e il Colle del Besso (m1466). Da questa depressione, dove sonoancora visibili le tracce di opere difensive delXVII secolo, si lascia il 412 per seguire indiscesa il 408 fino a Colle dell’Asino. Neipressi di questo modesto valico, all’altezza diuna palina segnaletica, s’imbocca sulla si -nistra, in salita, il sentiero 409, che toccandola Fontana Pitacrù, la Casa Verde, lePrese Tarasca, i Tre Rii, le Prese Matè

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poco evidente Colletto di Roc Bianc (m1460), da cui si inizia la discesa nel vallonedel Parco. Dopo una sosta d’obbligo pressol’eccellente Fontana Pitacrù (punto pa -noramico e area di sosta), il percorso ci portaa incrociare nei pressi del Colle dell’Asino ilsentiero 408 per il Pontetto (m 1040) e lePrese Damon.

La scelta del nome dell’anello è stata sug -gerita dalla presenza lungo la parte inizialedel percorso di due delle principali e piùrinomate captazioni dell’acquedotto muni -cipale di Giaveno, note nel loro com plessocon il toponimo “Buneva”. I lavori di co -struzione della galleria principale inizia -rono nel 1923.Poco a monte di queste captazioni si trovala Ca’ Verde, singolare edificio in pietra atetto fortemente spiovente, la cui costru -zione risale al 1933, con funzioni di “rifugioforestale” (Rifugio Brunello). La sua pre -senza rimane a testimonianza dei vasti in -terventi di rimboschimento che interes sa -rono la zona tra l’inizio degli anni ’30 e lafine degli anni ’60 del secolo scorso, con -dizionando fortemente il contesto naturaleattuale dei luoghi, caratterizzato da un fittolariceto e da un rigoglioso sottobosco.

3) Il sentiero delle rocce (Tempi di percorrenza 6 h)L’anello 3 è inizia deviando verso destradalla strada per l’Alpe Colombino, nei pressidella fontana di Prafieul (m 989). Rag -giunte Prese Barone (m 1126) si proseguesempre verso destra in direzione Collettodel Forno (m 1126). Qui giunti, dalla ba -checa riportante la tabella sinottica deiquattro anelli si risalgono verso sinistra ipascoli e il lariceto e, superato un trattoscosceso tra i rododendri, si perviene al Piandel Secco (m 1440). Ridiscesi all’AlpeColombino (m 1161) lungo una carrarecciascoscesa e dissestata, si percorre in disce-sa la strada asfaltata fino al poco evidenteColle Guì (destra per chi scende, palinasegnaletica). Di qui, seguendo il sentiero409, ci si inoltra nella valle del Tauneri,toccando Prese Matè (m 1153). Dopo untratto in discesa, svoltando a destra si risa-le la sinistra orografica del Tauneri fino al guado dei Tre Rii. Raggiunte con unabreve salita le Prese Tarasca (m 1172), incorrispondenza di una palina segnaletica sisegue la direzione per la Casa Verde (409)fino alla successive indicazioni poste a valledella Baita del Roc Tuni (fontana). Di quisi segue verso valle il sentiero 410 che man -

conduce lungo una serie di importanti s -aliscendi al Colle Guì, dove incrocia lastrada per l’Alpe Colombino.

La Val Sangone rivendica a buon diritto diessere annoverata tra le località che sicontendono l’onore di essere state la culladello sci in Italia. I pendii che dal Cugnodell’Alpet e dal Colle dell’Aquila scendevanoripidi e (allora) pressoché liberi di vegeta -zione fino a Prafieul godettero di attenzioniprivilegiate da parte dei pionieri di questosport, che si stava affermando nei paesidell’europa alpina. Attorno alla figura ca -rismatica di Adolfo Kind, ingegnere sviz -zero che aveva introdotto nell’ambientetorinese gli sci della ditta Jakober, si eraformato un gruppo di appassionati che findal 1898 aveva preso a frequentare questiluoghi, anche per la relativa vicinanza allacittà. Nel 1901 lo Ski Club di torino istituìun punto di appoggio in una baita di Pra -fieul e il 16 marzo 1902 dal Cugno dell’Alpetprese il via la prima gara di velocità indiscesa. Nel 1930 fu costruito a Prafieull’Albergo Rifugio “Casa Skiatori” gestito dalCAI torino, che fu distrutto nel 1944 nelcorso di un rastrellamento nazifascista.Nel 1961 fu inaugurata la stazione sciisticadell’Alpe Colombino che fu attiva fin versola fine degli anni ’80.

I percorsi proposti coincidono in più punticon il tracciato del Sentiero Valsangone- Quota 1000, nella sua parte giavenese.

Il “Quota 1000” fu realizzato negli anni ’80dalla Comunità Montana di Valle. Ne fuideatore e artefice Roberto Mosso, Bob per itanti amici, che ringraziamo per essere statoin Valle il precursore e il promotore di untipo di frequentazione della montagna checoniuga l’escursionismo con l’interesse cul -turale e l’attenzione per gli elementi dellatradizione. L’itinerario è costituito da unaconcatenazione di sentieri che interessatrasversalmente una fascia di territoriocompresa tra gli 800 e i 1700 metri di quota.Dal suo inizio a Tortorello di Valgioie (m891) alla sua conclusione a Merlera nellavalle del Romarolo (m 825), ha uno svilup-po di 50 chilometri circa. La sua fruizionecompleta con suddivisione del tracciato intre tappe è resa ora più agevole dalla pre -senza lungo il percorso di alcuni punti diappoggio: il Rifugio Coazze (ora dedicato alcompianto Mario Bergeretti) del CAI Coaz -ze, l’Ossevatorio per l’Ambiente (ex Palaz -zina Sertorio) e il Rifugio escursio nistico “LaMadlena”.Per la descrizione dell’itinerario si rimandaall’opuscolo pubblicato dalla Comunità Mon-tana Val Sangone (ormai introvabile) cheriporta pressoché integralmente il testo delcap. “VAL SANGONe QUOtA 1000”. Pro -posta per un trekkink della guida di Avondoe Torassa.

Livio Lussiana Michele Giovale

Foto di Bartolo Vanzetti

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Delibera del Consiglio Comunale di Giaveno n. 22 del 10/02/1989.La citazione è tratta da L. Pirandello, Colloqui con i personaggi, in Novelle per un anno, I Meridiani, ArnoldoMondadori Editore, Milano, 1990, vol. III, tomo II, pagg. 1153.Dalla prefazione a AA.VV., I monti di Giaveno. escursioni nella valle del Romarolo e del tauneri, tra natura,memoria, storia, 2002, CAI GiavenoIbidemG.V. Avondo-B.Torassa, La Val Sangone. Le Valli Minori Pinerolesi. Le Valli tra Pellice e Po, L’Arciere, Cuneo,1988, pp. 97-107