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Gianfranco StrazzantiGianfranco StrazzantiGianfranco StrazzantiGianfranco Strazzanti

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Swieqi, Malta, 19 Ottobre 2015.

Queste brevi riflessioni non rappresentano il punto di vista di nessuna

organizzazione civile o religiosa ed sono frutto del mio lavoro di ricerca e di

quello di coloro che, in un modo o in un altro e sia pure a loro insaputa, mi

hanno aiutato.

Pochi sono all’altezza delle cose di cui qui si parla e io non sono di certo

fra loro, nonostante ciò l’idea di quest’opera mi ha così prepotentemente

inseguito nel tempo che non ho potuto fare a meno di portarla a termine

nella maniera più concisa e sintetica che mi è riuscito di fare.

A coloro che amano la vita più della conoscenza e, pur amando la

conoscenza, sanno che non è nella loro che devono confidare.

G. S.

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I. Le Scritture Ebraiche e il Vangelo:

alcune intuizioni, molti interrogativi.

1. Isha mangia il frutto dell’albero della conoscenza di bene e male e lo

porge ad Adamo1. Così nel primo libro della Torah ebraica viene spezzata

l’armoniosa unità dei primordi, lo stato di perfezione e completezza del

giardino edenico. Isha e Adam, nel consumare il frutto, rendono possibile

l’ingannevole illusione di aprire gli occhi ed essere, come Elohim,

“conoscenti di bene e male”2 e, allo stesso tempo, si scoprono nudi3, limitati e

separati rispetto alla totalità che li circonda, gravati dalla maledizione4 di

un’esistenza la cui natura è degenerativa proprio perché sono loro, delle

creature ormai degeneranti, a percepirla.

2. Dal punto di vista dell’uomo l’albero della conoscenza di bene e male e

l’albero della vita5 non possono coincidere: la conoscenza divina, una volta

passata all’uomo, è pur sempre destinata ad incontrare un limite e, in questo

1 Nel passo in questione Adamo è detto ’Κ, l’uomo-maschio in ebraico, dato che ormai da lui è stata tratta ’Iššâ, l’uomo-femmina (cfr. Genesi 3, 1-6). Il nome Eva, ovvero Hawwâ, “Vivente”, è il nome che il marito dà alla donna solo dopo la cacciata dall’Eden, “perché essa fu la madre di tutti i viventi” (Genesi 3, 20). 2 Genesi 3, 5. 3 Si veda Ibidem, 3, 7. 4 Si veda Ibidem, 3, 14-24. 5 Il termine ebraico hayyim nel testo originale di Genesi ha forma plurale, per quanto spesso il plurale ebraico non si limiti ad indicare solo la molteplicità, ma anche l’intensità, l’abbondanza e l’elevatezza di qualcosa, in questo caso della vita così come essa si manifesta nell’Eden.

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limite, la morte, mentre la vita divina porta ad essere olam6; ma è proprio per

timore che l’uomo potesse divenire olam come Elohim che Adamo ed Eva

vengono banditi dall’Eden.

3. Se Eva rappresenta la porta aperta sull’esteriorità, l’anima che di fronte

all’enigma della conoscenza che rende simili ad Elohim7, ma sofferenti e

mortali, inaugura l’abissale e drammatico momento dell’esistenza, la Vergine

Myriam rappresenta la porta aperta verso l’interiorità, l’anima che magnifica

il Signore: la Vergine evangelica infatti posta di fronte all’enigma della

salvezza che riporta all’interiore Regno dei cieli, nonostante e oltre la

maledizione dell’esistenza, risponde al messaggero divino: “Ecco la serva del

Signore; sia di me secondo la tua parola”8.

Eppure solo in Eva troviamo una figura che può rappresentare tutto il

genere umano9, prima signora di una preistoria di armonia10 e poi simbolo

6 Il termine, per intero El-Olam (si veda Genesi 3, 22), è di difficile traduzione. Nelle versioni canoniche dell’Antico Testamento viene reso con eterno, ma in realtà la radice ‘LM (formata dalle lettere lamed e mim) in ebraico rimanda al verbo nascondere, tanto che néelam vuol dire scomparire. Il significato pertanto sembrerebbe più vicino all’italiano nascosto o invisibile che non ad eterno. 7 Per il termine ebraico Elohim si presenta un problema affine a quello di hayyim. Solitamente i dizionari lo presentano come un plurale di Eloah ma, come detto, il plurale in ebraico può anche avere una valenza maiestatica oppure può esprimere un senso per così dire superiore del termine. Va infine notato che nella Torah il termine, per quanto plurale nella forma, viene associato a verbi e aggettivi singolari, mentre raramente in altri rotoli dell’Antico Testamento può succedere che esso venga trattato come un sostantivo plurale. 8 Luca 1, 38. Per le citazioni dai Vangeli sono state riportate le traduzioni italiane poste sotto l’originale greco nell’edizione interlineare del Nuovo Testamento, greco, latino, italiano delle Edizioni San Paolo (Cinisello Balsamo, MI, 1991. Sesta edizione, 2010). Tali traduzioni, relative ai singoli vocaboli, sono state armonizzate secondo i modi espressivi proprî della lingua italiana nella maniera meno artificiosa possibile. 9 Anche se, trattandosi della Madre di tutti i viventi (si veda nota 1), si potrebbe anche pervenire ad una diversa conclusione a proposito di Eva quale madre primigenia dei terrestri. D’altronde il concetto di vivente e di vivo ha anche nei Vangeli un suo ben preciso senso e ricchezza, come si nota in Matteo 22, 32: “Non è Dio dei morti, ma dei vivi”. 10 In realtà per gli eventi narrati in Genesi in relazione alla creazione dell’uomo è difficile capire fino a che punto essi precedano ogni possibile presenza dell’uomo sulla terra, in quanto dal quarto capitolo apprendiamo che, dopo la nascita di Abele e Caino - che si

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dell’uomo che crede di potere spiegare tutto della propria esistenza ma, di

fronte alla risposta ultima, ovvero quella sulla sua finalità, non può che

rimanere in silenzio e accettare la caduta a cui essa è soggetta. In Maria

invece troviamo un’eletta, ovvero una figura storica che apre la strada che

porta alla liberazione dalla vicenda del mondo, dando vita alla Parola che

porta una vita segreta. Non è però una figura che può rappresentare il genere

umano, bensì solo la parte eletta di esso: secondo le sue stesse parole infatti è

solo su coloro che Lo temono che si stende la misericordia del Signore11.

4. Il Tetragramma Sacro appare per la prima volta nel secondo capitolo di

Genesi12. Ancora non è stata creata la vegetazione, né ha piovuto sulla terra,

né è stato plasmato l’uomo. Una volta che il Tetragramma appare, viene

plasmato l’Adam (l’uomo) e, dalla Adamah (terra), viene fatto spuntare “ogni

albero piacevole per la vista e buono come cibo e l’albero della vita nel

mezzo del giardino e l’albero della conoscenza di bene e male”.

5. L’Arcangelo del Vangelo di Luca dice a Myriam: “Χαιρε κεχαριτωµένη”

(pron. Chaire ke-chari-tomene), ovvero: “Gioisci, piena di gioia” o anche

“Rallegrati, piena di grazia”13. Ecco un modo per esprimere il sovrabbondare

della grazia, il suo varcare ogni limite: come si potrebbe altrimenti gioire

ancor di più se si è già pieni di gioia”?

suppone siano stati i primi due procreati dall’unione di un uomo e una donna - la terra era già popolata. Non si spiegherebbe infatti altrimenti come e dove Caino stesso abbia trovato moglie dopo l’uccisione del fratello, ovvero non appena “uscì dalla presenza del Signore [Tetragramma nel testo originale] e visse nella terra di Nod, ad oriente di Eden.” (Genesi 4, 16). 11 Luca 1, 50. 12 Esattamente in Genesi 2, 4. 13 Luca 1, 28. Kaire è stato tradotto da San Girolamo come un saluto in latino, cioè “Ave”, perché la forma kaire, gioisci, nel greco antico rappresentava anche un modo di salutare, ma non si può non notare l’importanza del gioco di parole costruito sui due termini Chaire e Chari (Gioisci e Gioia).

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6. “Amen, infatti dico a voi che molti profeti e giusti bramarono vedere le

cose che vedete, e non videro, e ascoltare le cose che ascoltate, e non

ascoltarono”14.

Pare che, almeno secondo il Vangelo, la salvezza non sia stata data

all’uomo sin dall’inizio, bensì che essa - in un preciso momento - si sia

manifestata e da lì ancora ora si vada manifestando.

7. “Lo Spirito è il vivificante, la carne non giova a nulla”15.

Ma perché esiste dunque, la carne, se non giova a nulla?

La carne è forse l’opaca versione di ciò che un tempo era corpo spirituale?

È interessante notare a questo proposito che la parola ebraica che indica la

carne è ‘Or mentre quella che indica la luce è ’Or16….

8. Chi porta la vita eterna agli uomini, sia pure solo a coloro che credono

ad essa, non sta forse trasgredendo l’interdizione imposta da Elohim il quale,

dopo la trasgressione dell’albero della conoscenza, caccia l’uomo e la donna

dall’Eden affinché non si cibino anche dall’albero della vita?

Sotto questo riguardo, dietro ogni singola parola di Gesù riportata dai

Vangeli, è sottointeso che l’uomo in quanto figlio di questo mondo non può

avere accesso alla vita eterna, ma solo in quanto figlio della luce:

l’interdizione di Elohim rimane dunque immutata e rispettata nelle sue

parole.

Non a caso è proprio la setta dei Sadducei, “che dicono non esserci

resurrezione”, a porre la questione dell’impossibilità per l’uomo di accedere

alla vita eterna per mezzo dell’esempio della donna sposa di sette fratelli.

Gesù risponde loro: “Siete in errore non conoscendo le Scritture né la potenza

14 Matteo 13, 17. 15 Giovanni 6, 63. 16 La prima è formata dalle lettere Alef, Vav e Resh mentre la seconda da Ayin, Vav e Resh.

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di Dio. Nella resurrezione infatti non si prende moglie né si prende marito,

ma come angeli nel cielo sono. Riguardo poi la resurrezione dei morti, non

avete letto la cosa detta a voi da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di

Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è Dio dei morti, ma dei viventi”17.

9. Le dottrine indiane raccomandano di dimenticare se stessi in favore del

Sé, in favore dei diversi Atman18 che, per gradi, conducono al Brahman,

come anche i Vangeli raccomandano di dimenticare se stessi in favore del

Figlio dell’Uomo che conduce al Padre e, ancora prima dei Vangeli, la

Thorah ricorda di “amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte

le forze”19.

Perché dunque “la salvezza viene dai giudei”20? Cosa li rende tanto

speciali?

Non può che esserci una risposta, nonostante tutte le contraddizioni che una

tale affermazione possa suscitare: tale risposta deve riguardare il Nome di

Dio. Gli antichi infatti davano grande importanza all’invocazione, alla parola

vibrante nel silenzio dell’universo. Per chi lo conosce, deve esserci dunque

nel proferimento di tale Nome, e in Esso Stesso, la latente possibilità di

superare ogni realtà fino a raggiungere quella suprema21.

17 L’intero passo si trova in Matteo 22, 23-32, mentre il passo della Torah citato da Gesù, in corsivo, è in Esodo 3, 6. Il termine per resurrezione nell’originale greco è ἀνάστασις (anastasis), sostantivo del verbo ἀνίστηµι (anistemi) il quale in senso intransitivo significa alzarsi, sollevarsi e, per associazione, anche risvegliarsi. 18 I Veda riconoscono una molteplicità di Atman, da quello individuale a quello universale, per quanto in sostanza l’Atman sia sempre lo stesso. 19 Deuteronomio 6, 5. 20 Giovanni 4, 22. 21 Con queste parole non si intende certo affermare che gli insegnamenti spirituali provenienti da altre culture non abbiano valore alcuno, anzi, ciò che invece andrebbe compreso - e questo frammento a tal fine propone una sintetica ipotesi – è per quale ragione gli ebrei si attribuiscano una qualche esclusività rispetto a tutti gli altri popoli e a cosa esattamente faccia capo il loro status di popolo eletto.

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10. Il Rabbi evangelico dà un’evidenza fisica, per molti persino

scandalosa, delle cose che riguardano lo Spirito. Se così non fosse, non

sarebbe che un comune mago – nel senso pratico della parola – se non

persino un negromante.

