Montaggi metropolitani - Döblin, Berlin Alexanderplatz · cambiamenti attraverso una profonda...

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1 Storicamente Rivista del Dipartimento di Storia Culture Civiltà Alma Mater Studiorum Università di Bologna Montaggi metropolitani Döblin, Berlin Alexanderplatz Paolo Capuzzo DOI 10.1473/stor443 ISSN 1825-411X Art. No. 13 Issue No 9 - 2013 Editore: ArchetipoLibri March 20th 2013 Comunicare Storia - Pecorsi didattici

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StoricamenteRivista del Dipartimento di Storia Culture Civiltà

Alma Mater Studiorum Università di Bologna

Montaggi metropolitaniDöblin, Berlin Alexanderplatz

Paolo Capuzzo

DOI 10.1473/stor443

ISSN 1825-411X

Art. No. 13

Issue No 9 - 2013

Editore: ArchetipoLibri

March 20th 2013

Comunicare Storia - Pecorsi didattici

Döblin, Berlin Alexanderplatz

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Indice

Premessa ...................................................................................................................................... 2Tensioni erotiche, pulsioni di morte, spazio metropolitano .................................................................... 2La distruzione dei canoni della rappresentazione urbana: il montaggio .................................................... 6Montaggi urbani: Berlin Alexanderplatz ........................................................................................... 10Reference List ............................................................................................................................. 14

Premessa

Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin è uno dei grandi romanzi urbani del Novecento, esso ha modificatoprofondamente le modalità di rappresentazione della città contemporanea. La lettura di questo romanzo ci permettedi esplorare due fondamentali dimensioni dell’esperienza urbana di quegli anni: la trasformazione tecnologicache muta profondamente l’organizzazione, le infrastrutture e i tempi che regolano il funzionamento del grandemanufatto urbano; le tensioni, sociali e psichiche, che attraversano un mondo urbano sconvolto dalle innovazionitecnologiche che mutano le abitudini e i ritmi della vita quotidiana e si dispiegano dentro ad una società nellaquale la guerra, la sconfitta, la rivoluzione democratica hanno fatto venire meno le stabili gerarchie sociali edi genere sulle quali poggiava il rassicurante mondo guglielmino. Il romanzo ha il merito di restituire questicambiamenti attraverso una profonda innovazione nelle tecniche della narrazione che segnano una discontinuitàprofonda rispetto al grande romanzo borghese ottocentesco e ai suoi modi di rappresentazione della società. Ilmontaggio, uno strumento espressivo inaugurato dal dadaismo berlinese, che Döblin adotta felicemente comeprincipio della sua narrazione, permette infatti di restituire la multiforme vita della grande città, le forze che lamuovono, «l’oggettività» dei suoi processi tecnologici, la pluralità delle norme burocratiche che governano la vitasociale. La fragilità dell’individuo che si trova a vivere in questo ambiente ricchissimo di risorse, ma assai esigentesul piano sociale è il contraltare di questa originale indagine sulla grande città. Döblin, infatti, non si ferma allacontemplazione estetica della metropoli, né si limita a deprecare la distruzione della vita sociale che essa avrebbeprovocato, ma esplora in profondità le sue tensioni con freddezza analitica anche quando si spinge ad indagare gliaspetti più violenti e penosi della vita urbana, pur non facendo mancare, al tempo stesso, simpatia e partecipazionenei confronti delle difficoltà dei suoi personaggi.

Questo romanzo si apre a molteplici percorsi di lettura, farò riferimento a due aspetti che mi sembranoparticolarmente utili per l’indagine storica sulla vita urbana degli anni Venti: il primo riguarda la violenza cheregola i rapporti di genere in tutto il romanzo, e che richiede un’ampia contestualizzazione del tema nella culturatedesca del dopoguerra; il secondo che riguarda la rappresentazione della città e il rapporto psichico che ilprotagonista instaura con essa.

Tensioni erotiche, pulsioni di morte, spazio metropolitano

Nella cultura tedesca di fine Ottocento, la visione della metropoli moderna come simbolo della degenerazionedei sani valori che fondavano l’ethos germanico era molto diffusa. La città appariva come un rigido scheletro diacciaio e cemento che soffocava l’anima e frantumava l’individualità rendendola un atomo di una folla anonimae senza volto. Rembrandt als Erzieher (1890), l’opera di Julius Langbehn che è stata la bibbia di una nuovagenerazione di disorientati giovani tedeschi e ha incontrato il favore di una borghesia diffidente verso la modernità,imputava all’illuminismo e alla metropoli moderna la responsabilità della decadenza culturale dell’occidente, allaquale Langbehn [1891] contrapponeva la profondità interiore che promana dalle figure di Rembrandt.1 Trent’annidopo, un grande best seller della Germania weimariana vedeva nella metropoli tecnologica la stazione terminaledel ciclo di una civiltà, il luogo nel quale ethos, patrimonio simbolico, energia vitale si andavano a spegnere inuno scenario ipertecnologico freddo e spettrale nel quale brulicavano masse inquiete spiritualmente sterili: era iltempo, secondo Oswald Spengler [1957], del Tramonto dell’Occidente.

