Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

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SOMMARIO QUESTIONI D'OGGI IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR Antonino Di Geronimo Pag. 1117 LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA Rossella Di Lullo " 1137 BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP Renato Loiero Luciana Marino " 1145 DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALE E FATTURAZIONE ELETTRONICA Simone La Rocca " 1161 LA SPECIALE CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE "UMANITARIA": QUALE AMBITO DI APPLICAZIONE Angela Baraldi " 1185 ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE Valeria Zito " 1191

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SOMMARIO

QUESTIONI D'OGGI

IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONIALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

Antonino Di Geronimo Pag. 1117

LE NUOVE NORME DI CONTRASTOALLE FRODI IVA

Rossella Di Lullo " 1137

BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIOIN TEMA DI IRAP

Renato Loiero

Luciana Marino " 1145

DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALEE FATTURAZIONE ELETTRONICA

Simone La Rocca " 1161

LA SPECIALE CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE"UMANITARIA": QUALE AMBITO DI APPLICAZIONE

Angela Baraldi " 1185

ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMADIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

Valeria Zito " 1191

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DOTTRINA

I PROFESSIONISTI GIURIDICO-CONTABILI

NELLE STRATEGIE ANTIRICICLAGGIO

Umberto Di Nuzzo Pag. 1213

LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO:

BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO

Antonina Giordano " 1239

TECNICA PROFESSIONALE

TRATTAMENTO IVA DELLE CURE MEDICHE

EFFETTUATE DA SOGGETTI NON ABILITATI

ALL'ESERCIZIO DELLE PROFESSIONI

Giangaspare Donato Toma " 1261

L'APPORTO DI CAPITALE PROPRIO

E L'EFFETTIVITÀ DEI COSTI NEL SISTEMA

DELLA L. 488/1992

Elia Carmelo Pallaria

Giuseppe Furciniti " 1273

L'EVOLUZIONE DEL CONCETTODI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA.RIFLESSI OPERATIVI

Renzo Nisi " 1293

L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONENELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

Gianluca Filippi

Mario Landi " 1311

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LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIADI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGEFINANZIARIA 2005

Antonio Mancazzo Pag. 1329

MODELLI DI TASSAZIONE DEL REDDITO DI GRUPPO:LE SCELTE DEL LEGISLATORE FISCALE ITALIANOTRA TEORIA E PRATICA

Federico Toffoli " 1347

STORIA

I TRIBUNALI AD HOC DELLE NAZIONI UNITE:UN CASO SCUOLA, IL TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALEPER IL RUANDA

Isidoro Palumbo " 1361

RASSEGNE

DOCUMENTI a cura di Gaetano Nanula " 1381

NOTE A SENTENZE a cura di Salvatore Gallo " 1415

NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA a cura di Francesco Sciarretta " 1421

CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COMUNITÀ EUROPEA a cura di Lorenzo Salazar " 1429

GIURISPRUDENZA PENALE MILITARE a cura di Giuseppe Scandurra

Donatella Scandurra " 1433

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DIRITTO PENALE DELL'ECONOMIA a cura di Bruno Assumma Pag. 1439

RASSEGNA MILITARE a cura di Osvaldo Cucuzza " 1443

MASSIMARIO a cura di Salvatore D'Amato " 1447

LEGISLAZIONE E PRASSI AMMINISTRATIVA a cura di Marco Di Pierdomenico

Cosimo Lamanuzzi " 1455

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA a cura di Redazione " 1461

RECENSIONI a cura di Redazione " 1467

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ANGELA BARALDI

Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Crema.

ANTONINO DI GERONIMO

Dirigente della Direzione Regionale Agenzia delle Entrate Emilia Romagna.

ROSSELLA DI LULLO

Funzionario dell'Agenzia delle Entrate di Ravenna.

UMBERTO DI NUZZO

Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante del Nucleo Regionale pt Toscana. Titolato Corso Superiore di Polizia Tributaria.

GIUSEPPE FURCINITI

Capitano della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Nucleo Regionale pt Calabria.

GIANLUCA FILIPPI

Maggiore della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Generale.

ANTONINA GIORDANO

Direttore Tributario presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze.

MARIO LANDI

Capitano della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Generale.

Gli autori

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SIMONE LA ROCCA

Capitano della Guardia di Finanza, in servizio presso il Comando Nucleo

Regionale pt Lazio.

RENATO LOIERO

Consigliere parlamentare del Senato della Repubblica.

ANTONIO MANCAZZO

Maggiore della Guardia di Finanza, Comandante del Nucleo Provinciale pt

Ravenna.

LUCIANA MARINO

Funzionario tributario presso il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria.

RENZO NISI

Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante Gruppo Verifiche

Speciali del Nucleo Regionale pt Lombardia. Titolato Corso Superiore di Polizia

Tributaria.

ELIA CARMELO PALLARIA

Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante Gruppo Investigativo

Criminalità Organizzata del Nucleo Regionale pt Calabria.

ISIDORO PALUMBO

Avvocato. Consigliere Giuridico Militare, docente di Diritto Internazionale dei

Conflitti Armati presso l'Università Cattolica "Sacro Cuore".

FEDERICO TOFFOLI

Dottore Commercialista.

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GIANGASPARE DONATO TOMA

Tenente Colonnello della Guardia di Finanza, Comandante Gruppo Repressione Frodi del Nucleo Regionale pt Friuli-Venezia Giulia.

VALERIA ZITO

Avvocato.

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11174/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

Il regime fiscale delle partecipazioni alla luce del nuovo Tuir (*)

di Antonino Di Geronimo

1. Premessa - 2. Cessioni di partecipazioni immobilizzate. La participation exemption (Pex) - 2.1 Chi può fruire dell'esenzione? - 2.2 Requisiti delle partecipazioni per fruire della Pex - 3. Rapporti tra regime Pex e operazioni straordinarie nell'ambito del reddito d'impresa

1. Premessa

La riforma del sistema fiscale statale avviata con la legge delega 7 aprile 2003, n. 80, è caratterizzata - da un punto di vista teorico e strutturale - da un nuovo assetto dei rapporti tra la fiscalità delle società e quella dei soci che si basa sul criterio di tassazione del reddito al momento della produzione anziché all'atto della sua distribuzione.

A tal fine è prevista l'irrilevanza reddituale dei dividendi distribuiti e l'esenzione delle plusvalenze realizzate in occasione della cessione delle partecipazioni che rispondono a determinati requisiti. Tali istituti consentono di cristallizzare l'imposizione a titolo definitivo in capo alla società partecipata - che ha prodotto la base imponibile - in quanto:

- sono parzialmente esclusi (in linea generale per il 95 o per il 60% del loro ammontare, a seconda del soggetto percettore) da tassazione i dividendi distribuiti ai soci (1);

(*) Il presente articolo riproduce, con adattamenti ed integrazioni, soprattutto per quanto concerne le note, il testo della relazione illustrata dall'Autore nel corso del seminario "Ires e Finanziaria 2005: i principali riflessi sull'attività dell'Amministrazione Finanziaria", svoltosi a Ravenna il 4 marzo 2005 ed organizzato congiuntamente dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ravenna e dagli Uffici dell'Agenzia delle Entrate di Faenza, Lugo e Ravenna.

(1) È appena il caso di osservare, in linea con diversi commentatori della riforma, che tale

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ANTONINO DI GERONIMO

1118 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

- vengono considerate esenti (parzialmente o totalmente a seconda dei casi) le plusvalenze da cessione delle partecipazioni con simmetrica indeducibilità delle minusvalenze e dei relativi costi.

L'assunto sistematico da cui muove l'istituto dell'esclusione da imposizione dei dividendi e la corrispondente esenzione delle plusvalenze si riconnette ai criteri economici di formazione delle plusvalenze e, in particolare, alla circostanza che il plusvalore realizzato in occasione della cessione di una partecipazione è costituito da utili già conseguiti (o conseguibili in futuro) dalla partecipata, i quali hanno già scontato (o sconteranno) in via definitiva le imposte presso il soggetto che li produce.

La stretta correlazione tra i due istituti è evidenziata dal fatto che:

- per i soggetti Ires è prevista a fronte dell'imponibilità del dividendo per il 5%, un'esenzione totale della plusvalenza;

- per i soggetti Irpef (futura Ire) è prevista, in entrambi i casi, con totale simmetria, un'imponibilità parziale nei limiti del 40% del loro ammontare (2).

Contestualmente all'introduzione della Participation Exemption nel nostro ordinamento tributario è stata prevista l'indeducibilità:

- delle svalutazioni di partecipazioni comunque classificate, sia che attengano a partecipazioni che si qualificano per il regime Pex, sia che non si qualifichino a questi fini;

- delle minusvalenze realizzate nel caso di cessione della partecipazione in società, con o senza personalità giuridica, rientrante in regime Pex

aspetto, che comporta il superamento integrale del previgente sistema del credito d'imposta fruibile dal socio, potrebbe dare luogo a fenomeni di doppia imposizione economica che, evidentemente, sono stati ritenuti tollerabili dal legislatore negli equilibri teorici del nuovo sistema fiscale. Sarà evidentemente la prima applicazione delle regole in commento a dare lumi circa l'insorgenza (certa) di tali fenomeni e della loro sostenibilità da parte dei soggetti passivi dell'imposizione diretta.

(2) Si rammenti al riguardo il trattamento transitoriamente riservato agli enti non commerciali, secondo cui, pur essendo tali enti tenuti alla determinazione del proprio reddito complessivo alla stregua di un soggetto passivo dell'Irpef, essi vedranno attrarre a tassazione i dividendi percepiti nella misura del 5% - art. 4, comma 1, lett. q) della L. 80/2003.

(segue nota)

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IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

11194/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

(art. 101 Tuir); saranno invece deducibili le minusvalenze attinenti alla cessione di partecipazioni non Pex;

- dei costi direttamente connessi con la cessione delle citate partecipazioni (anche attraverso un'apposita variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi) (3).

Dal punto di vista operativo occorre tener conto di una sorta di regime transitorio che mette in collegamento le svalutazioni di partecipazioni operate ante riforma con il regime in argomento.

In tal senso il D.L.vo 344/2003 dispone che:

- vanno assoggettate a tassazione le plusvalenze relative alle azioni o quote realizzate entro il secondo periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2003 fino a concorrenza delle svalutazioni dedotte nello stesso periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2003 e nel precedente; di conseguenza il regime Pex, operante dal 1° gennaio 2004, sarà applicabile per la quota parte di plusvalenza che eccede l'ammontare delle svalutazioni dedotte. Scopo della norma, come è evidente, è quello di sterilizzare l'effetto potenzialmente elusivo collegabile alla svalutazione operata, su partecipazioni che si prevedeva di cedere in regime di participation exemption al fine di godere di un doppio beneficio (4), consistente nella svalutazione fiscalmente rilevante nel precedente regime e nell'esenzione della plusvalenza nel nuovo sistema;

- simmetricamente, le svalutazioni delle stesse azioni o quote sopra richiamate, riprese a tassazione nel periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2003 e nel precedente, sono deducibili se realizzate entro il secondo periodo d'imposta a quello in corso al 31 dicembre 2003;

- per le svalutazioni delle azioni o quote operate fino al periodo d'imposta antecedente a quello in cui si applicano le nuove

(3) I termini "esente" ed "escluso" da tassazione non sono fungibili, almeno ai fini che qui interessano. Infatti alle plusvalenze che si qualificano per l'esenzione, corrispondono costi correlati indeducibili, mentre ai dividendi, che si caratterizzano come proventi esclusi da tassazione, si connettono dei costi deducibili, ai sensi dell'art. 109 del nuovo Tuir.

(4) Che avrebbe finito con il concretizzare un irrimediabile salto d'imposta, implicitamente ma sicuramente disapprovato dall'ordinamento.

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ANTONINO DI GERONIMO

1120 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

disposizioni in materia di partecipazioni, continuano ad applicarsi anche successivamente i criteri di deduzione pro quota stabiliti dall'art. 1, comma 1, lett. b) del D.L. 209/2002. La ratio della norma emerge chiaramente dalla relazione governativa secondo la quale essa risulta finalizzata a garantire che le quote di svalutazione operate ai sensi del predetto decreto, configurano diritti acquisiti che la riforma non influenza. Del resto è da escludere, ad avviso - condivisibile - dell'Agenzia delle Entrate, la possibilità di anticipare la deduzione delle residue quote anche se a seguito della cessione della partecipazione dovesse realizzarsi una minusvalenza.

Ulteriore, strategico, obiettivo della riforma è quello di incentivare i trasferimenti di complessi aziendali per mezzo della cessione delle partecipazioni societarie che li rappresentano in alternativa alla cessione diretta, che viene scoraggiata attraverso la soppressione dell'imposta sostitutiva del 19% prevista dall'art. 1 del D.L.vo 8 ottobre 1997, n. 358.

2. Cessioni di partecipazioni immobilizzate. La participation exemption (Pex)

L'art. 87 del nuovo Tuir, attuando i criteri direttivi di cui all'art. 4, comma 1, lett. c) ed e) della legge delega per la riforma del sistema fiscale interno (legge 7 aprile 2003, n. 80), ha dunque introdotto nell'ordinamento tributario una novità assoluta: l'istituto della c.d. participation exemption (d'ora in avanti sinteticamente denominata Pex) (5). È stata infatti stabilita, per i soggetti passivi dell'Ires (6), l'esenzione da imposizione per le plusvalenze da realizzo di partecipazioni in società, con o senza personalità

(5) Scopo dichiarato di tale innovazione è quello di adeguare - eliminandone svantaggi competitivi - il sistema fiscale nazionale a quello vigente in altri Paesi europei (come l'Austria, l'Olanda, il Belgio, la Danimarca, la Spagna, il Lussemburgo e, più recentemente, anche la Germania); Paesi nei quali avevano finito - o avrebbero finito - per localizzarsi numerosissime holding per sfruttare, appunto, le esenzioni ivi accordate in occasione della cessione delle partecipazioni.

(6) Le modifiche normative, peraltro, interessano anche le persone fisiche (futuri soggetti passivi Ire) non esercenti attività d'impresa, limitatamente alle partecipazioni c.d. qualificate, le cui plusvalenze da cessione concorreranno - a titolo di reddito diverso ai sensi dell'art. 68 del nuovo Tuir - alla formazione del reddito complessivo imponibile in misura pari al 40% del loro ammontare, al netto di eventuali minusvalenze realizzate su altre cessioni di partecipazioni, anch'esse assunte in misura

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IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

11214/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

giuridica, sia residenti che non residenti, purché siano soddisfatte alcune condizioni di seguito evidenziate. L'esenzione assicurata dal regime in esame, avuto riguardo all'art. 9, comma 5 del Tuir, si realizza oltre che in conseguenza delle cessioni propriamente dette, anche con riguardo alle plusvalenze derivanti da operazioni effettuate a titolo oneroso che producono i medesimi effetti giuridici, quali:

- il conferimento;

- la permuta;

- lo scambio di azioni;

- il trasferimento della sede o della residenza della società partecipante, in base all'art. 166 del nuovo Tuir (ex art. 20-bis: c.d. exit tax) su cui peraltro pende potenzialmente un giudizio critico degli organi comunitari (Commissione o Corte di Giustizia Ue) che hanno già censurato l'analoga norma di diritto interno francese, per contrasto con il principio di libertà di stabilimento.

Per espressa previsione della norma rimangono escluse dall'esenzione le plusvalenze realizzate con riferimento alla partecipazione in società semplici e agli enti ad esse assimilati.

Sotto il profilo oggettivo - e ciò costituisce elemento di raccordo con la riforma del diritto societario recata dal D.L.vo 6/2003 - l'esenzione si applica anche:

- agli strumenti finanziari simili alle azioni, la cui remunerazione è totalmente indeducibile poiché dipendente dai risultati della società emittente o dell'affare riguardo al quale sono emessi;

- ai contratti di associazione in partecipazione e a quelli di cointeressenza, di cui all'art. 2554 del c.c., allorché sia previsto un apporto diverso da quello esclusivo di opere e servizi (7).

pari al 40% del relativo ammontare; per le partecipazioni non qualificate, vale a dire inferiori alle soglie previste dall'art. 67, comma 1, lett. c) del "nuovo" Tuir, permane l'assoggettamento all'imposta sostitutiva del 12,5%, di cui al D.L.vo 461/1997.

(7) Su altri diritti a contenuto patrimoniale si veda nello specifico l'analitica illustrazione contenuta al p. 2.2 della Circolare n. 36 del 2004.

(segue nota)

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ANTONINO DI GERONIMO

1122 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

Infine l'art. 87, comma 6, del nuovo Tuir prevede l'applicabilità del regime Pex anche nelle ipotesi di somme o beni ricevuti dai soci delle società soggette ad Ires a titolo di ripartizione di determinate riserve o fondi, qualora le somme medesime o il valore normale dei beni ricevuti eccedano il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Sussistendo tutti i requisiti, su cui si andrà a dare dettagliata rappresentazione, la differenza si configurerà come plusvalenza esente. Tale disposizione si applica anche ai soggetti passivi Irpef che detengono le partecipazioni in regime d'impresa (8), per effetto del richiamo operato dall'art. 58 Tuir all'art. 87. In tal caso, in ossequio al principio generale, la plusvalenza godrà di un'esenzione pari al 60% (possibile che tale interpretazione trovi riscontro ufficiale nel decreto correttivo Ires).

2.1 Chi può fruire dell'esenzione?

Possono avvalersi dei meccanismi Pex, com'è intuibile a seguito della premessa:

- i soggetti passivi dell'Ires come individuati dall'art. 73 del nuovo Tuir, e cioè le società di capitali, anche cooperative, enti pubblici o privati a carattere commerciale, tutti residenti nel territorio dello Stato, stabili organizzazioni di società o enti non residenti;

- società di persone o persone fisiche esercenti attività d'impresa (combinato disposto dagli artt. 58 e 87 nuovo Tuir).

Considerato che, come si vedrà più specificamente infra, una delle condizioni necessarie per fruire della Pex, risiede nell'iscrizione delle partecipazioni cedute tra le immobilizzazioni finanziarie, è opinione dell'Agenzia delle Entrate (conforme a Circolare n. 320 del 19 dicembre 1997 del cessato Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze, in tema di cessione delle partecipazioni di controllo o di

(8) Per i soggetti Irpef che detengono la partecipazione non in regime d'impresa, invece, la restituzione di fondi o riserve in entità maggiore rispetto al valore della partecipazione integrerà una particolare fattispecie di redditi di capitale, quali utili di partecipazione.

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IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

11234/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

collegamento e conseguente fruizione dell'imposizione sostitutiva, di cui al decreto n. 358 del 1997) che il regime in argomento non possa essere fruito dai contribuenti c.d. minori, che determinano il reddito ai sensi dell'art. 66 del nuovo Tuir, che rimanda a sua volta alla tenuta della c.d. contabilità semplificata. In sostanza, a questo livello, è la tenuta di una contabilità ordinaria che sfoci nella stesura di un bilancio di esercizio a essere determinante ai fini dell'applicabilità del regime di esenzione di cui all'art. 87 cit. (9). Conseguentemente le cessioni di partecipazione operate da un soggetto in contabilità semplificata daranno sempre luogo a plusvalenze interamente tassabili e a minusvalenze interamente deducibili. Nell'ambito della manifestazione "Telefisco 2005" è stato tuttavia precisato dall'Agenzia delle Entrate che se un'impresa, precedentemente in contabilità semplificata e che in quel regime aveva acquisito una partecipazione avente i requisiti Pex, opta per la contabilità ordinaria, iscrivendo la partecipazione in questione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso dopo l'esercizio dell'opzione, potrà conteggiare il periodo di possesso previsto come requisito soggettivo, dal periodo in cui è stata esercitata l'opzione per la contabilità ordinaria. Ciò in quanto l'art. 87 prevede la classificazione tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso, senza fare riferimento al primo periodo di possesso.

2.2 Requisiti delle partecipazioni per fruire della Pex

Le partecipazioni in questione (10):

1) devono essere possedute ininterrottamente dal primo giorno del dodicesimo mese precedente a quello della cessione, considerando come prime cedute le quote o le azioni acquistate più di recente (criterio Lifo).

(9) Sembra peraltro del tutto pacifico che se un soggetto, che è naturalmente in semplificata, istituisce la contabilità ordinaria potrà ugualmente fruire del regime Pex.

(10) Oltre che gli strumenti finanziari similari alle azioni e i contratti di associazione in partecipazione e di cointeressenza agli utili non riferibili esclusivamente alla prestazione di opere e servizi. Analogamente si argomenta in relazione alle azioni proprie cedute in forza dall'art. 2357 e ss. del codice civile e a norma dell'art. 121 del D.L.vo 58/1998.

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ANTONINO DI GERONIMO

1124 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

Pertanto, ad esempio, si qualificherà per l'esenzione la plusvalenza derivante dalla cessione di una partecipazione effettuata nel mese di aprile dell'anno X se la stessa era posseduta almeno dal 1° aprile dell'anno precedente.

Non si qualificherà per l'esenzione la plusvalenza derivante dalla cessione di una partecipazione effettuata nel mese di aprile dell'anno X, se la stessa era posseduta "solo" dal 2 aprile dell'anno precedente.

Nel caso di cessione di una partecipazione acquisita in più tranche, occorre verificare se la correlata plusvalenza si qualifichi in tutto o in parte per l'esenzione, e al riguardo soccorrono gli esempi di cui al p. 2.3.1 della Circolare n. 36, coerenti con il criterio delineato;

2) devono essere classificate tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso.

La scelta originariamente operata dall'impresa (11) risulta, dunque, vincolante rispetto al regime di esonero. L'eventuale successiva iscrizione nell'attivo circolante dello Stato patrimoniale non fa venire meno l'esenzione, mentre, al contrario, è esclusa tale possibilità se nel primo bilancio chiuso del periodo di possesso la partecipazione è stata iscritta nel circolante dell'attivo patrimoniale, anche se in seguito viene iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie.

(11) La collocazione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, in quanto presupposto per la fruizione del regime di esenzione di cui all'art. 87 del nuovo Tuir, può dare adito a perplessità in ordine alla correttezza della classificazione. Al riguardo proprio tale operazione (di classificazione) è stata annoverata tra le fattispecie potenzialmente elusive, contrastabili a mezzo dell'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, in base all'esplicita previsione dell'art. 2, comma 2, lett. e) del D.L.vo 344/2003, intitolato "Norme di coordinamento". L'Amministrazione finanziaria, sembra certamente di capire, potrà ingerirsi nella classificazione delle partecipazioni - operazione di chiara matrice civilistica - per farne derivare conseguenze sotto il profilo fiscale, valutandone la possibile elusività. Si tratta di aspetto assai interessante e innovativo, in quanto nel caso in questione, la strumentalizzazione delle norme tributarie (l'art. 87 del Tuir) avrebbe come presupposto una (volutamente) errata valutazione civilistica. Non sempre la dottrina è stata concorde nel consentire tali percorsi argomentativi al Fisco, ritenendo l'area delle valutazioni civilistiche sostanzialmente intangibile. L'Amministrazione finanziaria, dunque, potrà disconoscere i vantaggi fiscali indebiti derivanti da inappropriate classificazioni di bilancio delle partecipazioni preordinate strumentalmente alla fruizione della Pex, ovvero alla sua altrettanto strumentale disapplicazione, al fine di fruire della deducibilità delle minusvalenze da cessione di partecipazioni.

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IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

11254/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

Per le partecipazioni già possedute prima del periodo d'imposta di entrata in vigore della riforma (1° gennaio 2004) la prima classificazione tra le immobilizzazioni finanziarie deve risultare:

a. dal bilancio relativo al secondo periodo d'imposta (2002, nel caso di esercizio solare) anteriore a quello di entrata in vigore della riforma (2004);

b. dal bilancio relativo al primo periodo d'imposta (2003) per le partecipazioni acquistate nello stesso periodo;

3) la residenza fiscale della società partecipata non deve essere situata in Stati o territori a fiscalità privilegiata (12), salva la possibilità di proporre una preventiva istanza di interpello all'Agenzia delle Entrate, tesa a dimostrare che alla localizzazione in quegli Stati o territori non corrispondono vantaggi fiscali distorsivi;

4) le società partecipate devono esercitare un'impresa commerciale secondo la previsione dell'art. 55 del nuovo Tuir. In tal senso dalla norma si desume che non si considera in ogni caso commerciale l'attività delle partecipate i cui valori patrimoniali (assets) sono prevalentemente (13) costituiti da immobili diversi da quelli che costituiscono effettivi beni-merce e da impianti e/o fabbricati utilizzati direttamente come strumentali nell'esercizio dell'impresa (beni strumentali per destinazione). Tra questi ultimi sono compresi gli immobili concessi in leasing e i terreni utilizzati per attività agricole, rimanendo esclusi gli immobili concessi in locazione

(12) Art . 167 del "nuovo" Tuir e D.M. 21 novembre 2001, n. 429.

(13) Per valore del patrimonio costituito da immobili di cui al p. 4, non va inteso il dato contabile di iscrizione ma il "valore corrente"; pertanto la verifica di "prevalenza" va effettuata comparando il valore corrente dei beni immobili non merce e non funzionalmente strumentali, con il valore corrente degli assets posseduti dalla società partecipata, comprensivi di quelli immateriali (intangibles), come l'avviamento. Si tratta di un terreno assai insidioso, sia per le imprese, ai fini della corretta fruizione del meccanismo di esenzione, sia per l'Amministrazione finanziaria in sede di controllo. La disposizione riecheggia la prossima introduzione nell'ordinamento interno dei princìpi contabili internazionali (IASC), e tra questi, in particolare, del criterio del c.d. fair value, quale strumento principe di valutazione del patrimonio aziendale. La questione non è al momento chiarissima. Dal punto di vista dell'accertamento è ipotizzabile un (non facile) riscontro del valore degli immobili non merce e non direttamente strumentali, con metodologie analoghe a quelle che attualmente vengono utilizzate ai fini dei controlli in materia di Imposta di Registro.

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ANTONINO DI GERONIMO

1126 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

ordinaria o in comodato, anche attraverso contratti d'affitto d'azienda (v. Circolare 36/E) (14).

Peraltro, con una risoluzione collegata alla risposta ad un'istanza di interpello (prot. n. 954/185059 del 2 novembre 2004), l'Agenzia delle Entrate, ritornando sull'argomento, ha ulteriormente precisato che:

a) la ratio della chiusura antielusiva sulle "immobiliari" risiede nell'intento di evitare che la cessione esente delle partecipazioni in società aventi le cennate caratteristiche, produca un arbitraggio, non consentito dall'ordinamento, rispetto alle cessioni dei beni (immobili) che il titolo rappresenta;

b) che tale ratio, peraltro, agisce con riferimento solo quando venga ceduta la partecipazione in un ente che non sia rivolto alla costruzione e/o alla vendita degli immobili, ma alla loro mera utilizzazione passiva (godimento) anche attraverso la locazione o l'affitto d'azienda;

c) che tale riscontro, in ogni caso, va operato in concreto, cioè in relazione all'attività effettivamente svolta, superando anche il dato formale emergente dagli atti societari (oggetto sociale) e dalle stesse risultanze contabili (ad esempio la contabilizzazione degli immobili tra le rimanenze);

d) che l'attività di compravendita non può configurarsi per effetto delle sole manifestazioni di intento a cedere gli immobili (o l'unico posseduto);

e) che la durata pluriennale e continuativa dei contratti di locazione e la contestuale assenza di qualunque atto di vendita, avente per oggetto anche una parte dell'immobile (i) non consentono di considerare la locazione come attività sussidiaria, rendendola, invece, tipica.

(14) In proposito è da segnalare una recente posizione Assonime, secondo la quale la restrittiva interpretazione dell'Agenzia delle Entrate deve essere riferita alle imprese immobiliari di gestione, mentre per le imprese di costruzione e vendita di immobili, ovvero per le immobiliari che intermediano la vendita di immobili la locazione degli immobili merce costituisce una componente della tipica attività d'impresa, anche in relazione a quei periodi in cui l'impresa, che pure mira esplicitamente alla vendita dell'immobile, lo pone in locazione al fine di mantenere un soddisfacente livello di redditività. Vd. BONO M. e PIAZZA M., Immobiliari, sconto in bilico, su Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2004.

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IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

11274/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

Pur negando il requisito dell'esenzione, nello specifico dell'interpello proposto, l'Agenzia ha mitigato l'assolutezza dell'affermazione contenuta nella Circolare n. 36, arrivando a ritenere in astratto passibile di esenzione la cessione della partecipazione in una società che, pur locando transitoriamente i propri immobili, li destini effettivamente alla vendita. In ciò la posizione espressa sembra in qualche modo venire incontro alle argomentazioni di Assonime, di cui alla nota n. 13.

Ancora più interessante è la recente presa di posizione dell'Agenzia delle Entrate cui fa riferimento una risposta ad una interrogazione parlamentare da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze (15): in sostanza è stato affermato che nel caso in cui la locazione degli immobili risulti affiancata anche da una serie di servizi accessori di significativa entità, per cui il contratto, di fatto, non assume la connotazione di un mero contratto di locazione commerciale o di affitto di ramo d'azienda, bensì di prestazione di servizi integrati, gli immobili possono essere considerati come utilizzati direttamente nell'esercizio dell'impresa. Con la conseguenza che, seppure si sia, da un punto di vista formale, in presenza di contratti di affitto d'azienda, gli immobili - in quanto riconducibili ad una gestione attiva e non di mero godimento - sono da considerare esclusi, ai fini Pex, dalla verifica di prevalenza.

Da ultimo va ricordato che, nell'ambito della manifestazione "Telefisco 2005" era stato posto il quesito se, facendo la norma riferimento all'utilizzo diretto (e non esclusivo) nell'esercizio dell'impresa degli immobili, fosse possibile ricomprendervi anche quelli utilizzati promiscuamente (cioè anche per esigenze personali o familiari di soci o associati). In proposito l'Agenzia delle Entrate ha risposto affermativamente, chiarendo che il 50% del valore dell'immobile promiscuo è da considerare estraneo all'attività d'impresa e costituisce parte del patrimonio non destinato all'attività commerciale.

Si considera in ogni caso commerciale l'attività delle società con titoli negoziati in mercati regolamentati. Non rileva la condizione di

(15) Risposta alla interrogazione n. 5 - 03920 posta in Commissione Finanze dall'On. Maurizio Leo.

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ANTONINO DI GERONIMO

1128 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

commercialità nel caso di plusvalenze derivanti da offerte pubbliche di vendita (OPV).

Le condizioni di cui sub 3) e 4) devono sussistere almeno dal terzo periodo d'imposta antecedente al momento della partecipazione (che si vuole) esente.

Si tratta di una disposizione a carattere marcatamente antielusivo che rende irrilevanti i trasferimenti della residenza fiscale - o l'inizio di un'attività di tipo commerciale - in prossimità della cessione delle partecipazioni, al fine di conseguire plusvalenze esenti su cessioni di partecipazioni altrimenti prive dei requisiti previsti.

Per evitare comportamenti elusivi di altra natura, poi, in presenza di plusvalenze realizzate su strumenti finanziari emessi da una società la cui remunerazione sia collegata ai risultati economici di altra società del gruppo, la verifica della sussistenza dei requisiti rilevanti ai fini dell'esenzione di tipo "oggettivo" (residenza fiscale e svolgimento di attività commerciale), deve essere effettuata sia in capo all'emittente che alla società ai cui risultati è collegato il rendimento dello strumento finanziario.

Il comma 5 dell'art. 87 prevede che per le partecipazioni in società, la cui attività consiste in via elusiva o prevalente nell'assunzione di partecipazioni (holding), i predetti requisiti oggettivi vanno riferiti alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante. Dovendo verificare la prevalenza del valore delle partecipazioni possedute da una holding in una sub holding, è necessario che sia eliminato lo schermo costituito dalla sub holding, in modo che le società indirettamente partecipate possano riflettere pro quota i propri requisiti di commercialità e di residenza direttamente in capo alla holding di primo livello.

Alle partecipazioni che non denotano tutti e contestualmente i descritti requisiti, continua ad applicarsi la tassazione ordinaria nell'esercizio di realizzo, fatta salva l'imputazione della plusvalenza in quote costanti nell'esercizio di competenza e nei 4 successivi (art. 86, comma 4, "nuovo" Tuir).

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IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

11294/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

Specificamente per il settore bancario è possibile (per gli istituti di credito) avanzare una vera e propria istanza di disapplicazione (16) delle regole Pex. In particolare, in base all'art. 113 del nuovo Tuir, le banche possono chiedere alle direzioni regionali dell'Agenzia delle Entrate che l'irrilevanza fiscale prevista dall'art. 87 non operi per le partecipazioni acquisite nell'ambito di interventi volti al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria. L'impossibilità di svalutare con effetto fiscale le partecipazioni e l'irrilevanza tributaria delle plus/minusvalenze sulle cessioni delle partecipazioni avrebbero infatti interferito con le frequenti operazioni - spesso alternative in melius alle procedure concorsuali - di conversione dei crediti bancari in partecipazioni delle società in crisi.

3. Rapporti tra regime Pex e operazioni straordinarie nell'ambito del reddito d'impresa

Di tale argomento l'Agenzia delle Entrate si occupa al p. 2.3.6 della Circolare n. 36/E.

In sostanza, rimandando alla citata circolare per una più articolata disamina della fattispecie, si può dire che:

- a fronte di operazioni di riorganizzazione aziendale occorrerà esaminare i riflessi delle stesse sul possesso dei requisiti rilevanti ai fini Pex, sia sotto il profilo soggettivo (durata del possesso della partecipazione; allocazione di questa tra le immobilizzazioni finanziarie) che sotto quello oggettivo (residenza fiscale in territori non black list, svolgimento di attività d'impresa);

- in linea di massima può parlarsi di una sostanziale continuità per quanto attiene alla ricorrenza dei cennati requisiti, in relazione ad operazioni che non producono effetti fiscalmente rilevanti, e cioè conferimenti "neutrali", disciplinati dall'art. 176, fusioni e scissioni;

(16) Secondo lo schema del diritto d'interpello previsto dall'art. 11 della L. 212/2000. Vd. CACCIAPAGLIA L., Banche, parte la corsa al ruling, Il Sole 24 Ore, 11 settembre 2004.

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ANTONINO DI GERONIMO

1130 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

- la circolare non fa cenno alle operazioni di trasformazione che, per definizione dovrebbero assicurare una sostanziale neutralità (17). Tuttavia la questione non è di poco conto: la trasformazione da una S.r.l. ad una S.n.c. in contabilità ordinaria, ad esempio, dovrebbe garantire la continuità dei requisiti soggettivi Pex, con, però, un aggravio di tassazione (nel senso che l'esenzione passerebbe da totale a parziale). Il caso inverso si avrebbe nell'ipotesi di trasformazione da S.n.c. in S.r.l., sempre in contabilità ordinaria (l'esenzione da parziale, diverrebbe totale). Nel caso di trasformazione da un soggetto in contabilità semplificata ad uno in contabilità ordinaria valgono le considerazioni critiche e le aperture dell'Agenzia delle Entrate, di cui ai paragrafi precedenti.

Requisiti soggettivi

Quanto al conferimento neutro, il principio della continuità nel possesso del complesso aziendale conferito, esteso ai beni oggetto del conferimento (comprese le partecipazioni), porta a ritenere che il soggetto conferitario verificherà la sussistenza del requisito temporale (possesso della partecipazione) tenendo conto del periodo di detenzione già maturato in capo al conferente. Inoltre, secondo il condivisibile parere espresso nella Circolare n. 36, sempre al fine di salvaguardare il cennato principio di continuità, il conferitario non potrà modificare la classificazione della partecipazione così come risultante nel bilancio della conferente, ante operazione.

Di contro, se il conferimento avverrà in base all'art. 175 del nuovo Tuir, con emersione di plusvalori fiscalmente rilevanti per entrambi i soggetti coinvolti, il periodo di ininterrotto possesso decorre dalla data del conferimento e il soggetto conferitario potrà riclassificare la partecipazione in bilancio in maniera difforme da quella a suo tempo impostata dalla conferente.

(17) A parte la nota ipotesi di trasformazione da società commerciale in società semplice, che comporta la realizzazione di tutte le plusvalenze latenti della società del primo tipo, essendo la società semplice assimilabile ad un privato non imprenditore, con conseguente fuoriuscita dei beni della società commerciale dal ciclo d'impresa.

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IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

11314/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

Per fusioni e scissioni, trattandosi di operazioni strutturalmente neutre, varranno le considerazioni già fatte, in termini di continuità, per i conferimenti ex art. 176, nuovo Tuir. La neutralità che connota fusioni e scissioni - negozi giuridici cui è estranea una connotazione traslativa in senso stretto, essendo prevalente quella di concentrazione o di separazione di patrimoni preesistenti - rende possibile, anche secondo avvertita dottrina (18), ritenere il trasferimento di una partecipazione in capo ad un altro soggetto, avvenuto per effetto delle richiamate operazioni, inidoneo a dare luogo ad una nuova prima iscrizione in bilancio rilevante ai fini della qualifica fiscale della partecipazione. Per quanto riguarda, infine, la posizione dei soci della società incorporata o scissa, le cui partecipazioni vengono annullate e sostituite da quelle dell'incorporante o della beneficiaria, l'Agenzia delle Entrate rileva come le qualità fiscali delle partecipazioni annullate vengono ereditate dalle partecipazioni assegnate in cambio, in perfetta sintonia con quanto accade nei conferimenti neutri di aziende o di partecipazioni.

Requisiti oggettivi

Le nuove entità legali che originano dai soggetti precedentemente esistenti, ereditano da questi anche le caratteristiche rilevanti ai fini della valutazione dei requisiti di commercialità e residenza. Quando la nascita di un nuovo soggetto consegue ad una operazione di riorganizzazione societaria occorrerà quindi tener conto delle caratteristiche del dante causa, per verificare, su proiezione triennale, come prevede l'art. 87, comma 2, del nuovo Tuir, i requisiti della commercialità e della residenza in un paese privo di un sistema fiscale privilegiato. In sostanza occorre valutare retroattivamente ed in capo ai soggetti preesistenti i predetti requisiti, con riguardo ai patrimoni netti effettivi delle entità che originano dalle operazioni straordinarie o vi partecipano.

(18) Vedi STEVANATO D., Participation, nodo continuità, Il Sole 24 Ore, 10 agosto 2004.

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ANTONINO DI GERONIMO

1132 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

Alcune considerazioni su fattispecie che possono (o potevano) dar luogo a giudizi di elusività

Il decreto 358 del 1997 (art. 3, comma 3) promuoveva - con l'azzeramento di qualunque forma di tassazione - il conferimento dell'unica azienda individuale posseduta in una società commerciale, non importa se di persone o di capitali. Per evitare abusi di tale opportunità, nella norma venne introdotta una rigida clausola antielusiva, secondo la quale, per le cessioni dei titoli nel primo triennio dal conferimento, si applicava il regime tipico delle cessioni di beni d'impresa, in luogo dell'imposta sostitutiva sui capital gains. Si voleva in definitiva scongiurare che il contribuente ponesse in essere un arbitraggio tra tassazione ordinaria sulla circolazione dei beni, e il più mite regime previsto per i guadagni di capitale.

L'art. 175, comma 4, del "nuovo" Tuir, nel riproporre la disciplina del conferimento dell'unica azienda e della successiva cessione della partecipazione ricevuta a seguito del conferimento ne prevede, comunque, la tassazione secondo il regime dei capital gains anche se la cessione avviene nel triennio (19). È evidente, dunque, la discontinuità con gli assetti disegnati dal Decreto 358/1997.

Analoga disposizione è rintracciabile nell'ambito dell'art. 176, comma 6, del "nuovo" Tuir, concernente il regime fiscale dei conferimenti in doppia sospensione d'imposta. È stabilito, infatti, che "quando il conferimento abbia ad oggetto l'unica azienda dell'imprenditore individuale, si applica l'ultimo comma dell'art. 175".

Per meglio comprendere, però, la portata innovativa del decreto Ires in materia di conferimenti in doppia sospensione, occorre valutare il comma 3 dell'art. 176. Tale norma prevede esplicitamente la legittimità dell'operazione costituita dal conferimento dell'azienda in neutralità e dalla successiva cessione della partecipazione ricevuta, secondo il regime Pex, escludendo l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 37-bis del

(19) Sempre con il trattamento riservato alle partecipazioni "qualificate", in base agli artt. 67,

comma 1, lett. c) e 68 del nuovo Tuir.

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IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

11334/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

D.P.R. 600/1973 (20). Ad una prima lettura, la norma permette un'agevole tax planning senza porre neanche limiti temporali al possesso della partecipazione ricevuta, prima della sua cessione effettuata in esenzione d'imposta. Si tratta, all'evidenza, di una norma che permette di "congelare" definitivamente le plusvalenze latenti riferibili alla sfera economica del soggetto conferente, anche nel caso della subitanea cessione della partecipazione ricevuta in contropartita dell'azienda conferita.

Chi vende, dunque, beneficia dell'esenzione totale o parziale della plusvalenza realizzata, ma chi acquista paga un importo riconosciuto fiscalmente come costo della partecipazione. Se dovesse a sua volta cedere egli godrà a sua volta dell'esenzione, ove ne ricorrano i presupposti, oppure realizzerà una minore plusvalenza o una maggiore minusvalenza. Di certo il costo sostenuto non potrà essere imputato all'azienda presente nella società che è stata comperata. Infatti una successiva operazione di fusione non permetterebbe il riconoscimento fiscale dell'eventuale disavanzo, come si vedrà al successivo p. 2.6. In considerazione di ciò il senso della norma sta nel fatto che il cedente risparmia le imposte perché le plusvalenze latenti passano sul cessionario, e su questo potranno, eventualmente, scontare l'imposizione. Tale impostazione, peraltro, potrebbe prestarsi a qualche critica, proprio per la sua volontà di escludere tout court l'applicazione dell'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973. Infatti, se è vero che il sistema sembra logico e "blindato" nella prospettiva della fusione e della scissione come operazioni in sé considerate, dove mancherà il riconoscimento fiscale del disavanzo da annullamento, una lacuna potrebbe aprirsi facendo un'altra considerazione: il soggetto che conferisce e cede successivamente la partecipazione, potrebbe in realtà aver effettuato un arbitraggio con le norme che disciplinano la cessione d'azienda (imponibile pienamente). Questa sua volontà potrebbe emergere in base alla serrata concatenazione di atti e negozi ora descritta, che segnalerebbe la strumentalizzazione delle norme sul conferimento in sospensione d'imposta e sulla participation exemption.

(20) Escludendo, cioè, "per legge" che una tale operazione possa essere considerata elusiva

dall'Amministrazione finanziaria in sede di controllo.

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ANTONINO DI GERONIMO

1134 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

Se così fosse, tanto varrebbe esentare (con le formule più opportune) anche le plusvalenze derivanti dalle cessioni d'azienda. Inoltre - come già segnalato da autorevole dottrina (Ceppellini e Lugano, Il Sole 24 Ore del 1° giugno 2004) - "l'ombrello protettivo" dall'art. 37-bis potrebbe essere invocato analogicamente anche su altre fattispecie come la scissione. In particolare ciò viene sostenuto nel caso in cui anziché cedere un immobile direttamente, vengono cedute le quote della società che lo possiede (società beneficiaria di una precedente scissione). Chi cede gode dei benefici Pex, ma chi compera non potrà, incorporando la società, imputare il disavanzo sull'immobile ottenendo il riconoscimento fiscale dell'operazione. Anche tale ricostruzione, però, non tiene conto dell'arbitraggio praticabile tra regime di tassazione della cessione dei beni e regime Pex. La strumentalizzazione delle norme utilizzate, in tal caso, potrebbe essere valutata come elusiva.

Tale problematica manifesta un ulteriore versante, riguardante il quesito se sussista l'opportunità (o il rischio) di applicare l'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, nel caso in cui, a seguito di un conferimento vi sia la cessione della correlata partecipazione in regime di esenzione. Si supponga (21) che l'acquirente della partecipazione, in assenza dei requisiti per l'esenzione, la rivenda a sua volta realizzando una minusvalenza deducibile.

Tale problematica manifesta un ulteriore versante, riguardante il quesito se sussista l'opportunità (o il rischio) di applicare l'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, nel caso in cui, a seguito di un conferimento vi sia la cessione della correlata partecipazione in regime di esenzione. Si supponga (22) che l'acquirente della partecipazione, in assenza dei requisiti per l'esenzione, la rivenda a sua volta realizzando una minusvalenza deducibile, sfruttando le "differenze di ritmo" nella circolazione delle partecipazioni ricadenti in regime Pex, da quelle estranee ad esso.

(21) Cfr. MIELE L., Sulle cessioni di partecipazioni rasoio antielusivo a due lame, Il Sole 24

Ore, 20 luglio 2004.

(22) Cfr. MIELE L., op. cit.

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IL REGIME FISCALE DELLE PARTECIPAZIONI ALLA LUCE DEL NUOVO TUIR

11354/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

Infine, ancora a proposito di arbitraggi censurabili con specifiche norme antielusive nel quadro dell'emanando decreto correttivo Ires (23), va ricordata la potenziale pericolosità di una fattispecie così riassumibile: A cede in esenzione a B una partecipazione comprensiva di utili da distribuire. B percepisce gli utili, tassati al 5% e rivende la partecipazione a terzi, priva dei requisiti Pex, registrando una minusvalenza deducibile. In sostanza tutta l'operazione vede la circolazione della partecipazione, prima pregna degli utili, poi svuotata, senza che venga scontato alcun carico fiscale ed utilizzando le asimmetrie applicative insite nel regime di doppia circolazione dei titoli.

In tali casi è però ragionevole ritenere però che la qualificazione elusiva o meno dell'operazione dipenda, oltre che dalla ricorrenza delle valide ragioni economiche (24), dall'indipendenza del soggetto acquirente (e dei successivi cessionari) rispetto al primo cedente. A fronte della sostanziale autonomia delle parti, l'operazione (25) sarebbe difficilmente censurabile, mentre potrebbe essere riguardata con occhi più severi dall'Amministrazione finanziaria, ove fossero palesi gli elementi che portano a ritenere l'operazione medesima nel suo complesso come architettata ad arte all'interno di un gruppo societario, con un'unica cabina di regia, diretta a sfruttare possibili corridoi liberi nell'ordinamento, e ad ottenere ingiustificati vantaggi tributari.

(23) Ma si concorda con STEVANATO D., Norme antielusive a rischio eccessi, Il Sole 24 Ore, 26 ottobre 2004, nel ritenere più che sufficiente il ricorso all'art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, per contrastare simili abusi.

(24) La cui ricorrenza renderebbe pacificamente impraticabile l'applicazione della citata norma antiabuso.

(25) In quanto espressione di un effettivo contemperamento di interessi contrapposti.

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11374/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

Le nuove norme di contrasto alle frodi Iva (*)

di Rossella Di Lullo

La legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria per l'anno 2005, ha introdotto alcune importanti novità in tema di contrasto all'evasione, specificatamente rivolte al fenomeno delle frodi in materia di imposta sul valore aggiunto, novità contenute ai commi dal 377 al 386 dell'art. 1 del provvedimento.

La prima novità si rinviene nel comma 377, con la modifica dell'art. 3, secondo comma, primo periodo, del Regolamento di cui al D.P.R. 322/1998 - Modalità di presentazione ed obblighi di conservazione delle dichiarazioni - che stabilisce gli obblighi relativi all'invio telematico delle dichiarazioni tributarie, riducendo da € 25.822,84 a € 10.000 il limite massimo di volume d'affari, entro il quale le persone fisiche, se non tenute a presentare la dichiarazione dei sostituti di imposta né il modello per la comunicazione dei dati relativi all'applicazione degli studi di settore, possono presentare la dichiarazione mediante modello cartaceo. Di contro aumenta il numero dei soggetti che sono tenuti alla presentazione telematica della dichiarazione.

I benefici, in termini informativi, che gli organi di controllo deriveranno da tale disposizione, consistono nella possibilità di effettuare un più rapido controllo delle dichiarazioni trasmesse, di evidenziare

(*) Il presente articolo riproduce, con adattamenti ed integrazioni, soprattutto per quanto con-cerne le note, il testo della relazione illustrata dall'Autore nel corso del seminario "Ires e Finanziaria 2005: i principali riflessi sull'attività dell'Amministrazione Finanziaria", svoltosi a Ravenna il 4 marzo 2005 ed organizzato congiuntamente dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ravenna e dagli Uffici dell'Agenzia delle Entrate di Faenza, Lugo e Ravenna.

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ROSSELLA DI LULLO

1138 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

eventuali anomalie ed intervenire con maggiore tempestività al verificarsi delle stesse.

I successivi commi, dal 378 in poi, introducono alcune misure di contrasto che in maniera più diretta intervengono nei confronti di fenomeni di frode in materia di Iva riscontrati in specifici settori economici.

Ogni qualvolta la legge consente l'effettuazione di acquisti di merce senza l'addebito dell'Iva in capo all'acquirente (operazioni intracomunitarie, acquisti con lettere di intento, ecc.) l'operazione si presta ad essere sfruttata con una frode.

Un esempio classico di frode consiste nell'effettuazione di un acquisto intracomunitario (non imponibile Iva in Italia) da parte di un soggetto (cd. interposto), il quale acquista beni (autovetture, cellulari, personal computer, ecc.) che vengono successivamente rivenduti ad altro soggetto (cd. interponente) con una cessione imponibile Iva - in quanto effettuata sul mercato interno nei confronti di un soggetto residente - ad un prezzo pari al prezzo di acquisto (ovvero scorporando l'Iva piuttosto che sommarla al prezzo di acquisto, maggiorato di un margine di ricarico) o di poco superiore (per l'applicazione di una piccola provvigione).

L'interposto non versa l'Iva relativa alla cessione effettuata nei confronti del soggetto interponente, lucra il compenso per l'attività di intermediazione svolta tra il fornitore Ue e l'interponente e sparisce in breve tempo.

Il soggetto interponente ha pertanto la possibilità di beneficiare del credito Iva per l'acquisto dei beni dall'interposto (Iva che il più delle volte non è stata effettivamente pagata e sicuramente non è stata versata all'Erario), può vendere a sua volta la merce acquistata ad un prezzo competitivo sul mercato risultando, formalmente, in regola con l'adempimento dell'imposta.

A ciò si aggiunga che frequentemente, la merce transita direttamente dal fornitore comunitario al soggetto interponente, così come anche i pagamenti vengono effettuati direttamente

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LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA

11394/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

dall'interponente al fornitore comunitario. Il soggetto residente interposto, che acquista cartolarmente la merce senza averne mai la materiale disponibilità, si limita alla funzione di prestanome (cartiera), allo scopo di fornire un filtro all'operazione, che si conclude col mancato versamento Iva da parte dell'interposto e con la detrazione da parte dell'interponente.

Rimane all'attività investigativa posta in essere dagli organi di controllo, dimostrare la sussistenza della frode, ovvero l'accordo tra interposto ed interponente, fraudolentemente posto in essere per trarre un beneficio dall'operazione, consistente per l'interposto, nella provvigione lucrata e per l'interponente, oltre al credito Iva, la possibilità di acquistare beni a prezzi fino al 18-20% inferiori a quelli di mercato e di collocarli sul mercato finale a condizioni assolutamente concorrenziali, rispetto agli altri operatori che agiscono correttamente.

La legge finanziaria 2005, ai commi 378 e seguenti, interviene con misure di contrasto alle frodi Iva riscontrabili nell'ambito delle operazioni

Schematizziamo il fenomeno:

Il fornitore Ue, in accordo con l'imprenditore italiano, fattura la merce ad un interposto,

anziché all'effettivo acquirente

L'interposto acquista solo formalmente e fattura

all'impresa, senza versare Iva. L'imprenditore detrae

l'Iva della fattura

L'imprenditore italiano acquista dal fornitore Ue

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ROSSELLA DI LULLO

1140 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

intracomunitarie, per le quali vale il principio dell'imposizione del Paese di destinazione, con particolare riguardo al settore degli autoveicoli, che da più anni ha visto il diffondersi di situazioni fraudolente.

Con il comma 378 si stabilisce l'obbligo a carico del soggetto di imposta che effettua un acquisto intracomunitario di mezzi di trasporto nuovi o che si reputano nuovi, secondo la definizione di cui all'art. 38 del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993, di trasmettere al Dipartimento dei Trasporti Terrestri (ex Motorizzazione) entro 15 giorni dall'acquisto e, comunque, prima dell'immatricolazione, una comunicazione recante l'indicazione del numero identificativo intracomunitario del fornitore (se la vettura viene direttamente immatricolata dall'importatore), o, in caso di passaggi interni precedenti l'immatricolazione, il codice fiscale del fornitore; la comunicazione deve contenere, inoltre, il numero di telaio del veicolo, del motoveicolo e dei loro rimorchi. In assenza di tale comunicazione il DTT non può procedere all'immatricolazione richiesta. Tale obbligo è posto anche nel caso di cessione intracomunitaria o di esportazione dei medesimi mezzi di trasporto.

Si ricorda che si definiscono veicoli "nuovi" in base all'art. 38, quarto comma, del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993 - Acquisti intracomunitari - quei veicoli che hanno una percorrenza inferiore a 6.000 Km e la cui prima immatricolazione sia avvenuta non oltre sei mesi prima dell'acquisto.

Un decreto del D. dei T.T. e dell'Agenzia delle Entrate stabilirà il contenuto specifico della comunicazione di cui al comma 378 e le modalità di trasmissione della stessa. Verranno, infine, regolamentate le modalità di trasmissione telematica all'Agenzia delle Entrate delle comunicazioni ricevute dal Dipartimento dei Trasporti Terrestri, inviate dagli operatori in adempimento degli obblighi previsti ai commi sopra citati.

La finalità perseguita dalla norma si rinviene, evidentemente, nella necessità di monitorare le transazioni che hanno ad oggetto gli acquisti intracomunitari di mezzi di trasporto nuovi o reputati tali in base all'art. 38 del D.L. 331/1993 convertito dalla L. 427/1993 in tutti i passaggi che si susseguono, precedenti l'immatricolazione, allo scopo di contrastare i fenomeni di frode che si sono riscontrati nel settore.

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LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA

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Un rapido confronto con il sistema previdente permette di evidenziare la maggiore tempestività con cui le informazioni relative a tali transazioni giungeranno all'Amministrazione finanziaria, che potrà attuare con maggiore efficacia gli opportuni interventi di controllo.

I funzionari del Dipartimento dei Trasporti Terrestri, in base al disposto dell'art. 53 del D.L. del 331/1993 convertito dalla L. 427/1993 - Disposizioni relative ai mezzi di trasporto nuovi - hanno l'obbligo, prima di immatricolare il veicolo, di verificare il corretto adempimento dell'imposta da parte del richiedente l'immatricolazione.

Tuttavia, quando l'immatricolazione non è richiesta direttamente dal soggetto importatore, ma da altri operatori residenti nel territorio nazionale che da questi hanno acquistato il veicolo o, addirittura, da un ulteriore soggetto residente, a sua volta acquirente dell'importatore, (allungando, in tal modo, sempre più la catena commerciale in capo al veicolo importato) dei passaggi interni, successivi all'importazione, non si aveva traccia.

I funzionari del Dipartimento dei Trasporti Terrestri si trovano, in tal modo, a verificare solo l'ultimo anello della catena (l'ultimo acquirente interno), che di norma ha regolarmente assolto agli obblighi Iva, e nella materiale impossibilità di riscontrare e denunciare agli organi di controllo eventuali "salti" di imposta intermedi.

In definitiva, le informazioni relative alle auto estere importate ed immatricolate in Italia erano acquisite dall'Amministrazione finanziaria per il tramite delle comunicazioni degli Stati esteri di provenienza dei beni, ovvero, solo ad immatricolazione avvenuta, in quanto desumibili dai dati dichiarati (nella forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio) dai richiedenti l'immatricolazione stessa. Tali dati, relativi al numero di telaio, al Paese di provenienza e alla fattura di acquisto del veicolo (numero e data fattura) venivano trasmessi dal D.T.T. mediante l'invio periodico, in formato cartaceo, delle dichiarazioni ricevute in esecuzione degli adempimenti previsti dalle Circolari del D.T.T. nn. B59/2000/MOT e B64/2000/MOT.

Le novità introdotte dalla legge finanziaria 2005 hanno il pregio di rendere identificabili, in modo tempestivo anche i passaggi successivi all'importazione, avvenuti tra l'importatore, il/i rivenditore/i fino

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all'acquirente finale, rendendo più efficace l'azione di contrasto alle frodi Iva da parte degli organi competenti.

Anche l'adempimento che il Legislatore ha introdotto al comma 381, rubricato Comunicazione telematica dei dati contenuti nella dichiarazione d'intenti, trova la sua giustificazione nell'obiettivo di arginare i fenomeni di frode che si possono verificare nel caso di acquisti in sospensione di imposta, ex art. 8, secondo comma, lett. c), D.P.R. 633/1972 (Cessioni all'esportazione).

Ai cosiddetti esportatori abituali, così come definiti dall'art. 1 del D.L. 746/1983 - Applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 8 del D.P.R. 633/1972 - ovvero quei soggetti che hanno effettuato nell'anno precedente o nei 12 mesi precedenti cessioni all'esportazione o operazioni assimilate per un ammontare superiore al 10% del volume d'affari, è data la possibilità di effettuare acquisti e importazioni di beni e servizi senza il pagamento dell'imposta, nei limiti dell'ammontare complessivo delle cessioni all'esportazione o operazioni assimilate effettuate (plafond), comunicando ai propri fornitori l'intenzione di avvalersi di tale facoltà mediante l'invio della cosiddetta lettera d'intento.

L'acquisto in sospensione di imposta, in carenza dei requisiti richiesti per la qualifica di esportatore abituale, permette la successiva rivendita della merce acquistata con scorporo dell'Iva (che non viene versata) ottenendo lo stesso risultato già in precedenza descritto nel caso della frode Iva.

Il comma 381 dell'art. 1 della legge finanziaria modifica l'art. 1, primo comma, lett. c) del D.L. 746/1983, convertito dalla L. 17/1984, ponendo l'obbligo, in capo a coloro che ricevono le dichiarazioni di intento dai propri clienti, di comunicare all'Agenzia delle Entrate, esclusivamente in via telematica ed entro il 16 del mese successivo a quello di ricevimento della lettera di intento, i dati in essa contenuti.

Relativamente alle modalità di attuazione della misura stabilita al comma 381, il comma 385 prevede l'emanazione di un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate per la determinazione del contenuto e delle modalità di invio della comunicazione.

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LE NUOVE NORME DI CONTRASTO ALLE FRODI IVA

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Ancora una volta, la tempestività con cui l'Amministrazione finanziaria è in grado di disporre delle informazioni contenute nelle lettere di intento, al fine di predisporre gli opportuni controlli, è fondamentale.

Il Legislatore ha, pertanto, previsto, due forti deterrenti all'omissione di invio della comunicazione o all'invio di dati carenti o inesatti da parte dei soggetti tenuti al rispetto dell'adempimento, rispettivamente ai commi 383 e 384:

1) la modifica dell'art. 7 del D.L.vo 471/1997 - Violazioni relative alle esportazioni - con l'inserimento del comma 4-bis, che prevede l'applicazione nei confronti del cedente i beni/servizi che non adempie all'invio dei dati o adempie in modo incompleto ed inesatto della sanzione prevista al terzo comma dell'art. 7, ovvero dal 100% al 200% dell'imposta calcolata sul valore dei beni/servizi ceduti senza addebito di imposta;

2) l'introduzione del concetto di responsabilità solidale del cedente con il soggetto acquirente per il pagamento dell'imposta evasa, correlata all'infedeltà della dichiarazione ricevuta (in caso di mancato invio della comunicazione e/o invio di dati carenti e inesatti).

Gli effetti di una norma che prevede la responsabilità solidale tra cedente ed acquirente, emergono in tutto il loro impatto, se si procede ad un confronto tra la norma previgente e le novità introdotte dalla Finanziaria.

L'art. 7 del D.L.vo 471/1997, terzo comma, primo periodo, stabilisce che il cedente è tenuto al pagamento della sanzione e dell'imposta, se la cessione avviene senza lettera di intento, viceversa è tenuto al pagamento della sola sanzione se la cessione avviene senza addebito di imposta a seguito di presentazione da parte del cessionario di lettera di intento in assenza dei presupposti richiesti dalla legge. L'art. 7 al terzo comma, ultimo periodo, prevede, infatti, che del pagamento dell'imposta non addebitata in fattura rispondono esclusivamente il cessionario, i committenti e gli importatori che hanno provveduto al rilascio della lettera di intento in assenza dei presupposti richiesti dalla legge.

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In tal caso ed in caso di "splafonamento" (acquisto di beni e servizi oltre il limite di cui all'art. 1 del D.L. 746/1983), al cessionario, in base all'art. 7, quarto comma, viene applicata la sanzione di cui al terzo comma, oltre all'obbligo al pagamento dell'imposta, in via esclusiva, come previsto al terzo comma, ultimo periodo.

Con l'introduzione del comma 384 della Finanziaria, il cedente che omette di comunicare i dati contenuti nella lettera di intento ricevuta, oltre ad essere assoggettato alla sanzione prevista con l'introduzione del comma 4-bis, diviene responsabile in solido con l'acquirente del pagamento dell'imposta non addebitata per effetto della dichiarazione infedele; la responsabilità solidale opera, pertanto, in caso del contemporaneo verificarsi dell'omissione o di invio incompleto o inesatto, da parte del cedente, all'Agenzia delle Entrate dei dati contenuti nella lettera di intento ricevuta dal cessionario, che poi si riveli essere stata rilasciata in mancanza dei presupposti di legge.

Con l'entrata in vigore delle norme contenute ai commi 378 e 381 della legge finanziaria 2005 e, quindi, con l'invio delle comunicazioni in essi previste, relative alle immatricolazioni di veicoli nuovi e ai dati contenuti nelle lettere di intento, l'Agenzia delle Entrate entra in possesso di un consistente volume di informazioni, che come stabilito al comma 382, dovrà essere condiviso, in ottica di collaborazione, con gli altri organi preposti ai controlli in materia di contrasto all'evasione, ai fini del necessario coordinamento e programmazione delle attività da porre in essere.

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Brevi note sul contenzioso comunitario in tema di Irap

di Renato Loiero e Luciana Marino

1. Premessa - 2. Tratti essenziali dell'imposta - 3. Il dibattito sull'incompatibilità dell'Irap e la posizione comunitaria - 4. La questione dell'ambito temporale degli effetti della sentenza - 5. Conclusioni e prospettive di riforma

1. Premessa

Fin dalla sua introduzione nel 1998 l'Irap è stata oggetto di un acceso dibattito in ordine alle sue peculiarità rispetto alle forme più diffuse di imposizione a livello internazionale ed al suo utilizzo come tributo regionale (1). Il giudizio in atto sul tributo da parte della Corte di Giustizia Europea ha riproposto il confronto e ha posto il problema di una sua eventuale sostituzione con forme di prelievo equivalenti dal punto di vista del gettito, della neutralità e del riconoscimento dell'autonomia regionale.

Il problema della possibile incompatibilità dell'Irap con l'Iva, ai sensi dell'art. 33 della direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/Cee (di seguito: Sesta Direttiva) è sorto in seguito a un ricorso presentato dalla banca popolare di Cremona avverso un provvedimento di diniego di rimborso dell'Irap, per gli anni 1998 e 1999, ed emesso dall'Ufficio delle entrate di Cremona. La Commissione Tributaria Provinciale di Cremona

(1) In particolare, in riferimento all'utilizzo dell'Irap per il finanziamento della sanità, cfr. CIERIANI V. e GUERRIERI G., Il ruolo dell'Irap nel sistema fiscale, Rassegna tributaria, n. 6-2004, p. 2005.

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adita ha sospeso il relativo procedimento richiedendo alla Corte di Giustizia Europea di esprimersi in via pregiudiziale sulla questione. Il 17 marzo 2005 sono state depositate le conclusioni dell'Avvocato generale della Corte, Francis Jacobs, che appaiono confermare la tesi della incompatibilità dell'Irap con la disciplina di cui alla citata Sesta Direttiva. In attesa di conoscere l'esito del giudizio definitivo della Corte europea, appare utile riassumere i termini del dibattito (2).

2. Tratti essenziali dell'imposta

All'atto del suo ingresso nell'ordinamento nazionale, l'Irap ha rappresentato un tributo nuovo (3), gravante esclusivamente sulla produzione e che secondo alcuni studiosi ha rappresentato il primo passo verso la realizzazione del c.d. "federalismo fiscale" (4). Giova qui rammentare che, in estrema sintesi, le ragioni che spinsero il legislatore a introdurre l'Irap sostituendo sei tributi e un contributo (quello sanitario) furono diverse ed essenzialmente, in primis, la necessità di dotare le regioni di un proprio gettito atto a sostenere le funzioni ad esse delegate

(2) Conclusioni dell'Avvocato generale Jacobs presentate il 17 marzo 2005, causa c-475/03, banca popolare di Cremona contro l'Agenzia delle entrate ufficio di Cremona. Per una sintesi del dibattito, si veda: SANTAMARIA T., Il caso dell'Irap. Il problema della sua pretesa illegittimità e l'ampio dibattito di esperti su possibili soluzioni, Fiamme Gialle, n. 4-2005, pp. 27-29.

(3) L'istituzione di un'imposta locale sull'attività produttiva, in aggiunta e separata da altri prelievi locali sulle famiglie, ha trovato prevalente giustificazione in un criterio di "collaborazione", o di "partnership principale", che soprattutto negli anni '80 è stato ampiamente trattato nella dottrina inglese e tedesca. Si tratta di un principio che era già alla base dell'Iciap e che ha ispirato analoghi tributi di altri Paesi europei, quali la tedesca Gewerbesteuer, la francese Taxe Professionelle e la Council tax britannica. Sul tema: GALLO S., L'Irap, una complicata novità nel sistema tributario italiano, Rivista della Guardia di Finanza, n. 2-1999, p. 611.

(4) Senza addentrarsi in tale tematica, di stretta attualità, ma anche di particolare rilevanza politica, rimandiamo a: LOIERO R., Il modello di federalismo fiscale nel decreto 56 del 2000: problemi e prospettive di riforma, in: Atti del convegno su Federalismo fiscale e decentramento amministrativo: verso un nuovo assetto della finanza locale, a cura dell'ANFI - Associazione Nazionale Finanzieri d'Italia - Sezione di ROMA - Villa Spada - Roma, 17 dicembre 2004; in www.anfivillaspada.it. Si veda anche, per la sua particolare rilevanza nell'ambito del dibattito in atto, l'intesa interistituzionale della Lombardia dell'11 febbraio 2005 dove sono tratteggiate le linee guida della futura assegnazione dei tributi ai livelli di governo.

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BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP

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dallo Stato e, in secundis, soddisfare l'esigenza di una semplificazione fiscale. Va qui anche notato che già allora si pose il problema di valutare la compatibilità comunitaria della nuova imposta (5).

Il presupposto di tale imposta, è secondo l'art. 2 del D.L.vo 446/1997 "(…) l'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (…)". Ciò che viene dunque tassato è una grandezza autonoma e distinta dal soggetto cui essa si riferisce, anche se ad esso è strettamente correlata, ovvero un'entità reale, diversa dal consumo, dal patrimonio e dal reddito, e individuata nella potenzialità economica e produttiva espressa dal coordinamento tra organizzazione e disponibilità dei fattori della produzione (6).

La base imponibile, quindi, individuata nel valore della produzione netta, derivante dall'attività svolta in ciascuna regione italiana dal soggetto passivo, viene calcolata con diversi metodi, applicabili in funzione della tipologia dell'attività esercitata (7).

(5) È stato infatti segnalato che durante l'udienza del 16 novembre 2004 l'Avvocatura dello Stato avrebbe citato una lettera del 10 marzo 1997 con la quale la Commissione Europea allora espressamente affermò che la nuova imposta, allora conosciuta come Irep e destinata ad entrare in vigore nel gennaio 1998, non era assolutamente in contrasto con la direttiva sull'Iva in quanto totalmente diversa. Tale nulla osta è intervenuto, peraltro, quando era già stata approvata la legge di delega nella quale i connotati dell'imposta erano abbastanza compiutamente delineati (art. 3, comma 162, della L. 662 del 1996). Cfr. SETTEMBRE D., La (presunta) incompatibilità dell'Irap con l'art. 33 della direttiva n. 77/388/Cee del 17 maggio 1977 e l'attesa sentenza della Corte di Giustizia, il fisco, n. 48/2004. Più di recente, in uno studio Eurostat del 2004 si fa presente che le tasse sul reddito o sui profitti delle società sono calcolate in Paesi come Germania, Italia e Austria includendo le imposte locali e regionali. Nell'allegato B, ove sono indicate le imposte secondo la loro funzione economica, l'Irap viene inclusa tra le imposte che colpiscono il fattore "capitale" mentre l'Iva tra quelle che colpiscono il consumo. Anche se non si tratta di una indicazione normativa se ne potrebbe evincere, al limite, una posizione comunitaria già orientata nel senso di escludere una duplicazione dell'Iva. Significativo appare il seguente passaggio: "At the same time, however, a new regional tax on productive activities, commonly abbreviated as Irap, based on the value of production net of depreciations was introduced (classified in ESA95 as an indirect other tax on production)". EUROSTAT, Structures of the taxation system in the European Union, p. 48.

(6) In proposito cfr. Prof. GALLO F., Ratio e struttura dell'Irap, Rassegna tributaria, n. 3/1998, p. 627.

(7) Brevemente, si rammenta che per quanto riguarda le imprese è necessario far riferimento alle risultanze del conto economico, di cui all'art. 2425 del Codice Civile, con le opportune variazioni

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RENATO LOIERO - LUCIANA MARINO

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3. Il dibattito sull'incompatibilità dell'Irap e la posizione comunitaria

Sull'Irap si è svolto nel recente passato un ampio dibattito, sia dottrinale che giurisprudenziale, circa la sua legittimità nonché la sua compatibilità con i princìpi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione. A dirimere parzialmente tali contrasti è quindi intervenuta la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 156 del 2001, ha dichiarato la legittimità costituzionale dell'Irap ed ha respinto le censure in merito affermando, seppure incidentalmente, che l'elemento organizzativo non è necessariamente connaturato all'attività di lavoro autonomo, la quale, anche se svolta abitualmente, può risultare sprovvista di autonoma organizzazione. Ciò, in concreto, può comportare l'insussistenza del presupposto Irap e, conseguentemente, l'inapplicabilità del tributo in capo al professionista (8).

Tale pronuncia rileva però anche per l'aspetto qui in rassegna in virtù del richiamo contenuto in sentenza con riferimento al "valore aggiunto prodotto" assoggettato all'imposta e definito come "nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva". Un secondo aspetto affrontato in quella pronuncia è quello relativo all'ipotesi della traslazione dell'imposta, ove si sostiene che anche l'Irap come qualsiasi altro costo (anche fiscale) gravante sulla produzione potrebbe essere traslata sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo le leggi del mercato, o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative.

Tali assunti, ed in particolare il secondo, sebbene espressi al fine di sostenere la legittimità costituzionale dell'imposta, sono stati utilizzati da alcuni autori al fine di sostenere l'analogia tra l'Irap e l'Iva. Infatti, se

e rettifiche previste sia in materia di imposte sui redditi dal Tuir sia altre modifiche proprie dell'Irap e di cui al citato decreto. Nel caso, invece, dei professionisti il valore della produzione netta è dato dalla differenza tra l'ammontare dei compensi percepiti e l'ammontare dei costi sostenuti ed inerenti all'attività esercitata, compreso l'ammortamento dei beni materiali ed immateriali. Sono invece esclusi sia gli interessi passivi sia le spese per il personale dipendente.

(8) Fondazione Luca Pacioli, L'applicazione dell'Irap ai redditi di lavoro autonomo, Circolare n. 8/2002, Documento n. 12 del 16 maggio 2002. Cfr. anche: GALLO S., Quando l'Irap non è dovuta dal professionista, Rivista della Guardia di Finanza, n. 6/2004, p. 1913.

(segue nota)

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BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP

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si ammettesse, empiricamente, la possibilità di una traslazione, seppure economica, dell'Irap sui consumatori allora tale imposta potrebbe essere assimilata alle imposte sui consumi e quindi all'Iva.

Il problema, però, dell'incompatibilità tra l'Irap e l'Iva, deve essere visto in ambito soprattutto comunitario, ed in riferimento all'art. 33 della Sesta Direttiva, avuto riguardo alle motivazioni economico-normative di tale divieto.

Tale articolo stabilisce infatti che: "(…) fatte salve le altre disposizioni comunitarie, in particolare quelle previste dalle vigenti disposizioni comunitarie relative al regime generale per la detenzione, la circolazione e i controlli dei prodotti soggetti ad accise, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, più in generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere di imposta sulla cifra d'affari, sempreché tuttavia tale imposta, diritto e tassa non dia luogo, negli scambi fra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera".

L'obiettivo che si propone la norma, così come si legge nella sentenza EKW (9) della Corte di Giustizia Europea è dunque: "(...)

(9) Si tratta della Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 9 marzo 2000. - Evangelischer Krankenhausverein Wien contro Abgabenberufungskommission Wien et Wein & Co. HandelsgesmbH contro Oberösterreichische Landesregierung. In proposito, la Corte è stata investita della risoluzione di tre questioni pregiudiziali in merito all'interpretazione dell'art. 33 della Sesta Direttiva. Al riguardo, il giudice comunitario, premesso che l'art. 33 della Sesta Direttiva osta al mantenimento o all'introduzione di imposte di registro o di altri tipi di imposte, diritti o tasse che presentino le caratteristiche dell'Iva, ha risolto negativamente il primo quesito nella considerazione che l'imposta descritta nella causa principale non costituisce un'imposta generale, non essendo destinata a gravare su tutte le operazioni economiche nello Stato membro considerato. Dal tenore delle disposizioni nazionali applicabili risulta, infatti, che la pretesa imposta si applica esclusivamente ad una categoria limitata di beni, cioè a dire le cessioni a titolo oneroso di gelati alimentari e di bevande, inclusi i relativi involucri ed accessori venduti con i prodotti. Tra le altre sentenze conformi si vedano, tra tutte: sentenza Rousseau Wilmot, causa n. 295/84 del 27 novembre 1985; sentenza Bozzi, causa n. 347/90 del 7 maggio 1992; sentenza Solisnor-Estaleiros Navais, causa n. 130/96 del 17 settembre 1997.

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lasciando liberi gli Stati membri di mantenere in vigore o di istituire determinati tributi, come le imposte indirette, a condizione che non si tratti di tributi aventi il carattere di imposta sulla cifra d'affari (...), di impedire che il funzionamento del sistema comune dell'Iva sia leso da provvedimenti fiscali di uno Stato membro che gravano sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpiscono i negozi commerciali in modo analogo all'Iva". Pertanto, secondo la Corte, la ratio dell'art. 33 della Sesta Direttiva sta nell'evitare interferenze con l'Iva comunitaria in quanto, se ciò si verificasse, verrebbe violata una delle quattro libertà del Trattato, ovvero la libera circolazione di merci e servizi, minando il funzionamento del mercato interno.

Nel ragionamento seguito dall'avvocato generale della Corte europea, relativamente al caso di specie, è pacifico che per essere colpita dal divieto di cui all'art. 33 della Sesta Direttiva, un'imposta nazionale deve presentare tutte le caratteristiche essenziali dell'Iva che, secondo la giurisprudenza della Corte, sono nel numero di quattro, strettamente corrispondenti alla definizione contenuta all'art. 2 della prima direttiva ovvero:

- si applica in modo generale alle cessioni di beni o di servizi;

- grava sul valore aggiunto ai beni e/o ai servizi di cui trattasi;

- è applicata ad ogni fase del processo di produzione e di distribuzione;

- è proporzionale al prezzo di tali beni o servizi, qualunque sia il numero di operazioni intervenute.

Qualora si ritenessero sussistenti tali requisiti non si potrebbe più escludere l'incompatibilità con l'Iva: risulta quindi necessario soffermarsi partitamente nel dettaglio dell'analisi degli stessi.

Per quanto attiene al primo requisito, ovvero all'applicazione in modo generalizzato alle cessioni di beni e servizi, l'art. 2, comma 1 del decreto legislativo istitutivo dell'Irap prevede che: "Presupposto dell'imposta è l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi". Nell'interpretare la lettera di tale norma la Commissione europea, nelle proprie osservazioni alla causa in

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BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP

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discussione, ha fatto notare che il requisito della generalità dell'Irap appare, per certi versi, ancora più esteso rispetto a quello previsto in tema di Iva in quanto verrebbe applicata anche a soggetti esclusi o esentati dall'applicazione dell'Iva come, ad esempio, le amministrazioni pubbliche (10), ovvero le banche e le società assicurative e finanziarie.

Tuttavia, il Governo italiano ha sostenuto che sebbene l'Irap possa essere considerata un'imposta applicabile in modo generalizzato, essa non è applicabile alle cessioni di beni o servizi; essa, infatti, si applica ad una ricchezza creata e non a cessioni effettuate, di modo che, ad esempio, un'impresa che in un determinato periodo d'imposta produce una certa quantità di beni che però non vende sarà soggetta all'Irap ma non all'Iva in tale periodo d'imposta. Pertanto l'Irap, a differenza dell'Iva, quantomeno sotto questo aspetto, appare in ogni caso un'imposta diretta e non indiretta.