Non si potrebbero spiegare altrimenti le parole mandate a dire a Giovanni

l’Immergitore: “I ciechi recuperano la vista e gli zoppi camminano, i lebbrosi

sono purificati e i sordi odono e i morti risorgono, ai poveri è dato il buon

messaggio, e beato è chiunque non sia scandalizzato di me”22.

11. Nei Vangeli i miracoli non hanno una funzione poi tanto dissimile da

quella delle parabole: tramite le apparenze di un evento straordinario, essi

intendono dare un insegnamento sulla vita segreta dell’anima e su come ad

essa sia dato di rivolgersi all’Infinito per riceverne purificazione e

guarigione.

12. Il Vangelo, a meno che non se ne accetti la versione buonista propria di

molte propagande, è clamorosamente non ortodosso rispetto ai dogmi

religiosi che gli sono stati appiccicati sopra.

Non pare se ne siano accorti in tanti.

13. Per secoli si è affannosamente cercato di fissare i dogmi

sull’uguaglianza tra il Figlio di Dio e Dio Padre, eppure è Gesù stesso a dire

che “Nessuno è buono, se non uno solo: Dio”23. Si potrebbe dunque con

coerenza affermare che proprio la voce del Rabbi evangelico contraddice

ogni dogma che proponga l’identità assoluta Gesù – Dio che il cristianesimo

ha inteso instaurare. In tal senso è curioso notare come, con il fine di

22 Matteo 11, 5-6. 23 Con queste parole Gesù ammonisce un uomo che lo aveva chiamato “Maestro buono” (Marco 10, 17 – 18 e Luca 18, 19).

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venerarlo, le parole del Figlio vivente siano state contraddette in maniera

tanto eclatante.

In realtà, qualsiasi dogma sarà sempre troppo rigido e riduttivo perché

possa essere piena espressione dello Jeshua del Vangelo, una figura che si

pone sia come il Maestro che ricorda a chi lo invoca come solo a Dio sia dato

di essere Buono, ma anche come luce, egli stesso, venuta nel mondo per

volontà del Padre.

14. “Ed ecco una donna, che da dodici anni soffriva di emorragie, si

avvicinò e da tergo gli toccò il lembo del mantello”24. Questa è la traduzione

canonica del passo di Matteo, ma l’originale greco non dice “lembo”, ma

“frangia” o, più propriamente, “stringa”, “cordoncino”25, difatti agli ebrei la

Legge prescrive di legare delle stringhe ai loro mantelli in accordo col passo

di Numeri che dice: “Il Signore aggiunse a Mosè: Parla agli israeliti e ordina

loro che si facciano, di generazione in generazione, fiocchi agli angoli delle

loro vesti e che mettano al fiocco di ogni angolo un cordone di porpora

viola. Avrete tali fiocchi e, quando li guarderete, vi ricorderete di tutti i

comandi del Signore per metterli in pratica; non andrete vagando dietro il

vostro cuore e i vostri occhi, seguendo i quali vi prostituite”26. Sono le stesse

stringhe, o cordoncini, a cui Gesù si riferisce quando accusa gli scribi e i

farisei di allungarli per dimostrare alla gente la loro affettata e superficiale

osservanza della Legge27.

Toccare il cordoncino del mantello di Gesù sembra avere dunque il senso

di entrare in contatto con la sua giustizia e con la sua santità.

Anche per causa della mancata resa di queste piccole sfumature, le

traduzioni date in pasto alla gente sembrano spesso occultare il rapporto tra i

24 Matteo, 9, 20. 25 Il termine presente nel passo è κραςπέδου (kraspédu). 26 Numeri 15, 37 – 39. Qui nell’originale ebraico, per cordone, troviamo sisit - sisioth al plurale - per il quale i traduttori della versione greca scelsero proprio la parola kraspédu. 27 Matteo 23, 5. Anche qui, al plurale, κράςπέδα (kraspeda).

10

Vangeli e le Scritture Ebraiche con la loro Legge, un rapporto a tratti

armonioso e a tratti problematico fino all’incomprensibilità.

15. Muoiono tutti, per tutti lo stesso disfacimento.

Com’è mai possibile che il Rabbi Jeshua, l’ebreo, sia riuscito a vincere la

morte? Forse accettandola nel mondo per ritrovare la propria vita

nell’Infinito28?

Ecco l’enigma, che sembra essere lo stesso del Logos che sempre si

rinnova ma mai muore del tutto… come un serpente che abbandona la

vecchia pelle per rivivere nella nuova. Ma se questo serpente si fa fissare su

una croce, cosa vorrà mai dire? Non sarà stato un modo per rendere visibile e

manifesto quale senso possa avere il sacrificio di sé in direzione della

liberazione nell’Infinito?

16. In Genesi 3, 14 leggiamo: Allora il Signore Dio disse al serpente:

Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di

tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per

tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua

stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il

calcagno”.

In Numeri 21, 8: “Il Signore disse a Mosè: Fatti un serpente e mettilo sopra

un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita.

Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta; quando un

serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame,

restava in vita”.

28 Ovviamente Gesù non è l’unico personaggio a cui sia stata attribuita l’immortalità, ma ciò che qui si tenta di fare è proporre una breve ipotesi sui significati del suo prevalere sulla morte.

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In Giovanni 3, 13: “Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio

dell'uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel

deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque

crede in lui abbia la vita eterna”.

Se si riuscisse a comprendere il filo che lega questi tre passi, probabilmente

si sarebbe già in grado di comprendere qualcosa in più del rapporto che lega

la Torah ai Vangeli.

17. Pare che molti elementi della numerologia ebraica, la Ghematria,

portino a pensare che Cristo e anti-Cristo coincidano.

Nei Vangeli invece il primo sembra servirsi del secondo e, insieme,

intingono il pane29, che è Cristo.

18. Per la mistica ebraica di ogni tempo sembra che la creazione sia frutto

della Scrittura divina, e che pertanto essa abbia visto la luce proprio grazie

all’utilizzo delle lettere ebraiche da parte del Signore.

Vi sono tracce di questo sapere nei Vangeli? Ben poche30.

Trattandosi di una raccolta non esaustiva di tutti i detti di Gesù, è probabile

anzi che a determinati aspetti del suo insegnamento – quale quello relativo

alla meditazione sulle lettere - sia stato dato meno spazio, preferendo

trasmetterne invece gli aspetti più comprensibili e direttamente relativi alla

salvezza delle anime.

Inoltre c’è da tenere in considerazione una cosa di cruciale importanza:

dopo la sua diffusione, il Vangelo prese quasi esclusivamente la via

dell’occidente dove pare che le questioni di carattere metafisico venissero

29 In Marco 14, 20 è detto: “Uno dei dodici, colui che intinge con me nel piatto”, mentre in Giovanni 13, 26: “È quello a cui intingerò e darò il boccone”. Ovviamente qui ci si riferisce a Giuda come personificazione dell’anti-Cristo. 30 Si Veda Matteo 5, 18 e ciò che vi è detto a proposito della Lettera Iod la quale, non si dimentichi, è la prima lettera del Tetragramma Sacro.

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intese più per via concettuale che non uditiva o permutativa, che è quella più

affine alla meditazione sulle lettere.

In quest’ultimo processo è possibile vedere quella che sarebbe stata la

funzione dell’occidente: un allontanamento dalle capacità propriamente

divine dell’uomo, in favore di una sorta di contraffazione di queste ultime,

associata ad una sublimazione molto intensa della componente spirituale

destinata a trasmettere alle generazioni future quella coscienza del sacro

altrimenti destinata, con buona probabilità, a perdersi.

19. Cosa significa “siede alla destra del Padre”? Non significa forse che è

egli stesso la giustizia del Padre?

E per questi millenni di stragi e bestemmie di ogni sorta, seguiti alla sua

discesa, quando sarà fatta giustizia?

Le domande sul mondo difficilmente trovano risposta nei Vangeli: Gesù

stesso “non prega per il mondo”.

20. Il rito legato al pane e al vino che sta alla base dell’Eucaristia trova

rimandi nella tradizione ebraica, ma pare non corrisponda esattamente a nulla

di ebraico, mentre trova un preciso rimando nelle azioni sacramentali

compiute da Melchisedek31, un non ebreo di cui San Paolo dice che è “senza

padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di

vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno”32.

21. Il detto di Gesù rivolto a Pietro nell’originale greco non è “ti farò

pescatore di uomini”, bensì “prenderai gli uomini vivi” 33. Come spesso

accade, tutta la ricchezza di questo detto - che sembra alludere anche al

31 Genesi 14, 17. 32 Ebrei, 7, 3. 33 Luca 5, 10.

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battesimo - nelle traduzioni canoniche viene a perdersi del tutto: il senso

originale allude infatti ad una concezione qualitativa degli uomini, mentre il

senso della traduzione canonica allude a tutto l’opposto, ovvero ad una

concezione quantitativa della diffusione della parola evangelica e ad un’idea

egualitaria degli uomini.

22. René Guénon considerò sempre il cattolicesimo una versione religiosa

del cristianesimo delle origini mentre quest’ultimo un’organizzazione

iniziatica sorta in seno all’Ebraismo. Era inoltre convinto che il cattolicesimo

non necessitasse di alcun cambiamento nelle forme, ma solo di restituire alla

propria dottrina il suo “senso profondo”34.

Alla luce di queste premesse, non si capisce però bene perché si trovò a

parlare in termini tutt’altro che elogiativi dei sacramenti cattolici, soprattutto

del battesimo dei neonati il quale, a suo dire, non sarebbe altro che un rito

volto a garantire, nel migliore dei casi, la salvezza al “maggior numero

possibile di individui”35.

Cosa intendeva dunque esattamente Guénon quando parlava di religione?

Una sorta di versione cerimoniale di qualcosa che in origine aveva una sua

precisa validità e determinati scopi? Inoltre, proprio in questo maggior

numero possibile che il battesimo dei neonati intenderebbe salvare, Guénon

non avrebbe invece dovuto vedere uno di quei segni dei tempi relativi al

“Regno della quantità” contro il quale ha voluto mettere in guardia coloro

capaci di comprenderne i pericoli?

Ad ogni modo, è proprio una concezione dei sacramenti basata sulla

completa passività di coloro che li ricevono a far sì che la Chiesa si regga su

basi clericali e non riceva, da secoli, che uno scarsissimo apporto da parte di

34 Si legga in particolare a questo riguardo il capitolo conclusivo di una delle opere più note di Guénon, La crisi del mondo moderno. 35 A questo proposito si veda invece L’esoterismo cristiano, in particolare il capitolo Cristianesimo e iniziazione.

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coloro che, anche solo da credenti, ne partecipano o ne vorrebbero

partecipare. Una tale concezione dei sacramenti rende poi il battezzato, visto

che si tratta quasi sempre di neonati, niente più che un individuo indistinto

che viene integrato dalla Chiesa solo in linea di principio e, com’è evidente,

a prescindere da ogni sua volontà o personale carisma.

A questo riguardo si potrà però anche osservare, e a ragione, che una

religione che prenda in considerazione le doti e le intenzioni di coloro che ne

prendono parte, tornerebbe ad essere non più qualcosa di pubblico, o

exoterico, ma nuovamente qualcosa di esoterico.

Pertanto, di fronte ad una tale realtà, con la religione che sopravvive con

caratteristiche e principi ben diversi rispetto a quelli che hanno ispirato le sue

stesse Scritture, in cosa dovrebbe mai consistere una via di realizzazione

interiore per un uomo che vive di questi tempi? Non è forse contenuto nella

rivelazione del Vangelo il preannuncio che le potenze dei cieli - di cui gli

iniziati dovrebbero essere i rappresentanti in terra - verranno sconvolte36? E

questa confusione tra pubblico ed esoterico, questo tramutarsi dell’esclusività

iniziatica (interiore) in un’esclusività religiosa (esteriore) non è già un

sintomo di un tale disordine o scuotimento37?