Lo spazio delle metropoli, in particolare quello di una grande città molto giovane come Berlino, sembravarispondere perfettamente ai canoni della razionalità astratta che ha prodotto la modernità: spazio geometrico,povero di qualità simbolica e riducibile a formule che ne progettano la quantità. Ecco, proprio l’apparentetrasparenza razionale che governa il disegno della metropoli moderna entra in collisione con l’imperfettacreaturalità della natura umana che fatica ad adattarsi ad esso, alla sua astratta rigidità, così che la tensionegenerata da questo contrasto, non riuscendo a trovare composizione nello spazio sociale, si manifesta comepatologia individuale. L’esperienza dello spazio urbano berlinese metteva Siegfried Kracauer a continuo contatto

1 Sull’opera di Langbehn come prodromo del nazismo, cfr. il secondo capitolo del classico lavoro di Stern 1961; cfr. anche Mosse 1968.

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con questa duplicità: l’apparente stabilità, l’efficiente organizzazione, la perfezione tecnologica che governavanola metropoli finivano per annichilire la presenza umana che sembrava diventare parte di un congegno meccanicosuscitando un sentimento di estraneità che facilmente si tramutava in timore e panico. L’ambiente urbano eraperciò percepito come un’alienata realtà oggettiva che non offriva alcuna possibilità di identificazione affettiva.L’attraversamento del sottopassaggio vicino alla stazione di Charlottenburg è paradigmatico di questa sinistraesperienza metropolitana:

È proprio la contrapposizione tra il sistema costruttivo, compatto e imperturbabile, e il confusodileguare degli esseri umani a suscitare il terrore. Da un lato, il sottopassaggio: un’unità stabilee ben ponderata, in cui ogni bullone e ogni mattone se ne sta al suo posto e partecipa dell’intero.Dall’altro, gli uomini: parti e particelle sempre scisse l’una dall’altra, inconciliabili schegge diun intero che non è mai dato. Sanno stabilire una connessione tra muri, archi e pilastri, ma sonoincapaci di organizzare se stessi in una società. Vista attraverso quel perfetto sistema di mortamateria, la caotica imperfezione del vivente si rivela impressionante, spaventosa [Kracauer1932, 53].

Figura 1.

Paul Leni, Luci espressioniste, Berlin, 1924

Questa inquietante estraneità allo spazio metropolitano si condensa in alcune figure urbane oggetto della cronacanera, della rappresentazione artistica e della fantasia popolare. Nel corso della prima guerra mondiale, e del primodopoguerra, il rapporto tra i sessi era infatti radicalmente cambiato, minacciando di alterare la solida gerarchiache regolava il controllo maschile del corpo femminile. È su questo sfondo sociale che prosperano fantasmi chemettono in scena le paure maschili di essere soggiogati dal potere di seduzione delle donne, generando reazioniviolente e prive di controllo come il Lustmord, l’omicidio a sfondo sessuale, oggetto di dipinti di Otto Dix eGeorg Grosz, del quale si registra un sensibile incremento a Berlino negli anni della prima guerra mondiale[Hirschfeld 1930]. Jack lo squartatore, e l’abbondante letteratura popolare che ne riprende la figura, assai presentenella biblioteca privata di Georg Grosz, ispira opere figurative, romanzesche e cinematografiche nella Berlinoweimariana: dal Gabinetto delle figure di cera (1924) di Paul Leni e Leo Birinsky, al capolavoro di Wilhelm Pabst,Die Büchse von Pandora (1929), trasposizione cinematografica del dramma di Wedekind che colpì anche AlbanBerg, nel quale la seducente Louise Brooks, incarnazione di una femminilità innocente, amorale e perversa vieneuccisa nel finale londinese da un omicida seriale. Jack the Ripper compare anche con un registro ironico nell’operateatrale di maggiore successo della Berlino weimariana, L’opera da tre soldi di Brecht, mentre il nesso metropoli,morte e sessualità è al centro della sofisticata rielaborazione di Döblin in Berlin Alexanderplatz.

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Figura 2.