In relazione al secondo punto, il requisito dell'applicazione al valore aggiunto, molti autori, nonché lo stesso Avvocato della Corte, nel sostenere l'analogia dell'Irap con l'Iva fondano le loro argomentazioni sul presupposto che entrambe le imposte tassano, in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione, la frazione di valore aggiunto che si è formata presso ogni singolo produttore che ha preso parte al processo produttivo e distributivo dei beni e servizi forniti dalle imprese o dai professionisti. Ciò che, secondo tale orientamento (11), varierebbe tra le due imposte è il metodo con cui si procede alla determinazione del valore aggiunto dei beni e servizi prodotti dal soggetto passivo. Nell'Iva si procede alla tassazione per operazioni, nell'Irap la determinazione del valore aggiunto avviene in modo complessivo e per anno d'imposta. Inoltre, la classificazione dell'Irap come imposta diretta, e quindi di altro genere rispetto all'Iva, viene ritenuta non rilevante in quanto "nella fattispecie, la questione non è quella di stabilire se l'Irap debba essere

(10) Si tratta della cosiddetta "Irap pubblica" introdotta in sostituzione dei contributi sociali figurativi del pubblico impiego.

(11) Così la Commissione Europea nella relazione alla causa C-475/2003; si veda anche: BIANCO R., Sulla presunta incompatibilità tra Irap e Iva ai sensi dell'art. 33 della Direttiva n. 77/388/Cee, il fisco, n. 14/2005.

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qualificata come imposta diretta o indiretta, ma se essa abbia le stesse caratteristiche dell'Iva".

A tale impostazione occorre però fare delle obiezioni. In primis, non può negarsi che la nozione di valore colpito dall'Irap è di natura diversa rispetto a quello colpito dall'Iva. Infatti, l'Iva è calcolata detraendo in ogni cessione di beni e servizi dall'Iva incassata sulle vendite quella pagata sugli acquisti. Pertanto, siccome è ammessa in detrazione anche l'Iva pagata sugli acquisti di beni capitali, l'imposta grava solo sui beni di consumo: quindi l'Iva è classificabile come un'imposta sul valore aggiunto tipo consumo, laddove nella tassazione del consumo è rilevante la rivalsa obbligatoria la cui funzione è appunto quella di garantire la neutralità dell'imprenditore (12). L'Irap invece si applica essenzialmente detraendo dai ricavi i costi per materie prime e beni intermedi. Non vengono dedotti gli investimenti, ma solo gli ammortamenti. Si tratta quindi di un'imposta sul valore aggiunto tipo reddito netto, nella quale ciò che viene tassato è il reddito prodotto (al netto degli ammortamenti) e non il consumo (13). L'oggetto economico sottoposto all'Irap, in buona sostanza, si avvicina più al concetto di reddito derivante dalle attività commerciali e professionali che alla nozione di valore aggiunto tipico dell'Iva, circostanza derivante dal fatto stesso che il valore aggiunto dell'Irap è appunto quello "tipo reddito" e non quello "tipo consumo" tipico di una imposta sulla cifra d'affari quale è l'Iva (14).

Dall'analisi dei rispettivi ambiti di applicazione, inoltre, Iva e Irap appaiono diametralmente dissimili anche sul piano dei rapporti internazionali, presupposto sostanziale dal quale si origina, come dianzi accennato, anche la disciplina dell'intervento comunitario. Le

(12) Cfr. DE MITA E., Eutanasia di una tassa, Il Sole 24Ore, 18 marzo 2005.

(13) Il lettore rammenterà che già ANTONIO DE VITI DE MARCO dimostrò come un'imposta sul valore della produzione fosse equivalente a una sui redditi.

(14) Talché, nel caso di soggetti Irap senza dipendenti né interessi passivi, la base imponibile risulta quasi completamente pari al reddito d'impresa.

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BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP

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esportazioni sono, infatti, soggette a Irap, ma non a Iva, mentre le importazioni sono soggette a Iva, ma non a Irap, in relazione alla quale il costo delle merci importate è deducibile, sia per le materie prime, sia per i servizi d'impresa, sia per i beni strumentali, tramite gli ammortamenti; analogamente, per tutti i rapporti con l'estero (15).

Nella sua argomentazione l'Avvocato della Corte ha riconosciuto, difatti, la significatività, segnalata dal Governo italiano, del fatto che il regime Iva permette ad un soggetto passivo di dedurre l'imposta a monte non appena essa è sopportata, indipendentemente dall'ammontare dell'imposta a valle dovuta nel corso dello stesso periodo d'imposta, talché si può verificare il caso in cui il pagamento netto, in un particolare periodo, sia effettuato in maniera inversa ovvero dall'autorità fiscale al soggetto passivo. Tale meccanismo non si configura invece nel caso dell'Irap in quanto, se in un periodo determinato i costi superano i ricavi, l'imposta è pari a zero. A nostro parere, riveste pertanto valore dirimente la differenza costituita dal regime di rimborsabilità e di riportabilità dell'Iva a credito, principio non riconosciuto per l'Irap in quanto, appunto, la tassazione presuppone la "creazione" di un valore aggiunto, non rilevando l'ipotesi opposta di "distruzione" di valore.

Esiste poi una serie di differenze minori in ordine alla detraibilità soggettiva ed oggettiva ed al campo di applicazione delle due imposte: per fare solo un'esempio va rammentato che gli intermediari finanziari e le compagnie di assicurazione svolgono essenzialmente operazioni esenti da Iva ma sono egualmente assoggettate ad Irap. Da ciò discende che l'Irap è sopportata dai produttori e solo in via mediata, eventuale e differita dai consumatori finali, secondo il meccanismo della traslazione economica di cui alla citata sentenza 156/2001 della Corte Costituzionale. Nella sua determinazione ordinaria, infatti, l'Irap non consente alcuna rivalsa giuridica in senso tecnico, carattere evidenziato anche dal fatto che tale imposta non è deducibile dalle imposte sui redditi. D'altronde, portando alle estreme conseguenze tale linea di

(15) Cfr. LUPI R., Niente sovrapposizioni con l'Iva, Il Sole 24Ore, 16 novembre 2004.

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ragionamento, non si coglierebbe nemmeno il discrimine tra l'Iva e le imposte generali sul reddito d'impresa del tipo dell'Ires (16).

Presupposto dell'Irap non è infatti la cessione di beni o la prestazione di servizi, ma l'esercizio di un'attività organizzata. Rientrano infatti nella base imponibile una serie di fenomeni e operazioni che non sono necessariamente collegati alla cessione o al consumo di beni e servizi. Il Governo italiano ha pertanto correttamente (a nostro parere), sostenuto che le componenti positive della base imponibile non sono costituite dalle sole cessioni e prestazioni, potendosi quindi determinare un imponibile positivo anche in assenza di vendite, con la mera valorizzazione delle rimanenze finali.

Sulla base di queste argomentazioni, dunque, almeno ed in particolare per questo profilo, comunque di sicura rilevanza, non appaiono condivisibili le argomentazioni dell'Avvocato generale della Corte di Giustizia: l'Irap può apparire simile sia ad un'imposta diretta sui redditi, sia ad un'indiretta proprio in virtù dei caratteri suoi propri, che la differenziano dagli altri tributi e in particolare dall'Iva ordinaria, che colpisce i consumi (riferiti a beni prodotti sia all'interno, sia all'esterno del paese).

In merito al terzo aspetto, ovvero all'applicazione dell'Irap in ogni fase della produzione e distribuzione, molti autori, e lo stesso Avvocato della Corte, ritengono difficile poter negare l'esistenza di un'analogia con l'Iva.

Secondo tale orientamento, l'applicazione dell'Irap in ogni fase del processo di produzione e di distribuzione del bene e del servizio è dovuta al fatto che essendo ogni operatore economico un soggetto passivo Irap ed inserendosi ogni operatore in una precisa

(16) L'art. 2 della prima direttiva sancisce infatti il principio del sistema comune dell'Iva che consiste nell'applicare ai beni e ai servizi una imposta generale sul consumo. Nella relazione dell'Avvocato generale non è invece chiarito alcun collegamento diretto dell'Irap con il consumo, che pure dovrebbe costituire elemento essenziale dell'Iva come ricordato dalla stessa Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 20 ottobre 1993, C-10/92. Cfr. LUPI R., Prelievo che colpisce in direzioni differenti, Il Sole 24Ore, 17 marzo 2005.

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BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP

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fase del ciclo produttivo/distributivo, ne risulta che l'imposta viene riscossa in ogni fase di detto processo. Sarebbe altresì ininfluente il verificarsi di distorsioni o esclusioni, quali l'indetraibilità dell'imposta, nell'applicazione dell'Irap, in quanto ciò accade anche nell'Iva. Inoltre, per tali autori, il metodo di calcolo, cosiddetto "base da base", comporterebbe che il numero di fasi intermedie del ciclo di produzione/distribuzione non venga ad influire sull'ammontare dell'imposta riscossa all'atto dell'immissione del bene o del servizio al consumo finale. In realtà, anche su tale aspetto l'argomentazione dell'Avvocato della Corte può non risultare pienamente convincente, atteso che egli stesso ricorda che il carattere globale dell'Irap consente indubbiamente agli operatori economici un grado di flessibilità maggiore rispetto al caso dell'Iva (17) ma, aggiunge, ricordando la sentenza Careda (18),

(17) Nelle sue conclusioni, l'Avvocato specifica che: "(...) Essi possono adeguare il modo in cui trasferiscono l'onere dell'imposta ai loro clienti, o possono addirittura scegliere di non trasferire tale onere per nulla. L'Iva per contro deve essere applicata all'aliquota appropriata a ciascuna singola cessione. Di conseguenza, mentre il regime Iva richiede che l'ammontare dell'imposta sia una quota proporzionale specificata del prezzo applicato a ciascuna cessione di beni o servizi, di modo che almeno a fini contabili esso rimane rigorosamente proporzionale, qualunque sia il numero di transazioni, ciò può non essere letteralmente vero relativamente all'Irap, il cui ammontare in proporzione al prezzo di una data cessione può variare notevolmente o può addirittura essere impossibile da determinare".

(18) Cause riunite C-370/95, C-371/95 e C-372/95, Careda SA, Federación nacional de operadores de máquinas recreativas y de azar (Femara) e Asociación española de empresarios de máquinas recreativas (Facomare)/Administración General del Estado, nella quale si afferma: "15. Da quanto precede discende che, per avere il carattere d'imposta sulla cifra d'affari ai sensi dell'art. 33 della direttiva, il tributo considerato deve poter essere trasferito al consumatore (...). L'art. 33 della Sesta Direttiva deve essere interpretato nel senso che, affinché un tributo abbia il carattere d'imposta sulla cifra d'affari, non è necessario che la normativa nazionale ad esso applicabile preveda espressamente la possibilità di trasferirlo al consumatore (...). L'art. 33 della Sesta Direttiva va interpretato nel senso che, affinché un tributo abbia il carattere d'imposta sulla cifra d'affari, non è necessario che il suo trasferimento al consumatore risulti da una fattura o da un documento equipollente. Ai fini dell'applicazione di tale disposizione, spetta comunque al giudice nazionale verificare se il tributo controverso sia tale da colpire la circolazione dei beni e dei servizi in modo analogo a quello che caratterizza l'Iva, accertando se possieda le caratteristiche essenziali della stessa. Ciò si verifica se esso possiede carattere generale, se è proporzionale al prezzo dei servizi, se è riscosso in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione e se si applica al valore aggiunto dei servizi".

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che la Corte ha specificamente stabilito che "per avere il carattere d'imposta sulla cifra di affari ai sensi dell'art. 33 della direttiva, il tributo considerato deve poter essere trasferito al consumatore", ma che non è necessario che la normativa nazionale pertinente preveda espressamente la possibilità di trasferirlo in tal modo, o che tale trasferimento risulti da una fattura o da un documento equipollente.

Il quarto ed ultimo profilo è quello inerente la proporzionalità al prezzo dei beni o servizi. Per alcuni autori (19) il carattere di imposta proporzionale è confermato dal fatto che l'Irap viene calcolata applicando la percentuale del 4,25% al valore della produzione netta che altro non è che la differenza tra i ricavi derivanti dall'attività ordinaria dell'impresa e i costi imputabili a tale attività. Secondo tale orientamento, essendo i ricavi ordinari i prezzi applicati dall'impresa per il numero dei prodotti ceduti mentre i costi inerenti l'attività di produzione sono i ricavi di altre imprese, concludono che la somma degli ammontari riscossi a titoli di Irap lungo tutto il ciclo di produzione/distribuzione del bene/servizio non è altro che l'Irap applicata al prezzo di vendita dei beni/servizi in sede di immissione di questi al consumo finale.

Anche tale impostazione non appare in realtà esente da perplessità. Oltre al fatto che l'Iva, per tale aspetto, si differenzia altresì dall'Irap in quanto la prima non prevede un'aliquota uniforme, nel confrontare le due imposte, Iva e Irap, non si può altresì trascurare la circostanza che mentre per la prima è previsto un obbligo di rivalsa da parte dei produttori (c.d. collettori d'imposta per conto dello Stato) sui soggetti consumatori finali, nel caso dell'Irap ciò non è previsto.

4. La questione dell'ambito temporale degli effetti della sentenza

Nell'ambito degli effetti finanziari della sentenza, giova dare conto di una ulteriore questione connessa all'ambito di operatività temporale della

(19 Ibidem, BIANCO R.

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BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP

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stessa, punto che è stato toccato anche dall'Avvocato generale (20). Giova rammentare che in caso di effetto retroattivo i contribuenti potrebbero infatti attivarsi in seguito alla sentenza per il rimborso dell'imposta versata in precedenza, nei limiti dei 48 mesi previsti dalla normativa italiana per il rimborso dei tributi diretti.

Sul punto, la stessa Corte di Giustizia nella causa C-209/03 (aiuti agli studenti) ha affermato alcuni princìpi, a nostro parere, applicabili anche alla questione in esame. In tale giudizio è stato infatti ricordato che l'interpretazione di una norma di diritto comunitario fornita dalla Corte chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa come deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore: ne consegue che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e sviluppatisi prima della sentenza interpretativa, sempreché, d'altro canto, sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente una lite relativa all'applicazione di detta norma (21).

Solo in via eccezionale la Corte può, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all'ordinamento giuridico comunitario, essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere la disposizione così interpretata onde rimettere in questione rapporti giuridici costituiti in buona fede (22) non rilevando autonomamente, circostanza rilevante in subiecta materia, le conseguenze finanziarie di una sentenza per lo Stato membro (23).

La Corte ha fatto ricorso a tale soluzione soltanto in presenza di circostanze ben precise, quando, da un lato, vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, in particolare, all'elevato numero

(20) Testualmente, l'Avvocato generale così si è espresso: "90. Tuttavia, per coloro che cercano di far valere la pronuncia che la Corte emanerà, gli effetti di essa dovrebbero essere soggetti ad una limitazione nel tempo, con riferimento ad una data che dovrà essere fissata dalla Corte".

(21) Sentenze 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana, Racc. p. 1205, punto 16, e 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. p. 379, punto 27.

(22) Vedi sentenze Blaizot, cit., punto 28; 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a., Racc. pag. I-4625, punto 30, e 4 maggio 1999, causa C-262/96, Sürül, Racc. p. I-2685, punto 108.

(23) Vedi, tra l'altro, sentenza Grzelczyk, punto 52.

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di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente, e quando, dall'altro lato, risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa comunitaria in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni comunitarie, incertezza alla quale avevano eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione.

Sulla base della "cronistoria" in precedenza riassunta sembrerebbero quindi configurabili nel caso di specie i presupposti per la limitazione temporale degli effetti (irretroattività) della sentenza.

5. Conclusioni e prospettive di riforma

Pur comprendendo, dal punto di vista giuridico, i parametri del giudizio della Corte comunitaria, va segnalato in primo luogo come l'oggetto del riscontro della compatibilità tra Iva e Irap non sia stato rappresentato dagli aspetti strutturali del tributo (presupposti, soggetti passivi, determinazione della base imponibile, eventuali forme di traslazione del tributo, interferenze con il sistema Iva) in quanto l'Avvocato della Corte, come di consueto, ha presupposto che solo i giudici italiani sono competenti a determinare le precise caratteristiche dell'Irap utilizzando però, come univoca fonte interpretativa, la citata sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 2001. Ciò, in sostanza, porta a ritenere come nelle conclusioni dell'Avvocato generale sia prevalso un aprioristico uso del principio della prevalenza della forma sulla sostanza, trascurando la natura vera dell'Irap quale tributo sul valore aggiunto al momento della produzione. Quantomeno dal punto di vista formale, l'Irap, difatti, non è un'imposta indiretta sui consumi, né per quanto riguarda la struttura, né per la formulazione dell'imponibile, né per il modo in cui incide sul contribuente di diritto o per il tipo di presupposto: per la difficoltà di traslazione dell'imposta essa possiede invece i caratteri tipici dell'imposizione diretta.

In più punti, la relazione dell'Avvocato generale sembra inoltre prescindere anche dal parere fornito dalla stessa Commissione europea,

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BREVI NOTE SUL CONTENZIOSO COMUNITARIO IN TEMA DI IRAP

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un elemento che invece può rappresentare la migliore soluzione per definire preventivamente la compatibilità dell'Irap con l'ordinamento comunitario (24). Una soluzione diversa dalla mera declaratoria di illegittimità potrebbe peraltro essere parzialmente in linea con le posizioni espresse dal Parlamento europeo, contrarie all'armonizzazione in tema di imposizione diretta e volte a legittimare una equa competizione fiscale tra i Paesi.

Con tutte le cautele del caso, in attesa del giudizio della Corte europea, giova a questo punto dare brevemente conto di alcune delle possibili prospettive di riforma del tributo (25).

In primo luogo, è chiaro che la soluzione più semplice potrebbe sembrare la reintroduzione dei vecchi tributi soppressi con l'introduzione dell'Irap. Risulta però altrettanto evidente che tale ipotesi è poco meno che meramente teorica: oltre ai complessi problemi connessi alla riviviscenza dei singoli tributi allora soppressi, tale soluzione dimostrerebbe ulteriormente l'incongruità di scelte di politica fiscale nazionale dettate in un quadro comunitario ancora carente sul piano dell'armonizzazione delle imposte dirette (26).

Una soluzione ancora più semplice potrebbe invece consistere nella mera ridenominazione del tributo al fine di caratterizzarlo più nettamente come imposta sui redditi (27) ed in modo tale conseguire le

(24) DE MITA E., cit.

(25) Incidentalmente, va comunque tenuto presente che all'udienza, il Governo italiano ha asserito che gli importi riscossi e utilizzati per finanziare le attività delle autorità regionali nel corso di tale periodo erano superiori ad euro 120 miliardi di euro. Alla luce delle gravi conseguenze, è stato pertanto chiesto che, se l'Irap dovesse essere dichiarata incompatibile con l'art. 33 della Sesta Direttiva, gli effetti della sentenza nel tempo debbano essere limitati, come ad esempio nella sentenza EKW. Inoltre, la sua eventuale riqualificazione come imposta sui consumi e, quindi, l'illegittimità secondo le norme comunitarie in materia di Iva comporterebbe, inoltre, serie difficoltà con quei Paesi che hanno ratificato la sua inclusione nei trattati internazionali contro le doppie imposizioni in materia di imposte dirette.

(26) Valga solo rammentare che l'imposta sul patrimonio netto, una delle imposte soppresse con l'introduzione dell'Irap, aveva suscitato dubbi di incompatibilità comunitaria per contrasto con la direttiva in tema di tassazione dei conferimenti di capitale.

(27) Alcuni hanno proposto, ad esempio, di invertire le modalità di determinazione della base imponibile, calcolandola come somma delle remunerazioni dei diversi fattori produttivi (salari,

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riduzioni del carico fiscale in modo neutrale con riduzioni dell'aliquota dell'imposta. Più in concreto, da più parti viene anche avanzata l'ipotesi di riconsiderare il trattamento del costo del lavoro rendendo tale posta deducibile dalla nuova imposta e compensando la perdita di gettito con un incremento contenuto dell'aliquota (28).

Indipendentemente dalla soluzione adottata, una revisione dell'Irap deve necessariamente tener conto delle caratteristiche del tributo, in ordine ai suoi effetti di neutralità e di incidenza: anche il semplice ritorno alla situazione precedente la riforma andrebbe pertanto ovviamente valutata soppesando i diversi effetti di incidenza settoriale e distribuzione territoriale del gettito sia della imposta sopprimenda che dei tributi di nuova istituzione (si pensi solo ai soppressi contributi sanitari), mentre dal punto di vista della finanza regionale andrebbero ovviamente valutati gli effetti in termini di scelte di localizzazione delle imprese e di ricaduta sul finanziamento della spesa sanitaria regionale (29).

interessi e profitti), sulla scorta di tributi simili quali la Michigan Single Business Tax e quindi non più come risultato differenziale tra valore della produzione e costo delle materie prime e dei beni intermedi. Cfr. ARACHI G. e ZANARDI A., "Spacchettamento" o nuovo tipo di calcolo, Il Sole 24Ore, sabato 26 marzo 2005.

(28) Ibidem, ARACHI G. e ZANARDI A.

(29) Sul punto: OSCULATI F., L'Irap e il federalismo dimezzato, SIEP, working paper, n. 402, aprile 2005.

(segue nota)

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Documento informatico, firma digitale e fatturazione elettronica

di Simone La Rocca

1. Nozione di documento informatico - 2. Il quadro normativo di riferimento - 3. La posizione dell'Unione europea - 4. L'Autorità di certificazione - 5. Il processo della firma digitale - 6. Utilizzo dei sistemi telematici e fatturazione elettronica

1. Nozione di documento informatico

Le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno iniziato a cambiare le abitudini di molti utenti-consumatori e i processi di molte imprese e organizzazioni.

Lo dimostrano le statistiche di mercato che evidenziano come nel nostro Paese sia ogni giorno in crescita il numero degli utenti privati alla rete (oltre il 40% della popolazione adulta), mentre le imprese collegate a Internet siano oltre i due terzi.

La situazione non deve stupirci particolarmente, poiché siamo di fronte a un processo di profonda trasformazione culturale della società e del mondo dell'impresa, processo che come qualsiasi cambiamento culturale non può avvenire in tempi brevi.

Il documento informatico, in generale, può essere definito come una scrittura o un atto avente valenza probatoria prodotto con sistemi telematici e che risiede su un supporto informatico. Il documento analogico, invece, è quel documento non originariamente informatico, ma suscettibile di archiviazione digitale.

Affinché i documenti informatici presentino, però, la stessa rilevanza giuridica di quelli cartacei, essi devono possedere determinate caratteristiche, e cioè devono:

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- permettere la conservazione e la leggibilità senza limiti temporali;

- rendere possibile l'esibizione e lo scambio di documenti tra soggetti diversi;

- garantire la paternità del documento.

Per quanto concerne i primi due requisiti, il problema è stato risolto con la memorizzazione degli atti su supporti ottici non alterabili (denominati tecnicamente CD-ROM e WORM) e scritti secondo un codice standard (1).

Per meglio comprendere tali vantaggi possiamo far riferimento a tre fattori:

- spazio: un documento informatico occupa meno posto dell'equivalente documento cartaceo e ciò si fa sentire pesantemente con l'aumentare della mole dei documenti;

- consultazione: è facile e soprattutto automatico ricercare le informazioni che servono in una massa di documenti eterogenei; anche in questo caso all'aumentare dei documenti il vantaggio aumenta a tal punto che, al di sopra di una certa mole, la scelta informatica è praticamente l'unica percorribile;

- trasmissione: mentre il documento cartaceo, o una copia di esso, devono essere fisicamente trasportati da un posto all'altro, i documenti informatici viaggiano su un cavo elettrico da un computer ad un altro.

Per quanto riguarda il terzo requisito occorre tenere presente che proprio la paternità, ossia la possibilità di poter ricondurre un atto al suo autore, rappresenta la principale peculiarità che contraddistingue un semplice scambio di informazioni mediante strumenti telematici, trasformandolo in un vero e proprio documento avente rilevanza giuridica (2).

(1) Vedi MICCOLI U., Documento e commercio telematico, Ipsoa, Milano 1998.

(2) Il legame tra l'autore e il proprio documento, soprattutto nel caso in cui l'atto sia

produttivo di effetti giuridici, deve essere dotato di una forza vincolante, nel senso che deve

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DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALE E FATTURAZIONE ELETTRONICA

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2. Il quadro normativo di riferimento

Per quanto riguarda il nostro Paese, il Legislatore ha accolto positivamente la nuova tipologia del documento informatico, quale atto avente caratteristiche del tutto equivalenti ai tradizionali documenti cartacei (3).

In proposito possiamo citare l'art. 22, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale stabilisce che come documento amministrativo deve intendersi ogni rappresentazione grafica elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto degli atti formati dalle Pubbliche Amministrazioni o comunque utilizzati ai fini dell'attività amministrativa.

Successivamente, con l'emanazione del D.L.vo del 12 febbraio 1993, n. 29, è stato stabilito che gli atti adottati dalle Pubbliche Amministrazioni sono di norma predisposti tramite i sistemi informativi automatizzati; tuttavia, la riproduzione e la trasmissione di dati, informazioni e documenti mediante sistemi telematici, nonché l'emanazione di atti amministrativi attraverso i medesimi sistemi, devono essere accompagnate dall'indicazione della fonte e del responsabile dell'operazione.

Con la legge Finanziaria del 24 dicembre 1993, n. 537 è stato inoltre disposto che gli obblighi di conservazione e di esibizione dei documenti, ai fini amministrativi e probatori, devono ritenersi soddisfatti anche se realizzati mediante supporto ottico purché le procedure utilizzate risultino conformi alle regole tecniche dettate dall'Aipa (Autorità per l'informatica nella Pubblica Amministrazione).

L'Aipa, con la delibera del 28 luglio 1994, ha provveduto ad emanare regole tecniche per l'uso dei supporti ottici, in particolare

assicurare alla controparte la massima affidabilità, sia per quanto concerne la provenienza dell'atto, sia per quanto attiene la consapevolezza dell'autore di assumersi la responsabilità degli effetti conseguenti. Nella contrattazione tradizionale tali peculiarità sono garantite dalla firma autografa apposta in calce al documento.

(3) Amplius, vedi GARZIA M. - SANTACROCE B., in "La Fattura? Tutta un bit", in Il Sole 24 Ore, p. 21 dell'8 novembre 2004.

(segue nota)

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SIMONE LA ROCCA

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è stato stabilito che "(...) ogni disco ottico deve contenere tutte le informazioni che permettono di facilitare il ritrovamento dei documenti archiviati nella loro interezza, anche a distanza di tempo e anche da persone diverse da quelle che hanno proceduto all'archiviazione".

Recentemente il Legislatore italiano, attraverso disposizioni di carattere generale, ha radicalmente innovato la disciplina giuridica del documento informatico, creando ad hoc un criterio legale di imputazione del documento redatto mediante il computer. In particolare, tale risultato è stato raggiunto mediante un procedimento piuttosto complesso, nell'ambito del quale è possibile distinguere tre distinti momenti.

In primo luogo, con l'art. 15, secondo comma, della L. 59/1997 (la cosiddetta "Bassanini 1") è stata sancita la validità e l'efficacia ad ogni effetto di legge, dei documenti prodotti e trasmessi in forma digitale. Più precisamente la "Bassanini 1" dispone che "gli atti, i dati e i documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge" e precisa che uno specifico Regolamento, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ai sensi dell'art. 17, secondo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400, deve stabilirne "i criteri e le modalità di applicazione".

Successivamente, in attuazione di tale previsione normativa è stato così emanato il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513, "Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l'archiviazione, la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici", con il quale si è inteso attribuire validità e rilevanza giuridica alla documentazione informatica equiparandola a quella tradizionale cartacea (4).

(4) Tale regolamento, costituito da 22 articoli, sottoposto a numerose critiche e ad

emanazione travagliata, disponeva un ulteriore rinvio per la fissazione delle regole tecniche idonee

a renderne effettiva l'applicazione.

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DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALE E FATTURAZIONE ELETTRONICA

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Il Legislatore, in particolare, si è preoccupato di affrontare la problematica relativa alla sottoscrizione del documento informatico, nonché alla sicurezza della firma digitale.

In attuazione dell'art. 3, primo comma, del decreto sopra citato, è stato così adottato, nel febbraio 1999, un D.P.C.M. relativo alle regole tecniche da seguire per la formazione, la trasmissione, la conservazione, la riproduzione e la validazione dei documenti informatici, in data 28 dicembre 2000, veniva emanato il D.P.R. 445, c.d. "Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa" sottoposto a continue revisioni negli anni successivi.

La Direttiva comunitaria sulla firma elettronica (1999/93/Ce), recepita in Italia con il D.L.vo del 23 gennaio 2002, n. 10, e con un regolamento del Ministero dell'Innovazione tecnologica, ha aggiornato le precedenti disposizioni tecniche emanate nel 1999 e il suddetto D.P.R. 445/2000.

All'art. 10 del D.P.R. 445/2000, si stabiliva che il documento informatico è una rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e ha l'efficacia probatoria prevista dall'art. 2712 c.c. Per firma digitale, giuridicamente, s'intende quella basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e l'altra privata. Così si consente al sottoscrittore tramite chiave privata e al destinatario tramite chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e verificare la provenienza e l'integrità del documento informatico. Fa piena prova fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni di chi l'ha sottoscritto. Il valore giuridico è parificato a quello della sottoscrizione dell'art. 2702 del c.c. (5).

Sono stati, poi, disciplinati tre diversi tipi di firma elettronica:

- la firma elettronica "generica" o "leggera". Il documento informatico sottoscritto con firma "leggera" è l'insieme dei dati con forma

(5) Vedi IPPOLITO S., Documento informatico, firma digitale e crittografia. Riflessioni giuridiche

e penalistiche, in La firma elettronica e le regole tecniche, Roma, 15-16 luglio 1999.

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SIMONE LA ROCCA

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elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica. Ha valenza probatoria ed è liberamente valutabile dal giudice, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di sicurezza e qualità. Introdotta nell'Ue sul modello delle Uniform rules on electronics signature definite nel 1996 in sede Uncitral (United Nation Commission on Internazionale Trade Law), in cui si considera firma elettronica anche una firma autografa con una penna specifica su una tavoletta collegata a un computer oppure la "firma biometrica";

- firma elettronica avanzata. La sottoscrizione avanzata deve identificare il firmatario in modo univoco. Deve, inoltre, assicurare che l'atto non sia stato modificato, certezza che si ottiene se il firmatario ha il controllo esclusivo del sistema di sottoscrizione. Ha la stessa validità della firma elettronica "generica", ma con il vantaggio che è più sicura. È collegata al documento cui si riferisce così da controllare se i dati inseriti sono stati successivamente modificati;

- il sistema della doppia firma o "qualificata". Richiede due elementi, la firma deve essere associata a un certificato qualificato (il certificato elettronico conferma l'identità del titolare della sottoscrizione) e deve essere creata mediante un sistema sicuro. Bisogna rispettare una serie di criteri identificati nella Direttiva 1999/93/Ce e nel D.L.vo 10/2002. Tutte le firme qualificate hanno valore di prova, fino a querela di falso, della volontà di sottoscrizione del documento. In base al certificato qualificato possono esserci due tipi di sottoscrizioni: la firma qualificata con certificato rilasciato da certificatore accreditato, già in vigore in Italia, e quella con certificato rilasciato da un certificatore notificato. Questa firma garantisce il massimo della sicurezza e può essere usata nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione.

In base all'art. 22 del Regolamento - D.P.R. 7 aprile 2003, n. 137, in vigore dal 2 luglio 2003, con la firma digitale si può:

- universalmente utilizzare con piena validità legale sia nei rapporti con i privati che con la Pubblica Amministrazione;

- usare per trasmettere in via telematica o su supporto informatico alcuni documenti presso la P.A., se è apposta anche la validazione temporale;

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DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALE E FATTURAZIONE ELETTRONICA

11674/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

- integra e sostituisce ad ogni fine previsto dalla norma vigente, l'apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere;

- può essere impiegata per trasmettere atti societari al registro delle imprese.

In Italia vi sono, al momento, circa due milioni di firme "qualificate", che assicurano il massimo grado di sicurezza. Di queste 1.200.000 sono state rilasciate da Infocamere, che è uno dei 17 certificatori accreditati. Le utilizzano principalmente la P.A. e i professionisti.

Nella P.A. sono state consegnate 25.000 smart card, ma a regime dovranno essere 60.000. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 97 del 28 aprile 2005 delle regole generali, la posta elettronica ha il medesimo valore di una raccomandata con avviso di ricevimento. A prevederlo è il D.P.R. n. 68 dell'11 febbraio 2005. La maggior parte dei concetti sin qui enunciati sono stati, recentemente, riassunti e rielaborati nel "codice dell'Amministrazione digitale" emanato con D.L.vo 82/2005, pubblicato sulla G.U. n. 112 del 16 maggio 2005 (S.O. n. 93). Tale decreto prevede che le disposizioni in esso contenute entrano in vigore a partire dal 1° gennaio 2006.

3. La posizione dell'Unione europea

L'Unione europea, resasi conto che il commercio elettronico poteva rappresentare una eccellente opportunità di potenziare la propria crescita ed integrazione economica a livello mondiale, ha ritenuto necessario creare un contesto sicuro in cui operare.

Nel 1993 il Gruppo degli Alti funzionari per la Sicurezza dell'Informazione che agisce nell'ambito della Commissione, ha elaborato il Orcern Book on the Security of International Systems, avente ad oggetto l'uso della crittografia, l'autenticazione dei documenti elettronici ed il ruolo dei soggetti chiamati ad occuparsi della sicurezza.

L'8 ottobre del 1997 una Comunicazione della Commissione, volta a garantire la sicurezza delle comunicazioni elettroniche e a riconoscere giuridicamente la firma digitale, raggiungeva la sede del Consiglio europeo

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SIMONE LA ROCCA

1168 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

che, accogliendo favorevolmente tale iniziativa, invitava la Commissione a presentare quanto prima una proposta di direttiva in materia. Alla base di tale invito vi era innanzitutto la considerazione che l'eterogenea attività legislativa degli Stati membri in questo settore necessitava assolutamente di un quadro giuridico armonizzato a livello comunitario.

Il 13 maggio 1998, la Commissione ha adottato la proposta di direttiva sulla firma elettronica, dal titolo "Un quadro comune per le firme elettroniche".

La direttiva, dopo una serie di modifiche, è stata definitivamente emanata alla fine del 1999, quando il portavoce della Commissione, Jonathan Todd, ha dichiarato: "I ministri delle telecomunicazioni dell'Ue hanno adottato una nuova legge sulla firma digitale, destinata ad avere un impatto significativo sul commercio elettronico". In realtà l'ambito di applicazione della direttiva da un lato si è rivelato abbastanza flessibile non concentrandosi esclusivamente sulla firma digitale, ma comprendendo la stessa nella più vasta gamma delle "firme elettroniche", dall'altro lato però, precisa che non è diretta ad armonizzare quelli che sono gli aspetti relativi alla conclusione e alla validità dei contratti già disciplinati da normative nazionali o comunitarie.

L'art. 2 della direttiva procede ad una distinzione tra "firma elettronica" e "firma elettronica avanzata", dove la prima consiste in "dati in forma elettronica allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici ed utilizzava come metodo di autenticazione", mentre la seconda è una firma elettronica basata su un certificato qualificato (rilasciato da prestatori di servizi di certificazione), che deve soddisfare i seguenti requisiti:

- essere connessa in maniera univoca al firmatario;

- essere idonea ad identificare il firmatario;

- essere creata con mezzi di cui il firmatario abbia il controllo esclusivo;

- essere collegata ai dati cui si riferisce in modo da consentire l'individuazione di ogni successiva modifica.

Con riferimento a coloro che prestano i servizi di certificazione, desta particolare attenzione l'art. 3, il quale, in palese contrasto con

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DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALE E FATTURAZIONE ELETTRONICA

11694/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

l'art. 8 del D.P.R. 513/1997 (che istituisce un obbligo di autorizzazione per i certificatori), stabilisce che tali soggetti possono operare senza preventiva autorizzazione, anche se impone che ciascun Stato membro deve istituire un sistema volto a garantirne il controllo.

Agli Stati membri, inoltre, è demandato il compito di provvedere affinché il prestatore di servizi di certificazione che rilasci un certificato qualificato, sia ritenuto responsabile dei danni provocati nei confronti di chiunque faccia affidamento su tale certificato, a meno che provi di non avere agito con negligenza. I certificatori saranno esentati da responsabilità soltanto nel caso in cui abbiano preventivamente indicato i limiti per l'utilizzo del certificato qualificato, ovvero abbiano indicato un valore limite per i negozi per i quali può essere usato il certificato.

L'ultima parte del comma 4 dell'art. 6 dispone testualmente che "il prestatore di servizi di certificazione non è responsabile dei danni risultanti dal superamento di detto limite".

L'art. 4 della direttiva stabilisce comunque che gli Stati membri non possono in alcun modo limitare le prestazioni di servizi di certificazione originati in un altro Stato membro, consentendo quindi ai prodotti di firma elettronica conformi alla direttiva di circolare liberamente nel mercato interno (6).

Lo spirito transfrontaliero che contraddistingue tale direttiva non si limita però a coinvolgere gli Stati membri, ma ha portato la stessa a concludere che "al fine di assicurare l'intera operabilità a livello globale, potrebbero essere utili accordi con Paesi terzi su regole multilaterali concernenti il riconoscimento reciproco dei servizi di certificazione".

In proposito, l'art. 7, rubricato "Aspetti internazionali", dispone che, affinché i certificati rilasciati da un Paese terzo siano riconosciuti giuridicamente equivalenti ai certificati rilasciati nell'ambito della Comunità, è necessario che il certificato sia garantito da un prestatore di servizi di certificazione operante nel territorio comunitario, oppure che il certificato o il certificatore siano riconosciuti in forza di un accordo

(6) Vedi BORRUSO R., La tutela giuridica del software, Milano, 1999, p. 120 e ss.

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bilaterale o multilaterale tra la Comunità e i Paesi terzi ovvero le Organizzazioni internazionali interessate.

Allo scopo di accrescere la fiducia degli utenti nel commercio elettronico, l'art. 8 stabilisce, inoltre, che i certificatori debbano rispettare la legislazione relativa alla tutela dei dati personali e della vita privata degli individui; in mancanza del consenso della parte, i dati raccolti al fine del rilascio dei certificati non possono essere utilizzati per fini diversi.

Per concludere, la direttiva dispone che, entro un anno e sei mesi dalla sua entrata in vigore, gli Stati membri dovranno adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative con le quali adegueranno il diritto interno alle disposizioni comunitarie, comunicando successivamente i testi alla Commissione.

4. L'Autorità di certificazione

Con il termine Autorità di certificazione (7) vengono indicati tutti quei soggetti che, assolvendo alla funzione di certificazione, intervengono come terzi di fiducia nel sistema della firma digitale.

L'art. 8 del D.P.R. 513/1997 stabi l isce che chiunque intenda utilizzare un sistema di chiavi asimmetriche deve munirsi necessariamente di una idonea coppia di chiavi, rendendo pubblica una di esse mediante la procedura di certificazione che, in base all'art. 8 del D.P.R. 513/1997, può essere effettuata esclusivamente da soggetti dotati dei seguenti requisiti:

- forma di società per azioni e capitale sociale non inferiore a quello necessario ai fini dell'autorizzazione all'attività bancaria, se soggetti privati;

- possesso da parte dei rappresentanti legali e dei soggetti preposti all'amministrazione, dei requisiti di onorabilità richiesti ai soggetti che

(7) D'ora in poi per comodità la chiameremo AC.

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11714/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche;

- affidamento che, per competenza ed esperienza, i responsabili tecnici del certificatore e il personale addetto all'attività di certificazione siano in grado di rispettare le norme del presente regolamento e le regole tecniche di cui all'art. 3;

- qualità dei processi informatici e dei relativi prodotti, sulla base di standard riconosciuti a livello internazionale.

Per espressa previsione normativa, la procedura di certificazione può essere svolta anche da un soggetto in possesso di licenza o autorizzazione rilasciata da altro Stato membro dell'Unione europea sulla base dei requisiti testé richiamati.

Tutti i certificatori, inoltre, devono risultare inclusi in un apposito elenco pubblico, consultabile in via telematica, predisposto e aggiornato dall'Aipa, nel quale, per ogni certificatore, devono essere riportate le seguenti informazioni:

a. ragione o denominazione sociale;

b. sede legale;

c. rappresentante legale;

d. indirizzo Internet;

e. elenco numeri telefonici di accesso;

f. lista dei certificati delle chiavi di certificazione;

g. manuale operativo;

h. data di cessazione e certificatore sostitutivo.

Ai sensi dell'art.16 del D.P.C.M. 8 febbraio 1999, per poter esercitare l'attività di certificatore è necessario inoltrare all'Aipa la domanda di iscrizione nell'elenco pubblico, allegando ad essa la seguente documentazione:

- copia del manuale operativo;

- copia del piano per la sicurezza;

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- profilo del personale responsabile della generazione delle chiavi, della emissione dei certificati e della gestione del registro delle chiavi;

- copia della polizza assicurativa a copertura dei rischi dell'attività e dei danni causati a terzi.

Entro sessanta giorni dalla presentazione, la domanda di iscrizione viene accettata ovvero respinta con provvedimento motivato.

Nel caso in cui si verifichino variazioni delle informazioni di cui all'art. 16 e, comunque, allo scadere di ogni anno dalla data della precedente richiesta, il certificatore deve confermare per iscritto all'Aipa la permanenza dei requisiti necessari per l'esercizio dell'attività di certificazione (il venir meno di uno o più requisiti comporta la cancellazione dall'elenco).

Al termine della procedura di certificazione, l'Autorità competente rilascia al richiedente un certificato con scadenza non superiore a tre anni, della avvenuta iscrizione fra i suoi utenti, garantendo altresì, che tutti gli aderenti al sistema hanno stipulato il medesimo contratto.

Il contenuto minimale del certificato è stabilito dall'art. 11 dell'allegato tecnico al D.P.C.M. sopra enunciato, il quale dispone che "i certificati debbono contenere almeno le seguenti informazioni: a) numero di serie del certificato; b) ragione o denominazione sociale del certificatore; c) codice identificativo del titolare presso il certificatore; d) nome, cognome e data di nascita ovvero ragione o denominazione sociale del titolare; e) valore della chiave pubblica; f) algoritmi di generazione e verifica utilizzabili; g) inizio e fine del periodo di validità delle chiavi; h) algoritmo di sottoscrizione del certificato".

Con l'entrata in vigore del D.P.R. 7 aprile 2003, n. 137, sono cambiate anche le regole per l'inserimento delle qualifiche professionali e delle indicazioni di altri poteri o status all'interno del certificato elettronico utilizzato per la gestione del sistema di firma digitale.

Il vecchio art. 29 del Testo unico sulla documentazione amministrativa (D.P.R. 445/2000), corrispondente, peraltro al vecchio articolo 17 del D.P.R. 513/1997, stabiliva una procedura più burocratica per il rilascio della firma digitale, in particolare per i "pubblici ufficiali non appartenenti alla Pubblica Amministrazione" (i notai, ma anche gli

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avvocati per l'autenticazione delle sottoscrizioni nelle procure alle liti, o ancora i commercialisti che assumono la qualifica di curatori fallimentari o di ausiliari del giudice).

Era prevista, inoltre, una catena che partiva dal Ministero di Giustizia, che rilasciava le firme digitali ai legali rappresentanti degli Ordini professionali, che a loro volta provvedevano a "certificare" la qualifica professionale connessa con la firma.

Questo sistema, in realtà mai attuato in pratica, è stato rivisto dal Legislatore a favore di un approccio più pragmatico con le nuove disposizioni introdotte dal D.P.R. 137/2003. Queste confermano che il certificato qualificato "può dare evidenza di qualifiche specifiche del titolare, quali l'appartenenza agli ordini o Collegi professionali, l'iscrizione agli Albi o il possesso di altre abilitazioni professionali, nonché altri poteri di rappresentanza" (nuovo art. 27-bis, primo comma, lett. a) del Testo unico). Queste informazioni possono essere inserite nel certificato digitale del titolare, previo consenso del terzo interessato, cioè l'Ordine professionale art. 29-bis, primo comma, lett. c) del Testo unico (8).

Tuttavia nelle more dell'emanazione dei decreti si applicano le regole tecniche "generali", previste dal D.P.C.M. 8 febbraio 1999, in attesa delle regole tecniche del Ministero dell'innovazione tecnologica.

In tal modo anche un certificato sprovvisto della qualifica professionale (9) dell'interessato è legittimamente utilizzabile dal professionista.

Il 9 dicembre 2002 è entrato in vigore l'art. 31 della L. 340/2000 in base al quale le domande di iscrizione e le modifiche al registro delle imprese, relative alle società di capitali e di persone, dovranno avvenire in via telematica mediante la presentazione della stessa.

(8) Vedi IPPOLITO S., Profili giuridici del commercio via Internet, Giuffrè, Milano, 2000, p. 111 e ss.

(9) Il regolamento in esame trova il proprio fondamento in una serie di disposizioni aventi ad oggetto il documento informatico e le modalità della sua trasmissione, secondo la disciplina dettata dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa.

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L'obbligo telematico per l'invio degli atti societari (compreso i bilanci) al registro delle imprese è slittato al 1° novembre 2003.

In data 25 marzo 2004, il Consiglio dei Ministri ha approvato un regolamento di delegificazione, proposto dal Ministro per l'innovazione e le tecnologie, Lucio Stanca e dal Ministro della funzione pubblica, Luigi Mazzella, che riconosce validità giuridica ai documenti trasmessi per e-mail.

Il provvedimento in questione disciplina l'uso della posta elettronica non solo nella Pubblica Amministrazione, ma anche tra i cittadini.

Secondo valutazioni del Ministero per l'innovazione e le tecnologie, ogni lettera inviata dalla P.A. con i sistemi tradizionali determina un costo approssimativo di 20 €, contro i due euro di una e-mail.

Infatti, sempre secondo stime del Ministero, i messaggi elettronici scambiati tra amministrazioni e tra queste e l'esterno sono stati oltre 31 milioni, rispetto ai 14,6 milioni del 2002. È stato poi calcolato che nel nostro Paese circolano ogni giorno circa 300 milioni di messaggi di posta elettronica.

È stato anche istituito un albo, con l'elenco ufficiale dei gestori che potranno svolgere il servizio di posta certificata, presso il CNIPA (10), al quale sono assegnati compiti di vigilanza e controllo sull'attività degli iscritti.

Sul provvedimento verrà sentito il Garante per la protezione dei dati personali e saranno acquisiti i pareri del Consiglio di Stato, della Conferenza Stato-Regioni e delle Commissioni parlamentari competenti.

5. Il processo della firma digitale

Il sistema crittografico asimmetrico, può essere utilizzato per "firmare" elettronicamente un documento, creando condizioni del tutto

(10) Comitato nazionale per l'informatica delle pubbliche amministrazioni, che ha sostituito

l'Aipa.

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equivalenti a quelle della firma autografa: garanzia di autenticità del messaggio e veridicità del mittente.

Per poter utilizzare il meccanismo della firma digitale, tuttavia, l'utente è chiamato ad effettuare una serie di azioni preliminari relativamente alla predisposizione delle chiavi utilizzate dal sistema di crittografia. In particolare occorre:

- la registrazione dell'utente presso un'autorità di certificazione;

- la generazione di una coppia di chiavi Ks (chiave segreta) e Kp (chiave pubblica);

- la certificazione della chiave pubblica Kp;

- la registrazione della chiave pubblica Kp.

Una volta espletate tali operazioni, e per tutto il periodo di validità della certificazione della chiave pubblica, l'utente ha la possibilità di firmare un numero qualunque di documenti sfruttando la sua chiave segreta.

A tal proposito, è opportuno ricordare che il periodo di validità della certificazione può essere interrotto prima del suo termine naturale sia dalla revoca dei certificati, che di norma avviene su richiesta del titolare qualora egli ritenga che la segretezza della sua chiave privata sia stata compromessa, sia dalla sospensione, che in genere avviene su iniziativa del certificatore o su richiesta di un terzo interessato (11).

Andiamo ora ad analizzare singolarmente le operazioni sopra elencate.

Registrazione dell'utente

La registrazione dell'utente presso un'autorità di certificazione (AC) persegue due obiettivi, rendere l'Autorità di Certificazione certa dell'identità dell'utente e consentire all'utente di stabilire con l'AC un canale di comunicazione sicuro attraverso il quale verranno fatte viaggiare le chiavi pubbliche di cui è richiesta la certificazione.

(11) Vedi ZAGAMI R., Il valore giuridico e gli effetti del documento informatico, in La firma

elettronica e le regole tecniche, Roma, 15-16 luglio 1999.

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La registrazione avviene attraverso la seguente procedura:

- l'utente richiede all'AC la registrazione fornendo la documentazione da questa richiesta per accertare la sua identità;

- verificata la validità della richiesta, l'AC attribuisce all'utente un identificatore, di cui essa garantisce l'univocità, attraverso il quale sarà possibile reperire in modo diretto i certificati rilasciati dal soggetto;

- l'AC inserisce l'utente e il suo identificatore nei cataloghi di utenti registrati che essa gestisce;

- l'AC fornisce attraverso un canale sicuro la chiave crittografica che l'utente dovrà utilizzare per le richieste di certificazione delle chiavi e per accedere ai registri dell'autorità.

La necessità di utilizzare un canale sicuro di comunicazione tra utente e autorità di certificazione (di cui al precedente punto b) non ha finalità di riservatezza, ma deriva dal fatto che l'AC, quando riceve una richiesta da un utente, deve avere la certezza che questa provenga effettivamente da lui e non da un altro soggetto.

Ciò non sempre può essere ottenuto con la firma digitale, basti pensare al caso della richiesta di certificazione della prima chiave oppure a quella di revoca di una chiave. Problemi analoghi sorgono anche quando l'utente abbia necessità di verificare la validità della chiave di certificazione che, in casi estremi, potrebbe essere stata revocata.

Generazione della coppia di chiavi

L'utente, mediante il sistema crittografico adottato, genera una coppia di chiavi, di cui: una, quella da utilizzare per le operazioni di cifratura e quindi per la generazione della firma sarà mantenuta segreta ed assumerà il ruolo di Ks; l'altra, destinata alla verifica, verrà resa pubblica attraverso la certificazione ed assumerà il ruolo di Kp.

Certificazione della chiave pubblica

La certificazione della chiave pubblica ha come scopo quello di rassicurare chiunque riceva un documento firmato elettronicamente, circa l'identità del soggetto che ha apposto la firma.

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Tale operazione avviene attraverso tre momenti distinti:

- l'utente invia all'AC la richiesta di certificazione per la chiave Kp generata nella fase precedente, autenticandola mediante la chiave ricevuta dall'AC durante la registrazione;

- l'autenticazione può avvenire sia mediante la cifratura del messaggio di richiesta, sia mediante la sua sottoscrizione digitale;

- l'AC genera il certificato e lo sottoscrive in modo da garantirne la provenienza che potrà essere accertata da chiunque utilizzando la chiave pubblica di AC;

- il certificato viene inviato al richiedente.

Registrazione della chiave pubblica

Una volta emesso, il certificato viene reso disponibile in uno o più cataloghi ai quali può accedere chiunque abbia bisogno di accertare la validità di una sottoscrizione digitale.

Questa operazione, di norma, viene effettuata dall'AC al momento dell'emissione del certificato.

La firma digitale viene apposta mediante una sequenza di tre operazioni:

- generazione dell'impronta del documento da firmare;

- generazione della firma mediante cifratura dell'impronta;

- apposizione della firma al documento.

Per quanto riguarda la generazione dell'impronta, al fine di garantire un maggior grado di sicurezza alla criptazione asimmetrica, è stato ideato un ulteriore sistema che consiste nell'applicare al testo da firmare una funzione di hash in grado di produrre una stringa binaria di lunghezza costante (normalmente 128 o 160 bit). In questo modo la chiave privata non viene applicata sull'intero messaggio, ma solo su un estratto (hash code) che viene automaticamente ricavato dal messaggio originale applicando la funzione di hash. Così, ad esempio, dovendo il soggetto A trasmettere al soggetto B un contratto con numerose pagine ed allegati, non applica immediatamente la sua chiave privata, ma prima esegue l'hash, ottenendo come risultato un documento di poche righe, e cripta

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solo questo (12). Successivamente invia il tutto al soggetto B che, dopo aver prelevato la chiave pubblica di A, l'applica al testo ricevuto, ottiene quindi l'hash code, ed applicando la funzione al contrario ottiene nuovamente il contratto nella sua dimensione completa.

L'applicazione della funzione di hash garantisce l'unicità della stringa, nel senso che a due testi diversi non può mai corrispondere la medesima impronta.

Attualmente sono disponibili diversi algoritmi di generazione, tuttavia l'art. 3 del D.P.C.M. 8 febbraio 1999 stabilisce che per la generazione dell'impronta è necessario utilizzare il RIPEMD a 160 bit oppure il Secure Hash Algorithm (SHA-1), per i quali, peraltro, è in corso la standardizzazione ufficiale da parte di Organismi internazionali.

L'utilità dell'impronta così generata è duplice in quanto: da un lato consente di evitare che per la generazione della firma sia necessario applicare l'algoritmo di cifratura all'intero testo; dall'altra consente l'autenticazione, da parte di una terza parte fidata, della sottoscrizione di un documento senza che questa venga a conoscenza del suo contenuto.

L'ultima fase è quella relativa alla generazione della firma che consiste semplicemente nella cifratura, con la chiave segreta Ks, dell'impronta generata in precedenza. In questo modo la firma digitale risulta legata, da un lato, al soggetto sottoscrittore (attraverso la chiave segreta), dall'altro, per il tramite dell'impronta, al testo sottoscritto.

La firma digitale, una volta generata, viene aggiunta al testo del documento soltanto alla fine, allegando ad essa il valore dell'impronta digitale ed eventualmente il certificato da cui è possibile recuperare il valore della chiave pubblica. Ciò non sarebbe strettamente necessario, dato che questo certificato è sempre recuperabile dal registro pubblico del certificatore, tuttavia, soprattutto nel caso in cui la struttura dei dati

(12) Vedi PETRELLI C., Documento informatico, controllo in forma elettronica e atto notarile,

in Notariato 1997.

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DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALE E FATTURAZIONE ELETTRONICA

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che costituisce la firma è povera di informazioni, tale ricerca potrebbe essere notevolmente onerosa. La disponibilità del certificato, invece, consente di disporre delle seguenti informazioni:

- la chiave pubblica di verifica;

- l'identità dell'autorità di certificazione;

- il codice di identificazione del certificato.

Un utente A che volesse firmare un documento da inviare a B deve chiedere al sistema di apporre la propria firma digitale sul documento da inviare. Il sistema, produce una sintesi del documento (digest) generata da uno speciale algoritmo di cifratura (la funzione di hash), che consente di ricostruire il documento originale. Creato il digest il sistema lo cifra con la chiave privata di A e lo allega al documento originale: è questo, in sintesi, il procedimento che prende il nome di "firma digitale".

Il destinatario B, ricevuto il file, deve verificare l'originalità della firma e per fare questo si affida al sistema che automaticamente compie una separazione tra il documento e la firma. Successivamente utilizzando la chiave pubblica di A genera, tramite la funzione di hash, il digest del documento, che se risulta identico a quello ricevuto costituisce già un elemento per accettare la firma come valida.

6. Utilizzo dei sistemi telematici e fatturazione elettronica

Il 9 dicembre 2002 è entrato in vigore l'art. 31 della L. 340/2000, in base al quale le domande di iscrizione e le modifiche al registro delle imprese, relative alle società di capitali e di persone, dovranno avvenire in via telematica mediante la presentazione della stessa. L'obbligo telematico per l'invio degli atti societari (compreso i bilanci) al registro delle imprese è entrato in vigore definitivamente il 1° novembre 2003.

Con la pubblicazione sulla "Gazzetta ufficiale" n. 27, del 3 febbraio 2004 del Decreto Ministeriale dell'Economia e delle Finanze, del 23 gennaio 2004, sono state dettate le regole attese da dieci anni (D.L. 357/1994, durante il primo ministero Tremonti) per eliminare la carta

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dagli studi aziendali e professionali. Tale decreto precisa le modalità di assolvimento degli obblighi di materializzazione per tutti i documenti fiscali.

Fino ad oggi il Ministero consentiva l'archiviazione elettronica solo in presenza della conservazione della carta per tutto il periodo previsto dell'accertamento.

Il primo articolo del D.M. 23 gennaio 2004 contiene le definizioni. Nei successivi articoli vengono dettate le regole di base, rimandando ai fini tributari alla normativa precedente: il D.P.R. 445/2000, il D.P.C.M. dell'8 febbraio 1999 e la delibera 42/2001 dell'Aipa (ora confluita nel CNIPA), seguita poi da una nuova delibera, la 11/04 del 19 febbraio 2004 (13).

Restano esclusi dalla possibilità di archiviazione ottica i documenti doganali, delle accise e delle imposte di consumo di competenza dell'Agenzia delle Dogane. All'Agenzia delle Entrate verranno comunicate l'impronta dell'archivio informatico, la sottoscrizione elettronica e la marca temporale. In caso di controllo fiscale i documenti verranno resi leggibili e disponibili su supporto cartaceo o anche esibiti in via telematica.

L'art. 4, terzo comma, precisa che il processo di conservazione digitale di documenti analogici originali avviene memorizzando la relativa immagine e si conclude con l'ulteriore apposizione di riferimento temporale della sottoscrizione elettronica, da parte di un pubblico ufficiale, per attestare la conformità di quanto memorizzato nel documento di origine. Di fatto questo ruolo spetterà prevalentemente ai notai.

Il decreto del 23 gennaio, dovrà essere supportato da una circolare interministeriale, che allo stato attuale deve essere ancora emanata.

In particolare, la deliberazione Aipa n. 42/2001, ribadita dalla 11/04, cita il "responsabile della conservazione" e il "pubblico ufficiale",

(13) Per approfondimento, vedi GARZIA M. - SANTACROCE B., in "Due dubbi da sciogliere", in Il

Sole 24 Ore, p. 21 dell'8 novembre 2004.

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DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALE E FATTURAZIONE ELETTRONICA

11814/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

richiesto per "i soli documenti originati da documenti analogici originali unici" al fine di attestare la conformità di quanto conservato al documento di origine.

La delibera, poi, distingue tra processo di conservazione e archiviazione digitale: questo può essere propedeutico al primo ma non obbligatorio.

Il D.L.vo 20 febbraio 2004, n. 52 nel recepire la direttiva comunitaria 20 dicembre 2001, n. 2001/115/Ce, ha introdotto nuove regole per la compilazione, l'emissione e la conservazione delle fatture disciplinando, fra l'altro, anche la cd. "Fattura elettronica", in vigore dal 1° gennaio 2004 (14). Esso prevede anche la delega dell'emissione della fattura, su incarico del cedente o del prestatore, al cessionario, al committente ovvero anche da un terzo soggetto, come previsto dal par. 3, dell'art. 22, della VI Direttiva 2001/115/Ce.

Il D.L.vo 52/2004 ha modificato gli artt. 21, 39 e 52 del D.P.R. 633/1972, riguardanti rispettivamente:

- la fatturazione delle operazioni;

- la tenuta e la conservazione delle scritture e dei documenti;

- i poteri di accesso, ispezione e verifica da parte dell'A.F.

È stato completamente riscritto l'art. 21, introducendo la possibilità di emettere la fattura anche tramite mezzi elettronici, ossia in formato digitale, previo il rispetto di talune condizioni tassative in quanto:

- occorre il preventivo accordo del destinatario;

- devono essere garantite l'attestazione della data e l'autenticità dell'origine e l'integrità del contenuto della fattura elettronica, mediante apposizione della firma elettronica.

Per la delega di fatturazione deve essere data preventiva comunicazione all'A.F. ed è, inoltre, necessario che il soggetto nazionale

(14) Il Provvedimento del Direttore dell'Agenzia, che doveva essere emanato entro 60 gg.

dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto 52/2004, è stato emanato il 9 dicembre 2004.

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SIMONE LA ROCCA

1182 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

cedente o prestatore soddisfi alcuni requisiti. Il Provvedimento del 9 dicembre 2004 prescrive che il rilascio della delega dovrà sempre comparire sulle fatture emesse.

In base al nuovo art. 21, quindi, la fattura potrà essere emessa anche dal cliente o da soggetti terzi. Tale possibilità permette infatti anche a soggetti controllanti residenti di delegare le proprie incombenze derivanti dagli obblighi di fatturazione con contestuale trasmissione del documento elettronico alla stessa controllata, consentendo l'immediato inserimento del documento nel sistema gestionale amministrativo dell'intero Gruppo societario. Il D.L.vo 52/2004 modifica la lett. c) del par. 3 dell'art. 22 della VI Direttiva, stabilendo il principio che la fattura può essere trasmessa su qualsiasi supporto, purché il ricevente ne sia informato prima.

Le fatture dovranno recare la firma elettronica avanzata ai sensi dell'art. 2, punto 2 della Direttiva 1999/93/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio. Le Autorità statali potranno stabilire che la firma avanzata sia:

- basata su un certificato qualificato, previsto dall'art. 2, par. 10 della norma suddetta;

- prodotta mediante un dispositivo per la creazione di una forma sicura ai sensi dell'art. 2, par. 6, all. III della direttiva.

L'operatore:

- potrà conservare la fattura anche fuori dal territorio, però dovrà in qualsiasi momento garantirne l'accesso ai dati, per rispondere alle esigenze ispettive delle autorità fiscali del suo Paese;

- dovrà essere assicurata l'integrità dei dati e la loro leggibilità;

- gli Stati potranno chiedere l'archiviazione dei dati relativi alla firma elettronica che attestino l'autenticità della fattura.

Per garantirsi ulteriormente le singole Amministrazioni potranno:

- obbligare un soggetto passivo residente nel proprio territorio a comunicare il luogo dove sono depositate le fatture;

- esigere dal soggetto passivo l'archiviazione, all'interno del Paese, delle fatture da lui emesse o da terzi per suo conto e ricevute, qualora i mezzi elettronici non garantiscano un accesso completo;

Page 73: Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

DOCUMENTO INFORMATICO, FIRMA DIGITALE E FATTURAZIONE ELETTRONICA

11834/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

- stabilire che le fatture siano archiviate nella forma originale, cartacea o elettronica, in cui sono state trasmesse;

- imporre condizioni restrittive quando i dati siano archiviati elettronicamente in un Paese in cui non esista un quadro giuridico per l'assistenza reciproca.

Gli elementi della fattura dovranno essere i seguenti (15):

- data del rilascio e numero sequenziale che identifichi la fattura in modo univoco;

- numero d'identificazione del cedente o prestatore del servizio se debitore d'imposta;

- generalità complete del soggetto passivo e del suo cliente;

- descrizione dettagliata dei beni e servizi (quantità e natura);

- riferimenti temporali della cessione dei beni o della prestazione di servizio (o di eventuali acconti);

- base imponibile distinta per aliquota, con l'indicazione del prezzo unitario ivi compresi eventuali sconti, riduzioni, storni se non inclusi nel prezzo;

- aliquota Iva applicabile;

- ammontare dell'imposta da corrispondere (ad eccezione di deroghe connesse ad un particolare regime);

- indicazione di un regime di esenzione o dell'applicazione del reverse charge (laddove il cliente sia debitore d'imposta);

- numero d'identificazione, nome e indirizzo completo del rappresentante fiscale, se debitore d'imposta;

- riferimento del regime del margine, se applicabile o eventuale indicazione dei requisiti previsti per la cessione dei mezzi di trasporto nuovi.

(15) L'art. 52, comma 8 del D.P.R. 633/1972 prevede che in presenza di sistemi elettronici

è possibile stampare o scaricare su disco. Questo comma potrà sempre farsi valere anche con la

fattura elettronica.

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SIMONE LA ROCCA

1184 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

L'informazione globale è ormai a tutti gli effetti un patrimonio vero e proprio, e in quanto tale necessita di essere arricchito, ma soprattutto custodito e protetto.

Le potenzialità degli strumenti telematici sono enormi, ma non bisogna, però, dimenticare che i sistemi informativi sono per definizione vulnerabili, esposti al rischio di attacchi o di sfruttamento da parte di chi conosce il valore delle informazioni e cerca di appropriarsene e di sfruttarne il contenuto in maniera fraudolenta a proprio vantaggio.

Dinanzi a questo complesso e nuovo scenario, nel quale le Istituzioni sono chiamate ad operare, è di tutta evidenza la necessità di avviare ogni possibile iniziativa e riforma di competenza, non solo in Italia, ma a livello internazionale.

È a questo punto che diventano determinanti gli accordi internazionali ad ogni livello e le leggi interne mirate e modellate sul contenuto di questi accordi, proprio al fine di tutelare un corretto utilizzo delle nuove tecnologie non solo in ambito fiscale, ma in tutti i settori economico-finanziari.

Page 75: Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

11854/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

La speciale causa di giustificazione "umanitaria": quale ambito di applicazione?

di Angela Baraldi

Il secondo comma dell'art. 12 c.p. sancisce che, "fermo restando quanto previsto dall'art. 54 c.p., non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato".

Come appare evidente, si tratta di una scriminante speciale che amplia l'operatività dell'art. 54 c.p. (1), nella forma del soccorso di necessità (2), escludendo la punibilità di coloro che prestano nel nostro Paese attività di soccorso e di assistenza umanitaria a favore di

(1) La dottrina (CALLAIOLI-CERASE, Il testo unico delle disposizioni sull'immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero: una legge organica per la programmazione dei flussi, il contrasto alla criminalità e la lotta alla discriminazione, in Leg. pen., 1999, p. 285; TERRACCIANO-CHIACCHIERA, Stranieri, cosa cambia con la legge Bossi-Fini?, Forlì, 2002, p. 93; DE VINCENTIIS, Testo unico sull'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, Napoli, 1999, p. 40; CASADONTE, Diritto degli stranieri, a cura di Nascimbene, Milano, 2004, p. 660) unanimemente considera il rapporto tra le due norme in termini di applicazione residuale dell'art. 12 cpv. rispetto alla scriminante codicistica. Del resto, una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con il dato testuale.

(2) Sullo stato di necessità in generale vedi GROSSO, voce Necessità (diritto penale), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 883 e ss.; MOLARI, Profili dello stato di necessità, Padova, 1964; AZZALI, voce Stato di necessità, in Noviss. dig. it., XVIII, 1971, p. 356 e ss.; AIELLO, voce Stato di necessità (diritto penale), in Enc. giur. Treccani, vol. XXX, Roma, 1993, p. 1 e ss.; INSOLERA, Riflessioni sullo stato di necessità, in La questione criminale, 1980, p. 65 e ss.; MEZZETTI, voce Stato di necessità, in Dig. disc. pen., 1997, p. 670 e ss.

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ANGELA BARALDI

1186 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

clandestini in condizioni di bisogno (3), purché questi ultimi si trovino sul territorio (4) nazionale.

Secondo parte del la dottr ina (5) , la norma sarebbe sistematicamente collegabile all'art. 10, secondo comma, lett. b), D.L.vo in esame, dove è previsto che il questore dispone il respingimento con accompagnamento alla frontiera dello straniero che, pur non possedendo i requisiti per l'ingresso nel territorio dello Stato, vi sia stato ammesso temporaneamente per esigenze di pubblico soccorso. In questo modo verrebbe esclusa la punibilità della polizia di frontiera che si attiva a favore dei clandestini bisognosi di assistenza, anche se non ricorrono i più rigidi requisiti per far scattare l'operatività dell'art. 54 c.p.

La riferita interpretazione non appare pienamente condivisibile sol che si rifletta su due elementi. Da un lato, non si precisa quale sarebbe il fatto scriminato, cioè il fatto che in assenza di causa di giustificazione costituirebbe reato: il favoreggiamento dell'immigrazione (o dell'emigrazione) clandestina oppure il favoreggiamento della permanenza illegale? Dall'altro, se è senz'altro corretto - in via di principio - affermare la non punibilità della polizia di frontiera nell'indicata

(3) È noto che negli anni sessanta e settanta alcuni giudici di merito - poi contraddetti in sede di legittimità - avevano tentato una sorta di equiparazione tra stato di bisogno e stato di necessità, allo scopo di ampliare la portata scriminante dell'art. 54 c.p. Fallito il tentativo, può oggi affermarsi, in via generale, che lo "stato di bisogno" rimane una situazione che prescinde dal "pericolo attuale di un danno grave alla persona" e dagli altri requisiti prescritti dalla citata causa di giustificazione comune: lo stato di bisogno quindi appare una condizione caratterizzata soprattutto da indigenza economica derivante per lo più dalla mancanza di un'occupazione (da cui consegue necessariamente anche la mancanza dell'abitazione e dei mezzi per la sussistenza). Per una ricostruzione "storica" delle vicende relative a stato di necessità e stato di bisogno, vedi VENAFRO, Stato di necessità e diritto di abitazione, in Dir. pen. e proc., n. 6/2004, p. 719 e ss., oltre a INSOLERA, op. cit., p. 70.

(4) Occorre tener presente - considerato che il mare rappresenta forse la via principale attraverso la quale avviene il transito dei clandestini - che costituisce territorio nazionale anche il tratto di mare territoriale che si estende, a norma dell'art. 2, comma 2, disp. prel. cod. nav., fino a dodici miglia marine dalle coste continentali e insulari della Repubblica. Per una precisa nozione di territorio dello Stato vedi MARINUCCI-DOLCINI, Corso di diritto penale, I, Milano, 2001, p. 299 e ss.

(5) Vedi LANZA, La tutela penale contro il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, in Il traffico internazionale di persone, AA.VV, a cura di TINEBRA-CENTONZE, Milano, 2004, p. 196.

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LA SPECIALE CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE "UMANITARIA": QUALE AMBITO DI APPLICAZIONE?

11874/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

situazione (6), non può escludersi che soggetti diversi - ricorrendone i presupposti - se ne possano avvantaggiare. Del resto, la limitazione dell'operatività della scriminante a soggetti qualificati sembra del tutto arbitraria, non potendosi desumere dal tenore testuale nel quale non viene fatto alcun riferimento ai beneficiari.

Ciò chiarito, la questione che, a nostro avviso, si pone in termini più stringenti riguarda proprio l'individuazione del fatto di cui sarebbe esclusa l'antigiuridicità.

Dalla collocazione sistematica della norma in un comma immediatamente successivo al la previs ione del del i t to di favoreggiamento - non circostanziato - dell'immigrazione clandestina e dell'ingresso illegale in altro Stato, si sarebbe portati ad affermare l'esclusione della punibilità (rectius: dell'antigiuridicità) limitatamente a tali fattispecie. Tuttavia, non appena si proceda all'analisi dei presupposti per l'operatività della scriminante, si nota un'incompatibilità logica e strutturale tra l'illecito e la sua presunta causa di giustificazione. Mentre nel primo si puniscono gli atti diretti a procurare l'ingresso illegale nel nostro o in altro Stato ("del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente"), nella seconda il riferimento è alle "attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato" ovvero ad attività (7) in senso lato riconducibili - apparentemente, se non altro per il fatto che lo straniero deve essere già nel nostro territorio - ad un favoreggiamento della permanenza

(6) Ma è convincimento di chi scrive che la non punibilità in questo caso sia dovuta, non tanto all'operatività della causa di giustificazione, ma al fatto che non appare integrata alcuna fattispecie, né quella del primo comma, né quella del quinto (se non altro per l'assenza dell'elemento soggettivo).

(7) Il legislatore ha fatto uso dei termini soccorso e assistenza senza peraltro definirli. Pare pertanto opportuna una loro interpretazione verificando gli altri contesti in cui le medesime espressioni sono state utilizzate: si pensi in primo luogo all'omissione di soccorso di cui all'art. 593 c.p. ma anche ad alcune norme del codice della navigazione (ad esempio, l'art. 1157 relativo all'omissione di aiuto da parte del comandante di una nave in determinate circostanze e l'art. 1158 che si occupa dell'omissione di assistenza a navi o persona in pericolo).

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ANGELA BARALDI

1188 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

clandestina, punita al successivo quinto comma. Insomma, sulla base del tenore letterale, a nostro avviso non sarebbe consentito - nel senso che costituirebbe comunque reato - procurare l'ingresso nel territorio italiano o di un altro Stato seppure con finalità umanitaria. A ben vedere, infatti, la prevalenza alla tutela della vita, dell'incolumità fisica, della salute e, più in generale, della dignità rispetto all'esigenza di tutela dell'ordine pubblico è riconosciuta dal nostro ordinamento a condizione che gli stranieri siano già in Italia. E ciò, si badi, purché la persona che presta il soccorso non abbia, a qualunque titolo, partecipato agli "atti diretti a procurare" l'immigrazione clandestina ovvero non sia in procinto, a qualunque titolo, di concorrere agli "atti diretti a procurare" l'ingresso illegale in altro Stato (8). Si vuole cioè sostenere che se l'attività di soccorso è il postfatto del "favoreggiamento" dell'immigrazione clandestina o l'antefatto del "favoreggiamento" dell'ingresso illegale, allora non può elidere l'antigiuridicità dei delitti commessi o da commettere (9).

Escluso, pertanto, che la speciale causa di giustificazione possa ritenersi relativa alle ipotesi di favoreggiamento del primo e, per le

(8) Si presuppone, relativamente al "favoreggiamento" dell'ingresso in altro Stato, che lo straniero sia già presente sul territorio italiano e da qui debba uscire per entrare illegalmente e contestualmente in altro Stato.

(9) Una diversa opinione è stata espressa da ABUKAR HAYO, La nuova normativa sul contrasto del mercato dell'immigrazione clandestina, in Giust. pen., 2003, II, c. 324. L'autore parte dal presupposto secondo il quale "le condotte che procurano l'immigrazione clandestina o sono sorrette da una finalità di lucro o sono sorrette da un fine umanitario; tertium non datur". Anche se la legge non richiama il fine umanitario, a suo dire, l'attività umanitaria scriminata coincide con la medesima attività incriminata ma sorretta da fini umanitari. Ne consegue che, per evitare di ritenere senza senso il secondo comma, l'unica interpretazione possibile sarebbe la seguente: "nelle condotte di assistenza e soccorso potrebbe ravvisarsi l'appendice finale della procurata immigrazione clandestina, in quanto la ricezione sarebbe l'esito estremo dell'ingresso clandestino; da qui la necessità di una norma scriminante che renda lecita la ricezione umanitaria al di là dei rigidi parametri dello stato di necessità ex art. 54 c.p. Orbene, la liceità della ricezione umanitaria in nient'altro si identifica che nella liceità della procurata immigrazione a fini umanitari, per la necessità logica che l'antefatto di un fatto lecito sia lecito anch'esso. Insomma, la liceità della ricezione umanitaria non può che riverberarsi sulla liceità di tutti gli atti teleologicamente connessi, sicché i fini umanitari, nel rendere lecita la condotta di ricezione, rendono lecito altresì tutto il complesso della procurata immigrazione".

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LA SPECIALE CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE "UMANITARIA": QUALE AMBITO DI APPLICAZIONE?

11894/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

stesse ragioni, del terzo comma, occorre verificare la sua riferibilità alla fattispecie di favoreggiamento della permanenza clandestina.

A parte le perplessità che suscita, dal punto di vista sistematico, la collocazione di una speciale causa di giustificazione in un comma che precede quello che descrive il reato potenzialmente giustificabile, non si può fare a meno di notare che, da un punto di vista meramente oggettivo, "le attività di soccorso e assistenza umanitaria", sia in astratto che in concreto, finiscono - si ribadisce - con il favorire la permanenza di clandestini in Italia. Tuttavia, l'assenza del dolo specifico (10) che di solito caratterizza quel tipo di attività, non consente di ritenere integrata la fattispecie senza che sia necessario il ricorso alla scriminante speciale per escludere la punibilità.

In conclusione, sulla base delle precedenti considerazioni e riannodando le fila del discorso, sembrerebbe non esservi alcuno spazio (11) per l'operatività della causa di giustificazione de qua (12),

(10) Parte della dottrina - CASADONTE, op. cit., p. 660 - afferma l'incompatibilità tra lo scopo di ingiusto profitto del comma 5 e lo scopo umanitario del secondo comma. Premesso che il comma 2 - si noti - non richiede la finalità umanitaria (il legislatore si è espresso diversamente specificando il tipo di attività e non uno scopo tipico e trascendente), a nostro avviso, non può sostenersi - a priori - la sussistenza di un contrasto tra l'indicato dolo specifico (a prescindere peraltro dal dubbio circa la sua necessaria configurazione in una soltanto o in entrambe le sue manifestazioni tipiche) e le attività richiamate nella scriminante. Si vuole cioè sostenere che potrebbe ipotizzarsi un'attività di soccorso e di assistenza umanitaria (la quale - si è detto - inevitabilmente produce l'effetto di favorire la permanenza clandestina) ancorché prestata al fine di ingiusto profitto. Si pensi, a titolo di esempio, al proprietario che dà in locazione al clandestino (che non riesce a trovare un'abitazione e che quindi dorme all'aperto) una unità abitativa ad un canone elevatissimo. Sembrerebbe potersi affermare che, nel caso di specie, il predetto proprietario, con finalità di ingiusto profitto, svolga un'attività di soccorso e assistenza umanitaria, mettendo lo straniero in stato di bisogno al riparo dalle intemperie.

