Modulo 1 - i Media Audiovisivi

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1 SCIENZE E TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE TEORIE E TECNICA DEL LINGUAGGIO AUDIOVISIVO MODULO 1 I MEDIA AUDIOVISIVI Scenari convergenti Giovanni Ganino Nel corso del Novecento l’importanza della comunicazione audiovisiva è stata tale da considerarlo un secolo dominato dalla cultura visiva: l’immagine, prima cinematografica poi televisiva, ha avuto un ruolo centrale nella vita di tutti, condizionando gusti, mentalità e comportamenti delle masse. A partire dalla nascita del cinema, per la prima volta i prodotti delle idee e dell’immaginazione vengono messi a disposizione di un vasto pubblico e resi fruibili anche a chi non era in grado di leggere giornali e testi scritti. Con l’avvento della televisione l’immagine entra in modo invasivo tra le pareti domestiche e la sua potenza aumenta a tal punto da determinare la fisionomia dell’immaginario sociale: il neologismo teledipendente richiama il potere persuasivo delle immagini, sempre più accattivanti e spettacolari, che scorrono sugli schermi delle nostre tv. Fenomeno parallelo alla teledipendenza è quello della videocrazia, concetto che indica la propensione a utilizzare il mezzo televisivo in sostituzione dei luoghi deputati agli scambi sociali. Pensiamo al rapporto tra politici e salotti televisivi. Già nel 1960 Enzo Biagi scrive (citato in Grasso, 2007): I leader hanno superato bene la difficile prova di eroi della tv (…) Adesso anche Pietro Nenni può dire come Alfred Hitchcock: “Ho inchiodato gli spettatori alla poltrona”. I comizi piacciono quanto i telefilm del brivido (…) Non c’è più bisogno di andare in piazza: ora l’onorevole viene a domicilio. Oggi, cinema, televisione e nuovi media hanno un'importanza superiore a quella di qualsiasi altro linguaggio. Il solo ricordare che nelle società industriali sviluppate i media audiovisivi (e cioè il cinema, il video e, soprattutto la televisione) occupano in media tra le tre e le quattro ore del tempo libero giornaliero delle persone, fornisce già un'idea di quanto questo tipo di comunicazione sia entrato nelle nostre vite, con una forza e una capacità espressiva che probabilmente non è mai appartenuta a nessun mezzo di comunicazione nella storia (Profita, 2001, p. 14). Prima di analizzarne le caratteristiche riteniamo opportuno precisare il significato dell'aggettivo sostantivo audiovisivo alla luce del mutato scenario tecnologico e della nascita di modalità espressive rivolte ad un modello di convergenza multimediale.

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SCIENZE E TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE

TEORIE E TECNICA DEL LINGUAGGIO AUDIOVISIVO

MODULO 1

I MEDIA AUDIOVISIVI

Scenari convergenti

Giovanni Ganino

Nel corso del Novecento l’importanza della comunicazione audiovisiva è stata tale da considerarlo un secolo dominato dalla cultura visiva: l’immagine, prima cinematografica poi televisiva, ha avuto un ruolo centrale nella vita di tutti, condizionando gusti, mentalità e comportamenti delle masse. A partire dalla nascita del cinema, per la prima volta i prodotti delle idee e dell’immaginazione vengono messi a disposizione di un vasto pubblico e resi fruibili anche a chi non era in grado di leggere giornali e testi scritti. Con l’avvento della televisione l’immagine entra in modo invasivo tra le pareti domestiche e la sua potenza aumenta a tal punto da determinare la fisionomia dell’immaginario sociale: il neologismo teledipendente richiama il potere persuasivo delle immagini, sempre più accattivanti e spettacolari, che scorrono sugli schermi delle nostre tv. Fenomeno parallelo alla teledipendenza è quello della videocrazia, concetto che indica la propensione a utilizzare il mezzo televisivo in sostituzione dei luoghi deputati agli scambi sociali. Pensiamo al rapporto tra politici e salotti televisivi. Già nel 1960 Enzo Biagi scrive (citato in Grasso, 2007): I leader hanno superato bene la difficile prova di eroi della tv (…) Adesso anche Pietro Nenni può dire come Alfred Hitchcock: “Ho inchiodato gli spettatori alla poltrona”. I comizi piacciono quanto i telefilm del brivido (…) Non c’è più bisogno di andare in piazza: ora l’onorevole viene a domicilio. Oggi, cinema, televisione e nuovi media hanno un'importanza superiore a quella di qualsiasi altro linguaggio. Il solo ricordare che nelle società industriali sviluppate i media audiovisivi (e cioè il cinema, il video e, soprattutto la televisione) occupano in media tra le tre e le quattro ore del tempo libero giornaliero delle persone, fornisce già un'idea di quanto questo tipo di comunicazione sia entrato nelle nostre vite, con una forza e una capacità espressiva che probabilmente non è mai appartenuta a nessun mezzo di comunicazione nella storia (Profita, 2001, p. 14). Prima di analizzarne le caratteristiche riteniamo opportuno precisare il significato dell'aggettivo sostantivo audiovisivo alla luce del mutato scenario tecnologico e della nascita di modalità espressive rivolte ad un modello di convergenza multimediale.

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Con il termine audiovisivo si fa riferimento a tutti quei prodotti di comunicazione che utilizzano suoni (programmi radiofonici), immagini (film muti, video, programmi televisivi e qualsiasi prodotto a base di immagini in movimento senza una colonna sonora) o immagini e suoni (film, video, programmi televisivi e qualsiasi prodotto a base di immagini in movimento con una colonna sonora). Questi prodotti vengono di norma distribuiti in diretta, in differita, on demand, da radio, cinema, televisione, tv mobile, Internet, oppure in modalità off line su supporti in pellicola, video, digitali.

I luoghi della visione I “viaggi” che ci consentono di visitare luoghi distanti migliaia di chilometri senza spostarci dai nostri appartamenti, le esperienze di realtà virtuale in ambienti tridimensionali, le applicazioni informatiche, sono possibili grazie alla presenza degli schermi. La nostra è ormai la società dello schermo e, conseguentemente, delle interfacce. La nuova geografia del vedere muta le modalità percettive dei soggetti – si considerino le relazioni tra l'osservatore, il suo corpo e le immagini che si susseguono all'interno della cornice dei diversi terminali - e conseguentemente il modo in cui saperi e conoscenze vengono acquisiti. Bisogna inoltre considerare come lo schermo sia un'entità aggressiva - “funziona come filtro per tagliare, o rendere inesistente, tutto ciò che non rientra nei suoi confini” (Manovich, 2002, p. 131) - i cui bordi promuovono a luce, energia, sostanza, tutto ciò che rientra al proprio interno.

1. Il cinema è il luogo deputato alla visione di film (pochissime volte anche di documentari!) a pagamento in una sala pubblica dotata di uno schermo grande e al buio. Il dispositivo cinematografico determina uno sguardo durevole – il film si guarda senza interruzioni, tempo di enunciazione e tempo di lettura coincidono –, e una modalità di visione precostituita - è il soggetto enunciatore che decide cosa lo spettatore deve vedere - e variabile – lo sguardo dello spettatore varia perché cambiano continuamente le immagini che scorrono sullo schermo, gli occhi seguono l'andamento della cinepresa (Aumont, 1998).

2. La televisione diffonde ad un pubblico di massa, ma in un contesto privato, gratuitamente o a pagamento, programmi realizzati appositamente per una distribuzione televisiva oppure provenienti da altri media (si pensi ai film per il cinema). Gli schermi dei televisori stanno diventando sempre più sottili e aumentando le loro dimensioni. La fruizione televisiva ricalca quella cinematografica – sguardo durevole e visione precostituita – e ne estende i confini verso una maggiore intermittenza e mobilità. La regia “imposta” all'interno del singolo documento è affiancata dalla mobilità tra i diversi programmi consentita dallo zapping. Mentre lo sguardo dello spettatore cinematografico è concentrato, si fonde con lo spazio dello schermo, quello del telespettatore è disturbato, si integra con altre attività.

3. I media digitali hanno aumentato luoghi e contesti di visione – da desk, su schermi sparsi per le città e in luoghi chiusi (digital signage), sui monitor di telefonini, lettori dvd e apparati multimediali, installazioni videoartistiche su monitor diversi che si integrano tra di loro - e modificato il tipo di fruizione, ipertestuale, in movimento, interattiva. Nella sala cinematografica e in parte in televisione lo spettatore viene portato a spasso dalle tecniche di regia, vede ciò che viene inquadrato dall'obiettivo; nei nuovi terminali l'occhio, nel rapporto che viene a crearsi con la logica multischermo/multilevels, ha una maggiore libertà d'azione, non è più stabile. Lo sguardo diventa mobile. Nella logica delle interfacce tipiche del computer, diverse finestre coesistono nella stessa schermata: lo zapping televisivo è sostituito dai movimenti dei nostri occhi, ad un montaggio

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orizzontale si sostituisce un montaggio verticale.

I singoli audiovisivi (film, documentari, programmi televisivi ecc.) possono essere fruiti su media diversi: l’esempio più evidente è quello dei film per il cinema trasmessi in televisione oppure visti in videocassetta o DVD, su Internet e telefonini. Questo spesso accade senza un idoneo processo di adattamento: immagini ideate per il grande schermo vengono distribuite su display dalle dimensioni ridotte; audiovisivi pensati per una visione lineare mantengono le loro caratteristiche anche su media o apparati multimediali funzionali ad una fruizione reticolare e interattiva. Inoltre, il nostro excursus sulle tecnologie e i linguaggi audiovisivi non può trascurare l'evoluzione di Internet verso il Web 2.0 e gli strumenti che ne enfatizzano la dimensione della cooperazione, dell'interazione, della creazione di contenuti da parte degli utenti (user generated content), dell'intelligenza collettiva formulata da Pierre Lévy (1996).

1.1 Il cinema Il cinema, al contrario di altre modalità espressive che lo hanno preceduto, basate sulla scrittura e che necessitavano pertanto di un pubblico alfabetizzato, è la prima forma di comunicazione massmediale comprensibile a tutti. Introduce l’epoca post-alfabetica. La scrittura viene affiancata da canali comunicativi a centralità visiva che consentono alle persone con bassa scolarizzazione di avere una conoscenza del mondo superiore a quella dei loro antenati. Nelle parole di Marshall McLuhan (citato in Cecchi Paone, 2004, p. 6), il cinema, considerato come medium, non ha rivali nella capacità di immagazzinare informazioni in forma accessibile. Il cinema segna il modo di registrare, documentare e mostrare tutto ciò che di visibile o non (si pensi all'impiego delle tecniche speciali) circonda l’essere umano. Fornisce persino l’illusione dell’immortalità. Il 30 dicembre 1895, appena due giorni dopo la prima proiezione cinematografica pubblica, compare su La Poste un articolo in cui si prefigura una sorta di vita eterna (citato in Grignaffini, 1989, p. 18).

Quando queste macchine saranno a disposizione di tutti, quando tutti potranno fotografare gli esseri a loro cari, non più nella forma immobile ma nel loro movimento, nella loro azione, nei loro gesti familiari, con la parola sulle labbra, la morte cesserà di essere assoluta.

E’ bene sottolineare che per comprendere e correttamente interpretare i prodotti cinematografici c’è bisogno di un certo grado di cultura e “alfabetizzazione”. Vedere un film è comunemente considerato un divertimento, uno svago: si va al cinema quando si desidera trascorrere qualche ora in modo piacevole. Questa idea è chiaramente limitativa rispetto all’universo cinematografico: accanto ai film che prevedono una modalità di fruizione ludica e sostanzialmente passiva, ne esistono altri rivolti alla partecipazione attiva e che richiedono competenze di lettura.

Cinema come linguaggio

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Il cinema riesce ad attrarre grandi masse, a superare barriere linguistiche e culturali, ad emozionare i suoi spettatori attraverso un modo nuovo di comunicare che non nasce il 28 dicembre 1895 (data ufficiale della nascita del cinema), ma si sviluppa poco per volta. Dalla prima proiezione dei fratelli Lumière dovranno infatti passare circa due decenni – tanto dura il periodo del cinema primitivo – prima che si cominci ad usare la tecnica cinematografica come un vero e proprio linguaggio, una forma di comunicazione attraverso cui raccontare storie tratte dalla realtà o frutto della fantasia, descrivere e interpretare situazioni reali e fatti della vita, illustrare fenomeni scientifici ecc. Nelle parole dello studioso francese Edgar Morin (citato in Costa, 1985, p. 44) il cinematografo è il puro e semplice apparecchio di ripresa e proiezione di fotografie animate messo a punto dai fratelli Lumière, il cinema invece quel complesso dispositivo espressivo-spettacolare capace di articolare un suo proprio linguaggio. Alla sua nascita il cinema utilizza modalità espressive derivate da fotografia e teatro ma in qualche decennio si dota di una propria autonomia linguistica. Vengono elaborati i cosiddetti segni cinematografici, prima quelli legati alla sfera visiva (i codici dell'inquadratura e del montaggio) e grafica (titoli e didascalie), poi a partire dalla fine degli anni Venti, anche quelli sonori (musica, parlato, rumori). La combinazione intenzionale di questi segni produce significato anche se, come affermato da Renato May (1954, p. 20): Il processo creativo artistico è di natura intuitiva. Il che vuol dire che esso è fuori dalla sfera del razionale, e che qualunque tentativo di costringerlo entro precisi limiti di tecnica o entro schemi prefissati è destinato a fallire. Non esistono formule, non esistono cifre per produrre opere d'arte: è tuttavia possibile considerare teoricamente il fatto che tra l'intuizione dell'artista e l'opera espressa esiste un necessario ponte costituito dal linguaggio che l'artista adotta per esprimere il suo mondo poetico.

Cinema come tecnica Il cinema consente la ripresa, la conservazione e la proiezione di immagini in movimento.

La registrazione cinematografica

1. La macchina da presa impressiona su pellicola una porzione di

realtà (così come è oppure ricostruita con attori e scenografie), scomposta in tanti fotogrammi che riproducono le diverse fasi dell'azione ripresa.

2. Le immagini fisse (i singoli fotogrammi), dopo il necessario procedimento di sviluppo e stampa, vengono proiettate ad una velocità di 16 fotogrammi al secondo nel periodo del cinema muto, 24 fotogrammi nell'epoca del sonoro.

3. Risultato finale: impressione del movimento.

Se escludiamo il passaggio dal muto al sonoro e dal bianco e nero al colore, le tecnologie cinematografiche non hanno subito profonde trasformazioni in più di

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cento anni. A partire dalla prima metà degli anni Novanta il processo produttivo di un film è stato in parte modificato dall’avvento delle nuove tecnologie: oggi si utilizzano in modo congiunto tecniche cinematografiche - i film di norma si girano e si proiettano in pellicola - e digitali - effetti speciali e montaggio si realizzano con potenti workstation. Inevitabilmente, tra qualche anno, l’intero ciclo produttivo - dalla fase di ripresa fino alla distribuzione in sala - avverrà in digitale.