Wilhelm Pabst, Die Büchse von Pandora (1929)

L’ossessione per i minacciosi fantasmi della femminilità che agitano l’immaginario weimariano permette diqualificare l’assassinio della donna come una sorta di difesa, risarcimento, riscatto. La trasposizione filmica diWedekind nel film di Pabst è emblematica: Louise Brooks, Lulù, cade nelle mani di Jack the Ripper che lauccide, ma dietro di lei ha lasciato una sequela di vittime maschili: mariti, amanti, ammiratori tutti soggiogatidalla sua forza di seduzione che li conduce in un abisso. All’indomani della fine di un terribile conflitto, lenuove, emancipate figure femminili costituivano una minaccia per l’identità maschile messa già a dura prova dallasconfitta. Il carnefice poteva così presentarsi paradossalmente come vittima e la sua violenza come riparatrice,con un significativo parallelismo con la rielaborazione dell’esperienza di guerra che il nazismo avrebbe abilmenteinscenato e strumentalizzato: il soldato tedesco, tradito dai vertici politici e militari, dai civili imboscati e dallecospirazioni dell’internazionalismo ebraico, viene infine ferito a morte dalle donne che escono dalla guerra conun rinnovato slancio di emancipazione che ne affranca la sessualità rendendola un’arma da poter usare contro gliuomini.

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I rapporti di genere nel romanzo di Döblin sono pervasi da una violenza continua, talvolta aperta, più spesso sottile.Le donne sono, di volta in volta, strumento per validare la propria virilità, come quando Biberkopf violenta lacognata per provare a sé stesso di non essere impotente, o mezzi di scambio, pedine del gioco omoerotico chelega sinistramente Franz a Reinhold, o addirittura oggetto di una violenza plateale volta a cancellarne la presenza,come nell’assassinio di Mieze da parte di Reinhold in un bosco del Brandeburgo:

Fuori della baracca. Il cappello è rimasto lì. Adesso mi picchia, io corro e prima ancora che luisi sia alzato dal mucchio di erba, lei comincia a gridare, chiama Franz e corre. Reinhold è inpiedi, corre anche lui, e d’un balzo le è sopra, lui è in maniche di camicia. Tutti e due accantoa un albero, distesi. Lei sgambetta, lui le è sopra, le tiene chiusa la bocca: «Ti metti di nuovo agridare, carogna? Ti metti di nuovo a gridare? E perché gridi? Cosa ti faccio? Non puoi star zitta?Ti ricordi quel giorno che lui a momenti ti ammazza? Sta’ attenta che con me va peggio». (…)

Il suo tempo, il suo tempo, ogni cosa a suo tempo. Uccidere e guarire, demolire e costruire,strappare e cucire, tutto a suo tempo. Lei si rivolta per sfuggirgli. Dentro alla baracca lottano.Franz, aiuto.

Vedrai che ci si riesce, e al tuo Franz gli giocheremo uno scherzetto che se ne ricorderà per unpezzo. «Voglio andare». «Sentila, che se ne vuole andare, più se n’è voluta andare».

Le sta in ginocchio sulla schiena, le mani le stringono il collo, i pollici premono la nuca e ilcorpo di lei si contrae, si contrae, si contrae. Il suo tempo, tutto ha il suo tempo, nascere e morire,nascere e morire, ogni cosa ha il suo tempo.

Assassino dici e intanto mi attiri qua e forse pensi di tirarmi per il naso, ma non conosci beneReinhold, tu.

Potente, forte. C’è un mietitore, si chiama Morte, Iddio l’ha fatto potente e forte. Lasciami. Leitira calci, sgambetta. Il bimbo ce lo culleremo noi e vengano i cani a mangiare ciò che di teresterà.

Il suo corpo si contrae, si contrae, il corpo di Mieze. Assassino, mi dici, se ne deve accorgere,gliel’ha fatta bella, il suo, il suo caro Franz.

Poi con una clava di legno si dà un colpo sulla nuca dell’animale e col coltello gli si aprono levene del collo ed il sangue lo si raccoglie in una bacinella di metallo. [386-88]

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La distruzione dei canoni della rappresentazione urbana: il montaggio

Figura 3.

Paul Citroen, Metropolis, 1923, Collage, 76 x 59 cm, Prentenkabinet der Rijksunversiteit, Leiden, the Netherlands. c 1997 Paul Citroen/Licensed by VAGA, New York.

La tecnica del montaggio come strumento di decostruzione e ricostruzione degli elementi della realtà deve moltoall’esperienza artistica del dadaismo, il principale movimento d’avanguardia nella Berlino del dopoguerra. Peri dadaisti il montaggio assumeva una funzione decostruttiva e nichilista, di sarcastica denuncia della bancarottadel mondo borghese Guglielmino, dei suoi simboli, valori e delle sue forme di rappresentazione. La realtàcaleidoscopica e fuori controllo del dopoguerra esplodeva nel nonsense e nell’assenza di confini simbolici: ildadaismo aggrediva la città con la sovversione semiotica, sfidava le istituzioni dell’arte borghese, rinnegava ogniconsolidata tradizione, ma soprattutto sbugiardava la fragilità della struttura di potere che presiedeva alle gerarchiedel gusto e del giudizio artistico che formavano il capitale economico e simbolico dell’arte.