(11) Si è consapevoli delle perplessità che può suscitare un'interpretazione della norma che la rende concretamente inapplicabile; tuttavia, ci sembra che essa sia avvalorata dalle osservazioni contenute nel testo. Del resto, il legislatore emette proposizioni il cui valore e significato viene testato sono una volta che esse sono effettivamente inserite nel circuito giuridico. Sulla possibilità di contrapporre tra loro più risultati interpretativi e sulla impossibilità di qualificare esatta o sbagliata una interpretazione, cfr. MONATERI, voce Interpretazione del diritto, in Dig. disc. priv., X, Torino, 1993, pp. 54-56.

(12) A conferma della posizione qui sostenuta si ricorda che il Consiglio dell'Unione

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ANGELA BARALDI

1190 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

della quale peraltro - a quanto consta - non risultano applicazioni giurisprudenziali (13).

europea - che con la Direttiva 28 novembre 2002 (2002/90/Ce), ha stabilito l'obbligo per ciascun Stato membro di adottare, entro il 5 dicembre 2004, sanzioni appropriate nei confronti di chiunque volontariamente aiuti uno straniero: a) a entrare o a transitare nel territorio di uno Stato membro, in violazione della legislazione esistente nello Stato; b) a scopo di lucro, a soggiornare nel territorio di uno Stato membro, in violazione della legislazione vigente nello Stato - nel medesimo provvedimento ha previsto la facoltà di ogni Stato membro di non adottare le sanzioni se l'aiuto è dipeso dalla necessità di prestare assistenza umanitaria allo straniero, senza peraltro limitare l'operatività della scusante al caso - come quello in esame - di straniero soccorso già presente sul territorio.

(13) Si segnala una pronuncia di merito (Trib. Trieste, sent. 6/14.2.2002, n. 232, in Dir. imm. citt., n. 2/2002, p. 174 e ss.) in cui l'assoluzione degli imputati (genitori) per il delitto di favoreggiamento dell'ingresso clandestino (delle figlie minori) è stato motivato dall'applicazione degli artt. 51 ("non può infatti negarsi il diritto, di rango costituzionale ai sensi degli artt. 29 e 30 Cost., di ciascuna persona, a qualunque nazionalità appartenente, di vivere accanto ai propri figli minorenni e di concorrere non solo al mantenimento economico degli stessi (…) ma anche alla loro istruzione ed educazione, attività importanti e delicate che presuppongono un contatto continuo tra genitori e figli; (…) l'istruzione e l'educazione dei figli appare non solo un diritto ma anche un dovere primario dei genitori") e 54 (i genitori "hanno posto in essere l'unica condotta idonea a salvare le proprie figlie minorenni dal pericolo attuale di un danno grave alla vita e all'integrità psico-fisica delle stesse") c.p.

(segue nota)

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11914/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

Aspetti problematici della legittima difesa nel diritto penale militare

di Valeria Zito

1. Generalità - 2. Nozione e "concetto" di violenza nel diritto penale militare - 3. Attualità della violenza - 4. Necessità della difesa e commodus discessus

1. Generalità

L'art. 52 c.p. afferma che agisce in legittima difesa chi è costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.

L'art. 42 c.p.m.p., nel suo primo comma, conferma la non punibilità di colui che commette un fatto costituente reato, necessariamente militare, ma per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale ed ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.

Rinviando per il momento l'analisi dei differenti profili applicativi di entrambe le norme, pare utile ricordare che, in sede sistematica, la legittima difesa rientra nella categoria delle cause di giustificazione, le quali escludono la responsabilità penale. Secondo la previsione normativa condivisa da entrambi gli ordinamenti giuridici - tanto quello comune quanto quello militare - la legittima difesa esclude la punibilità, in quanto, secondo l'opinione generalmente accettata, il fondamento giuridico di questo istituto è il seguente: quando lo Stato si ritrova nella concreta impossibilità di intervenire tempestivamente a salvaguardare il soggetto ingiustamente offeso, il legislatore autorizza quest'ultimo ad una immediata difesa per evitare che il diritto tutelato sia destinato ad

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VALERIA ZITO

1192 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

essere sopraffatto dall'altrui "violenza": in tali condizioni l'aggredito può difendersi con i mezzi a sua disposizione "vim vi repellere licet; feci sed iure feci" (1).

Una volta precisato quale sia il fondamento politico minimale della scriminante in esame, è opportuno rinviare, per un più approfondito esame della suddetta tematica, a quanto previsto sull'argomento nella normativa di diritto penale comune, tenendo conto della minor elasticità e maggior tecnicità dell'ordinamento penale militare, in cui le nozioni e i concetti, in tema di scriminanti, assumono un carattere più restrittivo rispetto a quanto previsto dal più dinamico e generale diritto penale comune.

Ad acuire siffatto contrasto contribuisce, peraltro, l'impianto sistematico delle scriminanti (artt. 40-45 c.p.m.p.) nell'ambito originario dei codici militari del 1941; lo scopo che si evidenziava era quello di tutelare principalmente gli interessi interni delle forze armate - servizio disciplina, sicurezza - tanto da rendere evidente in maniera macroscopica anche alla più recente dottrina che, ad esempio, "uno dei settori in cui il diritto penale militare presenta più sensibili deroghe al diritto comune è quello delle cause di giustificazione (...) caratterizzate da un'autonoma disciplina e costruite secondo le esigenze specifiche dell'ordinamento militare (...)" (2).

La prospettiva metodologica di un continuo raffronto fra diritto penale comune e diritto penale militare, qui seguita, va calata sempre nella scrupolosa analisi della normativa vigente, evidenziando che proprio nella legittima difesa militare prevista dall'art. 42 c.p.m.p, la dottrina ha individuato un requisito realmente derogatorio rispetto alla scriminante prevista dall'art. 52 c.p. (3).

Cerchiamo ora di chiarire in linea generale, innanzitutto, i presupposti teorici su cui si fonda la questione delle scriminanti nel

(1) Cfr. CIARDI, Difesa legittima (diritto penale militare), in NN. D. I., V, Torino, 1960, p. 628;

MAFFEI, Difesa legittima nel diritto penale militare, DDP, III, 1989, p. 515.

(2) Vedi VENDITTI, Il diritto penale militare nel sistema penale italiano, Milano, 1985, p. 157.

(3) Cfr. MESSINA, Elementi di diritto e procedura penale militare, RGM, Velletri, 1985, p. 157.

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ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

11934/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

diritto penale militare; l'orientamento dottrinale prevalente, che cerca una ratio sostanziale in materia di cause di giustificazione nell'ordinamento castrense, pare essere quello ispirato al modello esplicativo di tipo "pluralista".

I fautori di questa tesi sostengono che non vi sia un presupposto comune a tutte le esimenti, ma bensì che codesto possa essere ricondotto per ogni esimente a princìpi diversi.

Il modello pluralista, per il quale propende anche la dottrina dominante nel diritto penale comune, sottolinea tassativamente l'incontestabilità di un dato, anche qualora ritenga verosimile, seppur con scarsa considerazione, la sussistenza di un minimo comune denominatore per tutte le scriminanti: ogni causa di giustificazione presenta elementi che la configurano in modo specifico e per tale motivo non è possibile prescindere da un "approccio che tenga in considerazione le corrispondenti peculiarità contenutistiche" (4).

Al riguardo, proprio la tipicità contenutistica delle singole esimenti militari ha indotto parte della dottrina ad escludere la possibilità di generalizzare princìpi e criteri applicabili a tutte le cause di giustificazione (5).

Tuttavia, una tale posizione, probabilmente, rischia di trascurare non solo la delicata questione dell'antigiuridicità nella sua interezza (6), ma anche "le linee di politica legislativa" che indicano, in modo univoco, il concetto del "vietato", del "consentito" o del "tollerato" seppur in relazione ad un argomento così specifico come quello della legittima difesa nel diritto penale militare, in cui la portata dell'art. 42 c.p.m.p. effettivamente restringe il suo campo applicativo, come vedremo, alla sola violenza ex art. 43 c.p.m.p.

Pertanto è stato considerato come più verosimile l'adattamento alla questione "scriminanti militari" del modello monista, secondo cui

(4) Cfr. FIANDACA - MUSCO, Diritto penale parte generale, IV, Bologna, 2001, p. 227 e ss.

(5) Cfr. MAFFEI, op. cit., in nota 5, p. 516, per l'orientamento pluralista cfr. VENDITTI, op. cit., p. 158.

(6) In tal senso, DELL'ANDRO, Antigiuridicità, in Enc. dir., II, Milano, 1985, p. 542; MAFFEI, cit.,

p. 516.

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1194 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

tutte le scriminanti andrebbero ricondotte ad un stesso principio (7), tale che le stesse "(...) siano tutte inquadrabili in una categoria unitaria per la loro equivalenza funzionale nell'ambito del diritto penale, ed anche per l'identità del trattamento giuridico (...)" (8) ed inoltre che "(...) operino tutte come cause di esclusione del reato (...)" (9), considerando anche, come afferma autorevole dottrina, che il principio base di tutte possa ravvisarsi, di volta in volta, nel criterio del "mezzo adeguato per il raggiungimento di uno scopo approvato dall'ordinamento giuridico" (10).

Da quanto detto, anche in forza di quest'ultima e attenta riflessione della dottrina tedesca, emerge piuttosto chiaramente che l'intento del legislatore, secondo una personale riflessione, potrebbe ritenersi in linea con i princìpi teorici monistici anche sul piano interpretativo della norma; l'art. 42, secondo comma, c.p.m.p., infatti, prevedendo la non punibilità di colui che "abbia commesso un fatto costituente reato militare per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa, "mette a corto guinzaglio" (11) l'istituto della legittima difesa: circoscrive rigorosamente l'ambito operativo di quest'ultima, "sostituendo" il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, richiesto dall'art. 52 c.p., con il più specifico termine di violenza attuale ed ingiusta, che, come vedremo, trova definizione nell'art. 43 c.p.m.p., come violenza limitata agli atti di lesione materiale dei diritti della persona (vita, integrità fisica, libertà personale).

Il contatto con la previsione monista è soddisfatto, tenendo conto della specificità della previsione normativa dell'art. 42 c.p.m.p., in quanto

(7) Cfr. FIANDACA - MUSCO, op. cit., p. 227 e ss.

(8) Cfr. CONCAS, Scriminanti, in NN.D.I., Torino, 1969, p. 794.

(9) Cfr. CONCAS, cit., p. 800.

(10) Così affermava GRAF ZU DOHNA, Die Rechtswidrigkeit als allgemeingültiges Merkmal im

Tatbestände strafbarer Handlungen, 1905, p. 48.

(11) Cfr. MAFFEI, op. cit., p. 117. L'espressione è di Veutro, in LANDI, VEUTRO, STELLACI, VERRI,

Manuale di diritto e procedura penale militare, Milano, 1976, p. 90.

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ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

11954/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

portata e limiti della scriminante in commento, sono ben individuati nel rispetto della specificità delle regole proprie di quell'ordinamento in cui sono operanti.

Gli orientamenti teorici tendono ad armonizzarsi con le scelte normative del legislatore, poiché codeste, in tema di legittima difesa ex art. 42 c.p.m.p., appaiono senz'altro più rigide per il fatto che "nel consorzio militare i criteri cui si deve ispirare l'istituto in esame debbono essere più rigorosi (...). Pertanto è necessario, sia sotto il profilo della disciplina militare, che sotto quello dell'opportunità, che la legittima difesa debba attivarsi entro confini ben definiti (...)" (12).

Al di là delle valutazioni di cui sopra, taluni interpreti hanno poi concluso che la legittima difesa, fra tutte le scriminanti speciali previste dal diritto penale militare, offra, oltre ad una struttura giuridica più complessa, anche una disciplina più articolata: dobbiamo continuamente ricordare che ogni previsione normativa del codice penale militare assume un carattere di particolarità rispetto alle disposizioni del codice Rocco, proprio per la specificità della materia.

A tal proposito, la medesima dottrina ritiene che il legislatore del 1941, riscrivendo le disposizioni relative all'esimente in oggetto in maniera più aggiornata, e come già sopra accennato, tecnicizzando il contesto normativo, abbia confermato l'opinione dei fautori della cosiddetta "integralità" e autonomia scientifica dei codici militari, rispetto ai sostenitori della cosiddetta "complementarietà" (13).

(12) Cfr. CIARDI, Difesa legittima, in NN.D.I, V, Torino, 1960, p. 629. In giurisprudenza, ad esempio, è stata esclusa la legittima difesa nel caso di inseguimento dell'aggressore quando sia cessata l'attualità della violenza da respingere. V., T.S.M. 20-7-1965. Barreca, Mass. T.S.M., Roma, 1978, 243.

(13) Vedi per tutti, MAFFEI, cit., p. 515 e ss. In nota 9: pare invece accettato il carattere complementare dei codici militari rispetto al codice penale comune. Sul punto vedasi per tutti VEUTRO, op. cit., p. 122.

Per le ragioni dei cosiddetti integralisti cfr. MANASSERO, I codici penali militari, Milano, 1951, pp. 17, 23 e ss., con ampi stralci della relazione D'Amelio (1926) nonché gli orientamenti del convegno nazionale di diritto penale militare (Padova, aprile 1956) riportati in Zinni, I voti del convegno di Padova per il diritto militare, RP, 1956, I, 793.

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1196 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

2. Nozione e "concetto" di violenza nel diritto penale militare

Veniamo ora ad esaminare i già citati profili applicativi delle due norme: art. 42 c.p.m.p e art. 52 c.p.; doveroso, innanzitutto, l'accostamento della normativa prevista in tema di legittima difesa nell'ordinamento penale militare a quella scritta nel codice penale comune per consentire un'esaustiva analisi non solo delle differenze, ma anche delle similitudini che concorrono tra le due differenti disposizioni.

Nel diritto penale militare, il punto nevralgico del percorso conoscitivo delle cause di giustificazione è il concetto di violenza, anche se, forse, sarebbe più adeguato parlare ancor prima di "nozione" di violenza.

In effetti in che cosa si è discostato il legislatore militare nell'art. 42 c.p.m.p. dal legislatore comune? Egli ha consentito la legittima difesa, non per tutelare qualsiasi diritto, ma solo per respingere da sé o da altri una "violenza attuale e ingiusta", sostituendo, appunto, al concetto del "pericolo attuale di un'offesa ingiusta" (14) ex art. 52 c.p. quello di violenza i cui parametri sono ben delimitati nell'articolo successivo (43 c.p.m.p.): "agli effetti della legge penale militare, sotto la denominazione di violenza si comprendono l'omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, le lesioni personali, le percosse, i maltrattamenti e qualsiasi tentativo di offendere con armi".

Una volta puntualizzata questa definizione di violenza, che il diritto penale militare sintetizza nell'art. 43 c.p.m.p., è interessante chiarire che dai lavori preparatori al codice non si evince una vera e propria ratio giustificatrice della norma - unica nel suo genere - e nemmeno se ne ricava un qualche dato preciso circa i suoi caratteri strutturali; nei lavori preparatori si legge solo che la nozione in questione, in virtù della sua specificità, è "diversa dalla definizione filologica" (RCR 66), e, in effetti, essa appare immediatamente "tipica": più circoscritta nel contenuto e nella funzione rispetto a quella adottata nel linguaggio penalistico comune (15).

(14) Cfr. CIARDI, op. cit., p. 628.

(15) Così BRUNELLI - MAZZI, Diritto penale militare, III, Milano, 2002, p. 184.

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ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

11974/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

Conviene, sicuramente, trattenersi in modo meticoloso sui punti problematici della nozione di violenza delineata nell'art. 43 c.p.m.p. e, in seguito, soffermarsi in una approfondita riflessione circa profili concettuali della medesima.

Innanzitutto, la norma in commento non comprende la violenza sulle cose, che invece troviamo definita nel codice comune (art. 392, secondo comma, c.p.); quale può essere il risvolto di questa affermazione? Che nella legge penale militare non può ritenersi scontato il riferimento alla violenza reale quando viene utilizzato il termine "violenza", così come definita dal codice militare, ma è necessario che sussista una specifica disposizione la quale manifesti la suddetta circostanza (cfr. art. 134, secondo comma, c.p.m.p.).

Dopo questa breve premessa sui limiti sostanziali della norma, vediamo rapidamente i singoli elementi su cui si fonda la nozione di violenza nel diritto penale militare.

I termini che nell'art. 43 c.p.m.p. configurano la nozione di violenza non creano rilevanti problemi applicativi, in quanto essi non fanno altro che richiamare fattispecie criminose che ledono la vita e l'integrità fisica delle persone (omicidio, consumato o tentato, lesioni personali, percosse), escludendo però, con l'inciso riferito all'omicidio, "ancorché preterintenzionale", la responsabilità per colpa, rispettivamente per le fattispecie di lesioni personali e, ovviamente, di omicidio.

Qualche problema di tipo interpretativo sorge, invece, in relazione ai cosiddetti "maltrattamenti", che nel codice penale comune vengono codificati solo in relazione alle situazioni familiari o ai fanciulli (art. 572 c.p.) o agli animali (art. 727 c.p.), mentre nel codice penale militare il riferimento ai "maltrattamenti", come sottolinea autorevole dottrina, non autorizza il richiamo a un nomen iuris di fattispecie criminose (16).

Tuttavia, riassumendo, la prassi giurisprudenziale ha identificato

(16) Cfr. BRUNELLI - MAZZI, Codici penali militari, in Rassegna di dottrina e giurisprudenza,

Milano, 2001, L'espressione è di VEUTRO, op. cit., p. 199.

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i cosiddetti maltrattamenti dell'art. 43 c.p.m.p. in tutti quegli atti di "violazione fisica" a danno della persona che non integrano il concetto di percosse, così come definito dal codice comune, che non hanno nessuna finalità costrittiva e che possono concretizzarsi anche in un unico atto - uno strattone, una spinta, uno sputo - Cfr. C. Cass., (C.C.), 27 ottobre 1999, n. 5917, Pres. Teresi, Rel. Gironi, P.M. Garino, concl. conf.; imp. ric. da sent. C.M.A. Roma (dich. inammissib.).

Un particolare orientamento giurisprudenziale avrebbe ulteriormente specificato la sostanziale differenza concettuale tra il termine percosse e quello più complesso, appunto, di maltrattamenti: "la percossa costituisce il limite penalmente rilevante degli attentati alla incolumità personale, mentre i maltrattamenti, pure compresi nella nozione di violenza, costituirebbero attentati alla libertà fisica, cioè alla possibilità di spiegare liberamente la condotta esterna" (17).

Questa successiva precisazione della giurisprudenza fa da "spartiacque" tra due scuole di pensiero che traggono le proprie conclusioni proprio sull'ultima questione da analizzare: il "concetto" di violenza; sì perché l'esame, dapprima solo nozionistico, dell'art. 43 c.p.m.p. "sembra" offrire solo in seconda battuta - proprio a causa della rigidità contenutistica dell'art. 43 c.p.m.p. - la possibilità di giungere ad esprimere opinioni più astratte, anche radicalmente contrastanti, sulla questione analizzata.

Ora, la delicata problematica si potrebbe sintetizzare in due domande alle quali non è semplice fornire risposte secche: il concetto di violenza nel diritto penale militare assume una tipicità rispetto alla violenza del diritto penale comune? È concepibile la sussistenza della "violenza morale" nel diritto penale militare?

Parte della dottrina ha ritenuto che l'aggiunta, per così dire, del termine maltrattamenti nell'art. 43 c.p.m.p. non raffiguri altro che il tentativo di raccogliere in un'unica norma tutti i "volti" della violenza:

(17) Vedi BRUNELLI - MAZZI, Codici, op. cit., p. 119 (riferimento a T.S.M., 2 maggio 1969,

Grandona, Mass. T.S.M., II, 980; T.S.M., 23 aprile 1974, Dieci, Giust. Pen. 1976, II, 178).

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ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

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primo quello della "violenza fisica", poi, anche se probabilmente con uno spazio più marginale, anche quello problematico della violenza morale; non solo, il termine maltrattamenti nel diritto penale militare ricomprenderebbe, secondo questa teoria, anche la violenza "coartativa" (cfr. ad es. art. 143 c.p.m.p.), tant'è che il concetto di violenza, proprio dell'ordinamento castrense, conterrebbe tutti gli ingredienti necessari a farlo coincidere con quello espresso altresì nel diritto penale comune; la norma considerata perderebbe così la sua specificità, in quanto, l'inserimento del termine "maltrattamenti" avrebbe uno scopo sì "chiarificatore", ma anche "ampliativo" (18).

Ritengo comunque logico, e non incompatibile con gli schemi del diritto penale militare, che un simile orientamento estenda i confini del concetto di violenza in codesto ordinamento giuridico, fino a sovrapporli a quelli della violenza nel diritto penale comune, considerando opportuno, anche se non esplicitamente, ritagliare uno spazio anche per la cosiddetta violenza morale.

Il secondo filone teorico, invece, probabilmente fedelissimo al concetto del "vis corpore corpori afflicta", secondo cui la violenza richiede un'azione esercitata con il corpo su un corpo, sembrava addirittura non ammettere categoricamente la sussistenza del concetto di violenza morale nel diritto penale militare, in quanto già escludeva immediatamente, dalla nozione espressa dall'articolo in commento, anche un'ipotetica "presenza concettuale" (19).

In conclusione, entrambe le scuole di pensiero rispondono in maniera più o meno esplicita a quelle due domande poste quando abbiamo iniziato ad analizzare il concetto di violenza.

Una personale riflessione mi porta a sviluppare e a precisare il pensiero espresso dalla prima scuola e a discostarmi senza dubbio, invece, dall'orientamento scelto dalla seconda.

(18) In tal senso vedi VEUTRO, op. cit., p. 202.

(19) Cfr. CIARDI, Istituzione di diritto penale militare, I, 1950, Roma, p. 268.

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Per prima cosa ritengo opportuno ribadire che lo studio delle basi del diritto penale militare è in grado di condurci ad una simile conclusione: la disciplina castrense è sicuramente espressione di un ordinamento autonomo e particolare nel suo genere.

È evidente che alcuni tratti lo contraddistinguano dal diritto penale comune (ad es. il fondamentale rapporto gerarchico sul quale si permeano tanto gli istituti di parte generale, quanto le fattispecie di parte speciale), ma non è comunque esatto pensare che ogni singola norma del diritto penale militare, in qualche modo, non risenta dell'influenza delle disposizioni di quello penale comune, soprattutto su un tema così articolato come quello della violenza il cui concetto è sentito anche da autorevole dottrina come "terribilmente impreciso" (20).

Innanzitutto, prima di analizzare nei punti successivi tutti quegli aggettivi e locuzioni che l'art. 42 c.p.m.p. riserva alla nozione di violenza, tenterò di configurare un concetto, o più concetti della stessa, i quali ritengo possano adattarsi anche alle solide regole del diritto penale militare.

Il termine maltrattamenti ritengo possa effettivamente enucleare tanto il concetto della violenza puramente fisica, quanto quello della violenza morale; non solo, ritengo sia plausibile l'ipotesi di affiancare in modo sistematico e parallelo a entrambe le fattispecie di violenza anche gli ulteriori parametri coniati dalla dottrina: quello della "violenza -fine" e quello della "violenza-mezzo" (21). La locuzione maltrattamenti, "aggiunta" nell'art. 43 c.p.m.p., ritengo non voglia essere un'espressione pleonastica del termine percosse, ma che anzi, sulla falsariga del diritto penale comune, sia l'estrinsecazione di tutti quegli "aspetti" della

(20) Sul punto vedi DE SIMONE, Enc. dir., XLVI, 1993, p. 881: Così Schroeder F.C., Schrein als Gewalt und Schuldspruch berichtigung durch Beshluß - BGH, NJW, 1982, 189, in Juristische Schulung, 1982, 492. Cfr. in tal senso, PEDRAZZI, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, in St. urb., 1955-1956, p. 44; PECORARO - ALBANI, Il concetto di violenza nel diritto penale, Milano, 1962, pp. 5 e 7.

(21) Per la definizione di entrambe e un orientamento decisivo vedi ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, XIII, Milano, 1999, p. 137.

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ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

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violenza che, sicuramente, si riscontrano anche nella vita quotidiana del militare.

Incominciamo ad analizzare, solo nei risvolti essenziali, prima di tutto la violenza fisica: quella aggressiva, corporea, materiale, che si riscontra ovviamente nelle percosse, ma che nel maltrattamento assume un significato prevalentemente coartativo della volontà altrui - "violenza-mezzo": parametro questo che invece pare essere estraneo al concetto di percosse, poiché queste, con più probabilità, rientrano nello schema della cosiddetta "violenza-fine", quella usata solo per recare danno, cioè per ledere o porre in pericolo un "interesse legittimo" (22) (vd. ad es. art. 142 c.p.m.p.).

Un'ipotesi di "violenza-mezzo" possiamo ravvisarla, ad esempio, nel caso, anche molto generico, del superiore che schiaffeggi l'inferiore per costringerlo a tenere un certo comportamento: l'essenziale è che la volontà del suddetto venga costretta a piegarsi sotto l'aggressione fisica del superiore.

La violenza fisica, dunque, non pone particolari problematiche interpretative, se non quelle di tipo qualitativo o quantitativo (ad es. se una sola spinta equivalga o meno ad un'aggressione di tipo fisico), peraltro risolte di volta in volta dalla giurisprudenza; semmai la selva intricata rimane quella del concetto di violenza morale.

Partendo dal presupposto che anche con una violenza fisica è possibile perpetrare il sopruso, cioè quell'espressione tipica dell'abuso di chi sta in una posizione di superiorità fisica, psichica o gerarchica, sicuramente questo tipo di angheria è più facile da riscontrare nel caso di violenza morale.

Potremmo definire, secondo una personale riflessione, la violenza morale come un insieme di pressioni, tensioni o mali rivolti al soggetto passivo, non necessariamente coattivi della volontà del soggetto, che invadono subito materialmente o psichicamente la vittima (attualità del

(22) Cfr. DE SIMONE, op. cit., p. 892.

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1202 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

male), e che, nella maggior parte dei casi, presentano una caratteristica di reiterazione del comportamento da parte del soggetto attivo: subito si nota la sostanziale differenza con la fattispecie della minaccia (cfr. artt. 189, 196, 229 c.p.m.p.) che invece implica la prospettiva di un male ingiusto nel futuro, anche se è plausibile ritenere che in realtà un male attuale nei confronti della vittima accompagni invece la minaccia, quando, per lo meno, questa arrechi un turbamento psicologico nel soggetto passivo che, talvolta, vive in una sorta di costante timore nei confronti del persecutore (pensiamo al caso del superiore che minacci l'inferiore di fargli eseguire innumerevoli flessioni su un terreno sterrato: questo comportamento, a meno che il soggetto passivo non sia un militare dalle improbabili qualità bioniche, creerà nello stesso un sensibile stato di ansia che facilmente potrebbe ripercuotersi sull'adempimento dei suoi doveri); poco conciliabile è pure l'accostamento tra la minaccia e la "violenza-mezzo", in quanto la minaccia non prevede inevitabilmente un costringimento altrui a fare, tollerare od omettere qualcosa (calzante può essere l'ipotesi dell'inferiore che minacci il suo superiore di rivelare particolari sicuramente poco dignitosi riguardo alla sua vita privata: ciò solo occasionalmente può avere finalità coartative o estorsive).

La violenza morale pare essere compatibile con il parametro della "violenza fine" (pensiamo ad esempio alle ipotesi di "servilismo" che tendono solo ed unicamente a mortificare la dignità del militare, solitamente inferiore o più giovane, portandolo magari ad assolvere a compiti degradanti: il superiore che ripetutamente chieda all'inferiore di provvedere all'acquisto di sigarette o videocassette ecc. per il proprio divertimento), ma è conciliabile ovviamente anche con lo schema della "violenza-mezzo" (potremmo fare l'ipotesi del superiore che con rimproveri continui, urla spropositate e frasi volutamente allusive rivolte all'inferiore, lo costringa a non sottoporsi alle visite mediche previste quotidianamente creando in costui una sorta di soggezione mentale).

In conclusione riterrei verosimile affermare che nel diritto penale militare possano configurarsi - con molta probabilità grazie all'intento chiarificatore ed ampliativo del termine maltrattamenti - oltre alla violenza fisica, che comunque domina in un ordinamento marziale, anche la violenza morale articolata nelle sue molteplici sfaccettature

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ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

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e in costante raffronto con il complicato concetto di minaccia, la cui trattazione tralasceremo però in questa sede, dedicandoci ora alle più significative "sfumature" qualitative della violenza richieste in tema di legittima difesa dall'art. 42 c.p.m.p.

3. Attualità della violenza

Gli elementi costitutivi della legittima difesa sono stati identificati, nel diritto penale comune, nella necessità e nella inevitabilità della difesa stessa, nella proporzione tra offesa e reazione, nella sussistenza di un pericolo di un'offesa ingiusta (23).

Ora, in questa sede dobbiamo tenere conto che solo entro determinati limiti il diritto penale comune esercita una certa influenza concettuale sul diritto penale militare; pertanto, spiegando il requisito "dell'attualità" della violenza indicato nell'art. 42 c.p.m.p., è opportuno non farsi sviare dalle evidenti analogie ed assonanze che il termine in questione presenta con l'omonimo aggettivo, affiancato, invece, all'ancora più complesso vocabolo di "pericolo" impiegato dall'art. 52 c.p.

In effetti il codice penale comune utilizza nella norma appena richiamata l'espressione "pericolo attuale" mentre l'art. 42 c.p.m.p., come abbiamo ampiamente ribadito, usa la locuzione "violenza attuale".

Brevemente chiariamo come la dottrina prevalente nel diritto comune (24) si esprima circa il significato di "pericolo attuale"; quasi unanimemente giurisprudenza e orientamenti teorici sostengono che nel contesto dell'art. 52 c.p. l'aggettivo in questione stia ad esprimere il "pericolo presente in cui viene posta in essere la condotta reattiva": la chiave di lettura è quella di un pericolo che non può essere né futuro, né passato o non ancora sorto.

(23) Vd. per tutti GROSSO, Legittima difesa, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 28 e ss. Cfr.

anche GROSSO, Difesa legittima e stato di necessità, Milano, 1964.

(24) Vedi GROSSO, op. cit., p. 75 e ss.; fra gli altri anche ANTOLISEI, Manuale, parte generale,

XV, Milano, 2000, p. 231 e ss.; FROSALI, Sistema penale, pen. It., II, p. 296.

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1204 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

Un'altra parte della dottrina e, probabilmente, questo è l'orientamento più interessante per la questione analizzata nel diritto penale militare, include invece nel concetto di "pericolo presente" anche quello di "pericolo imminente" (25).

Il cosiddetto pericolo imminente (cioè quel pericolo attuale che "sta" per tramutarsi in danno) può, in effetti, "ammorbidire" il rigido concetto di attualità della violenza dell'art. 42 c.p.m.p.; ora, secondo il legislatore del 1941 il termine di pericolo adottato dal codice penale comune "sarebbe subiettivo e mutevole" e per questo motivo poco appropriato alla "materia militare" (secondo lo schema dei compilatori, se per esempio il superiore levasse la mano per colpire un inferiore, ammettere una legittima difesa sarebbe "eccessivo" ma soprattutto "incompatibile" con la disciplina militare, Rel. Prog. Prel., 66).

Non solo: seguendo alla lettera il significato di attualità prospettata dal codice penale militare, in caso di una minaccia a mano armata, la difesa non si potrebbe attuare se non qualora l'aggressore, proseguendo nella sua azione, con intenzioni immutate, tentasse di usare l'arma per offendere: sicuramente, in una situazione di questo tipo, l'aggredito avrebbe ben poche possibilità di reagire (26).

A questo punto, considerando che l'esegesi esclusivamente formalista dell'art. 42 c.p.m.p. effettivamente considera come attuale solo la violenza già cominciata, per lo meno a titolo di tentativo perfetto (27), la vita pratica militare ha reso invece necessario un superamento della limitatezza testuale della norma, rinvenendo una valida soluzione "evolutiva" proprio in quel concetto di "imminenza" che una parte della dottrina enucleava nel sopraccennato concetto di pericolo presente.

(25) Sul punto un cenno in PETROCELLI, La pericolosità criminale e la sua posizione giuridica, 1940, p. 18 e ss.

(26) Vedi BRUNELLI - MAZZI, Codici penali militari-Rassegna; Milano, 2001, p. 113. Per un approfondimento vedi GARZINO, Manuale di diritto e procedura penale militare, Milano, 1985, p. 140.

(27) Cfr. MAFFEI, op. cit., p. 518.

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ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

12054/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

In conclusione, cercando di far fronte alle esigenze pratiche, considerato che anche nell'art. 42 c.p.m.p. indefettibile è il requisito della "necessità di respingere", e conseguentemente, anche quello della "possibilità" di respingere, la dottrina e anche la giurisprudenza hanno esteso la portata del concetto ex art. 42, terzo comma, c.p.m.p. facendo rientrare nella nozione di attualità anche quella di imminenza, permettendo così al soggetto passivo di reagire ad un'azione, per così dire, non ancora "esaurita".

Come anticipavo, la stessa giurisprudenza si è sempre orientata in modo tale da acconsentire ad un'attenuazione delle differenze tra le scriminanti militari e le comuni: "la possibilità di un'offesa imminente equivale all'attualità di essa: la difesa è legittima non solo contro la prosecuzione della violenza, ma contro l'inizio dell'attività violenta, non potendosi richiedere, a chi si difende, di attendere di essere colpito" (T.S.M., 14 dicembre 1965, Esposito, Giust. pen. 1967, II, 164; analogamente, T.S.M., 9 gennaio 1976, Bulletta, Rass. giust. mil. 1976, 157).

In conclusione, anche la Corte Costituzionale (sent. 3 giugno 1987, n. 225) nel contesto di un episodio litigioso ha riconosciuto che "(...) il giudice, secondo l'id quod plerumque accidit, dovrà tenere conto proprio di quegli "atteggiamenti aggressivi" che rappresentano, in definitiva, il momento scatenante dell'azione violenta (...)".

Nonostante ciò la giurisprudenza, soprattutto recentemente, ha mostrato una certa insofferenza nei confronti di quest'orientamento, attenendosi solo alla meticolosa esegesi del testo normativo e continuando ad escludere la legittima difesa in un caso di reazione ad atteggiamento soltanto minaccioso dell'aggressore, anche se diretto alla commissione di reati di lesione e percosse, che si erano comunque fermati sulla soglia del tentativo (Cass., 30 giugno 1994, Settembrini, in Scandurra, Il diritto penale militare, II, Milano, 1995, 51).

Nessuna obiezione, invece, quando la violenza è già esaurita; qui, come nel diritto penale comune, la scriminante non opera (pensiamo ad esempio al caso del militare che terminata la contesa colpisca il suo avversario nel momento in cui non era più necessaria la difesa,

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VALERIA ZITO

1206 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

essendosi già esaurita l'altrui violenza, C. Cass., 29 ottobre 1986, Pres. Carnevale, Rel Sibilia, P.M. Perazzoli, concl. conf.; imp. Ric. Da sent. C.M.A: Sez. Dist. Verona - rigetta -).

4. Necessità della difesa e commodus discessus

Tanto l'art. 52 c.p. quanto l'art. 42 c.p.m.p. riconducono rispettivamente la "necessità di difendere" e la "necessità di respingere" ad un concetto comune: e cioè che l'offesa da cui difendersi e la violenza da respingere siano ingiuste. Oltre a questo, la prima deve essere rivolta contro un diritto proprio od altrui, (ex art. 52 c.p.) la violenza (ex art. 42 c.p.m.p.), respinta da sé o da altri.

Ritengo che i concetti in analisi, cioè l'ingiustizia dell'offesa o della violenza e il problema dei destinatari delle stesse, abbiano, pur in differenti ordinamenti, molti punti di contatto; per questo motivo, non ritengo indispensabile in questa sede operare sulle questioni accennate una riflessione profonda.

In conclusione è utile fare solo alcune precisazioni: nel diritto penale militare i requisiti di cui sopra, infatti, sembrano soggiacere agli stessi canoni dottrinali previsti nel diritto penale comune.

Infatti, a parte l'annosa questione sul significato dell'aggettivo "ingiusto", che comunque la dottrina prevalente ha ritenuto e ritiene sia da considerare come l'espressione dell'antigiuridicità della condotta (28), riterrei opportuno sottolineare solamente come anche nel diritto penale militare sia previsto il cosiddetto soccorso difensivo, che si riscontra quando il fatto è commesso per respingere da "altri" la violenza attuale ed ingiusta: la dottrina precisa, inoltre, che il terzo "difeso" può anche non avere la qualifica di militare, e ciò "sia perché l'espressione generica "altri" non autorizza alcuna restrizione, sia perché la legittima difesa militare deriva la sua caratteristica dalla natura militare del fatto posto in essere

(28) Vedi per tutti FROSALI, Sistema penale italiano, Torino, 1958, p. 298.

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ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

12074/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

dal reagente, non dalla natura del fatto posto in essere dall'aggressore o dalla qualifica del soggetto aggredito" (29).

Tornando al tema di principale interesse, l'art. 42 c.p.m.p. mette in evidenza che la violenza ingiusta deve essere dunque respinta quando ve ne sia la "necessità", così come nell'art. 52 c.p. dall'offesa l'aggredito è autorizzato a difendersi qualora vi sia, ancora, la cosiddetta "necessità".

Nel diritto penale comune, la dottrina dominante afferma che "sarebbe necessitata la condotta che, idonea a neutralizzare il pericolo, è in grado di conseguire tale risultato, provocando all'aggressore il minor nocumento possibile" (30).

A questo punto è d'obbligo chiedersi nella pratica in che cosa consista dunque la necessità di difendersi: questa può intendersi, secondo l'orientamento prevalente e più comune, come l'unica possibilità di scelta, che a sua volta si traduce nell'impossibilità di optare per un'altra soluzione o di agire in modo differente.

Per valutare questa situazione di "paralisi mentale", bisogna tener conto di diversi fattori ovviamente: le condizioni dell'aggredito, i mezzi di cui disponeva, il tempo, il modo e il luogo dell'attacco.

Ogni situazione lascia considerevoli margini di discrezionalità, in quanto le circostanze eterogenee del caso concreto permettono di adattare i criteri suddetti a seconda della situazione: pensiamo ad esempio al caso della persona che reagisca ad un'aggressione fisica, estraendo un coltello con cui ferisce l'aggressore; ora, se l'aggredito è un individuo fragile fisicamente, che si è trovato in un contesto sia spaziale che temporale poco "fortunato" (di notte in una strada angusta) e pertanto pervaso da un senso di atterrimento, magari di fronte ad un aggressore possente, la sua reazione può risultare giustificata a differenza, invece, di quella operata con le medesime modalità, ma in differenti condizioni spaziali e temporali, da un altro individuo con una notevole costituzione fisica.

(29) Cfr. BRUNELLI - MAZZI, Codici, Rassegna, op. cit., p. 115; per il concetto cfr. VENDITTI, Il

diritto penale militare nel sistema penale italiano, VII, Milano, 1997, p. 166.

(30) Vedi per tutti ANTOLISEI, op. cit., parte generale, p. 297.

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VALERIA ZITO

1208 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

Sulla problematica della "necessità della difesa" di particolare interesse sono sicuramente alcuni orientamenti giurisprudenziali: la dottrina, in tema, nel diritto penale militare, ancora una volta, non si è discostata dagli argomenti proposti dai teorici del diritto penale comune.

Al riguardo la giurisprudenza invece ha escluso, ad esempio, la sussistenza della necessità nel caso di chi abbia deliberatamente voluto una colluttazione altrimenti evitabile (31), oppure ha ritenuto come non ricorrente la necessità della difesa allorché l'aggredito per respingere una violenza, peraltro molto modesta, faccia a sua volta uso della violenza, al fine di indurre l'aggressore a desistere da ulteriori molestie, avendo a sua disposizione altro mezzo per raggiungere tale scopo (32).

Dalle posizioni della Cassazione emerge un dato incontestabile, peraltro in armonia con le linee della dottrina, e cioè che il requisito della necessità della difesa manca laddove è presente quello della evitabilità di una certa condotta reattiva.

Il concetto di evitabilità ci porta ad analizzare proprio quel comportamento alternativo alla reazione violenta che più interessa la legittima difesa ex art. 42 c.p.m.p.: la fuga.

Nel diritto penale, in passato, si era soliti distinguere l'istituto della fuga da quello del commodus discessus, poiché quest'ultimo sarebbe consistito, secondo la dottrina più risalente, in una "ritirata agevole e meno vergognosa" (33) e spesso attuata per sottrarsi alla minaccia di persone dalle quali dipende l'aggredito per ragioni gerarchiche o reverenziali: il commodus discessus sarebbe stato un comportamento "imposto", la fuga invece solo indice di viltà.

Incominciamo con il porci una domanda volutamente provocatoria: ma l'aggredito che può fuggire ed invece reagisce contro l'aggressore, può invocare la legittima difesa? Possiamo rispondere, come anche autorevole dottrina conferma, che all'aggredito non può essere imposta

(31) Cass., 31 ottobre 1983, Visardi, RGM, 1984, 349.

(32) Cass., 31 ottobre 1983, Pres. Fasani, Rel. Di Marco, P.M. Malizia, concl. conf.; imp. Ric. da sent. C.M.A. Roma (rigetta).

(33) Cfr. MANZINI, Trattato di diritto penale, Torino, 1961, II, p. 376 e ss.

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ASPETTI PROBLEMATICI DELLA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO PENALE MILITARE

12094/2005 Rivista della Guardia di Finanza QUESTIONI D'OGGI

una reazione al pericolo che sia meno efficace di un'altra; pertanto se la fuga non fosse sufficientemente sicura, la reazione contro l'aggressore sarebbe senz'altro lecita (34).

Pensiamo al caso in cui un cittadino, con regolare porto d'armi e autorizzato a portare l'arma con sé, non solo per motivi sportivi, venga aggredito da un altro cittadino con un'arma da fuoco da difesa, quindi meno potente; considerando che il suo aggressore si trovi ad una distanza in cui potrebbe, sparando, colpire e provocare non la morte ma una lesione sicuramente grave, le soluzioni potrebbero essere due: voltarsi e fuggire, confidando nell'inadeguatezza dell'arma ad uccidere o nella scarsa abilità dell'aggressore, oppure estrarre l'arma e fare fuoco contro lo stesso.

Con ogni probabilità, tenendo conto dei minimi dettagli, la soluzione "migliore" secondo la tesi sopraesposta, sarebbe da ritenersi quella della reazione.

Prescindendo dagli innumerevoli risvolti contingenti del caso concreto esaminato, considerando comunque la particolarità della contesa con armi da fuoco, fondamentale è proprio sciogliere il nodo centrale dei rapporti tra reazione e fuga: secondo un criterio di bilanciamento degli interessi il soggetto non sarà tenuto a fuggire in quelle situazioni nelle quali la fuga esporrebbe i suoi beni personali (in questo caso il pericolo potrebbe essere rappresentato senz'altro dal fatto di essere colpito da una pallottola, ma anche da situazioni differenti, come il rischio per il cardiopatico di rimanere vittima di un infarto nel tentativo convulso di fuggire) o altrui, a rischi maggiori di quelli incombenti sui beni propri del soggetto contro cui si reagisce (35).

Siamo giunti ormai al punto di spiegare perché la domanda prima posta fosse provocatoria, ponendoci un'ulteriore quesito: ma nel diritto penale militare è possibile trarre conclusioni, tutto sommato "disinvolte", sull'eventualità di reagire o fuggire in una situazione di effettivo pericolo? La risposta è da cercarsi, probabilmente, proprio nei solidi princìpi dell'ordinamento castrense.

(34) Vedi GROSSO, op. cit., 1974, p. 32.

(35) Cfr. FIANDACA - MUSCO, op. cit., p. 258.

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VALERIA ZITO

1210 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005QUESTIONI D'OGGI

Innanzitutto è indicativo il fatto che in esso venga impiegata ancora la risalente suddivisione tra la fuga, definita come un allontanamento quando la situazione pericolosa è già in corso, e il commodus discessus, che consisterebbe, secondo orientamenti più moderni, nell'evitare la situazione pericolosa che si profila - una sorta di ritirata strategica -; tale criterio, a mio avviso, è strettamente collegato a quei doveri di dignità, di onore e di coraggio, che da una parte della dottrina venivano addirittura considerati come obblighi giuridici (36), tali per cui sul militare incombe un divieto etico e disciplinare di non sottrarsi alla violenza; questa rigida posizione porta ad una duplice conclusione: un ampliamento dei confini della scriminante in esame, ma anche un obbligo in più per il militare, che, non avendo la possibilità di fuggire, non può nemmeno adeguatamente difendersi; tale divieto sarebbe in opposizione totale con il principio già analizzato secondo cui il soggetto aggredito deve avere la possibilità di scegliere la soluzione più efficace per sé o per altri in caso di pericolo o di violenza.

Tenendo comunque conto che la fuga "a gambe levate" da parte del militare in una situazione di violenza è vile, in quanto permangono quei doveri radicati nella sua figura nel contesto sociale e giuridico, la questione del commodus discessus ha risentito di un ammorbidimento dei toni operato, non solo dalla dottrina più recente, ma anche dalla nuova normativa disciplinare: queste, insieme, hanno "fortemente attenuato" gli obblighi giuridici e morali del militare aggredito, mitigando quel tono eccessivamente retorico in merito al disonore incombente sul militare che mai deve fuggire.

Da ultimo è poi necessario ricordare che, in tale ambito, l'aggressore è di regola anche egli un militare e questo crea una sorta di "parità" delle condizioni personali, costituendo un rapporto simile a quello che esiste tra privato e privato e consentendo di risolvere la questione del commodus discessus secondo le prospettive del diritto penale comune (37).

(36) Vedi SUCATO, Istituzioni di diritto penale militare, I, Roma , 1941, p. 188.

(37) Cfr. BRUNELLI - MAZZI, Rassegna, op. cit., p. 115. Vds. anche VENDITTI, op. cit., 1997, p. 120; MESSINA, op. cit., p. 59.

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12134/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

I professionisti giuridico-contabili nelle strategie antiriciclaggio

di Umberto Di Nuzzo

1. Flussi finanziari illeciti e misure di contrasto sul piano repressivo - 2. Gli strumenti normativi di prevenzione del riciclaggio - 3. Gli obblighi antiriciclaggio per i professionisti del settore legale e fiscale - 4. Il regime sanzionatorio alla luce del recente Parere del Comitato antiriciclaggio - 5. La Guardia di Finanza nell'azione di contrasto al riciclaggio

1. Flussi finanziari illeciti e misure di contrasto sul piano repressivo

Come è noto, le attività di riciclaggio (1) e di reimpiego dei capitali illeciti rappresentano una grave minaccia per il corretto funzionamento dei mercati basato sul principio della libera concorrenza.

Infatti le organizzazioni criminali, disponendo di ricchezze enormi e operando secondo logiche che non si sottraggono alle ordinarie regole economiche di massimizzazione dei profitti e di efficiente allocazione delle risorse, investono nelle attività lecite più diversificate per allontanare i capitali dalle rispettive fonti di produzione.

È inoltre concreto il rischio che le associazioni criminali, avendo come obiettivo quello di lucrare profitti sulle attività illecite e di

(1) Il riciclaggio di denaro può definirsi come quel processo con il quale viene occultata la

provenienza dei proventi illeciti e si sostanzia in una serie di atti volti a reintrodurre gli stessi nel

circuito economico regolare. Per meglio comprendere tale affermazione, si immagini il mare che

sembra tutto uguale, ma all'interno ci sono le correnti e solo stando dentro ci si accorge se l'acqua

è più o meno fredda: il riciclaggio è un po' così, nel senso che i soldi "sporchi" sono uguali agli altri

e dall'esterno non si possono riconoscere.

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UMBERTO DI NUZZO

1214 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

reimmettere nell'economia legale i profitti medesimi, possano alterare le regole di mercato, acquisendo posizione monopolistiche in certi settori economici.

Ciò è una eventualità che contrasta con l'art. 41 Cost., che tutela la libera iniziativa privata.

In buona sostanza, la consapevolezza della presenza di consistenti flussi finanziari illeciti e dei connessi effetti distorsivi pone in tutta evidenza la necessità di individuare precise strategie antiriciclaggio sul piano repressivo.

Al riguardo si rammenta che i l primissimo documento internazionale ad occuparsi del fenomeno è stata la Raccomandazione del Consiglio di Europa del giugno 1980, alla quale hanno fatto seguito altre importanti iniziative che possono così riassumersi:

- la Dichiarazione di Princìpi del Comitato di Basilea del 12 dicembre 1988, la quale al primo punto esprime il concetto che le banche possono essere utilizzate per effettuare depositi o trasferimenti di fondi criminali;

- la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, firmata a Vienna il 19 dicembre 1988.

Di tale Convenzione rileva, ai fini del contrasto al riciclaggio, l'art. 3, par. 1, che dispone di "attribuire il carattere di reato" ad una serie di condotte tra le quali figurano la conversione, il trasferimento, la dissimulazione o la contraffazione dell'origine di beni che si conosce essere proventi di reati relativi al traffico di stupefacenti e di sostanze psicotrope;

- la Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, firmata a Strasburgo l'8 novembre 1990.

Detta Convenzione, redatta con lo scopo di seguire una politica comune contro la criminalità, muove dall'assunto che uno dei metodi di contrasto al riciclaggio è quello di "privare i criminali dei proventi dei reati".

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I PROFESSIONISTI GIURIDICO-CONTABILI NELLE STRATEGIE ANTIRICICLAGGIO

12154/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

In tale ottica, la Convenzione contiene la definizione di "reato presupposto", ossia di qualsiasi reato in conseguenza del quale si formano i proventi che possono diventare oggetto di riciclaggio;

- la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, tenutasi a Palermo nel dicembre 2000, che impone ai Governi di introdurre negli ordinamenti quattro tipi di reato: l'appartenenza ad associazioni di stampo mafioso, il riciclaggio di denaro sporco, la corruzione, l'intralcio alla giustizia.

A livello nazionale, il primo intervento in funzione repressiva risale al 1978, con l'introduzione nel codice penale (2) dell'art. 648-bis, che prendeva in considerazione l'attività di mera sostituzione dei proventi di reato con denaro o altri valori.

Successivamente, la legge 19 marzo 1990, n. 55 ha ridisegnato la previsione punitiva dell'art. 648-bis, rubricando per la prima volta il delitto in parola con la locuzione "riciclaggio", e ha aggiunto l'art. 648-ter, intitolato "Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita".

Nel 1993, con la legge n. 328, che ratificava la Convenzione di Strasburgo, veniva per la seconda volta rivisitata la fattispecie penale in parola e la modifica più rilevante consisteva nella estensione dei reati-presupposto a tutti i delitti non colposi.

Per effetto delle indicate modifiche legislative, i citati delitti puniscono - entrambi con la reclusione da 4 a 12 anni - chiunque fuori dai casi di concorso:

- sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie altre operazioni in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa (art. 648-bis);

(2) Nella versione originaria dell'art. 648-bis, introdotto dal D.L. 21 marzo 1978, n. 59, il termine riciclaggio era persino eluso, tant'è che la norma titolava "Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione".

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UMBERTO DI NUZZO

1216 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

- impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto (art. 648-ter).

Sotto il profilo soggettivo, le predette norme escludono dunque la configurabilità ad opera di chi ha realizzato o ha concorso alla realizzazione del delitto presupposto.

Al riguardo è da segnalare che detta scelta legislativa ha generato difficoltà sia sul piano investigativo che probatorio, dovendosi dimostrare l'autonomia della condotta del riciclatore rispetto a quella dell'autore del reato presupposto.

Infatti, come l'esperienza operativa ha costantemente evidenziato, nella maggior parte dei casi di riciclaggio scoperti il riciclatore è da considerarsi autore o concorrente nel reato presupposto.

A conferma del rilevato aspetto di criticità, si possono citare i dati relativi all'attività investigativa della Guardia di Finanza nel contrasto al riciclaggio di denaro sporco svolta negli ultimi anni:

persone denunciate art. 648-bis art. 648-ter

anno 2001: n. 582 n. 153

anno 2002: n. 706 n. 170

anno 2003: n. 394 n. 101

anno 2004: n. 455 n. 126

Tale quadro è ancora più significativo se si considera che a fronte di dette denunce risultano poche condanne per riciclaggio finanziario.

Sul punto è da aggiungere che nel nostro Paese è stato avviato un dibattito, sia a livello dottrinale che in sede parlamentare (disegno di legge in materia di tutela del risparmio), volto al recepimento di una soluzione giuridica che ammetta la punibilità dell'autore del reato presupposto in ordine alla fattispecie di riciclaggio.

2. Gli strumenti normativi di prevenzione del riciclaggio

La gravità del fenomeno così delineato e le conseguenza da esso indotte in termini di contagio per l'economia hanno determinato

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I PROFESSIONISTI GIURIDICO-CONTABILI NELLE STRATEGIE ANTIRICICLAGGIO

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una forte risposta a livello internazionale anche sotto un profilo più marcatamente preventivo.

A tal fine, le iniziative più significative assunte dalle Autorità internazionali sono rappresentate dalle Raccomandazioni del G.A.F.I. (3) (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale, detto anche F.A.T.F., ovverosia Financial Action Task Force) e dalle Direttive Comunitarie.

Con riguardo alle Raccomandazioni del G.A.F.I., le prime 40 - emanate nel 1990 - individuano le misure antiriciclaggio che tutti i Paesi aderenti sono espressamente invitati ad adottare: queste, integrate nell'ottobre 2001 da altre 8 Raccomandazioni speciali per la lotta del finanziamento del terrorismo, sono state oggetto di revisione nel giugno 2003.

Sul piano comunitario, le Direttive antiriciclaggio finora emanate sono due:

- la 91/308 del 10 giugno 1991, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite;

- la 2001/97 del 4 dicembre 2001, che - nel modificare la precedente - estende gli obblighi già previsti a carico degli intermediari finanziari a talune categorie professionali.

Una terza Direttiva è stata approvata nel maggio scorso dal Parlamento europeo con l'obiettivo di consolidare la disciplina in vigore, ricomprendendo nella nozione di riciclaggio il finanziamento del terrorismo anche con mezzi di origine lecita e operando una nuova estensione a categorie non escluse come i prestatori di servizi a trust e società e gli intermediari assicurativi del settore vita.

La prima Direttiva antiriciclaggio (91/308), che sposa la strategia di prevenzione indicata dalle Raccomandazioni del G.A.F.I., è stata recepita in Italia con la legge 5 luglio 1991, n. 197, contenente provvedimenti

(3) Il G.A.F.I., fondato nel 1989 nel corso del summit del G-7 tenutosi a Parigi, attualmente

conta 33 membri (31 fra Stati e Governi e due organizzazioni internazionali) e più di 20 osservatori

(tra cui cinque enti regionali e 15 altre organizzazioni internazionali).

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UMBERTO DI NUZZO

1218 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

urgenti per limitare l'uso del contante nelle transazioni, nonché una serie di disposizioni volte a prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio.

Il citato impianto normativo, partendo dall'assunto che il settore dell'intermediazione finanziaria costituisce un punto obbligato di passaggio per l'inserimento dei capitali illeciti sul mercato legale, viene così ad affiancarsi alla disciplina repressiva.

In particolare, la L. 197/1991, sensibilmente rivisitata dal D.L.vo 153/1997 (4), si basa su due pilastri fondamentali:

- la "canalizzazione" dei flussi finanziari presso i cosiddetti "intermediari abilitati";

- la previsione di obblighi di collaborazione "passiva" e "attiva" a carico dei suddetti intermediari.

Sotto il primo profilo, l'art. 1, primo comma, stabilisce che tutti i trasferimenti di denaro contante e di titoli al portatore di importo superiore a euro 12.500,00 possono avvenire esclusivamente attraverso gli intermediari abilitati, prevedendo un generale divieto di trasferimento di contante e di titoli al portatore quando il relativo valore supera l'importo suddetto.

Con riguardo al secondo profilo, occorre evidenziare che la "collaborazione passiva" si sostanzia negli obblighi di:

- identificazione e registrazione della clientela;

(4) In particolare, il D.L.vo 153/1997 ha perfezionato la procedura di segnalazione delle operazioni sospette, prevedendo che:- la segnalazione, fino ad allora inviata al Questore, sia effettuata all'Ufficio Italiano Cambi, che

provvede a trasmetterla agli Organi di Polizia (Direzione Investigativa Antimafia o Nucleo Speciale Polizia Valutaria della Guardia di Finanza), dopo averla approfondita sotto il profilo finanziario;

- sia garantita la riservatezza del segnalante del cui nominativo non deve essere fatta alcuna menzione nella segnalazione.

Nello stesso provvedimento è data facoltà al Nucleo Valutario di delegare l'approfondimento delle segnalazioni sospette ai Nuclei Regionali e Provinciali di Polizia Tributaria. Per i Reparti delegati è tuttavia esclusa la possibilità di sub-delegare a loro volta gli approfondimenti nonché l'esercizio degli speciali poteri in materia valutaria (art. 3, quarto comma, lett. f) della L. 197/1991).

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I PROFESSIONISTI GIURIDICO-CONTABILI NELLE STRATEGIE ANTIRICICLAGGIO

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- istituzione dell'archivio unico informatico in cui inserire i dati identificativi dell'operazione (e del soggetto che la compie).

In ordine agli obblighi anzidetti, disciplinati nell'art. 2, si evidenzia che:

- il "personale incaricato" dall'intermediario dovrà procedere alla identificazione del soggetto che compie operazioni di trasmissione o movimentazione di mezzi di pagamento per un importo superiore a euro 12.500,00 o che accende un conto, un deposito o altro rapporto continuativo (comma 1);

- i dati relativi al soggetto e all'operazione effettuata devono essere registrati, entro trenta giorni, presso un archivio unico gestito con mezzi informatici e ivi conservati per dieci anni (comma 4).

La collaborazione attiva si sostanzia invece nella segnalazione delle cosiddette "operazioni sospette", di cui all'art. 3.

La reale portata della suddetta disposizione è stata chiarita dalla Banca d'Italia con un documento, inizialmente concepito come "indicazioni operative per la segnalazione delle operazioni sospette" (versione del gennaio 1993, perfezionata nel novembre 1994) e successivamente trasformato in una istruzione di vigilanza (versione del gennaio 2001).

Al riguardo si reputa opportuno altresì sottolineare che la segnalazione non costituisce atto automatico di colpevolezza a carico dei soggetti interessati ma rappresenta sul piano funzionale una comunicazione per l'avvio di approfondimenti economici e finanziari.

Constatato tuttavia che l'intensificazione dei controlli nel settore finanziario aveva indotto i riciclatori ad utilizzare metodi alternativi per dissimulare l'origine illecita del denaro, è stata emanata una seconda Direttiva (2001/97) che, oltre ad includere nella definizione di riciclaggio un'ampia serie di reati, ha esteso gli obblighi previsti nella precedente ad una sfera di attività e professioni più vaste del mero settore finanziario.

In altre parole, si era preso atto che nel mondo degli affari si assiste ad un continuo "spostamento" delle risorse illecite verso i settori economici ritenuti meno esposti all'azione di controllo e vigilanza.

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UMBERTO DI NUZZO

1220 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

Quest'ultima Direttiva è stata attuata a livello interno con il D.L.vo 20 febbraio 2004, n. 56 che ha:

- ampliato la platea dei soggetti onerati dagli obblighi antiriciclaggio, contenuti nella citata L. 197/1991;

- riunito in un'unica cornice normativa i destinatari degli obblighi anzidetti, prima frammentariamente indicati nell'art. 13 del D.L. 625/1979, nonché nell'art. 1, primo comma, del D.L.vo 374/1999, che aveva esteso le misure preventive ad attività ritenute "particolarmente suscettibili di utilizzazione" da parte della criminalità organizzata (5);

- introdotto sostanziali modifiche al procedimento di accertamento e contestazione delle violazioni di carattere amministrativo al dispositivo antiriciclaggio.

3. Gli obblighi antiriciclaggio per i professionisti del settore legale e fiscale

Ai sensi dell'art. 2, lett. s) e t) del D.L.vo 56/2004, i professionisti - ovverosia avvocati, notai, commercialisti, ragionieri, revisori contabili, consulenti del lavoro - devono ottemperare agli obblighi antiriciclaggio quando:

- agiscono in nome o per conto dei propri clienti in una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare;

- assistono gli stessi nella progettazione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

(5) Con il D.L.vo 25 settembre 1999, n. 374, le attività interessate dagli obblighi antiriciclaggio erano quelle relative al commercio di beni ad elevato valore specifico ovvero a particolari forme di consulenza finanziaria o amministrazione fiduciaria (attività di recupero crediti, custodia e trasporto valori, agenzie di mediazione mobiliare, imprese che commerciano in oro, gestori di case da gioco, mediatori creditizi, agenzie in attività finanziaria). Le restanti attività indicate nel decreto (commercio di cose antiche, esercizio di case d'asta e di gallerie d'arte, fabbricazione e commercio di preziosi) erano tenute unicamente al rispetto delle norme sull'identificazione e registrazione ma non di quelle sulle segnalazioni delle operazioni sospette. Tali obblighi non sono mai stati operativi in assenza della normativa secondaria di attuazione prevista ma non ancora emanata.

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12214/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

. il trasferimento di beni immobili o attività economiche;

. la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni mobili;

. l'apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;

. l'organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, gestione o amministrazione di società;

. la costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o strutture analoghe.

Come si può quindi osservare, viene preso in considerazione il rapporto che si instaura tra professionista e cliente, definibile come "relazione d'affari".

Venendo ora agli obblighi antiriciclaggio per i professionisti, questi si sostanziano nella:

- identificazione della clientela;

- registrazione e conservazione di dati;

- segnalazione delle operazioni sospette;

- comunicazione all'Amministrazione del Tesoro delle infrazioni alle disposizioni che limitano l'uso del contante e dei titoli al portatore. Si tratta, in buona sostanza, dell'obbligo da parte dei professionisti di riferire - entro 30 giorni - i casi in cui abbiano notizia di trasferimento di contanti e valori di importo superiore alla soglia di 12.500 € (6).

(6) L'art. 1 della L. 197/1991 prevede tre divieti:- non si possono effettuare trasferimenti di denaro, di libretti o di titoli quando l'importo da

trasferire è superiore a 12.500 euro (comma 1);- i vaglia e gli assegni per importi superiori a 12.500 euro devono recare l'indicazione del nome o

della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità (comma 2);- il saldo dei libretti al portatore non può essere superiore a 12.500 euro e quelli esistenti con saldo

superiore a tale importo devono essere estinti entro il 31 gennaio 2005: termine poi prorogato al 30 giugno 2005 con la legge 1° marzo 2005, n. 26.

Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite degli intermediari abilitati.

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UMBERTO DI NUZZO

1222 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

Prima di analizzare detti adempimenti, occorre precisare che è stato escluso in capo al professionista l'obbligo di segnalazione per le informazioni (art. 2, terzo comma, del D.L.vo 56/2004):

- ricevute dal cliente ovvero ottenute riguardo allo stesso nel corso dell'esame della sua posizione giuridica;

- derivanti dall'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza in un procedimento giudiziario;

- scaturenti dall'attività di consulenza relativa all'eventualità di intentare o evitare un procedimento.

In relazione alla suddetta casistica di esclusione, si ritiene altresì utile rilevare che la locuzione "procedimento giudiziario" ricomprende anche tutti i casi di contenzioso tributario, ciò in quanto - in caso contrario - verrebbe ingiustificatamente esclusa una serie di importanti attività di assistenza del contribuente in procedimenti (7).

Da ultimo si sottolinea che l'effettiva attuazione degli obblighi vigenti in capo alle nuove categorie di soggetti individuate dal D.L.vo 56/2004 è di fatto rinviata all'adozione delle norme regolamentari (art. 8, quinto comma) (8).

a. Obblighi di identificazione

Con r iguardo al l ' identi f icazione del la cl ientela, giova preliminarmente ricordare che - ai sensi dell'art. 2 della L. 197/1991 - chiunque compia operazioni che comportano trasmissione o movimentazione di mezzi di pagamento di importo superiore a 12.500 € deve essere identificato a cura degli incaricati.

Nel ricondurre tale obbligo ai professionisti, occorre evidenziare che - in base all'art. 1 del testo provvisorio del Regolamento attuativo - questo sussiste allorquando la " prestazione professionale" comporti:

(7) Vedi IORIO A., La normativa antiriciclaggio, i soggetti obbligati e il caso delle società di servizi, in "il fisco", n. 8/2005.

(8) Al momento in cui si scrive, la disciplina regolamentare che deve fornire ai professionisti giuridico-contabili disposizioni certe entro cui operare è stata inviata dal Ministero dell'Economia al Garante per la privacy, che ha già espresso il parere.

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12234/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

- la diretta trasmissione, movimentazione o gestione di mezzi di pagamento, beni o utilità per conto del cliente;

- l'assistenza del cliente nel compimento della medesima, ovvero per la costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o strutture analoghe.

In particolare, le misure allo studio prevedono, agli artt. 3 e 4, che il libero professionista ha l'obbligo di identificare ogni cliente riguardo al quale la prestazione professionale (9) fornita:

- realizzi direttamente o possa essere adoperata dal cliente per il trasferimento, la trasformazione o la gestione di mezzi di pagamento, beni o utilità superiori a 12.500 €;

- riguardi operazioni di valore indeterminato o non determinabile (a questo proposito, viene specificato che la costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o strutture analoghe, rappresenta in ogni caso un'operazione di valore non determinabile);

- si riferisca ad operazioni sospette per le quali vi è l'obbligo di segnalazione di cui all'art. 3 della legge antiriciclaggio.

L'obbligo sussiste anche in presenza di operazioni frazionate (10).

Quanto alle modalità di identificazione, le disposizioni contenute nello schema di regolamento (art. 4) prevedono che queste si compiano non oltre il momento in cui s'inizia a prestare l'attività professionale a favore del cliente.

(9) Accogliendo anche le richieste provenienti dalle associazioni di categoria interessate, l'originaria definizione di "attività professionale" è stata sostituita nel testo - con quella di "prestazione professionale". In questo modo, scrive il Ministero dell'Economia e delle Finanze nelle note di accompagnamento al testo: "la sostituzione del termine attività professionale con prestazione professionale, in considerazione della definizione data a quest'ultima nell'art. 1, garantisce che l'obbligo di identificazione non sussiste prima dell'effettivo inizio dell'attività del professionista che possa comportare trasferimento, gestioni o modificazioni di beni superiori a 12.500 €".

(10) Per "operazione frazionata" si intende un'operazione unitaria sotto il profilo economico di valore superiore a 12.500 € posta in essere attraverso più operazioni, effettuata in momenti diversi e in un circoscritto periodo di tempo, singolarmente di valore non superiore a 12.500 €.

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UMBERTO DI NUZZO

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b. Obblighi di registrazione e conservazione

Successivamente alla identificazione, il professionista deve provvedere (artt. 5 e 6), entro trenta giorni, alla registrazione:

- dei dati identificativi del cliente, che ricomprendono le generalità complete e gli estremi del documento di riconoscimento (11);

- dei dati relativi alla prestazione professionale, includendovi - se conosciuto - il relativo valore.

I suddetti elementi vanno riportati nell'Archivio Unico del professionista e conservati per dieci anni.

Sul punto si precisa che essi sono utilizzabili ai fini fiscali, come disposto dall'art. 2, quarto comma, della L. 197/1991.

c. Obbligo di segnalazione delle operazioni sospette

Riguardo all'obbligo della segnalazione sospetta, che costituisce il profilo più incisivo ed allo stesso tempo più delicato dell'intera disciplina antiriciclaggio contenuta nell'art. 3 della L. 197/1991, cui l'art. 2, secondo comma, del decreto legislativo in rassegna fa rinvio, l'art. 9 della bozza di regolamento dispone che i professionisti debbono ottemperarvi ogni qual volta, in base alle circostanze conosciute in ragione delle funzioni esercitate, abbiano il sospetto che il denaro, i beni e le utilità oggetto dell'operazione medesima o in relazione ai quali essa viene richiesta possano provenire da uno dei delitti presupposti di riciclaggio ovvero di reimpiego di proventi illeciti.

Presentando questa disposizione numerosi problemi applicativi, proprio perché risulta difficile individuare dei parametri oggettivi (relativi cioè alle diverse tipologie di operazioni) e soggettivi (attinenti alla

(11) Si ricorda che, ai sensi dell'art. 35 del D.P.R. 445/2000 sono equipollenti alla carta di

identità il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di

abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d'armi, le tessere di riconoscimento, purché

munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente rilasciate da un'amministrazione

dello Stato.

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12254/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

clientela) entro i quali poter stabilire con certezza quando un'operazione sia sospetta o meno, l'art. 11 della bozza di regolamento riporta i seguenti criteri generali per l'individuazione di operazioni sospette:

- utilizzo delle informazioni possedute per avere una conoscenza adeguata dei clienti (primo comma);

- valutazione dei rapporti intrattenuti con i clienti, al fine di rilevare eventuali incongruenze (secondo comma);

- adozione di misure di formazione per i collaboratori, affinché questi siano in grado di evidenziare al libero professionista situazioni di sospetto (terzo comma);

- verifica anche della reale titolarità dell'operazione (quarto comma).

Nella stessa logica degli "indici di anomalia" del "Decalogo" della Banca d'Italia, il citato art. 11 elenca - al quinto comma - una vasta casistica di possibili operazioni anomale potenzialmente segnalabili:

- coinvolgimento di soggetti insediati in Paesi caratterizzati da regimi privilegiati sotto il profilo fiscale o del segreto bancario, ovvero in Paesi indicati come non cooperativi (12);

- operazioni prospettate o effettuate a condizioni o valori palesemente diversi da quelli di mercato;

- esistenza di incongruenze rispetto alle caratteristiche soggettive del cliente e alla sua normale operatività;

- ricorso ingiustificato a tecniche di frazionamento delle operazioni e alla ingiustificata interposizione di soggetti terzi;

- impiego di denaro contante o di mezzi di pagamento non appropriati rispetto alla prassi comune ed in considerazione della natura dell'operazione;

- comportamento tenuto dai clienti, come la reticenza nel fornire informazioni.

(12) Per effetto del documento G.A.F.I. del 24 marzo 2004, i Paesi e Territori non collaborativi

sono attualmente sette: Birmania, Filippine, Guatemala, Indonesia, Isole Cook, Nauru e Nigeria.

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1226 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

d. Disciplina antiriciclaggio e segreto professionale

Tra gli aspetti in discussione della normativa antiriciclaggio per i professionisti, quello relativo al segreto professionale è uno dei più delicati soprattutto con riguardo all'obbligo di segnalazione.

Sul punto viene osservato che le esigenze di tutela dei valori di stabilità ed integrità del sistema economico che il legislatore intende perseguire con il D.L.vo 56/2004, mal si conciliano con il dovere di segreto professionale, principio cardine su cui ruota il rapporto tra professionista e cliente.

In relazione a tale profilo è da ribadire che lo stesso legislatore, consapevole della difficile conciliabilità delle due esigenze, ha introdotto - con l'art. 2, terzo comma, del decreto in esame - una clausola di esclusione di segnalazione, ripresa poi dall'art. 10 del regolamento ministeriale in via di approvazione.

Per effetto di dette disposizioni, la compressione del diritto di difesa viene notevolmente ridimensionata dato che la normativa limita l'obbligo di segnalazione alla sola attività svolta al di fuori di un procedimento giudiziale.

Si sottolinea, inoltre, che l'intervento normativo va letto in una logica di tipo collaborativo e non sanzionatorio e, pertanto, una consapevole adesione da parte delle professioni cosiddette "liberali" può contribuire a rendere maggiormente impermeabile il sistema economico dai tentativi di infiltrazione criminale.

Ovviamente non è detto che il professionista sia sempre in grado di accorgersi della vera natura dell'operazione che si accinge ad eseguire, tant'è che - come acutamente osservato - si parla di "insostenibile soggettività della valutazione di operazione sospetta".

Proprio a conferma di tale considerazione, la norma primaria ha conferito mandato alla disciplina di rango secondario di riempire questa evidente lacuna.

È inoltre da rilevare che le disposizioni in esame non richiedono ai professionisti di fornire prova né del reato presupposto, né tanto meno

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12274/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

di quello di riciclaggio, bensì unicamente di segnalare quelle situazioni che presentano dubbi di liceità.

Dunque la via da seguire è quella intrapresa che ruota sulla collaborazione tra operatori pubblici e privati e ciò nel convincimento che i costi di cui i professionisti risultano gravati debbono valutarsi a fronte dei benefici che derivano dal rafforzamento del corretto funzionamento dei mercati.

Tale risultato costituisce il presupposto di una società che contrappone alla criminalità organizzata una legalità organizzata.

4. Il regime sanzionatorio alla luce del recente Parere del Comitato antiriciclaggio

L'art. 6, settimo comma, del D.L.vo 56/2004 ha introdotto nel settore dell'antiriciclaggio il principio contenuto nella L. 689/1981, secondo il quale l'Autorità che accerta un'infrazione procede all'immediata contestazione.

È stato così sancito che "le Autorità di vigilanza di settore, le Amministrazioni interessate, l'Ufficio Italiano Cambi e la Guardia di Finanza accertano, in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni, violazioni alla legge antiriciclaggio e provvedono alla contestazione ai sensi della L. 689/1981".

La reale portata della norma in esame si coglie, però, solo a seguito dell'analisi del regime previgente.

Anteriormente all'entrata in vigore del decreto "56", i Reparti della Guardia di Finanza operanti nello specifico comparto osservavano infatti due distinte procedure:

- laddove essi agivano sfruttando i poteri loro attribuiti dalla normativa valutaria - art. 3, quarto comma, lett. f), della L. 197/1991 -, redigevano, in virtù di quanto previsto dall'art. 29 del D.P.R. 148/1988, un verbale di contestazione;

- qualora invece avessero avuto cognizione di violazioni alla L. 197/1991 nel corso di autonoma attività di servizio (verifiche fiscali, indagini di p.g. ecc.),

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UMBERTO DI NUZZO

1228 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

operando sulla base di altri poteri (polizia tributaria, polizia giudiziaria), procedevano alla compilazione di apposito verbale di constatazione.

In virtù del nuovo regime, i militari della Guardia di Finanza possono procedere alla contestazione di tutte le violazioni di natura amministrativa previste dalla disciplina antiriciclaggio (13) ivi compresa l'omessa segnalazione di operazioni sospette ex art. 3, attività dapprima riservata - in via esclusiva - all'Ufficio Italiano Cambi.

Questa importante novità trova indiretta conferma, sotto il profilo potestativo, nell'intervenuta abrogazione dell'art. 6, terzo comma, del D.L.vo 25 settembre 1999, n. 374 che attribuiva all'Ufficio Italiano Cambi un potere di contestazione esclusivo per quanto riguarda le violazioni all'obbligo di segnalazione di operazioni sospette.

Il richiamo effettuato dal decreto "56" alla L. 689/1981 e, quindi, ai princìpi in essa contenuti (14), pone in evidenza un'altra questione e

(13) Ai sensi della legge 5 luglio 1991, n. 197, costituiscono illecito amministrativo punito con sanzione pecuniaria:- le violazioni sia del divieto di effettuare a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, senza il tramite

di intermediario abilitato, il trasferimento di denaro, di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a 12.500 € sia dell'obbligo di indicare sui vaglia postali e cambiari e sugli assegni postali, bancari e circolari, per importi superiori a 12.500 €, il nome o la ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità;

- l'omessa segnalazione delle operazioni sospette di riciclaggio, salvo che il fatto costituisca reato;- la violazione dell'obbligo di informare il Ministero dell'Economia e delle Finanze di fatti che

possono costituire infrazioni dell'art. 1, commi 1, 2 e 2-bis della L. 197/1991 di cui hanno notizia; - la violazione della prescrizione che impone il saldo dei libretti di deposito al portatore in misura

non superiore a 12.500 €; - la violazione dell'obbligo di comunicare all'Ufficio italiano dei cambi i dati indicati nell'art. 5,

comma 10, della L. 197/1991 e nell'art. 5 del D.L.vo 374/1999 e di fornire le informazioni previste dall'art. 3, quarto comma, della stessa L. 197/1991 e dall'art. 8, sesto comma, del D.L.vo 56/2004;

- il mancato rispetto del provvedimento di sospensione dell'operazione sospetta adottata dall'Ufficio italiano dei cambi, salvo che il fatto costituisca reato;

- la violazione delle disposizioni impartite con il decreto previsto dall'art. 4, terzo comma, lett. c) della L. 197/1991.

(14) Il principio della personalizzazione della sanzione, di origine penalistica (art. 27 Cost.), è stata estesa al campo delle sanzioni amministrative principalmente con la L. 689/1981, i cui

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I PROFESSIONISTI GIURIDICO-CONTABILI NELLE STRATEGIE ANTIRICICLAGGIO

12294/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

precisamente quella relativa all'individuazione dell'autore della condotta omissiva, sulla quale il Comitato antiriciclaggio ha emanato l'importante Parere n. 97 del 15 marzo 2005 (15).