Cinema come tecnica: dal bianco e nero al colore Sin dai primi anni del Novecento esisteva la possibilità di dipingere manualmente o a macchina le copie dei film, ma è soltanto dagli anni Trenta che si parla di cinema a colori. Via col vento (Gone with the Wind, 1939) fa da spartiacque tra i due periodi, anche se, per diversi anni ancora dall'uscita del film, molti lavori verranno realizzati in bianco e nero. Teorici e studiosi di cinema reagiscono in modo diverso all’avvento del colore. C’è chi vede nell’immagine colorata una maggiore propensione del cinema a copiare la realtà e la conseguente diminuzione del processo di interpretazione da parte dell’autore. Al contrario, la possibilità di ottenere immagini sempre più simili a quelle reali è considerata positivamente da chi crede nella missione realista del cinema. Detto ciò è evidente come anche il colore possa essere utilizzato in modo antinaturalistico: per esprimere l’interiorità dei suoi personaggi Michelangelo Antonioni in Deserto rosso, arriva a reinventare il paesaggio ravennate dipingendo direttamente i muri, gli alberi, le case, i sentieri, gli elementi industriali per ottenere quel colore definito, funzionale all’espressione di quel sentimento, di quello stato d’animo e sfruttando d’altronde gli straordinari effetti di luce atmosferica resi possibili dalla nebbia che, come un gigantesco filtro diffusore nazionale, stempera uomini e cose nell’indistinzione di un paesaggio che trascolora in una dimensione immaginaria (Mazzoleni, 2002, p. 51).

Cinema come tecnica: dal muto al sonoro Per i primi trent'anni dalla sua invenzione il cinema è muto. I film di quel periodo - proiettati con un accompagnamento musicale in sala - non vengono considerati sonori poiché la musica non era parte integrante del supporto su cui erano impressionate le immagini, ovvero la pellicola. La colonna sonora poteva pertanto cambiare ad ogni proiezione come avviene negli spettacoli dal vivo. E’ soltanto verso la fine degli anni Venti che nasce il cinema sonoro: il 15 agosto del 1926 viene proiettato a New York il film di Alan Crosland, Don Juan, in cui immagini e suoni (musiche e canti) sono sincronizzati con un sistema denominato Vitaphone. Il 23 ottobre del 1927 viene presentato un altro film di Crosland, The Jazz Singer, la cui colonna sonora comprende anche i dialoghi. Il cinema sonoro prenderà il sopravvento diversi anni dopo: questo per ragioni tecniche, finanziarie e culturali. Mentre il passaggio dal bianco e nero al colore ha lasciato invariate le attrezzature di produzione e proiezione, è soltanto cambiato il tipo di pellicola, la tecnologia sonora ha comportato la comparsa dei necessari apparati per la registrazione dei suoni e per la loro integrazione con la parte visiva. Non senza problemi:

1. i primitivi microfoni potevano essere efficacemente utilizzati soltanto in ambienti insonorizzati e molto silenziosi, questo rendeva difficoltose le riprese in esterni;

2. per non interferire con la registrazione audio le rumorose macchine da presa dovevano essere rinchiuse in una cabina stagna;

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3. le copie internazionali necessitavano del doppiaggio.1

Il sonoro trova la forte opposizione di studiosi di cinema e di alcuni tra i più noti registi del periodo. La critica più diffusa riguarda la perdita dell’universalità del linguaggio delle immagini, “non si ha più il vantato esperanto cinematografico” (Bragaglia, 1929, p. 30). Più in generale i cineasti propensi ad una modalità espressiva fondata sulla plasticità dell’inquadratura e sulle risorse del montaggio non vedono di buon occhio l’avvento del sonoro. Al contrario, gli autori votati ad un cinema della realtà considerano il realismo favorito dalla dimensione sonora “come un naturale prolungamento dell’arte cinematografica” (Bazin, 1973). Dialoghi e suoni avvicinano il cinema al modo in cui osserviamo e ascoltiamo il mondo; la loro assenza fa del cinema una forma d’arte originale che lo allontana dalla meccanica riproduzione del mondo reale. Il cinema sonoro di sicuro facilita il lavoro interpretativo dello spettatore e avvicina l’ambiente cinematografico a quello reale, ma i concetti di naturalismo e anti-naturalismo dipendono dal modo in cui immagini e suoni vengono accostati. A questo proposito è interessante la Dichiarazione sul film sonoro elaborata nel 1928 dai cineasti sovietici Sergej Ejzenštejn, Vsevolod Pudovkin, Grigorij Aleksandrov e incentrata sul concetto di asincronismo.

Dichiarazione sul film sonoro2 Solo l'utilizzazione del sonoro quale contrappunto in rapporto alla scena darà nuove possibilità allo sviluppo e al perfezionamento della regia. I primi lavori sperimentali del cinema sonoro devono essere indirizzati nel senso di una discordanza netta con i quadri visivi. Soltanto il "contrasto" darà la sensazione voluta, sensazione che condurrà poi alla creazione di un nuovo contrappunto orchestrale di quadri visivi e auditivi. (…) Il sonoro trattato come elemento nuovo della regia, come fattore indipendente dell'immagine visiva, farà sorgere nuovi mezzi di potenza inaudita per esprimere e risolvere i problemi più complicati. Tali problemi ci avevano scoraggiato per l'impossibilità di risolverli per mezzo dei metodi imperfetti del cinema basato unicamente sull'immagine visiva.

1 “Prima dell’adozione del doppiaggio o dei sottotitoli, i produttori furono costretti ad adottare soluzioni costose e non totalmente soddisfacenti: ad esempio, fabbricare in serie varie versioni dello stesso film. Nello stesso teatro di posa, nelle stesse scenografie, si giravano successivamente le stesse inquadrature, secondo sceneggiatura, nelle lingue più importanti: cambiavano gli attori e, talvolta, il regista. (…) La Paramount arrivò ad affittare per suo uso esclusivo i teatri di posa di Joinville (Parigi) per avere una base europea dove concentrare più a buon mercato i gruppi di attori parlanti in francese, tedesco, italiano, spagnolo, svedese e realizzare tutte queste versioni insieme, naturalmente dopo aver girato la versione anglosassone. (…) Anche il primo film sonoro italiano (La canzone dell’amore, di Gennaro Righelli, 1930) fu girato contemporaneamente in tre versioni: italiana, inglese, tedesca” (Tosi, 2001, p. 98). 2 L’articolo riportato in parte appare il 20 luglio del 1928 sulla rivista Gisn Isscutsva. Lo si può trovare anche in S. M. Ejzenštejn, La forma cinematografica, Einaudi, Torino 1986.

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L’uso contrappuntistico del sonoro rispetto alle immagine - asincronia tra il suono e la sua fonte, tra la voce e il volto da cui proviene - allontana il cinema da un modello teatrale e letterario.

Cinema come industria

Il cinema è la prima forma di spettacolo ad avere una dimensione industriale: la pellicola su cui è impresso il film può essere riprodotta infinite volte. Ciò determina enormi vantaggi da un punto di vista economico. Anche se il processo produttivo di un film è di norma molto costoso - necessita del lavoro di diverse figure professionali, sia artistiche che tecniche, e di tecnologie complesse - la possibilità di avere tante copie ne permette una larghissima e simultanea distribuzione. Inoltre, procedure, modalità lavorative, standard di formato e durata, ne accentuano le caratteristiche di prodotto industriale. Nel Novecento non vi saranno mass media a carattere individuale. Tutta la loro produzione sarà il frutto di un lavoro di équipe e standardizzato, a cui si cerca di adeguare, con le fatiche del caso, l’originalità e la creatività che è pur necessaria per creare un prodotto valido (Menduni, 2002, p. 24). La storia del cinema è caratterizzata dal conflitto tra le ragioni dell'arte e quelle economiche, conflitto che ha portato ad autentiche lotte tra registi e produttori: è nostra opinione che oggi sia necessario considerare il prodotto audiovisivo nella sua complessità, instaurando un dialogo costruttivo tra il settore ideativo e quello finanziario. L’attività economica relativa alla produzione di un audiovisivo viene gestita dal produttore e dai suoi collaboratori e comprende una serie di problematiche relative non solo ai piani di concreta fattibilità del singolo prodotto (realizzazione, promozione e distribuzione), ma anche all’analisi del mercato. E’ un lavoro complesso che necessita di competenze economiche, finanziarie, legislative e sindacali applicate ad un processo di creazione artistica, dall’ideazione fino alla distribuzione.

Documentario o finzione

Il cinema alle sue origini ha un carattere documentaristico, è cioè interessato ai fatti della vita. Poco per volta comincia ad occuparsi di soggetti frutto della fantasia o tratti da ricostruzioni romanzate di episodi realmente accaduti. Lumière contro Méliès. Cinema documentaristico contro cinema fiction. Anche se le due forme espressive coesisteranno, sviluppando ciascuna un proprio linguaggio, in realtà non senza contaminazioni, l'industria si dimostra ben presto più interessata al cinema di finzione. La direzione che il cinema intraprende verso il film lungometraggio narrativo, insieme alle politiche economiche, massmediologiche3 e industriali fanno sì che il documentario divenga una sorta di genere di serie B, poco tenuto in considerazione, poco analizzato e studiato.

3 Basta pensare all'assenza del documentario dai palinsesti televisivi, sia pubblici che privati, entrambi interessati esclusivamente al raggiungimento del maggior numero di audience. La RAI, nonostante il suo ruolo di servizio pubblico, non ha mai considerato il valore storico, sociale, di “bene culturale” del documentario. afferma marco Bertozzi: “Se pensiamo che nel 1997 il documentario francese costituiva circa il 50% del prodotto audiovisivo complessivo; se riflettiamo sulla comprensibile, enorme richiesta internazionale di documentari sull'Italia, comprendiamo come la situazione abbia ormai del paradossale” (citato in Zagarro, 2000, p. 396).

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Spettacolo pubblico e modalità di fruizione Le prime proiezioni di immagini in movimento avvengono nei caffè. La prima, datata 28 dicembre 1895, al Salon Indien del Grand Café di Parigi: 35 persone paganti assistono al primo spettacolo cinematografico pubblico, poche scene della durata di un minuto ciascuna. Successivamente le proiezioni si effettuano nelle fiere fino alla nascita delle sale cinematografiche fisse, intorno alla fine del primo decennio del secolo scorso. Il cinema è quindi un fenomeno pubblico: la gente si reca nella sala cinematografica, per assistere in modo collettivo ad uno spettacolo.4 La fruizione è molto coinvolgente – la sala buia e alcune tecniche di regia favoriscono processi di immedesimazione/fascinazione - ma sostanzialmente passiva, non vi è alcuna possibilità di feedback tra spettatore e film. Se però al concetto di interattività non diamo un significato esclusivamente fisico – cliccare su un link o scegliere percorsi diversi – ma culturale, allora anche il film diventa interattivo. Molti lungometraggi narrativi richiedono allo spettatore una forma di partecipazione: per colmare mentalmente il vuoto tra immagini collegate con lunghe ellissi temporali, per interpretare il significato delle singole inquadrature, per dare senso ai riferimenti culturali ecc. Questo lavoro richiesto allo spettatore è più sottile e personale - naturalmente dipende dallo spessore e dalla complessità di un film – dell’attività interattiva consentita dalla maggior parte dei prodotti multimediali: tale argomento si basa su una prospettiva cognitivista che sottolinea l'importanza dei processi mentali attivi nella comprensione di qualunque testo culturale.

1.2 La radio Nel periodo che intercorre tra la prima e la seconda guerra mondiale nasce la radio. Le prime trasmissioni regolari avvengono in Gran Bretagna nel febbraio del 1920: dalla stazione Marconi in Cornovaglia per alcune settimane vengono trasmessi due ore al giorno di programmi radiofonici. Da questo momento la marcia dell’industria radiofonica è trionfale: l’uso della radio trova immediato utilizzo sia in ambito politico e militare che in quello del divertimento e del consumo di massa. La radio risolve problemi di informazione-comunicazione a largo raggio e in modo istantaneo: i messaggi trasmessi in passato con segnali di fumo, colpi di cannone, piccioni viaggiatori, da questo momento saranno inviati sfruttando le caratteristiche delle onde elettromagnetiche.5

Supporto di trasmissione immateriale La tecnica radiofonica deve molto a Guglielmo Marconi che, sfruttando le caratteristiche delle onde hertziane (scoperte dal tedesco Heinrch Hertz nel 1887), intorno al 1895 a Bologna trasmette segnali senza l’ausilio di fili, a distanza di qualche migliaia di metri, utilizzando il codice morse. Le distanze di trasmissione aumentano velocemente: alla fine dell’800 Marconi stabilisce un collegamento da

4 La visione di film oggi è sia pubblica, quando avviene nelle sale cinematografiche, che privata, attraverso la fruizione di prodotti cinematografici in televisione o su nastro magnetico e supporti digitali. 5 I Rotschild devono gran parte della loro fortuna a un piccione viaggiatore che, portando tempestivamente la notizia della sconfitta di Napoleone a Waterloo, rese possibili certi loro interventi speculativi sul mercato azionario (D. Bell, citato in G. Giovannini, 2003, p. 143).

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una parte all’altra della Manica6 e nel 1901 dalla Cornovaglia a Terranova realizzando così il primo collegamento hertziano transatlantico. Dal 1908 le onde hertziane veicolano anche la voce umana. Il primo collegamento per la voce umana viene realizzato nel 1908 e parte dalla Tour Eiffel per raggiungere, una quindicina di chilometri più in là, Villejuif. Negli Stati Uniti Lee De Forest trasmette il canto di Caruso a una distanza di venti chilometri dal Metropolitan Opera di New York (Jeanneney, 1996, pp., 129-30). La modalità di trasmissione immateriale, che non necessita cioè di nessun supporto per inviare segnali sonori, si rivela idonea ad essere utilizzata in diversi campi: si pensi soltanto alla possibilità di mantenere collegamenti con le navi in navigazione oppure con le truppe impegnate in operazioni belliche.7

Modalità di comunicazione broadcasting I primi studi condotti per favorire i processi di comunicazione istantanea a distanza sono rivolti alla creazione di sistemi in grado di consentire un passaggio di informazioni punto a punto secondo una logica bidirezionale, dall’emittente al ricevente e viceversa. Questo al fine di sfruttare – come individuo o come organizzazione economica, politica ecc. - le notizie ottenute: l’informazione comincia ad acquisire un valore importantissimo perché può portare vantaggi economici, politici e militari prima inimmaginabili. E’ soltanto in un secondo momento che si pensa ad un sistema di comunicazione da una stazione di trasmissione a molti riceventi: viene concepita la radio come mezzo di comunicazione di massa.8 A partire dagli anni Venti si comincia a trasmettere verso destinatari indefiniti secondo una modalità a rete piramidale discendente: il vertice è costituito dall’apparato emittente (la stazione radiofonica) e la base dai terminali riceventi (gli apparecchi radiofonici situati nell’area di ricezione). La comunicazione unidirezionale che si stabilisce tra emittente e una moltitudine di riceventi (da uno a molti) viene definita broadcasting, termine inglese che significa semina larga.9 Le stazioni radiofoniche che dal 1920 diffondono programmi regolari verso un pubblico di massa aumentano considerevolmente, passando da 200 emittenti nel 1922 a circa 600 nel 1925. Gli apparecchi radiofonici nel 1921 sono circa 50 mila, nel 1925 4 milioni, nel 1929 10 milioni.

Modello americano contro modello europeo

6 Questo il testo del messaggio inviato: Il signor Marconi invia al signor Branly i suoi rispettosi complimenti per la telegrafia senza fili attraverso la Manica, dal momento che questo bel risultato è dovuto in parte al notevole lavoro del signor Branly. 7 La prima dimostrazione dell’utilità della radio nota al grande pubblico si ebbe al momento dell’affondamento del Titanic (1912), quando il SOS venne intercettato – secondo una storia che diventò leggenda, con tutte le inesattezze del caso – da un giovane marconista dell’American Marconi (Menduni, 2002, pp. 29-30). 8 I Mass media - espressione composta dal termine inglese mass, massa, e da quello latino media (plurale di medium), mezzo o strumento – sono mezzi di comunicazione basati su tecnologie elettriche-elettroniche che permettono di far giungere un messaggio simultaneamente ad un gran numero di persone sparse su un territorio molto vasto. 9 Lo stesso termine sarà usato anche per la televisione. Con la nascita dei canali televisivi di nicchia e specializzati sarà coniato il neologismo narrowcasting (semina stretta).