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Figura 4.

Georg Grosz and John Heartfield, Leben und trieben im Universal-City, 12 Uhr 5 Mittags, 1919, Collage, dettagli e luogo sconosciuti

Nel corso degli anni Venti il significato del fotomontaggio si venne vieppiù precisando, anche teoricamente,come decostruzione degli elementi della realtà fenomenica e ricostruzione interpretativa dei processi che lacostituiscono: ogni realtà veniva così considerata come un processo interpretativo. L’intento dei fotomontaggidi Heartfield, dadaista della prima ora e acuto illustratore degli anni di Weimar, era quello di smontare il sensocomune, la cosiddetta normalità, per mostrarne la funzione sociale secondo un principio caro a Majakovsky, peril quale nell’arte rivoluzionaria la funzione prevale sulla forma e sul contenuto. Il montaggio divenne così unostrumento fondamentale per la rappresentazione urbana in una città come Berlino che, come scrive Kracauer,non può essere colta attraverso un’immagine unitaria e prospettica come accade per i panorami parigini. Berlino,infatti, sembra una giungla:

È priva di forma quanto la natura e, nella misura in cui si costituisce inconsapevolmente,assomiglia a un paesaggio. Incurante del proprio aspetto, affiora e dilegua nel corso del tempo.[…]

Questo paesaggio è Berlino colta di sorpresa. In esso, cresciuto spontaneamente com’è, trovanoespressione senza nemmeno averne avuta l’intenzione i suoi contrasti, la sua crudezza, lasua apertura, le sue contiguità, il suo splendore. La conoscenza delle città è connessa alladecifrazione delle loro cosiddette immagini oniriche [Kracauer 1931, 55 e 57].

Il paesaggio urbano risulta così dall’osservazione fenomenologica delle sue forme eterogenee. Benjamin, sullascorta del surrealismo, avrebbe tratto i frutti più maturi da questo approccio: guardare alla città come ad unpaesaggio naturale e incantato, svelando, grazie alla dialettica dello shock e della rammemorazione, i rapportisociali che la costituiscono, dietro quell’immagine naturalizzata e pietrificata. L’impossibilità di uno sguardo diinsieme e la molteplicità e simultaneità dei piani di osservazione rendono il montaggio una tecnica indispensabileper rappresentare la Berlino weimariana. Un linguaggio che, formatosi nell’ambiente dadaista, avrebbe finitoper coinvolgere le variegate espressioni della cultura visuale weimariana, dai cartelloni pubblicitari, al teatro,al cinema. Anche la radio, che cambia il paesaggio sonoro della città negli anni Venti, è organizzata con unaparticolare forma di montaggio, il palinsesto radiofonico, prodotto delle subculture metropolitane dello spettacolo.Ma è nel cinema che il montaggio rivela le maggiori potenzialità nella rappresentazione urbana.

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Figura 5.

Manifesto del film Berlin Symphonie einer Groβstadt, di Walter Ruttmann (1927)

Tra i tanti film che hanno oggetto Berlino negli anni Venti, due si elevano sugli altri lasciando un segno indelebilesull’immagine della città: Berlin Symphonie einer Groβstadt (1927), di Walter Ruttmann, e Menschen am Sonntag(1930), di un collettivo formato da giovanissimi registi che avrebbero avuto una gloriosa carriera a Hollywood:i fratelli Kurt e Robert Siodmak, Fred Zinneman, Edgar Ulmer, Billy Wilder. In questi film non vi sono attoriprofessionisti, le immagini sono prese direttamente dalla città e i frammenti della vita urbana vengono poi montatidai registi costruttori-montatori: la vita quotidiana di Berlino è il cuore della rappresentazione.

Tuttavia questi due film ci mostrano come una medesima tecnica possa rispondere a principi artistici assaidiversi. Nel caso di Ruttmann il principio della composizione è essenzialmente ritmico e basato su figurazioniin rima. I nessi tra gli elementi che costituiscono la tessitura del film discendono da una logica compositiva cherisponde a criteri rigorosamente formali che trasfigurano le immagini della grande città attraverso un processo diformalizzazione ed astrazione che ha nel ritmo, nella musica e nell’associazione di tipo estetico il suo elementoconnettivo. Gli elementi presi dalla realtà vengono utilizzati in funzione della composizione, della sinfonia dellagrande città. Al montaggio non veniva perciò assegnata una funzione metaforica, o di ingegneria emozionale,