Al riguardo, il Comitato antiriciclaggio ha, preliminarmente, rilevato che il rinvio ai princìpi enunciati dalla L. 689/1981, conferma l'assoluta necessità dell'esatta individuazione dell'autore materiale dell'omessa segnalazione ai fini della contestazione della violazione (16).

Tale affermazione è di estremo rilievo se si considera che, ai sensi dell'art. 3 della legge antiriciclaggio, l'obbligo di cui si discute incombe:

- sul responsabile della dipendenza, dell'ufficio o di altro punto operativo che deve segnalare le operazioni ritenute sospette al titolare dell'attività ovvero al legale rappresentante o ad un suo sostituto;

- sul titolare dell'attività ovvero sul legale rappresentante o sul suo delegato che deve trasmettere le segnalazioni ricevute, se fondate, all'Ufficio Italiano Cambi.

Viene poi precisato che per "unità operativa" può intendersi l'unità organizzativa o la struttura dell'intermediario cui compete l'amministrazione e la gestione concreta dei rapporti con la clientela e, conseguentemente, l'onere di segnalare eventuali operazioni sospette.

Per effetto di detta interpretazione, laddove sia responsabile della gestione del rapporto con il cliente una struttura diversa dall'agenzia ove materialmente è attivato il rapporto, la responsabilità della violazione del primo comma dell'art. 3 ricade sull'effettivo gestore/amministratore del rapporto.

princìpi, contenuti nel capo I, trovano applicazione, salvo che non sia diversamente stabilito, in tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro (art. 12, L. 689/1981). Da ultimo, nel senso della personalizzazione della sanzione in materia fiscale, cfr. D.L.vo 18 dicembre 1997, n. 472.

(15) Il Parere del Comitato antiriciclaggio è consultabile sul sito www.uic.it.

(16) Vedi CARANO A., Banche e segnalazione delle operazioni sospette, in "il fisco", n. 19/2005.

(segue nota)

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UMBERTO DI NUZZO

1230 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

Resta fermo, in ogni caso, l'obbligo della segnalazione anche in capo al responsabile dell'agenzia qualora quest'ultimo abbia rilevato la sussistenza di un'operazione sospetta.

Con riferimento alla contestazione della violazione dell'obbligo di cui all'art. 3, secondo comma, della legge antiriciclaggio, viene opportunamente evidenziato nel Parere che, laddove il responsabile antiriciclaggio non abbia ricevuto la segnalazione, non può essere ritenuto responsabile di aver omesso di segnalare un'operazione sospetta solo in quanto titolare di una "responsabilità aziendale".

Qualora, invece, la segnalazione sia stata trasmessa al responsabile antiriciclaggio, è su quest'ultimo che grava il compito di valutare l'operazione e di segnalarla all'Ufficio Italiano Cambi o di archiviarla, quando gli elementi di sospetto sono privi di consistenza.

In tale ipotesi, l'opinione del Comitato è che la contestazione della violazione al responsabile antiriciclaggio debba essere esclusa quando sia possibile ricostruire, su base documentale, il percorso valutativo che ha portato questi a ritenere, in base agli elementi conoscitivi in suo possesso, che un'operazione non doveva essere oggetto di segnalazione e sempreché tale percorso valutativo risulti convincente.

Considerato che, come rilevato dalle Istruzioni operative della Banca d'Italia, ogni intermediario definisce e formalizza, nella propria normativa interna, una procedura per la segnalazione delle operazioni sospette, è ipotizzabile che la segnalazione, prima di giungere al responsabile antiriciclaggio, transiti attraverso altri livelli all'interno dei quali si realizzano ulteriori momenti di controllo e verifica.

La sussistenza di tali livelli intermedi attiene esclusivamente all'organizzazione interna dell'intermediario, ma non modifica la responsabilità del soggetto individuato dal secondo comma dell'art. 3 L. 197/1991.

Pertanto le responsabilità della valutazione di un'operazione potenzialmente sospetta resta addebitabile al responsabile di secondo livello, entro i limiti stabiliti dall'art. 3, comma 2, L. 689/1981, pur se effettuata da uno dei livelli intermedi in base ad una normativa interna dell'intermediario.

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12314/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

Sulla stessa linea interpretativa si è venuto a collocare il Comando Generale della Guardia di Finanza che ha recentemente affrontato il problema operativo connesso all'esatta imputazione delle responsabilità omissive diramando, in proposito, specifiche istruzioni con la Circolare n. 63855 del 1° marzo 2005.

Le istruzioni, che paiono anticipare le soluzioni adottate dal citato Parere del Comitato Antiriciclaggio, richiamano, in via preliminare, l'attenzione sulla necessità di "acquisire piena cognizione della struttura organizzativa dell'intermediario (organigramma, livelli di responsabilità, sistema di deleghe interne, flussi informativi interni, ecc.) e di eseguire il controllo in maniera attiva ed incisiva, estendendo lo stesso ai profili sostanziali della gestione e non limitandolo a verifiche di natura prevalentemente formale".

In tale prospettiva, la metodologia d'intervento viene articolata in due fasi modulate sulla struttura stessa dell'art. 3:

- attività finalizzata all'accertamento delle responsabilità di primo livello (omessa segnalazione);

- attività finalizzata all'accertamento delle responsabilità di secondo livello (omessa trasmissione).

Con riferimento al primo dei due profili operativi, la Circolare ricorda che l'obbligo di segnalazione sorge quando il "sospetto" trae origine da elementi a disposizione del responsabile della dipendenza o dell'ufficio che inducano a ritenere che il denaro, i beni o le utilità, oggetto delle operazioni, possano provenire dai delitti di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p.

Per quanto attiene, invece, al secondo dei due profili evidenziati, cioè agli obblighi di trasmettere la segnalazione pervenuta, le Istruzioni raccomandano di accertare, preliminarmente:

- la fondatezza degli elementi di anomalia dell'operazione già individuati dal primo livello;

- il ruolo attivo dei destinatari della segnalazione nella decisione di non inoltrare la stessa.

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1232 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

5. La Guardia di Finanza nell'azione di contrasto al riciclaggio

Passando infine ad esaminare il ruolo della Guardia di Finanza nell'azione di contrasto al riciclaggio, va sottolineato che i vari reparti del Corpo dislocati sul territorio svolgono di norma indagini finalizzate all'individuazione del reato presupposto (ad esempio: evasione fiscale, traffico di sostanze stupefacenti, usura), ripercorrendo - ove possibile - anche le movimentazioni finanziarie al fine di meglio "blindare" le risultanze dell'attività investigativa.

Il Nucleo Speciale Polizia Valutaria, che è il destinatario insieme alla D.I.A. delle segnalazioni sospette, opera invece in maniera opposta: partendo dall'analisi dei flussi finanziari, convoglia l'attenzione su quelle transazioni finanziarie aventi connotazioni "anomale", cioè segnalatrici di movimentazioni appositamente costituite per dissimulare l'origine illecita del denaro.

In pratica, gli accertamenti di detto Reparto specialistico tendono a ricondurre il flusso finanziario:

- a coloro che avendo la disponibilità del provento illecito, creano un diaframma con l'autore del reato originatore dello stesso (ossia al riciclatore);

- all'autore del reato presupposto.

Per meglio definire il contesto sopra genericamente delineato, corre l'obbligo rammentare che l'attività della Guardia di Finanza nel comparto operativo in argomento si sviluppa attraverso le seguenti direttrici:

- controlli di tipo amministrativo, diretti a verificare il rispetto degli obblighi imposti dalla normativa antiriciclaggio a carico degli intermediari, svolti dal Nucleo Speciale Polizia Valutaria e, per delega, dai Nuclei Regionali e Provinciali di polizia tributaria;

- indagini di polizia giudiziaria, tendenti ad individuare la commissione di reati presupposti generatori del reddito criminale nonché il riciclaggio dei proventi illeciti derivanti dagli stessi, affidate ai Gruppi di Investigazione sulla Criminalità Organizzata inseriti nell'ambito dei

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12334/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

suddetti Nuclei Regionali e Provinciali, ovvero al Nucleo Speciale Polizia Valutaria ed agli altri Reparti del Corpo;

- accertamenti patrimoniali, finalizzati all'adozione dei provvedimenti ablativi del sequestro e della confisca dei beni di illecita provenienza riconducibili, direttamente o indirettamente, alla disponibilità degli indiziati ovvero degli indagati, a seconda che si operi sul piano amministrativo (ex art. 2-bis della L. 575/1965) ovvero penale (ex art. 12-sexies della L. 356/1992).

Detti compiti vengono svolti in base al D.L.vo 19 marzo 2001, n. 68 che assegna al Corpo la funzione di polizia economica e finanziaria.

Con tale provvedimento normativo, intitolato "adeguamento dei compiti della Guardia di Finanza", il legislatore prende atto e, conseguentemente, ratifica una serie di funzioni in concreto già svolte da anni, portando a compimento quel processo che ha visto il Corpo di volta in volta evolvere il suo baricentro operativo da polizia doganale a polizia tributaria, poi da polizia finanziaria limitata a polizia economico-finanziaria universale.

Il D.L.vo 68/2001, dopo aver riaffermato la natura di Forza di Polizia a carattere militare, ha infatti previsto la competenza "generale" del Corpo in materia economica e finanziaria.

Questa configurazione, se a prima vista può apparire una mera esplicitazione lessicale, in realtà comporta il delinearsi di un ruolo di assoluto spessore, come risulta di immediata percezione dal contenuto delle disposizioni recanti il dettaglio delle materie riconducibili all'area economico-finanziaria.

A conferma di questa nuova identità assunta dal Corpo, è di estremo rilievo il precetto di cui all'art. 2, quarto comma del decreto in parola, che sancisce l'utilizzabilità delle facoltà e dei poteri previsti in materia di Imposte Dirette ed Iva in tutti i settori di intervento della Guardia di Finanza, quali spesa pubblica, previdenza, comparto valutario e finanziario.

Con specifico riguardo alle attività del Nucleo Speciale Polizia Valutaria in materia di approfondimento delle segnalazioni di operazioni

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UMBERTO DI NUZZO

1234 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

sospette (17), il reparto specialistico - all'arrivo della segnalazione dall'Uic (18) - procede ad un preliminare esame, finalizzato alla:

- immediata memorizzazione della segnalazione nello schedario;

- apertura del fascicolo con contestuale predisposizione delle schede sui soggetti emergenti;

- ricerca degli eventuali precedenti desumibili dalle banche dati in uso;

- esame formale e sostanziale della segnalazione;

- predisposizione della proposta di:

. non approfondimento della segnalazione poiché, tenuto conto dell'importo dell'operazione, della causale o del tipo, delle relative modalità, dei motivi di sospetto evidenziati dall'intermediario segnalante, la stessa, pur rientrando formalmente tra gli indici di anomalia non sembra sottendere ipotesi di riciclaggio e, conseguentemente, non appare, allo stato, meritevole di approfondimenti, salvo eventuali, future, nuove significative emergenze;

. non approfondimento della segnalazione per il già avvenuto interessamento dell'Autorità giudiziaria, ovvero per effetto delle indagini in corso da parte della D.I.A.;

. approfondimento mediante:

.. assegnazione della trattazione ad un Gruppo del Nucleo Speciale;

.. delega ai Nuclei Regionali o Provinciali pt.

Riguardo a quest'ultimo profilo, si evidenzia che la delega ai Nuclei pt viene effettuata sulla base dei seguenti criteri:

(17) Vedi DI GREGORIO C. - MAINOLFI G., Le transazioni finanziarie sospette: controlli e

adempimenti, Bancaria Editrice, 2004.

(18) La legge 23 dicembre 2000, n. 388 (c.d. "Finanziaria per il 2001") ha attribuito all'U.I.C.

il potere di archiviare le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette ritenute non meritevoli di

approfondimenti, dandone comunicazione agli organi investigativi.

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I PROFESSIONISTI GIURIDICO-CONTABILI NELLE STRATEGIE ANTIRICICLAGGIO

12354/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

- esistenza di eventuali attività investigative già in corso o recentemente concluse;

- residenza dei soggetti segnalati;

- tipologia delle operazioni poste in essere (ad esempio, operazioni frazionate convergenti su un unico sportello);

- connessioni con la criminalità organizzata che rendano necessario l'interessamento del G.I.C.O. di uno specifico Nucleo pt.

A fattor comune, l'approfondimento prevederà l'interessamento del competente intermediario onde acquisire:

- la copia di tutta la documentazione riferita all'operazione sospetta segnalata, nonché degli estratti conto riguardanti un congruo periodo antecedente e successivo alla segnalazione;

- le notizie sull'esistenza di libretti di risparmio al portatore o nominativi, sulla loro consistenza e movimentazione, sull'esistenza di cassette di sicurezza e/o di eventuali depositi in titoli, con indicazione della specie e dell'ammontare dei titoli stessi;

- i dati relativi alla concessione di mutui, fidi e linee di credito o sconto effetti;

- qualsiasi altro rapporto posto in essere dal soggetto che ha realizzato l'operazione sospetta.

Dopo l'arrivo della documentazione e la relativa analisi, si possono ipotizzare le seguenti linee operative:

- escussione in atti (ex art. 29 T.U. Valutario) della persona nei cui confronti sia stata effettuata la segnalazione, al fine di ottenere chiarimenti circa l'operazione finanziaria ritenuta sospetta;

- accesso presso i locali aziendali al fine di eseguirvi riscontri documentali, avvalendosi dei poteri del T.U. Valutario;

- consultazione dell'archivio unico informatico che gli intermediari sono obbligati ad istituire ai sensi dell'art. 2 della L. 197/1991.

Al termine del l 'approfondimento in esame, che non necessariamente potrà essere articolato utilizzando tutte le potestà sopra descritte, si possono individuare:

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UMBERTO DI NUZZO

1236 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

- violazioni amministrative alla L. 197/1991: in tal caso, tutti i militari del Corpo, in virtù delle novelle introdotte dal D.L.vo 56/2004 e dalla disciplina generale prevista dalla L. 689/1981 procederanno alla contestazione delle violazioni rilevate procedendo alla trasmissione del processo verbale al Ministero dell'Economia e delle Finanze;

- indizi ed elementi configuranti ipotesi di reato, a seguito dei quali i militari procedono ad interessare l'Autorità Giudiziaria competente per territorio con la redazione di apposite annotazioni di polizia giudiziaria, ovvero con comunicazioni di notizia di reato;

- situazioni rilevanti sotto il profilo tributario, che comportano la redazione di un appunto informativo da trasmettere al Reparto competente in relazione al luogo di residenza del contribuente.

Riguardo a quest'ultimo aspetto, va rammentato come la L. 413/1991 sia intervenuta per dettare una disciplina di carattere generale volta a consentire il passaggio di elementi probatori dall'ambito amministrativo a quello tributario.

In particolare, l'art. 36, quarto comma, del D.P.R. 600/1973, come novellato dall'art. 19, primo comma, della richiamata L. 413/1991, stabilisce che "i soggetti pubblici incaricati istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza nonché gli organi giurisdizionali civili e amministrativi che, a causa o nell'esercizio delle loro funzioni, vengono a conoscenza di fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie devono comunicarli direttamente ovvero, ove previste, secondo le modalità stabilite da leggi e regolamenti per l'inoltro della denuncia penale, al comando della Guardia di Finanza competente in relazione al luogo di rilevazione degli stessi, fornendo l'eventuale documentazione atta a comprovarli".

In base a tale norma la Polizia Valutaria (o i Nuclei pt delegati), in quanto "soggetto pubblico incaricato istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza", è tenuta a comunicare al Reparto del Corpo competente le notizie e la documentazione rilevante acquisite nel corso della sua attività.

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I PROFESSIONISTI GIURIDICO-CONTABILI NELLE STRATEGIE ANTIRICICLAGGIO

12374/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

Va, in proposito, ribadito che le disposizioni contenute nell'art. 3-ter della L. 197/1991 in materia di riservatezza, sono finalizzate a tutelare l'identità dei segnalanti e non anche il contenuto delle segnalazioni.

Non vi è, pertanto, alcun ostacolo legislativo alla trasmissione dell'appunto informativo ai fini fiscali: il Reparto interessato, tuttavia, prima di procedere alle attività di controllo volte a verificare il corretto adempimento degli obblighi fiscali, dovrà acquisire gli elementi contenuti in detto appunto con le modalità di rito.

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12394/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

Le operazioni sospettate di riciclaggio: bilanci e prospettive di intervento

di Antonina Giordano

1. Premessa - 2. Il fenomeno del riciclaggio nella globalizzazione dei mercati - 3. La normativa antiriciclaggio - 4. Le criticità del dispositivo antiriciclaggio

1. Premessa

Le operazioni sospettate di riciclaggio, con l'entrata in vigore, il 15 marzo 2004, del D.L.vo n. 56 del 20 febbraio 2004, in attuazione della Direttiva comunitaria 2001/97/Ce, sono state oggetto di un recente intervento normativo di contenuto strategico. Il legislatore, nella consapevolezza che la circolazione delle ricchezze provenienti da attività illecite rappresenta un problema di importanza centrale ha, infatti, introdotto alcune sostanziali modifiche al procedimento di accertamento, di contestazione delle violazioni e di irrogazione delle sanzioni amministrative al fine di rendere ancora più incisiva la lotta alla criminalità organizzata.

2. Il fenomeno del riciclaggio nella globalizzazione dei mercati

Non c'è alcun dubbio che le politiche legate alla individuazione dei criminali e alla caccia ai grandi latitanti su tutto il territorio, siano oramai da decenni l'impegno dello stato di diritto di restituire fiducia nelle istituzioni in regioni oppresse dai poteri criminali in cui le fondamentali esigenze di libertà, civile ed economica, vengono quotidianamente negate.

Ad un'analisi attenta non sfugge che il problema non sta solo nella messa a punto di strategie volte a strappare i proventi degli illeciti

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ANTONINA GIORDANO

1240 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

alle organizzazioni criminali, mettendo in relazione il prodotto, ormai manipolato dell'azione criminale, con il produttore, ma nell'indebolimento della capacità di spesa, individuando gli ingranaggi che, dentro il circuito dell'economia legale, trasformano il prodotto di un crimine non solo in denaro, in beni, in strutture economiche ma, anche, in potere politico (se solo si considera che il vecchio "circuito" criminale, nel quale il prodotto del crimine veniva reinvestito in nuove attività criminali, non è più il solo modo di utilizzare le risorse da parte della criminalità organizzata la quale da tempo assale l'economia legale).

Taluni dati generali sono ormai di comune patrimonio conoscitivo grazie alle fonti di comunicazione che quotidianamente aggiornano, arricchendolo di nuovi contenuti, la personale conoscenza del fenomeno, che presenta rilevanti spunti di riflessione anche dal punto di vista socio-economico (in tal senso offre spunti di riflessione il monitoraggio condotto dall'Osservatorio socio-economico del CNEL dall'anno 2002 al 2004).

È notorio che i criminali italiani e stranieri, investono in beni e prodotti legali, cercano coperture, affidano ingenti risorse ad operatori economici e finanziari, costituiscono canali di credito e investimenti paralleli, sono in grado di rilevare o ricapitalizzare attività economiche legali, operando all'interno dell'economia per affermare quella "cattiva". Il fenomeno costituisce un problema sociale notevole, perché le grandi disponibilità provenienti dall'attività criminale fanno "mercato", ossia sostituiscono al pluralismo economico il monopolio criminale che non si limita più solo a lucrare profitti ma necessita di reimmetterli nell'economia legale rendendo particolarmente fedele allo stato delle cose la definizione del riciclaggio come "moltiplicatore" delle attività illecite, per il potenziale distorsivo che comporta in ambito economico-finanziario.

La crescente attenzione che studiosi di diversa estrazione culturale e disciplinare rivolgono ai rischi di inquinamento dell'economia legale da parte di capitali illeciti appare pienamente giustificata dai dati dell'esperienza e dalle stime quantitative del fenomeno.

Nel contesto della globalizzazione si va, infatti, delineando uno scenario inquietante: gli enormi profitti, realizzati nei mercati criminali

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LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO: BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO

12414/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

solo in parte sono destinati ad alimentare l'offerta di beni e di servizi illegali, in quanto la domanda di quei beni e di quei servizi (basti pensare al consumo di droghe), presenta caratteri di relativa rigidità mentre il riciclaggio dei proventi illeciti acquista un ruolo primario nelle strategie della criminalità organizzata che, grazie alla capacità di autofinanziamento, vulnera il sistema ponendo in essere un'attività di "dumping" nell'offerta esautorando le possibilità di sopravvivenza delle imprese concorrenti.

La debole resilienza dell'apparato produttivo è aggravata anche dalla nascita di apposite filiere operative, a volte esterne alle organizzazioni criminali, infiltrate nei gangli dell'intermediazione finanziaria, delle professioni e di un'ampia gamma di attività produttive di beni e servizi.

Molto spesso il crimine organizzato si rivolge a terzi pagando un prezzo, anche significativo, per ottenere consulenze o per mettere in atto strategie corruttive nei confronti di appartenenti alle Istituzioni. Quando poi nell'organizzazione militano affiliati adeguatamente acculturati, le pratiche di riciclaggio sono condotte con "risorse interne" e con cautele, se possibile, ancora maggiori: è evidente dunque che la mancanza di "saperi" rende l'organizzazione criminale più vulnerabile.

Il fenomeno del riciclaggio è più acuto laddove le mafie presentano caratteri endemici e stratificati. Qui il cosiddetto controllo criminale del territorio - una vera e propria sovranità antagonista - è contrassegnato anche dalla nascita di "mercati protetti" (oligopoli e monopoli criminali), come nel settore degli inerti, in cui si collocano attività di estrazione e trasporto di terra, sabbia, ghiaia, ecc., produzione di calcestruzzo e materiali bituminosi. In tali contesti, si assiste ad una crescente espansione di imprese di matrice criminale nei più vari comparti dell'industria, del commercio e dei servizi, soprattutto in vista di benefici o finanziamenti pubblici.

Su tutta questa tematica, a fronte delle analisi "scientifiche" (che come tali si rivolgono ad una platea ristretta di specialisti), l'atteggiamento dei media sembra mutato: e in questi ultimi anni la presenza della criminalità organizzata appare talvolta impercettibile, coerentemente alla sua nuova strategia di "inabissamento".

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ANTONINA GIORDANO

1242 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

Ad oggi sembrerebbero accantonate le manifestazioni di tipo terroristico e le strategie omicidiarie a favore del silente e capillare controllo del territorio e alla riorganizzazione dei ranghi, la mafia "invisibile" punta all'indiretta attenuazione delle politiche attive di contrasto e confida, quanto meno, su di un'allocazione di risorse delle forze di polizia in settori o territori diversi, apparentemente più meritevoli di intervento.

Tuttavia la consapevolezza dei molteplici rischi che corre il mondo dell'impresa e del lavoro non è mai venuta meno fra le parti sociali. Sia nei sindacati dei lavoratori sia nel mondo dell'impresa esiste la piena coscienza che la rigidità imposta dalla presenza di attori criminali costituisce un vulnus grave alla stessa capacità di autorganizzazione dei fattori produttivi.

È ormai evidente che lo sviluppo dell'impresa mafiosa (o a commistione mafiosa) determina un modello di relazioni che comprime i diritti dei lavoratori, attenua la capacità di auto-organizzazione dell'impresa e crea un vero e proprio mercato del lavoro parallelo, caratterizzato dal caporalato mafioso sulla manodopera (spesso disoccupati delle regioni meridionali o immigrati).

Questa situazione non riguarda solo le aree tradizionalmente interessate dalla presenza della criminalità organizzata, perché imprese gravitanti nei circuiti criminali si ritrovano attive sul territorio nazionale, quasi sempre in appalti di opere pubbliche. Nelle regioni del Sud, ove la presenza mafiosa è stratificata, si assiste ad una sorta di progressiva "saturazione" di interi comparti produttivi, sotto il controllo diretto o indiretto delle mafie (si è detto del settore della produzione, del trasporto e della commercializzazione degli inerti, che rappresenta la tradizionale porta di ingresso dell'impresa mafiosa nel mercato legale). Così crescenti tensioni si vanno delineando anche in agricoltura, nei trasporti, nella grande distribuzione, nell'indotto industriale. Progressivamente, la criminalità organizzata riproduce ed amplia i propri mercati protetti, a scapito della libera iniziativa economica e della concorrenza, messe in crisi da una combinazione di omertà, intimidazione e dumping sui prezzi. Le "imprese non mafiose" non sono in grado di contrastare tale

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LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO: BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO

12434/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

evoluzione. In questi contesti o diventano marginali o si assoggettano, anche di propria iniziativa, al pagamento del pizzo (considerato come un mero costo di produzione) o, infine, intraprendono pericolosi percorsi di simbiosi e commistione.

Ma il dato più significativo e inquietante è dato dal recente ingresso di imprese di stampo criminale anche in settori "non tradizionali" (sanità, servizi avanzati, informatica, forniture, moderne tecnologie, ecc.): è evidente che ogni nuova impresa della galassia criminale costituisce un terminale di proventi criminali, sicché l'attività di riciclaggio può contare su nuove occasioni di intermediazione.

3. La normativa antiriciclaggio

La grande vastità delle problematiche ha imposto - e impone - il restringimento dell'attenzione alle questioni più significative e la necessità di approfondire il profilo dell'efficacia e dell'effettività della normativa vigente alla quale si è fatto accenno in abbrivio.

I vantaggi derivanti dal varo di un apposito testo unico sono evidenti, tanto che anche nella Relazione al D.L.vo 56/2004, citato in premessa, si ritiene "probabilmente" opportuno procedere all'elaborazione di un T.U. (dal momento che nel nostro Paese manca un corpus unico di disposizioni antiriciclaggio) che abbia una funzione non meramente ricognitiva e nel quale possa trovare una collocazione sistematica:

- il riordino delle fonti;

- la ricomposizione di vari sottosistemi normativi;

- l'articolazione chiara e coerente della disciplina, a cominciare dal composito dispositivo penale;

- la razionalizzazione delle attribuzioni dei numerosi organismi attualmente coinvolti.

Attualmente il dispositivo penale si articola in una pluralità di fattispecie incriminatrici, i delitti previsti dagli artt. 648-bis e 648-ter del codice penale, l'aggravante di riciclaggio prevista dal sesto

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ANTONINA GIORDANO

1244 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

comma dell'art. 416-bis c.p., l'art. 12-quinquies della legge 7 agosto 1992, n. 356 in tema di trasferimento fraudolento di valori e altre fattispecie minori, generalmente di natura contravvenzionale, sparse nella legislazione speciale (tra queste ultime non poche risultano a dir poco desuete, come quella di cui al sesto comma dell'art. 5 della legge 197 del 5 luglio 1991, neanche ritenuta meritevole di una rettifica letterale, prevedendo "salvo che il fatto costituisca reato, la violazione del divieto di cui all'art. 3, settimo comma, è punita con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda" mentre numerose norme di interesse eminentemente processuale introducono discipline speciali per le attività di indagine preliminare (possibilità di ritardare l'esecuzione di sequestri, operazioni sotto copertura, ecc.).

In questa direzione, va innanzitutto rilevato che il nostro ordinamento è l'unico che, come si è appena detto, vede inserite nel codice penale ben due fattispecie incriminatici del delitto di riciclaggio: gli artt. 648-bis e 648-ter c.p. ma, lungi dall'integrarsi organicamente, questi due delitti appaiono piuttosto in concorrenza e costituiscono di fatto un sottosistema normativo al centro di contrasti interpretativi e di dispute dottrinali.

L'applicazione giurisprudenziale appare tuttora circoscritta ad un ambito limitato di casi e focalizzata su fattispecie di scarsa importanza (come ad esempio il cd. "taroccamento" dei veicoli rubati). Ciò anche dopo il superamento del particolare rapporto del delitto di riciclaggio con i reati presupposti, nominativamente indicati dal legislatore (schema abbandonato solo nel 1993, con le modifiche conseguenti alla ratifica della Convenzione di Strasburgo sul riciclaggio e la confisca e l'ampliamento della categoria dei reati presupposto a tutti i delitti non colposi). Per meglio individuare le difficoltà applicative del delitto (rectius: dei delitti) di riciclaggio nella formulazione attualmente vigente occorre fare un passo indietro nel tempo e ripercorrere le fasi salienti del complesso iter evolutivo delle norme vigenti.

Il reato di riciclaggio, come è noto, viene introdotto (sia pure con un nomen iuris diverso) nel codice penale, tra i delitti contro il patrimonio, nel lontano 1978. Per il delitto di Sostituzione di beni e valori

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LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO: BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO

12454/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

di origine delittuosa vennero previste pene assai elevate, ma nei fatti si evidenziarono subito molte difficoltà applicative.

All'origine questa nuova fattispecie poteva essere configurata solo in relazione a tre delitti a monte: l'estorsione aggravata, la rapina aggravata e il sequestro di persona a scopo di estorsione.

Tale ristretto ambito di applicazione ben presto diede vita a dispute sul grado di accertamento dei fatti precedenti (che avevano prodotto i proventi illeciti), soprattutto al fine di verificare la pienezza del dolo dell'autore delle condotte tipiche introdotte dalla nuova norma.

In sostanza, ci si interrogava in ordine all'esatta consapevolezza della provenienza del denaro, dei beni e dei valori "sostituiti" in riferimento ai delitti specificamente indicati dalla fattispecie incriminatrice.

La discussione non rimase delimitata all'area del diritto penale sostanziale, ma riemerse negli stessi termini agli inizi degli anni novanta con l'introduzione dell'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette: allo stesso modo, essa riguardò il grado di consapevolezza richiesto in ordine al collegamento dell'operazione sospetta al reato di riciclaggio e, conseguentemente, a quei particolari reati che - a monte - avrebbero prodotto illeciti proventi. Così i dubbi originari, già sorti in sede penale, si evidenziarono anche nella fase preventiva, incidendo notevolmente sulla qualità dell'adempimento dell'obbligo di segnalazione e sullo stesso sistema sanzionatorio amministrativo introdotto dalla L. 197/1991. L'obiezione, peraltro mal posta, era di nuovo la seguente: concernendo il delitto di riciclaggio esclusivamente proventi derivanti da alcuni reati (fino al 1993), va dimostrata l'esatta consapevolezza della consumazione degli stessi?

Paradossalmente, questo dubbio interpretativo, sebbene superato dalle indicazioni operative contenute nelle varie edizioni del Decalogo della Banca d'Italia, trovò un certo seguito nelle decisioni del Ministero del Tesoro in sede di contestazione di violazioni amministrative, dando origine ad una serie di annullamenti delle contestazioni di inadempimento dell'obbligo di segnalazione.

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ANTONINA GIORDANO

1246 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

Rivisitando la stampa di opinione ed i contributi dei giuristi che commentarono l'introduzione - alla fine degli anni settanta - del delitto di Sostituzione di beni e valori di origine delittuosa, appare chiaro che il legislatore del tempo fu fortemente, se non esclusivamente, determinato a introdurre strumenti di contrasto alla dilagante "industria" dei sequestri di persona, che fortemente colpiva la pubblica opinione. L'obiettivo di politica criminale consisteva nell'introdurre una fattispecie idonea a contrastare le proiezioni ulteriori (quello che i giuristi chiamano postfactum) di condotte contro il patrimonio particolarmente gravi ed allarmanti, con lo scopo di conseguire l'obiettivo di eliminare o neutralizzare i fenomeni criminali che avevano generato denaro sporco.

La collocazione del delitto tra i reati contro il patrimonio fu logica conseguenza di questa impostazione, volta a contrastare la perpetuazione della situazione di antigiuridicità determinata dalla deminutio patrimoni delle vittime dei reati "a monte".

Corollario di tutto ciò, la previsione - coerente con la struttura del delitto di ricettazione - della non punibilità per il riciclaggio dell'autore del delitto presupposto. Inspiegabilmente - e per circa dodici anni - restò completamente al di fuori del nuovo delitto la condotta di riciclaggio del denaro della droga.

Il legislatore sembrò non accorgersi che nell'economia criminale del tempo si stava vivendo una specie di rivoluzione industriale. Cosa Nostra, ispiratrice e intranea ad un gran numero di sequestri di persona, in quegli anni era divenuta di fatto monopolista dell'esportazione dell'eroina negli Stati Uniti. La redditività del controllo del maggiore mercato degli stupefacenti fu enorme, con profitti annui per centinaia di miliardi di vecchie lire: nell'economia criminale italiana si assistette ad un processo di accumulazione capitalistica senza pari.

Se la ricchezza di quei "nuovi mercati" e l'esigenza di riciclarne i proventi sfuggì al legislatore dell'epoca, certamente fu bene avvertita dalla criminalità organizzata, che visse un lungo periodo di sanguinosissimi scontri interni e contestualmente si sviluppò nel centro e nel nord dell'Italia, insediandosi in territori non tradizionali, come le grandi città industriali.

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LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO: BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO

12474/2005 Rivista della Guardia di Finanza DOTTRINA

Ciò nonostante, solo nel 1990, a circa dodici anni dell'entrata in vigore della prima legge e sotto la spinta delle convenzioni internazionali, il delitto di narcotraffico venne introdotto nel catalogo dei "reati presupposti" del riciclaggio.

Così l'originaria fattispecie incriminatrice venne disarticolata nei due delitti citati pur mantenendo la clausola di non punibilità dell'autore del reato a monte.

Questo schema, al pari dell'originaria collocazione del delitto tra quelli contro il patrimonio, ancora persiste: ancora oggi, il narcotrafficante che si attiva per ripulire e reimpiegare i propri profitti non è punibile, in quanto autore del reato presupposto.

Le implicite conseguenze di questa scelta di politica criminale sono state molteplici.

La mancata configurabilità del delitto in capo al soggetto intraneo alla "produzione" del provento illecito ha, di fatto, limitato l'avvio di investigazioni, produttive di effetti solo nei confronti dei terzi estranei al delitto presupposto.

Solo a seguito dei grandi scandali finanziari di questi anni (Enron, Parmalat) si registra un nuovo interesse a seguire sul piano investigativo la traccia dei movimenti dei proventi criminali ed a configurare in questo percorso ipotesi di riciclaggio anche a carico degli autori dei reati a monte. Resta ancora irrisolto il nodo della doppia incriminazione.

Sul punto, ineludibile, particolare interesse merita la proposta di riforma del testo degli art. 648-bis e 648-ter proveniente dalle Commissioni riunite VI e X della Camera dei Deputati ed inserita nel Progetto di Legge recante "Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari": essa prevede all'art. 70 (Reati di riciclaggio e impiego) la soppressione delle parole "Fuori dei casi di concorso nel reato" (A.C. 4705). La rielaborazione della fattispecie di cui all'art. 648-bis, con la semplificazione della sua formula normativa e la possibilità di incriminare per questo delitto anche l'autore del reato presupposto dovrebbero segnare la naturale evoluzione del sistema, in una prospettiva di tutela dell'integrità dei mercati e dell'ordine economico.

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ANTONINA GIORDANO

1248 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005DOTTRINA

La fattispecie delittuosa di nuovo conio potrebbe assorbire agevolmente l'ipotesi di reimpiego, attualmente autonomamente prevista dall'art. 648-ter c.p. Parimenti, si avverte l'assoluta necessità di introdurre anche per il delitto di riciclaggio una significativa attenuante in caso di recesso attivo o di condotta collaborativa utile ad elidere le conseguenze del reato.

A fronte di tali riforme sul piano del diritto sostanziale, va necessariamente rivisitata l'effettività di discipline procedimentali finalizzate all'agevolazione dell'individuazione delle prove. Fra tutte, appare opportuno richiamare quella in tema di operazioni sotto copertura, che appare allo stato ampiamente sotto utilizzata. La indiscutibile complessità della gestione di tale prassi investigativa si coniuga con l'assenza di risorse amministrative e finanziarie a ciò espressamente dedicate, facendo sì che, al di fuori dei casi di coinvolgimento di organismi di polizia stranieri, le operazioni sotto copertura in tema di riciclaggio effettuate con risorse esclusive delle forze di polizia sono state rare.

Monitorare e perseguire le operazioni sospette richiede tecniche e preparazione del tutto particolari e non paragonabili a quelle utilizzabili in contesti criminali ordinari, conferma la necessità di personale investigativo altamente specializzato, che operi attraverso una struttura di coordinamento per le operazioni sotto copertura, sul modello di quella proficuamente attiva nel settore del contrasto al traffico delle sostanze stupefacenti, ossia in un contesto di collaborazione internazionale fra le forze di polizia.

Il dispositivo preventivo antiriciclaggio presenta, infatti, una lunga evoluzione ed un'articolata e complessa struttura, ma anche persistenti vuoti di disciplina che ne minano o riducono l'effettività.

Nel 1991 (1) vengono introdotte norme volte ad evitare l'uso di intermediazione finanziaria a scopi di riciclaggio e a limitare la

(1) La prima Direttiva antiriciclaggio è la n. 91/308/Cee del 10 giugno 1991 e concerne la

prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attività illecite in

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LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO: BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO

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circolazione di contante per pagamenti superiori a venti milioni di lire. Questa limitazione, peculiare dell'ordinamento italiano, non produce effetti nei confronti degli intermediari finanziari ma esclusivamente nei rapporti tra privati. Il suo impatto sul dispositivo antiriciclaggio è stato indiretto. Forse maggiore incisività ha ottenuto nei confronti di talune prassi anomale proprie degli illeciti tributari, come ad esempio la contabilizzazione di pagamenti "per cassa" o la circolazione di titoli al portatore per importi elevati. A fronte di quei princìpi innovativi, va tuttavia ricordato che i certificati di deposito al portatore, possono essere emessi senza limitazione di importo (peraltro l'art. 2.4 del D.M. 19 dicembre 1991, in tema di obblighi di identificazione e registrazione, precisa che il termine deposito non comprende i certificati di deposito e titoli analoghi e che il termine conto esclude i conti transitori bancari). L'art. 1, primo comma, della L. 197/1991 vieta il trasferimento di titoli al portatore (anche, quindi, i certificati di deposito), effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a € 12.500,00, a meno che tale trasferimento avvenga per il tramite di intermediari abilitati. Attualmente le banche sono tenute a dare comunicazione al Ministero dell'Economia e delle Finanze nel caso di estinzione di un certificato di deposito al portatore di importo superiore a € 12.500,00 da parte di soggetto diverso da colui che ne aveva richiesto l'emissione, qualora, sulla base degli elementi conoscitivi in loro possesso, possa presumersi una violazione del richiamato art. 1, primo comma (la nota esplicativa del Ministero dell'Economia e delle Finanze in materia risale al 24 giugno 2003). Tuttavia non può non rilevarsi che dopo l'entrata in vigore della L. 197/1991 è stato riscontrato il ricorso della criminalità organizzata a questo tipo di strumento finanziario per garantire operazioni di autoindebitamento: sicché appare auspicabile una più penetrante

accordo con le Raccomandazioni del GAFI (Gruppo di azione finanziaria internazionale) fondato

nel 1989 nel corso del summit del G7 tenutosi a Parigi e composto da 33 membri (31 fra Stati

e Governi e 2 organizzazioni internazionali) e più di 20 osservatori (tra cui 5 enti regionali e 15

organizzazioni internazionali).

(segue nota)

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disciplina della materia, per assicurare un'adeguata "tracciabilità" e trasparenza delle operazioni effettuate a mezzo di siffatti titoli e di altri analoghi (obbligazioni).

Ma l 'aspetto p iù s igni f icat ivo del la d isc ip l ina del la L. 197/1991 è senza dubbio l'introduzione di una serie di obblighi di collaborazione attiva in capo agli intermediari finanziari, e, soprattutto l'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, disciplinato dall'art. 3. Questo dispositivo ha subìto un'evoluzione negli anni novanta: con il decreto legislativo 153, infatti, è stato individuato quale unico destinatario delle segnalazioni l'Uic (prima erano inviate alle questure territorialmente competenti rispetto al luogo dell'operazione) e sono state introdotte ulteriori norme a garanzia della riservatezza delle segnalazioni e della tutela dei segnalanti.

4. Le criticità del dispositivo antiriciclaggio

Il dispositivo, allo stato, è caratterizzato da tre fasi: la prima fase, interna alla struttura dell'intermediario interessato all'operazione, prevede la delibazione dei profili di anomalia oggettivi alla stregua del profilo economico e finanziario del cliente e, all'esito, l'inoltro della segnalazione all'Ufficio Italiano dei Cambi.

Oggi quasi tutti gli intermediari bancari si avvalgono di un sistema informatico "esperto", in grado di generare attraverso analisi statistiche e idonei algoritmi indici di anomalia dell'operazione, utile strumento di supporto per l'individuazione delle operazioni "anomale".

La procedura denominata Gianos (Generatore di indici di anomalia di operazioni sospette) tende a perdere il suo originario carattere di rigidità, soprattutto grazie alle proficue intese registratesi tra l'Abi e l'Uic. La peculiarità di questa evoluzione consiste nella possibilità da parte dell'Uic (individuato, con la finanziaria 2001, quale unità di intelligence finanziaria nazionale) di contribuire all'implementazione dell'operatività del sistema informatico Gianos, introducendovi istruzioni finalizzate per evidenziare profili tipici di operazioni connesse al riciclaggio (ad esempio in tema di usura).

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La seconda fase del la procedura del la segnalazione dell'operazione sospetta consiste nell'analisi finanziaria delle anomalie evidenziate da parte dell'Uic. In tale fase l'Uic persegue procedure proprie ed effettua approfondimenti che derivano in massima parte dalle informazioni ricevute e/o disponibili sui propri archivi ulteriormente richieste all'intermediario segnalante o ad altri intermediari coinvolti dall'operatività segnalata. Se necessario, si ricorre allo scambio di informazioni con le unità di intelligence finanziaria di altri Paesi.

Mentre va colta positivamente la standardizzazione delle informazioni che accompagnano la segnalazione, conseguita ad una attenta politica di orientamento da parte dell'Uic (che ha inoltre allo studio progetti di aggiornamento ed implementazione dell'intero sistema segnaletico e di gestione e lavorazione delle segnalazioni pervenute), non possono essere sottaciute le criticità derivanti dall'indisponibilità di ulteriori e più penetranti basi dati, prime fra tutti quella dell'anagrafe tributaria - ancora non collegata all'Uic - e, soprattutto, l'anagrafe dei rapporti di conto e di deposito, prevista dalla legge ma ancora non operativa a causa della mancata produzione della necessaria disciplina regolamentare. Effettuata l'analisi finanziaria, in caso di non esercizio del potere di archiviazione (introdotto solo nel 2001, con la citata legge finanziaria), la segnalazione dell'intermediario, debitamente accompagnata da una relazione tecnica, viene trasmessa in formato elettronico, per l'ulteriore corso e con accorgimenti di sicurezza (invio di file criptati tramite supporto informatico), a due organismi investigativi: il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza (NSPV) e la Direzione Investigativa Antimafia (DIA).

Così ha inizio la terza ed ultima fase dello sviluppo della segnalazione. Presso questi organismi investigativi le informazioni raccolte ed elaborate dall'Uic ricevono un'ulteriore implementazione attraverso l'utilizzazione dei dati disponibili presso il CED del Ministero dell'Interno, l'Anagrafe tributaria e, ovviamente, le risorse informative proprie. La dicotomia, conseguente al principio di separazione dell'analisi finanziaria rispetto a quella investigativa pur presentando alcune criticità, trova fondamento nella decisione del legislatore di far dialogare il sistema bancario e finanziario con un'Autorità amministrativa,

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cosa che ha consentito il proficuo e sempre più intenso svilupparsi della collaborazione attiva dei segnalanti, garantendoli maggiormente nel contempo in materia di riservatezza delle segnalazioni. L'Uic, per sua parte, in mancanza della possibilità di avere accesso diretto alle informazioni a disposizione delle Autorità Investigative, si è trovato nella necessità di sviluppare metodologie di analisi che consentano comunque una identificazione tra le operazioni segnalate di quelle a maggior "rischio riciclaggio".

Per quanto riguarda le criticità, le stesse possono essere così sintetizzate:

- l'analisi finanziaria dell'Uic non potendo disporre di risorse aggiuntive di tipo criminalistico, spesso si sviluppa senza un esatto inquadramento dell'eventuale contesto criminale in cui opera il segnalato o al quale si riferisce l'operazione sospetta, con possibili perdite di efficacia;

- si produce una diacronia che non favorisce la rapidità delle successive fasi di approfondimento;

- gli strumenti a disposizione dell'Uic risultano incompleti, soprattutto, come già ribadito, per la mancanza dell'anagrafe dei conti. Sul punto, non può non rilevarsi che fin da questa prima fase sarebbe utile assicurare all'analista finanziario anche la disponibilità di ulteriori dati non sensibili (ad esempio l'accesso ai servizi anagrafici) ma utili a verificare i profili di interposizione di soggetti, assai ricorrenti in questa materia. Va peraltro sottolineato come al crescente numero delle segnalazioni ipotizzabile per lo svilupparsi della collaborazione attiva e della platea dei soggetti segnalanti, ma non prevedibile ab initio per gli aspetti collegati al contrasto finanziario al terrorismo, debba necessariamente corrispondere in Uic un investimento in generale nell'area antiriciclaggio e nelle aree preposte alla vigilanza sugli intermediari, in materia di rispetto della normativa antiriciclaggio. Ciò anche al fine di garantire la presenza di adeguate risorse, in termini umani e strumentali, che consentano utili sviluppi delle opportune sinergie tra i due settori.

In particolare, come già fortemente sottolineato dalla Commissione Antimafia, appare indispensabile un potenziamento significativo dell'area

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LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO: BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO

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degli analisti delle segnalazioni di operazioni sospette, in conseguenza del descritto aumento dei flussi delle segnalazioni. Non va inoltre sottaciuto il fatto che l'area in questione, se adeguatamente potenziata, potrebbe, almeno nei casi più rilevanti, procedere con rapidità ed efficacia ad approfondimenti diretti presso il sistema degli intermediari, anziché attivare i tradizionali canali epistolari; l'esteriorizzazione dell'attività di analisi può poi avere risultati anche in termini di prevenzione e di rafforzamento dell'interazione tra i segnalanti ed i primi destinatari delle segnalazioni, favorendo ulteriormente lo svilupparsi della collaborazione attiva. Il trasferimento della segnalazione e della relazione tecnica agli organismi investigativi dà ingresso all'ulteriore fase di implementazione affidata agli analisti della Guardia di Finanza e della DIA: in questa fase possono prodursi fenomeni di duplicazione rispetto al lavoro di analisi e approfondimento condotto inizialmente dall'Uic, con inevitabile allungamento dei tempi. Per far fronte a tutto ciò si potrebbe ipotizzare l'individuazione di una prassi interattiva di analisi sia tra gli organismi appartenenti all'area investigativa (DIA e NSPV), sia tra questi e l'Uic, attraverso un raccordo informatico dedicato ed una cooperazione, attivata fin dal momento della ricezione della degnazione, da parte dell'intermediario.

La "vir tual izzazione" del t rattamento, conseguente a questo approccio, potrebbe consentire la più rapida selezione dei fatti effettivamente rilevanti ed una significativa economia di risorse e di tempi, pur mantenendo l'attuale divisione delle fasi e cioè la separazione dei ruoli, salvaguardando la "proprietà" delle informazioni investigative di ciascuna forza di polizia (anche se occorre domandarsi se siffatta "proprietà" sia ancora sostenibile). In sostanza non si vede cosa impedisca l'azzeramento dei tempi di latenza presso l'Uic della segnalazione, durante tutto lo stadio dell'analisi finanziaria, tenuto anche conto che l'Uic trasmette comunque agli organismi investigativi deputati tutte le segnalazioni, comprese quelle archiviate (anche se per queste ultime la partecipazione delle risultanze avviene per mera conoscenza). Nulla sembra ostacolare una preliminare trasmissione degli estremi e della causale della segnalazione, per contestualizzare e condividere le due attività di analisi: quella finanziaria, propria dell'Uic, e quella

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criminale - almeno nella parte ritenuta ostensibile - posta in essere da NPV e DIA. In questa direzione si potrebbero sperimentare sul campo soluzioni originali e innovative e, al tempo stesso, definire protocolli operativi per la condivisione delle risorse informative. Questa prospettiva appare di sommo interesse in quanto potrebbe recuperare in una chiave originale gli indiscutibili vantaggi derivanti dalla fusione di risorse in un modello culturalmente "misto" di agenzia antiriciclaggio, la cui più significativa esperienza è rappresentata dal FINCEN statunitense, in cui pur mantenendo l'assetto di agenzia non propriamente investigativa - propria di un "network" - si è inteso ottimizzare l'interscambio dei dati e delle esperienze operative, di fatto dando vita ad una piattaforma di alto livello per la formazione del personale dei vari organismi che vi operano.

L'innovazione, compatibile con gli assetti normativi vigenti, potrebbe essere ulteriormente rafforzata dalla dislocazione presso l'Uic di personale appartenente a diversi organismi di controllo (ISVAP, Consob) ad organismi operanti nel settore delle dogane, del commercio estero, delle telecomunicazioni, e a diverse forze di polizia, per un'integrazione degli strumenti di analisi ed anche per una politica di addestramento e di formazione sul campo del personale, essenziale al potenziamento dell'efficacia dell'azione preventiva e repressiva del fenomeno del riciclaggio. Va inoltre segnalata l'importanza dell'implementazione di adeguati meccanismi di feedback per migliorare la qualità delle segnalazioni ed orientare positivamente l'operato degli intermediari. Il punto, evidenziato anche dall'Abi, appare meritevole di approfondimento per individuare soluzioni rispettose del segreto investigativo ma idonee ad estrapolare indicazioni volte a razionalizzare il meccanismo di segnalazione. Allo stato il "ritorno" di informazioni sugli esiti della segnalazione è limitato alle ipotesi di archiviazione. Da ultimo, l'Abi ha sottolineato il tema della tutela della riservatezza dei soggetti segnalanti.

La questione merita di essere richiamata almeno per affermare l'importanza di ogni buona prassi orientata a sostenerne l'effettività, tenuto conto che l'attuale disciplina espressamente prevede che "l'identità delle persone e degli intermediari segnalanti può essere rivelata solo quando, con decreto motivato, l'Autorità giudiziaria lo ritenga indispensabile ai fini dell'accertamento dei reati per i quali

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si procede" (art. 3-bis, secondo comma, L. 197/1991, introdotto dal D.L.vo 26 maggio 1997, n. 153). La costituzione dell'anagrafe dei conti e dei depositi - pur essendo stata prevista dalla lett. b) del quarto comma dell'art. 3 l'utilizzazione dei dati contenuti nell'anagrafe dei conti e dei depositi già a partire dal D.L.vo 26 maggio 1957, n. 153 - a tutt'oggi, (a causa della mancata istituzione dell'anagrafe) non è in condizioni di realizzare gli scopi individuati dal legislatore. Il discorso, pertanto, va spostato sulle vicende complesse dell'istituzione dell'anagrafe dei conti e dei depositi, notoriamente segnata da una situazione di "impasse" normativo malgrado le sollecitazioni politiche esercitate dagli organismi investigativi e dalla Magistratura i quali lamentano da tempo indefinito gli enormi ritardi che le indagini subiscono per il diradarsi dei tempi di risposta degli intermediari alle richieste di notizie circa la sussistenza di rapporti con determinati soggetti.

Anche in mancanza di dati statistici, è noto il fatto che l'indagine presso le banche degli intermediari finanziari può scontare ritardi dell'ordine di mesi a causa della difficoltà di individuare con certezza l'allocazione dei rapporti. Ma il sistema configurato dal decreto del 2000 appare non privo di criticità. Esso prevede, come è noto, la costituzione di una unità operativa presso il Ministero del Tesoro, destinataria delle richieste e successivamente la propagazione delle medesime richieste a tutte le intermediarie. Il problema principale è stabilire esattamente il numero dei destinatari finali del messaggio e assicurarsi idonee garanzie di non propagazione delle notizie, così atomizzate. Non secondaria appare la questione dei costi, la cui determinazione appare proporzionale al numero degli intermediari coinvolti nella nuova rete. A questo punto, considerato che la mancata emanazione dei regolamenti appare sintomatica di un'assenza di scelte operative definitive, occorre interrogarsi sulle modalità di superamento di questa situazione di paralisi. Se si vuole escludere la scelta di allocare tutti i dati relativi all'anagrafe presso un unico organismo (ad es. Banca d'Italia, Uic) in quanto essa comporterebbe la totale riforma del decreto n. 269 del 2000, non resta che optare per una soluzione progressiva - per così dire interna alle linee configurate dal decreto - atta a sfruttare le risorse di rete già disponibili e cioè l'attuale sistema di collegamento tra gli Istituti

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Bancari. Questa scelta consentirebbe con un azzeramento dei costi l'avvio dell'anagrafe dei conti e dei depositi in tempi rapidissimi e su un campione di intermediari rappresentativo della quasi totalità dei rapporti.

Da ultimo va evidenziato che il dispositivo antiriciclaggio dispiegato in questi anni vede il reiterato ricorso al rinvio formale a fonti di grado inferiore, nella specie regolamenti. Questo schema - già perseguito con il D.L.vo 25 settembre 1999, n. 374 in tema di estensione delle disposizioni in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita ad attività finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio - è stato riproposto dal D.L.vo 56/2004 citato in premessa.

Anche in questo caso l'effettiva operatività della nuova normativa appare subordinata all'emanazione di provvedimenti regolamentari. Tuttavia non può non rilevarsi che il D.L.vo 374/1999 è tuttora non operativo per la mancata emanazione dei previsti decreti ministeriali. Di fronte a tutto ciò non vi è margine per alcuna proposta operativa: la situazione di criticità può essere superata solo da un'individuazione di una priorità e dall'emanazione nei tempi più rapidi della normativa secondaria indispensabile per l'effettività del sistema.

Le più recenti scelte del legislatore in tema di prevenzione dell'uso del mercato finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecita hanno ancora registrato soluzioni che aggravano i compiti dei destinatari dei nuovi obblighi e sembrano destinate a rimanere del tutto carenti sotto il profilo dell'efficacia. Ci si riferisce, in particolare, all'opzione di estendere l'ambito di applicazione degli obblighi di identificazione e conservazione dell'informazione ai soli professionisti (ragionieri, commercialisti, consulenti del lavoro) iscritti agli albi, senza considerare che una vasta parte dell'attività di consulenza professionale ricade (soprattutto in tema di pianificazione e ottimizzazione fiscale) nell'ambito di operatività di soggetti non iscritti ad albo che spesso operano sotto il paravento di persone giuridiche. Altrettanti dubbi provengono dall'introduzione dell'obbligo di segnalazione di operazioni sospette in capo ai professionisti, senza considerare che il rapporto intuitu personae costituisce un ostacolo non solo psicologico alla dichiarazione di sospetto. La prospettiva del recupero di efficacia del

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LE OPERAZIONI SOSPETTATE DI RICICLAGGIO: BILANCI E PROSPETTIVE DI INTERVENTO

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sistema sembra imporre anche in relazione agli ultimi sviluppi della legislazione una serie di correzioni che potranno essere tentate a partire dall'emanazione della normativa di attuazione. D'altra parte, si va profilando nettamente l'esigenza che i soggetti regolamentati dalla normativa di prevenzione antiriciclaggio riescano a dotarsi in tempi brevi di adeguate linee guida sul tipo del Decalogo della Banca d'Italia ponendo in essere sul piano del controllo interno una autonoma analisi dei rischi.

Tutto ciò potrà semplif icare i l necessario processo di razionalizzazione del sistema normativo al quale le amministrazioni interessate dovranno accordare un'autentica priorità, atteso il rischio di larga e inefficace applicazione di un dispositivo privo del necessario coordinamento interno e ancora distante dalla reale evoluzione dei rischi di inquinamento criminale dell'economia legale.

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12614/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

Il trattamento Iva delle cure mediche effettuate da soggetti non abilitati all'esercizio delle professioni

di Giangaspare Donato Toma

1. Premessa - 2. L'evoluzione della giurisprudenza ed il cambiamento di rotta dell'Amministrazione finanziaria - 3. (...) Verso l'attuale orientamento dominante, non scevro, tuttavia di motivate critiche

1. Premessa

La giurisprudenza tributaria da tempo si occupa dell'applicabilità, in tema di Iva, dell'esenzione prevista dall'art. 10, n. 18 del D.P.R. 633/1972 nell'ipotesi di prestazioni per cure mediche e paramediche effettuate da soggetti non abilitati all'esercizio delle professioni ed arti sanitarie soggette a vigilanza ai sensi dell'art. 99 del T.U.L.S.

L'orientamento giurisprudenziale dominante è (attualmente) riconducibile all'assunto secondo cui "le prestazioni in argomento sono, in applicazione dell'art. 10, n. 18 del D.P.R. 633/1972, esenti da imposta solo se effettuate da soggetti abilitati al rispettivo esercizio, trattandosi di requisito espressamente contemplato dalla norma, in mancanza del quale, la prestazione non assume, sul piano normativo, carattere sanitario" (1). Pertanto se le prestazioni sanitarie sono effettuate da

(1) Cass., 1° aprile 2003, n. 4987, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa.Concordemente, Cass., 23 aprile 2001, n. 5984, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa; Id., 1 giugno 2001, n. 7422, in Banca dati del Corriere Tributario, n. 9/2001, 985; Id., 30 maggio 2001, n. 7411, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa; Id., 20 luglio

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GIANGASPARE DONATO TOMA

1262 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

una società, ne deriva che le medesime non rientrano nell'esenzione in parola per carenza dei presupposti richiesti dal combinato disposto dei citati artt. 10 e 99 poiché "è assolutamente illogico sul piano fattuale e giuridico, riferirle alla società esercente attività commerciale di servizi dovendo la prestazione sanitaria, nel caso, quello odontoiatrica, essere resa e, quindi, riferibile fiscalmente, solo a soggetto (persona fisica) abilitato all'esercizio professionale ed iscritto nell'apposito albo" (2).

2. L'evoluzione della giurisprudenza ed il cambiamento di rotta dell'Amministrazione finanziaria

Si ritiene di descrivere l'evoluzione storico-interpretativa della giurisprudenza che ha portato a tale presa di posizione che tuttavia, pur costituendo l'orientamento dominante, contraddice un indirizzo ministeriale maggiormente permissivo (3).

Sul punto la Corte di Giustizia si è pronunciata in varie occasioni. Significativa la sentenza del 2 agosto 1993, causa C-111/92 con cui, nella sostanza, ha statuito che il principio di neutralità fiscale impone di riscuotere l'Iva senza distinguere tra attività lecite ed illecite a meno che le caratteristiche oggettive dell'operazione siano tali da escludere qualsiasi concorrenza tra le une e le altre (4). Quindi, ai fini dell'uniforme

2001, n. 9890, ivi; Id., 20 luglio 2001, n. 9895, ivi; Id., 24 luglio 2001, n. 10024, ivi; Id., 12 aprile 2002, n. 5260, ivi; Id., 26 marzo 2003, n. 4424, ivi.

Per la giurisprudenza di merito si veda altresì, nello stesso senso, Comm. trib. prov. Salerno, 5 novembre 1994, n. 731, in Corr. trib. n. 18/1995, 1285; Id., 5 aprile, 1997, n. 787, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa.

(2) Cass., 1° aprile 2003, n. 4987, cit.

(3) Cfr., C.M. 9 agosto 1999, n. 176/E, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa.

(4) Situazioni similari possono verificarsi, per esempio, sia nei casi di vendita di sostanze stupefacenti, dunque effettuata in violazione del divieto di circolazione e fuori dal circuito economico rigorosamente vigilato dalle competenti autorità al fine dell'uso per scopi medici o terapeutici, sia nell'importazione o commercializzazione di denaro falso. In tali situazioni, infatti, non sussiste alcun assoggettamento ad imposta come precisato dalla Corte di Giustizia, 5 luglio 1988,

(segue nota)

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IL TRATTAMENTO IVA DELLE CURE MEDICHE EFFETTUATE DA SOGGETTI NON ABILITATI

12634/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

applicazione del tributo, si è ritenuto di esigerlo anche sulle transazioni

illecite allo scopo di non alterare i naturali equilibri di mercato rimanendo,

naturalmente, il potere delle autorità dei diversi Stati di reprimere e

sanzionare le transazioni in parola.

A seguito dell'atteggiamento assunto da alcune commissioni di

merito (5) e, in particolare, dalla Corte di Giustizia con la nota sentenza

dell'11 giugno 1998 (6), sembrava possibile applicare l'esenzione

prevista dalla norma anche per le attività mediche svolte abusivamente,

prevalendo per esse un criterio di qualificazione oggettiva, riferito, quindi, alla prestazione (medicale) resa, anziché un criterio di qualificazione soggettiva, relativo alla qualifica legale del soggetto agente.

causa C-289 e 6 dicembre 1990, causa C-343/89, perché l'operazione, in quanto assolutamente illecita, implica l'inesistenza di profili di concorrenzialità tra commercializzazione illecita e lecita.

(5) Cfr. Comm. Trib. Prov. Firenze, Sez. IV, sent. 20 settembre 1996, n. 258, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa, che ha considerato esenti da Iva le prestazioni di cure dentistiche rese da un odontotecnico non iscritto all'albo dei medici odontoiatri, ritenendo che il richiamo all'art. 99 del Testo unico delle leggi sanitarie, abbia la sola funzione di circoscrivere le professioni e le arti sanitarie per le quali è riconosciuta l'esenzione dell'Iva, indipendentemente dal fatto che tali professioni siano esercitate da soggetti regolarmente iscritti nei relativi albi professionali. Alla luce di tale orientamento sembrerebbe quasi che la qualificazione in diritto di "professioni soggette a vigilanza" possa attribuirsi anche ad attività, abusive e non autorizzate, compiute da soggetti in assenza di autorizzazione. Tuttavia, come noto, l'art. 10, n. 18 del D.P.R. 633/1972, non parla di attività mediche oggettivamente astratte, ma di prestazioni "(…) rese alla persona nell'esercizio delle professioni ed arti sanitarie soggette a vigilanza ai sensi dell'art. 99 del T.U.L.S.".

Si veda altresì Comm. Trib. Reg. Toscana, 27 ottobre 1998, n. 181, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa; Comm. Trib. Prov. Pordenone, 18 giugno 1997, n. 183, ivi; Id., Pisa, 14 novembre 1997, n. 147, ivi.

(6) Causa C-283/95, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa. La vicenda trattata dalla Corte di Giustizia riguarda l'applicabilità dell'esenzione anche all'esercizio abusivo del gioco d'azzardo, principio che, mutatis mutandis, è stato poi recepito dal Ministero per il riconoscimento dell'esenzione anche alle prestazioni mediche rese abusivamente nell'ambito della C.M. n. 176/E del 1999, cit. Il giudice sovranazionale ha evidenziato, in virtù del rispetto del principio di neutralità fiscale inerente al sistema dell'Iva, l'illegittimità della disparità di trattamento tra operazioni illecite e lecite, affermando la non imponibilità, in quanto estranee al tributo, soltanto delle operazioni assolutamente vietate che, per tale motivo, non sono idonee a determinare problemi di concorrenza tra settori leciti ed illeciti.

(segue nota)

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1264 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

In questo contesto, l'Amministrazione finanziaria modificò l'orientamento assunto fino allora (7) e con la C.M. 9 agosto 1999, n. 176/E (8) ebbe ad affermare che, per quanto riguarda le prestazioni sanitarie, non sarebbe stato "lecito differenziare l'applicazione dell'imposta sulla base della disciplina extrafiscale relativa alle modalità di esercizio dell'attività o ai requisiti soggettivi di coloro che la svolgono. Qualora, infatti, determinate attività fossero state escluse dal regime di esenzione per carenza dei presupposti abilitativi che ne legittimano l'esercizio in coloro che la pongono in essere, sarebbe venuto meno il carattere neutrale che l'Iva assume in relazione all'aspetto economico dell'operazione e si sarebbe attribuito all'imposta il ruolo di penalizzare lo svolgimento abusivo delle medesime". La circolare concludeva dunque che "l'attività odontoiatrica svolta abusivamente dagli odontotecnici è esente da Iva in quanto è riconducibile nella previsione normativa dell'art. 10, n. 18 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633", ferma restando la repressione del comportamento illecito secondo le norme degli altri settori dell'ordinamento giuridico. Nella sostanza, il rinvio che l'art. 10, primo comma , n. 18 del D.P.R. 633/1972, faceva all'art. 99 del T.U.L.S., si riteneva avesse esclusivamente lo scopo di individuare le professioni ed arti sanitarie meritevoli dell'esenzione de qua.

La motivazione di questo orientamento è da individuarsi nella ratio dell'esenzione prevista per le attività mediche. È indubbio, infatti, che la detassazione trovi giustificazione nelle positive ricadute sociali della prestazione medica, volendo quindi la norma ridurre i costi.

In tale prospettiva, ritenendo ininfluente lo status soggettivo di colui che effettua la prestazione medica e dando preminente rilievo all'aspetto oggettivo di questa, si voleva fattivamente assicurare al consumatore finale il godimento della prestazione.

(7) Si veda, in particolare, nota della Direzione regionale delle entrate dell'Emilia Romagna,

6 dicembre, 1994, n. 39950, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa.

(8) C.M. 9 agosto 1999, n. 176/E, cit.

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IL TRATTAMENTO IVA DELLE CURE MEDICHE EFFETTUATE DA SOGGETTI NON ABILITATI

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Tuttavia, anche alla luce dell'interpretazione che sul punto ha fornito di recente la Corte di Giustizia (9), l'Amministrazione finanziaria, con la Circolare 2 ottobre 2002, n. 76/E (10), è ritornata sui suoi passi, statuendo che "le prestazioni odontoiatriche e, più in generale, le prestazioni per cure mediche e paramediche rese nell'esercizio di professioni ed arti sanitarie soggette a vigilanza ai sensi dell'art. 99 del T.U.L.S., se effettuate abusivamente, sono soggette a tassazione Iva, non essendo riconducibili alla previsione normativa di cui all'art. 10, n. 18, del D.P.R. 633/1972".

3. (…) Verso l'attuale orientamento dominante, non scevro, tuttavia di motivate critiche

Concordemente con l'orientamento giurisprudenziale dominante (11), la prassi oggi è orientata a sfavore di detta estensione; la motivazione è insita nel fatto che la precedente circolare n. 176/E del 1999 si radicava su un'illegittima interpretazione analogica della sentenza della Corte di Giustizia Ce, 11 giugno 1988, causa C-283/95 (12), con la quale veniva affermato, in materia di Iva, il principio secondo cui non è consentita una distinzione di trattamento tra operazioni lecite ed operazioni illecite. Infatti detto principio deve essere limitato al caso concreto esaminato in quella sede (prestazioni non autorizzate di gioco d'azzardo) e non può essere esteso fino ad includere la (diversa) fattispecie delle "prestazioni sanitarie rese da soggetto non iscritto nell'apposito albo professionale" che è ipotesi ben diversa in quanto include un'attività che, secondo le recenti interpretazioni della Corte di Giustizia Ce, può essere meritevole o meno dell'esenzione in argomento, a seconda del soggetto che la eserciti.

(9) Corte Ce, 10 settembre 2002, causa C-141/00, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa.

(10) In I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa.

(11) Cass., 1° aprile 2003, n. 4987, cit.; Id., 23 aprile 2001, n. 5984, cit.; Id., 30 maggio 2001, n. 7411, cit.; Id., 1° giugno 2001, n. 7422, cit.; Id., 30 luglio 2001, n. 9890, cit.; Id., 30 luglio 2001, n. 9895, cit.; Id., 24 luglio 2001, n. 10024, cit.

(12) Corte Ce, 11 giugno 1986, causa C-283/95, cit.

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1266 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

La giurisprudenza più recente, dunque, dimostra di accostarsi a tale indirizzo: è stato infatti statuito che "neppure il principio della neutralità fiscale consente l'esenzione dall'imposta delle prestazioni per cure mediche e paramediche rese alla persona nell'esercizio delle prestazioni ed arti sanitarie soggette a vigilanza (…) effettuate da soggetti non abilitati a tale esercizio (…)" (13); inoltre, l'eccezionalità, nonché la tassatività dell'esenzione in commento (14), fa si che questa possa applicarsi solo al ricorrere di tutti i presupposti che tipizzano ogni singola fattispecie agevolativa.

In tale contesto, significativa risulta la lettura della norma comunitaria che, all'art. 13, parte A, n. 1, lett. c) della VI Direttiva (15), prevede l'esenzione per le attività mediche. Anche qui infatti, come osservato in ordine alla normativa nazionale, si desume il carattere di specialità delle esenzioni rispetto all'ordinario regime di tassazione delle operazioni in quanto le singole ipotesi prescritte debbono intendersi come un numerus clausus, non suscettibile di interpretazione estensiva (16).

Emerge che tanto la normativa comunitaria, quanto quella nazionale, riferiscono l'esenzione in maniera chiara alle prestazioni rese

(13) Cass., 26 marzo 2003, n. 4424, cit.

(14) L'Iva infatti, come noto, quale imposta di carattere generale, viene applicata in via di massima a tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuati nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese, arti e professioni.

(15) Art. 13 (parte A, n. 1, lett. c) della Dir. 77/388/Cee, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa: "Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione od abuso:

(…);c) le prestazioni mediche effettuate nell'esercizio delle professioni mediche e paramediche

quali sono definite dagli Stati membri interessati;(…)".

(16) In questo senso cfr., Corte Ce, 1° luglio 1984, causa C-107/84, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa, dove (punto 17) si precisa che "Per quel che riguarda lo scopo degli esoneri contemplati dall'art. 13, è opportuno rilevare che detto articolo non cita affatto tutte le attività di interesse generale, ma solo alcune di esse, che sono elencate e descritte accuratamente in modo molto particolareggiato (…)". Sul punto, si veda anche l'interpellanza al Parlamento Europeo sull'applicabilità delle esenzioni nei rapporti di mandato, in G.U.C.E. C374E del 28 dicembre 2000, 174.

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IL TRATTAMENTO IVA DELLE CURE MEDICHE EFFETTUATE DA SOGGETTI NON ABILITATI

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"nell'esercizio dell'arte sanitaria", ponendo attenzione, quindi, anche al requisito soggettivo.

Infatti l'aspetto sanitario della prestazione "trova il suo referente ineludibile nella corrispondente qualificazione legale del soggetto abilitato a renderla" (17), così come l'elemento sociale a fondamento dell'esenzione richiede una tutela del diritto alla salute del cittadino che può essere garantita esclusivamente con l'iscrizione in appositi albi. In quest'ottica l'attività medica è scindibile in naturalistica e normativa: solo l'ultima merita l'esenzione; infatti, le prestazioni sanitarie abusive, in quanto rese da soggetti non autorizzati, sia pur di carattere sanitario in senso "naturalistico", non ottemperano tuttavia alle esigenze pretese dalla normativa ai fini dell'applicazione del regime agevolativo de quo (18).

Va notato che le oscillazioni giurisprudenziali assunsero la loro origine dall'altrettanto ambigua genesi del dato normativo comunitario. Infatti la proposta della VI direttiva (19) poneva particolare risalto all'aspetto "pienamente legale" delle prestazioni sanitarie, ma tale rigida dizione è stata successivamente attenuata con la contestuale attribuzione allo stato membro del compito di definire dette prestazioni perché potessero essere considerate meritevoli del regime agevolativo, con la conseguenza che "il mancato rispetto delle regole delle professioni, quali definite dagli Stati interessati, avrebbe negato il carattere oggettivamente sanitario della prestazione".

Ne è conseguito che la legge italiana, così come le normative degli altri Paesi membri, ha collocato le prestazioni mediche nell'ambito "dell'esercizio delle professioni sanitarie soggette a vigilanza", ponendo particolare attenzione alla componente soggettiva piuttosto che a quella oggettiva (20), contrariamente all'intenzione originaria del legislatore

(17) Comm. Trib. Prov. Salerno, 5 aprile 1997, n. 787, cit.

(18) Cfr. Cass., 23 aprile 2001, n. 5984, cit.

(19) Cfr. TERRA B., Commento all'imposta sul valore aggiunto nella Comunità europea, 1997,

sub art. 13 della Direttiva n. 77/388.

(20) In dottrina si veda tuttavia CENTORE P., nota a Comm. Trib. Prov. Firenze, in. Corr. trib.

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1268 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

comunitario, con la conseguenza di ingenerare la preoccupazione che in seno agli Stati membri potessero verificarsi abusi. La Commissione, nei suoi primi due rapporti che fece in ordine alla VI direttiva (21), pose l'accento su tale problematica, precisando che le costruzioni normative adottate dei singoli Stati crearono inaccettabili interpretazioni estensive sul piano oggettivo, contrastanti rispetto al principio base e quindi censurate dalla Corte di Giustizia (22).

La significatività che riveste sul punto il profilo soggettivo, sia al fine del collocamento di alcune attività al di fuori del campo di applicazione dell'imposta in questione, sia relativamente alla suddivisione tra professionisti ed artisti da una parte ed imprenditori dall'altra, è questione nota (23).

Va rilevato tuttavia, in merito a quest'ultimo aspetto, che gli elementi di differenziazione ai fini Iva, tra le due categorie in trattazione, assumono una rilevanza meno pregnante di quanto non accada invece nell'ambito dell'imposizione diretta (24). In effetti, la differenziazione tra professionisti (o artisti) ed imprenditori, alla stessa stregua di quella tra cessione di beni e prestazioni di servizi, è esclusivamente interna alla disciplina del tributo e rileva esternamente nelle sole ipotesi di espresso ed esclusivo riferimento all'una delle due macrocategorie (25).

n. 21/1997, 1552, il quale aderisce pienamente all'indirizzo per così dire "oggettivistico", riprendendo gli argomenti della giurisprudenza in correlazione ermeneutica con la normativa comunitaria (direttiva n. 77/388/Cee, art. 13, parte A, n. 1, lett. c). L'autore osserva inoltre che nella direttiva non viene indicato alcun riferimento alle qualità soggettive del prestatore del servizio per cui la sfera di applicazione dell'esenzione viene individuata solo oggettivamente attraverso il mero riferimento alle "prestazioni mediche effettuate nell'esercizio di professioni mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati membri interessati".

(21) Cfr. TERRA B., Commento all'imposta sul valore aggiunto nella Comunità europea, cit., sub art. 13 della Direttiva n. 77/388.

(22) Cfr. Corte Ce 23 febbraio 1988, causa C-353/85 in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa; contra, Id., 11 agosto 1995, causa C- 453/93, ivi.

(23) Si veda COMELLI A., Iva comunitaria e Iva nazionale, Padova, 2000, 463; FANTOZZI A., Diritto Tributario, Torino, 1997, 843.

(24) Nello stesso senso, VANTAGGIO M., L'esercizio di arti e professioni nell'Iva, in Rass. Trib., 2002, 1571.

(25) Nel medesimo significato, LUPI R., Diritto tributario - parte speciale, Milano, 2002, 302.

(segue nota)

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12694/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

Questo aspetto è di particolare importanza allo scopo della corretta interpretazione dei presupposti soggettivi delle esenzioni in trattazione. In effetti anche se la categoria delle persone giuridiche non può coincidere con quella degli imprenditori, non può sottacersi l'importante principio di diritto a mente del quale la giurisprudenza comunitaria ha più volte sostenuto che le esenzioni siano di pertinenza esclusiva di persone giuridiche o di persone fisiche soltanto dove la limitazione soggettiva sia indicata in maniera chiara ed espressa. Ne consegue dunque che se la norma non pretenda una particolare forma giuridica del soggetto passivo, alla stessa stregua il requisito soggettivo non può costituire alcuna limitazione ai fini dell'esenzione di imposta.

Questo principio è stato confermato dall'ulteriore evoluzione della giurisprudenza comunitaria che ha portato la Corte di Giustizia, in una recente pronuncia (26), ad affermare che "l'esenzione di cui all'art. 13 parte A, lett. c) della Sesta Direttiva non dipende dalla forma giuridica del soggetto che fornisce le prestazioni e che quindi non ha alcuna rilevanza se esso sia persona giuridica o persona fisica". Nell'occasione ha sottolineato da un lato, che l'art. 13 parte A, n. 1, lett. c), insiste sul tipo o sulla natura delle attività considerate (le "prestazioni mediche"), piuttosto che sulla forma giuridica delle persone che le svolgono; dall'altro, che "l'indicazione delle categorie professionali legittimate a svolgere dette attività sarebbe funzionale alla definizione delle stesse" (27). Ne consegue che solo le persone fisiche possono esercitare un'attività medica per conto delle persone giuridiche per cui se le prime posseggono

(26) Corte Ce, 27 settembre 2001, causa C-141/00, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa.

(27) Concordemente cfr. Corte Ce, 16 settembre 1997, causa C-145/96, Von. Hoffmann, in Racc., I, 4857, in cui la Corte ha affermato che la disposizione prevista dall'art. 9, n. 2, lett. e), terzo trattino, della Sesta Direttiva, "non riguarda professioni, come quelle di avvocato, di consulente, di perito contabile o di ingegnere, ma prestazioni. Il legislatore comunitario si richiama alle professioni elencate in questa disposizione come punto di riferimento per definire le categorie di prestazioni che vi sono contemplate".