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Nell'economia liberista degli USA il modello radiofonico si sviluppa come attività commerciale. I fruitori acquistano gli apparecchi radio con cui ascoltano gratuitamente i programmi, che sono finanziati prima dall’industria radiofonica e poi dalla pubblicità. Il primo messaggio pubblicitario – l’annuncio relativo alla vendita di una serie di appartamenti che immediatamente andarono a ruba - fu trasmesso il 23 agosto del 1922 dalla stazione di NewYork della AAT. Il modello radiofonico europeo si sviluppa secondo una concezione diversa che prevede il monopolio dello Stato: il fruitore paga un canone di abbonamento, la tassa che permette di finanziare programmi senza ricorrere alla pubblicità. Due modi differenti di intendere e usare la radio: mentre negli Stati Uniti prevale una logica industriale, in Europa si pensa ad un servizio culturale e di conseguenza ad una impostazione pedagogica del servizio pubblico. Alla radio come impresa si contrappone un modello basato sul paradigma istruire, informare, intrattenere.10

Modalità di fruizione

Mentre quella cinematografica è una forma di comunicazione visiva (il sonoro nasce alla fine degli anni Venti) la radio utilizza come modalità espressiva il suono (parole, musica, rumori). Così come quella cinematografica, la fruizione radiofonica non necessita di alfabetizzazione ma, mentre la visione di un film richiede uno spostamento fisico, da casa ad un luogo pubblico, e l’acquisto del relativo biglietto d’ingresso, l’ascolto dei programmi radiofonici avviene all’interno delle pareti domestiche. La radio si afferma come medium della sfera privata, per la prima volta lo spettacolo non è più associato allo spazio pubblico. Si tratta di una rivoluzione sociale di notevole portata, perché in grado di raggiungere le fasce sociali più basse, perché è gratuita, perché non richiede la capacità di saper leggere e scrivere (…) (Menduni, 2002, p. 33). Secondo Bertolt Brecht (1975, pp. 44-49) la portata rivoluzionaria di questo medium sarebbe stata maggiore se fosse stato utilizzato in modo diverso, ossia se avesse consentito a chiunque di poter essere oltre che ricevente passivo anche produttore di contenuti. E’ potuto accadere che la tecnica fosse tanto progredita da produrre la radio in un’epoca in cui la società non era ancora tanto progredita da poterla accogliere. (…) D’improvviso si aveva la possibilità di dire tutto a tutti, ma, a pensarci bene, non si aveva nulla da dire. E chi erano poi questi tutti? All’inizio ci si arrangiò rinunciando a pensare. Ci si guardò intorno per vedere in quali posti qualcuno diceva a qualcun altro e si tentò di intrufolarsi, semplicemente entrando in concorrenza e dicendo qualcosa a qualcuno. Questa fu la radio nella sua prima fase, quando svolgeva la funzione di sostituto. Sostituto del teatro, dell’opera, del concerto, delle conferenze, del caffè concerto, della cronaca cittadina dei giornali, ecc. Fin dall’inizio la radio ha imitato, più o meno, tutte le istituzioni esistenti che avessero in qualche modo a che fare con la diffusione di ciò che si può dire o cantare: da questa torre di Babele venne fuori un incrociarsi e accavallarsi di suoni che non era possibile ignorare. (…) Ma, anche a prescindere completamente da questa sua equivoca funzione (chi dà molto, non dà niente a nessuno), la radio ha una sola dimensione, mentre dovrebbe averne due. Essa è soltanto uno strumento di distribuzione, si limita a ripartire. Adesso cerchiamo di diventare positivi, di scoprire ossia ciò che di positivo c’è nella radio; ecco qui una proposta per modificare il funzionamento della radio: si dovrebbe trasformare la radio da mezzo di distribuzione in mezzo di comunicazione. La radio potrebbe essere per la vita pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno straordinario sistema di canali, cioè potrebbe

10 Tale modello ideato dalla BBC (British Broadcasting Corporation) e dal suo primo direttore, John Reith, diventa un esempio per tutta l’Europa e determinerà successivamente la linea editoriale della futura televisione.

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esserlo se fosse in grado non solo di trasmettere ma anche di ricevere, non solo di far sentire qualcosa all’ascoltatore ma anche di farlo parlare, non di isolarlo ma di metterlo in relazione con altri. La radio dovrebbe di conseguenza abbandonare il suo ruolo di fornitrice e far sì che l’ascoltatore diventasse fornitore. (…) La radio deve rendere possibile questo scambio.

La visione utopistica di Brecht oggi sta diventando realtà.

Trasmissione in diretta La fruizione delle immagini cinematografiche avviene in differita, dal momento della ripresa alla proiezione in sala passa un periodo di tempo più o meno lungo: le inquadrature impressionate su pellicola devono essere sviluppate, stampate e montate.11 La novità introdotta dalla radio è costituita dalla diretta, ossia la simultaneità tra ripresa e ricezione del suono: ciò favorisce l’uso di questo medium per la diffusione di tutti i generi informativi, naturalmente predisposti alla immediatezza della comunicazione. La diretta è una caratteristica che conferisce credibilità alle notizie e consente di influenzare la percezione della realtà. Non è un caso che il mezzo radiofonico sia stato utilizzato nei Paesi a regime totalitario per uso propagandistico. In Italia il governo fascista esercitava un controllo di fatto sull’EIAR (Ente italiano per le audizioni radiofoniche) che operava in regime di monopolio; in Russia l’organizzazione radiofonica era parte dell’apparato propagandistico dello Stato sovietico. L’uso più pervasivo della radio fu operato tuttavia dal nazismo tedesco (Menduni, 2002, p. 35). Una trasmissione radiofonica, La guerra dei mondi (30 ottobre 1938) di Orson Welles, ha fatto credere agli americani che i marziani avessero invaso la Terra.12 Studi scientifici condotti per esaminare gli effetti della notizia sulla popolazione hanno rivelato come circa un milione e 200 mila persone tra i 6 milioni di ascoltatori abbia creduto all’invasione aliena e provato panico e terrore (Pulcini, 2006).

La guerra dei mondi13 Il 30 ottobre 1938, il ventitreenne Orson Welles ha interpretato all'interno del programma Mercury Theatre on the Air, trasmissione settimanale in cui venivano proposte letture di romanzi celebri, un adattamento radiofonico de La guerra dei mondi di Herbert George Wells. Il programma è rimasto celebre per aver scatenato il panico negli Stati Uniti: molti ascoltatori non si sono accorti che si trattava di una finzione e hanno creduto all'invasione della terra da parte di astronavi marziane. Welles non aveva previsto quelle che sarebbero state le reazioni del suo pubblico; non aveva nessuna intenzione di fare uno scherzo, come talvolta si crede, e finita la trasmissione si è recato in un teatro vicino per prendere parte alle prove serali di uno spettacolo, venendo a conoscenza solo il giorno dopo del putiferio che la sua interpretazione aveva scatenato. A dire il vero, Welles pensava che l'adattamento fosse noioso, e non avrebbe voluto proporlo, se non fosse che fu costretto ad usarlo perché si ritrovava senza altro materiale

11 E’ l’operazione di montaggio che influisce maggiormente sul tempo che passa tra il momento della registrazione e la visione pubblica: il montaggio di un film o di un documentario può durare anche diversi mesi. 12 E’ possibile ascoltare la trasmissione in rete al seguente indirizzo: http://orsatti.blogspot.com/2007/01/la-guerra-dei-mondi-di-orson-welles.html

13 http://it.wikipedia.org/

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interessante a disposizione. Furono le dimensioni della reazione ad essere sbalorditive: sei minuti dopo che eravamo andati in onda le case si svuotavano e le chiese si riempivano; da Nashville a Minneapolis la gente alzava invocazioni e si lacerava gli abiti per strada. Cominciammo a renderci conto, mentre stavamo distruggendo il New Jersey, che avevamo sottostimato l'estensione della vena di follia della nostra America. Con queste parole Welles stesso ha descritto a Peter Bogdanovich l'effetto del suo adattamento in un celebre libro-intervista. Gli ascoltatori sono stati presi dal panico credendo che la trasmissione fosse reale, non capendo che si trattava, in realtà, di un semplice programma radiofonico. La vicenda immaginaria narrata nel romanzo, infatti, è stata interpretata da Welles come una reale radiocronaca, con l'unico intento di creare un programma avvincente. L'adattamento del romanzo simulava un notiziario speciale che a tratti si inseriva sopra gli altri programmi del palinsesto per fornire aggiornamenti sull'atterraggio di astronavi marziane a Grovers Mill, nel New Jersey.

Radio e altri media Oggi i cosiddetti nuovi media mettono in discussione la sopravvivenza dei vecchi media, considerati obsoleti. Il dibattito incentrato sul rapporto tra vecchi e nuovi media è cominciato con la nascita della radio e ha portato a diverse posizioni, spesso contrapposte; tra le più equilibrate e condivisibili, quella di Roberto Grandi (1995, pp. 7-8), qui parzialmente riportata. Contrariamente a quanto ipotizzato dagli studiosi apocalittici della società di massa, l’apparizione di un nuovo medium non ha eliminato quelli precedenti, li ha solo costretti a riposizionarsi nel panorama massmediatico. Ogni nuovo medium ha infatti indotto quei media che, a causa di una tale irruzione, venivano considerati tradizionali ad anestetizzare certe loro proprietà e a potenziarne altre. Anche la radio ha subito questo destino: una prima volta in quanto nuovo medium, una seconda volta in quanto medium ormai tradizionale. Alla messa in onda, all’inizio degli anni Venti, delle prime trasmissioni regolari di programmi radiofonici si parlò della fine di tutti quei generi dello spettacolo che iniziavano a essere veicolati attraverso l’etere: il varietà, la musica dal vivo, il teatro. Non solo. Il vero e proprio boicottaggio messo in atto – sia in Europa che negli Stati Uniti – dagli editori della carta stampata contro il nuovo medium e la sua pretesa di trasmettere l’informazione, ed eventualmente la pubblicità, in diretta era dettato dalla previsione catastrofica che nessuno avrebbe poi avuto alcun interesse ad acquistare i quotidiani per leggere informazioni già note e vecchie di mezza giornata. Ma come sappiamo, il varietà, pur se modificato, continuò la sua esistenza, al pari degli spettacoli teatrali e di quelli musicali. Le edicole, poi, continuano ancora oggi a vendere giornali (…). La radio non aveva dunque ucciso gli altri media, ma li aveva costretti a ripensarsi, a trovare uno spazio diverso che contemplasse la presenza del nuovo, modificando il proprio formato mediante quel processo che McLuhan definì ibridazione.

1.3 La televisione

Oggi i bambini viaggiano con la TV in ogni parte del mondo ancora prima

di avere il permesso di attraversare la strada (Meyrowitz, 1985, p. 238).

Alcune cifre

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Quanto tempo si trascorre davanti alla Tv? Sul sito della Comunità Europea si legge che “la televisione è la nostra fonte principale di informazione e intrattenimento. Ciascuno di noi trascorre, in media, fino a tre ore al giorno guardando notizie, eventi sportivi, film e altri programmi”.14 Secondo una ricerca di Eurodata Tv Worldwide, condotta su 64 Paesi, il tempo medio di ascolto della Tv nel mondo è aumentato nel 2005 a 3 ore e 4 minuti al giorno a persona. Il Giappone resta il Paese dove si guarda più televisione con 5 ore e 11 minuti di visione media quotidiana, seguito dagli Stati Uniti con 4 ore e 11 minuti, 3 minuti in più rispetto all’anno precedente. L'Asia porta il suo tempo di ascolto quotidiano da 2 h 33 a 2 h 34 min. In questo continente il Pakistan è uno dei Paesi più dipendenti, con 3 h e 17 min. In Medio Oriente, il Libano passa da 3 ore e 30 min a 3 h e 37, Israele da 3 h 10 min a 3 h e 17. Tre ore e 17 minuti sono registrate anche in Africa del Sud, mentre i latino-americani si fermano a 3 ore e 16. La ricerca ha preso in considerazione anche la tipologia dei programmi più visti: al primo posto ci sono le fiction che ottengono il 44% degli ascolti, contro il 38% dei varietà e 18% dell'informazione. Tra le fiction, in testa telefilm e serie a episodi (64% dell'audience nel 2005 contro 50% del 2004), mentre i film attirano solo il 16% degli ascolti. L’entertainment, categoria che comprende giochi, reality show e talk show, è preferito da un terzo della popolazione mondiale.15 Nel mondo ci sono oggi più di 1,5 miliardi di apparecchi televisivi; circa 340 milioni in Europa, 32 milioni in Italia. Ciò significa che per ogni mille abitanti del pianeta si contano 240 televisori, con punte di 806 per mille abitanti negli Stati Uniti, 710 in Canada, 686 in Giappone, 595 in Francia (446 in Europa; 528 in Italia). Solo in Cina ce ne sono 400 milioni. Più di 200 satelliti diffondono programmi televisivi. Almeno un miliardo di persone vede la televisione ogni giorno.

Elementi comunicativi

La televisione unisce le caratteristiche del cinema (comunicazione attraverso immagini e suoni) e della radio (trasmissione immateriale dei segnali); si configura pertanto come un mezzo di comunicazione via etere, audio-video, a distanza e in diretta. Il successo del mezzo televisivo è dovuto alla sua completezza comunicativa che facilita il lavoro di lettura dello spettatore, il quale, senza sforzo fruisce, per lo più comodamente seduto sul proprio divano, i programmi trasmessi. Privo di immagini, l’ascolto radiofonico richiede un processo di ricostruzione, magari stimolante per alcuni, faticoso per altri. L’audiovisione rende gradevole e non complessa la fruizione televisiva ad un pubblico in cerca di relax dopo la giornata lavorativa.

Diretta ed eventi televisivi Sin da subito è stata esaltata la possibilità della tv di mostrare ciò che accade “qui e ora” (così come poteva fare la radio, ma soltanto in audio) al contrario del cinema che può mostrare qualcosa che “è stato”, è già accaduto da un lasso di tempo più o meno lungo. La peculiarità del mezzo televisivo di annullare il tempo tra l’accadimento e la presentazione dello stesso al pubblico sparso su tutto il pianeta

14 http://europa.eu/pol/av/index_it.htm 15 I dati sono tratti dalla ricerca, L’Année de Télévision dans le Monde, Eurodata Tv Worldwide, 2006.

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non riguarda soltanto gli episodi reali o considerati tali, ma anche quelli dichiaratamente ricostruiti, come ad esempio le fiction televisive. Secondo Sergej Michailovic Ejzenstein la diretta tv è paragonabile allo spettacolo teatrale: l’attore che recita davanti alla telecamera sente la presenza del pubblico perché sa che non c’è distanza tra la sua recitazione e la fruizione della stessa da parte del telespettatore.16 L’attore (…) potrà trasmettere in modo immediato a milioni di ascoltatori e telespettatori la sua interpretazione artistica dell’avvenimento nel momento irripetibile in cui esso si compie, nel momento del primo e sconvolgente incontro con esso (Ejzenstein citato in Lischi, 2005, pp. 16-17). Il primo evento televisivo in diretta, l’incoronazione di re Giorgio VI nel 1938, fu seguito da circa 10.000 persone; a meno di settant’anni di distanza sono 2 miliardi i telespettatori della giornata inaugurale delle olimpiadi invernali 2006 di Torino. In mezzo tutta una serie di episodi ed eventi che hanno fatto la storia del Novecento, a cui i possessori della scatola magica hanno potuto assistere da casa. Si pensi allo sbarco del primo uomo sulla Luna: nel luglio del 1969 le 28 ore consecutive di diretta televisiva via satellite in mondovisione consentono a più di 500 milioni di persone di condividere i primi passi sul suolo lunare.17 Oppure ai recenti conflitti in Medioriente trasmessi in diretta sulle televisioni di tutto il mondo grazie alle immagini dei cellulari dei giornalisti. La possibilità di far vedere gli avvenimenti nel loro accadere attribuisce alla televisione un alto grado di credibilità: la diretta televisiva conferisce status di evento reale a ciò che viene trasmesso.