23. Per secoli l’ebraismo ha atteso il suo Re Messia capace di riportare in

terra la presenza divina in tutta la sua pienezza, finché un giorno il Maestro 36 Matteo 24, 29. Ma il passo è traducibile anche come “le potenze dei cieli si scuoteranno”. 37 Lo scopo di questo frammento non è quello di screditare Guénon, cosa che non mi reputo all’altezza di fare e che, anche quando, non saprei dire quale risvolto costruttivo potrebbe mai avere. Anzi i suoi sono scritti che vanno letti ed approfonditi quanto più possibile, per la ricchezza di informazioni sulla Scienza Sacra e per una formulazione teorica degli insegnamenti tradizionali probabilmente senza eguali per il nostro tempo. Ciò nonostante, e per questo mi è sembrato doveroso indicarla, quella a cui qui si accenna è un’incongruenza ben evidente nella sua opera e relativa ad uno dei punti cardine del suo insegnamento. Inoltre quando si parla delle “potenze dei cieli” che, parimenti agli iniziati, vengono sconvolte, non mi riferisco direttamente al solo Guénon ma, per quel poco che personalmente ne posso sapere e relativamente alle parole dei Vangeli, a tutte le organizzazioni religiose o segrete che hanno dato vita, per dirla alla Guénon, al disordine spirituale della presente epoca.

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del Vangelo, un ebreo capace di compiere significativi miracoli, per scherno

viene vestito da re da alcuni soldati romani prima di venir portato sul luogo

della sua condanna a morte.

Quale enigma si cela in tutto ciò?

Il regno messianico degli ebrei riguarda le sorti della terra, quello del

Maestro del Vangelo la rifiuta invece, in quanto ha dimenticato la sua origine

celeste.

Il Maestro del Vangelo poi è venuto per promettere un ritorno mentre a

questo doppio avvento non sembra che molti Ebrei vogliano dare alcun

credito: ecco in cosa consiste probabilmente l’aspetto extraebraico del

Vangelo.

24. “Amen, amen dico a voi: se il chicco di grano caduto nella terra non

muore, esso solo rimane; ma se muore, porta molto frutto”38.

Ecco il mistero dei frutti che prendono vita dal seme morto: non è forse lo

stesso di chi rinasce ad una vita superiore senza per questo insultare la

purezza del cielo?

25. “Oh, Re della gloria, e Signore di tutti i re, il vostro regno non è difeso

da fragili barriere, perché è eterno, e per voi non c’è bisogno d’intermediari!

Basta guardarvi per vedere, dalla maestà che mostrate, che solo voi meritate

il nome di Signore; non avete bisogno di scorta né di guardie perché vi

riconoscano Re”39.

Leggendo oggi i diari che Teresa d’Avila scriveva ai suoi confessori, non

sorprende affatto che essi siano finiti spesso in mano agli inquisitori spagnoli

del suo tempo. Chissà come reagivano costoro, in piena controriforma, di

38 Giovanni 12, 24. 39 Santa Teresa d’Avila, Libro della mia vita XXXVII, 6, Ed. Mondadori, Milano, 1986, p. 321.

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fronte ad una donna che, non solo non riconosceva alcun intermediario

indispensabile al Signore, ma s’impegnava anche nella fondazione di

monasteri privi di rendita, che vivevano quindi della sola carità del cielo e

della gente.

Quanto a lei, non sembrava preoccuparsene troppo: “(…) alcune persone,

allora, vennero spaventate da me per dirmi che correvano tempi duri e che

poteva darsi che fossi imputata di qualche colpa e denunziata

all’Inquisizione. Ciò mi parve divertente e mi fece ridere, perché a questo

riguardo non ho mai avuto paura, ben sapendo che, in fatto di fede, sarei stata

pronta ad affrontare mille morti piuttosto di fare credere che trasgredissi una

minima cerimonia della Chiesa o andassi contro una verità della Sacra

Scrittura. Risposi, quindi, che di ciò non temessero, perché sarebbe stato

molto pericoloso per la mia anima, se in essa vi fosse stato alcunché da

fornire motivo di temere l’Inquisizione; che se avessi pensato che ci fosse di

che temerla, io stessa mi sarei accusata, e se era già in atto un’imputazione, il

Signore mi avrebbe fatto assolvere e ne avrei avuto un guadagno”40.

Quella dell’ortodossia è stata una delle questioni intellettuali più

controverse di tutti i tempi, in quanto la sua salvaguardia si confondeva

spesso con il volto che la Chiesa voleva dare di sé al mondo con nessun altro

fine, pare, che non fosse quello di dominarlo. In ogni caso, per quanto i

teologi potessero teorizzare il teorizzabile e la Chiesa istituzionale divenire

sempre più un’organizzazione prettamente umana e politica, niente poteva

cristallizzare e mettere in una morta teca lo Spirito che invece “soffia dove

vuole” ed infondeva a Suor Teresa il raro coraggio espresso in queste sue

parole.

L’unica cosa che riesce poco chiara è come mai lei non si stupisse di come

dei sedicenti cristiani potessero condannare a bruciare vivi degli altri uomini:

40 Ibidem, XXXIII, 5, p. 279.

17

Gesù stesso d’altronde non fu crocifisso anche perché considerato come una

sorta di eretico da parte delle autorità ebraiche?

26. Nel sentire comune la Chiesa cattolica viene spesso considerata

un’istituzione che, in un passato non troppo lontano, perseguitava e uccideva

coloro che non credevano, ma sui libri di storia si legge che, ben più

frequentemente, perseguitava e faceva uccidere coloro che non credevano nel

modo da essa prescritto.

Bisogna chiedersi: questi eretici fecero bene a venire allo scoperto oppure

avrebbero fatto meglio a rimanere nell’ombra, coltivando solo per se stessi le

loro concezioni e teorie?

E cosa potremmo mai rispondere noi, oggi, che su argomenti quali la

spiritualità, la metafisica e i destini ultimi dell’uomo non abbiamo più un

alcun dibattito e confronto vivo, ma solo degli stereotipi?

Tali questioni infatti sono state abbandonate a significati sedimentati e

storicizzati, per giunta spesso intesi male e approssimativamente.

27. Cosa pensare del fatto che l’ultima parte del Vangelo di Marco, e in

particolare il passo in cui Gesù affida la missione dell’evangelizzazione agli

Apostoli, non sia contenuta nei codici più seri e completi41?

28. Esternamente si procede verso la fine, internamente si può cercare di

procedere verso il Principio.

È forse in questo che può concretizzarsi la resurrezione?

41 Quella che secondo molti sarebbe un’interpolazione è stata per giunta malamente tradotta. Nel passo in cui Gesù dice “predicate il vangelo a tutte le creature” (Marco XVI, 15), come si legge nelle versioni canoniche (compresa quella latina: “predicáte evangelium omni creatúre”), il termine Creature è una traduzione erronea di Κτίσει (Ktisei) che significa Creato. L’originale greco dice: “κηρύξατε τό ευαγγέλιον πάση τη κτίσει” (kerugate euaggelion pase te ktisei), letteralmente: “annunciate il buon messaggio all’intero creato”.

18

29. Uno degli aspetti più controversi del Vangelo è legato al miracolo che

porta il Sinedrio alla decisione della condanna a morte di Gesù: la

resurrezione di Lazzaro.

Da un punto di vista estremamente pratico si potrebbe dire che Gesù abbia

sovvertito l’ordine provvidenziale secondo cui i morti devono rimanere morti

mentre i vivi, quelli della terra, devono rimanere tali fino alla fine dei loro

giorni; eppure non è questo il problema che il Sinedrio, nella persona del

sommo sacerdote Caifa42, si pone, bensì quello del pericolo corso dalla

Nazione di Israele.

Difatti, se il popolo dovesse acclamare Gesù re, i romani deciderebbero di

distruggere Israele, in quanto nessuno poteva riconoscere un’autorità

pontificale superiore a quella imperiale.

Inoltre, come spesso accade nei Vangeli, le azioni di Gesù più che

trasgredire la Legge si pongono al di là di essa: i miracoli difatti sono tali

anche perché spesso la Legge non è sufficiente a regolamentarli… infatti,

almeno da un punto di vista letterale, pare non esista nessun punto della

Torah che proibisca di resuscitare i morti, mentre ce n’è uno che proibisce di

interrogarne lo spirito quindi di evocarli43.

Si pone infine un ultimo, e anch’esso delicato, problema.

Gesù resuscita Lazzaro non solo per una questione affettiva, ma per dare un

segno tangibile della sua discendenza divina e una prefigurazione della

resurrezione nel Regno dei Cieli che riguarda i prediletti.

Si può dunque dire che, proprio nel momento in cui si rivela come colui

che risveglia i morti in terra, attira su di sé anche la ritorsione delle autorità

ebraiche le quali, in cambio di risparmiare Gesù, preferiscono la

sopravvivenza di Israele fino a quando i figli di Dio non verranno riuniti44.

42 L’intero episodio è narrato nel capitolo 11 del Vangelo di Giovanni. 43 Deuteronomio 18, 9 – 12. 44 Giovanni 11, 52.

19

30. È nel dolore, ad ogni livello, che l’uomo fa esperienza del proprio

essere limitato ed è quindi anche tramite esso che egli si libera dalle forme

per avviarsi verso l’illimitato: col dolore, non solo fisico, può purificarsi e

liberarsi.

E una volta che si sarà liberato, cos’altro avrà ottenuto se non una

condizione di favore per sé? Da questo punto di vista quello di chi cerca

l’illimitato non sarebbe altro che il cammino dell’egoista, il cammino verso

una Vita sconfinata non sarebbe altro che un affrancarsi dalla dimensione

terrena per godere di una dimensione priva di affanni, disgrazie e tremori.

Ecco per quale ragione l’esperienza terrena non può riassumere il cammino

e la realizzazione spirituale: tra le due cose vi sarà sempre un’asimmetria di

fondo: il cammino spirituale è infatti anche e soprattutto un cammino di

liberazione anche dalla propria individualità sofferente in favore di una presa

di coscienza della transitorietà di ogni cosa.

In ogni caso, la possibilità che un uomo, per una particolare inclinazione al

sacrificio di sé, desideri votare la propria presenza nel mondo alla liberazione

interiore degli altri presuppone una misericordia che non ha pari.

20

II. L’esistenza del mondo e l’enigma dell’Infinito.

1. “Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta

come il fuoco, quando vi si mescolano aromi, prende nome secondo il gusto

di ciascuno”45.

Ma il dio è anche esteriorità interiorità?

Non è forse vero che l’esteriorità è esubero, immondizia, scarto da

bruciare? La parte illusoria e allucinatoria della vita: non è stato sempre detto

che è da essa, dalla sua assurdità, che un uomo deve liberarsi per avvicinarsi

al dio?

Mentre procediamo verso l’interiorità, ci accorgiamo che una coincidenza

tra interiorità ed esteriorità difficilmente può essere concepita, perché solo

l’esteriorità può avere qualcosa di inessenziale, mentre l’interiorità può essere

tale proprio a condizione che si faccia via via più essenziale.

Non a caso è lo stesso Eraclito ad affermare che: “coloro che cercano oro

scavano molta terra e ne trovano poco”46.

Pur dopo aver trovato una coincidenza tra esteriore ed interiore,

coincidenza che non può concretizzarsi che in noi stessi, saremo costretti a

rimandare nuovamente a qualcosa che ci superi… dato che è proprio la

45 Eraclito, Sulla Natura, nella traduzione di A. Tonelli, in Dell’Origine Feltrinelli, Milano 2007, frammento 16, p. 59 (Nell’edizione Diels-Kranz - frammento 67 – la frase conclusiva suona diversamente: “(…) e prende nome dall’aroma di ognuno di essi”). 46 Eraclito, Sulla Natura, frammento 22 dell’edizione Diels-Kranz.

21

coscienza di noi stessi, e l’esistenza che essa presuppone, che in definitiva ci

proibisce di essere al di là dell’esteriore e dell’interiore.

L’universale coincidenza a cui tutti gli opposti sono destinati fa cilecca

dunque proprio nel momento in cui c’è da mettere a confronto finito e

Infinito, e quindi di fronte all’incommensurabilità dell’uno rispetto all’altro?

Ciò non vorrebbe forse dire che alla base del cosiddetto essere c’è

un’asimmetria, cioè quella insita nel fatto che ogni cosa che voglia essere

debba necessariamente essere limitata rispetto all’illimitato?

2. “Come potrebbe uno nascondersi a ciò che non tramonta mai?”47.

Tutto ciò che esiste diverge in qualche modo “da ciò che non tramonta

mai”: ecco qual è la prima condizione per cui esso possa esistere.