Ancora più recentemente si veda Corte Ce, 6 novembre 2003, causa C-45/01, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa; Id., 20 novembre 2003, causa C-212/01, ivi; Id., 20 novembre 2003, causa C-307/01, ivi.

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1270 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

le necessarie qualifiche e agiscono nell'esercizio della loro professione, anche le seconde possono, per il loro tramite, esercitare un'attività economica esente ai sensi della lett. c) dell'art. 13, parte A, n. 1, della Sesta Direttiva (28).

Si ritiene tuttavia che quest'ultima interpretazione non contrasti affatto con la giurisprudenza dominante della Corte di Giustizia in virtù della quale le esenzioni Iva devono essere interpretate restrittivamente. Come visto, ciò che rileva, nelle stesse intenzioni del legislatore, è sia la riduzione dei costi delle cure mediche a favore del destinatario delle stesse, sia il principio di neutralità fiscale nel rispetto del quale le esenzioni di cui all'art. 13 devono essere applicate. Nel caso si pensasse ad una interpretazione in virtù della quale soggetti che pur effettuando medesime operazioni economiche dovessero subire un trattamento diversificato ai fini Iva, in ragione della loro diversa veste giuridica, sarebbe proprio il principio di neutralità fiscale ad essere seriamente compromesso.

La Corte di Giustizia, con ulteriore pronuncia (29), dopo aver messo in evidenza che, "secondo costante giurisprudenza, le esenzioni costituiscono nozioni autonome di diritto comunitario e, pertanto, vanno inquadrate nel contesto generale del sistema comune dell'Iva instaurato dalla VI Direttiva", ribadisce che "l'art. 13, parte A, n. 1, lett. c), della VI Direttiva definisce le operazioni esentate in relazione alla natura delle prestazioni di servizi fornite, senza menzionare la forma giuridica del prestatore; ne consegue che non è corretto circoscrivere il campo di applicazione della lett. c) alle sole persone fisiche". Peraltro, sempre secondo la Corte, "il dato letterale consente di fugare ogni dubbio in merito al rischio che possa essere eccepita una interpretazione non sufficientemente restrittiva della norma di esenzione. Costituisce, infatti,

(28) Concordemente si veda Corte Ce, 7 settembre 1999, causa C-216/97, in Riv. dir. trib.,

1999, III, 169, con nota di M. Ravaccia, Presupposto soggettivo delle operazioni esenti ed imposta

sul valore aggiunto.

(29) Corte Ce, 10 settembre 2002, causa C-141/00, cit.

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IL TRATTAMENTO IVA DELLE CURE MEDICHE EFFETTUATE DA SOGGETTI NON ABILITATI

12714/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

fattore comune della fattispecie l'obiettivo di riduzione dei costi delle cure mediche e non anche il ricorso ad un canone analogico" (30).

Conclusivamente ne emerge che tale presa di posizione è in netto contrasto con l'orientamento giurisprudenziale (sia pur) maggioritario (31) in quanto, seguendo il ragionamento della Corte di Giustizia, se la prestazione professionale-sanitaria è materialmente effettuata sul paziente da soggetti, i medici odontoiatri, in possesso della relativa abilitazione professionale, il fatto che questi (fiscalmente) operino tramite una società è da considerarsi del tutto ininfluente ai fini dell'esenzione de qua, attraverso la quale il legislatore ha voluto agevolare, si è visto, proprio il paziente. Di contro in tutte le ipotesi in cui il prestatore dovesse formalmente non identificarsi con il medico odontoiatra persona fisica, verrebbe meno il presupposto di esenzione con un aggravio sul beneficiario della prestazione medica dell'onere di corrispondere l'Iva.

(30) Il rifiuto assoluto di interpretazioni analogiche per le norme di esenzione Iva, almeno da parte dell'Amministrazione finanziaria, è stato da ultimo ribadito nella risoluzione 9 settembre 2002, n. 290/E, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa. Anche per quanto riguarda la Corte di Giustizia si tratta di orientamento consolidato; cfr. per tutte, Corte di Giustizia Ce, 5 giugno 1997, C-2/95, in I Quattro Codici della Riforma tributaria big, Cd-rom, Ipsoa.; Id., 7 settembre 1999, C-216/97, ivi.

(31) Per tutte, Cass., 1° aprile 2003, n. 4987, cit.

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12734/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

L'apporto di capitale proprio e l'effettività dei costi nel sistema della L. 488/1992

di Elia Carmelo Pallariae Giuseppe Furciniti

1. Premessa - 2. La L. 488/1992 nell'ambito delle politiche strutturali dell'Unione europea - 3. L'apporto di capitale proprio: disciplina e sistemi di frode - 4. La documentazione delle spese ammesse a contributo: sistemi di frode. Dal contratto "chiavi in mano" stipulato con società estere alle "fittizie" operazioni con l'estero

1. Premessa

Secondo i dati pubblicati dall'OLAF nel rapporto relativo al periodo luglio 2003 - giugno 2004, l'Italia è in testa alla classifica degli Stati membri dell'Ue per numero di frodi comunitarie. Verosimilmente questo risultato scaturisce più che da una particolare "propensione" alla perpetrazione di frodi degli italiani, dall'incessante impegno profuso dalle istituzioni italiane, e soprattutto dalla Guardia di Finanza, nella lotta ai fenomeni fraudolenti.

Le stesse fonti comunitarie, infatti, invitano a non trarre da questo tipo di "classifiche" conclusioni affrettate sul "tasso di criminalità" dei vari Paesi, in quanto sui dati incidono diversi fattori quali le dimensioni del singolo Stato ed il livello di azione e di professionalità delle forze dell'ordine impegnate nell'azione di contrasto. Ciò premesso, è indubbio, però, che il fenomeno delle frodi all'Ue e, in modo particolare, quello delle frodi nel settore dei fondi strutturali, ha raggiunto proporzioni preoccupanti e spinge le Autorità nazionali nella direzione della costante

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ELIA CARMELO PALLARIA - GIUSEPPE FURCINITI

1274 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

ricerca di sempre più nuovi ed efficaci strumenti di prevenzione e repressione.

Oltre al dato quantitativo, quello che a fattor comune sembra emergere dall'analisi di alcune significative esperienze investigative (1), è un innalzamento del livello "qualitativo" delle fenomenologie fraudolente, che si vanno sempre più caratterizzando, come meglio sarà esposto nei successivi punti, anche per il ricorso ad operazioni su scala internazionale e per l'intervento di società estere, quasi sempre con sede in Paesi a regime fiscale privilegiato e/o con sistemi di diritto societario che garantiscono un più o meno completo anonimato.

2. La L. 488/1992 nell'ambito delle politiche strutturali dell'Unione europea

Nel vasto panorama delle tipologie di finanziamento delle politiche strutturali con somme a carico dei fondi dell'Unione europea, questo lavoro prenderà in considerazione il settore delle erogazioni a carico della L. 488/1992, che come sappiamo è in buona parte "cofinanziata" con i fondi Ue (nel Quadro Comunitario di Sostegno 2000/2006, ad esempio, si fa riferimento ai fondi assegnati al Programma Operativo Nazionale - PON - "Sviluppo Imprenditoria Locale").

A partire dai primi anni '90, la "filosofia" degli incentivi alle imprese si è spostata gradualmente orientandosi verso:

- meccanismi di carattere automatico, in cui il riconoscimento degli incentivi è legato a procedure ed indicatori "certi" della qualità e dell'efficacia dell'investimento (è proprio su questa impostazione che è stato costruito il meccanismo della L. 488/1992, ed in questa direzione si orientano anche molte norme di incentivazione previste dalle Leggi Regionali finanziate attingendo ai fondi strutturali);

(1) Il panorama di riferimento è rappresentato da un campione di indagini svolte nel

territorio della Regione Calabria.

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L'APPORTO DI CAPITALE PROPRIO E L'EFFETTIVITÀ DEI COSTI NEL SISTEMA DELLA L. 488/1992

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- un crescente interesse verso forme di sviluppo economico integrato aventi come riferimento specifico il territorio, mirate a sfruttare le potenzialità endogene dello stesso, capaci di valorizzarne specifiche vocazioni e di attivare forme di concertazione tra attori dello sviluppo per il miglioramento delle regole di funzionamento delle istituzioni e dei mercati.

Queste linee strategiche sono ispirate a due obiettivi specifici: il primo è quello di garantire certezza nei sistemi di incentivi alle imprese più sane, capaci di autofinanziare il rischio di impresa, il secondo è quello di valorizzare territori ed idee che, altrimenti, non potrebbero essere valorizzate dalla prima forma di incentivi.

In questo contesto la L. 488/1992 ha rappresentato un consistente cambiamento nel sistema complessivo delle leggi di incentivazione. Essa è rivolta principalmente a finanziare investimenti industriali (e di servizi), e consiste in contributi in conto capitale per nuovi investimenti o per l'ampliamento di strutture già esistenti (2). L'entità del contributo è graduata secondo la zona geografica di investimento e la dimensione dell'impresa, da un minimo del 7,5% ad un massimo del 65%. Le domande di finanziamento vengono presentate ad un gruppo di banche (cosiddette "Banche Concessionarie") e classificate in graduatorie dal Ministero dell'Industria. Le graduatorie, formate su base regionale, vengono determinate utilizzando i seguenti indicatori: a) valore del capitale proprio investito nell'iniziativa sul valore dell'investimento complessivo ammissibile; b) numero degli occupati attivati dall'iniziativa sul valore dell'investimento complessivo ammissibile; c) valore dell'agevolazione massima concedibile sul valore dell'agevolazione richiesta; d) indicatore delle priorità regionali per territorio, settori merceologici, tipo d'iniziativa; e) indicatore degli effetti ecologico-ambientali derivanti dal programma d'investimento.

(2) In attuazione di recenti scelte di politica economico-finanziaria del Governo, gli incentivi a fondo perduto sembrano, tuttavia, destinati ad essere sostituiti, almeno nella misura del 50%, con agevolazioni di tipo creditizio.

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1276 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

Le domande vengono finanziate sulla base della disponibilità di fondi, fino ad esaurimento. Il contributo concesso viene erogato in due o tre rate. La legge lascia spazio ad un'area di relativa discrezionalità ed a due aree di incertezza. Per quanto riguarda gli aspetti di discrezionalità, questi sono riscontrabili nella valutazione effettuata dalle Banche Concessionarie in sede di valutazione del progetto di investimento. Questi elementi sono tuttavia mitigati dalla presenza di un insieme di parametri che la normativa richiede di indicare esplicitamente, fornendo delle formule per il calcolo degli indici ed un software applicativo per la compilazione del "business plan". Per quel che riguarda le aree di incertezza, esse derivano dalla compilazione delle graduatorie dei progetti e dai finanziamenti: gli imprenditori che presentano un piano di investimento hanno una prima incertezza sulla possibilità di entrare nella graduatoria dei progetti idonei, ed un secondo margine di incertezza sulla disponibilità di fondi, in quanto quelli disponibili potrebbero non coprire l'intera graduatoria.

3. L'apporto di capitale proprio: disciplina e sistemi di frode

Per l'erogazione del contributo a fondo perduto, nel sistema di funzionamento della L. 488/1992 si prevedono degli alti tassi di fornitura del capitale proprio da parte del richiedente. In particolare, uno degli indicatori per la valutazione delle domande, come si è già detto, prevede che minore è la quota di contributo richiesto sul capitale proprio, maggiore è la probabilità di finanziamento: nella sostanza questo meccanismo dovrebbe incentivare una "self-selection" dei progetti ritenuti validi da parte dei finanziatori, riducendo l'incentivo a richiedere agevolazioni solo a causa della disponibilità di contributi "a buon mercato". Le circolari esplicative della legge (3) disciplinano in modo dettagliato le modalità di apporto del capitale proprio nell'ottica del principio secondo il quale essere disposti a investire una buona

(3) Circolare Ministero Attività Produttive n. 900315 del 14 luglio 2000, con gli aggiornamenti

introdotti dalla Circolare n. 972064 del 15 gennaio 2003.

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L'APPORTO DI CAPITALE PROPRIO E L'EFFETTIVITÀ DEI COSTI NEL SISTEMA DELLA L. 488/1992

12774/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

quota del capitale di rischio da parte del potenziale imprenditore dovrebbe garantire chi concede l'incentivo della buona profittabilità attesa dall'investimento. È previsto, tra l'altro, che il capitale proprio investito o da investire nel programma (che non può essere comunque inferiore, in valore nominale, al 25% dell'investimento ammissibile) è costituito dagli aumenti del capitale sociale e/o dai conferimenti dei soci in conto aumento del capitale stesso, deliberati (ad eccezione, ovviamente, che per le ditte individuali) dai competenti organi sociali entro la prima erogazione dei contributi e versati, anche da parte delle ditte individuali, in una o più soluzioni, a partire dall'anno solare di presentazione della domanda di concessione del contributo e fino a quello di ultimazione del programma e, comunque, non oltre la data di ultimazione medesima ovvero, qualora il programma venga ultimato prima del decreto di concessione provvisoria, fino all'anno solare del decreto medesimo.

Nel caso in cui, nel corso dei suddetti anni solari, l'impresa produca utili o effettui ammortamenti anticipati e li accantoni in un apposito fondo del patrimonio netto per tutta la durata del programma, in sostituzione dei versamenti dei suddetti aumenti e/o conferimenti, possono essere presi in considerazione i citati ammortamenti e/o accantonamenti, al netto delle eventuali perdite prodotte anno per anno nello stesso periodo e non ripianate, purché gli stessi risultino da bilanci approvati o dalle dichiarazioni dei redditi presentate. Per ottenere la prima erogazione l'impresa beneficiaria, ad eccezione di quella individuale, deve produrre alla banca concessionaria, qualora non già prodotta in fase istruttoria, la documentazione utile a comprovare l'impegno ad apportare il capitale proprio in una o più delle forme consentite, fino al raggiungimento dell'ammontare complessivo eventualmente indicato nella specifica condizione riportata nel provvedimento (decreto) di concessione. Ai fini delle erogazioni, ivi compresa l'eventuale quota a titolo di anticipazione, inoltre, l'impresa beneficiaria deve produrre alla banca concessionaria la documentazione utile a comprovare l'avvenuto versamento e/o accantonamento:

- nel caso di due quote: per la prima, almeno della metà del suddetto ammontare complessivo del capitale proprio indicato nel provvedimento di concessione provvisorio;

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1278 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

- nel caso di tre quote: per la prima, di almeno un terzo, e per la seconda di almeno due terzi del suddetto ammontare complessivo. Per quanto concerne le imprese individuali, il capitale proprio è pari alla somma delle variazioni del patrimonio netto risultanti dai bilanci relativi a ciascuno degli anni solari di realizzazione del programma. Gli aumenti e/o i conferimenti realizzati mediante apporto di mezzi freschi devono essere imputati all'anno solare di effettivo versamento; gli aumenti e/o i conferimenti realizzati mediante conversione delle poste dell'esercizio precedente quello di presentazione della domanda devono essere imputati all'anno solare della relativa delibera di conversione; gli utili accantonati e gli ammortamenti anticipati e, per le imprese individuali, gli incrementi di patrimonio netto devono essere imputati con riferimento all'esercizio sociale nel quale sono maturati. Qualora l'esercizio sociale non coincida con l'anno solare, gli utili accantonati e/o gli ammortamenti anticipati vengono attribuiti "pro quota" a ciascuno degli anni solari nei quali gli stessi sono maturati.

L'obbligo di conferire nella realizzazione dell'investimento ammesso a contributo una quota parte di capitali propri rappresenta un punto di forte criticità del sistema.

La prima fase di applicazione della L. 488/1992 ha messo in luce molti casi in cui fin dall'origine manca nel destinatario delle agevolazioni la capacità economica di realizzare questo apporto di capitale, mentre in altri non infrequenti casi ne manca addirittura la volontà, come si verifica in tutte quelle ipotesi in cui, per lucrare indebitamente i contributi della legge, vengono costituite delle società "ad hoc" (normalmente nella forma della S.r.l.).

Per quello che è possibile enucleare dall'analisi dell'attività operativa di alcune aree geografiche interessate da un massiccio flusso di risorse erogate nell'ambito della L. 488/1992, i sistemi di frode realizzati attraverso la violazione dell'obbligo di apporto di capitale proprio, finalizzati a dimostrare all'Ente erogatore apporti di capitale in realtà mai avvenuti, sono abbastanza diversificati (4). Esaminiamone qualcuno nel concreto.

(4) Vedi precedente nota n. 1.

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L'APPORTO DI CAPITALE PROPRIO E L'EFFETTIVITÀ DEI COSTI NEL SISTEMA DELLA L. 488/1992

12794/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

In alcuni casi la frode viene realizzata attraverso la registrazione in contabilità generale di esborsi di denaro asseritamente sostenuti dai soci a titolo di "Anticipi a fornitori", con contestuale costituzione di un "Credito" dei soci nei confronti della società e successiva "Rinuncia" dei soci al credito, che viene quindi "girato" ad aumento di capitale. Nei confronti della Banca Concessionaria l'apporto di capitale proprio viene "provato" con l'invio di una fotocopia delle scritture del libro giornale munita di autentica notarile. Di fatto gli esborsi di denaro a titolo di anticipo da parte dei soci non sono mai avvenuti.

In altri casi si registra l'emissione da parte dei soci di assegni bancari tratti dai propri conti correnti ed aventi come beneficiario la società destinataria dei contributi, per importi pari a quelli previsti nel decreto di concessione provvisoria in relazione all'obbligo imposto di aumento di capitale proprio. Tali assegni non vengono, di fatto, mai portati all'incasso da parte della società, ma sono solo strumentali a dimostrare alla banca concessionaria l'adempimento del predetto obbligo.

Altre volte si assiste alla realizzazione, in base ad una disponibilità finanziaria del tutto temporanea costituita sui conti correnti dei soci obbligati al conferimento di mezzi propri, di una serie di operazioni di accredito del conto corrente della società beneficiaria dei contributi effettuate dai soci stessi con causale "aumento di capitale", che sono poi seguite da operazioni di addebito di pari importo che annullano la precedente operazione. Con la complicità dei funzionari bancari (che in tali ipotesi si è rivelata, ovviamente, determinante) il beneficiario dei contributi ottiene le contabili bancarie relative ad ogni singola operazione di accredito da presentare alla Banca concessionaria a comprova dell'avvenuto "apporto" di mezzi propri. In effetti nessun reale apporto di mezzi finanziari viene effettuato nelle casse della società destinataria dei fondi ex L. 488/1992 e grazie alle lacune nel sistema di controllo della banca concessionaria è possibile perfezionare il raggiro. Nei casi come quello appena descritto, infatti, sarebbe bastato, per smascherare la truffa, che la Banca Concessionaria richiedesse un semplice estratto conto del C/C bancario della società su cui sarebbero confluite le somme a titolo di apporto di capitale. In tal caso sarebbe emerso che

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1280 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

il saldo attivo del C/C, a conclusione del carosello di operazioni in accredito ed in addebito, era sempre pari a zero (5).

Con riferimento al tema dell'apporto di capitale proprio, dopo un considerevole periodo di applicazione della L. 488/1992 l'autorità amministrativa, soprattutto sulla scorta dell'incisiva azione di contrasto alle frodi svolta dalla Guardia di Finanza, ha preso atto di diverse aree di criticità presenti nei suoi meccanismi attuativi e con la Circolare n. 972064 del 15 gennaio 2003 ha introdotto specifici criteri istruttori riguardanti la consistenza patrimoniale e finanziaria dell'impresa richiedente (anche con riferimento alla figura dei soci della stessa) attraverso:

1) l'analisi di quanto dichiarato dall'impresa nella prima parte del business plan che accompagna la richiesta di contributo;

2) l'analisi degli ultimi due bilanci approvati prima della presentazione del Modulo di domanda e dell'eventuale altra documentazione richiesta, la determinazione dei più significativi indici e la relativa comparazione con quelli di aziende dello stesso settore.

Le indicazioni impartite con la Circolare in argomento prevedono che l'accertamento consista nell'analisi della situazione economica, patrimoniale, finanziaria e di mercato dell'impresa prima dell'avvio a realizzazione del programma proposto al fine di valutare la capacità dell'impresa stessa e, ove occorra (in particolare qualora l'impresa non abbia ancora due bilanci chiusi e approvati alla data di presentazione della domanda) anche dei soci, di far fronte agli impegni derivanti dalla realizzazione dell'iniziativa, sia sotto il profilo economico-finanziario che imprenditoriale.

L'analisi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell'impresa è, quindi, finalizzata:

a) alla verifica della sussistenza dell'equilibrio economico-finanziario-patrimoniale quale premessa essenziale per l'assunzione di ulteriori impegni;

(5) Le operazioni di accredito/addebito, tra l'altro, sono avvenute tutte nella stessa giornata

a distanza di pochi minuti l'una dall'altra.

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L'APPORTO DI CAPITALE PROPRIO E L'EFFETTIVITÀ DEI COSTI NEL SISTEMA DELLA L. 488/1992

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b) alla verifica quantitativa e qualitativa delle disponibilità di risorse finanziarie attuali e potenziali che l'impresa è in grado di attivare, sia in termini di mezzi propri che di ricorso al credito, al fine di accertare la sostenibilità finanziaria del programma di investimenti.

La banca concessionaria deve quindi effettuare una valutazione dello stato di salute dell'impresa richiedente attraverso la determinazione degli indici per l'analisi economica, finanziaria e patrimoniale della stessa e/o dei soci della stessa (siano essi persone fisiche o giuridiche).

In tale fase è necessario distinguere le imprese operative in possesso di almeno due bilanci approvati alla data di presentazione della domanda dalle imprese non operative o non in possesso di almeno due bilanci. L'analisi attraverso la "griglia degli indici" successivamente descritta, infatti, non potrà aver corso nel caso ci si trovi di fronte ad imprese neo-costituite e quindi non in possesso dei suddetti bilanci oppure ad imprese non operative, ovvero quelle imprese sostanzialmente inattive prima della presentazione della domanda in esame, per le quali, pur disponendo di due bilanci d'esercizio approvati, l'esame degli indici non evidenzierebbe dati di particolare significatività.

Al fine di uniformare il criterio con il quale vengono analizzati i dati conseguenti al calcolo degli indici da parte delle Banche concessionarie, la Circolare impone l'utilizzazione di un unico modello per la valutazione delle imprese operanti nel settore "Industria".

L'esame dovrà essere effettuato sulla base dei seguenti indici (6) calcolati sui dati di bilancio relativi a ciascuno dei due esercizi precedenti

(6) Per ciascun indice si individua un valore ottimale e, conseguentemente, un punteggio in

funzione delle seguenti classi di valori:

Classi di valori Punti"A" >= Valore ottimale:

15%3

10% <= "A" < 15% 2

O < "A" < 10% 1

"A" <= O 0"B" >= Valore ottimale:

1,253

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la presentazione della domanda esposti nella "scheda tecnica" ad essa allegata (ultimo e penultimo consuntivo):

A. indice di indipendenza finanziaria: patrimonio netto/totale passivo;

B. indice di copertura delle immobilizzazioni: patrimonio netto + debiti a medio lungo termine/immobilizzazioni;

C. incidenza oneri finanziari: saldo gestione finanziaria/fatturato.

In relazione alla "classe di merito" di appartenenza per ciascuno degli esercizi considerati, si perviene alla valutazione finale (positiva, negativa, da approfondire) sulla base dello schema di seguito riportato (7):

1 <= "B" < 1,25 2

O < "B" < 1 1

"B" <= O 0

"C" <= Valore ottimale: 5% 3

5% < "C" <= 10% 2

10% < "C" <= 20% 1

"C" > 20% 0

Successivamente, all'impresa sarà attribuito un punteggio complessivo variabile da 0 a

9, pari alla somma dei punti ottenuti per ciascuno dei suddetti indici. Tale punteggio complessivo

determina il riconoscimento di una delle seguenti classi di merito:

Classe di merito Punteggio impresaA "X" >= 6B "X" uguale a 5 o 4C "X"< 4

(7) Nello STATO 1 - valutazione positiva - rientreranno le imprese che presentano un

punteggio che consente di attestare un buon equilibrio patrimoniale, economico e finanziario.

Nello STATO 2 - valutazione da approfondire e motivare in caso di esito positivo - si

ritrovano le imprese che presentano un punteggio nel complesso sufficiente ma che necessita di

ulteriori approfondimenti e precisazioni, finalizzati a valutare e motivare le variazioni di "STATO"

intervenute tra i due bilanci esaminati, con particolare riferimento a:

- situazione di bilancio aggiornata a data recente;

- prospettive di mercato e di crescita dell'impresa;

- portafoglio ordini;

(segue nota)

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Penultimo Ultimo Valutazioneconsuntivo consuntivo

Classe di merito A Classe di merito A STATO "1"

Classe di merito B Classe di merito A Positiva

Classe di merito A Classe di merito B

Classe di merito B Classe di merito B STATO "2"

Classe di merito C Classe di merito B Da approfondire e motivare in caso

Classe di merito C Classe di merito A di esito positivoClasse di merito A Classe di merito C

Classe di merito B Classe di merito C STATO "3"Classe di merito C Classe di merito C Di norma negativa

Infine, per quanto riguarda l'analisi delle condizioni di redditività dell'impresa, la Circolare impone di esaminare i valori e il relativo andamento, nei due esercizi di riferimento, dei seguenti indici:

- ROI: Reddito Operativo/Totale Attivo;

- ROE: Risultato al netto delle imposte/Patrimonio netto.

In particolare, qualora i valori di tali indici risultassero uguali o inferiori a zero nei due esercizi considerati, l'istruttoria dovrà concludersi di norma con esito negativo.

Nel caso di imprese neo-costituite o non operative, non risultando possibile avvalersi della "griglia degli indici", è necessario procedere ad un'analisi più articolata che si incentra sulla figura dei "soggetti economici" che propongono le iniziative e che potranno essere:

- persone fisiche (titolari di ditte individuali, soci di società di persone o di capitali);

- persone giuridiche (soci di società di capitali).

- ulteriori informazioni acquisite sull'impresa;

- rapporto: (ATTIVO CIRCOLANTE - RIMANENZE)/PASSIVO CIRCOLANTE.

Nello STATO 3 - valutazione di norma negativa - rientrano le imprese il cui punteggio non consente di attestare un sufficiente equilibrio patrimoniale, economico e finanziario.

(segue nota)

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1284 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

Soprattutto per le imprese neo-costituite o non operative, infatti, diventa determinante la valutazione della consistenza finanziaria del titolare o dei soci al fine di verificare l'affidabilità degli stessi in relazione alla loro capacità di far fronte ai previsti apporti di mezzi propri necessari per la copertura del piano finanziario per la realizzazione dell'investimento proposto.

Gli accertamenti, che sotto l'aspetto quantitativo sono rivolti alla verifica della effettiva capacità di apportare mezzi propri e di ottenere finanziamenti bancari nelle misure rispettivamente necessarie, si possono così sintetizzare.

A. Per le persone fisiche

La Banca concessionaria dovrà:

- effettuare attraverso Cerved un controllo protesti sul soggetto;

- effettuare, sempre a mezzo Cerved, una verifica storica sul soggetto interessato per accertare in quali altre imprese questi abbia in passato o nel presente rivestito qualifiche di socio e/o amministratore, acquisendo, sia attraverso lo stesso Cerved sia attraverso apposita richiesta all'impresa richiedente, gli elementi valutativi di tali imprese, ed, in particolare, di quelle in cui il soggetto interessato abbia o abbia avuto partecipazioni significative (> 25%) (8).

(8) Oltre a tali riscontri, al fine di poter accertare che il soggetto in esame abbia la capacità di apportare mezzi propri e di fornire, ove necessario, eventuali garanzie per ricorrere a finanziamenti bancari, si dovrà acquisire, fino a concorrenza degli importi necessari per la copertura del piano finanziario:1) una dichiarazione di uno o più soggetti finanziari con i quali intrattiene rapporti, anche

attraverso estratti conto dei conti correnti e dei conti titoli, che attestino il valore della giacenza media annua delle disponibilità mobiliari e liquide dello stesso (se possibile con dettaglio circa la natura delle singole disponibilità). Circa tale dichiarazione la Banca concessionaria dovrà, opportunamente, effettuare un puntuale riscontro della veridicità del documento rilasciato e della modalità della sua redazione, possibilmente verificando i criteri con i quali questo è stato formulato;

2) una dichiarazione dello stesso soggetto socio che riporti il dettaglio dei beni immobili dei quali risulta proprietario, con l'indicazione dell'ubicazione, della tipologia/classificazione, del valore commerciale attribuito, della percentuale di proprietà, degli eventuali gravami a cui ogni singolo cespite è eventualmente soggetto (in questo caso evidenziando anche gli importi dei residui

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12854/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

B. Per le persone giuridiche

La verifica della struttura patrimoniale economica e finanziaria delle

persone giuridiche che detengono quote di partecipazione significative

(superiori al 25%) delle imprese richiedenti le agevolazioni segue gli

stessi criteri previsti per le imprese operative trattate in precedenza. In

particolare, previa verifica formale dei dati a disposizione della Banca

concessionaria, questa dovrà provvedere alla determinazione degli indici

delle operazioni finanziarie correlate all'apposizione delle garanzie ipotecarie). Dovrà inoltre essere fornita indicazione se trattasi di beni strumentali o meno (es.: abitazione del nucleo familiare piuttosto che cespiti liberi, in locazione o comodato a terzi ecc.). Tale dichiarazione prevede una più amplia serie di controlli. Il primo riscontro da effettuarsi è quello fra i valori riportati e quanto emerge per congruità con le dichiarazioni dei redditi, le dichiarazioni ICI ed eventualmente gli atti dimostranti i titoli di proprietà quando l'acquisto di questi cespiti sia avvenuto nel breve periodo. È infatti opportuno appurare la reale e completa disponibilità da parte del socio dichiarante del cespite descritto nella dichiarazione, disponibilità che si deve manifestare anche nelle intenzioni con una sua specifica indicazione se, per ottenere le liquidità necessarie, intende utilizzare in tutto od in parte il proprio patrimonio immobiliare alienandolo o piuttosto ponendolo a garanzia di affidamenti personali. I cespiti inoltre devono essere disponibili per il 100% del loro titolo di proprietà, e quindi la volontà del socio deve essere integrata da analoga dichiarazione in tal senso da parte di ogni altro singolo proprietario pro-quota di cespiti cointestati. Successivamente, si rende necessario il confronto delle valutazioni espresse circa i valori commerciali degli stessi con quanto indicato in pubblicazioni specifiche di settore, mantenendo adeguate percentuali di scarto (10% in caso di alienazione dei cespiti, 30% nel caso gli stessi vengano utilizzati quale garanzia di finanziamenti ipotecari personali) in funzione della volontà del soggetto esaminato a voler alienare piuttosto che utilizzare quali garanzie i beni stessi per ottenere le liquidità potenzialmente necessarie. A questo proposito si ricorda che nel caso il soggetto in esame opti per l'utilizzo del patrimonio immobiliare a garanzia di operazioni finanziarie per l'ottenimento di liquidità, l'esame da effettuarsi non potrà prescindere dalla corretta valutazione anche delle capacità di rimborso. Ulteriore approfondimento merita la distinzione fra quei cespiti direttamente o indirettamente utilizzati dal socio a fini personali e gli altri cespiti facenti parte del proprio patrimonio. In ogni caso i cespiti destinati ad abitazione del nucleo familiare del soggetto in esame (o di componenti del nucleo familiare) non potranno in nessun caso essere considerati fra quelli destinabili alla vendita, ma solamente ed eventualmente fra quelli utilizzabili come garanzia a fronte di affidamenti personali del socio (sempre che questi, come si è già ricordato, dimostri di avere capacità di rimborso adeguate all'entità dei finanziamenti eventualmente concessi); analogo comportamento si dovrà seguire per quei cespiti che sono stati locati o ceduti in comodato gratuito dagli stessi all'impresa richiedente e da questa utilizzati nel proprio ciclo produttivo.

(segue nota)

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1286 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

patrimoniali, finanziari ed economici utilizzando la "griglia" in precedenza descritta, al fine di determinare, attraverso l'analisi dei dati di bilancio dei due esercizi precedenti, le capacità dell'impresa partecipante di far fronte agli impegni finanziari previsti dal programma.

A questo proposito particolare attenzione dovrà essere posta nella determinazione del "cash flow" aziendale relativo agli ultimi due esercizi chiusi dalla partecipante, dato utile questo a determinare nella media la capacità della stessa a produrre adeguati flussi di reddito che possano nel complesso far presumere la sua capacità a far fronte agli impegni finanziari del programma.

In ultima analisi, la Banca concessionaria deve verificare che la qualità, la quantità e soprattutto i tempi di effettiva disponibilità delle risorse "attivabili" da parte dell'impresa e dei soci sia compatibile con l'articolazione temporale degli impegni previsti dalla realizzazione del programma di investimenti al fine di accertarne la sostenibilità finanziaria.

La Banca concessionaria, durante l'iter istruttorio, può ricorrere in qualsiasi momento lo ritenga opportuno all'utilizzo di dati rivenienti da Banca d'Italia per flussi di ritorno di Centrale dei Rischi, purché naturalmente l'impresa analizzata abbia linee di credito per valori superiori ai previsti limiti di censimento (attualmente € 150.000) e, in particolare:

1) in sede di verifica dei dati patrimoniali, economici e finanziari di bilancio dell'impresa richiedente, al fine di:

- verificare la presenza ed eventualmente chiarire l'esposizione di dati anomali (es.: partite di contenzioso, sconfinamenti, soprattutto su operazioni di finanziamento a medio termine, ecc.);

- controllare la rispondenza fra quanto riportato da questa nei bilanci in esame per esposizioni debitorie verso il sistema bancario, sia per il breve che per il medio e lungo termine;

- verificare la capacità di credito della stessa nei confronti del sistema ed il grado di utilizzo delle linee di credito di primo, secondo, terzo e quarto limite di rischio (es.: rapporto fra fatturato di periodo e utilizzo delle linee di smobilizzo commerciale; capacità di ottenere linee di credito a breve termine quali scoperti di c/c per pre-finanziare le opere in programma, ecc.);

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12874/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

2) in sede di verifica dei dati patrimoniali, economici e finanziari dei soci persone fisiche della richiedente, attraverso la verifica dei rapporti coobbligati con i nominativi interessati, al fine di poter avere il complesso dei dati relativi alle posizioni di rischio che tali soggetti hanno assunto e/o garantiscono nei confronti del sistema bancario;

3) in sede di verifica dei dati patrimoniali, economici e finanziari dei soci persone giuridiche della richiedente, attraverso la verifica della capacità di credito presente e futura di tali soggetti, del grado e del modo di utilizzo delle linee di credito eventualmente concesse e dell'eventuale presenza di dati anomali (es.: partite di contenzioso, sconfinamenti, soprattutto su operazioni di finanziamento a medio termine, ecc.).

È da evidenziare, comunque, che anche queste più approfondite forme di controllo della capacità di apportare capitali propri nella realizzazione del progetto ammesso a finanziamento, se non accompagnate da adeguati correttivi, sono destinate a produrre scarsi effetti nei confronti di soggetti privi di scrupoli che intendono accedere in modo fraudolento ai contributi. In particolare sarebbe opportuno uno scambio di informazioni tra banche concessionarie per scongiurare tutti quei casi in cui è stato concretamente accertato che gli stessi soggetti, avvalendosi di più società controllate direttamente o attraverso prestanomi, presentavano fino a dieci diversi progetti di investimento ad altrettante banche concessionarie: poiché queste ultime non realizzano un interscambio di informazioni, limitandosi a valutare isolatamente il singolo progetto, a favore dello stesso "gruppo" di soggetti sono stati concessi contributi per progetti che, complessivamente considerati, comportavano un apporto di capitali propri che non poteva assolutamente considerarsi "garantito".

4. La documentazione delle spese ammesse a contributo: sistemi di frode. Dal contratto "chiavi in mano" stipulato con società estere alle "fittizie" operazioni con l'estero

La "documentazione" di fittizi apporti di capitale proprio prelude, con un meccanismo pressoché automatico, alla documentazione di

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1288 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

costi fittizi. L'apporto di capitale proprio, infatti, oltre a rappresentare una garanzia per lo Stato in relazione al contributo concesso ed alla realizzabilità dell'investimento, è necessario per poter anticipare parte dei costi da rendicontare per ottenere le erogazioni successive alla prima. Ne deriva che, qualora gli aumenti di capitale siano fittizi, il beneficiario non avrà la disponibilità di risorse finanziarie adeguate a sostenere i costi da rendicontare ai fini delle successive erogazioni ed i costi rendicontati, pertanto, non rispecchieranno il valore reale dei beni e servizi cui si riferiscono, finendo per essere, in tutto o in parte, fittizi e strumentali ad ottenere le singole "tranches" di contributo.

Per quanto concerne i costi documentati ai fini dell'erogazione delle singole quote di contributo, si riscontrano, in primo luogo, casi di produzione di titoli di spesa falsamente "quietanzati" e di titoli di pagamento "apparenti". Secondo le circolari applicative della L. 488/1992, le spese rendicontate fino alla data di ultimazione dell'investimento prevista nel decreto di concessione provvisorio, per essere ammesse a liquidazione nel relativo stato di avanzamento devono essere effettivamente sostenute. Ciò significa che l'esborso finanziario relativo al costo rendicontato deve essersi verificato e che le somme dovute nei confronti dei fornitori di beni e servizi non possono essere contabilizzate a debito. Sono frequenti, invece, i casi in cui il beneficiario, per dimostrare alla Banca concessionaria il pagamento dei fornitori, documenta come già avvenuti pagamenti in realtà effettuati con assegni post-datati rispetto al titolo di spesa cui si riferiscono, o allega assegni che poi non verranno mai portati all'incasso in quanto afferenti a titoli di spesa oggettivamente (in tutto o in parte) inesistenti.

Più insidiosi sono i casi di operazioni societarie ed attività contrattuali complesse poste in essere da soggetti giuridici formalmente indipendenti, ma, di fatto, riconducibili ad un unico centro di interesse. In particolare, in tali casi, si realizza il conferimento, da parte della società beneficiaria di contributi, di un contratto di appalto "chiavi in mano" ad altra società, controllata o controllante, per la realizzazione in blocco dell'opera finanziata, con emissione, da parte della società appaltatrice, di fatture relative ad operazioni totalmente o parzialmente inesistenti, finalizzate a comprovare la realizzazione di stati di avanzamento dei

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L'APPORTO DI CAPITALE PROPRIO E L'EFFETTIVITÀ DEI COSTI NEL SISTEMA DELLA L. 488/1992

12894/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

programmi di investimento non corrispondenti all'effettivo stato dei lavori, o di fatture emesse per importi elevati, asseritamente corrisposti a titolo di "anticipo". Il debito Iva dell'emittente le fatture, nell'ambito del gruppo societario, è stato azzerato con una semplice partita di giro, e cioè con la cessione alla società controllante del credito Iva della controllata destinataria delle fatture false (9).

Altre fattispecie hanno fatto emergere operazioni con l'estero, in particolare con Paesi a fiscalità agevolata, realizzate al solo scopo di far lievitare i prezzi di acquisto dei beni ammessi a finanziamento, attraverso apporti simulati di valore aggiunto, nonché al fine di trasferire all'estero il provento della frode. In tale contesto è invalsa la prassi

(9) Anche su questi aspetti, sulla scorta di un primo periodo di applicazione nel corso del quale sono emerse diverse aree di criticità del sistema, il Ministero delle Attività Produttive è intervenuto con un'apposita Circolare (la n. 946470 del 5 dicembre 2003 - Spese ammissibili e business plan). Relativamente alla realizzazione di un programma di investimenti o di una parte dello stesso con la modalità "chiavi in mano", tenuto conto che nessun contributo può essere commisurato a prestazioni derivanti da attività di intermediazione commerciale e/o assistenza ad appalti, la Circolare ha disposto che le forniture che intervengono attraverso tale modalità devono consentire di individuare i reali costi delle sole immobilizzazioni tipologicamente ammissibili alle agevolazioni depurati, dalle componenti di costo di per sé non ammissibili. Secondo la Circolare, pertanto, ai fini del riconoscimento di ammissibilità delle spese tali contratti di fornitura potranno essere utilmente considerati alle seguenti condizioni:- il contratto "chiavi in mano" dovrà contenere l'esplicito riferimento alla pratica di agevolazioni L.

488/1992; esso dovrà contenere una dichiarazione con la quale l'impresa beneficiaria specifica di aver richiesto detta fornitura per la realizzazione, in tutto o in parte, del programma di investimenti di cui alla domanda di agevolazioni;

- al contratto di fornitura "chiavi in mano" dovrà essere allegato, formandone parte integrante, il prospetto dettagliato di tutte le distinte acquisizioni, da individuare singolarmente e raggruppare secondo le note categorie di spesa (progettazione e studi, suolo, opere murarie e assimilate, macchinari, impianti ed attrezzature), con individuazione dei costi per ogni singola voce di spesa;

- il general contractor dovrà impegnarsi a fornire, per il tramite dell'impresa beneficiaria ed a semplice richiesta di quest'ultima o della Banca concessionaria o del Ministero o di loro delegati, ogni informazione riguardante le forniture dei beni e dei servizi che lo stesso general contractor acquisisce in relazione alla commessa affidatagli, ed in particolare il nominativo dei suoi fornitori ed i titoli di spesa che questi emettono nei suoi confronti utili a comprovare la natura delle forniture ed il loro costo; tale impegno dovrà essere esplicitamente riportato nel contratto. La mancata ottemperanza determina l'automatica decadenza dai benefici di tutte le prestazioni, di qualsiasi natura, oggetto del contratto.

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1290 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

fraudolenta in virtù della quale i macchinari e le attrezzature ammessi a finanziamento sono oggetto di numerosi passaggi tesi a farne lievitare il costo. Descriviamo di seguito, nel dettaglio alcuni dei meccanismi ricostruiti.

Caso A:

- un fabbricante friulano vende dei macchinari oggetto di agevolazione in parte ad un acquirente Emiliano ed in parte ad una sua controllata estera con sede nella limitrofa Slovenia;

- l'acquirente emiliano vende gli stessi macchinari ad una sua collegata di San Marino, aumentandone il costo senza addebitare Iva;

- la società acquirente di San Marino vende gli stessi macchinari alla società Slovena aumentandone ulteriormente il costo;

- la società Slovena, facendo lievitare ulteriormente il costo, con il pretesto di apportare alle macchine migliorie tecniche (ma, di fatto, senza effettuare alcuna lavorazione) fornisce infine i macchinari alla società italiana beneficiaria dei contributi a fondo perduto nello stesso stato di fatto in cui li ha ricevuti dal fabbricante friulano.

In effetti i macchinari e le attrezzature per l'esecuzione di lavori di miglioramento non si sono mai effettivamente mossi dall'Italia e sono stati forniti, nello stato di prodotto finito, dal primo produttore all'utilizzatore finale. Tutta la fittizia movimentazione internazionale è servita solo a moltiplicare il prezzo di trasferimento, consentendo di documentare un costo di gran lunga superiore a quello sostenuto.

La differenza tra il costo "documentato" ed il valore reale è finita a S. Marino sotto forma di pagamento ad una società che è la classica "scatola vuota", riconducibile ai soggetti beneficiari dei contributi, priva di qualsivoglia struttura produttiva e dotata solo di una casella postale.

Caso B:

- il beneficiario dei contributi di cui alla L. 488/1992 stipula un contratto per la fornitura "chiavi in mano" dell'impianto con una società inglese, priva di una vera e propria struttura operativa, di fatto a lui riconducibile;

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12914/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

- a fronte del contratto stipulato, il beneficiario italiano inizia a pagare somme per diversi milioni di euro alla società inglese a titolo di "Acconto";

- immediatamente dopo i pagamenti ricevuti la società inglese trasferisce le somme su una società con sede nelle Isole Vergini Britanniche che, a sua volta, le rimette sui conti di una società lussemburghese (c.d. Società di Partecipazione Finanziaria), interamente controllata dalla società con sede nelle Isole Vergini Britanniche (Tortola), che le trasferisce, infine, alla stessa società italiana beneficiaria della L. 488/1992 con causale "versamento in conto futuro aumento capitale";

- dopo quasi due anni dalla stipula del contratto "chiavi in mano" e dopo il pagamento di circa 11 milioni di euro, della fornitura dell'impianto di produzione non c'è ovviamente traccia.

Con questo sistema, ripetuto più volte, sulla base di false fatturazioni in acconto, le somme erogate ai sensi della L. 488/1992 escono come pagamenti di forniture (fittizie) e rientrano come "apporti di capitale" da parte di altre società estere improvvisamente interessate ad investimenti in aree geografiche che per essere zone "obiettivo 1" nell'ambito del Quadro Comunitario di Sostegno, sono, per definizione, aree ad economia depressa. È ovvio che sia la società inglese, sia quella con sede nelle Isole Vergini e sia la società Lussemburghese che "investe" sono riconducibili allo stesso beneficiario della L. 488/1992, ma sono evidenti anche le difficoltà probatorie derivanti dalla scarsa o inesistente collaborazione internazionale che si riscontra nei cosiddetti paradisi fiscali o nei paesi "scarsamente collaborativi".

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L'evoluzione del concetto di stabile organizzazione ai fini Iva. Riflessi operativi

di Renzo Nisi

1. Premessa - 2. La presenza in Italia ai fini Iva di un soggetto non residente - 3. Residenza fiscale dell'operatore - 4. La convivenza delle diverse possibilità di identificazione in capo al contribuente - 5. I differenti tipi di stabile organizzazione - 5.1 L'autonomia giuridica della stabile organizzazione ai fini Iva - 5.2 Il centro di attività stabile - 6. Stabile organizzazione e convenzioni contro le doppie imposizioni: riflessi operativi - 7. Conclusioni

1. Premessa

Con l'accoglimento anche in Italia della nozione di stabile organizzazione (1) ai fini delle Imposte dirette, sembra conoscere nuova vita anche la problematica inerente la nozione di stabile organizzazione ai fini Iva.

Scopo del presente studio è quello di offrire un'analisi del concetto di stabile organizzazione sotto il profilo Iva, al fine di fornire un contributo ermeneutico nella controversa materia.

A differenza di quanto accadeva con riferimento al settore delle Imposte dirette, dove il concetto di stabile organizzazione veniva

(1) Art. 162 - Stabile organizzazione (Testo post riforma 2004), D.P.R. 917/1986 - 1. Fermo

restando quanto previsto dall'art. 169, ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle

attività produttive di cui al D.L.vo 15 dicembre 1997, n. 446, l'espressione "stabile organizzazione"

designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l'impresa non residente esercita in tutto o in

parte la sua attività sul territorio dello Stato.

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RENZO NISI

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desunto da quanto a livello internazionale veniva statuito dall'Ocse (2), si ricordi qui a mero titolo esemplificativo la totale assenza di riferimenti diretti alla fattispecie in parola nell'ambito dell'art. 87 (3) del vecchio Tuir (4); nell'ambito dell'Imposta sul valore aggiunto il concetto di stabile organizzazione ha sempre trovato grande attenzione da parte del legislatore, prova ne siano i riferimenti contenuti negli artt. 7, dove si definisce il presupposto territoriale dell'imposta nell'ipotesi di prestazione di servizi; 17, dove si individuano i soggetti passivi del tributo; 38-ter, dove si regola l'ipotesi di diniego di rimborso dell'imposta ai non residenti, con stabile organizzazione nazionale, tramite il meccanismo previsto nella norma; 21, dove si prevede che la fattura debba indicare per i non residenti l'ubicazione della stabile organizzazione; 35, dove si impone l'obbligo di comunicare all'ufficio Iva l'avvenuta istituzione di una stabile organizzazione; 40, dove si stabilisce la competenza dell'ufficio di Roma in caso di mancanza di stabile organizzazione; 81, dove si prevedono una serie di obblighi per coloro che hanno aperto una stabile organizzazione anteriormente all'istituzione dell'Iva.

Certo, l'Iva per sua stessa natura si propone quale imposta transnazionale ed era quindi più che logico che al proprio interno trovasse pieno accoglimento un concetto come quello di stabile organizzazione, dal carattere più sostanziale che formale.

Tuttavia anche il legislatore del 1972 ha tralasciato l'esegesi del concetto di stabile organizzazione all'interprete, inizialmente facendo implicito riferimento a quanto sull'argomento andava delineandosi ai fini delle Imposte dirette.

In realtà molte e diverse sono le conseguenze ai fini Iva derivanti dall'esistenza di una stabile organizzazione (materiale) nel territorio, le quali, in sintesi, vanno dall'identificazione del soggetto alla liquidazione dell'imposta fino agli obblighi di dichiarazione in via autonoma.

(2) Vgs. art. 5 OECD Model Tax Convention.

(3) Art. 87 - Soggetti Passivi (Testo ante riforma 2004), D.P.R. 917/1986.

(4) Mentre si trova qualche traccia negli artt. 4, 27-ter e 58 del D.P.R. 600/1973.

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L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA. RIFLESSI OPERATIVI

12954/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

2. La presenza in Italia ai fini Iva di un soggetto non residente

Come è noto, il meccanismo dell'imposta sul valore aggiunto giace sostanzialmente sui concetti di "rivalsa" e "detrazione" (5) dell'imposta, la cui applicazione consente un effetto traslativo della stessa fino all'incisione del soggetto passivo individuato nel consumatore finale.

Ma in cosa consiste, in sintesi, detto meccanismo?

Esso altro non è che una trasposizione pratica di un concetto molto semplice legato a due esigenze; la prima, di ordine tecnico, vuole che questa imposta non vada a provocare aumenti di prezzo man mano che il bene attraversa la catena produzione-commercializzazione-vendita onde evitare effetti distorsivi del mercato, la seconda di ordine etico poiché l'imposta in parola è finalizzata a colpire la sola parte marginale, quella del valore aggiunto appunto, che viene a crearsi per effetto delle successive lavorazioni.

Così come strutturata quindi, essa richiede, in modo assoluto, la certezza dell'identità degli attori che entrano in gioco, posto che essi sono, ad un tempo, creditori e debitori dell'imposta nei confronti dello Stato.

Come è logico, la presenza nell'ambito degli operatori economici di soggetti stranieri complica non poco il funzionamento di detto meccanismo che, peraltro, non può rappresentare un fardello alla libera circolazione delle merci e/o all'apertura dei mercati e che pertanto ha dovuto strutturarsi attraverso regole dettate da esigenze pratiche e non sempre coordinate tra loro.

Torniamo però all'esigenza di cui si accennava testé e riferita alla conoscenza del soggetto economico straniero operante in Italia da parte del Fisco nostrano, ebbene questa esigenza ha fatto catalogare tali soggetti passivi (per essi intendendo coloro nei cui confronti ricorre un obbligo di identificazione ai fini Iva) sostanzialmente in tre categorie, coloro che ricorrono:

(5) Vgs. artt. 18 e 19, D.P.R. 633/1972.

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- all'identificazione diretta (ex art. 35-ter del D.P.R. 633/1972);

- ad un proprio rappresentante fiscale;

- ad una propria stabile organizzazione.

Infatti, ai sensi dell'art. 30, terzo comma, lett. e), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l'eccedenza d'imposta detraibile risultante dalla dichiarazione Iva annuale può essere chiesta a rimborso, se d'importo eccedente 2.582,28 euro, quando il contribuente "si trova nelle condizioni previste dal secondo comma dell'art. 17", ossia quando il soggetto estero si sia identificato direttamente, ovvero indirettamente, per mezzo di un proprio rappresentante fiscale.

In assenza di identificazione Iva diretta o indiretta, è possibile attivare la procedura di rimborso di cui all'art. 38-ter del D.P.R. 633/1972, anche in presenza di una stabile organizzazione in Italia (6); il rimborso non è però consentito qualora i beni o i servizi siano stati acquistati o importati nel territorio dello Stato dal soggetto non residente tramite la propria stabile organizzazione, nel qual caso è la stabile organizzazione stessa che richiede il rimborso, ovvero opera la detrazione in base alle disposizioni vigenti.

3. Residenza fiscale dell'operatore

Le disposizioni Iva, sia interne che comunitarie, non individuano specificamente i limiti della "residenza" ai fini del tributo.

Peraltro, anche in assenza di una definizione positiva, si può giungere a ritenere che la residenza fiscale coincida con il luogo in cui l'operatore diviene soggetto passivo dell'imposta, cioè, in termini più concreti, deve identificarsi ai fini Iva.

È possibile, in estrema sintesi, individuare la residenza fiscale, in primo luogo, nella residenza anagrafica (per le persone fisiche) e nella sede legale (per le persone giuridiche).

(6) Cfr. art. 38-ter, primo comma, D.P.R. 633/1972.

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L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA. RIFLESSI OPERATIVI

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Questo principio di classificazione rappresenta la regola world wide della identificazione ai fini Iva.

Accanto alla regola, la norma prevede due specifiche deroghe di grado concentrico, riguardanti la prima la stabile organizzazione e la seconda il rappresentante fiscale.

Le operazioni che sono attratte dalla stabile organizzazione o dal rappresentante fiscale sono distratte dalla sfera giuridica della residenza primaria.

In origine queste tre figure rappresentavano tre anelli concentrici, quello di raggio più piccolo era rappresentato dal rappresentante fiscale, soggetto "minimo" attraverso il quale venivano veicolate le operazioni da parte del non residente, responsabile in solido per le obbligazioni tributarie riferibili alle operazioni (e solo a quelle) ad esso demandate.

Veniva poi la stabile organizzazione la cui nozione, stando all'art. 9 paragrafo 1 della VI Direttiva, è quella di un centro di attività stabile dal quale sono svolte le operazioni, di per sé in grado di attrarre le operazioni svolte da casa madre nel territorio dello Stato.

Il terzo anello è rappresentato da una presenza diretta nel territorio attraverso una società di diritto nazionale che quindi si comporta come un soggetto residente.

L'evoluzione normativa imposta dalla Direttiva comunitaria 2000/65/Ce, del 17 ottobre 2000, ha soppresso la norma che attribuiva ai singoli Stati membri la facoltà di imporre ai soggetti non residenti e privi di stabile organizzazione di assolvere agli obblighi tributari derivanti da operazioni effettuate in territori terzi, mediante la designazione di un rappresentante fiscale.

Nasce così la possibilità di identificarsi direttamente ex art. 35-ter del decreto Iva nazionale.

4. La convivenza delle diverse possibilità di identificazione in capo al contribuente

Originariamente la dottrina aveva tenuto nettamente distinte le diverse figure di debitore d'imposta, ora alla luce dell'evoluzione anche

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giurisprudenziale (7) che la fattispecie in parola ha subìto, l'alternatività dei diversi tipi di identificazione rimane un richiamo tendenziale e non più di carattere assoluto.

Ad esempio l'identificazione diretta, al pari della nomina del rappresentante fiscale, è ammessa anche in presenza di una stabile organizzazione in Italia del soggetto estero.

Il riformulato secondo comma dell'art. 17 del D.P.R. 633/1972 dispone, infatti, che la nomina del rappresentante fiscale non è più subordinata all'assenza, nel territorio dello Stato, di una stabile organizzazione, tuttavia questa apertura non rende equivalenti gli obblighi riferibili alle diverse figure operanti sul territorio, soprattutto quando si verte in tema di responsabilità riferite agli adempimenti (fatturazioni, registrazioni, dichiarazioni, rimborsi) riferibili ad una stabile organizzazione (materiale) occulta.

5. I differenti tipi di stabile organizzazione

Come è noto esistono in dottrina due tipi diversi di stabile organizzazione, quella di tipo materiale, legata alla presenza sul territorio di infrastrutture di vario tipo (8) e quella personale, dove ciò che fa premio è la modalità con cui l'agente svolge la propria attività per conto dell'impresa non residente.

Diciamo subito che, come più volte ribadito in giurisprudenza (9), il concetto base è quello di irrilevanza della stabile organizzazione personale in campo Iva.

Tale concetto, valido invece ai fini delle imposte sul reddito, alla luce dei riferimenti recati sia dall'art. 5, par. 5 e 6, del Modello

(7) Cass., Sez. V civ., Sentenza del 6 aprile 2004, n. 6799; Cass., Sez. V civ., Sentenza

dell'11 marzo 2003, n. 3570.

(8) Per un'analisi delle diverse fattispecie si rinvia a quanto previsto dall'art. 5 del

Commentario Ocse, ovvero a quanto recepito dal legislatore italiano nell'art. 162, D.P.R. 917/1986.

(9) In ultimo vgs. CRT Lombardia, 8 novembre 2004, Sez. XVI, Sent. n. 52.

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L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA. RIFLESSI OPERATIVI

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convenzionale elaborato dall'Ocse (10), si concretizza allorquando un altro soggetto (persona fisica o giuridica) non sia qualificabile come un agente indipendente dell'impresa non residente e disponga di poteri, esercitati abitualmente, che gli permettano di concludere contratti a nome di quest'ultima.

In ambito comunitario l'orientamento espresso dai giudici non conduce affatto ad escludere che una società che agisca in qualità di agente "dipendente" possa costituire stabile organizzazione ai fini Iva di un diverso soggetto non residente (11).

La Corte di giustizia ha ravvisato la sussistenza di quella "consistenza minima richiesta in termini di mezzi umani e tecnici necessari" affinché si potesse configurare un centro di attività stabile della società controllante estera, in capo alla subsidiary che agiva come intermediaria sul mercato nazionale, da questa economicamente legata per il tramite di un vincolo di dipendenza, testimoniata dalla imposizione di obblighi contrattuali stringenti nei confronti della casa madre, oltre che dalla detenzione della totalità del suo capitale sociale.

Viene quindi pacificamente accettato il concetto di stabile organizzazione di carattere materiale con riferimento a quanto stabilito dall'art. 9, paragrafo 1, della VI direttiva, che si riferisce ad un centro di attività "stabile" a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa, ovvero, dall'art. 1 dell'VIII direttiva che individua un "centro di attività stabile dal quale sono svolte le operazioni".

Pertanto, una stabile organizzazione ai fini Iva può dirsi verificata allorquando il centro di attività presenti un grado sufficiente di stabilità ed una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibile in modo autonomo le prestazioni di servizi (12).

(10) Sia - con talune particolarità rispetto a quest'ultimo - dall'art. 162, commi 6 e 7, del Tuir.

(11) Corte di Giustizia, sentenza 20 febbraio 1997, causa C-260/95.

(12) Corte di Giustizia, 17 luglio 1997, C-190/95, punto 15.

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Da quanto sin qui detto risulterà quindi chiara l'importanza di un'attenta analisi funzionale, da parte dei verificatori, concernente la struttura attraverso la quale il soggetto straniero opera in Italia, alla luce delle gravi conseguenze che da ciò derivano, così come di seguito meglio esplicitato.

5.1 L'autonomia giuridica della stabile organizzazione ai fini Iva

La giurisprudenza nazionale nelle richiamate sentenze, ha più volte ribadito l'assoluta autonomia quale centro di imputazione di diritti e doveri, anche con riferimento alla soggettività Iva, della stabile organizzazione.

In particolare nella sentenza n. 6799 richiamata, la Suprema Corte ha ritenuto che dalla disposizione contenuta nell'art. 17, comma 4, D.P.R. 633/1972, si ricava che, quando ricorrono il requisito oggettivo dell'esercizio abituale di una attività commerciale, richiesto dall'art. 4, comma 1, cit. D.P.R., e quello territoriale della stabilità in Italia di una organizzazione del soggetto non residente, gli obblighi ed i diritti relativamente alle operazioni effettuate da o nei confronti della stabile organizzazione non possono essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, dal soggetto non residente direttamente o tramite un suo rappresentante residente.

La stabile organizzazione nello Stato, in quanto obbligata al pagamento ed alla rivalsa dell'imposta, oltre che al rispetto dei doveri formali di fatturazione delle operazioni attive e di registrazione delle fatture passive, costituisce in tale caso l'unico centro d'imputazione fiscale delle operazioni riferibili al soggetto non residente e la stessa rappresenta anche la sola legittimata a presentare la dichiarazione annuale, nella quale, secondo le prescrizioni contenute negli artt. 19 e 30, D.P.R. 633/1972, vanno determinati l'imposta dovuta o l'eccedenza da computare in detrazione nell'anno successivo e formulata l'eventuale richiesta di rimborso.

Né la soggettività fiscale della stabile organizzazione (occulta) di un soggetto non residente può essere negata nell'ipotesi di una sua personalità giuridica nello Stato, posto che l'accertamento di

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L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA. RIFLESSI OPERATIVI

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un autonomo centro d'imputazione dei rapporti tributari deve essere condotto, anche in materia d'Iva, non solo sul piano formale, ma anche, e soprattutto, su quello sostanziale (13).

5.2 Il centro di attività stabile

Da quanto sin qui rappresentato emerge una discrasia interpretativa della giurisprudenza nazionale in ordine al concetto di stabile organizzazione ai fini Iva, quest'ultima si è adeguata, infatti, alla Direttiva 77/388/Cee, che "fa riferimento non al concetto di stabile organizzazione ma a quello di centro di attività stabile il quale richiede l'impiego di risorse umane e materiali (...) e ne deriva quindi che le norme nazionali che impiegano la nozione di stabile organizzazione in materia di Iva devono essere sottoposte ad interpretazione adeguatrice alla luce di quella prevista dall'art. 9, n. 1), della predetta direttiva, che discende nel campo dell'applicazione Iva non è utilizzabile la nozione di stabile organizzazione personale prevista dall'art. 5, paragrafo 5 del Modello Ocse" (14).

Inoltre, detto centro di attività deve presentare "un grado sufficiente di stabilità e una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizio (15)".

Pertanto, allo stato attuale della giurisprudenza si deve parlare di centro di attività e non di stabile organizzazione ed esso deve avere i caratteri della stabilità in riferimento sia all'esercizio in tutto o in parte dell'attività in via autonoma e sia alla struttura a referenza del necessario corredo umano e tecnico.

Ne consegue che, relativamente alle operazioni effettuate nel territorio dello Stato da soggetti esteri con centro di attività stabile in Italia, si applica la regola generale di cui all'art. 17, primo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per cui gli obblighi Iva devono essere

(13) Cass. civ., Sez. V, Sent. 7 marzo 2002, n. 3367; Cass. civ., Sez. V, Sent. 25 luglio 2002,

n. 10925.

(14) Cass., Sez. trib., 25 luglio 2002, n. 10925.

(15) Cass., Sez. trib., 11 marzo 2003, n. 3570.

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assolti dalla stabile organizzazione (rectius dalla organizzazione che ha un centro di attività stabile) che effettua la prestazione rilevante agli effetti dell'Iva.

Ciò significa che, il principio della c.d. forza di attrazione della stabile organizzazione, per effetto del quale il soggetto non residente con stabile organizzazione nel territorio dello Stato deve procedere alla fatturazione, registrazione e dichiarazione, vale esclusivamente per quelle operazioni materialmente effettuate dalla stabile organizzazione e non anche per quelle realizzate direttamente dalla casa madre estera.

A conferma di ciò, il documento n. 310 del 2000 del Comitato Iva, istituito ai sensi dell'art. 29 della Direttiva 77/388/Cee in seno alla Comunità Europea, chiarisce che le prestazioni di servizi rese dalla stabile organizzazione di un soggetto estero possono assumere rilevanza ai fini dell'Iva, tutte le volte in cui queste, pur essendo gestite sotto l'aspetto contrattuale e finanziario direttamente dalla casa madre, sono materialmente effettuate, in tutto o in parte, dalla stabile organizzazione la quale agisce come soggetto indipendente.

Da quanto sopra il lustrato, ne consegue che la stabile organizzazione deve adempiere gli obblighi formali previsti dal titolo II del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto questa risulta debitore dell'imposta nei confronti dell'erario solo per le prestazioni di servizi effettivamente imputabili a quest'ultima secondo i criteri sopra descritti.

Tuttavia, nel caso di omessa fatturazione da parte della stabile organizzazione, permane in capo al committente o cessionario l'obbligo di regolarizzare l'operazione mediante autofattura, secondo le disposizioni del D.L.vo 18 dicembre 1997, n. 471 (16).

Vanno inoltre escluse da tale nozione le attività ausiliarie o preparatorie (17).

(16) Vgs. in tema di obblighi della S.O. Risoluzione dell'Agenzia delle entrate 9 gennaio

2002, n. 4/E.

(17) Cass. 25 maggio 2002, n. 7682.

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L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA. RIFLESSI OPERATIVI

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In conclusione, il soggetto non residente può senz'altro avere in Italia un rappresentante fiscale e/o una stabile organizzazione, poiché il primo istituto è quello destinato a veicolare le operazioni così come imputategli da casa madre, mentre il secondo attrae a sé le sole operazioni da esso promanate, senza che rientrino nella propria responsabilità quelle di casa madre.

6. Stabile organizzazione e convenzioni contro le doppie imposizioni: riflessi operativi

Un problema di non poco conto può presentarsi ai verificatori allorché si imbattano in un soggetto che rivesta tutti i requisiti di fatto per essere considerato una stabile organizzazione in Italia di soggetto estero, residente in un paese con cui l'Italia abbia stipulato una Convenzione contro le doppie imposizioni.

Può il soggetto ricorrere alla Convenzione ovvero esso deve essere a tutti gli effetti considerato residente (seppure attraverso la struttura della stabile organizzazione) e con ciò ritenuto autonomo centro di imputazione di diritti e doveri (in questo caso) ai fini Iva?

Il problema deve essere analizzato sotto due aspetti:

- il primo, riguardante la posizione delle convenzioni internazionali nell'ambito delle fonti del diritto interno;

- il secondo, riguardante la natura delle norme convenzionali ed il raffronto di esse con le disposizioni anti-abuso nazionali.

In ordine alla prima questione, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 323 del 1989, ha avuto modo di precisare, relativamente al problema della collocazione, nella gerarchia delle fonti, della legge interna di esecuzione dei trattati internazionali, che "(...) emerge in modo inequivocabile dai lavori dell'assemblea costituente - e dottrina e giurisprudenza sono concordi - che l'art. 10, comma 1, della Costituzione prevede l'adattamento automatico del nostro ordinamento esclusivamente alle "norme del diritto internazionale generalmente riconosciute", intendendosi per tali le norme consuetudinarie.

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L'adattamento alle norme internazionali pattizie avviene invece per ogni singolo trattato con un atto ad hoc consistente nell'ordine di esecuzione adottato di regola con legge ordinaria. Ne consegue che i trattati internazionali vengono ad assumere nell'ordinamento la medesima posizione dell'atto che ha dato loro esecuzione. Quando l'esecuzione è avvenuta mediante legge ordinaria, essi acquistano pertanto la forza ed il rango di legge ordinaria che può essere abrogata o modificata da una legge ordinaria successiva.

È rimasta minoritaria in dottrina, e non è mai stata condivisa da questa Corte, la tesi secondo la quale i trattati internazionali, pur introdotti nel nostro ordinamento da legge ordinaria, assumerebbero un rango costituzionale o comunque superiore, così da non poter essere abrogati o modificati da legge ordinaria in forza del principio del rispetto dei trattati (pacta sunt servanda), norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta. In tal modo si verrebbe a ricondurre le norme internazionali pattizie sotto l'impero dell'art. 10, comma 1, della Costituzione, mentre - come si è detto - esso è stato così formulato proprio per limitarlo alle norme generali materiali ed escludere dalla sua sfera di applicazione i trattati, in quanto la norma generale pacta sunt servanda è norma strumentale non suscettibile di applicazione nell'ordinamento interno (...)".

Le medesime conclusioni sono state confermate dalla Corte Costituzionale anche nella sentenza n. 75 del 1993, nella quale la Corte "(...) esclude le norme internazionali pattizie, ancorché generali, dall'ambito normativo dell'art. 10 della Costituzione, il principio di adeguamento automatico dell'ordinamento giuridico italiano alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute dovendo intendersi riferito esclusivamente alle norme consuetudinarie (...)" (18).

Secondo la Consulta, dunque, non vi è alcuna supremazia, a livello di gerarchia delle fonti, delle leggi interne di ratifica dei trattati rispetto

(18) Tale costante giurisprudenza della Corte Costituzionale si rinviene anche nelle sentenze

n. 153 del 1987, n. 96 del 1982, n. 188 del 1980, n. 48 del 1979, n. 104 del 1969 e n. 32 del 1960.

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L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA. RIFLESSI OPERATIVI

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alle leggi ordinarie successive, che possono legittimamente derogare, modificare o abrogare le prime.

Valgono, di conseguenza, per dette leggi i princìpi generali in materia di successione temporale e di conflitto di norme, per cui, in linea generale, la legge successiva potrà abrogare o modificare quella precedente.

Attesa, dunque, la formale equiparazione delle norme convenzionali a quelle interne adottate con legge ordinaria (o con gli altri atti aventi forza di legge), è necessario esaminare il rapporto tra quanto stabilito in una qualsiasi Convenzione tra Italia ed un paese terzo e il D.P.R. 633/1972 alla luce dei normali princìpi giuridici che presiedono alla risoluzione delle antinomie normative nell'ordinamento interno.

Il principio più importante, da questo punto di vista, è quello di natura temporale (previsto, tra l'altro, dall'art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale) che si basa sulla prevalenza della lex posterior rispetto a quella precedente: la supremazia della legge posteriore su quella previgente è, in questo caso, determinata dalla volontà del legislatore di disciplinare in maniera diversa la stessa fattispecie, per cui prevale, per così dire, la "volontà" più recente, rispetto a quella più antica.

Il principio di temporalità non opera, tuttavia, nel caso in cui la legge precedente sia caratterizzata da specialità rispetto a quella successiva: in base al brocardo lex posterior generalis non derogat legi priori speciali, infatti, qualora la legge posteriore sia generale e quella anteriore speciale, prevale quest'ultima anche se precedente.

In questo contesto, è da considerarsi "legge speciale" quella disposizione che, in virtù del rapporto di species a genus, disciplina una particolare fattispecie compresa nella "legge generale" e caratterizzata, tuttavia, dalla presenza di un quid pluris (detto elemento specializzante) che la distingue dal complesso delle altre fattispecie regolate dalla "legge generale" medesima.

Ne deriva che la specialità può essere ratione materiae, in quanto la norma speciale può disciplinare una materia più specifica di quella generale, o ratione personarum, in quanto la norma speciale può essere rivolta ad un numero di soggetti più ristretto rispetto a quella generale.

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Relativamente alle norme convenzionali, parte della dottrina (19) ha sostenuto che, in linea generale, queste sono dotate di un particolare carattere di specialità sui generis, in quanto, a differenza delle norme nazionali, che si applicano alla generalità dei contribuenti, regolano i soli rapporti tra soggetti residenti nei Paesi che hanno stipulato la Convenzione.

La stessa dottrina ha ritenuto, tuttavia, che la derogabilità delle norme convenzionali sarebbe consentita in caso di esplicita volontà del legislatore espressa in tal senso nella lex posterior.

Concordando con tale tesi, si dovrebbero ritenere le norme convenzionali prevalenti solo:

- rispetto alle norme successive di carattere generale, e non rispetto alle norme successive a loro volta speciali nei confronti della convenzione;

- nel caso in cui non risulta l'esplicita volontà del legislatore di non conformarsi alle pattuizioni internazionali.

Sul punto è opportuno precisare che anche l'Ocse ha previsto la possibilità, per i singoli Stati contraenti, di inserire nell'ordinamento interno norme anti-abuso che limitino il fenomeno del treaty shopping o l'utilizzo di società localizzate nei "paradisi fiscali", senza che ciò costituisca violazione del principio di non discriminazione (20).

Consolidata giurisprudenza nazionale (21) ha puntualizzato che l'individuazione nella società residente di una stabile organizzazione materiale esclude qualsiasi operatività della convenzione (...) in

(19) Si veda, per tutti, AMATUCCI A., Il conflitto tra norme tributarie internazionali ed interne,

in Studi in onore di Victor Uckmar, p. 86.

(20) Si veda, relativamente al fenomeno del treaty shopping, il Commentario all'art. 1

del modello di convenzione e, relativamente all'uso dei "paradisi fiscali", il rapporto sulla concorrenza

fiscale dannosa denominato "Harmful Tax Competition: an Emerging Global Issue" (Concorrenza

fiscale dannosa: un problema globale emergente) del 1998, nel quale l'Ocse, dopo aver studiato gli

effetti distorsivi della presenza dei "paradisi fiscali", propone linee di azione comuni per la risoluzione

del problema.

(21) Cass. Sent. n. 6799 cit.

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L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA. RIFLESSI OPERATIVI

13074/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

tema di imposte dirette e, in particolare, della disciplina sulle stabili organizzazioni personali in questa contenuta, essendo necessario e sufficiente in materia di Iva "un centro di attività stabile per il quale si è avuta la prestazione di servizi" (cfr.: art. 9, comma 2, lett. e), direttiva n. 77/388/Cee), e, cioè, una struttura organizzata di mezzi e di persone alle dipendenze del soggetto non residente e l'esercizio di un'attività d'affari diretta alla conclusione di contratti, che può essere ravvisato a prescindere, ai fini fiscali, anche dall'espediente della stipulazione formale dei medesimi da parte della società estera (22).

La conseguenza naturale di quanto sopra è che una volta che i verificatori abbiano individuato nel soggetto residente l'esistenza contemporanea dei due requisiti fondanti la stabile organizzazione, dati dall'esercizio abituale di un'attività commerciale nel Paese e sotto il profilo territoriale, quello della stabilità in Italia di una organizzazione del soggetto non residente, gli obblighi e i diritti relativi alle operazioni effettuate da o nei confronti della stabile organizzazione non possono essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, dal soggetto non residente, direttamente o tramite un suo rappresentante fiscale.

La stabile organizzazione nello Stato, infatti, in quanto obbligata al pagamento ed alla rivalsa dell'imposta, oltre che al rispetto dei doveri formali di fatturazione delle operazioni attive e di registrazione delle fatture passive, costituisce in tal caso l'unico centro di imputazione fiscale delle operazioni riferibili al soggetto non residente e la stessa rappresenta anche la sola legittimata a presentare la dichiarazione annuale, nella quale vanno determinate l'imposta dovuta o l'eccedenza da computare in detrazione nell'anno successivo e formulata l'eventuale richiesta di rimborso (23).

Da quanto fin qui detto risulterà quindi di più chiara interpretabilità la disposizione di cui all'art. 38-ter (24) del D.P.R. 26 ottobre 1972,

(22) Cfr. Cass. civ., Sez. V, Sent. 7 marzo 2002, n. 3367.

(23) Cfr. Cass., Sez V Civ., Sent. 6 aprile 2004, n. 6799.

(24) Art. 38-ter. Esecuzione dei rimborsi a soggetti non residenti. I soggetti domiciliati e residenti negli Stati membri della Comunità economica europea, che non si siano identificati

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RENZO NISI

1308 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

n. 633, che consente ai soggetti non residenti nello Stato di ottenere il rimborso dell'Iva in relazione a periodi inferiori all'anno e senza necessità di nomina di un rappresentante, come richiesto invece dal precedente art. 17, purché detti soggetti posseggano il duplice requisito della residenza e del domicilio negli Stati membri della Comunità europea (25).

In esso in sostanza il legislatore ribadisce l'autonomia giuridica della stabile organizzazione quale soggetto portatore di rappresentatività fiscale propria ed in quanto residente, non idoneo ad accedere alla procedura di liquidazione de quo, nata per i soggetti comunitari privi di rappresentatività diretta (26) in Italia.

Il soggetto, così individuato, non può essere scisso da "casa madre" e rappresenta in Italia un centro autonomo di diritti e doveri sotto il profilo tributario, ciò in ultimo ha avuto conferma anche nella recente prassi ministeriale (27) in tema di condoni dove, con riferimento all'accedibilità da parte di una stabile organizzazione in Italia di soggetto non residente alla definizione automatica, è stato chiarito che "la definizione automatica operata da un soggetto giuridico residente del quale venisse eventualmente accertato lo status di mera stabile organizzazione di un soggetto non residente, non esplica alcun effetto nei confronti di quest'ultimo, "non potendo la stabile organizzazione

direttamente ai sensi dell'art. 35-ter e che non abbiano nominato un rappresentante ai sensi del secondo comma dell'art. 17, assoggettati all'imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza, che non hanno effettuato operazioni in Italia, ad eccezione delle prestazioni di trasporto e relative prestazioni accessorie non imponibili ai sensi dell'art. 9, nonché delle prestazioni indicate all'art. 7, quarto comma, lett. d) possono ottenere (...), il rimborso dell'imposta, se detraibile a norma dell'art. 19, relativa ai beni mobili e ai servizi importati o acquistati (...). Le disposizioni del presente comma non si applicano per gli acquisti e le importazioni di beni e servizi effettuati da soggetti residenti all'estero tramite stabili organizzazioni in Italia.

(25) Cfr. Cass. Sez. I, Sent. n. 8737 del 3 settembre 1998, Societè Cooperative Intercontainer Interfrigo Icf c. Ministero delle Finanze (rv 518581).

(26) Qui si fa riferimento chiaramente all'identificazione diretta ex art. 35-ter, ovvero alla nomina del rappresentante fiscale ex art. 17, D.P.R. 633/1972.

(27) Circ. 28 aprile 2003, n. 22: risposta 6.9.