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come per Eisenstein, né di apertura immaginativa come nella poetica degli oggetti di tipo surrealista perché glioggetti-luoghi metropolitani venivano chiusi in una composizione che aveva lo scopo di restituire il movimento eil ritmo delle forme della città. L’apertura del film, con uno specchio d’acqua ondeggiante che si trasforma pianpiano in una sequenza di forme astratte e parallele che inclinandosi vengono poi di nuovo trasformate in realtà,vale a dire nelle barre del passaggio a livello che aprono la via al treno diretto verso la stazione di Berlino, è inquesto senso un manifesto: vale a dire un esercizio di trasposizione della realtà in pura forma e poi della pura formanell’oggettuale tecnologico-metropolitano. Si trattava di un gioco intellettualistico perché Berlino nel film nonveniva esplorata, ma era piuttosto il prodotto di un’immaginazione estetica che l’aveva preconfezionata, l’esattocontrario del cinema-verità. Se il fascino della metropoli nasce dalle interazioni sociali che definiscono il suopaesaggio, qui troviamo invece soltanto delle forme estetiche.

Figura 6.

Scena di Menschen am Sonntag (1930), di Kurt e Robert Siodmak, Fred Zinneman, Edgar Ulmer, Billy Wilder

Anche Menschen am Sonntag (1930) è un film costruito attraverso il montaggio di immagini documentarie diBerlino. Esso è tuttavia privo del feticcio della realtà-verità. Sulle immagini di un documentario sulle domenichedei berlinesi viene infatti inserita una storia di finzione interpretata da attori non professionisti. I protagonistisono caratterizzati socialmente in modo molto preciso (una commessa, un taxista, un rappresentante di vini, unamodella) e sono espressione di una nuova generazione metropolitana che si identifica attraverso i consumi dimassa e la cultura commerciale, lasciandosi alle spalle le tradizionali subculture di classe che ancora caratterizzanoi grandi quartieri operai della città. I pezzi di realtà messi insieme in Menschen am Sonntag restituiscono ilcaleidoscopio urbano come molteplicità espressiva dell’umanità che la abita. L’indagine sul volto dei protagonistisottolinea peculiarità e differenze, evidenzia la singolarità e la mutevolezza, enfatizza l’espressività che scandiscel’intonazione della storia. L’originalità del film sta proprio in questo suo sguardo aperto: l’occhio incoscientedella cinepresa apre il mondo dei quattro protagonisti facendone un monumento storico, vale a dire facendoloparlare da solo per ciò che è.2 L’abilità registica di Menschen am Sonntag risiede proprio in questa capacità di farparlare volti e gesti di personaggi presi dalla quotidianità chiamati a recitare una storia del tutto plausibile. Anchein questo film la città è movimento, organizzazione, tecnologia, ma tutto ciò non genera angoscia: Menschen amSonntag è un film di integrazione, praticata e possibile, di città e natura, modernità e piacere. Intimità e metropolicelebrano la loro relazione grazie ad una capacità di introspezione che apre dei significati, non è chiusura sinfonicao sintesi estetica: i volti, le espressioni, i pensieri di quei giovani della metropoli aprono orizzonti di senso chedallo schermo si riversano di nuovo nell’esperienza metropolitana. La metropoli-macchina è presente anche inMenschen am Sonntag, ma rimane sullo sfondo; in primo piano si stagliano invece il broncio e il sorriso, la gelosia

2 Cfr. la lettura del film di Rancière 1997, 54-55.

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e la gioia di queste fresche figure berlinesi, inconsapevoli di trovarsi sulla soglia di una terribile catastrofe e chea noi odierni spettatori non possono che suscitare una profonda e struggente tenerezza.

Montaggi urbani: Berlin Alexanderplatz

Figura 7.

Copertina della prima edizione del libro Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin (1929)

Anche Berlin Alexanderplatz è costruito attraverso il montaggio, esso ci permette di indagare la trasformazionedella città come manufatto modernista e il rapporto tra il cambiamento dell’ambiente urbano e la vita psichicadegli individui che lo popolano. Così Benjamin ne tratteggiava la novità nella sua recensione:

Il principio stilistico di questo libro è il montaggio. In questo testo compaiono stampe piccolo-borghesi, storie scandalistiche, casi sfortunati, sensazioni del ’28, canti popolari, inserzioni.Il montaggio pervade il «romanzo», lo pervade nelle strutture, anche stilisticamente, ed aprenuove possibilità, soprattutto epiche. Anzitutto formali. Il materiale del montaggio non è affattomateriali qualsiasi. Il montaggio vero si basa su documenti. Il Dadaismo, nella sua fanaticabattaglia contro l’opera d’arte, ha fatto, attraverso questo, della vita pratica un’alleata. Ha, perprima cosa, anche se con incertezza, proclamato il potere assoluto dell’autenticità. Il film, nelsuo momento migliore, faceva atto di abituarci al montaggio. Qui è divenuto per la prima voltautilizzabile per l’epica. I versi della Bibbia, statistiche, slogan, sono elementi in virtù dei quali

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Döblin conferisce autorità allo svolgimento epico. Corrispondono ai versi stereotipi dell’epicaantica [Benjamin 1966].