In seno all’eterno dunque non tutto è eterno?

Questo alla mente non è dato spiegarlo, per quanto essa si affanni.

In cuor proprio si può solo accettare che l’essere è un composto di tanti

elementi e man mano che procede verso l’increato non può che liberarsi dalle

ombre, se le ha combattute.

3. La dualità è il tranello della mente. La dualità si impossessa di ogni cosa

che la mente voglia vedere e capire e in questo modo si impone come matrice

della menzogna.

Sulla giustezza della gerarchia non ci possono essere invece dubbi: non c’è

che un respiro in noi che ci dà vita e, ad esso, è concesso di respirare insieme

al respiro primordiale, se solo si libera da tutte le sue impurità e se solo

ammette che non può esserci comparazione alcuna tra il Principio Supremo

ed ogni altro essere48.

47Ibidem, frammento 16. 48 In questo modo possono essere interpretate le parole di Eraclito che dice: “Legge è anche ubbidire alla volontà di uno solo” (frammento 33 nell’edizione Diels-Kranz).

22

4. Tra esteriorità ed interiorità non pare esserci continuità, ma l’uomo.

5. L’uomo è qualcosa di finito ed è in diritto di negare, nella sua finitezza,

l’Infinito, ovvero ha ragione di dire: “Se io sono finito, e ho consapevolezza

di esserlo, l’infinito non è assoluto: altrimenti io non potrei avere

consapevolezza di essere finito. L’infinito con il suo essere assoluto mi

negherebbe una tale consapevolezza e, con essa, anche la possibilità di

negarlo”.

Difatti gliela nega, nel giorno stesso in cui l’uomo si dissolve.

6. Il rapporto tra finito e Infinito posto come dualità è irrisolvibile: solo in

quanto rapporto asimmetrico può essere affrontato ottenendo qualche

risposta. Come dire: “La sua Misericordia si stende su quelli che lo temono”.

7. Si è fatta da tempo strada la convinzione che l’idea di un Dio Infinito

non sia presente nell’Ebraismo e che essa non sia che un lascito della

filosofia greca, ma vi sono parole nelle Scritture Ebraiche che non sembrano

dare ragione a questa conclusione, tra queste quelle di Re Salomone

pronunciate nel Tempio di Gerusalemme: “Ma è proprio vero che Dio abita

sulla terra? Ecco i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa

casa che io ho costruita!”49.

8. Il punto viene solitamente definito come l’entità geometrica che non ha

estensione, mentre a sua volta il segmento è definito come un insieme di

punti consecutivi; ma com’è mai possibile che un insieme di elementi senza

estensione possa formare un’estensione?

49 I Re 8, 27.

23

Ecco come già nella realtà percepita dai sensi si annidino paradossi

rivelatori: se ciò che non ha estensione è indispensabile per dare corpo a ciò

che ne ha una, significa che - a tutti i livelli - nulla può esistere senza che vi

sia un principio indipendente.

9. I luoghi dei sogni possono essere trasversali rispetto allo spazio e al

tempo, eppure pare che dobbiamo superare anche quei luoghi se vogliamo

accedere a quel luogo al di là di ogni luogo nel quale l’elemento umano

smette di essere predominante.

10. Chi accetta una prospettiva sovraumana e metafisica non lo fa per una

qualche nostalgia delle concezioni del passato o per una ragione di

convenienza, ma semplicemente perché non può fare a meno di notare che,

da qualsiasi punto lo si voglia concepire, l’uomo, come ogni altra cosa

esistente, è limitato e circoscritto, e tutto ciò che è limitato e circoscritto non

può avere alle sue spalle che qualcosa di illimitato e non circoscritto.

Che questo qualcosa di illimitato e non circoscritto lo si voglia poi

chiamare nulla è cosa del tutto arbitraria: come potrà mai parlare di nulla

colui che di per sé è già qualcuno o qualcosa, sia pure un’illusione? Non è

forse egli stesso la negazione vivente del nulla assoluto? E, in fin dei conti,

che senso potrebbe mai avere parlare di un nulla che non sia un nulla

assoluto?

Inoltre, come si potrà concepire un nulla di carattere negativo senza

prendere in considerazione l’ipotesi che, in quanto nulla, esso non possa

neanche avere una fine?

Non è difficile dunque accorgersi come non si tratti che di parole le quali

non trovano più un loro senso e di come non servano che a travestire dei

concetti che si sostengono su molteplici confusioni di fondo.

Da cosa scaturisce una tale confusione?

24

Forse dal fatto che la mente con i suoi limiti è impreparata a concepire

l’Infinità e pertanto è irresistibilmente tentata di chiamare nulla tanto se

stessa quanto l’unica realtà che reputa esistente, ovvero quella determinata.

11. Com’è risaputo, la Divina Commedia è cronaca di un viaggio nell’aldilà

compiuto da un essere eletto il quale, per una speciale concessione della

Provvidenza, ha potuto percorrere i tre mondi e recarsi scortato da tre

autorevoli figure (Virgilio, Beatrice e San Bernardo) verso ciò che si pone

oltre ogni mondo conoscibile, ovvero l’Empireo.

C’è un aspetto curioso però in questo viaggio: Dante lo compie in anima e

corpo mentre - a parte alcune eccezioni - tutti gli esseri che incontra nel corso

della sua ascesi sono solo delle anime.

In questo si rivela ancora una volta la necessità per la tradizione

occidentale di un rimando ad un’esperienza corporea per potere trasmettere

ciò che si pone al di là del sensibile; ma si rivela anche, nella purificazione e

nell’ascesi, la relativa possibilità di un incontro tra sensibile e sovrasensibile,

per quanto mai la possibilità di una loro esatta coincidenza.

12. “Le linee della vita sono varie/ son come strade e crinali di un monte/

ciò che qui siam può un dio là completare,/ con armonia, compenso eterno e

pace”50. Quanti uomini hanno potuto godere di uno stato interiore tanto

sublime, di una tale sublime stanchezza del mondo?

Spesso gli uomini concepiscono la pace e il compimento del loro essere

solo quando sono stanchi della vita e la stanchezza è il più grande dei doni

per loro. Il mondo si vendica però di quanti ricevono un tale dono nell’età

della forza, perché esso ad una stanchezza precoce e cronica dà nome di follia

o, peggio, di vigliaccheria. Ed è una vendetta ben mirata, dato che si scaglia

50 F. Hölderlin, Poesie della Torre, Feltrinelli, Milano 1993, p. 87.

25

contro una stanchezza che è sintomo dell’innata nausea per la quale molti,

tutto sommato, avrebbero preferito non nascere.

13. Se le nostre anime possono cadere in miseria e nello stesso tempo

rimanere capaci di coltivare aspirazioni di liberazione e di una vita segreta

che superi i loro limiti e le loro debolezze, chissà quali potenze intervengono

in esse, nonostante lo sterile razionalismo che spadroneggia sul nostro tempo.

14. La condizione umana, in quanto tale, è disperata.

Eppure è proprio per tale disperazione che essa può concepire una più alta

speranza, una speranza che ogni ragione è incapace di concepire.

15. Non fare tesoro del tempo trascorso ed affermare di non avere

imparato nulla di sostanziale: per cosa? Per sperare - oltre la sofferenza – che

si possa un giorno partecipare con il meglio di sé di una purezza innata che

ha preceduto non solo noi, ma anche ogni possibile mondo.

16. Quali benefici porta ad un uomo l’inclinazione alla trascendenza?

In realtà pare che quanto più sale tanto più si trova a sondare l’abisso del

male di vivere e dell’indecenza di certi aspetti dell’esistente, quindi tali

benefici non devono essere di un tipo comune…

17. Le ossessioni, gli idoli e le blasfeme apparizioni non possono

prevalere in colui che confida nella liberazione del proprio spirito

nell’Infinito.

18. Si può vivere anche senza interrogarsi sull’enigma dell’Infinito, è

vero. Eppure, se esso si è presentato ad alcuni uomini in maniera così

26

veemente, problematica e significativa, non si potrà certo pensare che si sia

trattato di un loro capriccio: un capriccio difficilmente dura millenni.

Pare proprio dunque che tale Infinito voglia essere tenuto in

considerazione da certe anime.

19. Quando ci si propone di superare il mondo delle forme per una via

spirituale, ci si rende via via conto di come le apparenze vadano assumendo

sembianze sempre più attraenti e invadenti. È allora della massima

importanza rendersi conto di come un tale superamento non può che avvenire

in maniera graduale e in base alle proprie doti e capacità, senza azzardare

salti nel vuoto.

20. Alla conoscenza umana si accede tramite il ragionamento e

all’accettazione di un limite, alla conoscenza divina non si può che accedere

parzialmente e accettando l’esistenza di un mistero, pertanto riconoscendo in

partenza la propria insufficienza.

21. Chissà cosa prova colui che si rende degno delle altezze celesti e poi,

guardando in basso, vede tutto il triste spettacolo della vita, con i suoi

contrasti, con le sue astuzie per i fini più vani, con la meccanicità dello

sfruttamento di molti uomini per il guadagno di pochi.

Costui è degno della perfezione - magari non perfetto lui stesso, ma

quanto meno degno di intuire e custodire in sé la perfezione celeste - ma al

contempo ha coscienza dell’esistenza di qualcosa – la realtà oggettiva umana

- che non sembra avere alcun rapporto con ciò che la sua anima ha saputo

rincorrere e realizzare.

Ora, un’anima di questo genere si chiederà mai da dove sia venuta questa

bizzarra realtà terrena, tanto lontana da ogni liberazione e da ogni infinito? E

questa domanda la metterà in crisi oppure sarà ormai così distaccata da ogni

27

illusione da non tenerne più conto? Non si chiederà ancora e sempre: “Se il

Principio di ogni cosa è buono e perfetto da dove è scaturita tutta questa

bassezza e tutta questa meccanica e degenerante realtà a cui gli uomini hanno

dato nome di vita?”.

Non potrà certo rispondere: “Il Principio è malvagio e all’uomo ha dato il

compito di recuperare alla sua malvagità”. È certo più probabile che

risponda: “Qualsiasi cosa accada, la purezza del Principio si pone al di là

della conoscenza umana e, proprio per questo, la rivela come insufficiente”.

Solo chi cerca trova dunque, o almeno così si spera.

22. La cultura accademica e filosofica occidentale ha liquidato troppo

frettolosamente il problema dell’Infinito, ha pensato si trattasse di una

superstizione del passato, quando non era che la sua stessa logica incapace di

concepirlo: la relazione tra finito e Infinito le ha posto un problema

irrisolvibile e quindi essa non è pervenuta ad altro che ad affermare che tutto

si limiti all’uomo e alle sue percezioni.

23. La malattia della riflessione attecchisce su coloro che non riescono a

concepire che mentalmente le cose, affidando alla mente un grave peso che

pagano spesso con gli smarrimenti e la follia.

Se solo si potesse concepire diversamente questa riflessione, ovvero come

una graduale liberazione dell’anima dagli affanni più transitori.

24. Bisogna intuire quanto transitorie siano le forme e inconsistente la vita

in terra? E se non lo si fa, con cosa si paga, qual è la punizione? E se lo si fa,

invece, cosa mai otterremo? L’intuito potrà mai spiegare il perché

dell’esistenza della follia umana, con la sua inguaribile tendenza alla

degenerazione, oppure è proprio questo ciò che non gli è dato sapere?

28

Infine, se anche si ammetterà che essa degeneri rispetto ad un’universale

perfezione originaria, questo cosa potrà mai assicurarcelo?

La paura di ammettere che l’esistenza umana sia del tutto infondata ci

spinge a trovare tale fondamento in un altrove sempre più alto: alcuni, per

quanto affannosamente, lo trovano proprio in tali altezze, altri si convincono

che il dubbio circa la loro origine sia del tutto irrisolvibile.

25. Già il semplice fatto che vi siano degli esseri corporei, destinati alla

sofferenza e alla morte, relegati sotto un cielo così vasto e ridente, ha in sé

qualcosa di stridente. Chi vive di riflessione e pazienti interrogativi dovrà

prima o poi pur chiedersi il perché di questo testardo perpetuarsi della vita

umana quando sembra che non ci sia più nulla da vivere, tanto si è già

vissuto.