(segue nota)

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L'EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI STABILE ORGANIZZAZIONE AI FINI IVA. RIFLESSI OPERATIVI

13094/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

essere considerata soggetto giuridico distinto dalla casa-madre" (v. citata Risoluzione n. 510 del 1979). Ne discende che l'Amministrazione potrà imputare al soggetto non residente i redditi conseguiti in Italia attraverso la stabile organizzazione, a prescindere dalla definizione automatica eventualmente operata dal soggetto terzo di cui il non residente si è avvalso per operare in Italia come stabile organizzazione. In tale fattispecie, deve intendersi legittimato a tutti gli effetti ad operare la definizione automatica, con riferimento alla stabile organizzazione in Italia, unicamente il soggetto non residente".

7. Conclusioni

In ultima analisi, l'individuazione durante l'attività di verifica di un soggetto avente i requisiti suddetti, rende possibile ai militari ipotizzare lo stesso quale soggetto autonomo ed indipendente rispetto a quello, seppure dotato di personalità giuridica, in cui viene "ospitato", la forte caratterizzazione di autonomia che si spera di aver fin qui sostanziato comporta, quale diretta conseguenza, l'imputabilità sotto il profilo Iva delle sanzioni connesse ai mancati obblighi di registrazione, fatturazione e dichiarazione in capo alla stabile organizzazione ed un disconoscimento integrale degli oneri da dette attività derivanti, così come rinvenienti in capo al soggetto "ospite", poiché privi del requisito dell'inerenza.

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13114/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

L'obbligo di motivazione nell'avviso di accertamento

di Gianluca Filippi e Mario Landi

1. Premessa - 2. Inquadramento normativo - 3. La motivazione nell'avviso di accertamento - 4. L'orientamento giurisprudenziale - 4.1 Ancora sulla motivazione per relationem - 5. Conclusioni

1. Premessa

L'attualità del tema inerente la definizione dei rapporti tra pubblica amministrazione e privati trova conferma nell'evoluzione normativa degli ultimi anni che - ribadendo princìpi, già rinvenibili nella Costituzione, quali quelli dell'imparzialità, del buon andamento e della trasparenza - ha investito le strutture dello Stato e conseguentemente riformato i connessi modelli gestionali ed organizzativi nella prospettiva della realizzazione degli affermati obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità per il cui conseguimento sono state individuate precise responsabilità (1).

In questo più ampio contesto e con riferimento all'Amministrazione finanziaria, un ruolo centrale assume il problema della validità delle decisioni con cui si estrinseca la pretesa impositiva, da cui dipende, in definitiva, la capacità dell'Amministrazione stessa di raggiungere l'obiettivo cui è preposta, cioè la percezione dei tributi.

La questione può essere ovviamente esaminata da diversi punti di vista.

(1) È evidente il riferimento alle innovazioni strutturali introdotte dalla L. 241/1990, "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi" e alla connessa normativa successivamente emanata.

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GIANLUCA FILIPPI - MARIO LANDI

1312 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

Quello considerato nella presente trattazione, riguarda i riflessi della disciplina della motivazione nell'avviso di accertamento, individuandone, dapprima, le basi giuridiche e, successivamente, gli ambiti, le modalità e il significato ai fini dell'effettiva applicazione.

In generale, la motivazione risponde essenzialmente all'esigenza primaria di assicurare la trasparenza dell'operato dei pubblici poteri in quanto, attraverso l'esplicitazione del ragionamento seguito dall'autorità decidente, permette di accertare, in primo luogo, se la P.A. ha esaminato tutti gli interessi che dovevano essere tenuti presenti, in secondo luogo, se ha scelto l'interesse da perseguire con piena imparzialità ed, infine, consente la conoscibilità dei motivi per i quali la P.A. stessa ha ritenuto tale scelta più corrispondente all'interesse pubblico.

In materia tributaria, la motivazione deve esporre le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano gli atti impositivi, illustrare la materia del contendere e mettere in condizione il destinatario di comprendere e di contestare eventualmente la pretesa fiscale.

Infatti, la mancanza di motivazione dell'avviso di accertamento impedisce di raggiungere lo scopo dell'atto che è quello di salvaguardare il diritto di difesa del contribuente nell'ambito della più assoluta trasparenza, in linea con l'art. 24 della Costituzione, che ribadisce appunto che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, e con l'art. 97 della Costituzione, secondo il quale è necessario che ci sia sempre buon andamento ed imparzialità nell'attività della pubblica amministrazione.

Con l'intento di definire i contorni e gli ambiti di applicazione del concetto di motivazione in materia tributaria, il percorso argomentativo, che verrà esposto, si svilupperà attraverso un inquadramento normativo ed un'analisi dei profili, dottrinali e giurisprudenziali del tema in discussione per giungere ad alcune osservazioni di chiusura.

2. Inquadramento normativo

In linea generale, l'obbligo di motivazione di un qualsiasi atto amministrativo è contenuta nella legge 7 agosto 1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di

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L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

13134/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

accesso ai documenti amministrativi", la quale all'art. 3 così dispone: "Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato (...). La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria".

Lo stesso art. 3, al secondo comma, aggiunge che "la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale" ed al successivo terzo comma precisa che "se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'Amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile anche l'atto cui essa si richiama".

Per quanto concerne specificatamente la materia tributaria, la norma più significativa in ordine all'obbligo di motivazione degli atti dell'Amministrazione finanziaria è prevista nella legge 27 luglio 2000, n. 212 "Statuto dei diritti del contribuente" che all'art. 7, primo comma, così recita: "Gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama".

Nel secondo comma si ribadisce il contenuto minimo degli atti dell'Amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione, che devono indicare:

- l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;

- l'organo o autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela;

- le modalità, i l termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili.

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GIANLUCA FILIPPI - MARIO LANDI

1314 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

Il terzo comma, infine, prevede che "sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria".

Sempre con riguardo all'obbligo di motivazione degli atti degli uffici fiscali esistono, poi, nelle singole leggi di imposta specifiche prescrizioni che risultano integrate dal D.L.vo 26 gennaio 2001, n. 32 contenente disposizioni correttive di leggi tributarie vigenti, per effetto del combinato disposto degli artt. 7 e 16 della citata L. 212/2000.

Così l'art. 42, secondo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo integrato dall'art. 1, primo comma, lett. c) del citato D.L.vo 32/2001 dispone che "l'avviso di accertamento deve recare l'indicazione dell'imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate al lordo ed al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti di imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate (...)".

Lo stesso secondo comma, aggiunge "Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale" ed al successivo terzo comma precisa che l'accertamento è nullo se l'avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni e la motivazione come sopra specificato e ad esso non è allegata la documentazione come prescritto.

Anche in materia di imposta sul valore aggiunto, l'art. 56 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che le rettifiche e gli accertamenti sono notificati ai contribuenti mediante avvisi motivati, nei quali devono essere indicati, a pena di nullità, gli errori, le omissioni e le false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica e i relativi elementi probatori e se si tratta di accertamenti induttivi, l'imponibile determinato dall'Ufficio, l'aliquota o le aliquote e le detrazioni applicate, nonché le ragioni che hanno indotto l'Ufficio a ricorrere all'accertamento induttivo previsto dal precedente art. 55.

Lo stesso art. 56, per effetto dell'integrazione apportata dall'art. 2, primo comma, lett. b) del D.L.vo 32/2001 precisa "La motivazione

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L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

13154/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

dell'atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. L'accertamento è nullo se non sono osservate le disposizioni di cui al presente comma".

Norme di analogo tenore sono contenute, altresì, nel testo unico dell'imposta di registro (art. 52), in quello dell'imposta di successione (art. 35) (2), nei decreti legislativi 504/1999 (art. 11) e 507/1993 (artt. 10, 51 e 71) in materia di fiscalità locale, nel D.L.vo 472/1997 (art. 16) in materia di sanzioni amministrative e nel D.L.vo 374/1990 (art. 11) concernente il riordinamento degli istituti doganali e la revisione delle procedure di accertamento, come risultano integrate rispettivamente dagli artt. 4, 5, 6, 7 e 9 del più volte citato D.L.vo 32/2001.

3. La motivazione nell'avviso di accertamento

In generale, la pubblica amministrazione nell'esercizio della propria attività, eseguendo una valutazione dei vari interessi pubblici e privati coinvolti in relazione alla quale adotta un provvedimento, compie un'operazione che sia in dottrina che in giurisprudenza pacificamente viene definita attività discrezionale.

In questo caso, la motivazione ha la funzione specifica di descrivere e rendere conoscibili i criteri attraverso i quali è stato esercitato il potere discrezionale, al fine di garantire il cittadino da un possibile eccesso di potere della pubblica amministrazione (3).

Nella materia tributaria, l'istituto della motivazione è stato studiato e approfondito principalmente con riferimento all'avviso di accertamento, inteso quale tipico atto provvedimentale, espressione della potestà di

(2) Imposta soppressa dalla legge 18 ottobre 2001, n. 383.

(3) GIANNINI M.S., Motivazione dell'atto amministrativo, in Enc. Dir., XXVII, Milano, 1977,

p. 257 e ss.

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GIANLUCA FILIPPI - MARIO LANDI

1316 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

autotutela dell'amministrazione, destinato ad incidere in via immediata e unilaterale sulla sfera giuridica di un soggetto privato, attraverso la produzione, a seconda dei casi, di alcuni effetti (quantificazione della base imponibile, liquidazione dell'imposta, fissazione del regime dell'obbligazione tributaria).

La funzione attribuibile all'istituto della motivazione dell'avviso di accertamento consiste - analogamente, in generale, per i provvedimenti amministrativi - nel rendere edotto il contribuente dei presupposti di fatto e di diritto sui quali l'accertamento è fondato, nonché dell'iter logico-giuridico in base al quale l'Amministrazione finanziaria è giunta all'affermazione in via autoritativa di una determinata pretesa impositiva.

La motivazione deve consistere in un ragionamento spesso di tipo sillogistico, che muovendo da una premessa di fatto e indicando la norma o le norme applicabili, perviene ad una conclusione applicativa.

Per ragioni logiche ancor prima che giuridiche, l'onere della prova, cioè una convincente dimostrazione della fondatezza dei propri assunti deve pur sempre provenire da chi avanza la pretesa, cioè dall'Amministrazione finanziaria (4).

È l'Amministrazione finanziaria, che facendo valere la pretesa fiscale assume la veste di parte attrice in senso sostanziale, a dover provare, tra l'altro, esclusivamente nell'ambito delineato dalla motivazione dell'accertamento, l'esistenza e la consistenza del credito vantato (5).

L'applicabilità di tale principio alla materia tributaria comporta per l'Amministrazione finanziaria di provare il fondamento della pretesa tributaria che intende far valere con l'accertamento.

L'Amministrazione finanziaria è dunque chiamata a dimostrare la fondatezza delle proprie ragioni, poiché quando l'ufficio sostiene l'esistenza di un'evasione fiscale, o di un'altra irregolarità, deve anche suffragare la propria tesi con argomentazioni convincenti.

(4) LUPI R., Diritto tributario, Parte Generale, Giuffrè, Milano, 2000, p. 77.

(5) Vds. Cass. a sezioni unite 13 aprile 1991, n. 3935.

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L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

13174/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

La motivazione dell'atto di accertamento consente al contribuente di ripercorrere "l'itinerario logico e istruttorio seguito dall'autorità nella formazione del provvedimento" (6).

Non sarà, quindi, sufficiente l'indicazione dell'imponibile e dell'imposta, ma dovrà contenere le ragioni della pretesa, consentendo al contribuente di "prefigurare le prospettive di un possibile ricorso" (7).

Il contribuente deve poter valutare l'opportunità di impugnare o meno l'atto impositivo, anche in considerazione che, ai fini dell'impugnativa è richiesta la piena conoscenza delle ragioni della scelta discrezionale posta a fondamento della pretesa tributaria.

Senza queste informazioni sarebbe infatti molto arduo per il contribuente sia capire i termini della pretesa, sia valutare se ricorrere o meno e su quali argomenti fondare il ricorso (8).

Infatti se il contribuente dovesse agire in giudizio ignorando le contestazioni che gli sono mosse, dovrebbe presentare ricorso alla cieca e l'indicazione delle ragioni della rettifica verrebbe rimandata al processo.

L'obbligo di motivazione sussiste ed opera in ordine a tutti gli atti adottati dall'Amministrazione finanziaria e dai soggetti che a vario titolo cooperano con essa, indipendentemente o meno dal carattere provvedimentale (ma con l'ovvia graduazione di contenuto che discende dalla specifica natura dei singoli atti) (9).

(6) TESAURO F., Istituzioni di diritto tributario, vol. I, Parte generale, UTET, Torino, p. 185;

RUSSO P., Manuale di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1999, p. 308; LUPI R., Manuale professionale di diritto tributario, Ipsoa, Milano, p. 143.

(7) In tal senso Cass. 7 febbraio 1992, n. 1382, ha disposto che "l'atto di accertamento

deve essere motivato, con riferimento ai presupposti che consentono il ricorso al metodo adottato

(analitico o sintetico) ed alle ragioni che giustificano il calcolo in rettifica, tenendo però presente

che la motivazione su detti presupposti può emergere implicitamente, specie nel caso di rettifica

analitica, dove la singola ripresa può di per sé evidenziare l'inesattezza della contabilità che

giustifica la rettifica medesima".

(8) LUPI R., Diritto Tributario, Parte generale, cit., pp. 78-79; LUPI R., Manuale professionale di diritto tributario, cit., p. 141.

(9) VOGLINO A., Lineamenti "definitivi" dell'obbligo di motivazione degli atti tributari, in Boll.

Trib., 2001, I, p. 9.

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GIANLUCA FILIPPI - MARIO LANDI

1318 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

Prima dell'entrata in vigore dello Statuto del contribuente, il contesto normativo già permetteva di ritenere operante un generale obbligo di motivazione degli atti impositivi e sanzionatori.

Residuavano, tuttavia, alcuni dubbi ed incertezze circa gli atti suscettibili di intervenire nei procedimenti di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi, in virtù della loro natura provvedimentale, o della loro adozione da parte di soggetti esterni all'Amministrazione finanziaria, quali i concessionari del servizio di riscossione dei tributi.

Inoltre, vi erano alcuni atti impositivi "elementari" (10) e alcuni tributi "minori", per i quali la pretesa tributaria non era soggetta all'obbligo di motivazione e le informazioni potevano essere fornite in sede processuale, ciò, da un lato, perché si riteneva che la pretesa fosse comprensibile per il contribuente, dall'altro, per ragioni di economicità (11).

Non si può, d'altra parte, tralasciare il principio secondo il quale a nessun atto la pubblica amministrazione possa accingersi senza aver procurato a se stessa prova dei fatti che determinano la sua potestà di dar vita a quell'atto.

Premessa l'imprescindibilità della motivazione della fase istruttoria nel diritto amministrativo, come in quello tributario, unico temperamento ad una maggior completezza, risulta essere quello costituito dai princìpi generali di economicità, semplicità e celerità dell'azione amministrativa ed in generale del principio di non aggravamento del procedimento.

Nel compiere un bilanciamento tra questi diversi centri di interessi, il principio di ragionevolezza, secondo il quale viene sancita l'esigenza che tutti i provvedimenti amministrativi non siano arbitrari ed irrazionali, sembra costituire la clausola generale dell'azione amministrativa.

(10) Ad esempio le iscrizioni a ruolo e gli avvisi di liquidazione.

(11) LUPI R., Manuale professionale di diritto tributario, cit., p. 156; FALSITTA G., Manuale di

diritto tributario, Parte generale, Cedam, Padova, 1997, p. 422.

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L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

13194/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

Infatti, il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione ex artt. 3 e 97 della Costituzione, non può prescindere dalla conoscenza del vero.

Il principio di ragionevolezza si atteggia, quindi, come regola per valutare sia la correttezza del presupposto di fatto dell'accertamento, sia che i risultati dell'accertamento non siano travisati, incompresi o anche omessi in sede decisoria.

Tale principio si configura principio-guida tanto della fase di formazione del procedimento, quanto di quella di adozione del provvedimento.

Inoltre, nell'accertamento posto in essere dall'Amministrazione finanziaria, dove si parla di discrezionalità vincolata (12), l'indicazione degli elementi di prova nell'atto di accertamento risponde ad una molteplicità di esigenze, senza risultare obbligo particolarmente gravoso.

Infatti, rispettando il principio di non aggravamento del procedimento, l'esposizione critica degli elementi di prova del fatto presupposto dell'obbligazione tributaria rappresenterebbe un aspetto dell'obbligo di tener conto delle risultanze dell'istruttoria e, quindi, implicitamente, del principio di ragionevolezza, obbligo confermato anche dall'art. 24 della Costituzione, al fine di assicurare il diritto di difesa.

Quindi appare sostanzialmente irragionevole non palesare nell'avviso di accertamento gli elementi di prova assunti o acquisiti, in quanto si costringerebbe il contribuente a richiedere la tutela giurisdizionale anche solo per conoscere il quadro probatorio eretto contro di lui, con la conseguenza di un aumento del contenzioso tra amministrazione e contribuente in quanto non verrebbe consentita una difesa anticipata al contribuente rispetto al contenzioso e contemporaneamente verrebbero disattesi i princìpi di economicità ed efficienza dell'azione dell'Amministrazione finanziaria.

(12) MANZONI I., Potere di accertamento e tutela del contribuente nelle imposte dirette e nell'Iva, Giuffrè, Milano, 1993, p. 220 e ss.; RUSSO P., Manuale di diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1999, p. 255.

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GIANLUCA FILIPPI - MARIO LANDI

1320 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

4. L'orientamento giurisprudenziale

La Corte di Cassazione in varie occasioni ha avuto modo di affermare che gli accertamenti di natura tributaria non motivati sono da considerare giuridicamente inesistenti (13).

Per un corretto apprezzamento dell'assunto della Corte di Cassazione sembra utile ricordare che secondo l'insegnamento della stessa suprema Corte la motivazione dell'avviso di accertamento in rettifica deve, di regola, considerarsi congrua se essa è nutrita del riferimento, cumulativo o alternativo, ai criteri legali di valutazione previsti in astratto dalla legge o a quei diversi criteri in concreto seguiti a causa della inutilizzabilità o insufficienza dei primi (14).

Ciò significa che ben può dirsi motivato l'avviso di accertamento che indichi i metodi con i quali è stata effettuata la stima del Fisco, in quanto la motivazione, secondo consolidata giurisprudenza, risulta finalizzata, in definitiva, allo scopo di controllare il criterio seguito in concreto dall'Ufficio per l'avanzamento della pretesa impositiva e gli elementi all'uopo utilizzati.

Invece, deve considerarsi nullo l'avviso di accertamento con motivazione non rispondente ai requisiti minimi e come tale inidoneo a svolgere la sua funzione dichiarativa e partecipativa degli elementi essenziali assunti a sostegno della pretesa fiscale, perché così operando, l'Ufficio tributario di fatto impedisce al ricorrente di conoscere i presupposti materiali cui è correlata la pretesa stessa, inibendo, in sostanza, l'esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito (15).

E a tale proposito merita pure particolare attenzione, la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 5787 del 26 ottobre 1988, secondo la quale l'obbligo di motivazione viene soddisfatto quando

(13) Vds., per tutte, le sentenze a sezioni unite n. 1136 e n. 1137, entrambe del 17 marzo 1999.

(14) Vds. Cass. sez. I civ., sentenze n. 5817/1987 e n. 8692/1991.

(15) Vds. Cass. a sezioni unite, 8 febbraio 1987, n. 4853 e Commissione Tributaria Centrale,

decisioni n. 4891 del 15 giugno 1988 e n. 2922 del 28 maggio 1998.

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L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

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la stessa "abbia un contenuto minimo che consenta al contribuente di risalire alle ragioni giuridiche che hanno determinato l'emanazione dell'accertamento medesimo e che realizzi l'esercizio del diritto alla difesa", nonché la sentenza n. 5128 dell'8 maggio 1991, con la quale la Suprema Corte ha ritenuto che l'avviso di accertamento debba considerarsi motivato quando i fatti contestati abbiano specificità e concretezza.

L'avviso di accertamento, in altre parole, verrebbe a soddisfare l'obbligo della motivazione tutte le volte che il suo contenuto sia tale da mettere il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria ad esso sottesa nei suoi elementi essenziali (16) e di sviluppare le proprie deduzioni difensive.

L'atto di accertamento assume, così, carattere di "provocatio ad opponendum", avente lo scopo di portare la controversia tra Fisco e contribuente davanti agli organi di giustizia tributaria, rimandando in un secondo momento il confronto dei fatti costitutivi della pretesa dell'Amministrazione finanziaria e degli eventuali fatti modificativi o estintivi della stessa, che il contribuente potrà addurre (17).

In linea con tale orientamento e secondo giurisprudenza consolidata, l'obbligo della motivazione, per quanto riguarda gli avvisi di accertamento in materia di imposta di registro, mira a delimitare l'ambito delle ragioni deducibili ad opera dell'Ufficio nell'eventuale successiva fase contenziosa ed a consentire, altresì, al contribuente l'esercizio del diritto di difesa, con la conseguenza che, al fine indicato, è necessario e sufficiente che l'avviso enunci il criterio astratto in base al quale è stato indicato un diverso e maggiore valore imponibile (18).

Proprio da queste determinazioni, ha trovato maggior vigore argomentativo anche l'orientamento giurisprudenziale per il quale

(16) Vds. Cass., sez. trib., 10 maggio 2000, n. 14200.

(17) Basti ricordare in tal senso le sentenze della Corte di Cassazione, sez. I civ., n. 14427 del 22 dicembre 1999, n. 260 del 12 gennaio 2000 e n. 658 del 21 gennaio 2000.

(18) Vds. Cass. a sezioni unite 4 gennaio 1993, n. 8 nonché le sentenze n. 3578 del 3 agosto 1979, n. 12141 del 21 dicembre 1990 e n. 12175 del 24 novembre 1995.

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l'obbligo di motivazione degli atti impositivi può ritenersi giuridicamente assolto "per relationem", a condizione che il contribuente sia stato comunque posto in grado di conoscere tutti gli elementi essenziali della pretesa addotta nei suoi confronti e di comprendere il ragionamento logico-giuridico seguito dall'amministrazione, attraverso la conoscenza o la conoscibilità degli atti richiamati.

Si tratta di un particolare caso di motivazione: la motivazione "per relationem", appunto, ovvero l'ipotesi in cui la motivazione consista nel semplice rinvio ad altri atti redatti nei confronti del contribuente (19).

La legittimità della motivazione "per relationem" viene riconosciuta sempre che l'atto di rinvio di riferimento sia reso disponibile anteriormente o contemporaneamente alla notifica dell'atto cui accede (20).

La giurisprudenza, da tempo, milita decisamente in favore della più ampia ammissibilità dell'istituto, a condizione comunque che il contribuente venga posto in grado di esercitare le proprie difese.

A titolo esemplificativo può citarsi, tra l'altro, la sentenza della Commissione centrale, sez. VIII, n. 5660 del 20 maggio 1997 con cui si è stabilito che "allorquando il processo verbale di constatazione è conosciuto dal contribuente e gli elementi in esso contenuti e succintamente riportati negli accertamenti sono idonei ad assicurare una completa conoscenza degli addebiti e dei loro presupposti probatori, la motivazione per relationem è pacificamente ammessa per gli effetti fiscali, rispondendo all'esigenza sostanziale di garantire un'adeguata informazione al destinatario e quindi l'esercizio del diritto di difesa".

La ratio della motivazione per relationem sta nel "far propri i contenuti dell'atto rinviato che diviene, in tal modo, parte integrante del provvedimento" (21) allo scopo di soddisfare l'esigenza di sintesi ed economia dei mezzi giuridici che è alla base dell'ordinamento giuridico.

(19) MANZONI I., Potere di accertamento e tutela del contribuente nelle imposte dirette e nell'Iva, cit., p. 220 e ss.

(20) Vds. Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sez. XIII, sentenza del 10 maggio 1999.

(21) MICELI R., Motivazione "per relationem": dalle prime elaborazioni giurisprudenziali allo Statuto del contribuente, in Riv. Trib., n. 11, 2001.

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L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

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La posizione assunta dalla giurisprudenza si pone in linea con l'orientamento da questa seguito nella definizione dell'atto di accertamento come provocatio ad opponendum, poiché l'obbligo della motivazione verrebbe soddisfatto tutte le volte in cui il contribuente venga di fatto posto in condizione di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, in modo tale da consentire al contribuente un'opposizione efficace (22), a conferma che la legittimità della motivazione per relationem sarebbe "subordinata al fatto che venga comunque assicurata la sua funzione primaria di tutela della difesa del contribuente" (23).

Partendo da questo presupposto, la giurisprudenza è giunta alla conclusione che assumerebbe rilevanza non tanto la conoscenza effettiva dell'atto richiamato, quanto la sua conoscibilità (24).

La motivazione "per relationem" degli atti di accertamento, pertanto, è del tutto legittima se fa riferimento anche ad elementi extratestuali, che il contribuente già conosce o comunque è in grado di conoscere (25).

(22) In tal senso: Cass. a sezioni unite 23 giugno 1993, n. 6951; Cass. 24 novembre 1997, n. 5660; Cass. 22 dicembre 1997, n. 14427; Cass. 27 ottobre 2000, n. 14200; Cass. 8 maggio 2000, n. 5772.

(23) PORCARO G., Mancata allegazione del processo verbale di contestazione: effetti sulla motivazione e prova dell'accertamento, in Rass. trib., n. 1, 2001, p. 89.

(24) Al riguardo: Cass. 17 maggio 1990, n. 4290; Cass. 16 agosto 1993, n. 8685; Cass. 14 giugno 1996, n. 5506, nella quale viene affermato che "la conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente del rapporto di polizia tributaria, che sia richiamato nell'avviso, è necessaria quando tale richiamo integri l'unica motivazione dell'atto, di modo che detta conoscenza o detta conoscibilità siano indispensabili per coglierne il contenuto, non anche quando l'atto stesso automaticamente fornisca tutti gli estremi del dedotto credito", ma anche Cons. Stato, sez. IV, n. 1866 del 1988, in Giust. Civ., n. 1, 1999, dove si specifica che per "conoscibilità" o "messa a disposizione dell'atto", si intende fornire al cittadino precise indicazioni sul materiale recepimento del documento.

(25) Vds. Cass., sez. trib. 26 febbraio 2001, n. 2780: "Il fatto che l'Ufficio abbia motivato l'accertamento con un mero rinvio alle considerazioni sviluppate dalla Guardia di Finanza, non sta a significare che a monte non ci sia stata un'autonoma valutazione. Sta a significare soltanto che l'Ufficio ha inteso realizzare un'economia di scrittura, che non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio".

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Così come è formalmente legittimo l'avviso di accertamento motivato "per relationem" ad elementi acquisiti anche da organi ispettivi estranei all'Amministrazione finanziaria (ad esempio ad un verbale dell'Inps), purché la documentazione "extratributaria" posta a base del provvedimento sia conosciuta dal contribuente (26).

In particolare, per quanto riguarda il rinvio per relationem ai verbali della Guardia di Finanza o di altri organi investigativi, i quali difficilmente potevano essere inquadrati tra gli atti dell'Amministrazione finanziaria in senso stretto, poiché provenienti da organi che godono di un'autonomia organizzativa rispetto all'apparato ministeriale, anche se da esso dipendenti, dottrina e giurisprudenza (27) pacificamente sostengono la legittimità del rinvio ad un verbale della Guardia di Finanza, purché questo venga "vagliato criticamente" dall'organo che adotta l'avviso di accertamento.

Va considerata indubbiamente illegittima la fattispecie di motivazione per relationem in cui l'ufficio si limitasse a far proprie pedissequamente ed acriticamente le risultanze dei verbali di constatazione, senza previa verifica valutativa delle stesse, a seguito della pregressa attività svolta dagli organi di controllo.

Considerando che il potere di accertamento compete in via esclusiva agli uffici dell'Amministrazione finanziaria, quindi, dinanzi ad un verbale di constatazione degli organi di polizia tributaria, l'ufficio deve valutare le deduzioni in esso contenute per decidere su quali elementi fondare la pretesa tributaria.

Infatti, solo una valutazione critica degli elementi contenuti nel verbale consente un uso legittimo del potere di accertamento, poiché

(26) Vds. Cass., sez. trib. 8 marzo 2001, n. 7832.

(27) Con la sent. n. 2780 del 2001, in Boll. Trib., p. 7778, la Corte di Cassazione ha infatti stabilito: "il fatto che l'ufficio abbia motivato l'accertamento con mero rinvio alle considerazioni sviluppate dalla Guardia di Finanza, non sta a significare che a monte non ci sia stata un'autonoma valutazione. Sta a significare soltanto che l'ufficio giunge alle medesime conclusioni della Guardia di Finanza, non si vede perché dovrebbe essere costretto a ripetere cose già note al contribuente, replicando inutilmente un'attività di mera scritturazione".

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L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

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un uso acritico delle deduzioni e ricostruzioni fornite dagli organi investigativi, porta di fatto ad una delega ad essi di un potere che non può essere delegato (28).

La giurisprudenza, in definitiva, non mette in discussione la legittimità del principio del rinvio per relationem ad un verbale della Guardia di Finanza o di altro organo ispettivo, ma pone dei limiti sul modo con il quale viene effettuato il rinvio.

L'atto, in pratica, si considera illegittimo per carenza di motivazione se il verbale non viene vagliato criticamente con la conseguenza che la decisione possa riferirsi all'Amministrazione finanziaria non solo formalmente ma anche sostanzialmente.

4.1 Ancora sulla motivazione per relationem

La recentissima giurisprudenza (29) ha nuovamente ed ulteriormente ribadito che "l'avviso di accertamento motivato mediante rinvio a verbali ispettivi redatti nei confronti di soggetti diversi dal contribuente, è legittimo solo ove l'amministrazione dimostri, anche tramite presunzioni, l'effettiva conoscenza di tali documenti da parte del contribuente".

In definitiva, la sentenza in argomento analizza ancora una volta le condizioni di legittimità della motivazione per relationem attraverso l'esame e la verifica della presunta violazione del richiamato art. 56, comma 2, del D.P.R. 633/1972.

Nella fattispecie in esame, la Corte di Cassazione è intervenuta a seguito di un'impugnazione sollevata dall'Amministrazione finanziaria contro una sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la quale aveva accolto il ricorso di un contribuente avverso alcuni avvisi di rettifica riguardanti l'Iva.

(28) In tal senso sia VANZ G., Sulla nullità dell'avviso di accertamento motivato per

relationem, in Rass. Trib., 1999, p. 1770.

(29) Cass. 10 gennaio 2005, n. 4305, depositata il 1° marzo 2005.

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In dettaglio, la commissione tributaria aveva rilevato una inadeguata motivazione degli avvisi di rettifica, nella parte in cui si faceva riferimento a verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza nei confronti di altra società, ritenendo, pertanto, l'insufficienza degli elementi forniti causa impeditiva per l'esatta conoscenza dei termini della contestazione mossa dall'Amministrazione finanziaria.

Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in sede di ricorso, precisava che gli avvisi di rettifica, costituendo provocatio ad opponendum, erano completi degli elementi essenziali della pretesa tributaria, atteso che, nel caso di specie, rinviavano ad un processo verbale, il quale ancorché notificato ad altro soggetto, era stato acquisito dalla società accertata in allegato ad un processo verbale di constatazione redatto nei suoi confronti.

La Corte di Cassazione, al riguardo, ha fatto specifico riferimento alla precedente sentenza n. 4430 del 26 marzo 2003, ritenendo che nel caso in cui nell'avviso di accertamento la motivazione faccia rinvio a verbali ispettivi redatti nei confronti di soggetti diversi "è necessaria, ai fini della legittimità dell'atto, l'effettiva conoscenza di tali documenti da parte del contribuente".

Mette conto evidenziare che la citata sentenza Cass. 4430/2003 aveva affermato che l'orientamento della suprema Corte in merito alla motivazione degli atti tributari a tutela del diritto di difesa del contribuente aveva trovato pieno conforto nell'evoluzione legislativa definita dal già richiamato art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, intitolato "Chiarezza e motivazione degli atti".

Infine, si osserva che sull'obbligo della motivazione nell'avviso di accertamento si è ormai consolidata, in virtù anche delle ultimissime pronunce, una giurisprudenza univoca e in linea con la posizione dell'Agenzia delle Entrate, la quale con la Circolare n. 77/E del 3 agosto 2001 ha stabilito che se nell'accertamento "la motivazione fa riferimento ad altri atti non conosciuti o ricevuti dal contribuente l'amministrazione deve, a pena di nullità, allegare l'atto richiamato o, in alternativa, riprodurne il contenuto essenziale", intendendo per "contenuto essenziale l'indicazione degli elementi che assumono rilevanza ai fini dell'accertamento".

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L'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE NELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

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5. Conclusioni

Un sensibile rafforzamento della tutela della posizione del contribuente, connessa alla funzione dell'istituto in esame, è sicuramente disceso dalla previsione dell'art. 3 della L. 241/1990 che, nel generalizzare l'obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti amministrativi, ha precisato che la stessa deve estendersi ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.

Successivamente, è stata l'emanazione della legge del 27 luglio 2000, n. 212, nota anche come "Statuto del contribuente" a segnare un'ulteriore passo in avanti nella specifica materia, introducendo una serie di princìpi generali nell'ordinamento tributario con l'intento di semplificare, chiarire e migliorare il rapporto tra contribuente ed Amministrazione finanziaria.

In effetti già dal nomen juris, "disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente", si evince che lo scopo cui è rivolta tutta la disciplina è quello di ridisegnare i rapporti dell'amministrazione con il contribuente in una visione maggiormente garantista per quest'ultimo in ottemperanza al principio informatore generale rappresentato dal collaborazionismo.

Proprio in tale direzione, si colloca - così come altri precetti (es. il Garante, l'interpello, ecc.) - l'obbligo, in capo all'Amministrazione finanziaria, di motivare adeguatamente l'avviso di accertamento a tutela e rafforzamento delle garanzie offerte al contribuente (30).

Pertanto, nel più ampio panorama della riforma del rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione verso maggiori forme di collaborazione, definita dalla legge sulla trasparenza e perfezionata dallo Statuto del Contribuente, si è avvertita la necessità di conferire alla

(30) In proposito la relazione illustrativa alla L. 212/2000 del Senato della Repubblica in

Corr. Trib. del 28 maggio 2001.

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1328 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

motivazione dell'avviso di accertamento le funzioni di controllo, legalità e democraticità dell'azione impositiva.

In questo contesto di riavvicinamento del cittadino all'amministrazione pubblica verso forme di collaborazione e non più di contrapposizione, emerge la definizione dell'obbligo di motivazione dell'avviso di accertamento in funzione di raccordo fra le due parti, ove il contribuente "non è più considerato come suddito ma come controllore di un'attività amministrativa" (31).

(31) PERRUCCI U., Prime verifiche sull'applicazione dello "statuto", in Boll. Trib., n. 2, 2002,

p. 95.

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Le nuove disposizioni in materia di indagini bancarie nella legge finanziaria 2005 (*)

di Antonio Mancazzo

1. Premessa - 2. Modifica contenutistica - 3. Modifica accertativa - 4. Innovazioni procedurali

1. Premessa

Gli accertamenti bancari rappresentano notoriamente uno degli strumenti istruttori più incisivi per ricostruire le effettive disponibilità reddituali dei contribuenti sottoposti a controlli fiscali.

Fino a poco più di un decennio fa, per ragioni di natura essenzialmente fiscale, la disciplina delle indagini bancarie era fortemente condizionata ed ostacolata dal segreto bancario, istituto consuetudinario da lungo tempo invalso nella prassi dei rapporti bancari, che si riteneva giustificato da un'esigenza di salvaguardia dei valori costituzionali della libertà di investimento e della tutela del risparmio. Per tali ragioni, il legislatore era riuscito, sia pure con grande fatica, ad inserire delle limitazioni al segreto bancario in materia di accertamento di imposte dirette ed Iva, allorché vi fossero gli estremi per configurare delle fattispecie di evasione di imposta, che rivelassero un "fumus

(*) Il presente articolo riproduce, con adattamenti ed integrazioni, soprattutto per quanto con-cerne le note, il testo della relazione illustrata dall'Autore nel corso del seminario "Ires e Finanziaria 2005: i principali riflessi sull'attività dell'Amministrazione Finanziaria", svoltosi a Ravenna il 4 marzo 2005 ed organizzato congiuntamente dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Ravenna e dagli Uffici dell'Agenzia delle Entrate di Faenza, Lugo e Ravenna.

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delicti", cioè la realizzazione di un illecito tributario di natura penale. In tale contesto, la verifica fiscale dei conti del contribuente aveva, dunque, una funzione di raccolta indiziaria, prodromica al processo penale.

La legge 30 dicembre 1991, n. 413, ha avuto il merito indiscutibile di affrontare il problema dell'uso del segreto bancario ai fini dell'evasione fiscale, considerando sia le connotazioni illegali che il fenomeno può celare (è dello stesso anno la normativa antiriciclaggio, ancora oggi vigente), sia la necessaria fissazione di modalità investigative celeri ma rispettose dei diritti e degli interessi legittimi dell'indagato.

Il favore del legislatore per questo tipo di indagini si è manifestato nell'eliminazione dalla preesistente disciplina, attraverso la legge citata, della specifica e tassativa casistica di condizioni (specificate negli artt. 35, D.P.R. 600/1973 e 51-bis D.P.R. 633/1972, entrambi abrogati) che ne legittimavano l'utilizzo e nella conseguente soppressione, di fatto, di ogni residuo segreto bancario opponibile all'Amministrazione finanziaria.

Tuttavia, da allora molte cose sono cambiate: le banche e le Poste sono solo alcuni dei numerosi operatori che oggi possono gestire ed amministrare le disponibilità finanziarie dei contribuenti, così come le possibilità di diversificazione del risparmio e degli investimenti offerte dal mercato sono talmente articolate che una rigida tipizzazione appare sempre più difficile.

La legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), art. 1, commi 402, 403 e 404, modificando le previsioni in merito contenute negli artt. 32 e 51, rispettivamente, dei D.P.R. 600/1973 e 633/1972, ha profondamente innovato il sistema, accrescendo in maniera sensibile le potenzialità proprie della procedura, sotto il profilo dei dati, delle notizie e dei documenti acquisibili dagli Organi di controllo, e, quindi, indirettamente, i poteri di indagine dell'Amministrazione finanziaria.

Trattasi, in definitiva, di innovazioni volte a conferire maggiore incisività, sia sotto il profilo dell'ampliamento dei poteri riservati ai verificatori, sia in rapporto alla tempistica di espletamento del complesso iter procedurale.

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LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE FINANZIARIA 2005

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Le novità introdotte con la finanziaria 2005 investono tre diversi piani:

1. contenutistico: le nuove regole ampliano notevolmente le informazioni che l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza possono ottenere non solo dalle banche, ma anche da poste italiane, intermediari finanziari, organi di investimento collettivo, società di gestione del risparmio e società fiduciarie;

2. accertativo: attraverso il riferimento esplicito (operato dall'art. 32, primo comma, n. 2 del D.P.R. 600/1973) non solo ai "ricavi" ma anche ai "compensi", viene estesa ai professionisti, in materia di imposte dirette, la doppia presunzione, prima limitata alle imprese, con la quale viene a determinarsi un'inversione dell'onere della prova sia per i versamenti bancari che per i prelevamenti. Infatti, tra i limiti invalicabili delle indagini bancarie, così come fissati dalla normativa previgente, il più evidente era costituito sicuramente dall'impossibilità di considerare proventi i prelevamenti effettuati dai lavoratori autonomi sui propri conti, non risultanti dalla contabilità.

Con tale ampliamento, il legislatore ha finito per condividere l'orientamento del giudice di legittimità (Cassazione, sentenza n. 11094/1999), che estendeva la possibilità delle indagini bancarie anche ai lavoratori autonomi, sebbene l'art. 32, primo comma, n. 2, secondo periodo (nella versione previgente), non utilizzasse il termine "compensi";

3. procedurale: si riducono notevolmente i tempi di risposta con l'ausilio della telematica.

Prima di procedere all'esame delle nuove disposizioni, può essere utile porre in evidenza come, trattandosi di modifiche che riguardano i poteri di controllo dell'Amministrazione finanziaria, le stesse potranno trovare applicazione per le attività istruttorie e di accertamento avviate dopo la loro entrata in vigore, ma anche in relazione a periodi d'imposta precedenti. In senso conforme si è espressa l'Agenzia delle Entrate già nel corso del quattordicesimo convegno via satellite organizzato dal Sole 24 Ore in merito alle novità più rilevanti contenute nella legge finanziaria per il 2005.

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1332 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

Qualcuno ha affermato, però, che nel caso in questione possa trovare applicazione il principio della irretroattività della norma tributaria, richiamando l'art. 3, primo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente) secondo cui "le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Tale norma, che si richiama al principio costituzionale secondo cui "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso" (art. 25, secondo comma, Cost.), nonché a quello presente nell'art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale (c.d. Preleggi), per cui " la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo", stabilisce appunto che la norma tributaria non ha effetto per il passato, salvo che non si tratti di norme interpretative, il cui uso deve, peraltro, considerarsi eccezionale. Ad ogni modo, non si ritiene che una tale tesi possa essere accolta, dal momento che le modifiche non incidono affatto sugli elementi costitutivi dell'obbligazione tributaria, bensì sui poteri riconosciuti agli organi competenti ai fini dell'esercizio dell'azione di controllo. Avendo ad oggetto poteri istruttori, insomma, le disposizioni introdotte con i surrichiamati commi 402, 403, 404 della L. 311/2004 presentano una natura meramente procedimentale.

Gli effetti sfavorevoli, quindi, si riverberano a carico del contribuente anche per il pregresso, estendendosi a tutti gli anni accertabili alla data di effettuazione del controllo (da ultimo la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con sentenza n. 17789/2002 secondo la quale "la disciplina in materia di accesso ai dati bancari si occupa solo dell'attività di indagine e di accertamento e non interferisce sul rapporto tributario. Pertanto la disciplina deve ritenersi pienamente applicabile anche alle iniziative ispettive relative a periodi di imposta anteriori" all'entrata in vigore della legge 30 dicembre 1991, n. 413").

2. Modifica contenutistica

La modifica di più evidente impatto rispetto al precedente assetto, è senz'altro quella che riguarda il campo di applicazione oggettivo degli accertamenti bancari e finanziari, vale a dire la documentazione che può essere richiesta dagli Organi di controllo.

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LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE FINANZIARIA 2005

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Come noto, la precedente versione dei nn. 7) del primo e del secondo comma, rispettivamente, dell'art. 32 del D.P.R. 600/1973 e dell'art. 51 del D.P.R. 633/1972, circoscriveva tale documentazione, nell'ambito di quella riconducibile alle diverse tipologie di rapporti che possono essere intrattenuti con le banche, alla "copia dei conti intrattenuti con il contribuente con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti, comprese le garanzie prestate da terzi".

Secondo quanto chiar i to dal la c i rcolare minister ia le n. 116/E del 1996, il termine "conto" andava inteso nel senso di "conto movimentabile fondato su un rapporto contrattuale tra la banca e clientela", con la conseguenza che non poteva essere acquisita la documentazione attinente a tutti i rapporti bancari intrattenuti dal contribuente, ma soltanto quella relativa a rapporti idonei per natura ad originare movimentazioni in entrata e in uscita destinate, appunto, ad essere rilevate su un "conto". In sostanza, rientravano nella definizione solamente i conti correnti di corrispondenza, i libretti di deposito nominativi e al portatore, i conti titoli ed i conti di appoggio di gestioni patrimoniali. Nemmeno la locuzione "rapporti inerenti o connessi al conto" serviva a poter ampliare l'indagine, visto che, una volta focalizzato l'oggetto principale (appunto il "conto"), anche le operazioni inerenti e connesse si limitavano ai rapporti che trovavano evidenza in questi rapporti e che, normalmente, venivano specificati nelle diverse voci descrittive degli stessi, oppure a quelli funzionalmente collegati allo stesso conto (affidamenti, aperture di credito, mandati all'incasso, cessione di crediti), comprendendo anche le garanzie prestate o ricevute.

Sul piano oggettivo, restavano, quindi, escluse dal campo di operatività degli accertamenti bancari le operazioni relative ai certificati di deposito, quelle di acquisto e vendita di valuta estera, acquisto o cessione di titoli, la cessione di effetti al dopo incasso, le richieste di assegni circolari allo sportello con controvalore numerario o altri valori, la richiesta di bonifici senza addebito in conto, la richiesta di assegni circolari con controvalore in numerario, le negoziazioni allo sportello e, più in genere, le operazioni eseguite per cassa allo sportello senza interessamento di un conto, oltre che le operazioni relative ai conti transitori bancari, aventi carattere meramente interno e che, sebbene

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1334 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

identificati con il nome del contribuente, sono spesso utilizzati dalle banche per esigenze organizzative.

Per effetto delle modifiche ora introdotte, gli Organi di controllo potranno richiedere, per l'acquisizione, agli enti creditizi e finanziari "dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi".

Si passa, quindi, ad un campo di applicazione molto più ampio, comprensivo non solo di tutti i rapporti in senso lato intrattenuti fra il contribuente e l'ente destinatario della richiesta, che comportino la periodica movimentazione in entrata o in uscita di disponibilità finanziarie del primo, bensì anche di singole ed episodiche operazioni, eventualmente poste in essere una tantum (si pensi alla richiesta di un bonifico o di un assegno circolare regolarizzate in contanti allo sportello), prescindendo completamente dalla circostanza che la regolamentazione finanziaria dei rapporti, operazioni e servizi sia in qualche modo transitata o meno attraverso un conto corrente movimentabile.

S ign i f i ca t i vamente con fe rmat i vo de l l a t endenz ia l e omnicomprensività della documentazione bancaria e finanziaria acquisibile dagli Organi di controllo, appare essere, in particolare, la precisazione, contenuta nella nuova previsione normativa, secondo la quale nell'ambito dei "rapporti" e delle "operazioni" per i quali è possibile richiedere dati, notizie e documenti, devono intendersi compresi anche i "servizi" prestati alla clientela, espressione che dovrebbe verosimilmente riferirsi non solo al complesso di tutti i servizi di investimento offerti sul mercato dagli enti creditizi e finanziari (come, ad esempio, le gestioni patrimoniali), ma anche a tutte quelle prestazioni, eventualmente pure di carattere accessorio, messe a disposizione dagli enti stessi alla clientela e che possono assumere rilievo ai fini della individuazione delle disponibilità finanziarie dei contribuenti interessati (fra cui la comunicazione relativa all'esistenza di cassette di sicurezza).

Si tratta infatti di fenomeni che, in taluni casi, possono risultare strutturati in maniera articolata e complessa, così come derivare dalla reciproca integrazione di più fattispecie contrattuali, per i quali, in un approccio interpretativo restrittivo dei termini "rapporti" e "operazioni",

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LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE FINANZIARIA 2005

13354/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

si sarebbe forse potuto, in mancanza di una esplicita previsione, opporre l'esclusione dalla portata della prescrizione normativa.

Tutte le limitazioni oggettive all'esercizio del potere di indagine bancaria innanzi ricordate, che sono state selezionate, principalmente, dalla prassi, sembrano quindi destinate ad essere superate, in favore di una generalizzata accessibilità da parte degli Organi dell'Amministrazione finanziaria di ogni genere di relazione intercorrente fra i contribuenti e le imprese bancarie e finanziarie.

Riassumendo, superata oramai la limitativa e sterile indicazione dei conti, il fisco ha la possibilità di intercettare le operazioni effettuate per cassa, allo sportello, da clienti occasionali, o da contribuenti che si recano in una banca estranea per tentare di occultare reddito agli Organi di controllo ("operazioni fuori conto"), sottoponendo a monitoraggio l'intera categoria dei rapporti intrattenuti con gli istituti di credito. Per questo, a seguito della novella, c'è stato chi ha ritenuto più corretto definire le indagini in questione non più bancarie ma finanziarie.

Nella vigenza della precedente versione delle disposizioni in esame, era prevista la possibilità per gli Organi di controllo, una volta acquisita la "copia dei conti", di richiedere all'ente destinatario della prima richiesta "ulteriori dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi agli stessi conti", ad esempio allo scopo di identificare i destinatari finali di certe operazioni finanziarie (trasferimento fondi, beneficiario di un assegno, ecc.), non rilevabili dalla lista di operazioni inizialmente acquisita.

Per tale ulteriore richiesta, era necessario utilizzare un apposito questionario, conforme ai modelli approvati con il decreto ministeriale del 9 dicembre 1999, distintamente per le banche e le Poste Italiane S.p.A.; si riteneva comunque che tali ulteriori richieste dovessero riferirsi a dati, informazioni e documenti relativi agli elementi acquisiti in base all'originaria attivazione.

Avendo ora i commi 402 e 403 dell'art. 1 della legge finanziaria per il 2005 sostituito integralmente tutto il primo periodo dei nn. 7) del primo e del secondo comma, rispettivamente, dell'art. 32 del D.P.R. 600/1973 e dell'art. 51 del D.P.R. 633/1972, che contemplavano, oltre alla generale potestà di richiesta di copia dei conti, anche quella di ulteriori dati e notizie e poiché quest'ultima non è stata riprodotta nella versione

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1336 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

modificata, ne discende la soppressione di quella che era comunemente considerata la "seconda" (ed eventuale) fase degli accertamenti bancari.

È appena il caso di osservare come tale soppressione sia, da un lato, assolutamente coerente con la più ampia portata applicativa della generale facoltà di richiedere, non più solo "copia dei conti", ma dati, notizie e documenti relativi a rapporti, operazioni e servizi e, dall'altro, rappresenti una ulteriore conferma del generalizzato obbligo degli enti creditizi e finanziari di porre a disposizione degli Organi di controllo fiscale ogni documentazione da questi richiesta.

È infatti quella stessa generalizzata facoltà che assorbe l'esplicita previsione normativa della possibilità di richiedere ulteriori dati e notizie di carattere specifico e, al tempo stesso, la rende priva di utilità.

Ne consegue l'osservazione secondo cui il nuovo assetto delle indagini bancarie e finanziarie in materia tributaria pare rendere possibile, in base al medesimo provvedimento autorizzativo rilasciato da una delle Autorità competenti, reiterate e successive richieste di dati, notizie e documenti (la prima di carattere generale, le altre a contenuto più specifico, orientate all'acquisizione di elementi e documenti di dettaglio), ovviamente nei confronti dello stesso contribuente a cui si riferisce l'originario provvedimento autorizzativo, ciò di cui, in passato, si dubitava.

Altra significativa innovazione che amplia sensibilmente le possibilità di indagine degli Organi di controllo, è connessa all'ampliamento dei soggetti nei cui confronti può essere inoltrata la richiesta di comunicazione di rapporti, operazioni e servizi riferiti alla clientela, operato nella novellata versione dei nn. 7) del primo comma e del secondo comma, rispettivamente, dei più volte citati articoli dei menzionati D.P.R. 600/1973 e 633/1972.

Detta nuova versione contiene anche una parziale, diversa configurazione delle Autorità abilitate ad autorizzare le indagini bancarie e finanziarie in materia fiscale che, però, non ha una portata modificativa sostanziale, essendo preordinata ad adeguare il sistema ad innovazioni organizzative nel tempo intervenute nell'ambito dell'Amministrazione finanziaria; in particolare, fra dette Autorità, al posto delle precedenti

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LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE FINANZIARIA 2005

13374/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

figure dell'Ispettore compartimentale delle imposte dirette, delle tasse e imposte indirette sugli affari, ovvero, del Comandante di Zona della Guardia di Finanza, vengono individuati il Direttore Regionale dell'Agenzia delle Entrate, il Comandante Regionale per la Guardia di Finanza, e, in aggiunta, il Direttore Centrale dell'Accertamento della stessa Agenzia: quest'ultimo, presumibilmente, per le verifiche di maggiori dimensioni condotte a livello centrale e non periferico.

Nell'ottica della tutela del contribuente, la predetta autorizzazione deve avere gli elementi tipici dell'atto amministrativo ed, in particolare, essere fornita di una congrua motivazione che deve supportare e giustificare le verifiche bancarie successive. Sotto tale profilo, una irregolarità sostanziale o formale renderebbe lo stesso invalido. Mentre la dottrina più recente, considerandolo un vero e proprio atto provvedimentale, ne ammette l'immediata ed autonoma impugnabilità, la giurisprudenza tributaria e la prassi amministrativa, in quanto lo qualificano come atto di natura endo-procedimentale tendono, viceversa, ad escluderla, acconsentendone il controllo giurisdizionale unitamente all'eventuale ricorso avverso l'avviso di rettifica del reddito o dell'imponibile Iva, notificato al contribuente.

L'utilità dello strumento investigativo de quo discende, come accennato, dalla cosiddetta inversione dell'onere della prova, che impone al contribuente, posto di fronte alla documentazione di versamenti o prelevamenti evidenziati dai conti bancari o postali e non annotati nelle scritture contabili, di fornire la dimostrazione - necessaria per ogni operazione finanziaria - di averne tenuto conto, in sede di determinazione del reddito o a fini Iva, al momento della dichiarazione (Corte di Cassazione, sentenza n. 2435 del 19 febbraio 2001), ovvero, di provarne l'irrilevanza, in quanto estranei alla tassazione per essere esenti o soggetti a ritenuta a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva. Non sono sufficienti, pertanto, mere illazioni o supposizioni.

Un siffatto strumento - del quale era già stato escluso ogni contrasto con la Carta costituzionale (vedasi ordinanza n. 33 del 26 febbraio 2002 della Consulta) essendo la riservatezza dei dati afferenti ai propri risparmi un valore costituzionalmente protetto ma subordinato

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1338 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

a quello, di pari rango, del contributo di ogni cittadino alle spese pubbliche ex art. 53 Cost. - continua ad offrire, anche dopo l'entrata in vigore della legge finanziaria 2005, la possibilità di determinare le imposte dovute ovvero permette il recupero d'imponibile adottando presunzioni "semplici" o "iuris tantum", che, com'è noto, si fondano su un procedimento logico in base al quale il giudice desume l'esistenza di un fatto ignoto dall'esistenza di fatti noti. Ammettendo la prova contraria, tale presunzione comporta una sostanziale equiparazione, a fini impositivi, delle operazioni di cui non sia effettivamente possibile fornire una giustificazione, a quelle costituenti effettivamente fonti di profitti in nero (Corte di Cassazione, sentenza n. 9946 del 28 luglio 2000). Da qui l'equiparazione, per i prelevamenti di cui non siano provate le ragioni, ad acquisti e pagamenti senza "fattura", con conseguente addebito della sommatoria dei relativi importi.

Per quanto concerne, invece, le innovazioni di carattere sostanziale, mentre il precedente testo delle disposizioni sopra menzionate prevedeva che la richiesta di accertamenti bancari potesse essere indirizzata solo "alle aziende e istituti di credito per quanto riguarda i rapporti con i clienti e all'Amministrazione postale per quanto attiene ai dati relativi ai servizi dei conti correnti postali, ai libretti di deposito e ai buoni postali fruttiferi", secondo le stesse disposizioni, da poco novellate, la predetta richiesta può essere inoltrata "alle banche, alla società Poste Italiane S.p.A., per le attività finanziarie e creditizie, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società fiduciarie".

In relazione a tali ultimi soggetti, indipendentemente dalla tipologia adottata (fiduciarie "statiche", ex lege 1966/1939, o "dinamiche", ex D.L.vo 58/1998), la richiesta può riguardare anche l'indicazione della generalità dei soggetti per conto dei quali le stesse hanno detenuto, amministrato o gestito beni, alla precisa condizione che: 1) siano specificati i periodi temporali di interesse; 2) siano individuati in modo inequivoco i beni, strumenti finanziari e partecipazioni in imprese oggetto della richiesta.

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LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE FINANZIARIA 2005

13394/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

Sempre con riferimento alle società fiduciarie, la legge finanziaria ha apportato due precise modifiche al testo dell'art. 32, D.P.R. 600/1973:

- è stato soppresso il riferimento alle stesse al numero 5) del comma 1, che individua i soggetti tenuti alla comunicazione dei dati dei soggetti per conto dei quali si effettuano operazioni di riscossione o pagamento e gestione di intermediazione finanziaria anche in forma fiduciaria;

- si è ampliato il novero dei soggetti destinatari delle richieste di dati, informazioni e notizie di cui al punto 7) del medesimo comma 1, tramite inclusione delle stesse; inoltre (in tal senso deve essere letta la locuzione "tra l'altro" contenuta nel secondo periodo del punto in commento) parrebbe ammessa anche una richiesta di tipo esplorativo, tendente a conoscere l'identità dei fiducianti per i quali la società opera, dopo avere individuato un bene, una partecipazione o uno strumento finanziario (è il caso, ad esempio, di una verifica a carico di una società dal cui libro soci emerga un'intestazione di tipo fiduciario).

Dovrebbe, così, finalmente cessare la diatriba, sorta in dottrina e in giurisprudenza, circa la sussistenza dell'obbligo di fornire tali dati anche in capo alle società fiduciarie c.d. di amministrazione o statiche (vedasi parere del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2345 del 1° luglio 2003). Il condizionale è imposto dalla non chiarissima formulazione della nuova norma: è dubbio, infatti, se l'inciso "inequivocabilmente individuati" debba essere riferito ai soggetti verificati o ai rapporti sospetti. Di più, è già stato affacciato in dottrina il timore che possa crearsi una certa resistenza alle verifiche allargate nei trust.

Sono coinvolte, in buona sostanza, tutte le categorie di operatori finanziari presenti sul mercato, vale a dire tutti i soggetti che istituzionalmente possono porre in essere operazioni di gestione, impiego e movimentazione delle disponibilità finanziarie dei contribuenti, in base alla vigente normativa in tema di esercizio delle attività bancarie e di intermediazione finanziaria.

Anche da questa prospettiva, pertanto, le potestà di controllo dell'Amministrazione finanziaria risultano notevolmente ampliate, transitando dall'ormai ristretto piano dei conti correnti bancari e postali, dei libretti di deposito e dei depositi postali, al ben più vasto ed articolato mercato finanziario in senso generale.

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1340 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

È facile prevedere, quindi, che la modifica finirà per riguardare non solo imprese e professionisti, ma anche le altre categorie di contribuenti, non esercenti attività autonome. Si aprono, infatti, notevoli possibilità per il Fisco, di effettuare accertamenti sulla base di incrementi patrimoniali emersi dalle informazioni reperite tramite ad esempio le società fiduciarie (applicazione dell'accertamento sintetico ex art. 38, quinto comma, del D.P.R. 600/1973). Anzi, l'attuale previsione - completamente innovativa - toglie ogni velo, con effetto retroattivo, a tutte le intestazioni fittizie finora intrattenute con società fiduciarie. Si estendono a tutto campo, infatti, i poteri di indagine del fisco su qualsiasi tipo di fiduciaria, eliminando ogni certezza registrata fino a oggi sul distinguo tra fiduciarie di gestione "statica" (che svolgono solo l'amministrazione di beni, assoggettate alla L. 1966/1939) e fiduciarie di gestione "dinamica" (che svolgono per esempio attività di gestione ed intermediazione di portafogli titoli, inquadrate nel D.L.vo 58/1998) e sulla cui incertezza ha avuto modo di esprimersi - di recente - il Consiglio di Stato, anticipando il contenuto delle modifiche, come sopra evidenziate, apportate dalla legge finanziaria per il 2005.

Mentre prima alle società ed enti che esercitano attività di gestione ed intermediazione finanziaria, anche in forma fiduciaria, potevano essere richiesti esclusivamente dati e notizie attinenti a soggetti preventivamente individuati ovvero appartenenti ad una certa e specifica categoria, con esclusione, quindi, di richieste finalizzate a conoscere gli estremi identificativi dei soggetti che avevano affidato le proprie disponibilità finanziarie o patrimoniali alle predette società, adesso risultano legittimate, nei confronti delle sole fiduciarie, richieste volte anche soltanto ad individuare tali soggetti, pur non preventivamente identificati. L'obbligo delle società fiduciarie di fornire le generalità di detti soggetti, sussiste peraltro a condizione che la richiesta specifichi il periodo temporale a cui la stessa si riferisce e che i beni, gli strumenti finanziari e quelli partecipativi, detenuti, amministrati e gestiti dalla società fiduciaria destinataria della richiesta stessa siano "inequivo-camente individuati".

Di conseguenza, si ampliano le possibilità per l'A.F. di aggredire le intestazioni fittizie realizzate tramite fiduciarie, utilizzando, per esempio,

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LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE FINANZIARIA 2005

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la presunzione del terzo comma dell'art. 37 del D.P.R. 600/1973 (interposizione fittizia).

Merita ricordare, infine, che, ai fini della quantificazione della cifra finale da addebitare per evasione, non occorre più conteggiare singolarmente tutte le operazioni di versamento e prelevamento, ma è necessario e sufficiente assumere i dati ed elementi concernenti i rapport i /operazioni , ovvero considerare solo l 'ammontare complessivamente risultante dai conti (cosiddetti "valori per masse").

3. Modifica accertativa

Per quanto concerne il valore probatorio dei dati, notizie e documenti acquisiti dagli Organi di controllo nell'esercizio del potere di indagine bancaria, questo è stato, fino ad ora, diversamente configurato a seconda tanto del settore impositivo interessato, quanto della categoria economica di appartenenza del soggetto sottoposto a controllo.

In via preliminare, appare opportuno rammentare come detto valore probatorio sia ricollegabile alle cosiddette "presunzioni legali", nel senso che le conseguenze che le norme in rassegna permettono di ricavare, alle condizioni previste dalle norme stesse, dalle risultanze bancarie, traendo origine da una fonte legale, consentono all'Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, di non dover esplicitare ogni volta le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza delle medesime risultanze, come invece avviene, ai sensi dell'art. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. 600/1973 e dell'art. 54, secondo comma, ultima parte, del D.P.R. 633/1972, relativi al cosiddetto "accertamento analitico-induttivo", in ogni altro caso di utilizzo a fini fiscali di presunzioni semplici, in presenza di contabilità regolarmente istituita e formalmente regolare.

Ciò premesso, le presunzioni proprie degli accertamenti bancari, ai fini delle imposte dirette, sono sempre state - e sono tuttora - di due tipi.

I versamenti (a cui ora, per effetto delle modifiche introdotte, si devono aggiungere gli importi a qualsiasi titolo accreditati nell'ambito dei rapporti intrattenuti e delle operazioni effettuate, ivi compresi i

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1342 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

servizi ricevuti, con gli enti creditizi e di intermediazione finanziaria), configurano - tanto nella precedente, quanto nell'attuale versione della normativa - presunzioni di componenti reddituali positive, quali proventi, ricavi, compensi, ecc. e, pertanto, sono utilizzabili per rettificare qualsiasi categoria di reddito, ovviamente qualora il contribuente non dimostri di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito o che le operazioni cui gli stessi si riferiscono non hanno rilevanza fiscale.

Di contro i prelevamenti non risultanti dalle scritture contabili, a queste stesse condizioni ed in assenza di indicazione del beneficiario da parte del contribuente, erano considerati esclusivamente come ricavi, con la conseguenza che questo specifico elemento presuntivo poteva essere utilizzato solo per la ricostruzione del reddito d'impresa e non anche per altre categorie reddituali, né per altri componenti di reddito; i lavoratori autonomi, percependo compensi e non ricavi, erano esclusi dalla portata applicativa della presunzione.

Viceversa, ai fini Iva, il testo dell'art. 51, secondo comma, n. 2), secondo periodo, presupponendo unicamente che il contribuente sottoposto ad accertamenti bancari fosse soggetto al particolare tributo, non conteneva, né contiene tuttora, diversità di trattamento fra imprenditore o lavoratore autonomo; per entrambe le categorie, infatti, i versamenti bancari non giustificati sono considerati "vendite in nero" ed i prelevamenti "acquisti in nero".

Le modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2005 hanno riguardato unicamente la disciplina della valenza presuntiva delle risultanze bancarie relativamente al solo settore delle imposte dirette, eliminando la segnalata diversità intercorrente fra imprenditori e professionisti.

Ora, per effetto della nuova versione del n. 2), secondo periodo, del primo comma dell'art. 32 del D.P.R. 600/1973, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei rapporti od operazioni intrattenuti od effettuate con gli enti creditizi e di intermediazione finanziaria, potranno essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, in assenza di dimostrazione che hanno concorso alla determinazione del reddito ovvero che sono irrilevanti a tal fine (in assenza di dimostrazione che i

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LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE FINANZIARIA 2005

13434/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

dati risultino dalle scritture contabili), tanto come ricavi, quanto come compensi, sempre che non ne venga indicato il soggetto effettivamente beneficiario.

Per quanto concerne, invece, la valenza presuntiva delle risultanze degli accertamenti bancari ai fini Iva, la modifica introdotta al n. 2), secondo periodo, del secondo comma dell'art. 51 del D.P.R. 633/1972, è connessa semplicemente all'ampliamento dei dati e della documentazione acquisibile dagli Organi di controllo; viene ora espressamente stabilito (come per le imposte sui redditi) che le rettifiche e gli accertamenti, nei termini dianzi indicati, sono effettuate sulla base dei "dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni" acquisiti.

Per completezza, appare opportuno rammentare come il valore probatorio-presuntivo di dati, notizie e documenti relativi ai rapporti ed operazioni di carattere finanziario, non è condizionato, tanto nella precedente, quanto nella nuova versione della normativa in commento, al preventivo invito al contribuente di fornire chiarimenti in ordine agli stessi elementi (il cosiddetto "contraddittorio"), dal momento che la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire come tale ultima procedura costituisca solo espressione di una facoltà - e non un obbligo - concessa agli Organi di controllo al fine di "economicizzare" la procedura di accertamento, ferma restando ogni possibilità del contribuente di fornire la prova contraria in fase sia accertativa, sia contenziosa. Ad ogni buon conto, resta assodato che il contraddittorio può considerarsi legittimamente instaurato anche tramite invio di questionari, con i quali l'interessato viene invitato a dimostrare la corrispondenza tra versamenti e prelevamenti.

4. Innovazioni procedurali

Importanti novità sono state introdotte anche per quanto riguarda le modalità di inoltro della richiesta agli enti creditizi e di intermediazione finanziaria, nonché le procedure ed i termini di risposta.

Sotto il primo profilo, viene innanzitutto precisato (nell'ambito delle nuove versioni dei nn. 7, ultimi periodi, del primo e secondo comma,

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rispettivamente, dell'art. 32 del D.P.R. 600/1973 e dell'art. 51 del D.P.R. 633/1972) che la richiesta degli Organi di controllo deve essere indirizzata "al responsabile della struttura accentrata", ovvero, come in precedenza esclusivamente previsto, al responsabile della sede o dell'ufficio destinatario (il che, com'è noto, rende difficoltosa l'individuazione di tutti i rapporti intrattenuti con tutti gli intermediari finanziari).

È stata, in tal modo, espressamente contemplata dalla norma la procedura, talvolta utilizzata nella prassi, consistente nell'inoltro della richiesta alla Direzione Generale dell'ente che, di regola, provvede direttamente alla risposta, ovvero, individuata la dipendenza ove il soggetto sottoposto a controllo intrattiene il rapporto, procede per il tramite di questa. In tal modo, l'attività di intelligence viene resa senz'altro più proficua.

Spesso, finora, venivano invece contattati solo gli istituti ubicati nella città, nella provincia o, al massimo, nella regione del contribuente, e dunque senza la certezza di aver intercettato effettivamente tutti gli istituti con cui il contribuente verificato aveva intrattenuto o intratteneva delle operazioni. La Direzione centrale, infatti, censisce tutti i rapporti sul territorio, gestiti dalle diverse filiali.

In ogni caso, resta il fatto che la piena efficienza delle nuove verifiche finanziarie allargate resta subordinata al varo effettivo dell'anagrafe dei conti correnti bancari.

Si ricorderà infatti che, nonostante l'art. 20, quarto comma, della L. 413/1991 ne prevedesse l'istituzione "con decreto del Ministro del Tesoro, di concerto con i Ministri dell'Interno e delle Finanze, da emanare entro sessanta giorni" dalla sua entrata in vigore, e che con successivo decreto ministeriale del 4 agosto 2000, n. 99, siano state dettate le istruzioni operative al riguardo, attualmente non risulta ancora funzionante il centro operativo cui spetta il compito della organizzazione e della gestione dell'archivio informatico (il suddetto decreto prevede, infatti, la necessità di emanazione di un provvedimento, ad oggi non ancora assunto, che raccordi i lavori della Società interbancaria per l'automazione e il predetto centro operativo).

Peraltro, la richiesta diretta all'interessato di rendere una dichiarazione contenente l'indicazione della natura, del numero e degli

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LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INDAGINI BANCARIE NELLA LEGGE FINANZIARIA 2005

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estremi identificativi dei rapporti intrattenuti (prevista dal punto 6-bis) dell'art. 32 del D.P.R. 600/1973, può essere utilizzata solo nel caso in cui il contribuente sia sottoposto ad accertamento, ispezione o verifica, mentre non può valere nella diversa ipotesi in cui l'analisi dei rapporti e delle operazioni voglia essere effettuata in via preliminare.

Tornando alla disamina delle novità, sono stati ristretti i termini di risposta concessi agli operatori finanziari, che da sessanta giorni vengono ridotti a trenta dalla data di notifica della richiesta, prorogabili per altri venti giorni su istanza dell'operatore interessato, per giustificati motivi, con provvedimento a firma della stessa Autorità che ha sottoscritto l'originaria richiesta.

Per quanto concerne tanto la richiesta, quanto la risposta (anche negativa), è ora stabilito dai nuovi commi terzo e quarto, rispettivamente, degli artt. 32 del D.P.R. 600/1973 e 51 del D.P.R. 633/1972, che le stesse devono essere effettuate "esclusivamente" in via telematica, previa emanazione di uno specifico provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate che stabilisca le disposizioni attuative di tale prescrizione e le modalità di trasmissione delle richieste, delle risposte, nonché dei dati e delle notizie riguardanti i rapporti e le operazioni intrattenuti ed effettuate dal contribuente sottoposto a controllo.

Questa specifica previsione, per espresso disposto del comma 404 dell'unico articolo della legge finanziaria per il 2005, ha effetto a decorrere dal 1° luglio 2005, ma con uno o più provvedimenti del Direttore dell'Agenzia delle Entrate potrà essere prevista una diversa e successiva decorrenza, in considerazione delle esigenze di natura esclusivamente tecnica.

La gestione in via telematica del nuovo flusso di comunicazioni fra gli Organi di controllo fiscale e gli enti creditizi e di intermediazione, dovrebbe rendere più speditiva e completa, in pratica, l'esecuzione degli accertamenti bancari, riducendo di molto i "tempi morti" e gli appesantimenti di carteggio che fino ad oggi hanno rappresentato, di fatto, uno dei principali condizionamenti all'efficace impiego del particolare strumento istruttorio.

Tenuto conto che le nuove modalità tecniche implicheranno l'adeguamento dei sistemi e delle procedure di carattere informatico

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1346 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

non solo da parte dell'Amministrazione, ma anche da parte dei soggetti destinatari delle richieste (in quanto, come è stato già posto in risalto, non tutte le operazioni "fuori conto" che per il futuro dovranno essere oggetto di comunicazione agli Organi di controllo vengono attualmente riportate in evidenze informatiche), appare verosimile ritenere che la concreta possibilità di dare pieno avvio all'esercizio delle nuove potestà ispettive concesse all'Amministrazione finanziaria, sia in parte condizionata dalla citata scadenza (prorogabile) del 1° luglio p.v.

Resta fermo, comunque, che la decorrenza del nuovo sistema è fissata al 1° gennaio 2005. Si noti, al riguardo, che le disposizioni sopra illustrate, nell'individuare i mezzi di trasmissione delle richieste del Fisco, ammettono le modalità indicate dall'art. 60 del D.P.R. 600/1973, ovvero lo strumento della raccomandata con avviso di ricevimento, anche con riferimento ai poteri di recente introduzione. La previsione, cui segue quella in forza della quale lo scambio deve essere effettuato esclusivamente in via telematica, non avrebbe ragion d'essere se non potesse essere interpretata nel senso che, fin quando non entrerà in vigore l'obbligo di siffatto scambio telematico dei dati, trovano applicazione le ordinarie modalità di trasmissione anche con riguardo ai nuovi poteri, da ritenere operativi, per l'appunto, fin dal 1° gennaio 2005.

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13474/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

Modelli di tassazione del reddito di gruppo: le scelte del legislatore fiscale italiano tra teoria e pratica

di Federico Toffoli

1. Il modello di rappresentazione contabile dell'economia dei gruppi d'imprese: i bilanci di 2° livello ed il bilancio consolidato - 2. Il bilancio consolidato di gruppo - 2.1 Cenni sulla procedura di redazione - 3. Cenni sui modelli di tassazione del reddito di gruppo elaborati dalla dottrina economico-aziendale e loro applicazione da parte del Legislatore fiscale in ambito Ue - 4. Le scelte del Legislatore fiscale italiano - 5. Conclusioni

1. Il modello di rappresentazione contabile dell'economia dei gruppi d'imprese: i bilanci di 2° livello ed il bilancio consolidato

Il sistema informativo dei gruppi aziendali consente di (1):

1) evidenziare, classificare, valorizzare e rappresentare i flussi fisici ed immateriali intercorrenti tra il gruppo e l'ambiente;

2) valorizzare le performance, registrate nell'unità di tempo prescelta, ed il patrimonio ad essa correlato.

In dottrina il modello di rappresentazione contabile dell'economia dei gruppi è di 2° livello ovvero derivato da quello delle singole aziende che ne fanno parte (2). La visione dell'economia dei gruppi conseguente

(1) Si vedano in proposito BUTTÀ C., Una metodologia per l'approccio economico-aziendale allo studio dei gruppi d'imprese, in "I gruppi di società" a cura di PAVONE LA ROSA A., Il Mulino, Bologna, 1982, p. 97, CASSANDRO P.E., I gruppi aziendali, Cacucci Ed., Bari, op. cit., p. 305 e ss.

(2) Come noto, in Italia il sistema è di tipo dualistico poiché è volto alla quantificazione del reddito ed alla valutazione del capitale, in ipotesi di funzionamento. In particolare, si è affermato il sistema del reddito e del capitale tenuto secondo il metodo della partita doppia.

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alla semplice aggregazione di tali dati non è, tuttavia, significativa della reale capacità reddituale e della consistenza patrimoniale del gruppo poiché è distorta dalla presenza di diaframmi giuridici che separano le varie società che lo compongono.

La dottrina ha individuato una serie di elaborazioni contabili volte a dare soluzione tecnicamente razionale alla "integrazione" dei bilanci delle imprese formanti il gruppo. L'adozione di una finzione giuridica, che assume come inesistente l'autonomia formale che contraddistingue ciascuna unità produttiva, vede prevalere, quindi, la sostanza del fenomeno economico sull'aspetto formale che lo caratterizza esteriormente. Tale assunto approssima la performance reddituale del gruppo e la sua consistenza patrimoniale quanto maggiore è il grado coordinazione produttiva, caratteristica dei c.d. gruppi economico-strategici. In sostanza, i bilanci di 2° livello permettono di superare le cause principali della scarsa significatività dei singoli rendiconti delle singole entità giuridiche sottoposte al processo di consolidamento, quali:

1) l'interconnessione spazio-temporale dei prezzi-costo fissati e sostenuti dalle singole unità correlate;

2) l'effettuazione di operazioni intragruppo, con influenza delle politiche di transfer pricing su costi e ricavi caratteristici, oneri e proventi finanziari e su valori finanziari e patrimoniali (3);

3) la scarsa rappresentatività del capitale investito da parte degli azionisti della capogruppo (notevolmente inferiore in caso di gruppi a cascata strutturati su più livelli) dovuto all'effetto della c.d. leva azionaria.

In via di prima approssimazione, i possibili metodi concretamente adottabili sono i seguenti:

1) aggregazione, che si concretizza nella somma, linea per linea, delle poste contabili rinvenibili nei bilanci delle singole società;

(3) Trattasi di transazioni economiche afferenti la gestione caratteristica, complementare e finanziaria che, essendo intervenute nell'ambito di unità appartenenti allo stesso gruppo, non contribuiscono alla determinazione del risultato economico ed alla situazione patrimoniale-finanziaria consolidati.

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MODELLI DI TASSAZIONE DEL REDDITO DI GRUPPO: LE SCELTE DEL LEGISLATORE FISCALE ITALIANO

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2) consolidamento, attraverso il quale si ottiene l'"integrazione" dei rendiconti delle imprese avvinte da legami finanziari, in modo analitico (integrale o proporzionale), ovvero sintetico (metodo del patrimonio netto) procedendo, in primo luogo, all'assestamento delle partecipazioni, e, successivamente, alle operazioni di compensazione e di rettifica delle poste reciproche e dei margini intragruppo derivanti da operazioni interne;

3) combinazione, differenziantesi da quello di cui al punto sub 2) per l'assenza della fase di assestamento delle partecipazioni detenute dalla controllante (4) (tale metodo trova prevalente applicazione in Germania ove operano i c.d. gruppi paritetici che sono caratterizzati da direzione unitaria ma non da legami di natura finanziaria).