Il protagonista del romanzo di Döblin è Berlino, non il povero Biberkopf che di essa è in balia. Biberkopf è solouno dei tanti che vivono la condizione metropolitana e i frequenti inserti di fatti di cronaca montati nel romanzo-macchina di Döblin ci presentano infatti spezzoni di vita di molti altri personaggi che non sono integrati neltessuto narrativo, ma dei quali si documenta la casuale presenza in tram, agli angoli della strada o negli spaziattraversati da Biberkopf. Questi documenti di realtà entrano nel romanzo senza che la narrazione sia in gradodi dominarli, di attribuire loro uno senso. L’autore non è più il deus ex machina, il creatore del grande romanzoborghese ottocentesco, il testo di Döblin si avvicina piuttosto all’epica perché l’autore si mette sul piano del lettore,è tuttalpiù, come amava definirsi Heartfield, un monteur, un meccanico.

Così si apre il Libro Quinto del romanzo:

Brum, brum: davanti a Aschinger nell’Alex strepita il battipalo a vapore. È alto quanto il pianodi una casa e come niente infila i pali di ferro per terra.

Aria di neve. Febbraio. La gente va intorno infagottata. Chi ha una pelliccia la porta, chi nonl’ha va senza. Le donne hanno le calze sottili e devono aver freddo, ma sono carine. Dinanzi alfreddo sono scappati a rintanarsi anche i lazzaroni…

Brum Brum, pesta il battipalo in Alexanderplatz. Molta gente ha tempo e si ferma a guardarecome lavora la macchina. Un uomo sta in cima, tira una catena, e in alto qualcosa scatta, zac,e il palo si piglia un colpo sulla testa …

Rrrrr, cigolano i tram, gialli coi rimorchi attraverso l’Alexanderplatz ricoperta di tavole, èpericoloso saltar giù dal tram. La stazione della ferrovia sotterranea è tutta scoperta. Il tram fail giro della Königstraße, davanti ai magazzini Wertheim. Chi vuole andare verso est deve fareil giro intorno al presidio attraverso la Klosterstraße…

Loeser e Wolf con l’insegna a mosaico l’han spazzato via, 20 metri più in là, davantialla stazione, è già su nuovo. Loeser e Wolff, Berlin-Elbing, merce di prima qualità pertutti i gusti, Brasil, Havanna, Mexiko, Kleine Trösterin, Liliput, sigaro n. 8, 25 pfennig alpezzo, Winterballade, confezione da 25 pezzi, 20 pfennig, zigarillos n. 10, standard, Sumatra,un’occasione a questo prezzo, casettine da cento pezzi, 10 pfennig….

Vicino ai Prälaten c’è posto e ci stanno i carretti delle banane. Date banane ai vostri bambini.La banana è il frutto più pulito, perché la buccia la protegge dai vermi, dagli insetti e dai bacilli.Ad eccezione di alcuni vermi, insetti e bacilli che passano attraverso la buccia….

Da est, Weissensee, Lichtenberg, Friedrichshain, Frankfurter Allee, arrivano sulla piazza,traversando la Landsberger Straße, le vetture gialle del tram. Il 65 viene dal Mattatoio centrale,Grosser Ring Weddingplatz, Luisenplatz, il 76 da Hundekehle, traversando la Hubertusallee.All’angolo della Landsberger Strasse hanno liquidato, nel magazzino di Federico Hahn, ed oraè tutto vuoto e nelle mani di Dio. Lì c’è la fermata del tram e dell’autobus 19 Tramstrasse…[Döblin 1974, 183-85].3

La metropoli funziona secondo una serie di logiche autonome che Döblin può soltanto mostrare: l’impresaAEG, la tabella oraria dei treni, l’organizzazione dei dipartimenti dell’amministrazione municipale, le condizionimetereologiche, tutto ciò e molto altro definisce l’ambiente urbano. Döblin può soltanto cercare di restituire lacomplessità semiotica della piazza, i segni che la arredano, i flussi che vi si incontrano, le reti che ne costituisconola tessitura tecnologica e sociale. Per Döblin la città irrompe nel testo fagocitando l’autore e il suo protagonista emette così in scacco i presupposti stessi della forma romanzo. Certo, è l’autore a raccontare la storia di Biberkopf,ma come il suo personaggio non è in grado di governare la città e i suoi effetti, è piuttosto in balia di essi. Crisidel romanzo è il titolo del saggio di Benjamin su Berlin Alexanderplatz: il testo di Döblin interrompe la storia delgrande romanzo borghese e rappresenta un singolare prodotto della combinazione di epica e montaggio. Nei suoisaggi, Döblin aveva spiegato che il genere epico fa svanire l’autore che non è più regista, individuo onniscienteche domina l’intreccio romanzesco, ma semplicemente un curatore che accompagna gli eventi con una serie di