Dopo le macerie che la specie terrestre si è lasciata alle spalle e nel delirio

tecnologico a cui ormai è in larga parte dedita, la realtà nella quale essa è

immersa si va facendo adesso sempre più irreale, sempre più mediatica,

mentre all’irrealtà di ciò che prima veniva definito divino o angelico non si

concede più spazio di quello che la realtà umana - nella vertiginosa

moltiplicazione di se stessa - è disposta a divorare.

26. La condizione di colui che benedice anche il creato - e in quanto tale lo

crede obbediente ad un’intelligenza superiore - è la più difficile da

raggiungere: costui difatti attribuisce ogni giustizia al Principio Spirituale e

ogni ingiustizia all’uomo, eliminando senza indugi ogni dubbio circa la

possibile fallibilità del Principio stesso.

27. Tra l’origine divina dell’anima e tutta la meschinità di cui essa è capace

risiede il dramma umano, difatti solo coloro che si accorgono della realtà di

un tale abisso rischiano di sprofondare.

29

28. La voce che vibra nel silenzio e non trova argini o un nuovo silenzio.

29. Ammesso che l’ipostesi secondo cui l’intelligenza umana sia l’unico

vero dio abbia qualche fondamento, perché ciò sia vero questa intelligenza

non deve concedere alcuno spazio all’Infinito Spirituale. Intelligenza umana

e Infinito Spirituale non si pongono difatti sullo stesso piano, in quanto la

prima ha bisogno di un’espressione e di oggetti tramite i quali esprimersi,

mentre il secondo – in Sé – può anche farne a meno.

30. Un Infinito che, sacrificando se stesso, dà spazio e vita a qualcosa di

finito che finisce per rinnegarlo, per alzare contro di lui il suo calcagno: tra

questi due estremi, quello di un Infinito e di un finito che lo rinnega, nasce

l’anima del sacerdote e del santo, i quali scelgono per se stessi l’Infinito

cercando di armonizzarvi il finito, ma reputando quest’ultimo transitorio e

irrilevante. Nel reputare poi il finito indegno della loro vocazione, rinnegano

anche la loro stessa logica, riconoscendo solo nella purezza del cuore lo

scopo ultimo della loro esistenza.

31. Se è quella tra finito ed Infinito la dualità che ci tiene schiavi, significa

che questa dualità risiede nel finito, perché l’Infinito non può ammettere una

dualità, in Sé.

Eppure si potrà sempre dire: “Visto che ammette un in Sé e un fuori di sé

ammetterà pur sempre una dualità” ovvero la dualità di un’irriducibile

interiorità e di una limitata esteriorità: infatti è proprio al centro di questa

fittizia e asimmetrica dualità che si pone l’uomo ed è lì che compie la sua

scelta, decidendo quale segno lasciare sulla propria esistenza.

30

32. L’impulso alla trascendenza si manifesta sempre come rinuncia alle

necessità, quanto meno alla loro tirannia, in un mondo dove invece più o

meno tutto ruota appunto attorno alla tirannia della necessità.

È in questo che l’uomo incline alla trascendenza si differenzia: perché, ad

un certo punto, nulla gli pare strettamente necessario, nemmeno le sue idee,

nemmeno se stesso.

Da dove arrivi questo impulso lo si può immaginare o, per i più fortunati,

anche sapere, ma come si debba agire in questo mondo in coerenza con un

tale impulso, questo è già più difficile capire.

33. L’esistenza degli offesi, degli sfigurati, degli invalidi, di chi piange la

miseria: questo mette in discussione la possibilità di un Dio perfetto. Solo chi

conosce la gioia divina e sa che non c’è recesso dell’anima che essa non

possa raggiungere, riesce a darsi una ragione per tutto ciò: solo per costui

ogni dolore e disgrazia hanno un senso; per tutti gli altri invece non è che

atrocità fine a se stessa.

34. La prospettiva di molti moderni si limita a constatare che un Dio

buono non abbia potuto permettere l’esistenza di un mondo cattivo. Eppure,

curiosamente, non esiste probabilmente un solo passo in tutto il Nuovo

Testamento in cui un tale paradosso venga affrontato frontalmente: ci si

limita a constatare a più riprese che il mondo sia malevolo e preda del

peccato, mentre l’amore divino vi figura come qualcosa di indipendente e che

va ricercato come si cerca la clemenza di un padrone.

Adesso che silenzio e distanza ci separano da quelle Scritture tanto

ostiche, non può certo sorprendere che spetti proprio a noi affrontare una tale

paradosso.

31

35. La terribile accusa che, in principio, vi sia stato un errore nel creare il

mondo: la carneficina e l’angoscia di millenni, inseparabile dagli slanci e

dalle estasi delle anime più fervide, che poteva essere relegata al mai

accaduto…

Eppure pare che tutto il possibile debba accadere e forse da qui, dal

formicaio nel quale viviamo le nostre vite, non ci accorgiamo di quali

splendori si sprigionino sulle nostre teste e di quali guerre si combattano

perché essi non vengano taciuti nel cuore dell’uomo.

36. Se ci identifichiamo con l’Infinito allora l’Infinito smette di essere

tale, se l’Infinito si identifica con noi, allora l’Infinito è più che Infinito.

Tale vertiginosa presa di coscienza ha nutrito un fiume inesauribile di

parole di trascendente devozione e dà anche avvio al cammino spirituale di

coloro che cercano la trasmutazione di se stessi.

37. Ancora lungo i limiti del nostro essere troveremo sempre qualcosa che

ci riporta a noi stessi e a ciò che crediamo di rappresentare e, in questo, la

prova del nostro lento consumarci e della nostra incapacità di superarci.

Non appena invece si dà la possibilità, anche solo accennata, che qualcosa

- una vastità di cui ogni altra vastità non è degna - ci possa infinitamente

superare, allora si ode una profonda nota interiore che scava ogni significato

definito e concluso e lo svela come insufficiente.

Proprio su questo confine tra ciò che siamo e ciò che invece ci supera

senza limite si incendia il cuore e, in quel fuoco, trova la sua gioia e il suo

fine.

32

III. Sui tempi ultimi, ammesso che siano tali.

1. ”Non pensiate che sia venuto a sciogliere la Legge o i Profeti: non sono

venuto a sciogliere, ma a compiere. In verità vi dico, finché trapassi il cielo e

la terra, una iota e un accento non passerà della Legge, finché tutto si

compia”, così si legge nei Vangeli 51.

“Il termine della Legge (è) Cristo per la giustificazione di tutti coloro che

credono”, così si legge invece in una lettera di San Paolo52.

Se intendiamo bene, con queste parole San Paolo sembra porre fine alla

necessità della Legge così per come anche Gesù la rispettava e, per certi

versi, difendeva.

Come si spiega un tale passaggio?

2. Frammenti di Infinito sono imprigionati in questo mondo.

È lecito chiedersi se qualcuno debba salvarli o, se invece, non saranno

proprio tali frammenti che salveranno noi e, con noi, se stessi?

51 Matteo 5, 17 – 18. 52 Lettera ai Romani, 10, 4. Termine nella frase di San Paolo è τέλος, col senso quindi di scopo o finalità, quindi non esattamente di conclusione, anche se sappiamo che funzione di San Paolo è stata proprio quella di evangelizzare coloro che non obbedivano alla Legge ebraica, cioè i gentili.

33

3. Nessuno sa quando finirà il mondo, “Quanto a quel giorno e a quell'ora”

infatti “nessuno lo sa, né gli angeli del cielo, né il Figlio, ma solo il Padre”53.

Potrà dunque anche manifestarsi l’uomo iniquo, essere dimenticata ogni sia

pur contraffatta spiritualità, vivere sotto il cielo - per secoli o millenni - un

uomo esclusivamente legato alle proprie necessità strettamente fisiologiche in

un mondo dominato dalle macchine.

Non si sa neanche infatti se “Il Figlio dell’Uomo, venendo di nuovo,

troverà la fede sulla terra”54.

Cosa che è ancor più difficile da concepire è la fine della realtà manifestata

a cui la consumazione del secolo di cui si parla nei Vangeli sembra alludere:

per quanto l’individuo possa farsene un’idea relativamente alla propria

condizione, essa è infatti di ben difficile comprensione sul piano universale.

Un’attesa messianica non sembra dunque sfidare prima di tutto proprio

quella conoscenza del tutto umana e razionale che nel mondo terrestre ha

trovato la sua roccaforte?

4. Pare proprio questo il tempo in cui il Trascendente si rivela in tutto il

suo profondo silenzio, un silenzio che nessuna parola basta a descrivere

perché molti lo chiamano assenza o addirittura morte. Quindi c’è dello

smarrimento per causa di questo silenzio, ma c’è anche certezza che un

silenzio tanto profondo non possa che essere invito a cercare se stessi e a

diffidare da chi in questo silenzio vede assenza, morte o libertà di dirne ciò

che gli torna più comodo.

5. Cosa impedisce che dopo questo mondo ve ne sia un altro, con altre

percezioni e altri paradisi? E dunque la fine, l’assoluta fine di ogni cosa,

53 Matteo 24, 36. Per quanto nelle parole del Vangelo “la consumazione del secolo” sembra sentita come cosa imminente. 54 Luca 18, 8.

34

come dovrebbe mai concretizzarsi, se dei mondi possono indefinitamente

sussistere?

Ecco quale importanza può essere attribuita all’individuo: con un individuo

infatti un mondo può essere creato e con esso può anche essere distrutto.

6. La “consumazione del secolo”, da cui secondo i Vangeli e l’Apocalisse

scaturirebbe l'era messianica, è immaginabile solo da un punto di vista

individuale, mentre da una prospettiva universale (e persino storica), ci si

potrà sempre chiedere: una volta che il secolo si sarà consumato, ammesso

che ciò sia possibile, cosa impedisce che poi esso torni nuovamente sul piano

dell'esistenza?

Sotto questo riguardo, la ragione e la logica sembrano essere i peggiori

mezzi per comprendere di cosa si parli quando si tratta dell'Avvento del

Messiah.

7. Matgioi, nella sua opera La Via Metafisica, ha accusato la tradizione

ebraica di avere abbassato il metafisico all’umano, di essere stata la

tradizione che, per un patologico orgoglio nazionalistico, ha ristretto ogni

conoscenza metafisica a qualcosa di volgarmente popolare, votandosi ad una

contraffazione dei misteri egizi e dei culti sacrificali orientali e creando una

divinità nazionale che ha oscurato ogni autentica conoscenza intellettuale.

Fin dove abbia ragione o torto, questo non so dire, quello che so è che il

concetto stesso di Metafisica, soprattutto in Occidente, sembra essere rimasto

vivo grazie proprio all’ebraismo.

8. Una volta che la possibilità di una dualità generante è stata data, come

potrà mai “consumarsi il secolo”? Se esso potrà pur sempre trovare in

qualche altrove le condizioni per riapparire, la sua totale consumazione non

sarebbe forse un miracolo?

35

Ma, d’altronde, perché mai l’Apocalisse non dovrebbe essere un

miracolo55?

In ogni caso, è più che probabile che concepire la fine dei tempi

semplicemente come l’esaurimento di ogni possibilità sia un errore di

prospettiva: sarebbe infatti una concezione della fine che finirebbe per non

trovare riscontri neanche nel Nuovo Testamento.

9. Ciò che rende unici gli ebrei è che la loro metafisica, pur non

riducendosi alla loro storia, la comprende.

10. “È difficile, è impossibile credere che il dio buono, il Padre, sia

implicato nello scandalo della creazione. Tutto fa pensare che non vi abbia

mai preso parte, che essa sia opera di un dio senza scrupoli, un dio tarato. La

bontà non crea, manca d’immaginazione, e per fabbricare un mondo sia pure

abborracciato, ce ne vuole. A rigore, è da un miscuglio di bontà e di cattiveria

che può sorgere un atto, o un’opera. Oppure un universo. Ad ogni mondo,

considerando il nostro, è ben più agevole risalire a un dio sospetto che a un

dio rispettabile”56.

Gli occidentali moderni hanno saputo immaginare solo divinità piccole.

11. Emil Cioran diceva che il non-sapere è il fondamento di tutto.

Questa, rispetto all’uomo e alla sua esistenza, può sembrare un’evidenza;

ma, quindi, all’uomo non è dato sapere se a fondamento di tutto non c’è in

definitiva che un sapere che non gli appartiene.