La concezione di gruppo adottata nel presente lavoro permette di giungere all'affermazione che per rappresentare in modo attendibile l'economia dei gruppi caratterizzati sia da legami finanziari che da quelli negoziali occorre impiegare l'intero spettro dei metodi evidenziati (5). Ciò è vero soprattutto per i gruppi partecipativi che siano la risultante di processi di sviluppo "diversificato" rispetto ai quali i concetti di reddito e di patrimonio si presentano privi di rilevanza segnaletica. In tali casi, riteniamo che la rappresentazione dell'economia dei gruppi possa giovarsi sia dell'impiego del metodo della "combinazione", sia di quello denominato di "aggregazione" che, variamente combinati, possono consentire di cogliere gli aspetti prevalentemente "finanziari" del fenomeno economico (ovvero lo stock di capitale investito e controllato dal soggetto economico superaziendale). Difatti, nell'ipotesi in cui i gruppi siano diversificati ma possano essere disaggregati in complessi economici di grado inferiore (come, ad esempio, quelli riconducibili a sub holding che presidiano un certo business), il bilancio di gruppo

(4) Si veda per tutti PISONI P., Gruppi aziendali e i bilanci di gruppo, Giuffrè editore, Milano, 1983, p. 195 ss. e p. 427 e ss.

(5) Cfr. TOFFOLI F., I gruppi aziendali come struttura di governo delle transazioni tra "gerarchia" e "mercato", pubblicato su questa stessa Rivista n. 2/2005.

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sarà la risultante di un processo di elaborazione contabile basato, al contempo, sui vari metodi prospettati (6).

2. Il bilancio consolidato di gruppo

Il bilancio consolidato di gruppo è stato definito in dottrina come "il documento risultante dalla sommatoria dei valori indicati nei bilanci delle singole imprese, dopo le eliminazioni e le rettifiche dei valori intersocietari compresi in quei bilanci" (7). Esso è considerato complementare veicolo di informazioni sulla struttura patrimoniale-finanziaria e sull'economicità dei gruppi e, generalmente, è obbligatorio nel caso la sua redazione e pubblicazione sia normativamente prevista.

Il bilancio consolidato consente una visione unitaria e di sintesi della gestione del gruppo considerato che attraverso le c.d. rettifiche di consolidamento si trascende dai bilanci delle singole imprese per giungere al bilancio di 2° livello, sovraordinato ai precedenti, atto a rappresentare fedelmente il risultato economico e la situazione patrimoniale-finanziaria di gruppo.

Le grandezze del bilancio consolidato consentono, tra l'altro, attraverso una opportuna riclassificazione, di procedere all'analisi finanziaria (statica e dinamica, quantitativa e qualitativa) del gruppo aziendale nel suo complesso che, come noto, può riguardare (8):

- la struttura degli impieghi e delle correlate fonti di finanziamento con valutazione della leva finanziaria caratterizzante il gruppo;

- l'esame dell'equilibrio finanziario, degli indici di solvibilità, di liquidità, ecc.;

(6) È bene notare che in un'altra accezione il "bilancio aggregato" è considerato uno stadio del processo di elaborazione contabile dei dati attraverso il quale si perviene alla configurazione del bilancio consolidato.

(7) SARCONE S., I gruppi aziendali, G. Giappichelli, Torino, 1993, p. 121.

(8) BRUNETTI, L'analisi economico-finanziaria mediante bilancio consolidato di gruppo, in studi in onore di Domenico Amodeo, Padova, 1987, p. 100 e ss. Si veda anche RINALDI L., L'analisi del bilancio consolidato, Giuffrè ed., 1999.

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MODELLI DI TASSAZIONE DEL REDDITO DI GRUPPO: LE SCELTE DEL LEGISLATORE FISCALE ITALIANO

13514/2005 Rivista della Guardia di Finanza TECNICA PROFESSIONALE

- l'esame della struttura della proprietà con determinazione del grado di leva azionaria;

- la dinamica dei flussi finanziari.

Analogamente è possibile procedere all'esame dell'andamento economico del gruppo d'imprese mediante l'adozione dei seguenti schemi cognitivi:

a) analisi di redditività (delle vendite, del capitale investito nell'attività tipica, del capitale di rischio);

b) analisi della produttività;

c) determinazione del break even point e del grado di leva operativa.

I metodi contabili per l'"integrazione" dei dati relativi alle imprese di gruppo presentano diversificati campi d'applicazione ed è in relazione a questi ultimi che vanno valutati. Essi sono funzione:

a) della concezione di gruppo adottata nell'ipotesi che esso sia un'entità disaggregabile (come lo è già dal punto di vista giuridico) in unità produttive;

b) delle tipologie di legami avvincenti le aziende (9).

2.1 Cenni sulla procedura di redazione

Il "consolidamento" dei bilanci di società appartenenti ad un gruppo, considerato nelle sue linee essenziali ed a carattere propedeutico per il prosieguo della trattazione, si articola in una sequenza ordinata di procedure tecnico-contabili, quali:

a) individuazione dell'impresa obbligata alla redazione (holding o capogruppo);

b) delimitazione dell'area di gruppo;

(9) Le metodologie contabili dimostrano dei limiti nella capacità di rappresentare i legami interaziendali che non abbiano natura finanziaria per cui tale modello risulta efficace laddove si faccia riferimento esclusivamente ad essi.

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c) delimitazione dell'area di integrazione;

d) fase propedeutica del consolidamento (riconciliazione temporale, raccordo delle date di chiusura degli esercizi amministrativi, riclassificazione con criteri omogenei, rivalutazione di cespiti con criteri omogenei, ecc.);

e) fase tecnica del consolidamento:

1) assestamento delle partecipazioni:

- scelta del metodo di consolidamento;

- computo delle differenze di consolidamento;

- trattamento delle minoranze azionarie;

- trattamento delle partecipazioni reciproche;

2) compensazione dei valori reciproci (dividendi, finanziamenti, interessi, prodotti impiegati come input produttivi da società del gruppo, diritti, royalties, management fee) (10);

3) eliminazione di utili o perdite relative ad operazioni "interne";

4) somma dei valori residuali.

3. Cenni sui modelli di tassazione del reddito di gruppo elaborati dalla dottrina economico-aziendale e loro applicazione da parte del Legislatore fiscale in ambito Ue

"Le ipotesi di tassazione di gruppo - studiate dalla dottrina - sono le seguenti:

a) consolidamento finanziario;

b) consolidamento degli imponibili;

(10) L'eliminazione delle operazioni infragruppo sono trattate nell'art. 31, comma 2, lett. b, c, d del D.L.vo 127/1991) e possono suddividersi in:

- rettifiche che non modificano il risultato economico ed il patrimonio netto aggregato (eliminazione di crediti e debiti, eliminazione di proventi e oneri);

- rettifiche che modificano il risultato economico ed il patrimonio netto aggregato (eliminazione di utili e perdite derivanti da cessione di merci e da cessione di immobilizzazioni infragruppo, eliminazione di dividendi distribuiti).

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c) tassazione in base al bilancio consolidato" (11).

Il concetto di imposizione di gruppo trova ampia diffusione nell'ambito dei sistemi fiscali europei, tuttavia, il consolidamento dei risultati può avvenire con modalità differenti che delineiamo sinteticamente nel tentativo di ricondurle allo schema unificante descritto in precedenza (12).

Procedendo in base all'ordine di elencazione, il "consolidamento finanziario" si esplica nella somma algebrica di crediti e debiti d'imposta contabilizzati nei bilanci d'esercizio di società controllate da una stessa holding. Quest'ultima, in sostanza, assume una posizione "compensata" nei confronti del Fisco attraverso una forma impropria di consolidamento: la compensazione di partite creditorie e debitorie rispettivamente vantate e dovute verso l'Amministrazione finanziaria. In base al tale impostazione, quindi, la holding procede all'eventuale versamento del "saldo" nell'ipotesi in cui, dalla predetta "compensazione", emerga un residuo debito nei confronti dell'Amministrazione finanziaria (13). Tale schema impositivo ha trovato applicazione anche in Italia relativamente alle imposte indirette ed, in particolare, all'Iva (art. 73 del D.P.R. 633/1972).

Il metodo di cui al punto sub b), prevede che la base imponibile sia determinata come somma algebrica degli utili e delle perdite fiscalmente rilevanti calcolati da ciascuna società del gruppo. In particolare, la holding procede al consolidamento degli imponibili (utile o perdita fiscale), determinati da ciascuna società, calcolando e versando l'imposta dovuta all'Amministrazione finanziaria, in luogo di quella che ogni società avrebbe dovuto versare singolarmente considerata (14).

(11) Cfr. DEZZANI F., Il bilancio consolidato e la tassazione di gruppo, nel Supplemento de il fisco, 36/94, p. 31 e ss.

(12) Si veda per un esame comparatistico a livello europeo: Fondazione Luca Pacioli, Appunti comparatistici per l'introduzione in Italia della Tassazione di Gruppo, Studio n. 7/2002, Documento n. 17 del 19 giugno 2002. Per una più ampia panoramica sul diritto tributario internazionale si veda per tutti: POLLARI N., Lezioni di Diritto Tributario Internazionale, Laurus Robuffo ed., 2004.

(13) Pertanto, si intende verificata, in capo alla holding, la seguente disequazione: ∑ (Crediti Tributari - Debiti Tributari) < 0.

(14) Pertanto, si intende verificata, in capo alla holding, la seguente disequazione: ∑ (Utili d'esercizio - Perdite d'esercizio) > 0 (Base Imponibile).

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Nell'ambito dell'Unione europea, lo schema ora descritto trova applicazione mediante l'utilizzo di due sistemi:

a) Group contribution;

b) Group relief.

Secondo il primo "ciascuna società appartenente al gruppo calcola il proprio reddito imponibile, presenta la propria dichiarazione fiscale e paga le proprie imposte. Tuttavia, la legislazione consente che una società in utile fiscale possa effettuare un trasferimento di utili a favore di una società in perdita fiscale: questo trasferimento, che consiste effettivamente in un trasferimento di fondi da una società all'altra, è fiscalmente deducibile per la prima e fiscalmente tassabile per la seconda" (15). Siffatto modello d'imposizione fiscale vige in Svezia e in Finlandia e, secondo un recente studio (16), quello austriaco e tedesco ne rappresentano una variante considerato che gli utili e le perdite della "controllata" si considerano trasferite in capo alla holding di modo che il bilancio della prima risulti sempre in pareggio; gli azionisti di minoranza della sussidiaria ricevono comunque la quota di utili che spetterebbe loro direttamente dalla società holding.

Secondo il sistema di "group relief", vigente nel Regno Unito e in Irlanda, è consentita la compensazione tra risultati fiscali delle società del gruppo senza la necessità che vi sia un materiale trasferimento di risorse finanziarie tra le stesse (17).

Il terzo ed ultimo metodo elaborato dalla dottrina è adottato, in particolare, nei Paesi Bassi, in Francia, in Spagna ed in Portogallo e si basa sul Fiscal unit system. È attualmente il sistema di prelievo fiscale maggiormente avanzato elaborato dalla dottrina poiché:

a) la base imponibile è rappresentata dal reddito risultante dal bilancio consolidato di gruppi d'imprese avvinte tra loro da legami di tipo partecipativo, ovvero, soggette ad una direzione unica di diritto e/o di fatto;

(15) Cfr. Fondazione Luca Pacioli, op. cit., p. 4.

(16) Cfr. nota 15.

(17) Fondazione Luca Pacioli, op. cit., p. 5.

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MODELLI DI TASSAZIONE DEL REDDITO DI GRUPPO: LE SCELTE DEL LEGISLATORE FISCALE ITALIANO

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b) il soggetto passivo d'imposta è il gruppo d'imprese;

c) i gruppi possono beneficiare della compensazione tra utili e perdite di gruppo e del regime di neutralità fiscale dei trasferimenti di attività intragruppo.

4. Le scelte del Legislatore fiscale italiano

Con l'introduzione del consolidato fiscale viene riconosciuta nel nostro ordinamento, anche ai fini delle imposte sul reddito (IRES), la realtà economica dei gruppi di imprese, con la dichiarata finalità "rendere il sistema tributario italiano omogeneo a quelli più efficienti in essere nei Paesi membri dell'Unione europea".

Il regime di tassazione di consolidato fiscale consente ai gruppi di imprese di consolidare i redditi (integralmente o proporzionalmente) (18), ossia di determinare un'unica base imponibile per l'intero gruppo di imprese, in misura corrispondente alla somma algebrica degli imponibili di ciascuna delle società appartenenti al gruppo.

Gli imponibili delle società che partecipano al consolidato sono assunti per l'intero importo (ovvero proporzionalmente). In tal modo le perdite delle società controllate comprese nel perimetro di consolidamento

(18) Si evidenzia che per il regime del consolidato nazionale il processo avviene con il metodo "integrale" mentre per il consolidato mondiale il regime consiste nel consolidamento della "percentuale degli imponibili", ottenuti da ciascuna delle società appartenenti al gruppo, corrispondente alla quota di partecipazione direttamente o indirettamente posseduta. Per il regime del consolidato mondiale valgono, in sostanza, gli stessi princìpi enunciati nel consolidamento fiscale nazionale tranne che per i seguenti aspetti:- mantenimento del principio del valore normale per i beni e i servizi scambiati fra società residenti

e non residenti consolidate; - riconoscimento delle imposte pagate all'estero con modalità tali da evitare effetti di doppia

imposizione economica e giuridica in detrazione dell'imposta consolidata; - concorso prioritario dei redditi prodotti all'estero alla formazione del reddito imponibile

consolidato.Nel prosieguo faremo riferimento al regime di consolidato nazionale ove non sia fatto esplicito

riferimento a quello mondiale. Per una disamina delle modalità applicative del consolidato fiscale si rimanda a CAPOLUPO S. - POLLARI N., Prontuario fiscale (vol. I) - Imposte dirette, Buffetti, 2005, 17ª ed.

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FEDERICO TOFFOLI

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possono essere utilizzate in diminuzione dei redditi prodotti dalle altre società del gruppo.

Nel consolidato nazionale la somma algebrica delle basi imponibili riguarda l'intero reddito delle società consolidate, indipendentemente dalla percentuale di partecipazione in esse detenuta dal soggetto consolidante (che come abbiamo visto è invece presa in considerazione dal consolidato mondiale), e consente di compensare immediatamente ed integralmente (ovvero proporzionalmente nel consolidato mondiale) i redditi conseguiti e le perdite sofferte nell'ambito del gruppo.

Il consolidato nazionale non obbliga al consolidamento di tutto il gruppo: l'opzione per il regime in parola, in altri termini, può essere esercitata anche soltanto da alcune delle società costituenti il gruppo (cd. principio del Cherry Picking). Il regime di consolidamento è un sistema opzionale a gruppi di due, l'opzione deve cioè essere esercitata congiuntamente sia dalla società partecipante che dalla partecipata. L'opzione ha durata triennale ed è irrevocabile. Diversamente, per il consolidato fiscale mondiale, qualora si eserciti l'opzione, è previsto l'obbligo di consolidamento di tutte le società controllate anche estere.

Possono aderire al consolidato fiscale nazionale solo i gruppi d'imprese legati da partecipazioni di controllo, tenendo conto della eventuale demoltiplicazione prodotta dalla catena societaria di partecipazione.

Ciascun soggetto appartenente al gruppo deve presentare all'Agenzia delle Entrate la propria dichiarazione dei redditi, senza liquidazione dell'imposta e con l'indicazione del reddito prodotto all'estero e della relativa imposta pagata. Inoltre, per effetto dell'opzione:

- nella determinazione del proprio reddito complessivo possono essere portate in diminuzione le perdite relative agli esercizi anteriori all'inizio della tassazione di gruppo;

- i crediti d'imposta compensabili ai sensi dell'art. 17 del D.L.vo 241/1997 possono essere ceduti alla società consolidante;

- le eccedenze d'imposta infragruppo ricevute dalla partecipata possono essere a loro volta cedute alla consolidante.

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MODELLI DI TASSAZIONE DEL REDDITO DI GRUPPO: LE SCELTE DEL LEGISLATORE FISCALE ITALIANO

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La copia della dichiarazione deve essere trasmessa alla consolidante unitamente ai dati relativi ai dividendi percepiti infragruppo e alla rideterminazione del pro-rata patrimoniale. Pertanto, la società consolidante:

- presenta la dichiarazione dei redditi del consolidato;

- determina il reddito di gruppo sommando algebricamente gli utili o le perdite ottenute da ciascuna società;

- apporta le variazioni in aumento o in diminuzione previste dalla legge;

- calcola l'imposta, applica le detrazioni, scomputa gli acconti versati.

La perdita ottenuta dalla somma algebrica degli imponibili e il suo riporto a nuovo spettano al soggetto controllante, in sede di determinazione del reddito consolidato. Al contrario, le perdite fiscali anteriori rispetto all' inizio della tassazione di gruppo possono essere utilizzate solo dalle società cui si riferiscono. Le eccedenze d'imposta precedenti all'ingresso nel gruppo possono essere utilizzate dalla società o ente controllante o dalla controllata cui competono.

5. Conclusioni

Come si è visto, nell'ambito dell'Unione europea, solo il Fiscal unit system comporta un consolidamento fiscale in senso proprio mentre sia il Group contribution, sia il Group relief non danno luogo al consolidamento fiscale in senso stretto ma semplicemente alla compensazione intragruppo di utili e perdite. Tali sistemi possono quindi definirsi propriamente di "aggregazione fiscale" poiché, sebbene prevedano la possibilità di compensare gli utili e le perdite all'interno del gruppo, non contemplano la neutralità fiscale dei trasferimenti di attività intragruppo (19).

(19) È stato evidenziato come nell'ambito dell'Unione europea quest'ultima caratteristica non sia essenziale (ancorché preferibile) ai fini della realizzazione di un'imposizione di gruppo, essendo infatti sufficiente che ricorra la prima (compensazione infragruppo fra utili e perdite) affinché si possa parlare di imposizione su base consolidata (in senso lato).

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FEDERICO TOFFOLI

1358 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005TECNICA PROFESSIONALE

La scelta del legislatore italiano si è orientata opportunamente verso il sistema di Fiscal Unit anche se, come visto, il modello di consolidamento adottato prevede la determinazione di una base imponibile unica per le società che partecipano alla tassazione di gruppo, senza però imporre l'obbligo di redigere un bilancio consolidato a tali fini.

In effetti, la base imponibile consolidata è determinata non sulla base di un bilancio consolidato di gruppo ma dalla capogruppo nella dichiarazione dei redditi di cui all'art. 122 del Tuir, attraverso:

- la somma algebrica delle basi imponibili calcolate dalle singole società che optano per il regime di tassazione di gruppo;

- la rettifica di tale importo per effetto delle variazioni di consolidamento previste dall'art. 122 del Tuir.

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I tribunali ad hoc delle Nazioni Unite: un caso scuola, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda

di Isidoro Palumbo

1. Premessa - 2. La risoluzione n. 955/1994 e l'istituzione del Tpir - 3. Gli organi del Tpir secondo lo Statuto - 4. La competenza del Tpir - 4.1 La competenza ratione materiae: art. 2, il genocidio - 4.2 La competenza ratione materiae: art. 3, i crimini contro l'umanità - 4.3 La competenza ratione materiae: art. 4, violazione dell'art. 3 comune - 5. La competenza ratione temporis - 6. La competenza ratione personae et ratione loci - 6.1 La competenza ratione personae et ratione loci: l'ordine gerarchico - 7. La competenza concorrente - 8. I diritti degli imputati - 9. I diritti dei testimoni e delle vittime: assistenza e protezione - 10. Le sentenze e le pene - 11. L'appoggio degli Stati Membri dell'ONU al Tribunale ed in particolare la cooperazione italiana all'attività del Tpir - 12. Conclusioni

1. Premessa

Nell'ambito dei due tribunali ad hoc creati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (in seguito Tpir), istituito con risoluzione n. 955/1998, è il meno conosciuto tribunale ad hoc in essere ad oggi. Ed è anche il tribunale su cui i mass media hanno puntato meno l'attenzione, a favore del ben più conosciuto e considerato Tribunale internazionale per la ex Yugoslavia.

Questo articolo nasce da un incontro tenutosi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Roma Tre e organizzato in occasione della firma dell'Accordo fra il Tpir e l'Italia per il trasferimento dell'esecuzione delle sentenze di condanna nella primavera del 2004. All'incontro partecipavano il Cancelliere Adama Dieng, l'Avvocato

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ISIDORO PALUMBO

1362 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005STORIA

Silvana Arbia e il Capo delle relazioni esterne Roland Amoussouga, unitamente al Prof. Paolo Benvenuti.

Il Consiglio di Sicurezza ha incaricato il Tpir di giudicare i responsabili dei crimini di genocidio e di altre violazioni gravi del diritto internazionale umanitario (in seguito d.i.u.) compiuti sul territorio del Ruanda, a prescindere dall'accertamento dell'esistenza di un conflitto armato in essere e, di conseguenza, accettando il principio che tali crimini siano stati commessi in una situazione di c.d. "torbidi interni", e i cittadini ruandesi responsabili di tali crimini o violazioni perpetrate nel territorio ruandese tra il primo gennaio e il trentuno dicembre 1994 (art. 1, ris. 955/1994).

Ai sensi dello Statuto del Tpir (in seguito Statuto) la competenza dello stesso tribunale si estende ai seguenti crimini:

- genocidio;

- crimini contro l'umanità;

- violazioni dell'art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra e del 2° Protocollo aggiuntivo.

2. La risoluzione n. 955/1994 e l'istituzione del Tpir

Approfondiamo ora meglio quanto detto ed entriamo ad analizzare il contenuto della risoluzione istitutiva del Tpir.

Alla luce dei fatti criminali perpetrati nel territorio ruandese, il Consiglio di Sicurezza delle N.U. nella riunione dell'8 novembre 1994, 3453a riunione, ha adottato la risoluzione n. 955, sulla base dei rapporti presentati dal Segretario Generale delle N.U. e da parte dell'Inviato speciale per il Ruanda della Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite.

Accertata la veridicità delle informazioni relative ad atti di genocidio e ad altre violazioni in flagranza, generalizzate e sistematiche, del diritto internazionale umanitario sul territorio ruandese e constatata la minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, il Consiglio di Sicurezza, come anche da domanda del Governo ruandese, agendo ai sensi dei

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I TRIBUNALI AD HOC DELLE NAZIONI UNITE

13634/2005 Rivista della Guardia di Finanza STORIA

Capitoli VII della Carta, decise di "istituire un tribunale internazionale incaricato unicamente di giudicare i presunti responsabili di atti di genocidio o di altre violazioni gravi del diritto internazionale umanitario commessi sul territorio dello Stato ruandese, a partire dal 1° gennaio e fino al 31 dicembre, adottando a tal fine lo Statuto del Tribunale penale internazionale per il Ruanda" (art. 1 della ris. 955).

Il Consiglio di Sicurezza adotta la risoluzione istitutiva del Tpir sulla base delle seguenti considerazioni:

- è risoluto a far terminare i crimini e le violazioni, di cui è a conoscenza così come riferitogli dall'Inviato speciale e dalla Commissione di esperti;

- è consapevole che l'instabilità del territorio ruandese, e i genocidi che in esso territorio si stanno verificando, costituiscono una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale; infatti, a fronte degli omicidi in massa, milioni di persone si sono riversate sugli Stati confinanti producendo una escalation dell'emergenza dei rifugiati, con connesse tensioni negli Stati vicini;

- è risoluto a mettere in atto tutte quelle misure efficaci e necessarie affinché le persone responsabili di tali atti siano assicurate alla giustizia, al fine di non diffondere, da un lato, la sensazione di impunità negli artefici delle stragi e delle violazioni aumentandone il senso di potere e superiorità e, dall'altro lato, il sentimento di paura e di timore nelle vittime di tali violazioni ove continuassero a rimanere impuniti i crimini e le stragi, facendo sprofondare le vittime stesse nel terrore e nell'angoscia; infatti, il Consiglio di Sicurezza è convinto che il tribunale contribuirà a far cessare i crimini e a ripararne gli effetti;

- è convinto, inoltre, che assicurare alla giustizia i responsabili dei crimini di genocidio e delle violazioni gravi del d.i.u. permetterà di contribuire sensibilmente al processo di riconciliazione nazionale e al ristabilimento e mantenimento della pace;

- è consapevole che il Tpir potrà lavorare efficacemente e raggiungere gli obiettivi prefissati se e solamente se vi sarà una cooperazione internazionale volta a rafforzare il Tribunale e l'apparato giudiziario

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ISIDORO PALUMBO

1364 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005STORIA

ruandese, anche in considerazione del fatto che saranno deferiti al giudizio del Tribunale grandi personaggi nazionali sospettati dei crimini e delle violazioni in parola.

La sede del Tpir è stata successivamente indicata, dalla risoluzione 977 del 1995, in Arusha, Repubblica Unita della Tanzania.

3. Gli organi del Tpir secondo lo Statuto

La struttura del Tpir ricalca quella classica di più Camere di prima istanza e una Camera d'appello, secondo la denominazione internazionale: infatti, vi sono tre Camere di prima istanza e una Camera d'appello (tra l'altro, dobbiamo ricordarlo, comune al Tribunale per la ex Yugoslavia).

I giudici sono 16 esperti indipendenti e sono nominati dall'Assemblea Generale delle N.U. sulla base di una lista di nomi proposta dal Consiglio di Sicurezza. A monte, ciascuno Stato seleziona una lista di propri candidati. La scelta, inoltre, dei giudici deve anche tenere conto dei principali sistemi giuridici e giudiziari del mondo. Il mandato è di quattro anni, rinnovabili. Oggi, siedono nel Tpir due grandi nomi italiani del diritto internazionale, il Prof. Fausto Pocar e la Prof.ssa Flavia Lattanzi. Il Presidente del Tpir è il norvegese Prof. Erik Mose.

Ciascuna Camera di prima istanza è composta da tre giudici mentre la Camera d'appello è composta da sette membri. Inoltre, sulla base della risoluzione n. 1431 del Consiglio di Sicurezza, il Tpir è affiancato da un gruppo di diciotto giudici ad litem, di cui al massimo e allo stesso momento, solo quattro potevano essere distaccati alle Camere di prima istanza. Successivamente, il Consiglio di Sicurezza con risoluzione n. 1512 del 27 ottobre 2003, ha innalzato a nove i giudici ad litem che possono essere distaccati alle Camere di prima istanza.

Il Procuratore del Tpir ha sede ad Arusha, Tanzania, e l'Ufficio del Procuratore è formato da due Sezioni:

- Sezione inquirente, incaricata di ricercare le prove contro le persone implicate nei crimini commessi in Ruanda e di competenza del Tribunale; ha sede a Kigali, in Ruanda;

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13654/2005 Rivista della Guardia di Finanza STORIA

- Sezione dei procedimenti penali, composta dagli avvocati generali responsabili di condurre tutti i processi davanti al Tribunale e di svolgere funzioni di consiglieri giuridici sia per le inchieste sia per i procedimenti penali. Ha sede a Arusha, in Tanzania.

Una unità per la ricerca di informazioni e degli elementi di prova è messa a disposizione dell'Ufficio del Procuratore ed è direttamente sotto l'autorità del Procuratore Aggiunto.

Dal 15 settembre 2003 il Consiglio di Sicurezza ha nominato Procuratore il magistrato gambese Hassan B. Jallow (già giudice presso la Corte d'appello del Tribunale speciale per la Sierra Leone).

4. La competenza del Tpir

La legge che regge il Tpir e la sua attività è costituita dallo Statuto annesso alla nota risoluzione 955 del Consiglio di Sicurezza. Il Regolamento di procedura e delle prove, adottato dai giudici secondo l'art. 14 dello Statuto, dà le norme necessarie per il funzionamento del sistema giudiziario.

Abbiamo già detto fin dall'inizio del presente lavoro che la competenza dello stesso tribunale si estende ai seguenti crimini commessi in Ruanda tra il primo gennaio e il trentun dicembre 1994: genocidio; crimini contro l'umanità; violazioni dell'art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra e del 2° Protocollo aggiuntivo.

Andiamo, ora, a procedere ad un esame approfondito della competenza del Tpir.

4.1 La competenza ratione materiae: art. 2, il genocidio

Crimini oggetto di competenza ratione materiae sono il genocidio, i crimini contro l'umanità e le violazioni dell'art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e del 2° Protocollo Addizionale del 1977.

Infatti, la lettura dell'art. 2 dello Statuto è netta.

"Il Tpir è competente a perseguire le persone che hanno commesso un genocidio, così come definito dal paragrafo due del presente articolo o uno degli atti enumerati dal paragrafo tre".

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Il paragrafo due dell'art. 2 definisce il genocidio come una qualunque delle azioni commesse nell'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, attraverso:

- la morte dei membri del gruppo;

- l'attentato grave all'integrità fisica e mentale dei membri del gruppo;

- la sottomissione intenzionale del gruppo a condizioni di esistenza conducenti alla sua distruzione fisica totale o parziale;

- misure atte a evitare nascite all'interno del gruppo;

- trasferimento forzato di bambini da un gruppo all'altro.

Il paragrafo 3 dello stesso art. 2, rende punibili, oltre alle condotte criminose riconducibili direttamente al crimine di genocidio, sia l'intento di commetterlo che l'incitazione, sia diretta che indiretta, al genocidio. Sono ugualmente punibili il tentativo e la complicità in genocidio.

4.2 La competenza ratione materiae: art. 3, i crimini contro l'umanità

I crimini contro l'umanità sono contemplati dall'art. 3 dello Statuto. Il Tpir ha la competenza a giudicare i responsabili dei crimini commessi nel quadro di un attacco generalizzato e sistematico contro la popolazione civile unicamente in virtù della sua appartenenza nazionale, politica, etnica, razziale e religioso.

I crimini ricompresi sono di numerosa ma necessaria elencazione:

- omicidio;

- tortura;

- sterminio;

- stupro;

- schiavitù;

- reclusione;

- espulsione;

- altri atti inumani;

- persecuzione politica, razziale e religiosa.

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I TRIBUNALI AD HOC DELLE NAZIONI UNITE

13674/2005 Rivista della Guardia di Finanza STORIA

4.3 La competenza ratione materiae: art. 4, violazione dell'art. 3 comune

Lo Statuto ricomprende tra i crimini di competenza del Tpir anche le violazioni dell'art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 (c.d. miniconvenzione) e del secondo Protocollo Aggiuntivo del 1977.

L'art. 3 offre un minimum di garanzie per quei conflitti non internazionali ovvero che non coinvolgono una pluralità di Stati ma che si svolgono sul territorio di uno Stato.

Sono, in pratica, i cosiddetti conflitti interni o torbidi interni. Conflitti in cui le parti possono essere sia gruppi organizzati che si combattono tra di loro sia che combattono contro lo Stato centrale.

Tale tipologia di conflitto è quella che, dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda con il collasso dell'Unione Sovietica, ha conosciuto un exploit ed ha prodotto la c.d. "internalizzazione" dei conflitti.

Basta guardare all'area balcanica e asiatica per accertarlo e rendersi conto della portata travolgente e odiosa di tali conflitti.

L'art. 3 comune vieta:

- l'attentato alla vita, alla salute e benessere fisico e mentale delle persone, in particolare la morte, i trattamenti crudeli come la tortura, le mutilazioni o altre forme di pene corporali;

- le punizioni collettive;

- la presa d'ostaggi (c.d. scudi umani);

- gli atti di terrorismo;

- l'attentato alla dignità della persona, in particolare i trattamenti umilianti e degradanti, le violenze, l'induzione alla prostituzione e tutti gli attentati al pudore;

- il saccheggio;

- le condanne pronunciate e le esecuzioni eseguite senza un giudizio reso da un tribunale imparziale e regolarmente costituito, con la

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garanzia giudiziaria riconosciuta come indispensabile da parte dei popoli civili;

- la minaccia di commettere uno degli atti citati.

5. La competenza ratione temporis

Il Tpir conosce ed è competente dei crimini commessi tra il primo gennaio e il trentuno dicembre 1994.

Non c'è nello Statuto nessun riferimento alla tipologia di conflitto in cui tali crimini possono essere stati commessi, anzi la giurisdizione del Tribunale si esercita a prescindere dalla qualificazione "interna" del conflitto, anche se vi è il riferimento all'art. 3 comune e al secondo Protocollo Aggiuntivo che contengono norme specifiche per i c.d. conflitti interni ovvero non internazionali.

6. La competenza ratione personae et ratione loci

La detta competenza si estende ai crimini commessi da parte di cittadini ruandesi sul territorio del Ruanda e sul territorio dello stesso anche da parte di cittadini non-ruandesi per crimini commessi in Ruanda.

Si noti che lo Statuto non differenzia tra le persone (cittadini o meno del Ruanda) ma unicamente sulla base del luogo dove i crimini in parola sono stati commessi: il territorio del Ruanda. Chiunque, a prescindere dall'appartenenza razziale, religiosa, politica, etnica e senza tener conto della funzione o carica di natura civile e militare svolta, può essere chiamato a rispondere delle proprie azioni davanti ai giudici di Arusha.

Sottolineando la precisa responsabilità penale individuale, principio oramai affermatosi da tempo in Italia e che ora è stato riaffermato anche dallo Statuto della Corte penale internazionale, lo Statuto del Tpir, all'art. 6, stabilisce che "chiunque abbia pianificato, incitato a commettere, ordinato, commesso o in qualsiasi modo ha aiutato e

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incoraggiato a pianificare, preparato o eseguito uno dei crimini previsti ai sensi degli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto è responsabile individualmente del detto crimine".

A proposito della natura e della funzione dell'imputato, si ribadisce che la qualifica ufficiale di un accusato, sia egli Capo di Stato o di governo, o alto funzionario dello Stato, non è causa né esimente né attenuante della propria responsabilità penale (art. 6, par. 2).

6.1 La competenza ratione personae et ratione loci: l'ordine gerarchico

Anche il superiore ordine gerarchico non è motivo esimente o attenuante della responsabilità del singolo, così come il fatto che uno dei crimini in parola sia stato commesso da un proprio subordinato non solleva il superiore dalla propria responsabilità penale nel caso in cui egli sapeva o aveva modo di sapere che il subordinato si accingeva a commettere l'atto criminale o che l'aveva commesso e nel caso in cui il detto superiore non abbia adottato tutte le misure necessarie, in ragione delle circostanze concrete, per impedire il compimento dell'atto criminoso ovvero di punire gli autori del crimine.

La responsabilità del superiore non è stata ravvisata in un famoso caso proposto al giudizio della Corte. I fatti: alcuni militari sono stati incriminati per aver commesso crimini in violazione allo Statuto del Tpir e il comandante dell'epoca dei fatti non aveva esercitato nessuna prevenzione o repressione di tali atti; la Corte doveva verificare se tale potestà repressiva a posteriori potesse essere un dovere precipuo anche da parte del successivo comandante di detti militari, che nulla sapeva all'epoca dei fatti dei crimini commessi e non apparteneva né comandava il reparto cui appartenevano i militari in parola.

La Corte, dopo lo studio dei maggiori e più diffusi manuali e regolamenti militari, ha, con difficoltà, stabilito che non è principio e norma diffusa ed affermata che il comandante militare risponde e abbia autorità anche sulle violazioni ai regolamenti e ai crimini commessi dai militari sottoposti prima del passaggio delle consegne di comando e della sua assunzione del comando sul reparto militare.

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Da tale conclusione ne è discesa la motivazione della sentenza emessa, la quale ha ritenuto il comandante militare non responsabile per non avere represso a posteriori (con sanzioni disciplinari) atti criminosi perpetrati da propri sottoposti prima della sua assunzione di comando in quanto non esiste una norma in tal senso generalizzata e stabilita dai princìpi e regolamenti maggiormente diffusi.

Riassumendo, l'ordine gerarchico del governo o di un superiore non esonera dalla responsabilità penale il sottoposto che agisce in esecuzione di detto ordine e commette un crimine.

Sottolineiamo che il paragrafo 4 dell'art. 6 introduce un'eccezione al detto principio: nel caso in cui sia giudicato conforme a giustizia il Tribunale ha facoltà di considerare come un motivo di diminuzione della pena l'aver commesso un crimine in esecuzione di un ordine del governo o di un superiore gerarchico.

7. La competenza concorrente

Lo Statuto stabilisce, all'art. 8, la competenza concorrente del Tribunale, unitamente con le giurisdizioni nazionali, per giudicare le persone imputate di violazioni gravi del d.i.u. perpetrate sul territorio del Ruanda e i cittadini ruandesi imputati delle stesse violazioni gravi commesse sul territorio del detto Stato tra il primo gennaio e il trentuno dicembre 1994.

Inoltre, il Tribunale ha il primato sulle giurisdizioni nazionali di tutti gli Stati.

A tutti gli stadi del procedimento, il Tpir ha facoltà di richiedere ufficialmente alla giurisdizione nazionale di rinunciare in suo favore al processo in corso davanti alla detta giurisdizione nazionale e di trasferire gli atti al Tribunale in conformità allo Statuto e al regolamento del Tpir.

8. I diritti degli imputati

I poteri d'indagine del Tpir sono demandati, come visto, al Procuratore il quale, sulla base delle informazioni e dei rapporti

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pervenutigli da qualsiasi fonte, ma in particolare da parte degli organi delle N.U. e degli organismi intergovernativi e non governativi, procede ad interrogare i sospetti, le vittime, i testimoni, raccoglie le prove e procede ad adottare tutte le misure per l'istruzione del fascicolo, avvalendosi dell'aiuto e della cooperazione delle autorità degli Stati interessati.

I sospetti hanno diritto all'assistenza legale durante gli interrogatori (è prevista anche la figura del difensore d'ufficio) ed a essere interrogati in una lingua che loro comprendono.

Alla fine delle indagini, se il Procuratore ritiene di procedere con la messa in stato di accusa di un sospetto si redige un succinto atto di accusa dove si illustrano succintamente i fatti e i crimini commessi. L'atto di accusa viene trasmesso ad un giudice della Camera di prima istanza.

Se quest'ultimo conferma l'atto di accusa, su richiesta del Procuratore, si emettono tutti i provvedimenti e le ordinanze necessarie (mandato di arresto, mandato di carcerazione, mandato di traduzione o di consegna) per il processo.

Vediamo ora precipuamente il "codice" dei diritti dell'imputato (art. 20):

a. si presume innocente ogni imputato fino a quando non è dichiarata la sua colpevolezza secondo lo Statuto del Tribunale;

b. si ha il diritto di essere informati, in una lingua nota, della natura e dei motivi dell'accusa;

c. si ha diritto al tempo necessario per predisporre la propria difesa;

d. si ha diritto ad essere giudicati rapidamente, senza ritardo eccessivo;

e. si ha diritto a presenziare al processo e di difendersi, sia da soli che per il tramite di un legale;

f. si ha diritto di interrogare o di far interrogare i testimoni a carico e controinterrogare i testimoni a discarico;

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g. si ha diritto all'assistenza gratuita di un interprete;

h. si ha il diritto di non essere chiamati a testimoniare contro se stessi o di confessarsi colpevole.

9. I diritti dei testimoni e delle vittime: assistenza e protezione

Il Tpir dispone di una Sezione per l'assistenza e la protezione dei testimoni e delle vittime posta sotto l'autorità del Cancelliere e creata in conformità allo Statuto e al Regolamento di procedura e delle prove del Tribunale.

La Sezione si articola in due distinte Unità: la prima si occupa dei testimoni dell'Accusa, mentre la seconda gestisce i testimoni della Difesa.

I compiti della Sezione sono molti, dettagliati e importanti per l'intera attività del Tpir, vediamoli rapidamente:

a. garantire assistenza e protezione a tutti i testimoni e a tutte le vittime, in modo imparziale ed equo;

b. richiedere l'adozione di misure di protezione a tutela delle vittime e dei testimoni;

c. verificare che i testimoni e le vittime abbiano un'adeguata assistenza socio-psicologica;

d. predisporre la pianificazione delle attività di protezione, sia a breve che a lungo termine, per i testimoni e le vittime che sono comparsi davanti il Tpir, provvedendo anche alla loro sicurezza e alla sicurezza dei familiari e dei beni personali;

e. richiedere l'emissione di ordinanze contenenti misure idonee a proteggere la vita privata dei testimoni e delle vittime, in accordo con i diritti dell'Accusa, al fine di assicurare la sicurezza sia del viaggio dal luogo di residenza alla sede del Tribunale sia della testimonianza da rendere davanti al Tribunale nelle migliori condizioni.

Nonostante la grave situazione di insicurezza che caratterizza la Regione dei Grandi Laghi in Africa, la Sezione in esame ha assicurato

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il viaggio di circa 600 testimoni (a carico o a discarico) fino ad Arusha; i paesi di provenienza erano circa una trentina, africani, europei e americani.

Inoltre, la Sezione ha risolto gravi problemi di accoglienza da parte di Stati terzi dei testimoni che vi si erano rifugiati, sia sul piano giuridico che sul piano pratico, infatti i testimoni spesso erano privi di documenti di identità o di un permesso di soggiorno ovvero non erano regolarizzati amministrativamente nel Paese di soggiorno ovvero non erano in grado di affrontare un viaggio internazionale per la totale assenza di ogni forma di documentazione personale.

Non da ultimo, oneroso compito della Sezione è quello concernente la sicurezza nel mantenimento della riservatezza e dell'anonimato da parte dei testimoni prima e dopo la propria deposizione davanti al Tribunale.

Il raggiungimento di tale obiettivo ha permesso il coinvolgimento anche di altri testimoni e li ha incoraggiati a intraprendere le lunghe procedure per testimoniare davanti al Tpir, sottoponendosi più volentieri al viaggio fino ad Arusha e a rendere testimonianza davanti a quel Tribunale.

10. Le sentenze e le pene

Gli artt. 22 e 23 dello Statuto della Corte di Arusha concernono il regime delle pene e regolamentano le sentenze da essa pronunciate.

L'art. 22 stabilisce la competenza della Camera di prima istanza a pronunciare le sentenze e a determinare le pene e le sanzioni da comminare agli imputati ritenuti colpevoli di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.

Inoltre, in base ai princìpi generalmente riconosciuti dalla Comunità internazionale in materia giudiziaria, le sentenze sono dichiarate durante un'udienza pubblica con la maggioranza dei giudici della Camera di prima istanza. La sentenza deve essere per iscritto e deve essere motivata. Sono previste opinioni individuali o difformi dalla maggioranza.

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Il Tpir può pronunciare sentenze che contengono le pene previste, invece, nell'art. 23, il quale rimanda esplicitamente alle pene detentive previste dall'ordinamento generale del Ruanda rinviando a quelle norme per la determinazione delle pene, tenuto conto (par. 2) dei fattori e delle fattispecie di particolare gravità della violazione e la situazione personale del condannato.

Come misura accessoria della pena detentiva, il Tribunale può ordinare la restituzione ai legittimi proprietari di tutti i beni e utilità acquisiti illegalmente e illecitamente da parte del condannato.

Per quanto concerne l'esecuzione della pena è previsto per il Tpir un quartiere penitenziario delle Nazioni Unite nell'ambito del complesso penitenziario di Arusha. La supervisione di detto quartiere è demandata alle Nazioni Unite al fine di garantire condizioni di vita e standard di esecuzione della pena in maniera conforme alle norme internazionali in materia penitenziaria.

Infatti, è garantita la ricezione e la trasmissione alle autorità competenti di tutte le lamentele dei detenuti e delle loro richieste; inoltre, il Comitato internazionale della Croce Rossa di Ginevra può svolgere i propri compiti e le attività previste e garantite dalle Convenzioni del 1949 ed ha, tra l'altro, l'autorizzazione a fare visite all'interno del Quartiere penitenziario.

La pena detentiva - in base all'art. 26 dello Statuto - può essere scontata sia in Ruanda che in uno Stato designato dal Tribunale sulla base della lista di Stati che hanno comunicato al Consiglio di Sicurezza la disponibilità a ricevere i condannati. Nel caso in cui il Tpir autorizzi un detenuto a scontare la pena in un altro Stato, la detenzione avviene in base alle norme dello Stato ospite ma sotto la supervisione del Tribunale.

Il primo Stato a firmare un accordo con il Tpir al fine di far scontare la detenzione presso i propri penitenziari è stato, nel 1999, il Mali.

L'Italia, dopo la Francia nel 2003, solo il 17 marzo del 2004 ha firmato un accordo con le Nazioni Unite in materia di esecuzione delle pene detentive pronunciate dal Tpir e la possibilità di far scontare le pene presso i penitenziari italiani.

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11. L'appoggio degli Stati Membri dell'ONU al Tribunale ed in particolare la cooperazione italiana all'attività del Tpir

Nell'ambito della risoluzione 955 il Consiglio di Sicurezza ha deciso che devono assicurare la piena collaborazione al Tribunale e ai suoi vari organi tutti gli Stati e le organizzazioni intergovernative (IGO) e non governative (NGO), sia attraverso contributi sotto forma di risorse finanziarie sia sotto forma di servizi e personale, ed anche personale esperto.

Infatti, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con risoluzione n. 49/251 del 20 luglio 1995, ha istituito un Fondo per i contributi volontari in favore del Tribunale, in esecuzione della citata risoluzione n. 955 del 1994.

Con la risoluzione n. 49/251 l'Assemblea Generale ha invitato ciascuno Stato e le altri parti interessate (IGO e NGO) a procurare fondi per il finanziamento delle attività del Tribunale ma anche a procurare personale ed esperti, e forniture di beni e servizi, per il tramite del Segretariato Generale.

Nell'ambito della cooperazione e del sostegno, politico e materiale, degli Stati membri al Tpir, bisogna sottolineare che sono stati tradotti davanti al Tribunale di Arusha imputati arrestati in 22 paesi africani, europei e statunitensi.

Ad oggi tre Stati africani e due Stati europei (Italia e Francia) hanno concluso accordi con l'ONU per l'esecuzione delle sentenze pronunciate dal Tpir nei penitenziari nazionali, mentre trentuno Stati hanno collaborato con il Tpir nell'ambito dello svolgimento dell'attività giudiziaria.

Inoltre, vi è da segnalare che, oltre ai prestigiosi giuristi italiani operanti nel Tribunale, la Presidenza italiana di turno dell'Unione Europea ha assicurato la continuità del finanziamento europeo alle attività del Tpir mediante il riconoscimento di € 450.000 ad una organizzazione non governativa svizzera "Hirondelle News".

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1376 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005STORIA

Questo finanziamento si aggiunge al finanziamento di € 700.000 che l'Unione europea ha assicurato alle agenzie di stampa per la copertura quotidiana dei processi celebrati ad Arusha. Tale intervento della Presidenza italiana di turno dell'Unione ha reso possibile la copertura da parte della stampa internazionale delle attività giudiziarie svolte ad Arusha sviluppando la conoscenza della giustizia penale internazionale e la presa di coscienza da parte dell'opinione pubblica mondiale sui fatti del Ruanda e l'intervento delle Nazioni Unite mediante il Tpir.

Oltre a quanto detto, l'Italia - singolarmente - già contribuisce regolarmente al bilancio finanziario del Tpir con un contributo che nel 2003 è stato pari a complessivi cinque milioni e mezzo di euro circa.

12. Conclusioni

In conclusione, ricordiamo, infatti, che con legge 2 agosto 2002, n. 181 "Disposizioni in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale competente per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nel territorio del Ruanda e Stati vicini", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 14 agosto 2002, lo Stato italiano - vedi artt. 7 e 8 - ha dichiarato il riconoscimento delle sentenze del Tpir e, qualora, sulla base della dichiarazione di disponibilità espressa ai sensi dell'art. 26 dello Statuto, il detto Tribunale abbia indicato lo Stato come luogo di espiazione della pena, conferisce al Ministro della Giustizia la competenza a richiedere il riconoscimento della sentenza del Tribunale internazionale in Italia e a curare le fasi successive per l'esecuzione della pena presso il sistema carcerario italiano, sulla base di accordi con il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia.

È sulla base di questa legge che il 17 marzo 2004 è stato firmato il ricordato accordo tra Italia e ONU, riaffermando così il profondo impegno dell'Italia e la volontà politica del Governo italiano di contribuire efficacemente allo sviluppo del diritto internazionale umanitario e penale, attraverso lo sviluppo degli strumenti internazionali che aumentano

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I TRIBUNALI AD HOC DELLE NAZIONI UNITE

13774/2005 Rivista della Guardia di Finanza STORIA

la protezione dei diritti fondamentali dell'uomo e che reprimono efficacemente le violazioni gravi del diritto internazionale umanitario, come crimine perpretato non solo contro il singolo individuo ma contro l'umanità intera, a prescindere da ogni distinzione e discriminazione di appartenenza razziale, etnica, politica, filosofica, religiosa, di sesso.

Con il Tribunale di Arusha è stato compiuto un altro passo avanti nell'affermazione del diritto internazionale di tutta la Comunità degli Stati e dell'Umanità.

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13814/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Relazione del Governatore della Banca d'Italia sull'esercizio 2004 (*)

L'economia mondiale

Nel corso del 2004 ha continuato ad aumentare, sia pure a un ritmo rallentato rispetto agli anni precedenti, il grado di liquidità dell'economia mondiale. Nell'insieme dei sette maggiori paesi industriali il rapporto tra moneta e prodotto era pari al 66% nel 1998; è progressivamente salito fino a raggiungere il 75% nello scorso anno.

I tassi di interesse a breve termine, deflazionati per l'andamento dei prezzi al consumo, erano intorno al 3% nel 1998; sono rapidamente diminuiti divenendo, nel 2003, negativi per mezzo punto percentuale; nella seconda metà del 2004 sono tornati in prossimità dello zero.

I rendimenti a lunga scadenza, sempre in termini reali, sono discesi intorno all'1%.

La robusta espansione monetaria ha sospinto la crescita economica a livello globale.

La caduta congiunturale dell'attività negli Stati Uniti nel 2001, gli attentati terroristici del settembre e le successive azioni belliche in Medio Oriente avevano bruscamente rallentato l'attività nelle economie industriali.

Documenti

(*) Relazione del Governatore della Banca d'Italia, Prof. Antonio Fazio, all'Assemblea Generale Ordinaria dei Partecipanti. Roma, 31 maggio 2005.

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DOCUMENTI

1382 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

L'inversione di tendenza è derivata dall'impulso impresso dalla politica di bilancio negli Stati Uniti. I tassi di interesse, particolarmente contenuti, hanno risollevato gli investimenti in edilizia e favorito la domanda di beni di consumo durevoli. Sono ripresi, nel corso del 2003, anche gli acquisti di beni strumentali da parte delle imprese.

Si sono ridotti i premi al rischio; sono tornati ad aumentare gli afflussi di capitale e gli investimenti nelle economie emergenti.

Il prodotto mondiale è aumentato nel 2004 del 4,0%, in termini reali. Ponderando le produzioni nazionali sulla base dei poteri di acquisto, la crescita è del 5,1%, la più alta da oltre due decenni.

L'espansione monetaria non ha avuto conseguenze di rilievo sull'inflazione. Nel 2004 i prezzi al consumo sono saliti in media del 2% nei maggiori paesi industriali e del 2,7 negli Stati Uniti. In Giappone si è attenuata la prolungata deflazione. Nell'area dell'euro i prezzi sono aumentati del 2,1%.

La crescita della produttività nelle economie industriali ha più che compensato, negli ultimi anni, l'incremento delle retribuzioni; fanno eccezione, in Europa, la Spagna e l'Italia.

L'espansione della domanda mondiale ha tuttavia generato tensioni nei prezzi delle materie prime, soprattutto di quelle energetiche; le quotazioni del petrolio greggio sono più che raddoppiate in termini reali rispetto al valore medio degli anni novanta. Ne hanno risentito, nonostante la riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto, gli andamenti dei prezzi alla produzione nelle economie avanzate.

Nelle economie emergenti l'inflazione rimane in media più alta che nei paesi industriali; è nettamente diminuita rispetto agli anni precedenti.

Negli Stati Uniti il rischio di un aumento delle pressioni inflazionistiche ha spinto la Riserva federale, dalla metà del 2004, a un graduale aumento dei tassi di interesse, attuato finora per due punti percentuali, fino al 3%. Nell'area dell'euro il rallentamento congiunturale nel corso dell'anno e il miglioramento atteso dell'inflazione hanno condotto alla decisione di lasciare immutato al 2% il tasso di riferimento ufficiale.

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DOCUMENTI

13834/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

In più paesi l'espansione della liquidità si è riflessa sul valore degli immobili. Negli Stati Uniti, tra il 2000 e il 2004, l'incremento dei prezzi delle abitazioni è risultato del 37%. Nel Regno Unito l'aumento è stato particolarmente intenso fino al 2003; dalla fine di quell'anno è stato contrastato dalla politica monetaria fattasi più restrittiva; negli ultimi quattro anni l'aumento ha comunque raggiunto l'85%. In Italia la crescita dei prezzi delle abitazioni nel quadriennio è risultata del 46%; in Spagna dell'86%.

In Germania la tendenza alla riduzione dei prezzi degli immobili, connessa con l'eccesso di investimenti nei primi anni novanta, si è arrestata. In Giappone i valori immobiliari hanno continuato a diminuire, sia pure in misura inferiore al passato.

Le quotazioni azionarie, tra la primavera del 2003 e i primi mesi di quest'anno, hanno segnato, su tutti i principali mercati, rialzi tra il 40 e il 50%. Hanno beneficiato della riduzione dei tassi di interesse e del cospicuo incremento degli utili. L'accresciuta liquidità e i bassi rendimenti hanno spinto gli operatori ad assumere posizioni più rischiose; si è nettamente ridotta la volatilità delle quotazioni.

I rendimenti dei titoli pubblici decennali, sul mercato americano e su quello europeo, dopo un aumento nella prima metà dello scorso anno, sono discesi a livelli molto bassi. Nei primi mesi del 2005 si è osservato un incremento della variabilità dei corsi; sono aumentati i premi per il rischio sulle obbligazioni private e su quelle dei Paesi emergenti; sono temporaneamente risaliti i rendimenti delle obbligazioni pubbliche.

I rendimenti dei titoli pubblici a lungo termine si collocano su livelli tuttora contenuti, pari, sulla scadenza decennale, al 4,1% negli Stati Uniti e al 3,3% nell'area dell'euro. Segnalano aspettative di moderata inflazione, ma anche di contenuta crescita per gli anni a venire. I rendimenti dei titoli a indicizzazione reale si collocano sull'1,6% negli Stati Uniti, sull'1% nell'area dell'euro.

La congiuntura

Negli Stati Uniti il prodotto interno lordo è cresciuto nel 2004 del 4,4%, dopo il 3,0 dell'anno precedente.

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L'aumento della domanda interna, in atto dal 2002, era stato innescato dall'incremento della spesa pubblica e dalla riduzione, in un orizzonte pluriennale, del carico fiscale per le famiglie e per le imprese.

L'aumento del reddito disponibile delle famiglie, connesso con l'ampliamento del disavanzo pubblico, si è tradotto rapidamente in uno stimolo alla domanda per consumi; il tasso di risparmio è sceso a un livello estremamente ridotto, riflettendo anche, presumibilmente, la fiducia nel proseguimento di una positiva evoluzione economica.

La ripresa è stata sostenuta dalla politica monetaria fortemente espansiva. Gli acquisti di beni durevoli sono cresciuti del 7,4% nel 2003 e ancora del 6,7 nel 2004; gli investimenti in abitazioni sono aumentati dell'8,8% nel 2003 e del 9,7 nel 2004.

Dal 2003 sono notevolmente aumentati anche gli investimenti delle imprese. La spesa per beni strumentali e programmi informatici è cresciuta nel 2004 del 13,6% in volume; tra questi, gli investimenti in calcolatori e attrezzature elettroniche sono aumentati del 33% nel 2003 e ancora del 27 nel 2004. Anche gli investimenti in mezzi di trasporto, in costante diminuzione tra il 2000 e il 2003, hanno segnato una improvvisa accelerazione, espandendosi, in quantità, del 12,5%.

Le esportazioni di beni e servizi sono cresciute, in volume, dell'8,6%.

L'incremento della produzione e quello della produttività, che era proseguito anche nella fase di recessione ciclica, hanno ampliato i profitti delle imprese. La ripresa dell'occupazione dalla metà del 2003 ha dato ulteriore sostegno al reddito disponibile delle famiglie e ai consumi.

La notevole accelerazione, nel corso del 2004, dell'attività di investimento ha riflesso la buona situazione finanziaria delle imprese, incentivi fiscali e, più fondamentalmente, le prospettive di sviluppo dell'economia.

L'espansione degli investimenti prosegue a ritmi più contenuti nell'anno in corso.

Nel primo trimestre del 2005 il prodotto interno lordo è aumentato del 3,5% su base annua. Prosegue la crescita della produttività e

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13854/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

dell'occupazione. I rialzi dei tassi di riferimento decisi dalla Riserva federale sono stati percepiti dai mercati come volti a stabilizzare, nel medio termine, le aspettative di inflazione.

Ai cambi correnti, i maggiori paesi industriali contribuiscono per il 65% al prodotto mondiale. Gli Stati Uniti rappresentano poco meno della metà del prodotto dei maggiori Paesi e del 30% dell'economia mondiale.

Nel 2003 e nel 2004 l'attività produttiva nei Paesi industriali e nelle economie emergenti è stata sostenuta dalla domanda per consumi e per investimenti negli Stati Uniti. Le importazioni dal resto del mondo hanno segnato un aumento del 4,4% nel 2003 e del 9,9 nel 2004.

Il commercio internazionale di beni e servizi è cresciuto, in volume, nel 2003 del 4,9%; nel 2004 del 9,9. Il contributo della Cina all'aumento del commercio mondiale nel 2004 è valutabile in 1,5 punti percentuali.

Le esportazioni di beni e servizi del Giappone sono cresciute del 9,1% nel 2003 e del 14,4 nel 2004; in Germania nei due anni, rispettivamente, dell'1,8 e del 9%. Nettamente inferiori sono stati gli incrementi delle esportazioni della Francia e soprattutto dell'Italia.

Un contributo rilevante alla crescita dell'economia mondiale è derivato, come negli scorsi anni, dalle economie emergenti e in via di sviluppo. In Cina il prodotto è salito del 9,5%, in India del 7,1. Nelle economie di recente industrializzazione dell'Asia la crescita dell'attività produttiva è stata del 5,6%.

In Giappone, gli investimenti produttivi sia nel 2003 che nel 2004 sono aumentati di circa il 6%, stimolati dalla domanda estera; quelli nell'edilizia residenziale sono tornati a espandersi dopo tre anni di flessione. Il prodotto interno lordo nel 2004 è cresciuto del 2,7%; l'aumento sarà più contenuto nell'anno in corso.

Nell'area dell'euro l'espansione del prodotto è stata del 2,1%.

Gli squilibri strutturali

La politica di bilancio in atto dal 2001 ha determinato negli Stati Uniti un rilevante peggioramento del saldo dei conti pubblici. La

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crescita dell'economia, superiore lo scorso anno a quella potenziale, ha consentito di stabilizzare al 3,6% l'incidenza del disavanzo federale sul prodotto. L'ammontare del debito collocato sul mercato è salito alla fine del 2004 al 37% del prodotto.

È negli impegni dell'Amministrazione un ridimensionamento del disavanzo pubblico entro il 2010.

In una prospettiva di lungo periodo pesa sull'economia statunitense la tendenza espansiva della spesa previdenziale e soprattutto di quella sanitaria, che risente dell'eccezionale aumento dei costi.

Il peggioramento dei conti con l'estero e i bassi tassi di interesse sono all'origine dell'indebolimento del cambio della moneta statunitense iniziato nel 2002.

Dalla metà degli anni novanta sono fortemente cresciute le passività sull'estero; alla fine del 2003 ammontavano a 10.500 miliardi di dollari, per la metà costituite da investimenti di portafoglio provenienti dall'estero e per un quarto da investimenti diretti negli Stati Uniti.

Le attività sull'estero ammontavano alla fine del 2003 a circa 8.000 miliardi, costituite per un terzo da investimenti diretti all'estero da parte di imprese multinazionali e per un altro 30% da investimenti di portafoglio.

La posizione debitoria netta degli Stati Uniti nei confronti del resto del mondo, pari al 5% nel 1996, ha raggiunto il 25% del prodotto alla fine del 2004.

Lo squilibrio dei conti con l'estero di parte corrente, nella misura in cui non è finanziato da afflussi di investimenti diretti o da riduzioni di attività finanziarie stilate in altre valute, si traduce in un aumento della quantità di attività monetarie, obbligazioni e azioni denominate in dollari detenute dal resto del mondo. L'incremento delle attività in dollari in possesso di operatori esteri è anche la contropartita degli investimenti diretti e finanziari statunitensi in altre aree del globo.

Il volume di depositi e di obbligazioni private e pubbliche stilati in dollari dal 1999 al 2004 è aumentato del 50%, da 24.000 a 35.900 miliardi.

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Nello stesso arco di tempo la moneta e i titoli in euro sono cresciuti del 51%, da 11.900 a 18.000 miliardi. Le attività in yen sono aumentate del 27%.

L'andamento del valore della moneta statunitense è di grande portata per gli equilibri economici e finanziari globali.

Il confronto tra le quantità ora ricordate non evidenzia uno squilibrio crescente tra il volume delle attività finanziarie stilate in dollari e quello delle attività stilate in euro.

In relazione al forte attivo dei conti con l'estero è molto inferiore, rispetto alle altre due principali valute, la quantità di strumenti finanziari stilati nella moneta giapponese. I tassi di rendimento a breve termine pressoché nulli ne hanno prevenuto un eccessivo apprezzamento.

L'indebolimento del dollaro si è arrestato nei primi mesi di quest'anno, anche in seguito all'aumento dei tassi ufficiali. Dalla metà di marzo il dollaro si è apprezzato dell'8% nei confronti dell'euro e del 3% in termini effettivi.

Lo squilibrio esterno degli Stati Uniti e l'espansione dell'offerta di dollari sono, fondamentalmente, il riflesso della più forte crescita rispetto alle altre economie industriali. Tra il 1994 e il 2004 la domanda per consumi e per investimenti è aumentata, in volume, del 45%; il prodotto, grazie anche alla forte dinamica della produttività, del 38%.

La domanda interna e il prodotto in Europa e negli altri Paesi industriali sono entrambi cresciuti, nel decennio, del 24%.

Nel 2004, il risparmio nazionale netto ammontava negli Stati Uniti a due punti percentuali del prodotto. La riduzione del risparmio privato e l'ampliamento del disavanzo pubblico hanno accentuato negli anni più recenti il ricorso al risparmio che si genera in Europa, in Giappone e nelle economie emergenti.

Per un ammontare pari a tre quarti si contrappongono al disavanzo corrente verso l'estero degli Stati Uniti cospicui, persistenti avanzi del Giappone, dei paesi produttori di petrolio, della Cina e di altri paesi emergenti dell'Asia. Questi non sono in grado di investire o comunque

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1388 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

non investono nelle loro economie il flusso complessivo di risparmio. L'eccedenza si dirige dove più sicuro è l'investimento e adeguato è il rendimento corrente e atteso.

La capacità dei mercati internazionali di finanziare squilibri, anche ampi, tra investimenti e risparmio nelle principali economie è aumentata negli ultimi anni.

Gli Stati Uniti hanno finora agevolmente finanziato il disavanzo corrente verso l'estero grazie ai capitali attratti dall'elevata produttività e dalla redditività degli investimenti e da una condizione di sicurezza e stabilità, economica e istituzionale.

Le attività in dollari detenute dalle Autorità di paesi asiatici si collocano attorno ai 2.000 miliardi. La posizione debitoria netta di alcuni di questi paesi lascia prevedere un ulteriore accumulo di riserve valutarie, anche in dollari. Il valore esterno della moneta statunitense è sostenuto dal progressivo aumento dei tassi di interesse ufficiali.

Una perdita di valore del dollaro nuocerebbe all'ordinato operare del sistema finanziario internazionale.

In prospettiva è indispensabile un ridimensionamento degli squilibri. Alla correzione del disavanzo corrente degli Stati Uniti dovranno contribuire un aumento del risparmio nazionale e tassi di crescita più elevati negli altri paesi industriali e nel resto del mondo.

Condizioni per uno sviluppo sostenibile, per cogliere appieno le opportunità di crescita dell'economia mondiale sono una più profonda integrazione, commerciale e finanziaria, delle economie arretrate nel sistema degli scambi internazionali e la riduzione della povertà, tuttora radicata in vaste aree del globo.

La comunità internazionale è impegnata a perseguire questi obiettivi.

La strategia si basa sull'apertura dei mercati dei paesi sviluppati ai beni prodotti dai paesi poveri, sugli aiuti ufficiali allo sviluppo, sulla cancellazione del debito estero dei paesi fortemente indebitati, su riforme istituzionali nei paesi beneficiari.

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13894/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Guardiamo con fiducia all'incontro dei Ministri dei paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio a Hong Kong, il prossimo dicembre, passaggio cruciale per concludere entro il 2006 i lavori dell'agenda di liberalizzazione commerciale di Doha. L'efficacia degli aiuti deve essere accresciuta; sono allo studio meccanismi e strumenti di finanziamento innovativi per aumentare le risorse, oggi inferiori ai valori programmati. Si sono registrati progressi nell'ambito dell'iniziativa Heavily Indebted Poor Countries, ma sono ancora molti i paesi, con situazioni interne fortemente instabili, non in grado di beneficiare della riduzione del debito.

Una più ampia partecipazione all'utilizzo delle risorse e ai benefici della globalizzazione pone le basi per un progresso economico e sociale in condizioni di armonia tra le nazioni.

L'economia italiana

L'espansione del prodotto interno lordo dei dodici paesi dell'euro è stata, tra il 2000 e il 2004, del 5,1%.

In Francia l'attività produttiva è stata sostenuta dalla spesa delle famiglie. Nei quattro anni l'aumento del prodotto è stato del 6,6%, quello delle esportazioni del 5,4, un quarto del tasso di espansione della domanda mondiale; gli investimenti produttivi, dopo due anni di diminuzione, sono tornati a crescere nel 2004.

In Germania il prodotto nel quadriennio ha registrato un aumento del 3%, in media 0,7 punti all'anno. L'economia è stata trainata dalle esportazioni; queste sono cresciute, in quantità, del 23%, con guadagni di quote sul mercato mondiale. I consumi hanno rallentato nettamente rispetto al decennio precedente, riflettendo l'incertezza delle famiglie in relazione al processo di riforma della sicurezza sociale e all'andamento dell'occupazione.

Gli investimenti in beni strumentali realizzati in Germania sono diminuiti nel biennio 2001-02; hanno segnato una lieve ripresa nei trimestri centrali del 2004, ma sono di nuovo calati nell'ultima parte

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dell'anno. Rimane intenso il processo di delocalizzazione delle attività produttive verso i paesi dell'Europa centro orientale. Gli investimenti in costruzioni si sono ridotti dal 2000 al ritmo medio annuo del 4%; nell'edilizia residenziale la caduta dell'attività è proceduta di pari passo con quella dei prezzi.

Pesano sull'economia tedesca gli scarsi progressi compiuti nell'ammodernamento del settore produttivo delle regioni dell'Est, che, nonostante i massicci trasferimenti di fondi dal governo federale e il minor costo del lavoro, non ha ancora raggiunto un sufficiente grado di competitività.

Anche in Italia lo sviluppo del prodotto è stato insoddisfacente. Dal 2000 l'aumento annuo è risultato in media inferiore all'1%. L'incremento dei consumi, pur beneficiando della crescita dell'occupazione e dell'impulso espansivo del bilancio pubblico, è stato analogo.

L'attività è stata sospinta dagli investimenti nell'edilizia residenziale, favoriti dai bassi tassi di interesse sui mutui e dagli incentivi fiscali alla ristrutturazione degli immobili.

Gli investimenti in beni strumentali delle imprese erano calati nel 2003; alla ripresa della prima metà del 2004 hanno fatto seguito nuove flessioni nel terzo e ancora nel quarto trimestre.

La competitività nei confronti dell'estero si conferma come il punto di maggiore debolezza della nostra economia.

Tra il 2000 e il 2004 lo sviluppo della domanda mondiale di beni è stato, in termini reali, del 20%.

Le nostre vendite all'estero nel 2004 sono risultate inferiori a quelle dell'anno 2000; la quota sul mercato mondiale, pari al 4,6% nel 1995, è scesa, calcolata a prezzi costanti, al 3,5% nel 2000 e al 2,9 nel 2004.

In Italia, come negli altri paesi dell'area, all'inizio del decennio l'economia ha risentito delle difficoltà della congiuntura internazionale; negli ultimi due anni non è riuscita a trarre vantaggio dalla forte espansione dell'attività nell'America del Nord, in Asia e in America latina.

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13914/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

L'attività nell'industria

I primi segnali della difficoltà competitiva del nostro settore industriale si sono manifestati nella seconda metà degli anni novanta.

Tra il 1995 e il 2000 l'incremento della produttività totale dei fattori nel settore manifatturiero è stato pressoché nullo; la produttività del lavoro è aumentata in media dell'1% all'anno, a fronte del 3,2 in Germania, del 4,3 in Francia, del 3,9 negli Stati Uniti. L'indice della produzione industriale nei cinque anni è cresciuto dell'8%, in Germania e in Francia del 14%.

Il divergente andamento è proseguito negli anni recenti.

Tra il 2000 e il 2004 la produzione industriale è aumentata in Francia dell'1,2%, in Germania del 2,6; in Italia è diminuita del 3,8%. Il costo del lavoro per unità di prodotto, essenzialmente per il mancato sviluppo della produttività, è aumentato nella nostra industria manifatturiera del 12,6%; nello stesso arco di tempo è sceso del 2,8% in Germania, è cresciuto del 2,6% in Francia.

La crisi dell'attività industriale è essenzialmente riconducibile ai settori delle apparecchiature meccaniche e delle macchine elettriche ed elettroniche, nei quali la produzione tra il 2000 e il 2004 è diminuita del 26%, e dei mezzi di trasporto, dove la riduzione è stata del 17%. La caduta dell'attività in questi comparti, classificabili tra quelli a tecnologia medio-alta, spiega 3,6 punti percentuali della diminuzione dell'indice complessivo.

L'andamento nei settori del tessile e del cuoio, che più direttamente risentono della concorrenza delle economie emergenti dell'Asia, ha contribuito per 1,9 punti alla flessione dell'indice. È invece aumentata l'attività nei comparti alimentare, della carta, dei prodotti in metallo e del legno, classificabili, come il tessile e il cuoio, tra quelli a bassa tecnologia.

Le punte di eccellenza e i casi di successo, che si riscontrano pressoché in tutti i rami della nostra industria, si fondano sulla capacità innovativa e sulla qualità dei prodotti. Ma non sono sufficienti, data la limitata rilevanza dimensionale, a risollevare l'intero settore industriale.

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1392 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

È essenziale che, per il loro carattere altamente qualificato, queste attività restino radicate nel nostro Paese; possono, debbono, disseminare in altre imprese stimoli al miglioramento qualitativo e produttivo.

Le imprese e la tecnologia

L'estensione di attività all'estero da parte delle nostre imprese era diretta, negli anni ottanta, ad acquisire la partecipazione o il controllo di aziende con produzioni affini o complementari in paesi europei ed extraeuropei.

Investivano all'estero, in questa fase, le imprese dei settori a tecnologia medio-alta, con rilevanti economie di scala, alla ricerca di mercati di sbocco; alla metà degli anni ottanta, a esse erano riconducibili i tre quarti dei 260.000 addetti esteri della nostra industria manifatturiera. Un ulteriore 10% faceva capo a imprese a elevata tecnologia che miravano a sfruttare sinergie per lo sviluppo di nuovi prodotti e metodi di produzione avanzati. Gli addetti esteri si concentravano nell'Europa Occidentale e nel Nord America.

Dagli anni novanta le imprese dei settori del tessile, abbigliamento, cuoio e calzature, incluse quelle di piccola dimensione, al fine di difendere la competitività erosa dall'andamento sfavorevole del rapporto tra prezzo e qualità, hanno iniziato a delocalizzare una parte della loro attività in paesi dove più basso è il costo del lavoro.

All'inizio del 2004 gli addetti di aziende estere controllate da imprese italiane erano saliti a 870.000, pari al 18% degli occupati nell'industria in Italia; un terzo era impiegato nell'Est europeo e in Asia.

I dati sugli investimenti diretti all'estero, raccolti sulla base del costituendo registro delle imprese presso l'Ufficio italiano dei cambi, indicano che le imprese italiane con rilevanti attività in altri paesi sono 1.450; di queste 390 sono ai vertici di imprese internazionali. L'espansione riguarda soprattutto i settori a tecnologia alta e medio-alta; l'attività si è indirizzata verso Francia, Spagna e Stati Uniti. In Romania, in Polonia, in Croazia e nella Repubblica Ceca investono prevalentemente le aziende operanti nei settori a bassa tecnologia.

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13934/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Scarsa è la presenza all'estero delle imprese con produzioni classificabili a tecnologia medio-bassa, che costituiscono una quota rilevante del nostro settore manifatturiero.

Secondo le indagini condotte dalla Banca d'Italia a livello regionale, le imprese con attività all'estero producono un valore aggiunto per addetto più alto del 9% rispetto a quello medio delle altre imprese italiane. Anche gli investimenti per addetto sono più elevati. Nei settori classificabili a tecnologia media, la delocalizzazione non sembra influenzare l'occupazione in Italia, o lo fa in modo positivo. Nei settori tradizionali, lo spostamento all'estero di una parte della produzione ha carattere difensivo; riduce l'occupazione, ma permette di sostenere il confronto competitivo nel mercato internazionale.

L'industria manifatturiera italiana occupa oltre 5 milioni di persone; il numero è doppio in Germania; in Francia è inferiore di circa il 20%.

In Italia il numero di occupati è massimo nei settori a basso contenuto tecnologico. La quota degli addetti ai comparti del tessile, del cuoio e delle calzature, pari nel 2001 al 18,6%, è scesa al 16,6 nel 2004; in Francia e in Germania nel 2001 era rispettivamente del 6,5 e del 3,1%. La pressione competitiva esercitata dalle economie emergenti è per l'Italia più rilevante; è indispensabile intensificare la risposta, innalzando la qualità della produzione e il suo contenuto di creatività.

Le produzioni a tecnologia medio-alta, che includono quella degli autoveicoli, impiegano in Italia il 26% degli occupati dell'industria, contro il 30 in Francia e il 42 in Germania.

È questo il comparto alla base della forte crescita delle esportazioni tedesche.

Gli occupati nei settori alimentare, della carta, dell'editoria e del legno sono in Francia intorno al 27%, in Germania al 22, in Italia al 19. Questi comparti hanno beneficiato nel nostro Paese dei guadagni di produttività derivanti dai processi di riorganizzazione e ristrutturazione, che hanno consentito anche di migliorare la qualità dei prodotti; la domanda proviene soprattutto dal mercato interno.

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1394 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

È del 7%, nella nostra economia, la quota di occupati nei settori ad alta tecnologia, dove si forma il 10% del valore aggiunto dell'industria; in Francia la quota degli occupati è dell'11%, in Germania del 9, negli Stati Uniti e in Giappone intorno al 15%.

La domanda internazionale di prodotti tecnologicamente avanzati aumenta a ritmi molto superiori alla media; date la qualità e la specificità delle produzioni, è minore l'elasticità della domanda ai prezzi; le imprese possono praticare politiche di prezzo che consentono di remunerare adeguatamente i fattori di produzione.

Ai ritardi nell'ammodernamento dell'apparato produttivo dei settori a tecnologia medio-alta e allo scarso sviluppo di quelli ad alto contenuto tecnologico è riconducibile il differenziale negativo di crescita della produttività e di competitività della nostra industria nei confronti dell'estero.

Nel marzo del 2002 il Consiglio europeo aveva assunto come obiettivo per l'anno 2010 un volume di investimenti in ricerca e sviluppo pari al 3% del prodotto interno lordo.

Il confronto internazionale evidenzia il ritardo del nostro Paese.

La qualità della produzione scientifica, misurata secondo gli standard internazionali, tocca in Italia punte di alto livello.

La spesa per ricerca e sviluppo direttamente effettuata dal settore pubblico, sotto forma di attività svolte nelle università e negli enti di ricerca, non arriva allo 0,6% del prodotto interno lordo. In Germania e in Francia la spesa pubblica per ricerca si colloca intorno allo 0,8% del prodotto.

Il confronto appare sfavorevole soprattutto per la componente che fa capo al settore privato.

In Italia i privati destinano all'attività di ricerca e sviluppo lo 0,5% del prodotto interno lordo; in Germania e in Francia, rispettivamente, l'1,7 e l'1,4%.

Nel complesso la spesa per ricerca e sviluppo raggiunge l'1,1% del prodotto in Italia, il 2,5 in Germania e il 2,2 in Francia. Negli Stati Uniti è pari al 2,7%, in Giappone al 3,1.

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13954/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

L'efficacia della ricerca in termini di ricaduta sull'attività produttiva dipende dalla dimensione assoluta della spesa; è massima nelle imprese più grandi e nelle economie maggiori.

È essenziale lo sviluppo di sinergie all'interno dello spazio economico europeo, per dare concretezza agli indirizzi indicati dall'Unione nel Consiglio di Lisbona.

Pesa sulla nostra economia, limitandone la capacità di sviluppo, la frammentazione dell'attività produttiva. La ridotta dimensione ostacola l'investimento in ricerca; sono più difficili strategie di espansione dell'attività a livello globale e di conquista di posizioni rilevanti sul mercato internazionale.