Le Fiandre hanno proclamato l'indipendenza!" 13 novembre 2006. "Le Fiandre hanno proclamato l'indipendenza!", "Il re ha lasciato il paese!", "Il Belgio non esiste più!". La rete della tv pubblica belga RTBF, in lingua francese, ha interrotto i programmi per dare una notizia che ha lasciato di stucco i telespettatori. Un annuncio che ricorda quello di Orson Welles che gettò nel panico l'America annunciando l'arrivo dei marziani. E in quel caso come in questo, si tratta di uno scherzo. Solo dopo 30 minuti di trasmissione è comparsa la scritta "Questa è una fiction", su richiesta del ministro dell'Audiovisivo della comunità francofona Fadila Laanan. Per rendere la notizia più convincente, la tv ha orchestrato una messa in scena con dirette da tram bloccati ai nuovi "confini" e reazioni di esponenti politici che plaudono o denunciano la proclamazione unilaterale dell'indipendenza da parte del parlamento fiammingo. Il programma, nelle intenzioni degli autori, doveva "porre sulla piazza pubblica un dibattito che appassiona tutti i belgi", ha invece scatenato polemiche in un Paese dilaniato da annose diatribe fra i fiamminghi delle Fiandre e i francofoni della Vallonia.

Il mito della diretta

16 S. M. Ejzenstein si riferisce al primo periodo della televisione, quando non era ancora possibile registrare le trasmissioni, quindi anche i programmi cosiddetti di finzione venivano trasmessi in diretta. 17 Nelle teche della Rai consultabili in Internet è possibile visionare l’evento.

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Le immagini effettuate dal vero vengono di norma percepite come reali. Esempi attualissimi sono le fotografie o le riprese effettuate nei luoghi di combattimento dove giornalisti, fotografi, cameramen rischiano la vita per informare. Quanto detto però può non essere sempre vero. Seguiamo Luisa Cicognetti (2003, p. 25) nella sua riflessione su come vengano raccontate le guerre moderne. Esiste negli archivi Rai un reportage del 1967, della battaglia di Amman durante la guerra arabo israeliana dei Sei giorni, in cui il cronista racconta la battaglia dalla stanza del suo albergo, primo di una lunga serie di reportage di guerra da una stanza d'albergo, che continua con Peter Arnett della CNN dall'albergo di Bagdad durante la guerra del G o l f o e con Ennio Remondino, inviato Rai, da Belgrado durante il conflitto per il Kosovo. La telecamera è posizionata alla finestra, per cui si scorgono i tetti della città ed ogni tanto qua e là colonne di fumo, ma nient’altro. Altre volte si utilizzano tecniche di costruzione e messa in scena senza l’intenzione di barare con la realtà – si ricostruiscono episodi realmente accaduti – ma ciò evidenzia come l’immagine sia una rappresentazione, uno sguardo costruito, soggettivo. L’Imperial War Museum di Londra conserva moltissime riprese filmate che i Combat Cameramen, al seguito dell’esercito inglese, hanno girato durante la seconda guerra mondiale. La liberazione delle zone della penisola italiana (in particolare la zona adriatica della linea gotica, fino alle città di Ravenna e Bologna) è splendidamente documentata e le riprese sono conservate in ottimo stato. Ma uno storico attento che vede quelle immagini, noterà una cosa interessante: in tutte le zone riprese, città, campagne, strade, non si vedono persone, civili, ma solo soldati. Abbiamo bellissime immagini, di ottima qualità, di combattimenti terrestri, cannoneggiamenti, raid aerei. Ma i luoghi sono deserti. Questo perché le scene delle battaglie, la liberazione delle città occupate dai tedeschi venivano girate il giorno dopo, con una ricostruzione degli eventi, quando le città erano in mano alleata, dunque non c'era più rischio. Allora si facevano sfilare i soldati a ripetere le operazioni del giorno prima; oppure si facevano sparare i cannoni per effettuare le riprese cinematografiche. Questo non significa che tutte le scene di guerra siano “finte”, in quanto ricostruzioni a posteriori di un evento: i paesi distrutti, le rovine, i cadaveri, avevano lo stesso aspetto anche il giorno dopo. La vera questione ancora una volta non è se le immagini di guerra riproducano fedelmente o meno la realtà: sarebbe affrettato concludere che la guerra in televisione “è finta”. Piuttosto questo dovrebbe farci riflettere su un dato: l'immagine, così come qualsiasi altro testo, scritto, musicale, pittorico, si fabbrica (ivi, p. 26). La possibilità che la televisione ha di trasmettere in diretta immagini provenienti da qualsiasi parte del pianeta la rende una finestra sul mondo. Tale caratteristica oggi è amplificata dalla possibilità di utilizzare strumenti di ripresa e trasmissione poco ingombranti: le pesanti telecamere analogiche sono ormai sostituite da attrezzature leggere e alla portata di tutti, e sempre più spesso anche dai telefonini di nuova generazione. Tuttavia questo sguardo sul mondo è filtrato sia dal modo in cui gli obiettivi osservano gli accadimenti che dalla censura. Dalla guerra del Golfo in poi, è diventato abituale per il pubblico sentire in diretta gli inviati al “fronte” mentre leggono al telefono non una cronaca di quello che sta succedendo in quel momento, ma un resoconto – spesso censurato – della giornata passata, sullo sfondo di immagini fisse e che poco hanno a che vedere con ciò che accade in quel momento: spesso si tratta di una telefoto del cronista o di un’immagine grafica del teatro delle operazioni. E allora uno spettatore avvertito dovrebbe chiedersi: in cosa consiste la diretta? Nel sentire il reporter che legge, in quello stesso preciso momento, un resoconto scritto qualche ora prima di eventi accaduti altrettante ore prima, filtrati e censurati dagli stati maggiori? (…) Durante il recente conflitto per il Kosovo, Ennio Remondino era uno dei pochissimi inviati speciali che poterono stare a Belgrado, a narrare l’esperienza dei bombardamenti su Belgrado. Remondino faceva tutto “in diretta”, però leggendo le veline, o comunque i comunicati, le cose che da Belgrado poteva diffondere nel mondo occidentale (ivi, pp. 29-32).

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Accanto alla censura non bisogna sottovalutare il controllo operato sulle notizie da parte dei network televisivi per opportunità politiche e di mercato. Lo spettatore deve pertanto essere consapevole di trovarsi di fronte a racconti che vanno sapientemente letti e interpretati perché potenzialmente frutto di verità, indizi, frammenti, falsità, propaganda, censura, manipolazioni. Lo stesso atteggiamento va tenuto nei confronti di tutta l’informazione televisiva: le news non sono lo specchio della realtà, ma una sua rappresentazione. I media non vanno pertanto considerati semplici canali di comunicazione, nastri trasportatori di significato situati tra il mondo e il pubblico. Non sono una finestra sul mondo. Gli approcci semiotici allo studio sui media sostengono come siano i mezzi di comunicazione a strutturare quella realtà che sembrano solo descrivere o rappresentare.

Verso una fruizione personalizzata La televisione è definita generalista quando la sua programmazione si rivolge al maggior numero di persone possibile. La tv diventa in questo modo il medium della cultura di massa per eccellenza: i programmi sono realizzati in modo tale da soddisfare ideali e aspettative dell’audience media. Questa modalità comunicativa introduce una discriminazione culturale, accontenta il pubblico con orientamenti sociali e culturali medi, soddisfatto da programmi spesso simili e che non prevedono alcuna riflessione critica, e allontana chi cerca una visione che possa portare sia intrattenimento che arricchimento culturale.18 Il modello generalista, applicato in modo leggermente diverso dalla tv pubblica e da quella privata, in questi ultimi anni ha dato segnali di cedimento. Secondo dati auditel le reti generaliste dal 2000 al 2005 hanno perso in media il 5,13% di telespettatori giornalieri e il 4,80% in orario prime time (20.30-22.30). A partire dai primi anni Novanta in Italia accanto al modello generalista si è sviluppato quello tematico, a pagamento o in chiaro, contraddistinto da una programmazione basata su generi specifici - film, sport, informazione, documentari - oppure rivolta a segmenti ristretti della popolazione, bambini, donne, adulti, comunità straniere ecc. La televisione tematica consente una maggiore libertà sia in termini di contenuti (l’utente si abbona a ciò che vuole) che di gestione del tempo (la multidiffusione, trasmissione dello stesso programma in fasce orarie e giornate diverse, cerca di soddisfare esigenze e abitudini individuali). La programmazione assomiglia a quella di una sala cinematografica, in cui lo stesso film sta in cartellone per un periodo determinato e viene programmato a orari fissi più volte al giorno (Menduni, 2002, p. 189). Il modello d'offerta personalizzato comporta la scomparsa del palinsesto: l'impresa televisiva mette a disposizione un catalogo di programmi a cui lo spettatore può accedere quando crede, secondo la modalità pay per view o video on demand. La modalità pay per view prevede la trasmissione dello stesso programma televisivo (il genere che va per la maggiore è il film) su più canali con orari d’inizio che differiscono di pochi minuti: se si vuole garantire ogni quindici minuti l'inizio di un film della durata di due ore, occorrono otto canali che lo trasmettano ininterrottamente. E’ come andare in un multisala in cui viene proiettato un unico film in orari leggermente diversi. La modalità video on demand consente una interattività maggiore rispetto alla pay per view ed è possibile soltanto con un

18 Tutto ciò risulta evidente ad una analisi delle scelte di programmazione relative alla prima serata di un giorno qualsiasi optate dai canali Rai e Mediaset.

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collegamento punto-punto, bidirezionale, tra l'utente e l'impresa che fornisce il servizio televisivo.

Il futuro della televisione Considerato che la maggior parte delle idee circolano sotto forma di immagini, ne consegue che i detentori dei canali distributivi assumono un potere enorme nel formare l’opinione pubblica e nel determinare abitudini culturali e sociali. Poteri politico ed economico, con differenze a seconda dei diversi paesi, hanno per questa ragione ‘controllato’ l'uso della televisione, favoriti dagli enormi costi di produzione dei programmi e dal numero limitato di canali distributivi. Oggi il panorama sta cambiando: l’evoluzione tecnologica degli ultimi anni ha determinato da un lato, l’abbattimento dei costi di produzione, dall’altro, l'aumento dei canali televisivi e la nascita di modalità distributive alternative ai sistemi classici. Nonostante la sua giovane età la televisione viene pertanto considerata un old medium e contrapposta ai new media. Ne conseguono nuove sfide comunicative che costringono i broadcaster televisivi a mettere in discussione posizioni acquisite in regime di oligopolio nell’epoca della scarsità delle frequenze e delle marmoree barriere d’accesso. C’è chi prevede la fine dello strapotere della tv broadcast - “farà la fine dei dinosauri” (Gilder, 1995) - e dei grossi gruppi editoriali a favore di una “informazione personalizzata” (Negroponte, 1995) e libera “dall’influenza centralizzata dei mass media” (Gilder, 1995), di una comunicazione televisiva bidirezionale, più in generale della costruzione di “uno spazio del sapere sociale” (Lévy, 1994). Ciò che poteva sembrare utopistico fino a qualche decennio fa è oggi realtà: il web 2.0 non è più soltanto accessibilità di dati, canale di distribuzione a basso costo, rete di comunicazione utile ai grossi gruppi editoriali per aumentare i loro profitti e mantenere il controllo dell'informazione, ma è anche un modo per costruire relazioni sociali che ridanno centralità all'individuo e per promuovere forme di comunicazione alternative a quelle tradizionali, gerarchiche e verticali.

 Il fare televisivo in questo scenario diventa uno strumento comunicativo a disposizione di tanti: nascono nuovi editori e media company nei settori più diversi, prolificano televisioni aziendali o istituzionali, comunitarie, universitarie, di partito, di quartiere, i singoli cittadini possono diventare essi stessi canale televisivo. Naturalmente tutto via web. Contemporaneamente stanno cambiando le abitudini mediali a favore di un maggiore protagonismo dell’utente, non più ricevente passivo ma produttore egli stesso di contenuti. Nelle parole di Charles Leadbeater (in Pellegrini, 2007, p. 44): Le società moderne si sono sviluppate nel contesto dei mass media e della produzione industriale di comunicazione, il che ha immancabilmente influenzato la nostra percezione-visione di dove provengono le idee, di dove si forma il dibattito politico, di chi può fare informazione e di chi, invece, è solamente uno spettatore da divano. Oggi siamo nel bel mezzo di un cambiamento radicale, dalla produzione per le masse alla produzione delle masse. Proviamo a tracciare un quadro della situazione attuale:

1. La televisione sta perdendo il suo appeal sul pubblico, soprattutto quello giovane e che dispone della banda larga, abituato ad una fruizione diversa dei contenuti e ad un nomadismo sulle diverse piattaforme multimediali. Nello spazio dell’abitare quotidiano si assiste alla progressiva dissoluzione del

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primato della televisione come medium dominante a favore delle comunicazioni digitali (Rivoltella, 2006, Ferri, 2008).

2. Il passaggio dalla logica broadcast a quella narrowcast ha frammentato in modo irreversibile l'audience: il modello push che prevede la spinta verso la massa indefinita di telespettatori dei pochi contenuti decisi dai pochi produttori è ormai in declino; i canali tematici, la televisione on demand, la netvisione propendono verso un modello pull che decreta la sovranità del consumatore. Il mainstream generalista e “nazionalpopolare” è destinato a ridimensionarsi in una società in cui i prodotti culturali di massa sono affiancati da una serie di generi e sottogeneri di nicchia.

3. La sfida apportata ai vecchi media dalla rivoluzione digitale deve indurre gli editori ad un cambiamento di rotta e pensare in termini di channel neutrality, come suggerito dal vicepresidente di Benchmark Capital, il più importante venture capital europeo specializzato nei media, Mark Evans: «l'editore del futuro dovrà essere channel agnostic, e i suoi prodotti dovranno essere pensati per approdare su diversi media» (in Pellegrini, p. 66).

4. La diffusione di Internet sta dimostrando errata la tesi della televisione broadcast secondo la quale la couch viewing (visione passiva da divano) è quella preferita dall'utente. E' sempre più evidente, ricorda John Naughton, come la passività dello spettatore fosse dovuta a carenze tecnologiche più che «a un intrinseco difetto della natura umana» (in ivi, 2007, p. 70).

5. La maggiore diffusione della banda larga amplificherà quanto appena descritto come risulta dalla ricerca (fig. 2) effettuata dalla Ofcom, autorità inglese per le telecomunicazioni: sono gli italiani a dichiarare una maggiore disaffezione al mezzo televisivo (41%), seguiti da francesi (34%) e cittadini del Regno Unito (33%); i più affezionati risultano essere gli americani (il 21% dichiara di guardare meno tv).