55 Va tenuto conto del fatto che, quando leggiamo la parola secolo nel Nuovo Testamento, essa è la traduzione poco affidabile di Eone, termine che ha uno spettro di significati ben più ampio di secolo e che di certo meriterebbe uno studio a parte. 56 E. M. Cioran, Il funesto demiurgo, Adelphi, Milano 2011, p. 12.

36

12. “L’incarnazione è la lusinga più pericolosa di cui siamo mai stati

oggetto. Ci ha concesso uno status fuori misura, del tutto sproporzionato

rispetto a ciò che siamo. Innalzando l’aneddoto umano alla dignità di dramma

cosmico, il cristianesimo ci ha ingannati sulla nostra insignificanza, ci ha

precipitati nell’illusione, in questo ottimismo morboso che, in spregio

all’evidenza, confonde il percorso con l’apoteosi”57.

Non è forse un dramma cosmico, e anche più che cosmico, avere

consapevolezza della propria finitezza e avere al contempo la capacità di

concepire un’infinità?

13. “Il cristianesimo è stato il vampiro dell’imperium romanum, l'enorme

impresa dei romani di preparare il terreno per una grande cultura che aveva

un futuro venne disfatta in una sola notte dal cristianesimo. Non si è ancora

capito? L’imperium romanum che conosciamo, che la storia della provincia

di Roma ci insegna a conoscere sempre meglio, questa che fu la più

ammirevole tra tutte le opere d'arte in grande stile, costituiva un inizio: la sua

struttura era programmata per misurarsi con i millenni. Fino a oggi non si è

mai costruito in questa maniera, non si è neppure sognato di costruire in tal

modo sub specie aeterni! Questa organizzazione era salda abbastanza da

sopportare i cattivi imperatori: l'accidentalità delle persone non deve

influenzare simili imprese: primo principio di ogni grande architettura.

Eppure non fu sufficientemente forte contro la forma più corrotta di tutte le

corruzioni: contro il cristiano... Questi furtivi parassiti che, nel cuore della

notte, nella nebbia e nell'ambiguità strisciavano accanto a ogni individuo e ne

risucchiavano il senso di serietà responsabile verso le cose vere, l'istinto per

le realtà; questa vile marmaglia, effeminata e lusingatrice, gradualmente ha

alienato le «anime» da questo enorme edificio, quelle nature preziose,

57 Ibidem, p. 43.

37

virilmente nobili che consideravano la causa di Roma la propria causa, la

propria dignità, il proprio orgoglio”58.

Come sia stato possibile che delle nature tanto virilmente nobili si

lasciassero ingannare da una vile marmaglia, effeminata e lusingatrice? È

proprio delle nature nobili cedere tanto facilmente alle lusinghe, qualunque

esse siano? Inoltre, saranno stati poi tanto effeminati quegli uomini e quelle

donne che si lasciavano lapidare, ardere vivi o piantare ad un legno, senza

protestare? E saranno stati tanto virili e legati alla causa di Roma gli uomini

di cui leggiamo, ad esempio, già nel Satyricon di Petronio o in altre opere

della decadenza romana?

14. “Il moderno è un’enorme malattia cresciuta nello spazio del mancato

evento escatologico, una malattia disperata perché consiste nella perdita della

naturale rassegnazione alla sofferenza e alla morte”59.

La modernità sembra essere proprio troppo vecchia per poter concepire

qualcosa di talmente giovane come una restaurata onnipresenza divina.

15. “Nulla mi è sembrato così ridicolo in certi devoti della pietà piena di

disprezzo che testimoniano agli atei, come se fosse la cosa più semplice del

mondo ammettere l’esistenza dell’Essere infinito, che è qualcuno a cui si

parla e che ci ascolta, e che possiamo mangiare e bere sotto la specie del pane

e del vino”60.

Oggi invece chi contesta o disapprova un’idea viene spesso accusato di

disprezzare le idee altrui e di sentirsi superiore; eppure indicare i limiti

dell’ateismo non significa affatto giudicare gli atei. Riflettere su un’idea,

vera o falsa che sia, non significa giudicare chiunque ne partecipi. Se

58 Friedrich Nietzsche, L’Anticristo, LVIII. 59 S. Quinzio, La croce e il nulla, Adelphi, Milano 1984, p. 210. 60 François Mauriac, La pietra dello scandalo, Ed. La Zisa, Palermo 1989, pp. 18 -19.

38

qualcuno, per liberare la propria anima, ha bisogno di tracciare i limiti

dell’ateismo - come quelli del teismo - deve forse temere di stare giudicando

gli atei o chicchessia?

Mi pare che sia stato già detto, ma in ogni caso vale la pena di ripeterlo:

l’assolutismo della morale è la peggiore delle galere per l’ anima.

16. “In apparenza, l’uomo si è dato degli dèi per il bisogno di essere

protetto, garantito; in realtà, per avidità di soffrire. Finché credette che essi

fossero una moltitudine, si concesse una certa libertà di gioco, qualche

scappatoia; ma poi, limitandosi a uno solo, si inflisse un supplemento di

pastoie e di affanni. Soltanto un animale che amasse e odiasse se stesso fino

al vizio, poteva offrirsi il lusso di un così pesante asservimento. Quale

crudeltà verso noi stessi, legarci al grande Spettro, e ribattere sulla sua il

chiodo della nostra sorte! Il dio unico rende irrespirabile la vita.

Il cristianesimo si è servito del rigore giuridico dei Romani e delle

acrobazie filosofiche dei Greci, non per affrancare lo spirito, ma per

incatenarlo. Nell’incatenarlo, lo ha costretto ad approfondirsi, a scendere in

sé. I dogmi lo imprigionano, gli fissano limiti esteriori che in nessun modo

può oltrepassare; al tempo stesso lo lasciano libero di percorrere il proprio

universo personale, di esplorare le proprie vertigini e, per sfuggire alla

tirannia delle certezze dottrinali, di cercare l’essere – o il suo equivalente

negativo – al punto estremo di ogni sensazione. Avventura dello spirito

vincolato, l’estasi è necessariamente più frequente in una religione autoritaria

che in una religione liberale: essa è allora balzo verso l’intimità, ricorso al

profondo, fuga verso di sé”61.

La religione autoritaria è stata strumento di colonizzazione, è un’evidenza:

e ha colonizzato le anime, oltre alle terre.

61 E. M. Cioran, Op. Cit., pp. 36-37.

39

Disinteressarsi del mondo, e proprio tramite questo disinteresse fare del

bene, è un atteggiamento che probabilmente essa, nel suo insieme, non ha

mai preso in considerazione.

17. Molti uomini afflitti per il silenzio di Dio iniziano gradualmente a

rinunciare ad ogni prospettiva spirituale e anzi, come molti poeti e pensatori

europei degli ultimi due secoli, si avviano verso il rifiuto di ogni idea di

Infinito.

Come se il silenzio, l’inconoscibilità e l’insondabilità non fossero, anche

loro, segni propri dell’Infinito Spirituale.

18. Per millenni l’uomo ha parlato di se stesso e ancora non si stanca di

farlo. Non si può non riconoscere che l’avidità dei sensi abbia una forza ben

difficile da esaurire. Forse che l’uomo terrestre non è altro che figlio del sole

il quale arde anch’esso da millenni e solo del desiderio stesso di bruciarsi?

Eppure esso non è che un astro destinato all’estinzione, proprio come lo è

l’uomo.

Non siamo dunque altro che un’allucinazione? E fra i tanti coinvolti in

questa allucinazione, qualcuno ha compreso che ha senso solo annunciare

una pura eternità? Tutte le categorie e le gerarchie che l’uomo ha voluto

attribuire all’essere possono ormai ridursi a questa constatazione?

Proclamare l’eternità e la sua purezza sarebbe dunque l’unico imperativo

ancora valido?

19. Pare che nelle società occidentali e mediorientali antiche ai deliri si

desse nome di vaticinio, di oracolo, di profezia, ma delle volte anche di

possessione. Il fatto che l’uomo di oggi sia tanto poco incline ad ascoltare e

interpretare i deliri dà la misura della sua lontananza dalle verità più profonde

quanto della sua impreparazione di fronte agli influssi più pericolosi.

40

20. Un tempo si chiamavano indemoniati, oggi si chiamano psicopatici, ma

in entrambi i casi sintomi e conseguenze sono immutati: reazioni

incontrollate, distruzione di sé, alienazione, annichilimento.

Un tempo probabilmente preghiere e digiuni funzionavano, e portavano

alla guarigione, perché la guarigione consisteva – e consiste - nello stato di

grazia dell’anima e nel recupero della sua forza combattiva contro le potenze

disgreganti, oggi in pochi sanno a cosa esattamente corrisponda una

guarigione dell’anima, ammesso che a quest’ultima si riconosca una qualche

esistenza, ma pare che sia a prescindere da ogni possibile guarigione che gli

specialisti adottino i loro remunerativi rimedi. A giudicare da tali rimedi

infatti si può ben dire che guarire il male corrisponda ad incubarlo, e un male

incubato, come un germe patogeno, non sparisce affatto, ma anzi cresce e si

rafforza.

21. La caratteristica dell’occidentale moderno è l’entusiasmo per la

manipolazione dell’esistente, fino a non desiderare altro che quella, e fine a

se stessa.

Cosa cerca in questo? Forse null’altro che la soddisfazione del proprio ego.

22. L’idea di un uomo come appendice di una macchina redditizia si fa

sempre più strada. In una tale situazione, gli uomini con doti e talenti che non

son funzionali ad una tale idea potrebbero essere ritenuti pericolosi dalle

collettività, se non addirittura perseguiti.

23. Accanirsi contro le persone tribolate e povere è una cosa propria delle

società contemporanee: le società civili hanno anzi un vero e proprio mandato

legale per adempiere al loro compito persecutorio.

In esse le leggi e le consuetudini si sono da tempo trasformate in

automatica e immotivata vendetta.

41

24. Con quale autorità parlano? Da chi o cosa gli viene questa autorità?

Solo per colmare un vuoto nelle menti del popolo intervengono e solo grazie

agli artifici del loro parlare e alla risonanza dei mezzi di comunicazione

appaiono autorevoli.

In realtà non fanno che imporre desideri e i desideri sono sempre una

condanna.

25. “Legano carichi pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle

degli uomini, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”62.

Chi sa come funzionano molte delle istituzioni di questo nostro strano

mondo, non potrà non notare tutta l’attuale verità di queste parole.

26. Uno dei tanti aspetti che rendono attuale la vicenda di Gesù consiste nel

fatto che egli sia stato venduto per denaro: la Parola rigettata in favore del

denaro, si direbbe, oppure, se si vuole, la qualità rigettata in favore della

quantità, che è un po’ la costante del nostro tempo.

D’altronde, dei tanti maestri che siano stati considerati tali, non ne esiste

forse uno che abbia utilizzato una simbologia legata al denaro quanto abbia

fatto il Rabbi evangelico, con “il tesoro nascosto”, con ”i beni di lassù”, con i

servitori che curano gli interessi del padrone… forse era questo l’unico modo

per essere compresi – ed eventualmente anche ripudiati - da certi ebrei.

27. C’è un’evidente connessione tra l’ossessione di moltiplicare i propri

guadagni, propria di così tanti esseri umani, e la frenetica espansione della

materia a cui assistiamo quotidianamente e che è uno degli aspetti che più

connota questi tempi post-moderni.

62 Matteo 22, 4.

42

Tutto passa attraverso i numeri: le moltiplicazioni svolte su un foglio di

carta o sullo schermo di un computer si tramutano incessantemente in nuovi

spazi e in tempi sempre più frenetici.

28. Parlare per categorie, per sensi sedimentati, per segni fissi: ecco la

sorgente del grande equivoco sulla nostra esistenza che ci lega all’errore

come al nostro pasto quotidiano. Il senso invece si va completando dinanzi a

noi proprio perché non è mai stato del tutto determinato. Il senso infatti è nel

cammino, non nell’illusione di averlo già completato. E se per alcuni un tale

cammino non inizia mai, per altri – e forse anche per chi scrive - non c’è che

l’illusione di averlo intrapreso.

Per altri ancora invece non si tratta che di svuotare l’esistenza di ogni senso

e di finire per vagheggiare un’ispirata ignoranza.