3 Le citazioni sono tratte dalla traduzione italiana di Alberto Spaini: Döblin A. 1974.

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commenti, avvertimenti e riflessioni [Döblin 1963 (1924), 62-83; 1989 (1929), 215-244]. L’autore tuttavia nonscompare nello sfondo di un ethos condiviso, lentamente formatosi attraverso le mille voci di una tradizione orale,come nell’epica classica; è invece consapevole del fatto che qualcosa sfugge, che qualcosa manca sempre. L’autoresi pone con atteggiamento riflessivo, esercita un soggettivo giudizio, una meditata riflessione eppure è consapevoleche ciò non può garantire il suo personaggio da future cadute. E le cadute arrivano, inesorabili, nonostante i buonipropositi. Biberkopf non è padrone del suo destino, prova a guidarlo, ma c’è qualcosa che è più grande di lui, delleforze delle quali è in balia. Si badi bene, non ne è annichilito perché cade, sì, ma si rialza sempre, anche senzaun braccio si può vivere attorno alla Alexanderplatz.

Il romanzo di Döblin rappresenta un superamento della cultura antiurbana pur non essendo un’ingenua apologiadel modernismo. In Döblin non vi è alcun nostalgico romanticismo, la città non è l’antitesi dello spirito odell’interiorità secondo le svariate retoriche della Kulturkritik weimariana, è anzi il fluido del quale si nutre la vitadi Biberkopf e della moltitudine che abita la metropoli, con le sue icone, i suoi idioletti, la complessità semioticache il suo spazio è capace di sprigionare. Le città sono il fulcro dell’energia sociale, ad esse non ci si può opporrele si può solo accettare, quando anche ci faccia orrore quello che in esse accade.

Nella rete metropolitana ogni nodo è un frammento simmeliano che implica l’intero contesto, ma non è possibiledare un ordine sequenziale o gerarchico a questi nodi, manca il codice che ci permetta di decifrarli; soltanto da qui,da questa assenza è possibile parlare di un mistero metropolitano. La metropoli non va in crisi per questa assenza,la sua logica spaziale e funzionale si regge su una razionalità rizomatica che per definizione non è unificabile dallosguardo di un soggetto: è questa l’esperienza dell’ignoto metropolitano che genera angoscia per coloro che nonhanno imparato ad abbandonarsi alla corrente e ad essa anzi resistono. Questa è l’angoscia che assale Biberkopfquando esce dal carcere di Tegel e viene coinvolto nel vortice metropolitano. Biberkopf prova un moto di nostalgiaper le protettive mura della prigione, ma lo avevano rilasciato: «tutto è regolato e il burocrate fa il suo dovere. E iodevo andare sempre più avanti, ma Dio mio non vorrei, non posso» [21]. Ciò che provoca lo sgomento di Biberkopfè proprio il contrasto tra la vertigine percettiva prodotta dalla città nel suo insieme e l’apparente naturalità deisuoi singoli particolari:

Il tram prese una curva, si pararono in mezzo alberi, case. Strade movimentate, gente chescendeva e saliva. Dentro di lui qualcosa gridava con terrore: attenti, attenti, si comincia. Lapunta del naso gli si era gelata, sopra la testa sibilava: «Mittagszeitung!» «B.Z.» «Die neustIllustrierte.» «L’ultimo del Radiocorriere!» «Biglietto, qualcuno ha da fare il biglietto?» i vigiliavevano una divisa azzurra adesso. Inosservato scese dalla vettura, si trovò in mezzo alla gente.Che cos’era, che cosa succedeva? Niente. Sta’ in gamba, morto di fame, tien duro, se no, sonocazzotti! Confusione, che confusione. Tutto girava attorno. Il mio cervello non ci ha propriopiù condimento, è diventato completamente secco. Cosa era tutta quella roba! Negozi di scarpe,cappellerie, lampade elettriche, osterie. La gente ci ha ben bisogno di scarpe se deve andaretanto in giro, anche noi avevamo una calzoleria. Cento vetrate lucide, e lasciale luccicare, nonti faranno mica paura, e, se vuoi, le puoi fracassare tutte quante, ma cos’hanno di strano, sonostate ripulite proprio adesso. Sulla Rosenthaler Platz disfacevano il selciato, e in mezzo aglialtri dovette passare su assi di legno. Ci si mischia con la gente, tutto passa, non ti accorgidi niente, figliolo. Nelle vetrine stavano manichini con abiti, cappotti, sottane, calze, scarpe.Fuori ogni cosa si muoveva, ma, la dietro … niente! Niente viveva. Avevano facce allegre,ridevano, aspettavano, a due, a tre sul salvagente di faccia a Aschinger, fumavano sigarette,sfogliavano giornali. Fermi come tanti lampioni, sempre più immobili. Tutt’uno con le case,ogni cosa bianca, tutto legno.