6. I media digitali hanno aumentato luoghi e contesti di visione – da desk, su schermi sparsi per le città e in luoghi chiusi (digital signage), sui monitor di telefonini, lettori dvd e apparati multimediali, installazioni videoartistiche su monitor che si integrano tra di loro - e modificato il tipo di fruizione, ipertestuale, in movimento, interattiva. Nella sala cinematografica e in parte in televisione lo spettatore viene portato a spasso dalle tecniche di regia, vede ciò che viene inquadrato dall'obiettivo; nei nuovi terminali l'occhio, nel rapporto che viene a crearsi con la logica multischermo/multilevels, ha una maggiore libertà d'azione, non è più stabile. Lo sguardo diventa mobile. Nella logica delle interfacce tipiche del computer, diverse finestre coesistono nella stessa schermata: lo zapping televisivo è sostituito dai movimenti oculari, ad un montaggio orizzontale si sostituisce un montaggio verticale.

Televisione e nuovi media Il quadro appena descritto va inserito nello scenario complessivo della nuova società della conoscenza e dell’informazione, dell’ambiente tecnologico postmoderno. Scenario contraddistinto dall’emergere dei nuovi media intesi non come dispositivi tecnici ma come strumenti che hanno un impatto sulle nostre pratiche sociali, culturali, comunicative, professionali (Manovich, 2002, Jenkins, 2007, Ferri, Mizzella, Scenini, 2009, Castells 2003). Siamo nell’era della transizione mediale contraddistinta, come spesso accade nel campo delle invenzioni, da scelte strategiche unite a conseguenze accidentali e soprattutto da territori di frontiera in continuo

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movimento e direzioni ipotetiche. Per queste ragione risulterebbe fuorviante dare una visione linerare di questo scenario, ricco, secondo Henry Jenkins (2006, p. xxxv), di diverse prospettive e punti di vista: Pubblicitari in lotta che si contendono il mercato, artisti creativi che scoprono nuovi modi di raccontare storie, educatori che individuano comunità di apprendimento informale, attivisti che usano nuove risorse per plasmare il futuro politico, gruppi religiosi che contestano tendenze culturali e, naturalmente, le comunità di fan che fungono sempre più da pionieri creativi dei media emergenti. Senza alcuna pretesa di esaustività è comunque possibile indicare alcuni principi ispiratori del panorama mediale contemporaneo, principi che non riguardano uno sterile elenco di strumenti e nuove tecnologie ma pratiche culturali individuate da studiosi del settore. Innovativo. I cambiamenti tecnologici negli ultimi decenni sono stati velocissimi ed hanno investito con la forza di un cataclisma prassi comunicative, processi economici, attività lavorative, educative, sociali e culturali. I cambiamenti sono stati così evidenti al punto tale da introdurre il termine nuovi media in contrapposizione ai media classici. Tale distinzione riguarda logiche distributive (uno/molti contro molti/molti), modalità produttive (contrapposizione alto/basso), forme espressive (linearità vs ipertestualità, mono-medialità vs crossmedialità), attività di fruizione (personale vs fruizione di massa), tipologia di documenti (analogico contro digitale). Nuovi media compaiono ad un ritmo vertiginoso, alcuni di questi scompaiono, altri vengono adottati e assorbiti dalle pratiche mediali e culturali. La rete intesa non soltanto come Internet ma come logica iper-mediale (relazione tra tutti i media) rappresenta un cambio di paradigma nel modo di comunicare. Su questo tutti gli studiosi sono concordi. Oggi nel cyberspazio il singolo documento si trova in una rete globale all'interno della quale ogni frammento informativo costituisce un tassello di una grande "enciclopedia" universale. Rete di reti, cooperazione "anarchica" di punti informatici o singoli individui, accesso a infinite banche dati, autostrade dell'informazione, processi di fusione di settori prima separati (telecomunicazioni, informatica, editoria, televisione ecc.). Le potenzialità di crescita non sono ancora esaurite e la cultura di rete non ancora consolidata, ma è già possibile affermare che lo sviluppo degli strumenti della comunicazione si inserisce in uno scenario innovativo contraddistinto da una mutazione di ampia portata e dagli sviluppi imprevedibili. Altro segnale, frutto della rapidità con cui le tecnologie compaiono nella nostra società, è la percezione che le attività consentite dalla rete, dalla televisione digitale, dagli apparati di comunicazione mobile ecc. determinano un impoverimento culturale, sociale e umano. Convergente. Lo scenario della convergenza è esemplificato molto bene da Jenkins attraverso il racconto del viaggio di un’immagine creata con photoshop dallo studente liceale filippino-americano Dino Ignacio nell’autunno del 2001. L’immagine, raffigurante Bert (personaggio della serie animata per bambini Sesame Street, in onda negli Stati Uniti dal 1970) accanto al leader terrorista Osama Bin Laden e pubblicata nel sito del ragazzo, viene scelta da un editore del Bangladesh e stampata su magliette, poster e cartelli anti-americani. Dalla stanza di Dino Ignacio il collage finisce sul web e poi in Medio Oriente. Qui attraverso i poster Bert e Bin Laden arrivano in una manifestazione anti-americani ripresa dalle telecamere della CNN. Le immagini televisive riportano il collage negli Stati Uniti, oltre che nei salotti degli spettatori di tutto il mondo, dove alcuni rappresentanti del Children’s

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Television Workshop e creatori della serie Sesame Street indignati per tale uso “spiacevole e disgustoso dei loro personaggi” minacciano di intraprendere un’azione legale. In seguito alcuni fan continuano a pubblicare in diversi siti altri personaggi della serie televisiva associati a volti di terroristi. Il documento creato da Ignacio nella sua cameretta oltre ad aver acceso una controversia internazionale ha fatto il giro del mondo ed è diventato oggetto di culto. Benvenuti nella Cultura Convergente, dove i vecchi e i nuovi media collidono, dove si incrociano i media grassroots e quelli delle corporation, dove il potere dei produttori e quello dei consumatori interagiscono in modi imprevedibili (Jenkins, p. XXV).

(Narrazione) Cross-mediale o trans-mediale. La nuova drammaturgia cross-mediale soppianta le logiche della scrittura e della sceneggiatura tradizionale e si avvicina al consumo dello spettatore post industriale. Da qui la necessità di realizzare progetti editoriali e di comunicazione nei diversi settori - informazione, spettacolo, intrattenimento, didattica, aziendale, pubblicitario - in modo integrato. Incrociando i mezzi e facendoli interagire gli uni con gli altri in modo sempre più suggestivo, contaminato e partecipato dal pubblico, sfruttando in primis il potenziamento emozionale del racconto e la messa a punto di drammaturgie alternative di fruizione e condivisione (Giovagnoli 2005, p. 10). Giovagnoli per esemplificare questa nuova modalità espressiva, ancora poco studiata dalle discipline che fanno capo al settore delle scienze della comunicazione, descrive una possibile nuova fruizione di una puntata del commissario Maigret. Alla televisione è collegato un set-top-box19 che vi permetterà di interagire con le immagini del commissario. In un angolo dello schermo, in basso, un link vi consente in ogni momento di entrare nel sito ufficiale della serie per saperne di più sulla vita e il "curriculum" di Maigret. Nell'interfaccia del sito esiste inoltre un'area games in cui è possibile, come in un vecchio cluedo trovare tutte le schede degli indiziati e il minuzioso rapporto della scientifica sul caso. Sulla scrivania ai piedi della Tv c'è ancora, capovolta, una copia dell'ultima edizione di Maigret e il cadavere scomparso. Alla copertina del libro è incollata la custodia di un CD che contiene una lettura in lingua originale del libro più una serie di esercizi grammaticali e pronuncia da svolgere (e verificare eventualmente con un assistente telefonico, oppure online). Tornate con gli occhi sullo schermo. Sulle ultime immagini trasmesse scorre il testo di un sottopancia. Vi avverte che stasera alle 21, in diretta su una radio locale, potrete ascoltare un'intervista fatta all'ultimo traduttore del libro, e un vecchio intervento di repertorio del regista (ormai scomparso) del film. Da domani a questa stessa ora, infine, sarà possibile - chiamando un certo numero - conoscere direttamente via SMS l'identità dell'assassino o, con un piccolo filmato disponibile sui videofonini rivedere la scena clou in cui Maigret è riuscito anche stavolta a smascherare il colpevole. Ovviamente in tutte le edicole del paese è già disponibile da un paio di settimane l'intera serie a fumetti delle avventure del commissario, e nelle giocherie sono stati distribuiti per tempo tutti i gadget legati alla promozione del progetto (Giovagnoli 2005, p. 11).

I nuovi testi diventano aperti (Arcopinto, 2011) alla possibilità di aggiornamento

19 L'apparecchio, delle dimensioni di un videoregistratore, che consente di ricevere il segnale digitale e di utilizzare le applicazioni multimediali e interattive associate ai programmi e ai canali televisivi nella televisione digitale terrestre.

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continuo da parte degli autori e alla partecipazione dei consumatori (Jenkins). Ciò determinerà il superamento del racconto inteso come prodotto finito (Arcopinti) e la trasformazione del concetto di autore nei prossimi 50 anni (Umberto Eco), nonché la trasformazione della filiera produttiva e il sistema di protezione del lavoro intellettuale (copyright). Naturalmente un progetto di comunicazione molti-mediale necessita, da un lato, di capacità di adattamento dei contenuti, in funzione delle caratteristiche dei diversi linguaggi mediali, dall'altro, di un coinvolgimento culturale e fisico del fruitore-esploratore (per guardare, navigare, approfondire, scegliere, intervenire, collaborare, creare ecc.). Partecipativo. Partecipazione: dal latino pars, parte, e capere, prendere. Il prender parte, il concorrere e il collaborare a un'impresa di comune interesse, lo stabilire una relazione con altri su un tema specifico. Secondo questa definizione la partecipazione è un agire personale e responsabile finalizzato a determinare, insieme ad altri, l'indirizzo della vita comune. Ha pertanto un rapporto molto stretto con la politica, la società, la cultura e indica l'esistenza di una società civile ricca e pluralistica, mobile e informata, che si muove in un territorio situato tra le logiche della rappresentanza e quelle dell'esercizio attivo e non delegato. In questa sede ci interessano le logiche partecipative legate ai media e ai processi culturali e favorite, in questo ambito, da un lato, dai processi di demediazione (Missika, 2007), de-professionalizzazione, autorialità diffusa, dall’altro, dall’aumento delle potenzialità tecnologiche dei media in direzione dell’interattività. A proposito del rapporto tra interattività e partecipazione, al fine di definire meglio il nostro campo di interesse, ci sembra interessante proporre la definizione che ne ha dato Henry Jenkins (2009): L’inter-attività è una proprietà della tecnologia, mentre la partecipazione è una proprietà della cultura. La definizione di Jenkins sposta la logica della cultura partecipativa da una visione tecnocentrica verso competenze culturali finalizzate all’uso delle tecnologie, da parte dell’utente medio, in modo nuovo. La partecipazione riguarda quindi cambiamenti culturali piuttosto che dispositivi tecnologici, tecnologie e pratiche d’uso si fondono all’interno di un ecosistema mediale che consente attività sociali, culturali, produttive. La cultura partecipativa sta emergendo man mano che la cultura assorbe - e reagisce - all’esplosione delle nuove tecnologie mediali che rendono possibili, per il consumatore medio, attività come l’archiviare, il commentare, l’appropriarsi e il rimettere in circolo contenuti mediali in nuovi e potenti modi. (Jenkins, 2009, p. 69) Nelle indicazioni di Jenkins (2009, p. 57) la cultura partecipativa è una cultura con barriere relativamente basse per l’espressione artistica e l’impegno civile, che dà un forte sostegno alle attività di produzione e condivisione delle creazioni e prevede una qualche forma di mentorship informale, secondo la quale i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti. All’interno di una cultura partecipativa, i soggetti sono convinti dell’importanza del loro contributo e si sentono in qualche modo connessi gli uni con gli altri (o, perlomeno, i partecipanti sono interessati alle opinioni che gli altri hanno delle loro creazioni). Le forme della cultura partecipativa, continua Jenkins, comprendono l’essere utenti, in maniera formale e informale delle community online (AFFILIAZIONE); la produzione di materiali

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creativi (ESPRESSIONI CREATIVE); attività lavorativa in gruppi formali o informali per sviluppare nuove conoscenze come accade con Wikipedia o con le attività di spoiling20 (PROBLEM SOLVING DI TIPO COLLABORATIVO); la modellazione del flusso dei media (CIRCOLAZIONE).

Tale attività, frutto da un lato dell’evoluzione degli ambienti web 2.0, dall’altro, dalle abitudini mediali delle nuove generazioni, ha un valore importante, ormai riconosciuto, rispetto alla possibilità di apprendimento collaborativo tra pari, alla creazione di nicchie di espressioni culturali prima escluse dalle logiche editoriali, allo sviluppo di capacità e competenze ormai necessarie in tutti i contesti lavorativi. La possibilità di accedere a questa nuova cultura partecipativa ha la funzione di articolare una nuova forma di curriculum implicito, che delinea quali ragazzi avranno successo e quali saranno lasciati indietro, sia nel mondo dell’istruzione che in quello del lavoro (Jenkins, 2009, p. 58). E’ evidente allora come sia importante un intervento politico e pedagogico funzionale ad evitare il gap di partecipazione e a favorire l’acquisizione di competenze indispensabili a vivere nella società dell’informazione e della conoscenza. Tali interventi devono quindi avere valenza educativa ed abilitare i nuovi cittadini all’esercizio dei diritti di cittadinanza e alla partecipazione a pieno titolo alla cultura contemporanea. Così come indicato nel 2006 dalla Commissione Europea, partecipare attivamente a questo processo non significa avere accesso alle tecnologie informatiche ma sviluppare competenze digitali: Il saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione per il lavoro, il tempo libero, la comunicazione. Essa è supportata da abilità di base nelle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC): l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet21.

Questo in linea con la definizione data dal New London Group (in Jenkins, 2010, p. 62) al concetto di educazione: Se fosse possibile definire in senso ampio l’obiettivo dell’educazione, si potrebbe dire che il suo scopo primario è assicurare che tutti gli studenti traggano vantaggio dall’apprendimento in modo tale da partecipare pienamente alla vita pubblica, comunitaria, (creativa) ed economica. E’ importante sviluppare capacità che abilitano alla partecipazione funzionale ad attività di produzione. In particolar modo nel mondo dei media l’attività autoriale dal basso (grassroot) sta diventando un motore di trasformazione culturale, come testimoniato da un rapporto del 2005 su The Future of Indipendent Media (Blau, 2005 in Jenkins 2010): questo tipo di energia proveniente dal basso genererà un’enorme creatività, ma metterà anche in crisi alcune delle categorie che organizzano la vita e il lavoro dei produttori di media. (...) Sta emergendo una nuova generazione di spettatori e produttori di media, che potrebbe portare a un cambiamento epocale nel modo in cui i media vengono prodotti e consumati.

20 Inizialmente il termine era riferito a qualsiasi rivelazione di informazioni relative ad un programma televisivo che potrebbero non essere note a tutti i partecipanti di una lista di discussione in Internet. In seguito, lo spoiling ha riguardato il processo attivo di inseguimento di notizie non ancora trasmesse in televisione. 21 Commissione Europea, Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a Competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE).

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Intelligenza collettiva. I nuovi media e le tecnologie informatiche, in particolar modo quelle che consentono attività collaborative in rete, favoriscono il processo di intelligenza collettiva. Tra i progetti più noti si citano l'enciclopedia Wikipedia22, l'organizzazione giornalistica Indymedia, i blog, YouTube. Pierre Lévy, uno dei maggiori studiosi di intelligenza collettiva, sostiene come questa pratica collaborativa planetaria sia il fine più elevato di Internet.

Che cos'è l'intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l'intelligenza collettiva (Pierre Lévy)23.