29. È stato detto: “tutto quello che chiedete pregando, credete di averlo già

ottenuto e lo avrete”63, ma chissà quanti potrebbero smentire queste parole e

dire che ogni loro preghiera si è smarrita nel vano delirare dell’anima contro

se stessa. C’è da dubitare però che il detto evangelico si riferisca a ciò a cui

costoro anelavano: a proposito dei beni che l’uomo è solitamente portato a

desiderare, nei Vangeli è detto infatti: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua

giustizia, e queste cose vi saranno date in aggiunta”64.

Quanto si ricerca va ricercato in se stessi dunque e, soprattutto, oltre se

stessi, altrimenti non si ritroverà altro che l’avidità e la speculazione del

mondo.

Ma quanto alle brutalità del mondo invece? Non si può chiedere di

fermarle? Perché difatti, per fede, non si può ottenere proprio che si arresti lo

strazio delle anime indifese, la tendenza dell’uomo alla tortura e all’omicidio

63 Marco 11, 24. 64 Matteo 6, 33.

43

e il suo divenire, di generazione in generazione, sempre più freddamente

calcolatore e superficiale?

Ecco quanto disarmanti e feroci possono essere i dubbi circa i decreti del

cielo i quali hanno permesso che questo spazio e questo tempo, pur se illusori

e transitori, esistessero.

30. Al centro del tempio cristiano è stato posto un uomo e l’uomo che

occupa il tempio e vi si fa adorare - lo apprendiamo da San Paolo - è l’“uomo

iniquo”65. Ma l’uomo posto al centro del tempio cristiano non è muto,

quest’uomo ha parlato e la sua parola è stata: “Chi crede in me, non crede in

me, ma in Colui che mi ha mandato”66 mentre, se fosse stato l’anti-Cristo,

avrebbe detto: “Chi crede in me, crede in me e non riconosce nessun altro al

di sopra di me”.

Ecco dunque quale possibile frainteso ha instaurato il dogma

dell’uguaglianza tra Padre e Figlio.

31. È forse possibile affermare che il dogma dell’uguaglianza tra Padre e

Figlio abbia lentamente portato l’occidente a confondere l’umano con il

divino, a cancellare ogni prospettiva trascendente e metafisica per ritenere

proprio l’uomo la sola entità alla quale riservare ogni interesse e dedizione?

Il nostro tempo però non è antimetafisico perché umanista, ma perché,

dedito al più frenetico macchinismo, presto non riconoscerà che una

dimensione del tutto virtuale, dominata da entità senza né volto né anima,

come sua unica realtà.

32. “La filiazione temporale per cui Cristo è detto Figlio dell’uomo non

costituisce la sua persona alla maniera della filiazione eterna, ma è una

conseguenza della nascita temporale. Perciò l’attribuire il nome di figlio al 65 Seconda Lettera ai Tessalonicesi 2, 3-4. 66 Giovanni 12, 44.

44

Padre o allo Spirito Santo sotto questo aspetto non determinerebbe alcuna

confusione tra le persone divine”67.

Non sembra affatto che l’espressione Figlio dell’Uomo nei Vangeli faccia

riferimento alla nascita temporale del Cristo come San Tommaso D’Aquino

sostiene nella Summa, anzi, a giudicare da molti detti di Gesù, si direbbe

esattamente il contrario. Eccone un esempio: “Come il fulmine esce da

oriente e brilla fino ad occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo”68.

La venuta del Figlio dell’Uomo, che arriva nell’ultimo giorno69, sembra

quindi coincidere con la restaurazione dell’onnipresenza divina, che riporta

all’onnipresenza della luce spirituale espressa col simbolo del fulmine che da

oriente brilla fino ad occidente. Si tenga inoltre presente che - tanto in

aramaico quanto in ebraico70 - l’espressione Figlio dell’Uomo vuol dire

sinteticamente l’Uomo - e che essa è già utilizzata dai profeti per alludere

all’avvento messianico71.

33. È difficile comprendere perché il cattolicesimo si sia chiesto così poco

e così male quale sia il significato dell’espressione Figlio dell’Uomo: tale

incomprensione si è persino spinta, in alcuni casi, ad un’interpretazione

umanista della definizione che più sovente Gesù riferisce a se stesso nei

Vangeli.

La nostra cultura si è disinteressata all’aspetto immortale della vita proprio

nel momento in cui ha pensato di fare della trascendenza un argomento

artificioso, ovvero nel momento in cui ha creduto di potere confondere

l’uomo terrestre e con quell’Uomo Divino che precede e sovrasta ogni cosa,

ad eccezione dell’indicibile purezza del Principio.

67 Summa Theologiae, Parte III, Arg. 3, Art. 5. 68 Matteo 24, 27. 69 Si veda Giovanni 6, 40. 70 Rispettivamente Bar ‘Enasha e Ben ’Adam. 71 Daniele 7, 13 – 14.

45

34. Vale la pena di considerare le parole di un Rabbi contemporaneo il

quale si è trovato a dire: “Se il cristianesimo, come sostengono molti ebrei, è

avodah zorah (idolatria), ciò significa che milioni di cattolici e protestanti

non avranno parte della haolam haba (mondo avvenire)? È tutto quello che

abbiamo da dire a quelle milioni di persone pie e sincere? Che Dio giudicherà

il gentile come un idolatra? O forse il gentile non è che un tinok shemishba,

un bambino prigioniero, un innocente?”72.

35. È difficile sostenere che il Messiah degli ebrei e Gesù possano essere

la stessa persona.

Gesù, essendo venuto a “salvare ciò che era perduto”, non soddisfa tutte

le aspettative che gli ebrei ripongono nell’avvento messianico, per via del

fatto che ha trasgredito per più ragioni la Legge mosaica. D’altronde non si

tratta che della dinamica di buona parte dei Vangeli: Gesù trasgredisce

qualche punto della Legge e i giudei, i colti più spesso dei semplici, si

scandalizzano e lo accusano di empietà, quindi Gesù giustifica la propria

trasgressione proponendo una lettura innovativa - oppure del tutto inaudita -

della Torah come del Canone Ebraico, mettendo in evidenza soprattutto gli

inviti alla clemenza e alla misericordia presenti nell’Antico Testamento.

Eppure, nonostante molti ebrei non abbiano accettato il Regno di Dio così

per come lo ha proclamato il Maestro del Vangelo – ovvero come la

possibilità che le potenze celesti prevalgano su quelle infere73 - pare esserci

qualcosa di più profondo nella discesa in terra del Figlio dell’Uomo che è

forse sfuggita sia all’ebraismo quanto a buona parte del cristianesimo

ufficiale. Questa discesa si configura difatti come discesa in terra del Nome

di Dio74, già preannunciata dai Profeti di Israele, un Nome a cui soli i puri si

72 Questa frase di Rabbi Mayer-Schiller è contenuta nel controverso libro di Maurizio Blondet, I fanatici dell’apocalisse – Ultimo assalto a Gerusalemme, Il Cerchio, Rimini 2002, p. 159. 73 Come si legge in Luca, 11, 17. 74 Si veda Giovanni 12, 28.

46

possono accostare e di cui tutti noi impuri invece facciamo fatica ad

immaginare il carattere e la potenza.

Quest’aspetto potrebbe forse mettere il Vangelo al riparo da un’accusa di

idolatria a cui le interpretazioni più letterali del suo linguaggio possono

invece esporlo.

36. Dopo la distruzione del Secondo Tempio, gli ebrei non possono più

seguire compiutamente la Torah e né possono incontrare in purezza il loro

Signore, quindi la presenza divina – La Shekináh – si è dileguata e l’intero

mondo che prima, tramite il Tempio e gli Israeliti, godeva dell’effusione

delle potenze celesti è invece lasciato oggi in balìa delle potenze del male e

dell’ingiustizia75.

Si tratta chiaramente di un male e di un’ingiustizia diversi da quelli di

carattere semplicemente sociale.

Al Santo dei Santi – centro del Tempio di Gerusalemme – il cristianesimo

ha cercato di sostituire il tabernacolo delle chiese e, sotto questo punto di

vista, le chiese sembrano rappresentare dei frammenti del Secondo Tempio di

Gerusalemme, sparsi per tutto il mondo76.

La concezione cattolica della chiesa come luogo consacrato - almeno fin

quando viene riconosciuta - ha dunque un carattere più ebraico che non

propriamente evangelico: per il Gesù dei Vangeli infatti l’adorazione del

Padre è una questione puramente interiore e non legata ad un particolare

luogo o istituzione77.

75 Di ciò si parla in molteplici opere della tradizione mistica ebraica. 76 A questo proposito si meditino le parole di Caifa contenute nel Vangelo di Giovanni (11, 49 – 53): “Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: ‘Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera’. Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo”. 77 Si legga il dialogo con la donna di Samarìa nello stesso Vangelo di Giovanni, al capitolo 4.

47

37. Come non vedere nel Vangelo il cavallo di Troia che universalizza

l’idea messianica nel mondo intero? Senza Gesù, l’ebraismo non sarebbe

forse rimasto nient’altro che un culto, per così dire, etnico? Solo con il

cristianesimo - per quanto esso storicamente sia stato ed è tutto e il contrario

di tutto - il messianismo potrà coinvolgere il mondo intero, e non solo la

Casa d’Israele.

In ogni caso basta leggere le ultime parole del Magnificat – dirompente

proclamazione della speranza messianica - per comprendere come sia innanzi

tutto il destino della stirpe di Abramo il movente dell’intervento divino di cui

il Vangelo pare essere segno tangibile: “(…) Ha soccorso Israele suo servo,

ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad

Abramo e alla sua discendenza, per sempre”78.

38. Nel leggere i Vangeli capita di pensare che coloro che vi agiscono e vi

parlano sono uomini e donne che sentono imminente la consumazione del

secolo; ma noi, ora, dopo questi innumerevoli stravolgimenti nella

concezione dell’esistenza sulla terra e di una vita oltre la terra, di questa

moltiplicazione seriale e vertiginosa di quanto ci circonda, di questo

materializzare e razionalizzare ogni cosa fino al punto di renderci sconosciuti

a noi stessi, avvertiamo forse l’imminenza di un Regno Infinito che bussa alle

porte?

Come ribadito più volte da Sergio Quinzio, pare che tale Regno sia

qualcosa di troppo impegnativo, perché possa essere associato alla nostre

esistenze e persino al nostro modo di essere e sentire.

39. “Il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno

dirà: eccolo qui oppure: eccolo là, perché il Regno di Dio è dentro di voi”79.

Pare che l’espressione greca entòs hymôn voglia dire sia in voi che in mezzo a 78 Luca 1, 54-55. 79 Luca 17, 21.

48

voi. Se la si legge come in mezzo voi, allora il Regno di Dio sarà lo stesso

Gesù che lo porta al suo popolo e, di riflesso, a tutti coloro che lo accettano,

ma se la si legge come in voi allora non può trattarsi che della presenza, negli

uomini capaci di realizzarlo, di un Infinito Spirituale.

Successivamente, e sorprendentemente, Gesù parla però anche di segni

esteriori legati ai giorni del Figlio dell’Uomo, come la necessità che lo stesso

Figlio dell’Uomo venga ripudiato.

Questo dialogo con i farisei si chiude poi con le parole: “Dove sarà il

cadavere lì si raduneranno gli avvoltoi”, una sorta di proverbio ebraico che

pare rimandare ancora una volta alla transitorietà e alla consumazione di ogni

realtà esteriore, simboleggiata dal cadavere destinato a disgregarsi.

40. Ogni panteismo ha primo o poi bisogno di fare ricorso ad una

precisazione: nel sostenere il suo assioma, ovvero che Tutto è Dio, esso prima

o poi ha necessità di precisare che questo tutto non si riduce alla realtà che

cade sotto i nostri occhi, o altre simili discriminazioni.

In questo il panteismo rivela la sua prima incoerenza ed essa consiste nel

dire che Tutto è Dio salvo poi trovarsi a distinguere fin dove lo è.

Se fosse vero che Tutto è Dio, anche la stessa empietà lo sarebbe e quindi

ogni percorso che conduce verso di Lui e persino ogni rivelazione non

avrebbe più senso.

Pare dunque che di tutto si possa fare a meno pensando a Dio, ma non

della sua profondità, senza per questo disprezzare per principio le cose che ci

circondano le quali condividono, in un modo o in un altro, la medesima

origine.