Trasalì, quando scendendo per la Rosenthaler Straße vide seduti in un’osteria, presso la finestra,un uomo e una donna: si versavano in gola la birra, già; cosa c’era di strano? stavano appuntobevendo e avevano in mano delle forchette e con esse infilzavano pezzi di carne e se limettevano in bocca, poi riportavano fuori le forchette e non sanguinavano. O, non riuscirò mai aliberarmene, il suo corpo si era contratto, convulso, dove andrò? Qualche cosa rispose: il castigo.

(…)

I tram facevano un gran rumore e scampanellavano, le facciate delle case correvano una dietrol’altra senza fine. E sulle case c’erano tetti che parevano quasi oscillare, i suoi occhi si alzavanospaventati: purché i tetti non sdrucciolino giù, ma le case stavano salve. Dove vado a sbattere,io, povero diavolo? E si strascinava lungo le pareti delle case senza vederne la fine. [20-21]

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Figura 8.

Ernst Ludwig Kirchner, Nollendorf Platz, 1912, olio su tela, 69 × 60 cm, Stiftung Stadtmuseum Berlin.

Salito sul tram, Biberkopf è sconvolto dalla molteplicità, velocità, frantumazione e assenza di ordinedell’immagine urbana che non riesce a comporre in un compiuto orizzonte di senso e che pure gli appareassolutamente normale se osservata nei suoi singoli particolari. Questo contrasto sta all’origine dell’ansia chesale nel corpo di Biberkopf e fluisce alla testa ottundendo la sua capacità di vedere. L’unico rimedio che trova,mentre attraversa il quartiere degli ebrei orientali, è quello di «uscire» dalla città entrando in un cortile. Qui, ilreduce della Grande guerra può ritrovare lacanianamente la sua integrità di fronte allo specchio sonoro della suavoce che si riverbera su quelle mura. Si toglie il berretto ed intona a gran voce le prime strofe di Die Wacht amRhein, è l’oscura autorità depositata in quelle note a placare Biberkopf e restituirgli un’immagine di sé che si erapericolosamente liquefatta nel vortice metropolitano:

Un cortile grande e scuro. Si fermò presso il bidone delle immondizie. D’un tratto dal suo pettosalì lungo le pareti un canto risonante. Come un mendico che va attorno con l’organetto si tolsedi testa il cappello. Le pareti gli rimandavano l’eco. Così gli piaceva. La sua voce gli riempivale orecchie. E cantava così forte, come mai in prigione aveva potuto cantare. E cos’era che lepareti gli rispondevano con la loro eco? «Come l’urlo del tuono si spande un grido» vigoroso,guerresco e sicuro. [23]

Questa molteplicità di piani e questa esplosione metropolitana, per Döblin non rappresentano il caos delladecadenza moderna, da esse promana piuttosto l’eccitata vitalità dei molteplici fili che rendono grande e riccal’esperienza della metropoli. Anche davanti all’orrore e alla violenza che quotidianamente attraversa lo spaziourbano, Döblin non cede mai alla tentazione di deprecare i tempi e la metropoli moderna. Anzi Biberkopf, che non

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è riuscito a mantenere i suoi propositi per ben tre volte e che tante sventure ha subito e causato nella vita, storpioe mutilato tornerà alla fine nella grande città, senza averne più la paura di quando uscì la prima volta di galera.Si trova nella piazza e non è più solo, c’è qualcuno alla sua destra, qualcuno alla sua sinistra, qualcuno camminaavanti e qualcun altro indietro. «Molto male viene dal fatto che si va soli. Se si è in parecchi, è già diverso. Bisognaabituarsi ad ascoltare gli altri, perché quello che dicono gli altri riguarda anche me. Io mi accorgo allora chi sonoe cosa posso fare. Dappertutto, attorno a me, si combatte la mia battaglia…» [498]. La città è rimasta uguale, èBiberkopf che è cambiato, ora ha un «cuore sano», ha riconosciuto e integrato il suo passato, anche i suoi lutti edelitti, e ha compreso che non è un atomo nella metropoli, ma che ci sono anche gli altri, una comunità di destiniche si possono cercare.

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