Tale concetto non è comunque nuovo ed è stato affrontato da filosofi e studiosi di diverse discipline anche in altri ambiti. Si può intendere per intelligenza collettiva la capacità di una comunità di risolvere i problemi tramite la collaborazione. Il concetto in questo caso trae origine dalla biologia e fa riferimento alla cooperazione tra singoli organismi: è il caso delle api in un alveare o delle formiche. L'intelligenza collettiva è anche alla base delle organizzazioni umane, in particolar modo della comunità scientifica dove le scoperte sono sempre pubblicate e verificate da altri scienziati. Nei sistemi di intelligenza collettiva ogni singolo individuo offre la propria cognizione a beneficio della comunità, ottenendo in cambio quella degli altri, dell'intera comunità. Tale processo è stato descritto come un modo di funzionamento dell’intelligenza che permette ad una comunità di cooperare mantenendo prestazioni intellettuali affidabili (Tom Atlee, Douglas Engelbart, Cliff Joslyn, Ron Dembo), oppure come la possibilità di una comunità umana di evolvere verso una capacità superiore di risolvere problemi, di pensiero e di integrazione attraverso la collaborazione e l'innovazione (George Pòr, 1995). Fra gli autori più moderni si possono invece citare Pierre Lévy (1994), Howard Bloom (2001), Howard Rheingold (2003). L’intelligenza collettiva assume anche le vesti di un manifesto politico che sottolinea la possibilità di sfruttare lo sviluppo delle reti e delle attività collaborative per rendere effettiva la democrazia, intesa come partecipazione diretta dei singoli. Wikinomics. Cambiando le strategie di comunicazione, cambiano inevitabilmente anche i modelli economici. In un ambiente ridisegnato dalle nuove tecnologie, l'informazione e la conoscenza stanno reinventando se stesse e i loro modelli di business. Imprese che operavano in settori industriali distinti - telefonia fissa e mobile, Internet, televisione, stampa ecc... - convergono sulle reti a protocolo IP e quindi lavorano su mercati simili. L’informazione digitale è contraddistinta da un paradigma comunicativo fondato sull’uso sociale della Rete (Social Networking), sulla Tagging Strategy, sulla User Generated Content, sulla Clip Culture e sulla Viral Communication (propagazione dei clip attraverso il passaparola digitale, alla

22 Wikipedia è un sistema enciclopedico universale online fondato sulla collaborazione collettiva, in grado di coprire in maniera completa e accurata qualsiasi branca dello scibile umano, obiettivo impossibile per il singolo individuo. 23 L’intelligenza collettiva, Parigi-European IT Forum, intervista in «Mediamente», Rai Educational, 4.9.1995, http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy.htm

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stessa velocità con cui si propaga un virus e in modo incontrollabile) della cui formula “magica” vorrebbero impossessarsi tutti gli addetti al marketing e alla promozione. Non è però, ancora chiaro se il nuovo ambiente digitale e le nuove forme di distribuzione dei contenuti portino nuove opportunità oppure minore libertà a proposito della remunerazione per il lavoro creativo (Lucchi, 2009). Di sicuro, il successo del contenuto non dipende dagli investimenti pubblicitari, come accade nel mondo dei mass media, ma dalle nuove regole del cyberspazio più inclini alla trasparenza e alla meritocrazia. E’ il giudizio del popolo del web che può decretare il successo dei contenuti online. Conseguentemente le strategie economiche devono necessariamente considerare questo nuovo scenario contraddistinto dalla disintegrazione del mainstream (industria dell'intrattenimento e dello spettacolo del secolo scorso incentrata su pochi prodotti di successo per tanti) in un mercato di frammenti culturali diversi e milioni di nicchie. Nell'analisi di Chris Anderson (in Mizzella 2009, p. 248) il tramonto del mainstream ci introduce nell'era della coda lunga: Potendo contare su un numero pressoché infinito di "scaffali” i negozi online (Amazon, eBay, Rhapsody, iTunes) ottengono grandi guadagni dalla "coda lunga" delle "non hit", ovvero tutti quei prodotti di nicchia ignorati dal mercato di massa. Per la prima volta nella storia, hit e nicchie sono sullo stesso livello economico, entrambi voci in un database che vengono richiamate a richiesta, entrambe ugualmente degne di essere trattate. All'improvviso, la popolarità non detiene più il monopolio della redditività. Il nuovo ruolo attribuito al consumatore, non più utente passivo ma produttore egli stesso di messaggi, spinge alcuni economisti a parlare di economia collaborativa, ossia un modello più funzionale al paradigma comunicativo del web 2.0 e quindi ad una produzione orizzontale e democratica di informazione e conoscenza. Don Tapscott e Anthony D. Williams introducono il concetto di wikinomics che riguarda l’insieme dei «profondi cambiamenti strutturali e operativi che la grande impresa e la nostra economia stanno vivendo, cambiamenti basati su nuovi principi competitivi come l’apertura, il peering, la condivisione e l’azione su scala globale» (in Ferri, Mizzella, Scenini, pp. 266-67). Secondo i due autori, «stiamo entrando in una nuova era nella quale la gente parteciperà all’economia come non ha mai fatto finora. (...) le nuove forme di collaborazione di massa stanno cambiando il modo in cui i beni e i servizi vengono inventati, prodotti, promossi e distribuiti in tutto il mondo. (...) Ciò permette alla gente di partecipare all’innovazione e alla creazione della ricchezza in tutti i settori dell’economia» (in Ferri, Mizzella, Scenini, p. 267).

1.4 Il video Al mondo della comunicazione audiovisiva appartiene la modalità espressiva, di derivazione televisiva, definita genericamente video: quegli usi cioè leggeri e portatili, personali, indipendenti, artistici, sociali dell’immagine elettronica esplorata e praticata al di fuori degli studi, delle emittenti, degli apparati insomma della produzione-diffusione della TV commerciale o di Stato (Lischi, 2005, p. 12). Le tecnologie di produzione (di ripresa e montaggio) sono identiche a quelle utilizzate dalle televisioni anche se di norma vengono impiegate attrezzature meno costose perché il livello qualitativo richiesto dal mercato del video è inferiore a

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quello necessario per trasmettere sui grossi broadcaster nazionali e internazionali. La tecnologia video è direttamente legata ai sistemi televisivi di videoregistrazione portatili messi a punto nella seconda metà degli anni Sessanta. Nel 1967 compaiono negli Stati Uniti le prime telecamere e i videoregistratori portatili; nel decennio successivo diminuiscono dimensioni del nastro e fanno la loro comparsa i videoregistratori a cassette. Da quel momento in poi i formati, sia professionali (U-Matic, betacam, betacam sp) che amatoriali (betamax e vhs) si moltiplicano fino ad arrivare agli attuali formati digitali. Il video o videotape viene salutato come una vera e propria rivoluzione nel sistema dei media audiovisivi.

La video rivoluzione

1. nascono i sistemi a circuito chiuso; 2. il video sostituisce l’uso delle piccole cineprese super-8 nelle

produzioni private, amatoriali, famigliari; 3. da un punto di vista espressivo e comunicativo il video si rivela

adatto agli autori portati alla ricerca e alla sperimentazione; 4. consente a chiunque di esprimersi attraverso il linguaggio delle

immagini in movimento: inizia quel processo che si conclude con la messa a punto delle ultime tecnologie digitali attraverso cui si semplifica la lavorazione audiovisiva e si abbattono i costi di realizzazione;

5. determina l’aumento delle produzioni audiovisive in tutti quei settori che non necessitano di una distribuzione televisiva o cinematografica: video didattici, industriali, di promozione turistica, personali ecc., distribuiti su dvd e altri supporti digitali;

6. aumentano i video di documentazione di eventi censurati o trascurati dal sistema tradizionale dei media, video di controinformazione collegati al più recente fenomeno di mediattivismo.

Realizzare audiovisivi per le televisioni significa di norma seguire procedure lavorative industriali e altamente codificate: al fine di garantire ai loro sponsor il più alto numero di spettatori possibile, i canali televisivi utilizzano format e un linguaggio omologato comprensibile allo spettatore medio. Fare sperimentazione in televisione è pertanto difficile. Al contrario il video, non sottoposto alle ferree leggi del mercato, consente una maggiore autonomia creativa. Non è forse un caso che questo strumento nasca in un periodo, gli anni Sessanta, di grande fermento sociale, culturale, artistico. Il video nasce in questo contesto e viene salutato come il medium più adatto a esprimere le istanze, a documentare quotidianamente quanto accade, a veicolare rapidamente quella che allora si chiamava “controinformazione”, non solo in campo politico ma anche in campo culturale e artistico. Tanto che ben presto viene coniato uno slogan significativo: VT is not TV, il videotape non è televisione. Si può quindi dire che il video, figlio della tecnologia televisiva, è un medium che si affianca alla TV e insieme se ne distacca: è la forma indipendente che assume l’immagine elettronica; schematizzando un po’, sta agli apparati televisivi come il cinema indipendente sta a quello hollywoodiano; contempla l’uso artistico della TV ma anche usi controinformativi; si distacca dai generi e dalle durate codificate; esplora tematiche che i media lasciano in ombra. (…) Possiamo dire che per certi aspetti il video è “la

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televisione che non c’è”, la televisione che avrebbe potuto essere, una televisione in grado di esplorare e valorizzare appieno il proprio linguaggio e di riservare uno spazio all’arte, alla sperimentazione, a una narratività innovativa, alla ricerca di nuove forme espressive, di nuovi generi, di nuove modalità sia informative sia spettacolari; e allo stesso tempo possiamo dire che il video raccoglie forme anomale e non codificate di “cinema”, dal corto d’animazione al documentario, allo sperimentale (ivi, pp. 26-27). Alla luce della diffusione dei nuovi apparati di registrazione, il video è diventato una sorta di “protesi”dei sensi del nuovo cittadino digitale che consente di vedere, ascoltare, registrare e trasmettere in tempo reale. Un dato di fatto che sta mettendo in crisi i dogmi di alcune professionalità – si pensi ad esempio al mondo del giornalismo televisivo – e le classiche strutture mediali.

Reporter diffuso (Carelli, 2004, pp. 43-44) Internet sta cambiando il ruolo stesso del giornalista all’interno della società. La prova di questo cambiamento è apparsa agli occhi di tutti durante i tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001. Come spiega chiaramente Michele Mezza (2001) all’interno del suo saggio “E’ l’innovazione, bellezza!”, nel momento in cui, alle 8.45 di quella limpida mattina di settembre, un allibito pompiere che lavorava ai piedi delle Twin Towers ha alzato l’obiettivo della sua camera digitale riprendendo inconsapevolmente quella che è divenuta l’immagine simbolo del nuovo millennio, è svanita l’ultima illusione dell’indispensabilità del giornalista-testimone. In quel momento, il più clamoroso evento globale della storia è entrato contemporaneamente nelle case di almeno un miliardo di persone in tutto il pianeta. Secondo il sito www.journalism.net circa l’80% delle informazioni che arrivarono alla gente in tutto il mondo nelle tre ore successive alla tragedia – in forma audio, video o scrittura – non ebbe un’origine professionale. Si costituiva così, di fronte alla platea più sterminata che un messaggio comunicativo abbia mai avuto, un nuovo soggetto dell’informazione che comunemente viene chiamato reporter diffuso, testimone dell’evento di cui si trova a essere protagonista. (…) Molto è stato ripreso e trasmesso direttamente dai protagonisti stessi della tragedia in corso, senza alcuna mediazione professionale. Al punto da poter dire che l’evento si è in qualche modo auto-rappresentato. (…) Un dato di fatto che, nel momento in cui tutti possono essere testimoni della notizia e soprattutto avere i mezzi per registrarla e diffonderla, sta mettendo in crisi il vecchio dogma del giornalismo secondo cui la testimonianza diretta è l’essenza stessa della professione, ciò che maggiormente la legittima. Nessuna testata giornalistica, per grande che possa essere, potrebbe mai avere una copertura informativa pari a quella del reporter diffuso, presidio sociale della gente che è naturalmente presente sui luoghi degli eventi, essendone improvvisamente e inaspettatamente protagonista.

1.5 Televisione via Web

Esistono diverse tecniche attraverso cui trasmettere segnali televisivi: alcune - via etere, cavo o satellite - costose, limitate in termini numerici e controllate da poteri

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economici o politici; altre, grazie alle tecnologie digitali, più accessibili e, in particolare quella via web, poco costosa, illimitata, libera. Grazie alle tecnologie di streaming24 a partire dalla metà degli anni Novanta diventa possibile inserire su Internet contenuti audio e successivamente anche video. Si parla a questo proposito di televisione on line o più semplicemente di WebTV. Ma di che tipo di televisione si tratta? Possiamo ancora utilizzare il termine televisione per indicare una modalità comunicativa bidirezionale, personalizzata, interattiva, libera, diversa da quella monodirezionale e passivizzante della tv classica? Un primo lavoro di analisi deve allora indagare il rapporto, le analogie, tra i due sistemi comunicativi: la tv tradizionale e la tv su web. Una ricerca condotta all’interno del dipartimento INDACO e della Facoltà del Design del Politecnico di Milano, ha analizzato le seguenti problematiche (Galbiati, Piredda, 2010): quale relazione esiste fra comunicazione broadcasting e social networking? Quali bisogni emergono da parte dell’utente? Quali sono i formati emergenti e come cambiano i processi dell’industria dei contenuti audiovisivi e le pratiche del progetto? I risultati sono consultabili in un volume che propone il contributo del design al sistema delle nuove televisioni:

1. ruolo della WebTV nella comunicazione contemporanea; 2. audiovisivi di rete come sistemi di contaminazione espressiva e come nuovo

strumento pubblicitario per la comunicazione di marca; 3. in che modo i generi tv continuano a rappresentare un riferimento e come si

contaminano con altri linguaggi? 4. come si trasforma la serialità televisiva? Che ruolo assume sul Web e come si

confronta con la frammentarietà dell’accesso ai contenuti e con i nuovi modelli di fruizione?

I contenuti video sono l’elemento principale che le accomuna, la modalità di fruizione e di interazione ciò che più separa questi due mondi ancora molto lontani, ma sinergici:

1. La tv è un medium sociale attorno a cui si adunano valori socialmente condivisi, il computer è un medium individuale che tende ad escludere i soggetti tecnologicamente non abilitati.

2. La tv è un medium lineare e non consente interazione, il computer consente di sfruttare l’efficacia comunicativa dell’immagine e dei suoni (come la tv) e la possibilità di approfondimento e di interazione offerti dagli strumenti della rete (retevisione).

3. La tv è monodirezionale, passivizzante, controllata da grossi gruppi editoriali; la webtv è libera, bidirezionale, personalizzata, collaborativa, è pubblicazione di video, videoblog, screencast, video live con webcam,

24 Lo streaming media permette la trasmissione di un contenuto multimediale, come l'audio o il video, tramite server e attraverso reti a banda larga (broadband). In particolare lo streaming consente la visualizzazione del file video non appena il primo blocco di dati (packet) arriva al computer dell'utente eliminando in questo modo le lunghe attese di download. C'è soltanto un breve periodo di buffering, in cui una risorsa di memoria viene utilizzata per memorizzare il primo packet e per prevenire eventuali ritardi nella riproduzione dovuti alla congestione della rete (De Rosa, 2001, pp. 2-6).

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condivisione di video, trasmissione in diretta di manifestazioni, sedute politiche, lezioni universitarie, eventi pubblici o privati. E' mandare in rete il segnale proveniente da una telecamera accesa 24 ore al giorno su una piazza, una spiaggia, la propria stanza ecc. E’ dare la possibilità a aziende, università, associazioni, istituzioni, scuole, singoli individui di creare la propria televisione.

Tutto ciò la tv che conosciamo non lo ha mai fatto e, inoltre, forme, durate, linguaggi e contenuti della televisione on line sono debitori del paradigma comunicativo imposto dalla rete e dalla cosiddetta clip culture. Da un punto di vista terminologico proponiamo pertanto l’utilizzo di netvisione per indicare forme di comunicazione a base di immagini in movimento e suoni fruibili in rete.