41. Se c’è una caratteristica propria del nostro tempo riguarda il fatto che

esso, in tutti gli ambiti, abbia mentalizzato e reso accessibile alla

comprensione umana qualsiasi cosa, mentre non riesce a tenere conto di

49

quell’aspetto inconcepibile e imperscrutabile che si staglia al di là di ogni

possibilità o totalità dell’essere. Paradossalmente difatti solo

l’imperscrutabile, ciò che non può neanche essere concepito, mette l’uomo al

riparo da quella dualità che dilania le sue certezze perché, oltre ogni possibile

conclusione, lo mette di fronte alla propria connaturata insufficienza.

42. Miliardi e miliardi di uomini hanno attraversato questa terra, tra stenti,

amarezze, atrocità di ogni specie e così sarà ancora, e chissà per quanto

tempo ancora.

È necessario anche questo affinché la supremazia di un Principio

ultraterreno venga affermata?

Quale enorme esagerazione sarebbe mai questa?

Se non altro - qualora così fosse - questa non corre certo il rischio di essere

una verità comoda.

In ogni caso pare si possa dubitare che per i grandi profeti e per gli uomini

che hanno raggiunto un alto grado di realizzazione interiore vi sia una

qualche ragione per ritenere le condizioni del mondo una conferma o una

negazione della superiorità di un Principio ultraterreno o, se si preferisce,

indeterminato. Se c’è un fattore che accomuna tutti gli insegnamenti spirituali

più autorevoli infatti è proprio quello di non volere attribuire alla dimensione

propriamente terrestre, con i suoi limiti e la sua precarietà, alcuna priorità.

43. La cattiva luce gettata dal cattolicesimo sulla sessualità, in secoli di

abusiva divulgazione di particolari principi ascetici, ha anch'essa contribuito

all’innescarsi dell'aberrante manipolazione della sensibilità sessuale condotta

oggi dai mass-media e ad una mercificazione del corpo umano che non

conosce forse precedenti nella storia?

50

Non sarà, oggi più che mai, saggio considerare la sessualità non come

qualcosa da reprimere e soffocare, ma nobilitare e vivere come un atto di

affetto e piena condivisione80?

44. La specie umana continua a conservarsi su una terra logora, travolta dal

delirio delle macchine, dello sfruttamento e della manipolazione di ogni cosa,

mentre, nonostante tutto, per essa continui la sequela di piaceri legati

indissolubilmente ai dolori.

Ebbene, perché mai ancora tutti questi destini di morte con il loro apparire

per poi scomparire?

Qohèlet dice: “Ho osservato tutto ciò che avviene sotto il sole: tutto è

vanità ed un inseguire il vento”81. Ma perché è stata data la possibilità di

questa vanità e di tutto questo inseguire il vento, sotto il sole, per millenni e

millenni?

Qohèlet dice: “Ho compreso che quello che Dio fa è costante; nulla vi si

può aggiungere, nulla togliere. Dio agisce così perché lo temano. Ciò che è,

già è stato; ciò che sarà, già fu: Dio ricerca ciò che è trascorso”82.

Dio ha dunque fondato un mondo dominato da precise leggi, perché si tema

il suo rigore e perché si cerchi la sua grazia, ma rimane in ogni caso poco

chiaro il perché abbia avuto origine proprio questa esistenza: perché il

tormento, le ossessioni, lo strazio della lotta interminata per così lungo

tempo? E perché l’enigma dell’esistenza terrena, che sembra tutto, fuorché un

luogo di giustizia?

80 Per comprendere quale profonda concezione della sessualità si celi dietro le Scritture Ebraiche si legga ad esempio la meravigliosa Lettera sulla santità (la si può trovare in Mistica Ebraica, a. c. di Giulio Busi e Elena Lowenthal, Einaudi, Torino, 1995 e 2006 pp. 415-444), senza dimenticare le parole sull’unione tra uomo e donna contenute in Genesi 2, 23 e riprese in Matteo 19, 5: “(…) e diverranno una carne”. 81 Qohélet 1, 14. 82 Ibidem, 3, 14 – 15.

51

Dinanzi all’Infinito non possiamo che avere l’Infinito come risposta, dato

che nessun’altra risposta potrebbe racchiuderlo: anche questo è stato volere

del Principio? E se la sua volontà è illimitata… vuole forse dire che essa non

vuole essere compresa, ma solo accettata? E basta accettarla per smetterla di

circoscriverla, o di contestarla? O forse la nostra stessa esistenza è

un’inesorabile limitazione dell’illimitato, la prova vivente che, in seno

all’assoluto, qualcosa che non è tale pretende di diventarlo?

Ma Qohèlet invita a desistere coloro che si ostinano a porsi simili

domande: “Quando mi sono applicato a conoscere la sapienza e a considerare

l'affannarsi che si fa sulla terra - poiché l'uomo non conosce riposo né giorno

né notte - allora ho osservato tutta l'opera di Dio, e che l'uomo non può

scoprire la ragione di quanto si compie sotto il sole; per quanto si affatichi a

cercare, non può scoprirla. Anche se un saggio dicesse di conoscerla, nessuno

potrebbe trovarla”.

45. Secondo il Qohèlet non vi è differenza alcuna tra la sorte degli uomini e

quella degli animali: entrambi sono destinati a scomparire dal mondo e senza

lasciare traccia. Nei Vangeli invece non si tratta affatto di uomini che non

lasceranno traccia quando si parla di eletti, bensì di “figli della luce” discesi

sulla terra per rendere testimonianza di una realtà superiore alla realtà

terrestre e che la terra tenta con ognuna delle sua potenze di negare.

46. Se gli ebrei non avessero legato così potentemente l’idea di Dio - e

persino quella dell’assenza di Dio - all’uomo e, in definitiva, al loro popolo,

probabilmente tale idea sarebbe già scomparsa da un pezzo dalla faccia della

terra.

47. In ebraico i numeri si scrivono usando le stesse lettere dell’alfabeto.

52

Il numero 6 equivale alla lettera Vav (ו) la quale, a sua volta, nelle lingue

anglosassoni viene traslitterata con la lettera W.

Stando così le cose, la sigla di World Wide Web, WWW ovvero internet,

starebbe per 6-6-683.

Per quanto quello della numerologia sia un ambito nel quale è saggio

diffidare dalle facili conclusioni - e la questione sulla correttezza del numero

d’uomo contenuto nell’Apocalisse sia di difficile soluzione - certe

coincidenze devono pure avere qualche significato.

48. Il cosiddetto nuovo ordine mondiale, con largo anticipo annunciato

sulle banconote degli Stati Uniti d’America (novus ordo sec(u)lorum), non

sembra ancora giunto al punto della sua completa realizzazione. Innanzi tutto

perché non sembra ancora ben chiaro in cosa dovrebbe consistere: certo, la

riduzione dell’intero essere alla sua componente esteriore, analizzabile e

manipolabile, una delle sue caratteristiche principali, lo rende atto a

pretendere un dominio planetario, ma, nonostante ciò, non pare che tutti gli

uomini siano disposti ad accettarlo in toto.

Non a caso. Un altro suo elemento predominante sembra infatti essere la

schiavitù alla macchina e alla componente numerica a cui ogni uomo

dovrebbe piegarsi senza condizioni. Eppure tale schiavitù al numero, alla

quantità e alla macchina trova in ultima istanza un ostacolo per certi versi

inaspettato: la natura dell’anima è tale che, in ogni tempo e in ogni luogo,

essa può maturare e pienamente realizzarsi solo nell’amore dell’Infinito,

mentre la macchina, partendo da una programmazione basata su un sistema

duale, non può che imporgli il finito, e quindi l’enumerabile, come unica

entità reale.

83 È curioso notare che nella lingua inglese la doppia V, anche per via della sua pronuncia nelle parole inglesi (ad es. wall, wild), non venga designata come tale, ma venga considerata una doppia U (Double U) e, coincidenza vuole, che la stessa Vav ebraica possa essere vocalizzata anche in U o in O. Tutto ciò non influisce comunque sul valore numerico della lettera che rimane 6.

53

La questione che si pone dunque non è esattamente nei termini di una

battaglia contro il progresso: difatti non ci si rivolge verso l’Infinito perché si

è contro il progresso, semmai lo si fa nonostante il progresso.

Ne risulta che un tale ordine mondiale, il quale - almeno in una prima fase -

sembra essere irrealizzabile senza l’ausilio delle macchine, trova se non delle

resistenze quanto meno degli imprevisti proprio in quella regione dell’essere

che rimane comunque al di fuori della sua portata, ovvero quella

dell’ispirazione e del versante increato sottinteso all’essere.

49. Anche se è difficile dare una spiegazione storica dell’Apocalittica del

Nuovo Testamento, la più o meno concomitante distruzione del secondo

Tempio di Gerusalemme, e quindi il dileguarsi della Presenza Divina dal

mondo, è di certo un’innegabile prova della sua tempestività e delle ragioni

che l’hanno ispirata.

50. In un’epoca accusata di avere dimenticato il cielo e le sue spirituali

profondità, uomini dotati di una qualche sensibilità interiore si affacciano

sulla soglia dell’Infinito e, con occhi sgranati, chiedono un’ultima parola.

51. Coloro che amano di cuore il cielo sono destinati ad infrangere lo

specchio della realtà e a vivere grandi solitudini.

52. Nel momento in cui tutto viene ridotto ad un codice numerico, allora

non ci importa più di sapere cosa abbiamo tra le mani o chi abbiamo di

fronte: in quel momento entriamo in un mondo che non conosce più principi

e che si regge su un unanime frainteso.

In questo frainteso poi non vi è posto che per l’energia e per la potenza, in

quanto solo ciò che si inserisce in una dinamica può essere controllato e

sfruttato.

54

53. Chi è il santo? Colui che sacrifica ogni apparenza e finisce tra i

disperati, i confusi, gli intossicati e coloro che per paura del mondo hanno

scisso la loro anima e che per giunta lo fa senza credersi niente più di loro,

oppure colui che in un appartato casolare si prende pensiero esclusivamente

della purezza della proprio io?

Inoltre, il santo non è forse colui che non ha troppa considerazione della

propria individualità? Perché mai dunque noi dovremmo dar tanto peso a

qualcosa che per lui non ne ha invece alcuno?

54. Nella conoscenza fine a se stessa vi è una sorta di presunzione di fondo

che consiste nel credere che alla realtà possano essere fissati dei limiti e, con

questi limiti, si possa depositarla sul fondo di qualcosa che chiamiamo

comprensione, o sapere comune.

Vivendo la realtà, ad ogni suo livello, ci affranchiamo invece da questa

presunzione di poterla limitare e anzi possiamo persino pervenire ad uno

stato di coscienza più alto, dato che la realtà stessa, con le sue avversità e le

sue lusinghe, può rimuovere quanto di grezzo si è depositato sul fondo della

nostra anima.

55. Non pare che nella Legge ebraica si parli mai di un Messiah nei termini

in cui si è soliti intenderlo ai giorni nostri, vi si parla invece di un uomo

primordiale – Adamo e con lui Eva - allettato dalla conoscenza e,

inconsapevolmente, dalla morte. E cos’altro sono oggi molti di noi se non

degli esseri dediti alla conoscenza per la conoscenza e, più o meno

nascostamente, attratti dalla morte?

Pare quindi che l’idea del Messiah sia implicita in ciò che accade in

Genesi: l’albero della vita nascosto alla vista dell’uomo non sarebbe che esso

stesso il Messiah, se lo intendiamo in termini spirituali.

55

Possono dunque essere i due alberi – conoscenza e vita - nient’altro che un

unico albero, come si potrebbe pensare? Ed è forse proprio l’albero della

conoscenza che, per una via di limitazioni e perdizioni, ci riporta ad un albero

della vita illimitato e diramato nell’Infinito dei cieli spirituali?

Ciò vorrebbe dire che la vita, nella sua totalità visibile e manifesta, può

essere tale anche in quanto conoscenza, ma in quanto vita spirituale non può

essere che invisibile, segreta e, proprio per questo, illimitata.

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Indice

I. Le Scritture Ebraiche e il Vangelo: alcune intuizioni, molti interrogativi. ............... 3

II. L’esistenza del mondo e l’enigma dell’Infinito. ..................................................... 20

III. Sui tempi ultimi, ammesso che siano tali. ............................................................. 32