Le forme della net-tv Il fare televisivo diventa uno strumento comunicativo a disposizione di tanti: nascono nuovi editori e media company nei settori più diversi, prolificano televisioni aziendali o istituzionali, comunitarie, universitarie, di partito, di quartiere, i singoli cittadini possono diventare essi stessi canale televisivo. Quello che accadrà non è ancora chiaro: molti si interrogano sulle prospettive; alcuni sperimentano per cercare di capire se esistono modelli di business in grado di reggere uno sforzo produttivo comunque gravoso. Di sicuro il successo del video in rete è indiscusso: rappresenta un modo di comunicare più coinvolgente della parola o dell’immagine statica, è un linguaggio di facile comprensione, immediato ed emozionale (si pensi al ruolo della colonna sonora), sicuramente vicino al sentire della net-generation. I modelli: dirette delle tv broadcast; contenuti trasmessi da grandi network tradizionali e in seguito pubblicati online (tv on demand); grandi archivi di contenuti; televisioni create per il web con una propria linea editoriale e con una propria modalità comunicativa: per dialogare con pubblici mirati (Business tv, corporate tv), per creare un’alternativa alla tv tradizionale (street tv, Babelgum tv, Current tv ecc.), per utilizzare il linguaggio televisivo in diversi ambiti (didattica a distanza, pubbliche amministrazioni ecc..), per creare comunità (tv universitarie, di piccoli comuni); siti che contengono prodotti audiovisivi accanto ad altri documenti; generi nati appositamente per la rete: dal fenomeno UGC fino alle web series (Freaks, Lost in Google, web documentari); videoportali o aggregatori di contenuti (YouTube, Vimeo, Google video). Quello che accadrà non è ancora chiaro: molti si interrogano sulle prospettive; alcuni sperimentano per cercare di capire se esistono modelli di business in grado di reggere uno sforzo produttivo comunque gravoso. Di sicuro il successo del video in rete è indiscusso: rappresenta un modo di comunicare più coinvolgente della parola o dell’immagine statica, è un linguaggio di facile comprensione, immediato ed emozionale (si pensi al ruolo della colonna sonora), sicuramente vicino al sentire della net-generation. Le modalità comunicative: il fenomeno User Generated Content

Il fenomeno User Generated Content (UGC) va inquadrato nel nuovo ambiente Web 2.0. Il Web 1.0 era monodirezionale e gli utenti Internet avevano perlopiù la possibilità di consultare le informazioni prodotte da chi controllava il software e le

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applicazioni. Il Web 2.0 è bidirezionale, non è più soltanto una fonte di informazioni, chiunque può assumere un atteggiamento attivo e diventare produttore di contenuto. Queste caratteristiche trasformano il Web in una piattaforma per la partecipazione, da parte degli utenti, al processo della produzione dei contenuti (UGC), le cui manifestazioni più evidenti sono il citizen journalism, i blog, Flickr, YouTube, Wikipedia, Second Life, i Social Network (Facebook, LinkedIn, MySpace, Netlog). Non più gestione di contenuti curati da professionisti attraverso applicazioni di Content Management System ma sistemi aperti ai contributi degli utenti. Alla voce User Generated Content su Wikipedia, l’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) ha definito tre caratteristiche centrali per gli UGC. Requisiti di pubblicazione. I contenuti devono essere pubblicati in un contesto per essere visti, che sia su un sito internet accessibile da tutti o su una pagina di un social network ristretto a un gruppo selezionato di persone. Questo è un modo per escludere e-mail, chat e simili. Sforzo creativo. Nella costruzione del materiale o nell’adattamento di qualcosa di preesistente deve essere chiaro l’intervento personale e creativo degli utenti. Per esempio, copiare un pezzo di uno show televisivo e “postarlo” in un sito web che pubblica materiale video non può essere considerato UGC. Se un utente carica le sue fotografie, oppure esprime i suoi pensieri in un blog o crea un video musicale, questo può essere considerato UGC. Non è comunque semplice stabilire quale sia il livello minimo di sforzo creativo ammissibile, e rimane una valutazione dipendente dal contesto. Creazione al di fuori delle pratiche e delle routine professionali. Il contenuto generato dagli utenti è generalmente creato fuori dalle routine e dalle pratiche professionali. Spesso non ha un contesto di mercato istituzionale o commerciale. Alla base ci sono fattori motivazionali: la connessione con altri utenti, ottenere un certo livello di notorietà, prestigio e il desiderio di esprimersi. In certi casi la produzione di contenuti da parte di soggetti specializzati viene affiancata o sostituita dalla produzione degli utenti non professionisti la cui azione - per la loro massa, passione, possibilità di intervento in tempo reale - si può rivelare più incisiva di quella delle redazioni di società editoriali. Autorialità diffusa

Il Web 2.0 è una rivoluzione tecnologica, comunicativa, culturale. E' una esplosione di creatività che ha dato voce ai senza voce. Milioni di individui, giovani e non, studenti e lavoratori, nel tempo libero danno sfogo alle loro passioni: suonano, scrivono, realizzano video, discutono di arte, cultura, spettacolo, fanno informazione ecc. I contenuti generati dagli utenti (UGC) possono trovare spazio sui blog, oppure alimentare grandi basi dati – le piazze virtuali quali MySpace o YouTube – per avere potenzialmente accesso a un'audience mondiale. Rivoluzione riconosciuta dal Time che ha assegnato, con la motivazione riportata parzialmente di seguito, la prestigiosa copertina dell'anno 2007 all'utente-autore: “You”. (...) Chi sono queste persone? Seriamente, chi, dopo una dura giornata di lavoro, si siede e dice: “Bene, questa sera non guardo Lost. Accendo il computer e creo un video con la mia iguana domestica come protagonista”? Oppure “Mi faccio un bel mix con la voce di 50 Cent e le sonorità dei Queen? O ancora: “Metto giù un bel blog su come mi sento, o sulle condizioni del paese, o sulle patate fritte in quella nuova rosticceria dietro l'angolo”? Chi ha il tempo, l'energia, la passione per tutto questo?

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La risposta è: voi. E per prendere in mano i media globali, per fondare e definire la nuova democrazia digitale, per lavorare in cambio di niente e battere i professionisti sul loro stesso terreno? Sempre voi. Voi siete la persona dell'anno 2006 di Time. Certo, è un errore mitizzare queste novità più del necessario. Il Web 2.0 convoglia su di sé la stupidità delle masse non meno della loro intelligenza. Alcuni dei commenti che si leggono su YouTube fanno trepidare per il futuro dell'umanità anche solo per la loro ortografia, per non parlare delle oscenità e dell'odio in cui ci si imbatte. Ma è proprio questa miscela che rende tanto interessante il Web 2.0: è un esperimento sociale su scala di massa e, come ogni esperimento che vale la pena di tentare, potrebbe anche fallire. Non abbiamo idea di come un organismo che non è un batterio possa vivere e collaborare su un pianeta con oltre 6 miliardi di abitanti. Ma il 2006 ci ha dato qualche indicazione. Si tratta di un'opportunità di costruire un nuovo tipo di inter-relazioni internazionali, non da politico a politico, da VIP a VIP, ma da cittadino a cittadino, da persona a persona. E' un'opportunità affinché le persone possano guardare lo schermo di un computer e chiedersi con sincerità e genuinità chi c'è lì dietro che comunica con loro. Avanti, allora. Non dite che non siete almeno un po' curiosi. Siamo in presenza di una profonda rivoluzione culturale: «La tecnologia esce dal dominio ristretto delle tecniche per diventare attore caratterizzante di un’intera civiltà (...). Entra nella quotidianità e assume forme familiari. Sostituisce o si ibrida con i media e costituisce l’habitat degli umani nel secolo XXI» (Ricciardi, 2009, p. 37). La nuova attività del prosumer contraddistinta dalla sintesi produzione-fruizione determina pertanto importanti cambiamenti negli apparati produttivi e nel rapporto tra industria culturale e consumo. Un segnale evidente è l’aumento della produttività come risulta dalla ricerca How much information?2003 (Lyman & Varian, 2003), anche se la produzione dal basso, del dilettante, «non genera valore se non in misura modesta rispetto ai professional e alle imprese» (Ricciardi, 2009, p. 39). Il rapporto tra produzione dall’alto e produzione dal basso, tra professionisti e dilettanti, apre nuovi scenari e dibattiti che investono aspetti economici, culturali, scientifici, normativi ecc.: «cultura underground e libera, cultura di élites globali e nello stesso tempo popolari (Jenkins, 2006), oppure cultura per il profitto e per la realizzazione di business» (Ricciardi, 2009, p. 39). Problema evidente già da diversi anni nel rapporto tra il giornalista professionista e il reporter diffuso o citizen/grassroots journalists - l’informazione si sta trasformando da “lettura” a “conversazione” orizzontale e in tempo reale (Gillmor, 2004 in Ferri, Mizzella, Scenini 2009) - e che adesso sta investendo diversi altri settori. Più in generale non si può non essere d’accordo con Jenkins (2006, pp. XLVII) quando afferma la necessità per i produttori di rinegoziare il loro rapporto con i consumatori: I pubblici, resi più potenti dalle nuove tecnologie, occupano uno spazio di intersezione tra vecchi e nuovi media e rivendicano il diritto di partecipazione culturale. I produttori che falliscono l’accordo con questa nuova cultura partecipativa dovranno affrontare un calo di consensi e di vendite. I conseguenti conflitti e compromessi definiranno la cultura pubblica del futuro. Il web diventa un ambiente dinamico (un beta perpetuo) e l’architettura partecipativa che lo contraddistingue trasforma l’utente, consentendogli di aggiungere continuamente valore ai servizi offerti, in co-sviluppatore. L’indipendenza dei dati prodotti e la relativa messa in discussione del concetto di autore nel senso classico del termine accanto alla centralità dei contenuti rappresentano la vera rivoluzione culturale e sociale dei nuovi ambienti digitali. L’aumento dei contenuti prodotti dagli utenti sta influenzando le dinamiche economiche dell’industria culturale ed editoriale. Le logiche imprenditoriali dei grossi gruppi editoriali, già segnate, come descritto nella prima parte del testo, dalla frantumazione del mainstream in milioni di frammenti culturali, risentono anche della filosofia user-centrista fondata sullo scambio gratuito dei contenuti prodotti da loro stessi.

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Questo nuovo paradigma comunicativo fondato sull’assenza di “professionalità” ha acceso il dibattito sulla qualità dei contenuti user-generated e sulla cultura partecipativa. In uno dei suoi post Jenkins è intervenuto “in difesa della spazzatura” (p. 308): Non bisogna ridurre il valore della cultura partecipativa ai suoi prodotti, bisogna invece pensare al suo processo. Pensate per un momento a tutti i corsi d’arte e di scrittura creativa che si tengono nelle scuole di tutto il mondo. Pensate, per esempio, a quanti bambini imparano a produrre vasi d’argilla. Non glielo insegniamo perché pensiamo che molti di loro da adulti diventeranno ceramisti di professione. In effetti, molti di loro produrranno solo blocchi informi di argilla che solo una mamma può apprezzare (...). Lo facciamo perché vediamo un valore nel processo di creazione di qualcosa, nell’apprendere a manipolare l’argilla o quello che si ha a disposizione. In altre parole, c’è un valore nella creazione, del tutto indipendente dal valore che attribuiamo poi al frutto dell’atto creativo. In questa prospettiva, l’allargamento del numero di quanti possono creare e condividere con altri quello che hanno creato è importante anche se nessuno di noi produce nulla di meglio dell’equivalente letterario di un grumo informe di argilla che verrà apprezzato da coloro a cui è destinato (la mamma o la comunità dei fan) e da nessun altro. Si è già detto come l’abbattimento delle barriere d’accesso al settore della comunicazione audiovisiva abbia aumentato le possibilità produttive e consentito ad aziende, organizzazioni, singoli individui di poter utilizzare per i propri scopi una nuova forma espressiva. Tutto ciò grazie al processo definito da Jean-Louis Missika (2007) di demediazione ossia la possibilità di comunicare senza la mediazione degli apparati (televisivi, radiofonici ecc.) controllati da grossi network e gruppi editoriali. Collegato al fenomeno della demediazione vi è quello della de-professionalizzazione: basti pensare a tutte quelle situazioni - video e foto realizzati con i telefonini, blog, microgiornalismo ecc. - in cui l’utente non professionista produce documenti che entrano nel circuito della trasmissione delle informazioni. Naturalmente in questa sede non si sta valutando il problema deontologico, della qualità e dell’attendibilità delle fonti, tematiche che giocano al contrario a favore ad esempio del giornalista professionista. Quello che a noi interessa è sottolineare come, sempre di più, i media digitali e gli strumenti del web 2.0 favoriscano una logica autoriale: il web partecipativo è fondato sul lavoro di milioni di persone che continuamente inseriscono in rete contenuti digitali (video, foto, musica, blog, informazioni, creazione di interi mondi virtuali come Second Life, pagine su facebook, contributi su wikipedia ecc.). Questo cambiamento ci conduce da un mondo di consumatori passivi ad un mondo di comunità di utenti sempre più attivi. Stiamo assistendo ad una esplosione di creatività e alla nascita di nuove modalità espressive, impensabili nell'epoca della produzione industriale. Spesso le creazioni sono banali, non sono ossia creative se diamo a questo temine una connotazione qualitativa. Altre volte ci si imbatte in contributi molto interessanti. Affascinanti paiono molti lavori rientranti nel genere remix o mush-up. Il remix prevede l'utilizzo di materiali esistenti, programmi televisivi soprattutto, rimontati e manipolati con intenti critici, ironici oppure solo per gioco. Il mush-up è invece un genere musicale in cui l'operazione di manipolazione prevede l'accostamento della traccia vocale di una canzone con la base musicale di un'altra. Molto diffusa è la pratica attraverso la quale si realizza un prodotto audiovisivo - definito machinima - utilizzando materiali provenienti da videogiochi e da mondi sintetici (Second Life, IMVU). Su IMVU in particolare è comparsa la "prima musicista virtuale", la cantante inglese Lady Wallas che utilizza il proprio avatar nei videoclip e che ha realizzato il video d'esordio (Lady Wallace Sings) quasi interamente in IMVU. E' importante, infine, sottolineare come tale modo di lavorare, basato sul riuso di materiale d'archivio e che produce opere

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definite "derivate" da un punto di vista normativo, rischia di violare la legge sul copyright. Da diverse parti ci si chiede come mai si è spinti a creare e condividere contenuti online. Secondo John Palfrey e Urs Gasser (2009) diverse sono le motivazioni. La creatività intanto è insita nell'essere giovani. Si produce poi per motivi economici. Anshe Chung ha creato un’impresa di costruzioni sintetiche all’interno di Second Life che impegna 80 dipendenti occupati a costruire edifici e spazi urbani venduti in dollari veri. La ricerca della fama è un’altra ragione. Stevie Ryan ad esempio è diventata una star grazie alla sua serie di video distribuiti su YouTube che vedono protagonista Cynthia, diciottenne latino-americana più nota come Little Loca. I casi di persone comuni diventate famose grazie al video online sono tantissimi. Accanto a queste ragioni ve ne sono altre “più alte”, di impegno etico, sociale, civile. Il desiderio di esprimere e condividere le proprie idee e opinioni attraverso forme di comunicazione coinvolgenti spinge tante persone ad operare nel mondo della produzione video a basso costo, oltre che naturalmente in quello dei blog, del microgiornalismo ecc.. La realizzazione di documenti “dal basso” investe più in generale il problema del controllo della produzione culturale non più da pochi a tanti secondo la logica dei mass media e dei vecchi intermediari (agenzie, case editrici, produttori, professionisti dell’industria dei contenuti) ma da molti a molti. Tutti possono esprimersi, parlare e raggiungere una vasta platea: “ormai non è più veritiero affermare che Rupert Murdoch e Katie Couric sono gli unici a poter dire al mondo come si sono svolti i fatti. Nell’era digitale migliaia di persone descrivono i momenti importanti e creano le icone della nostra cultura. E i nuovi intermediari, come i motori di ricerca Google e Baidu, o come Microsoft e Daily Motion, le aziende che sviluppano tecnologie e offrono servizi, si stanno facendo strada, rimpiazzando i vecchi giganti dell’informazione” (Palfrey, Gasser, p. 180). I nativi digitali sono la prima generazione consapevole della loro centralità nei processi culturali che diventano in questo modo sempre meno industriali e più eterogenei, di nicchia, rappresentativi delle diverse istanze, tradizioni, credenze, modi di vita ecc. Pluralismo, partecipazione e molteplicità culturale favoriscono dunque i processi democratici. Tutto ciò è imprenscindibile da un maggior alfabetismo digitale, maggiore sarà il numero di persone in grado di creare significati culturali all’interno di una nuova forma di cittadinanza digitale più solida sarà questa democrazia partecipata. Il fenomeno dell’autorialità diffusa investe per queste ragioni il problema educativo. La possibilità che i giovani hanno di produrre documenti e distribuirli in rete senza la necessaria preparazione comporta dei rischi, comunicativi e qualitativi da un lato, deontologici, etici e normativi dall’altro. Afferma a tale proposito Rivoltella (2010, p. 49): “Crediamo che una delle ragioni principali del cosiddetto cyber-bullismo stia proprio in questo: la scarsa consapevolezza di quel che comporta l’essere autori. Un problema che non è senza conseguenze rispetto al modo di concepire l’educazione a essi rivolta, spesso ancora eccessivamente preoccupata di formare il lettore critico dei messaggi, mentre invece dovrebbe trattarsi piuttosto di formare (anche) un autore responsabile”. L’essere autori investe inoltre, come ricordato da Rivoltella (2010), il sistema della scuola digitale e l’introduzione nelle classi 2.0 di LIM, mobile device ed e-book, tutti dispositivi che necessitano di studenti attivi. “Tutto questo promuove un ritorno della didattica laboratoriale, rompe la frontalità della lezione, attiva gli studenti che si trovano coinvolti in un processo di costruzione culturale educandosi nel controllo della scrittura quando essa è rivolta allo spazio pubblico, nella prospettiva della cittadinanza attiva e della Information Literacy” (Rivoltella, 2010, p. 86). I modelli

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di insegnamento/apprendimento dovrebbero tener conto di questa ondata di “giovani autori” e individuare strategie didattiche “che considerino gli studenti non ‘vasi da riempire’ ma talenti di cui favorire la crescita e le potenzialità” (Ferri, p. 2). Alcuni dati sulle modalità espressive giovanili. I dati riportati di seguito sono frutto di un’indagine osservativa effettuata su un campione di n. 20 video (nessuno dei quali rientrante nella categoria “video di montaggio”) realizzati presso il centro di aggregazione giovanile (NOTA) da giovani con età compresa tra i 15 e i 18 anni, frequentanti il liceo scientifico e l'istituto professionale di Argenta. Questa attività ha consentito un’analisi delle modalità espressive utilizzate dai giovani autori argentani e la loro consapevolezza rispetto all’utilizzo del linguaggio delle immagini e dei suoni, il modo con cui utilizzano le diverse tecnologie (telecamera, telefonino ecc.), nonché la loro consapevolezza rispetto alla problematica del copyright. L’indagine ha evidenziato: Utilizzo strumentale del linguaggio audiovisivo. La modalità comunicativa dominante (per non dire unica!) è il piano sequenza, si utilizza cioè lo strumento di ripresa (telecamera/telefonino) in sostituzione dei nostri occhi. Si registra ciò che si osserva senza porsi il problema della mediazione linguistica, non c'è una sottolineatura di un dettaglio significativo, di un volto, di una situazione generale attraverso impiego di codici visivi o sonori. Questo dato che accomuna tutto il mondo open content del Web 2.0, ossia la diminuzione della qualità nella creazione di contenuti, è ampiamente bilanciato dal valore democratico, partecipativo e relazionale che ne consegue. «Possiamo pensare sempre più la Rete come ambiente nel quale la dimensione di produzione di contenuti da parte degli individui e le pratiche culturali correlate si intersecano con una realtà che unisce forme riflessive dell’individualità e percorsi collettivi dell’essere in relazione con gli altri: ciò che muta è cioè la percezione dell’essere in relazione a partire dalla messa in connessione delle esperienze attraverso i contenuti che produciamo nei media digitali» (Kazis 2008, in Boccia Artieri, 2009). Tecnica poco curata. Da un punto di vista tecnico la fotografia non è curata, non vi sono tracce di inquadrature costruite né di soluzioni di montaggio: qualsiasi tentativo di messa in scena è legato al caso. Lo strumento di ripresa preferito, nonostante il centro di aggregazione abbia messo a disposizione telecamere, microfoni e stazioni di videoediting, è risultato il telefonino. Scomparsa del racconto ed individualismo. La funzione dei video non è quella di “dire qualcosa”, raccontare una storia tratta dalla fantasia o dalla realtà. Il telefonino o la videocamera testimoniano ciò che accade o ciò che viene appositamente costruito per la ripresa e la successiva distribuzione online (su You Tube). Tutto con il tentativo di stupire, meravigliare o in chiave autocelebrativa22. La logica della condivisione, fondante all’interno dei paradigmi comunicativi 2.0, appare secondaria rispetto alla voglia di mostrarsi, l’esibizionismo, caratterizzato da un certo individualismo, sembra prevalere sulle attività di collaborazione. Difficoltà di lavorare su progetti lunghi. Open Media Educational ha gestito attività educative (due giorni la settimana, dalle 16:00 alle 18:00, per un periodo di 6 mesi, da dicembre 2007 a giugno 2008) condotte da un educatore affiancato da un esperto di produzione audiovisiva, con il fine di coinvolgere i frequentatori del centro di aggregazione intorno ad attività di comunicazione video. Le attività hanno previsto le seguenti fasi di lavoro, scandite non in modo cronologico: conoscenza e socializzazione, discussioni libere, scelte dei temi di interesse dei giovani da affrontare successivamente attraverso la produzione di uno o più video, documentazione e progettazione, effettuazione delle riprese e del montaggio, analisi e verifica, discussione. Questo lavoro ha evidenziato la difficoltà ad operare su

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progetti collettivi di lunga durata: le presenze, nonostante il tipo di attività coinvolgente, sono risultate discontinue (la media di presenza complessiva dei 10 giovani di età compresa tra i 14 e i 18 anni è risultata pari al 40%, con una punta massima del 65% e una minima del 25%). Risulta evidente da questi dati come i comportamenti dei giovani siano rivolti al raggiungimento immediato di un desiderio/risultato piuttosto che all’ottenimento dello stesso attraverso un processo lungo e duraturo. Del resto non si può pensare ai giovani come a degli autori competenti, in modo particolare quando si confrontano con linguaggi, come quello del video, che a scuola non vengono studiati. Hanno di sicuro, come detto, una fiducia naturale nel rapporto con la tecnologia e di conseguenza, al contrario degli adulti, non sono spaventati dalle macchine (Williams, 1999). Ma non si può non essere d’accordo con Buckingham (2006, p. 190) quando afferma: “La maggior parte dei giovani sono comunque ancora piuttosto lontani dall’essere ‘cyber-kids’ autonomi: sono incerti, mancano di informazioni, e sono spesso frustrati dal fatto che la tecnologia non mantenga le sue promesse nei risultati. Dobbiamo iniziare dal provare a scoprire ciò che i giovani effettivamente sanno, e riconoscere che è possibile che ci sia ancora molto da imparare”.

Comunicazione virale In un contesto in cui i mercati sono sempre più iperframmentati e i consumatori sempre più disinteressati e scettici nei confronti della comunicazione delle imprese, quest’ultime stanno usufruendo di tecniche non convenzionali per promuovere i propri prodotti e/o servizi25. La comunicazione è sfruttata, cioè, in modo innovativo e originale per sopperire alle lacune del marketing tradizionale nella veicolazione dei messaggi aziendali26. Adottare pratiche non convenzionali significa sfruttare l’attività di World of Mouth (WOM), passaparola tra le persone, ritenuto da sempre il miglior metodo pubblicitario. Lo strumento di marketing non convenzionale che verrà preso in esame in questo lavoro è il viral marketing, il quale, identifica prodotti o campagne che hanno in sé la propensione a diffondersi spontaneamente tra le persone, esattamente come un virus27. Si tratta di una strategia stimolante che può essere indotta attraverso differenti media28 anche se la Rete è il canale più utilizzato per questo tipo di comunicazione. Il viral video, ad esempio, sfrutta a pieno le potenzialità del web: esso si realizza grazie alla diffusione online di un breve filmato che, per la sua originalità, stimola il passaparola tra gli utenti generando in modo autonomo una diffusione a “macchia d’olio”. Le applicazioni web 2.0 consentono di ampliare la comunicazione virale generando in rete un effetto buzz (passaparola effettuato ad altissima frequenza). I documenti si propagano attraverso il passaparola digitale, alla stessa velocità con cui si propaga un virus e in modo incontrollabile al punto che tutti gli addetti al marketing e alla promozione vorrebbero impossessarsi della formula magica che sta dietro la comunicazione virale. Il termine “virale” viene

25 B. Cova, A. Giordano, Marketing non- convenzionale. Viral, guerrilla, tribal e i 10 principi fondamentali del

marketing postmoderno, Il Sole 24 Ore, 2008, p.31 26 http://www.nuovomarketing.altervista.org/viralmarketing.htm (consultato il 31.03.11)

27 http://www.ninjamarketing.it/2011/03/25/che-cose-il-marketing-non-convenzionale-primi-passi/ (consultato

31.03.11)

28 http://www.nuovomarketing.altervista.org/index.htm (consultato il 31.03.11)

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utilizzato per la prima volta nel 1997 da Steve Jurvetson e Tim Draper per indicare il successo ottenuto dal servizio di posta elettronica “Hotmail” che è riuscita a rendere il suo brand un “genoma contagioso” ed inserirlo direttamente all’interno di un organismo sociale.29 Era il 4 luglio del 1996, quando i fondatori di Hotmail, Jack Smith e Sabeer Bhatia, lanciarono quella che passerà alla storia come la prima azione di marketing virale di successo. Nessun video, nessun sistema di sharing peer to peer, niente giochini divertenti e sofisticati, né tanto meno contenuti html avanzati.30 Solamente un semplice testo che compariva alla fine di ogni messaggio inviato (da una casella di posta hotmail.com), sotto forma di Post Scriptum:

P.S. Get your free e-mail account at http://www.hotmail.com

Il marketing virale comporta uno sforzo principalmente nella fasi iniziali quando occorre far appello alla creatività per trovare un’idea originale che sia una solida base per la propria campagna virale. La diffusione esponenziale dell’idea che si può ricavare successivamente, è totalmente nelle mani degli utenti che, spesso, si ritrovano ad essere testimonial inconsapevoli del prodotto/servizio. Un chiaro esempio di quanto affermato si ritrova nel caso appena citato: ogni utente di Hotmail, spedendo messaggi a decine e centinaia di persone, ha fatto una potentissima pubblicità del sito, anche perché il “testimonial” era assolutamente credibile: l’utente/promotore usava un ottimo servizio di mail gratuito e a sua insaputa lo proponeva ai suoi amici e conoscenti.31

1.6 I media audiovisivi mobili Il numero dei terminali su cui ricevere immagini in movimento è altissimo e la presenza pervasiva dei linguaggi audiovisivi indiscussa. Questo strapotere della televisione sta per invadere con lo sviluppo della Tv mobile anche il territorio, già occupato da telefonia e radio, degli spostamenti. Secondo l’Autorità per le comunicazioni entro il 2010 ci saranno in Europa 25 milioni di terminali Dvb-h (Digital video broadcasting handheld, tecnologia di trasmissione video adottata in Europa) di cui 5 milioni in Italia; 125 milioni gli utenti mondiali.32 La televisione diventa portatile attraverso il TVfonino o il Videofonino e consente la fruizione dei programmi durante gli spostamenti. E' come avere la tv in tasca. Sarà possibile informarsi, vedere film e tutti quei programmi disponibili sui canali digitali terrestri, grazie alla compatibilità tra i due sistemi. La sfida consiste nel capire quali contenuti potranno funzionare nella cosiddetta snack tv:33 ri-trasmissione di interi palinsesti, re-packaging di programmi tradizionali in pillole di breve durata, canali tv pensati esclusivamente per la trasmissione sui videotelefonini (vedi l'iniziativa di

29 http://www.nuovomarketing.altervista.org/influenzavirale.htm (consultato il 31.05.2011) 30 http://www.nobrandagency.com/articoli-marketing/marketing-virale-nobrand.pdf (consultato il 31.05.2011) 31 http://www.verymarketingpeople.com/?p=32 (consultato il 01.06.2011)

32 DVB-H è una tecnologia trasmissiva in tutto e per tutto televisiva con una resa qualitativa migliore dell'UMTS. Si prevede che i ricavi legati alla televisione mobile saranno circa 10 miliardi di dollari entro il 2010 non a caso intorno a questa nuova tecnologia si concentrano gli interessi dell’industria dell’information technology. 33 La fruizione della mobile tv può essere paragonata ad uno snack consumato velocemente mentre la tv tradizionale equivale alla cena completa consumata in casa.

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H3G), trasmissione di programmi ripresi 24 ore al giorno (reality show), format fondati su innovazione di prodotto. Pertanto, oltre al “trasloco” dei classici programmi televisivi, questa nuova modalità comunicativa avrà bisogno di materiali funzionali ad una visione da passeggio e su schermo piccolo, da vicino, spesso in piedi, nei luoghi e nelle situazioni più diverse: le esigenze ancora in parte sconosciute del pubblico della tv mobile saranno sicuramente diverse da quelle dello spettatore casalingo. L’industria dei contenuti deve considerare questi aspetti. Di certo la durata dei nuovi format dovrà essere molto breve secondo la logica della televisione in pillole: flash di informazioni e avvenimenti sportivi avranno uno spazio importante e lo stesso sarà per i video musicali e in genere per tutti quei programmi con struttura modulare che consentono un consumo estemporaneo, entrate e uscite veloci dal flusso del palinsesto. Il canale televisivo americano Fox ha adattato una sitcom di successo The Simple Life in episodi, detti mobisodes, della durata di un minuto ciascuno. Secondo i dati di una ricerca della Bocconi effettuata nel mese di maggio del 2006 ( Di Chio, 2006, p. 254) rispetto alle preferenze dei programmi visibili su telefonino, al primo posto ci sono le news (20 %), seguite da sport e programmi televisivi (15 %), infine la musica (10%). Con riferimento ai dati sulle modalità di consumo, i momenti della giornata preferiti dai fruitori di tv mobile sono la mattina dalle 08:00 alle 9:30, l'ora del pranzo, tra le 12:00 e le 14:30, nel tardo pomeriggio dalle 18:00 alle 20:00 e in tarda serata, dalle 22:30 alle 24:00. Bisogna naturalmente considerare come questi dati siano riferiti ad un pubblico ancora ristretto, che spende in media 15-20 minuti al massimo davanti lo schermo a 2 pollici. Accanto ai format televisivi di nuova generazione centrali saranno i servizi person to person.