Anche escludendo quelle individuali, il 99% delle imprese ha meno di 50 addetti. Tra le imprese di nuova formazione sono numerose quelle che operano in settori a tecnologia alta o medio-alta.

Attingendo anche all'esperienza di altri grandi paesi europei, Francia, Germania e Spagna, vanno rafforzate le politiche volte a favorire le imprese a forte contenuto tecnologico; in particolare, attraverso la contribuzione del settore pubblico al capitale iniziale, la creazione di attività consortili, l'incentivazione del trasferimento di tecnologie dai centri di ricerca pubblica alle attività produttive. Guadagni di produttività potranno discendere da un più intenso ricorso alle reti informatiche di collegamento tra le imprese nell'intero territorio nazionale e all'estero.

Le forme di incentivazione fiscale e le altre provvidenze dirette ad accrescere la competitività, già introdotte, e la programmata riduzione dell'Irap possono essere di grande aiuto.

Va rinnovato l'invito al sistema creditizio a sostenere le aziende più dinamiche, a promuovere, ponendo a frutto la base informativa di cui dispone, processi di aggregazione e di consolidamento tra imprese.

È essenziale al riguardo l'iniziativa delle stesse imprese.

Occorre un più ampio ricorso a forme di venture capital, per favorire iniziative in settori innovativi, dove alto è il rendimento atteso, ma elevato è anche il rischio.

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1396 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

L'occupazione

Tra il 2000 e il 2004 il prodotto interno lordo è aumentato del 3,7%; il numero degli occupati, grazie all'introduzione di nuove flessibilità e alla moderazione salariale, è cresciuto del 5,9%.

In assenza di una espansione vigorosa dell'attività produttiva si sono sviluppate tipologie di lavoro meno stabili e con livelli retributivi inferiori. È cresciuto nel corso degli ultimi dieci anni il numero dei rapporti a tempo determinato. Sono 400.000 i lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, pari al 2,4% del totale di quelli dipendenti; la legge Biagi ha previsto la trasformazione di questi rapporti in forme di lavoro meno precarie. Sono aumentati, anche in risposta alle esigenze dei lavoratori, gli occupati a tempo parziale; questi rappresentano attualmente una proporzione ancora distante da quella delle altre grandi economie europee.

Si è allargato il divario fra i salari di ingresso e quelli medi. La quota dei lavoratori a bassa retribuzione, stimabile nel 18%, è costituita per l'11 da occupati a tempo pieno e per il 7 da occupati a tempo parziale.

È stato contenuto il costo del lavoro per dipendente, ma l'immissione di nuovi lavoratori in attività marginali ha inciso sulla crescita della produttività.

È ancora elevato, soprattutto nel Mezzogiorno, il peso del lavoro irregolare.

Per effetto dell'accresciuta partecipazione femminile, l'occupazione in rapporto alla popolazione in età da lavoro è salita al 57,5%; in Francia è del 62,8; in Germania del 64,3; negli Stati Uniti è pari al 71,2%.

L'aumento dell'occupazione si è concentrato al Centro Nord.

Nel Mezzogiorno, rispetto alla metà degli anni novanta, sono ripresi i flussi migratori delle persone con più alto grado di istruzione verso le regioni centrali e settentrionali. Il calo del tasso di disoccupazione osservato nell'ultimo biennio deriva da una riduzione delle forze di lavoro; le difficili condizioni hanno scoraggiato l'ingresso dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro.

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13974/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Tra il 1995 e il 2004, il numero degli occupati nel settore terziario è aumentato del 17,8%, a fronte di una crescita dell'11,4 per l'economia nel suo complesso. Nei servizi privati l'aumento è stato del 24,9%; l'occupazione nell'industria è rimasta sostanzialmente costante.

Partendo da livelli più bassi, lo sviluppo dei servizi, pubblici e privati, procede in Italia allo stesso ritmo di altre economie avanzate; il grado di terziarizzazione dell'economia rimane inferiore a quello della Francia, del Regno Unito, degli Stati Uniti.

È ancora poco sviluppato, in termini di addetti, qualità e produttività, il comparto dei servizi alle imprese. Guadagni di efficienza possono essere conseguiti nel commercio al dettaglio. Pesano, anche nel settore terziario, la frammentazione dell'offerta e i vincoli normativi che si riflettono sui costi e sull'occupazione.

Il ritmo di espansione del terziario, in termini di valore aggiunto, è rallentato negli anni successivi al 2000 rispetto al decennio precedente. Alla riduzione del contributo dell'industria allo sviluppo del prodotto nazionale non ha fatto riscontro in Italia un adeguato aumento dell'apporto dei servizi.

La crescita dell'economia italiana rimane tra le più basse nell'ambito delle economie avanzate.

La finanza pubblica

La modesta crescita dell'economia ha inciso negli anni recenti sull'andamento dei conti pubblici.

Nel periodo 1980-1993 la spesa primaria corrente ogni anno era aumentata in media del 4,2% in termini reali; tra il 1994 e il 2000 ripetuti interventi avevano consentito di contenerne l'incremento annuo entro l'1,2%.

Nell'ultimo quadriennio la spesa è, ogni anno, aumentata, sempre in termini reali, in media del 2,4%.

La dinamica ha continuato a riflettere tendenze di lungo periodo determinate da assetti normativi definiti in fasi più favorevoli sotto il profilo macroeconomico e demografico.

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1398 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Sono stati rafforzati gli interventi a sostegno di alcune categorie di cittadini in condizioni disagiate. Sono stati anche varati provvedimenti per rilanciare gli investimenti pubblici e accrescere il ruolo dei capitali privati nello sviluppo delle infrastrutture. La spesa per investimenti delle Amministrazioni pubbliche è risalita dal 2,5% del prodotto del 2000 al 2,9 del 2004.

L'incidenza della spesa primaria corrente e per investimenti sul prodotto, in connessione anche con il rallentamento dell'economia, è aumentata di 2,2 punti percentuali. L'incidenza delle entrate è scesa di 0,6 punti; se si escludono gli effetti delle misure di natura temporanea, la flessione è di quasi due punti; l'andamento riflette sgravi e agevolazioni fiscali disposti in favore di imprese e famiglie nel quadriennio 2001-04, in media dell'ordine di 5 miliardi l'anno.

La situazione dei conti pubblici rimane difficile. Gli squilibri sono di natura strutturale e di lunga data; si riflettono negativamente sul potenziale di crescita dell'economia.

I notevoli miglioramenti dei saldi di finanza pubblica conseguiti negli anni novanta sono dovuti a un aumento della pressione fiscale sulle imprese e sulle famiglie e al calo della spesa per interessi, connesso con la disinflazione dell'economia e con la partecipazione all'Unione monetaria. Il contributo fornito dal contenimento della spesa non è stato irrilevante; ha tuttavia inciso anche sugli investimenti pubblici.

L'indebitamento netto del 2001, inizialmente stimato nell'1,4% del prodotto, viene ora valutato nel 3,2%.

Dal 2002 il ristagno dell'economia ha accentuato il deterioramento della condizione strutturale dei conti; nel 2004, anche per effetto di misure a carattere temporaneo, l'indebitamento netto è stato del 3,2% del prodotto.

Alla fine del 2004 il debito era pari al 106,6% del prodotto interno lordo.

Presupposto di ogni efficace intervento di riequilibrio della finanza pubblica è l'attenta valutazione dello stato dei conti, dei rischi

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13994/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

connessi con il costo del debito, dei limiti che ne discendono per le politiche di stabilizzazione, delle difficoltà a far fronte agli oneri derivanti dall'invecchiamento della popolazione.

L'elevata tassazione, l'incertezza connessa con l'ampliamento del disavanzo pubblico, la carenza di infrastrutture frenano gli investimenti e lo sviluppo.

L'azione correttiva deve fondarsi su riforme strutturali. La dinamica della spesa deve proseguire secondo la regola stabilita nell'ultima legge finanziaria. Sono necessari interventi sul livello del prelievo e sulla sua composizione, progressi nella gestione dei servizi, la creazione di un ambiente normativo orientato alla crescita.

Le riforme strutturali migliorano le aspettative, contribuiscono a stabilire un clima di fiducia, innalzano il potenziale di sviluppo dell'economia.

Le banche

Il 2004 è stato un anno favorevole per l'attività bancaria nei principali paesi.

Negli Stati Uniti i ricavi delle banche hanno tratto beneficio dall'ulteriore forte crescita dei prestiti alle famiglie, dalla ripresa di quelli alle imprese, da maggiori commissioni su servizi. Gli accantonamenti e le perdite a fronte dei crediti sono diminuiti. Il rendimento del capitale è stato del 13,3%.

Nel Regno Unito gli utili delle maggiori banche sono risultati dell'ordine del 20% del capitale. Come negli Stati Uniti, la redditività trae vantaggio dall'intensa attività sui mercati finanziari. L'aumento consistente delle commissioni sulle attività di collocamento di titoli e sulle gestioni patrimoniali si è accompagnato a quello, più contenuto, dei proventi da interessi.

In Giappone è in atto il rafforzamento patrimoniale del sistema bancario. Si è ridotta, soprattutto per le grandi banche, l'incidenza dei prestiti in sofferenza.

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1400 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Anche nell'area dell'euro il settore bancario ha conseguito risultati favorevoli. Il credito è cresciuto del 6,3%, un punto in più rispetto al 2003. La redditività delle maggiori banche ha continuato a migliorare a seguito della riduzione dei costi operativi, degli accantonamenti e delle perdite sui crediti. Ai positivi risultati dei sistemi bancari francese e spagnolo si è associato un miglioramento dei conti delle principali istituzioni creditizie tedesche, che negli anni precedenti avevano registrato risultati sfavorevoli.

In Italia, in rapporto al capitale e alle riserve, gli utili netti del sistema bancario sono saliti di quattro punti, al 10,7%.

Il finanziamento dell'economia

Le risorse finanziarie affluite in Italia a tutti i settori interni, sotto forma di prestiti bancari, emissioni obbligazionarie e azionarie, altri strumenti, sono ammontate nel 2004 a 163 miliardi di euro. Il settore pubblico ha assorbito risorse per 51 miliardi, le famiglie per 45. I fondi raccolti dalle imprese, incluse le società di finanziamento, sono stati 67 miliardi.

L'incerta crescita degli investimenti dal 2001 ha limitato la domanda di finanziamenti. Il credito bancario alle imprese è aumentato del 3,5% nel 2004.

È rimasta sostenuta la dinamica dei prestiti alle imprese di minore dimensione; quelli alle unità produttive con meno di 20 addetti, alle quali fa capo circa la metà degli occupati nell'industria e nei servizi, sono aumentati del 5,7%.

Il credito alle imprese con sede nel Mezzogiorno si è ampliato del 7,8%.

Le difficoltà di crescita dell'economia non si sono riflesse in un peggioramento della qualità del credito. Il flusso dei prestiti iscritti a sofferenza tra il 2001 e il 2004 è stato pari, in media, all'1% degli impieghi in essere all'inizio di ciascun anno. Il rapporto fu di circa il 4% nella fase recessiva dei primi anni novanta e si mantenne al di sopra del 2 fino al 1996.

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14014/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

A contenere i rischi creditizi ha contribuito l'affinamento delle tecniche di selezione degli affidamenti. La qualità degli attivi bancari resta tuttavia, in prospettiva, strettamente connessa con la capacità del settore produttivo di tornare su sentieri di crescita sostenuta e duratura.

Il credito bancario alle famiglie è aumentato del 15,8%, un ritmo superiore di quasi cinque punti percentuali a quello del 2003 e doppio rispetto a quello dell'area dell'euro. È risultata intensa la domanda di finanziamenti per l'acquisto di abitazioni; il credito al consumo ha continuato ad espandersi a tassi elevati.

L'aumento dei finanziamenti alle famiglie negli ultimi anni è riconducibile al basso livello dei tassi di interesse, allo sviluppo delle strutture di offerta, alla più intensa concorrenza. Alla fine del 2004 il tasso annuo effettivo globale sulle erogazioni di prestiti alle famiglie per l'acquisto di abitazioni era pari al 3,8%, in linea con le condizioni praticate nell'area dell'euro.

In rapporto al reddito disponibile il debito delle famiglie è aumentato dal 32% della fine dello scorso decennio al 36 del 2003; rimane contenuto nel confronto internazionale; è pari al 61% in Francia, al 92 in Spagna, al 104 in Germania, al 107 negli Stati Uniti, al 129 nel Regno Unito.

L'espansione dell'assistenza finanziaria alle famiglie offre opportunità di crescita al sistema bancario. L'ampia possibilità di accesso al credito richiede che le famiglie abbiano piena consapevolezza degli effetti dell'evoluzione dei tassi di interesse sugli impegni assunti.

L'industria bancaria italiana

Un sistema finanziario stabile, efficiente, concorrenziale conferisce sicurezza e valore al risparmio ad esso affidato. Accresce le potenzialità di sviluppo del Paese.

La quota del valore aggiunto totale riconducibile al settore dei servizi di intermediazione monetaria e finanziaria è pari al 5,5%, in linea con quella dell'area dell'euro. Nel comparto trovano occupazione quasi

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1402 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

600.000 persone, il 3,2% dei lavoratori dipendenti; circa 340.000 fanno capo al settore bancario.

Il ruolo fondamentale del sistema bancario sta nella capacità di sovvenire alle esigenze del settore produttivo, di sostenerlo nelle fasi congiunturali avverse, di accompagnarlo in quelle di espansione e nella crescita.

Dalla metà degli anni novanta il sistema italiano ha realizzato un processo di concentrazione di vasta portata; è aumentata la redditività in connessione con l'ampliamento della gamma dei prodotti e dei servizi, l'abbassamento dei costi operativi, il contenimento dei rischi, l'ingresso in mercati in forte sviluppo.

Sono stati conseguiti significativi guadagni di produttività. I fondi intermediati e il valore aggiunto per addetto, valutati a prezzi costanti, tra il 1995 e il 2004 sono aumentati in media del 4,6 e del 2,4% all'anno.

Le banche erano 994 alla fine del 1994. La quota delle attività complessive riconducibile ai primi cinque gruppi era pari al 33%.

Per impulso della Vigilanza e sotto la pressione crescente della concorrenza, il processo di concentrazione attraverso fusioni e acquisizioni nel corso degli ultimi dieci anni è risultato particolarmente intenso, anche nel confronto con gli altri paesi dell'Unione europea e con tutti i maggiori paesi industriali. Le oltre 450 aggregazioni hanno avuto per oggetto banche rappresentative del 42% del complesso dei fondi intermediati. Nel decennio hanno avviato l'esercizio dell'attività bancaria 231 intermediari.

Alla fine dello scorso anno le banche erano 778. La quota di mercato dei primi cinque gruppi è salita al 51%, in linea con la media europea.

Sono insediate nel nostro Paese 60 filiali e 15 filiazioni di operatori finanziari esteri, alle quali fa complessivamente capo circa l'8% delle attività del sistema bancario. Esse detengono quote molto più elevate nelle transazioni interbancarie, nelle negoziazioni di titoli sui mercati

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14034/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

all'ingrosso, nella gestione di patrimoni mobiliari, nei servizi di finanza aziendale. Nel credito al consumo la quota di mercato riconducibile a operatori esteri è di circa un quarto.

Dal 2000 al 2004 banche estere hanno curato il collocamento sull'euromercato di oltre il 70% del valore delle 212 emissioni di titoli effettuate da società non finanziarie italiane.

Il sistema bancario italiano ha accresciuto la presenza oltre i confini nazionali. Sono insediati all'estero 25 gruppi, con 150 tra filiali e filiazioni. L'espansione è significativa in paesi che hanno di recente aderito all'Unione europea e in quelli candidati a una prossima adesione; in alcuni paesi sono state acquisite quote di mercato rilevanti, in competizione con altre importanti banche europee.

La riorganizzazione del sistema si è realizzata unitamente a un deciso aumento della concorrenza.

Lavori econometrici condotti in Banca d'Italia indicano che i guadagni di efficienza realizzati dalle banche in seguito alle concentrazioni si sono in gran parte tradotti in tassi di interesse più favorevoli alle famiglie e alle imprese.

La diffusione delle banche sul territorio è andata accrescendosi sia nel Centro Nord sia nel Mezzogiorno; la clientela può scegliere tra un ampio ventaglio di offerte.

Dall'entrata in vigore, nel 1990, della legge a tutela della concorrenza, la Banca d'Italia ha esaminato circa 750 fattispecie riguardanti operazioni di riorganizzazione e di concentrazione; in 23 casi sono state condotte istruttorie spesso concluse con l'imposizione di misure volte a impedire la formazione di posizioni pregiudizievoli per la concorrenza. Sono state inoltre effettuate istruttorie relative a 28 intese potenzialmente anticompetitive e a 5 casi di abuso di posizione dominante.

Sono stati esaminati accordi in materia di prezzi, ripartizione dei mercati, scambio di informazioni, schemi contrattuali uniformi; è rilevante, in particolare, l'impegno nell'analisi delle condizioni di offerta dei servizi di pagamento.

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1404 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Tutte le decisioni sono state assunte tenendo conto dei prescritti pareri e in costante e proficua collaborazione con l'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

I progressi del sistema bancario italiano sui fronti dell'efficienza e dell'adeguatezza patrimoniale sono riconosciuti dai principali organismi internazionali.

Le più recenti revisioni dei giudizi sul merito di credito assegnati dalle agenzie di rating ai principali gruppi bancari sono state al rialzo.

Nel triennio 2002-04 sono migliorate le valutazioni formulate dalla Vigilanza sulla base delle situazioni contabili delle banche. Nello stesso periodo sono state disposte ispezioni sull'intero assetto aziendale presso 541 banche, che rappresentano il 52% dei fondi intermediati dal sistema, una quota analoga a quella facente capo alle 518 banche ispezionate nel triennio precedente. Le valutazioni sfavorevoli si sono ridotte dal 23 al 16% del totale; riguardano intermediari con attività pari all'1,5% di quelle del sistema. Nel triennio 2002-04 sono stati altresì condotti accertamenti su singole aree operative in altre 16 banche con fondi intermediati pari al 10% di quelli complessivi. Rilievi sfavorevoli sono stati espressi nei confronti di cinque intermediari.

Nella prima metà degli anni ottanta le banche avevano assecondato la ricomposizione della ricchezza finanziaria delle famiglie dai depositi ai titoli di Stato. Negli anni recenti, mentre cresceva il ricorso delle imprese al finanziamento diretto sui mercati, gli intermediari hanno esteso la loro attività nel collocamento e nella negoziazione di titoli, anche per corrispondere alla richiesta della clientela di acquisire valori mobiliari con rendimento relativamente elevato.

Le procedure degli intermediari per l'individuazione e la gestione dei conflitti di interesse nonché il rispetto degli obblighi informativi e di trasparenza previsti a carico degli stessi intermediari dalla disciplina sui servizi di investimento sono risultati in più casi inadeguati.

Le banche debbono informare correttamente e consigliare accortamente i risparmiatori; valutare la rispondenza dei prodotti offerti alle esigenze e alle disponibilità finanziarie dichiarate dagli investitori.

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14054/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Spetta al cliente la scelta della combinazione più appropriata fra rendimento e rischio dell'investimento.

Occorrono ulteriori, incisivi interventi da parte delle banche per migliorare la qualità dei servizi offerti, contenere i costi e la misura delle commissioni praticate sui servizi al dettaglio.

È stata avviata, in collaborazione con l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, una indagine sui costi di chiusura dei rapporti bancari, al fine di valutare se gli intermediari abbiano tenuto comportamenti che limitino la mobilità della clientela.

Il rispetto della normativa relativa alla trasparenza dei servizi bancari viene verificato dalle Filiali dell'Istituto presso i singoli sportelli. Nel triennio 2002-04 sono stati condotti riscontri presso 2.536 dipendenze appartenenti a 224 banche: 109 banche sono state richiamate per rimuovere anomalie accertate, a 23 sono state comminate sanzioni.

È essenziale che le banche attribuiscano valore strategico al miglioramento delle relazioni con i clienti. Il consolidamento della fiducia nella correttezza dei comportamenti degli intermediari contribuisce alla continuità dei rapporti, previene il contenzioso, limita i rischi di natura reputazionale.

È in corso di definizione nel Parlamento, dopo ampio approfondimento, la nuova disciplina sul risparmio.

La proprietà delle banche

La quota delle attività facente capo a istituti di proprietà pubblica è scesa, a far tempo dal 1992, dal 70 al 9%.

Il sistema bancario italiano si caratterizza per l'ampia presenza degli intermediari nel listino di borsa. Sono quotati istituti ai quali è riconducibile il 77% dei fondi intermediati dal sistema. Negli altri principali paesi dell'Europa continentale il peso delle banche quotate varia tra il 40 e il 50%.

Il processo di privatizzazione si è completato in pochi anni, nonostante lo scarso sviluppo di investitori istituzionali, quali i

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1406 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

fondi pensione, e, più in generale, la carenza di risorse disponibili per investimenti strategici nel capitale bancario. Le Fondazioni si sono impegnate per la costituzione di nuclei stabili di azionisti. Nel collocamento delle quote di capitale è stato garantito il rispetto della separatezza tra banca e industria.

Il contributo fornito da intermediari finanziari esteri alla formazione degli assetti proprietari di controllo è stato ampio e si è rafforzato nel corso del tempo. Banche e altri soggetti esteri detengono oggi una quota del capitale dei primi quattro gruppi bancari italiani pari in media al 16%. In Germania, in Francia e in Spagna la partecipazione di soggetti stranieri al capitale dei quattro principali gruppi nazionali è pari rispettivamente al 7, al 3 e al 2,6%.

Negli assetti proprietari delle principali banche europee è importante la presenza di investitori istituzionali e di società di assicurazione che per loro natura hanno orizzonti di investimento di lungo periodo. In Italia la quota di capitale dei primi quattro gruppi bancari posseduta da imprese di assicurazione, italiane ed estere, è limitata al 4,7%; è del 4,4 nei primi dieci gruppi.

L'auspicato sviluppo dei fondi pensione, in connessione con la riforma della previdenza pubblica, è di grande rilievo per il sistema finanziario italiano; potrà anche accrescere le risorse destinate al rafforzamento patrimoniale delle banche; ne risulterà una più ampia disponibilità di credito per l'economia.

L'acquisizione del controllo di una società può avvenire attraverso modalità diverse. Gli operatori scelgono quelle più appropriate, nel rispetto delle procedure previste dall'ordinamento per tutelare i numerosi interessi, pubblici e privati, coinvolti nelle operazioni.

L'ordinamento italiano, come altri in Europa, disciplina i casi in cui, trattandosi di società con azioni quotate, il superamento di una determinata soglia comporta l'obbligo di promuovere una offerta pubblica di acquisto.

La decisione degli azionisti in merito all'adesione all'offerta può riflettere l'intento di realizzare guadagni di breve periodo o piuttosto la volontà di condividere la formulazione e il vaglio delle strategie aziendali.

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14074/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

In considerazione della peculiarità dell'attività bancaria, gli ordinamenti dei paesi sviluppati prevedono una specifica disciplina del trasferimento della proprietà degli intermediari.

In Italia, in conformità con le direttive comunitarie, la normativa vigente mira a salvaguardare la sana e prudente gestione degli intermediari. Chi intende acquisire il controllo o comunque partecipazioni di rilievo nel capitale delle banche deve adempiere puntuali obblighi informativi e ottenere le necessarie autorizzazioni.

I criteri e le procedure su cui si basano le valutazioni di vigilanza tengono conto delle modalità proposte per le acquisizioni. Sono neutrali rispetto alla nazionalità degli intermediari interessati.

Nel caso in cui il soggetto che intende assumere la partecipazione sia una banca dell'Unione europea, la legislazione comunitaria prevede una consultazione preventiva con l'Autorità di vigilanza del paese in cui la banca ha sede. Quando ne ricorrano i presupposti, l'operazione è sottoposta all'approvazione della Commissione europea per gli aspetti relativi alla tutela della concorrenza.

L'analisi, da parte della Banca d'Italia, delle istanze di autorizzazione tiene conto delle condizioni dei soggetti richiedenti e del progetto a cui è finalizzata l'acquisizione, della situazione aziendale della banca oggetto dell'operazione.

Se l'acquirente è una banca italiana, vengono esaminate l'adeguatezza e la realizzabilità dei piani di reperimento delle necessarie risorse patrimoniali, ai fini del rispetto della normativa prudenziale. I tempi per il rilascio dell'autorizzazione variano anche in funzione della rilevanza della partecipazione da acquisire e della disponibilità delle informazioni sulla situazione patrimoniale e finanziaria del richiedente.

L'indipendenza nell'esercizio della funzione di vigilanza e la trasparenza con cui la Banca d'Italia rende pubblici princìpi e criteri dell'attività di controllo trovano costante riconoscimento da parte delle istituzioni internazionali.

Le informazioni relative a profili di vigilanza sono tutelate dal segreto d'ufficio. Deroghe sono possibili, nei casi tassativamente stabiliti.

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1408 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Il ruolo delle banche

Il rendimento del capitale e delle riserve del sistema bancario si è collocato, come ricordato, al 10,7% nel 2004; gli utili sono ammontati a 11 miliardi di euro. I ricavi sono rimasti sostanzialmente stabili rispetto all'anno precedente; si sono ulteriormente ridotti i costi operativi; sono diminuite le rettifiche di valore sui crediti.

Informazioni preliminari mostrano che i risultati conseguiti nei primi tre mesi di quest'anno sono in linea con quelli registrati nel 2004.

Il miglioramento della redditività ha contribuito a rafforzare la dotazione patrimoniale del sistema bancario. Il patrimonio di vigilanza del sistema ha raggiunto 149 miliardi; in rapporto alle attività rischiose si attesta all'11,6%; era pari al 10,1 nel 2000. Il divario rispetto alla media delle banche europee, ridottosi nel corso degli ultimi anni, si colloca intorno all'1%.

Il ricorso al credito bancario rimane fondamentale per il sistema produttivo italiano, anche per l'ancora limitato sviluppo del mercato dei capitali. Per le piccole e medie imprese, che costituiscono la parte preponderante del nostro sistema industriale, il credito bancario rappresenta circa il 70% dei finanziamenti esterni.

Alcuni dei maggiori gruppi creditizi hanno costituito banche dedicate al finanziamento delle imprese, soprattutto di quelle piccole e medie. Si sono rafforzati gli intermediari che operano su scala provinciale o regionale.

In pochi anni sono diventate operative tutte le tipologie di fondi di investimento previste dal Testo unico della finanza. Ma stenta a emergere la domanda di servizi innovativi di finanza aziendale.

La nostra economia sta attraversando una fase di difficoltà di crescita particolarmente acuta. La perdita di competitività del settore industriale ha carattere essenzialmente strutturale. Imprese in difficoltà rischiano di essere escluse dal mercato. Aumenta il ricorso alla Cassa integrazione guadagni, ristagna l'occupazione.

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14094/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

È fondamentale in questa difficile fase di transizione della nostra economia il sostegno del settore creditizio. Vanno assecondati le nuove iniziative nei settori a tecnologia avanzata, gli investimenti in ricerca e sviluppo.

Il sistema creditizio deve promuovere l'apertura del capitale delle aziende a operatori idonei ad aumentare e riorientare la capacità produttiva. Deve favorire la crescita dimensionale delle imprese, assisterle nella necessaria attività di espansione all'estero al fine di difendere e riconquistare quote nel mercato internazionale.

Signori Partecipanti, Autorità, Signore, Signori,

negli Stati Uniti nel primo trimestre di quest'anno l'incremento su base annua del prodotto è stato del 3,5%. Sono ancora aumentate la produttività e l'occupazione.

Le previsioni indicano per il 2005 e per il 2006 una crescita in linea con quella del prodotto potenziale, valutata nell'ordine del 3,5% annuo.

L'aumento dei tassi di interesse messo in atto dalla Riserva federale rallenterà l'espansione della massa monetaria; volto a contenere le aspettative di inflazione, non ha influito negativamente sui tassi a medio e lungo termine; questi rimangono in tutti i principali mercati su livelli moderati, favorendo gli investimenti e la domanda per consumi.

L'espansione dell'economia statunitense si rifletterà positivamente sulle altre economie avanzate e su quelle emergenti.

In Giappone l'aumento del prodotto nel 2005 dovrebbe aggirarsi sull'1,5%; dovrebbe risultare più alto nel 2006. Continua rapida l'espansione dei paesi di recente industrializzazione dell'Asia.

Lo sviluppo del commercio mondiale di beni e servizi nell'anno in corso sarà dell'ordine del 7%.

Nell'area dell'euro la crescita sarà inferiore a quella dell'anno 2004; rimarrà nettamente al di sotto dello sviluppo del reddito potenziale, valutato nel 2%.

Incombe sull'Europa un rallentamento della crescita della popolazione. L'invecchiamento agisce sulla capacità di innovare, frena la

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1410 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

crescita della domanda per consumi e per investimenti; ne discenderà una lievitazione dei costi della sanità, dell'assistenza, dei sistemi pensionistici.

Si impongono riforme che tendano ad allungare la vita attiva e a razionalizzare l'assetto dei sistemi sanitari.

Politiche fiscali e servizi volti a sollevare le condizioni delle famiglie meno agiate e a favorire la natalità e l'istruzione sono indispensabili, in una prospettiva di medio termine, per impedire un ripiegamento dello sviluppo economico e sociale. È inevitabile un aumento dei flussi di immigrati; sono necessarie politiche dirette a regolare gli ingressi, da un lato, a favorire l'integrazione, dall'altro.

Rispetto all'anno 2000, la produzione industriale è calata in Italia di oltre cinque punti percentuali; negli altri paesi dell'area dell'euro è aumentata di quattro punti.

Il divario si è fatto evidente dalla metà del 2003 allorché, a fronte della ripresa in Francia e in Germania, in Italia l'attività ha iniziato una diminuzione, che si è accentuata nella seconda metà dello scorso anno. Nel primo quadrimestre di quest'anno la produzione industriale risulta inferiore del 2,7% rispetto al corrispondente periodo del 2004.

Pesa sul settore manifatturiero la progressiva perdita di competitività, essenzialmente dovuta al mancato sviluppo della produttività. Il calo della produzione si riflette anche sul settore dei servizi.

Nonostante il forte aumento del commercio mondiale le nostre vendite all'estero rimarranno, quest'anno, sui livelli del 2004. In cinque anni, dal 2000, le quantità esportate non hanno segnato alcuna crescita.

Dall'indagine annuale effettuata dalla Banca sulle intenzioni di spesa delle imprese dell'industria e dei servizi con 20 o più addetti risulta, per il 2005, una aspettativa di diminuzione degli investimenti, in quantità, del 3,6%. Nel settore terziario al calo del 5% del 2004 seguirebbe quest'anno una ulteriore diminuzione.

Gli investimenti in opere pubbliche sono rimasti nei primi mesi del 2005 sui livelli di un anno prima. Non si è ancora realizzata

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14114/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

l'intensificazione dell'attività attesa in conseguenza delle innovazioni legislative e dell'aumento delle gare di appalto; oltre a difficoltà nei processi decisionali, le imprese segnalano una carenza di erogazione di fondi.

I consumi crescerebbero, in linea con gli anni precedenti, intorno all'1%.

Tende ad arrestarsi l'aumento dell'occupazione.

Per i l prodotto interno lordo l'aumento nel 2005 sarà sostanzialmente nullo.

Una lieve ripresa nella seconda metà dell'anno, favorita da interventi di politica economica, permetterà di tornare alla crescita nel 2006.

L'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche nel 2005, sulla base degli andamenti in atto, sarà dell'ordine del 4% del prodotto, a fronte del 2,7 a suo tempo previsto nella Relazione previsionale e programmatica, basato su una ipotesi di crescita del prodotto interno lordo del 2%.

L'economia italiana presenta aspetti di criticità che potrebbero comprometterne, se non superati, lo sviluppo nel medio termine.

La correzione della tendenza della spesa pubblica corrente, il riordino dell'imposizione fiscale sulle imprese e sul lavoro, una decisa lotta all'evasione, una riduzione significativa del peso del debito costituiscono la premessa per innalzare il tasso di sviluppo potenziale della nostra economia.

Sono necessarie, da parte delle imprese, iniziative che puntino alla crescita dimensionale, all'innovazione tecnologica, allo sviluppo di nuove produzioni.

Alle imprese devono dare sostegno la prospettiva di un quadro macroeconomico di stabilità e crescita e interventi specifici a livello settoriale. È necessario un aumento della concorrenza nell'industria e nel settore terziario.

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1412 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

È indispensabile una partecipazione delle forze sociali e del lavoro al rilancio dello sviluppo.

Il settore creditizio, grazie anche al suo rafforzamento, continuerà a fornire le necessarie risorse al settore produttivo.

L'espansione dei finanziamenti è stata intensa per le aziende piccole, soprattutto per quelle localizzate nel Mezzogiorno; sono state sostenute grandi imprese in difficoltà.

Nell'economia italiana, come e più che negli altri grandi paesi industriali, Stati Uniti, Francia, Germania, la diffusa presenza di aziende medie e piccole richiede, accanto agli istituti di maggiore dimensione, banche attente all'economia locale, non trascurando le opportunità offerte dalla globalizzazione.

Ma la finanza non può sostituirsi all'imprenditore nel perseguimento dell'innovazione, nella progettualità, nell'innalzamento della produttività.

Rimane bassa in Italia la dotazione di capitale pubblico. In molte regioni economicamente più progredite sono carenti le infrastrutture di base per i trasporti; nel Mezzogiorno sono insufficienti anche la fornitura di energia e la distribuzione delle risorse idriche.

È necessario colmare il ritardo nel passaggio alla fase esecutiva delle grandi opere legate alla legge obiettivo. Con il completamento della normativa sulla finanza di progetto può divenire ampio il coinvolgimento dei capitali privati. L'impegno degli enti pubblici, anche regionali e locali, può consentire un aumento degli investimenti nel 2006 e nel 2007.

Adeguate e moderne infrastrutture sono indispensabili per lo sviluppo del settore del turismo, nel quale il nostro Paese, per l'eccezionale dotazione di beni culturali e ambientali, gode di un vantaggio comparato. Nel Mezzogiorno l'industria turistica è molto al di sotto delle risorse potenziali.

Ulteriori liberalizzazioni e modernizzazioni nel settore terziario contribuiranno ad accrescere la produttività e l'occupazione. Sono quantitativamente poco sviluppati, anche per carenza di domanda,

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DOCUMENTI

14134/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

i servizi più avanzati per le imprese. Occorre progredire nella riorganizzazione della funzione pubblica.

Grazie ai bassi tassi di interesse e ai cospicui finanziamenti a medio e a lungo termine, la domanda interna è stata sostenuta, negli ultimi quattro anni, dagli investimenti in costruzioni.

La difficoltà a esportare e la flessione degli investimenti produttivi frenano congiunturalmente la domanda. L'incremento del prodotto interno lordo rimane di molto inferiore al pur modesto tasso di crescita del potenziale produttivo.

È necessario che nei grandi complessi urbani l'attività di progettazione e gli investimenti infrastrutturali ravvivino, prontamente, la domanda. Uno stimolo all'investimento privato può derivare dai provvedimenti in favore della competitività.

L'Italia ha saputo affrontare e superare periodi difficili nella sua storia, anche recente, grazie all'impegno dell'Amministrazione pubblica e delle Istituzioni, alle iniziative della classe imprenditoriale, alla convinta collaborazione delle forze sociali.

Il cattivo andamento dell'economia influisce negativamente sugli atteggiamenti dei cittadini nei confronti delle istituzioni, dei governanti, dei loro progetti.

I recenti orientamenti politici di importanti paesi dell'Unione europea devono rafforzare l'impegno per una più sostenuta crescita economica del Continente nel quale ci sentiamo integrati per le comuni radici culturali e civili.

È necessario dare basi di legittimazione democratica e di rappresentanza alle istituzioni europee, applicare pienamente il principio di sussidiarietà che i Padri fondatori vollero alla base del Trattato di Roma. Più che una intensificazione delle regole, va ricercata, in un contesto unitario, la valorizzazione delle diversità e delle genialità proprie delle singole nazioni ed economie.

È necessario ritrovare la fiducia. La Politica, le Istituzioni, gli imprenditori che sono aperti al futuro, le parti sociali debbono

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DOCUMENTI

1414 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

reagire, convergere su obiettivi realistici di interesse generale, operare fattivamente per riprendere, in un contesto economico internazionale che rimane essenzialmente favorevole, la via dello sviluppo economico e civile.

A cura del Gen. C.A. (aus.) Prof. Gaetano Nanula

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14154/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Quando è ammissibile la produzione di nuovi documenti nel giudizio di appello

Non si può parlare di introduzione di motivi aggiunti né si può configurare di conseguenza una nuova "causa petendi" si da poter dichiarare inammissibile il ricorso di un contribuente professionista che, al fine di provare l'assenza dei presupposti impositivi dell'Irap, a seguito di ordinanza del giudice basata su analoga richiesta dell'Ufficio, abbia prodotto documentazione ritenuta utile e necessaria per la decisione della vertenza. In tal caso, infatti, è da ritenere che si possa configurare una palese accettazione del principio del contraddittorio in punto di merito, talché la materia del contendere deve ritenersi legittimamente estesa al merito.Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna - Sez. staccata di Parma - Sez. 34, sentenza n. 33 del 17 febbraio 2004, dep. il 20 aprile 2004, Pres. Ioffredi, Rel. Volpe.

La sentenza in epigrafe merita di essere segnalata non tanto per il giudizio espresso circa il merito della vertenza quanto soprattutto per le motivazioni in essa contenute in ordine alla possibilità di produrre documenti giustificativi dell'attività professionale svolta dal contribuente con il conseguente disconoscimento della pretesa "introduzione di motivi aggiunti" e della presunta configurazione di una "nuova causa petendi".

Per meglio comprendere i termini della questione vale la pena ricordare che in sede di trattazione del ricorso presentato da un professionista (geometra) avverso il silenzio rifiuto dell'Amministrazione finanziaria sull'istanza di rimborso dell'Irap per l'anno 1998, in quanto ritenuta non dovuta per contrasto del D.L.vo 446/1997, istitutivo di detto tributo, con gli artt. 3, 23, 76 e 77 della Costituzione, la Commissione tributaria provinciale competente, con ordinanza del 4 dicembre

Note a sentenze

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NOTE A SENTENZE

1416 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

2000, aveva sospeso il giudizio in attesa della decisione della Corte Costituzionale interessata al riguardo.

A seguito della nota sentenza n. 156 del 21 maggio 2001 della Consulta, l'Ufficio delle Entrate aveva rappresentato alla Commissione provinciale la necessità che il ricorrente fornisse elementi probatori a supporto della sua conclamata mancanza dei presupposti dell'Irap ed in particolare il quadro RE della denuncia dei redditi dell'interessato, ragion per cui il contribuente aveva subito provveduto alla produzione di alcuni documenti quali il quadro E del Modello Unico 1999 relativo ai redditi conseguiti nel 1998 e il registro dei cespiti, attestante la consistenza dei beni strumentali e, contestualmente, aveva sostenuto l'assenza di dipendenti e collaboratori, nonché lo svolgimento della propria attività in uno studio di proprietà.

Orbene, nel decidere sul ricorso del professionista, i giudici di prime cure hanno ritenuto inammissibile l'impugnativa perché, a loro giudizio, il ricorrente avrebbe introdotto "motivi aggiunti" non proposti nell'atto introduttivo e perciò, come tali, capaci di configurare una nuova "causa petendi".

Siffatta decisione, però, è stata ritenuta "non condivisibile" dai giudici di appello con la sentenza in commento, nella considerazione che, con l'ordinanza di sospensione emessa in precedenza dalla stessa Commissione provinciale al fine di acquisire documenti giustificativi dell'attività svolta dal professionista e, con questi, integrare i motivi del ricorso, tenuto anche conto dell'analoga richiesta avanzata dall'Ufficio, in buona sostanza si è venuta a realizzare un'evidente "accettazione del contraddittorio", con conseguente legittima estensione della materia del contendere al merito della questione.

E, invero, la costituzione del contraddittorio ("audiatur et altera pars") è un principio fondamentale del nuovo processo tributario ai sensi dell'art. 111 della Costituzione per il quale "(...) ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti".

Detto principio esprime la garanzia di giustizia per cui nessuno può subire gli effetti di una sentenza senza aver avuto la possibilità di una effettiva partecipazione alla formazione del provvedimento giurisdizionale

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NOTE A SENTENZE

14174/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

e cioè di esporre al giudice le proprie ragioni così da poter influire sulla formazione del suo convincimento e della conseguente decisione.

Il contraddittorio, in definitiva, soddisfa esigenze di uguaglianza e giustizia sostanziale, e nel contempo si pone come valido strumento processuale volto a favorire, attraverso una concreta e reale collaborazione tra le parti in causa e il giudice deputato a dirimere la vertenza, l'accertamento della verità o quanto meno la così detta auspicata "giustezza" del risultato finale del processo.

È appena il caso di ricordare che l'art. 59 del D.L.vo 546/1992 contempla uno specifico caso di violazione del principio del contraddittorio prevedendo, alla lett. b) del primo comma, che la Commissione tributaria regionale rimette la causa alla Commissione provinciale che ha emesso la sentenza impugnata, "quando ricorre che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato".

Peraltro l'omissione del contraddittorio ha formato oggetto di frequenti diatribe anche quando esso è venuto a mancare tra contribuente ed ufficio finanziario impositivo e cioè nella fase amministrativa dell'accertamento tributario.

Basti ricordare che, ad esempio, con riguardo alla previsione di utilizzo ai fini fiscali dei dati bancari, attraverso la modalità presuntiva stabilita dall'art. 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. 600/1973 e dall'art. 51, comma 2, n. 2 del D.P.R. 633/1972, secondo un primo orientamento giurisprudenziale tale utilizzo implicava necessariamente per l'Amministrazione finanziaria l'obbligo di invitare il contribuente, al fine di esperire il contraddittorio sulle singole movimentazioni di conto, pena l'impossibilità di fondare l'accertamento esclusivamente sui dati bancari (ved. in tal senso sentenze delle Commissioni tributarie provinciali di Milano del 3 marzo 1997, di Varese del 13 marzo 1997, di Ravenna del 23 marzo 1998, di Firenze del 7 luglio 1998 e di Pesaro del 7 luglio 1999). In particolare secondo la Commissione tributaria provinciale di Milano (sent. del 5 ottobre 1998) "(...) quel contraddittorio è posto a presidio del contribuente e non può essere disatteso dall'ufficio; di talché l'inosservanza della procedura ivi prescritta non consente l'inversione

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NOTE A SENTENZE

1418 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

dell'onere della prova e rende l'avviso di accertamento atto di pretesa indebita, poiché non prevista".

Peraltro mette conto rilevare che in questi ultimi tempi sia il legislatore che l'Amministrazione si stanno muovendo nell'ottica dell'affermazione del principio del contraddittorio anche nel procedimento di accertamento con l'introduzione, analogamente a quanto previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, della comunicazione al contribuente dell'inizio dell'attività di verifica (ved. punto 3.1 della Circolare n. 64/E del 27 giugno 2001) e con l'introduzione di una nuova forma di contraddittorio obbligatorio per l'Amministrazione finanziaria, e senza effetti preclusivi per il contribuente, quale quella contemplata dall'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) che, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica da parte degli organi di controllo, offre al contribuente, nel rispetto del principio di cooperazione tra questi e il Fisco, la possibilità di "comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori" con conseguente preclusione per questi ultimi di emanare l'avviso di accertamento prima della scadenza di detto termine.

È da ricordare altresì che i documenti hanno una grande importanza per il diritto come mezzi di prova. Essi interessano dal punto di vista giuridico in quanto siano rappresentativi di fatti giuridicamente rilevanti e rientrano tra le c.d. "prove precostituite" in quanto si formano fuori del processo e in questo dovranno soltanto venire prodotti; ma per adempiere alla loro funzione probatoria devono essere messi a disposizione del giudice dalla parte che ha interesse alla sua assunzione.

Spetta poi al giudice provvedere all'ammissione della prova dappoiché essa deve potersi configurare come una delle prove previste dalla legge, deve essere proposta col rispetto delle norme che prescrivono talune forme e modalità di proposizione e non deve essere in contrasto con quelle altre norme che eventualmente pongono divieti e limitazioni a taluni mezzi di prova. Essa inoltre deve risultare utile nel senso che il fatto che si vuole provare deve essere rilevante, tale cioè che la dimostrazione della sua esistenza appaia influente per la decisione della causa.

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NOTE A SENTENZE

14194/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Essa perciò è esclusa solo se risulta formulata in modo tale da non poter dare alcun contributo alla dimostrazione del fatto.

La rilevanza di un fatto, agli effetti della prova, va dunque misurata non già in astratto ma in concreto, con riferimento all'azione effettivamente proposta nel processo, il che significa praticamente che possono formare oggetto di prova soltanto i fatti cui si può ricollegare un'efficacia costitutiva, estintiva o impeditiva nei confronti della domanda, e in tal senso si parla di prova diretta o quegli altri fatti dalla cui prova può ricavarsi la conoscenza di fatti aventi quell'efficacia, e in tal caso si parla di prova indiretta.

Circa l'inammissibilità di nuove domande va segnalato che in linea con le rigorose limitazioni poste dall'art. 345 del codice di procedura civile anche il D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 sul nuovo processo tributario all'art. 57 vieta la proposizione nel giudizio d'appello di domande ed eccezioni nuove che non siano rilevabili d'ufficio.

Si tenga presente al riguardo che secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale si intende per domanda nuova non ammissibile quella che viene ad alterare uno degli elementi costitutivi di essa, e cioè i soggetti, il "petitum" o la "causa petendi", inserendo nell'ambito del processo un nuovo tema d'indagine, mentre l'eccezione nuova si ha quando la parte si avvale di un mezzo per contrastare le domande della controparte che comporta un ampliamento dell'oggetto del giudizio, nel senso, cioè, che la nuova eccezione comporta un ampliamento del "thema decidendum" derivante dalla conoscenza da parte del giudice di fatti nuovi rispetto a quelli prospettati nel ricorso introduttivo.

Lo stesso D.L.vo 546/1992 al successivo art. 58 completa il divieto dello "ius novorum" nel giudizio d'appello stabilendo che il giudice d'appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile" e consentendo altresì la produzione di nuovi documenti in appello, con ciò stabilendo un chiaro temperamento in riferimento all'ostacolo derivante dalla impossibilità di produrre nuove prove in appello, specie ove si consideri che il processo tributario è essenzialmente un processo documentale per cui ammettere il deposito di nuovi documenti anche in secondo grado appare opportuno ed utile,

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NOTE A SENTENZE

1420 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

pure se non si può fare a meno di rilevare che siffatto temperamento appare essere in contraddizione proprio con il ricordato principio processual-civilistico, che si è voluto comunque affermare anche nel processo tributario, del divieto dell'introduzione di nuove prove in appello.

Ed è certamente carico della giurisprudenza considerare la latitudine di siffatta disposizione che consente comunque al giudice di disporre di nuove prove se le ritiene necessarie ai fini della decisione, tenendo ben presente, tuttavia, che la rilevanza del principio di disponibilità della prova non deve consentire al giudice di supplire all'inerzia della parte ammettendo che egli possa disporre nuove prove senza limiti, ma deve essere inteso nel senso dell'ammissione, appunto, di prove assolutamente necessarie.

Ora non v'è dubbio che la sentenza in commento è perfettamente in linea con le argomentazioni fin qui esposte in quanto correttamente i giudici della Commissione Regionale, contrariamente a quanto sostenuto in prima istanza, hanno riconosciuto l'ammissibilità dell'allegazione di nuovi documenti ritenuti utili e necessari ai fini della decisione.

A cura del Gen.B. (c.a.) Prof. Salvatore Gallo

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14214/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Regolamento Ce 111/2005 del Consiglio del 22 dicembre 2004.Norme per il controllo del commercio dei precursori di droghe tra la Comunità e i Paesi terzi (G.U. L 22 del 26 gennaio 2005).

I precursori di droghe sono sostanze che, pur destinati a finalità diverse, sono frequentemente utilizzate per la fabbricazione illecita di stupefacenti e sostanze psicotrope. A motivo di ciò, particolare attenzione è ad essi rivolta dalla Convenzione delle Nazioni Unite, adottata a Vienna il 19 dicembre 1988 - partecipata e conclusa dalla Comunità con specifica decisione del Consiglio (1) - in un contesto che contempera l'obiettivo di impedire la diversione delle sostanze nella disponibilità dei fabbricanti illegali con le esigenze commerciali dell'industria chimica e di altri settori (2).

Trattandosi di sostanze il cui commercio, in linea di principio, è lecito, s'impone un sistema di controllo degli scambi internazionali, un rafforzamento delle procedure doganali, un rigoroso monitoraggio del commercio di tali sostanze, una intensificazione dei poteri delle autorità competenti e della cooperazione amministrativa.

Il provvedimento in rassegna sviluppa e dispone i cennati orientamenti anche all'indirizzo delle sostanze non classificate (3), prevedendo definizioni puntuali, stabilendo un ampio quadro di regole in materia di

Norme della Comunità europea

(1) Cfr. Decisione 90/611/Cee in G.U. L 326 del 24 novembre 1990.

(2) Sono "sostanze classificate" (categoria 1 e 2) quelle indicate in apposito allegato, comprese miscele e prodotti naturali contenenti tali sostanze.

Sono "sostanze non classificate" quelle che, pur non comprese nell'allegato citato, è noto che sono utilizzate nella fabbricazione illecita di stupefacenti o di sostanze psicotrope.

(3) Tutte le importazioni, esportazioni o attività intermedie "(...) quelle intese a concludere la compravendita o la fornitura di sostanze classificate (...) anche senza che tali sostanze siano

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NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA

1422 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

controllo del commercio (4), di rilascio di autorizzazioni all'esportazione ed all'importazione, di possibilità di intervento da parte delle autorità competenti di ciascun Stato membro (5).

Le disposizioni considerate non pregiudicano "(...) i regimi speciali di altri settori (...)" con riferimento agli scambi commerciali tra la Comunità e i Paesi terzi.

Regolamento Ce 37/2005 della Commissione del 12 gennaio 2005.Controllo delle temperature nei mezzi di trasporto e nei locali di immagazzinamento e di conservazione degli alimenti surgelati destinati all'alimentazione umana (G.U. L 10 del 13 gennaio 2005).

La Direttiva 89/108/Cee del Consiglio del 21 dicembre 1988 (6), ha disposto il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di surgelamento degli alimenti destinati all'alimentazione umana, con ulteriori motivi di garanzia introdotti dalle prescrizioni della Direttiva 92/1/Cee della Commissione del 13 gennaio 1992 (7).

Il quadro normativo è stato rivisitato alla luce delle disposizioni del Comitato europeo di normalizzazione (CEN) che ha stabilito alcune norme - nel 1990 e nel 2001 - sugli strumenti di registrazione delle temperature dell'aria e sui termometri ai fini della loro uniforme applicazione.

introdotte nel territorio della Comunità (...)" devono essere documentate dagli operatori con documenti doganali e commerciali (quali dichiarazioni, fatture, manifesto di carico, documenti di trasporto (...) e le informazioni richieste devono essere seguite dall'espressione "Drug Precursors".

(4) Le esportazioni a destinazione di determinati Paesi devono essere precedute da una notificazione preventiva.

Le autorizzazioni, sia d'esportazione che d'importazione, non devono superare il periodo di 6 mesi dalla data di emissione.

(5) Qualora sussistano fondati motivi sulla reale destinazione illecita delle sostanze classificate, le autorità competenti possono procedere alla sospensione, revoca e divieto degli atti autorizzatori di riferimento. Gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari per consentire la raccolta d'informazioni su ordinativi ed operazioni riguardanti sostanze classificate, l'accesso ai locali professionali degli operatori per acquisire ogni utile elemento di prova su irregolarità compiute, come su diversioni effettuate o tentate.

(6) Cfr. G.U. L 40 dell'11 febbraio 1989.

(7) Cfr. G.U. L 34 dell'11 febbraio 1992.

(segue nota)

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NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA

14234/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

In conseguenza, i mezzi di trasporto ed i locali in questione devono essere dotati di adeguati strumenti di registrazione per la misurazione frequente, e ad intervalli regolari, della temperatura dell'aria in cui si trovano i prodotti surgelati.

È fatto obbligo agli operatori del settore di conservare la documentazione necessaria alla verifica della conformità degli strumenti di misurazione alle prescrizioni EN.

Le registrazioni delle temperature devono essere datate e conservate dagli operatori per almeno un anno.

Regolamento Ce 184/2005 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 gennaio 2005.Statistiche comunitarie inerenti alla bilancia dei pagamenti, agli scambi internazionali di servizi e agli investimenti diretti all'estero (G.U. L 35 dell'8 febbraio 2005).

L'esigenza di seguire l'evoluzione economica in ciascun Stato membro e nella Comunità, anche alla luce degli indirizzi di massima posti in materia di politiche economiche, non può prescindere dalla conoscenza delle relative informazioni statistiche riferibili alla "bilancia dei pagamenti, agli scambi internazionali di servizi, agli investimenti diretti all'estero".

Per le cennate finalità, in linea con le previsioni comuni adottate, gli Stati membri devono produrre, con sistematicità, alla Commissione (Eurostat) compiute ed adeguate informazioni statistiche relativamente alle aree definite, utilizzando "(...) tutte le fonti che essi ritengono pertinenti ed appropriate (...)" (8).

Più in dettaglio, i flussi d'informazione, garantiti da standard di qualità comuni, non realizzabili in misura sufficiente a livello di Stato

(8) I dati necessari richiesti possono essere rilevati presso registri di imprese gestiti da altre istituzioni pubbliche e presso altre basi di dati contenenti, in particolare, informazioni sulle posizioni ed operazioni sull'estero.

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NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA

1424 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

membro (9), devono riferirsi ad indicatori della bilancia dei pagamenti in euro, relative statistiche trimestrali, agli scambi internazionali di servizi, ai flussi d'investimenti diretti all'estero, a posizioni d'investimento diretti all'estero.

Dati riservati possono essere scambiati tra Eurostat e la BCE qualora la trasmissione sia resa necessaria dall'opportunità di garantire la coerenza tra i dati della bilancia dei pagamenti dell'Unione europea e quelli forniti dagli Stati membri che hanno adottato la moneta unica.

Regolamento del Parlamento Europeo (16^ edizione luglio 2004 - G.U. L 44 del 15 febbraio 2005).

Il Parlamento europeo è "(...) l'assemblea eletta a norma dei trattati, dell'Atto del 20 settembre 1976 (...) e delle legislazioni nazionali (...)".

Così apre il quadro normativo in rassegna che, articolate in XIII Titoli per 204 articoli e XVI Allegati, regolamenta il funzionamento, le attribuzioni, i poteri, le procedure, le relazioni, le competenze degli organi e delle posizioni istituzionali all'interno del Consesso europeo.

Sottolineata la condizione di assoluta indipendenza dei deputati europei, vengono in evidenza - sul piano soggettivo - le norme in materia di privilegi ed immunità e di comportamento (queste ultime specificate in apposito allegato) (10).

(9) La difficoltà di creare norme di qualità statistica comuni per la produzione di dati comparabili nei settori considerati ha promosso, in base al principio di sussidiarietà, l'intervento "centrale" della Comunità che è intervenuta osservando il principio di proporzionalità. Il principio di sussidiarietà viene attuato e dispiega i suoi effetti "(...) soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri".

Per le materie che non rientrano nella competenza esclusiva della Comunità europea e presuppone, oltre alla dimensione europea dell'intervento, la presunzione d'insufficienza degli Stati membri unita alla presunzione di esigenza dell'azione comunitaria per la migliore soluzione del tema all'attenzione.

(10) I deputati europei sono, fra l'altro, tenuti a dichiarare "i sostegni tanto finanziari, quanto in personale e in materiale, che si aggiungono ai mezzi forniti dal Parlamento (...)". Analoga dichiarazione concernente attività professionali, funzioni o attività esercitate retribuite è richiesta agli assistenti accreditati dai deputati.

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NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA

14254/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Ampia parte è riservata alle disposizioni relative alle procedure legislative (11) e di bilancio, alle altre procedure previste (di parere, rivolte al dialogo sociale, alla verifica di accordi volontari), alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (informazioni, consultazioni, raccomandazioni), alla formazione, attribuzioni e funzionamento delle Commissioni (permanenti, temporanee, d'inchiesta) (12).

Le attività del Parlamento devono essere svolte in assoluta trasparenza (13), attraverso discussioni e riunioni, di norma, pubbliche. Un terzo dei componenti riunito in aula costituisce il numero legale del Parlamento che "(...) è sempre in numero per deliberare, per discutere il suo ordine del giorno e per approvare il processo verbale".

Le votazioni - normalmente per alzata di mano (14) - sono valide qualunque sia il numero dei votanti salvo che, su richiesta preventiva, non si constati l'assenza del numero legale. Di rilievo nel contesto considerato la figura del "mediatore" che, nominato dal Parlamento all'inizio e per la durata della legislatura (15), oltre a ricevere direttamente o tramite un deputato denunce, può agire anche di propria iniziativa in presenza di casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni e degli organi comunitari (fatta eccezione per la Corte di Giustizia e per il Tribunale di primo grado nell'esercizio delle loro funzioni giurisdizionali).

(11) Il Parlamento concorre con la Commissione ed il Consiglio alla definizione della programmazione legislativa dell'Unione europea.

(12) Le Commissioni d'inchiesta rivolgono la loro attenzione alle denunce d'infrazione o di cattiva amministrazione nell'applicazione del diritto comunitario ascrivibili alla responsabilità di un'istituzione od organo delle Comunità europee, ad una amministrazione pubblica di uno Stato membro o a persone incaricate, per la loro funzione, di applicare il diritto comunitario.

(13) Qualsiasi persona, fisica o giuridica, residente o avente la sede sociale in uno Stato membro, può esercitare il diritto di accesso ai documenti del Parlamento, cioè "(...) a qualsiasi contenuto informativo (...) che sia stato elaborato o ricevuto dai titolari di cariche del Parlamento, dalle commissioni o delegazioni interparlamentari o dal Segretariato del Parlamento". I documenti sono accessibili direttamente (esiste apposito elenco) o su richiesta scritta.

(14) La votazione può essere effettuata, altresì, per appello nominale (a seguito di richiesta scritta da parte di gruppo politico o almeno 37 deputati), col sistema elettronico (nei casi previsti), a scrutinio segreto per le nomine ovvero nel caso di preventiva richiesta scritta da parte di un quinto dei deputati che compongono il Parlamento.

(15) Il mediatore è scelto tra personalità che siano cittadini dell'Unione "(...) e offrano tutte le garanzie di indipendenza e di competenza richieste".

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NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA

1426 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Le denunce presentate al mediatore non interrompono i termini per i ricorsi nei procedimenti giurisdizionali o amministrativi.

Regolamento Ce 331/2005 della Commissione del 25 febbraio 2005.Fissazione dell'aiuto di cui al Regolamento Ce 1225/1999 del Consiglio per l'ammasso privato di burro e crema di latte in deroga al Regolamento Ce 2771/1999 (G.U. L 53 del 26 febbraio 2005).

La fissazione dell'importo dell'aiuto è stabilita in ragione delle spese di ammasso e dell'andamento prevedibile dei prezzi del burro fresco e del burro immagazzinato.

Le spese di ammasso risentono, in particolare, delle spese giornaliere di deposito in magazzini frigoriferi e delle spese finanziarie dell'ammasso.

Sulla base dei parametri d'ordine generale indicati e della prevedibile situazione di mercato, per tutti i contratti conclusi nel 2005, l'aiuto previsto è stato fissato in 17,92 Eur per tonnellata di burro o equivalente in ragione delle spese fisse di ammasso e 0,33 Eur per giorno di ammasso contrattuale per le spese di deposito in magazzini frigoriferi, aumentato di un importo per giorno di ammasso contrattuale calcolato sulla base del 90% del prezzo d'intervento del burro in vigore il giorno d'inizio dell'ammasso e di un tasso d'interesse annuo del 2,25%.

Per i contratti conclusi e ricevuti dall'organismo d'intervento anteriormente al 1° luglio 2005, l'aiuto è stato posto a 102,60 Eur. Per operare le dovute differenziazioni, l'organismo d'intervento annota la data di ricevuta delle domande, i quantitativi corrispondenti, le date di fabbricazione ed il luogo in cui le partite di burro sono immagazzinate.

Regolamento Ce 349/2005 della Commissione del 28 febbraio 2005.Norme sul finanziamento comunitario degli interventi urgenti e della lotta contro certe malattie animali ai sensi della decisione 90/424/Cee del Consiglio (G.U. L 55 del 1° marzo 2005).

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NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA

14274/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

La decisione richiamata prevede che gli Stati membri possano

beneficiare di partecipazioni finanziarie della Comunità per l'eradicazione

di talune malattie animali con l'osservanza delle regole introdotte per

l'individuazione delle spese ammissibili e, soprattutto, a garanzia di una

gestione sana, equilibrata e trasparente.

Corrispondono a siffatta prospettiva le definizioni di recente

formazione (16), la specificazione delle spese ammissibili nel settore (17),

le condizioni stabilite per i versamenti dei contributi finanziari e le relative

conseguenze per il mancato o tardivo rispetto dei termini fissati che

vengono ad incidere sulla entità del contributo in forma di riduzione delle

spese ammissibili (fino al 5%), come dello stesso contributo (a partire dal

25% e, per aliquote progressive del 50%, 75%, fino al 100%), sia per

l'abbattimento degli animali, sia per la distruzione delle uova.

I valori massimi ammissibili a titolo d'indennità per capo abbattuto

vanno da 900 Eur per bovino, a 125 Eur per suino, a 100 Eur per ovino o

caprino; 2,20 Eur rappresentano il valore unitario per gallina ovaiola e 1,20

Eur è fissato per gallina da carne, 0,20 Eur per uovo da coca, 0,40 Eur per

uovo da consumo diretto.

(16) Viene definito "indennizzo rapido ed adeguato" il versamento, entro 90 giorni dall'abbattimento degli animali, di una indennità corrispondente al prezzo di mercato.

Il "prezzo di mercato" costituisce il prezzo che il proprietario avrebbe potuto ottenere in condizioni normali per l'animale, immediatamente prima della sua contaminazione o dell'abbattimento, tenuto conto della idoneità, della qualità e dell'età.

Sono indicate come "ragionevoli" le spese sostenute per l'acquisto di attrezzature o servizi a prezzi non sproporzionati rispetto al prezzo di mercato in vigore prima dell'accertamento della malattia. Le spese necessarie, sostenute per l'acquisto di attrezzature o servizi, sono quelle che si pongono, per la loro natura dimostrata, in rapporto diretto con le spese ammissibili.

(17) Gli Stati membri beneficiano di una partecipazione finanziaria della Comunità (al riguardo, interviene la Sezione Garanzia del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia) per l'indennizzo rapido ed adeguato dei proprietari costretti a procedere all'abbattimento obbligatorio di loro animali ovvero alla distruzione obbligatoria delle uova, per le spese operative pagate e connesse ai provvedimenti obbligatori di abbattimento e distruzione ovvero relativi ad altri provvedimenti. L'abbattimento obbligatorio viene disposto nei focolai dichiarati, mentre abbattimenti preventivi vengono ordinati (o eseguiti) sulla base di rischi sanitari specifici (per contatti, vicinanza, sospetto, vaccinazione soppressiva).

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NORME DELLA COMUNITÀ EUROPEA

1428 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

La partecipazione finanziaria della Comunità si riferisce, in sostanza, alle spese necessarie e ragionevoli ammissibili e non comprende l'Iva ed eventuali altre tasse, le retribuzioni dei dipendenti, le spese per l'impiego di beni pubblici, gli indennizzi per abbattimenti non obbligatori o cumulati con altri sostegni comunitari o connessi alla distruzione o rinnovo degli edifici di produzione, a perdite economiche o a disoccupazione correlata alla presenza della malattia o al divieto di ripopolamento.

Il contributo finanziario viene versato in base ad una domanda ufficiale di rimborso, corredata dai documenti giustificativi prescritti, da una relazione epidemiologica per ogni azienda interessata, dai risultati dei controlli eseguiti, documentali e in loco (18).

(18) I controlli documentali attengono alla "(...) verifica della coerenza dei fascicoli contabili

per quanto riguarda i prezzi, il numero, l'età ed il peso degli animali, data di deposizione delle uova,

fatture recenti, registri delle aziende zootecniche, bollette di carico e di trasporto".

A cura del Gen. B. (aus.) Dott. Francesco Sciarretta

Page 305: Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

14294/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Iva - Detrazioni d'imposta - Modifica legislativa - Contrasto a costruzioni finanziarie che riducano l'onere Iva - Retroattività della legge modificativa - Avviso agli operatori dell'effetto retroattivo - Violazione del principio del legittimo affidamento e della certezza del diritto - Insussistenza.

I princìpi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto non ostano a che uno Stato membro, eccezionalmente e allo scopo di evitare che siano utilizzati su larga scala, durante il procedimento legislativo, costruzioni finanziarie destinate a ridurre l'onere dell'Iva contro le quali una legge di modifica intende appunto lottare, dia a questa legge un effetto retroattivo, quando, nelle circostanze come quella della causa principale, gli operatori economici che effettuano operazioni economiche come quelle considerate dalla legge siano stati avvertiti della futura adozione di detta legge e dell'effetto retroattivo previsto, in modo tale che essi siano in grado di comprendere le conseguenze della modifica legislativa prevista per le operazioni da loro effettuate.

Corte di Giustizia Ue, Grande Sezione, Sent. 26 aprile 2005, causa C-376/02.

Iva - Soggetti passivi - Acquisto di un edificio destinato ad abitazione per la famiglia - Esercizio di attività economica - Utilizzo di uno dei locali ad uso ufficio - Detrazione ex art. 17 della VI direttiva Cee - Ammissibilità - Acquisto effettuato da una comunione legale tra coniugi - Detrazione in capo al coniuge soggetto passivo d'imposta - Limite - Quota di com-proprietà del bene - Configurabilità.

La VI direttiva Cee, tanto nel suo testo iniziale quanto in quello risultante dalla direttiva del Consiglio n. 91/680/Cee, che completa il sistema comune Iva e modifica, in vista della soppressione delle

Corte di Giustiziadella Comunità europea

Page 306: Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COMUNITÀ EUROPEA

1430 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

frontiere fiscali, la VI direttiva stessa, deve essere così interpretata: una persona che acquisti o faccia costruire un edificio al fine di destinarlo ad abitazione per sé e per la propria famiglia agisce in qualità di soggetto passivo e beneficia, quindi, del diritto alla deduzione dell'imposta, ai sensi dell'art. 17 della VI direttiva Cee, nel caso in cui utilizzi un locale dell'immobile medesimo quale ufficio ai fini dell'esercizio, ancorché a titolo accessorio, di un'attività economica ai sensi degli artt. 2 e 4 della direttiva e destini tale porzione dell'immobile al patrimonio della propria impresa; nel caso in cui una comunione risultante da matri-monio, sprovvista di personalità giuridica e che non eserciti essa stessa un'attività economica ai sensi della VI direttiva, affidi in appalto la realiz-zazione di un bene di investimento, i comproprietari che costituiscono tale comunione devono essere considerati, ai fini dell'applicazione della direttiva, quali beneficiari dell'operazione; nel caso in cui i due coniugi in comunione di fatto per effetto del matrimonio acquistino un bene di investimento, una porzione del quale venga utilizzata a fini professionali in modo esclusivo da uno dei due coniugi comproprietari, quest'ultimo beneficia del diritto alla deduzione dell'intero importo dell'Iva a monte gravante sulla porzione del bene dal medesimo utilizzato ai fini della propria impresa, sempreché l'importo dedotto non ecceda i limiti della sua quota di comproprietà sul bene medesimo; gli artt. 18, n. 1, lett. a), e 22, n. 3, della VI direttiva non esigono che il soggetto disponga, per poter esercitare il diritto alla detrazione dell'imposta in circostanze come quelle oggetto della causa principale, di una fattura emessa a suo nome e dalla quale risultino le frazioni del prezzo e dell'Iva corrispondenti alla sua quota di comproprietà. Una fattura rilasciata indistintamente ai coniugi in comproprietà e senza menzione di tale ripartizione è sufficiente a tal fine.Corte di Giustizia Ue, Sez. II, Sent. 21 aprile 2005, causa C-25/03.

Società di capitali - Controllo contabile - Direttiva comunitaria sul diritto societario - Riflessi sulla responsabilità penale degli imputati - Esclusione.

La direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, n. 68/151/Cee (I direttiva sul diritto societario) non può essere invocata in quanto tale dalle

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CORTE DI GIUSTIZIA DELLA COMUNITÀ EUROPEA

14314/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Autorità di uno Stato membro nei confronti degli imputati nell'ambito di procedimenti penali, poiché una direttiva non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli imputati. Corte di Giustizia Ue, Grande Sezione, Sent. 3 maggio 2005, cause C-387/02, C-391/02 e C-403/02.

A cura del Dott. Lorenzo Salazar - Magistrato

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14334/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Acquisto o ritenzione di effetti militari

Ai fini della esclusione della sussistenza del reato di cui all'art. 166 c.p.m.p. (Acquisto o ritenzione di effetti militari) occorre che la persona in possesso di oggetti facenti parte del vestiario, dell'equipaggiamento o armamento militare dimostri che "tali oggetti abbiano legittimamente cessato di appartenere al servizio militare", mentre ogni militare ha il dovere di riconsegnare il materiale a lui consegnato durante il servizio militare e, perfino, nel caso di esercitazioni, i bossoli delle munizioni esplose debbono essere recuperati e ciascun militare deve dimostrare che il numero delle munizioni utilizzate corrisponde a quello a lui consegnato (1). C. Cass., 30 gennaio 2004, n. 129, Pres. Sossi, Rel. Fazzioli, P.M. Rosin, concl. conf.;

imp. ric. da sent. C.M.A., Sez. Dist. Napoli (rigetta).

L'art. 166 C.p.m.p. punisce il fatto di avere ritenuto a qualsiasi titolo "oggetti di vestiario, equipaggiamento o armamento militare o altre cose destinate ad uso militare", rinviando ai fini della specificazione in concreto delle suddette categorie ai rispettivi artt. 164 e 165 c.p.m.p.

Con il termine "armamento" nella accezione comune non si intendono i soli oggetti dotati di "potenzialità offensiva", ma tutto il complesso delle armi e dei mezzi destinati alla guerra e, quindi, anche

Giurisprudenza penale militare

(1) Il ricorrente aveva obiettato che i bossoli ritrovati in suo possesso erano già stati esplosi,

con la conseguenza che, trattandosi di materiale inquadrabile nella categoria giuridica delle res

nullius e, come tale, non appartenente alla amministrazione militare, non poteva ravvisarsi alcuna

fattispecie criminosa.

Page 309: Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

GIURISPRUDENZA PENALE MILITARE

1434 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

quei materiali ed oggetti destinati direttamente all'addestramento alla

guerra (2). C. Cass., 30 gennaio 2004, n. 129, Pres. Sossi, Rel. Fazzioli, P.M. Rosin, concl. conf.;

imp. ric. da sent. C.M.A., Sez. Dist. Napoli (rigetta).

Diserzione - Elemento materiale

Non ricorre l'arbitrarietà dell'assenza, elemento indispensabile per

integrare la condotta tipica della diserzione propria, allorché l'assenza

del militare risulti autorizzata, sia pure per una finalità specifica che non

ha avuto concreta attuazione (3).

In questa situazione, infatti, difetta il connotato essenziale

dell'arbitrarietà dell'allontanamento, legittimo ab origine perché

autorizzato e non viene leso l'interesse tutelato dalla norma

incriminatrice, che consiste nella presenza fisica del militare al reparto.

(2) Peraltro - prosegue la sentenza - la definizione dei materiali di armamento, sia pure ai soli fini di detta legge, è fornita dall'art. 2, primo comma, legge 9 luglio 1990, n. 185, secondo la quale sono tali tutti "quei materiali che, per requisiti o caratteristiche tecnico-costruttive e di progettazione, sono tali da considerarsi costruiti per un prevalente uso militare o di corpi armati e di polizia, legge che, nel successivo secondo comma, inserisce espressamente tra le classi dei materiali di armamenti "i materiali specifici per addestramento militare".

Quanto agli oggetti di equipaggiamento, trattasi, secondo quanto specificato dalla stessa sentenza, di "oggetti che possono essere definiti soltanto per esclusione, in quanto, altrimenti, data l'ampiezza del termine equipaggiamento, si potrebbero far rientrare in tale categoria sia gli oggetti di armamento che di vestiario e, perfino, le altre cose destinate all'uso militare (art. 166 C.p.m.p.), trattandosi di materiali tutti destinati all'equipaggiamento dei militari".

"Infine, l'espressione contenuta nell'art. 166 C.p.m.p. o altre cose destinate ad uso militare una norma di chiusura diretta ad evitare che qualsiasi oggetto appartenente alla amministrazione militare, anche se non rientrante tra gli oggetti di armamento, vestiario o equipaggiamento, non sia, comunque, ritenuto a qualsiasi titolo se non dismesso nelle forme di legge dall'amministrazione militare".

(3) Nella specie, il ricorrente, dovendo fruire di una licenza straordinaria per cure idropiniche si era recato in un altro luogo: la Corte militare d'Appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, nelle sue componenti oggettiva e soggettiva, che si trattasse di un comprensorio militare.

Page 310: Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

GIURISPRUDENZA PENALE MILITARE

14354/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

L'eventuale accertamento della mancanza dei presupposti per il rilascio dell'autorizzazione può assumere rilievo sotto altro profilo (disciplinare ovvero, ricorrendone gli estremi, di una diversa ipotesi criminosa), ma non comporta la configurabilità del delitto di diserzione propria.C. Cass., 30 gennaio 2004, n. 130, Pres. Sossi, Rel. Riggio, P.M. Rosin, concl. conf.; imp. ric. da sent. C.M.A. Roma (annulla senza rinvio perché il fatto non sussiste).

Disobbedienza - Ordine del superiore

La conferma dell'ordine redatta per iscritto, prevista per gli impiegati civili dello Stato (art. 17, D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), non è una forma prevista dal Regolamento di disciplina militare, ponendosi in contrasto con i princìpi di efficienza su cui si basa l'organizzazione militare e si giustifica con "il dovere assoluto di obbedienza, salvo i limiti posti dalla legge e dal successivo art. 25" di cui all'art. 5, secondo comma, D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545 (4) (5).C. Cass., 30 gennaio 2004, n. 125, Pres. Sossi, Rel. Fazzioli, P.M. Rosin, concl. diff.; imp. ric. da sent. C.M.A. Roma (rigetta).

(4) Fattispecie in cui il ricorrente, condannato per disobbedienza aggravata, perché si era rifiutato di effettuare lavori di pulizia dell'hangar dove venivano ricoverati i velivoli dell'A.M., aveva chiesto, dopo aver addotto varie motivazioni, che l'ordine gli fosse confermato per iscritto.

(5) Precisato che l'ordine avesse, nella specie, fondamento nell'interesse del servizio, la sentenza ha ancora osservato che "l'ordinamento militare si fonda sul rispetto del principio gerarchico e della disciplina, che garantisce la coesione e l'efficienza delle Forze armate (art. 2, D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545) per cui non è compatibile con tale organizzazione la previsione indiscriminata della possibilità di non eseguire un ordine il cui contenuto venga ritenuto, eventualmente anche a ragione, illegittimo in quanto ne conseguirebbe l'inefficienza e la paralisi dell'intero apparato militare.

Il legislatore, quindi, al fine di contemperare le esigenze dell'organizzazione militare con i diritti di libertà del cittadino militare ha limitato la possibilità di rifiutare legittimamente l'esecuzione di un ordine soltanto quando questo sia manifestamente rivolto contro le Istituzioni dello Stato o la sua esecuzione costituisce comunque manifestamente reato (art. 4, comma 5, legge 11 luglio 1978, n. 382), prevedendo, negli altri casi, una tutela rafforzata del militare che esegue l'ordine eventualmente illegittimo, limitando le responsabilità derivanti dall'esecuzione dell'ordine al solo superiore che lo ha impartito".

Page 311: Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

GIURISPRUDENZA PENALE MILITARE

1436 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Ingiuria

I reati consistenti nell'offesa dell'altrui patrimonio morale non richiedono alcun dolo specifico, per cui la volontà dell'evento è insita normalmente nella stessa volontarietà dell'azione e nella consapevolezza della sua obiettiva portata offensiva, sicché non abbisogna di ulteriore prova (6).C. Cass., 19 marzo 2004, n. 393, Pres. Fabbri, Rel. Santacroce, P.M. Gentile, concl. conf.; imp. ric. da sent. C.M.A. Roma (rigetta).

Legge processuale penale

Una volta che le relazioni di servizio, già contenute nel fascicolo del P.M., sono state acquisite, su concorde richiesta delle parti, a quello del dibattimento, il contenuto delle stesse, passato fra il materiale probatorio, può essere esaminato e valutato dal giudice come legittima fonte di prova, non occorrendo procedere all'audizione dei redattori delle suddette relazioni (7).C. Cass., 9 gennaio 2004, n. 3, Pres. Gemelli, Rel. Vancheri, P.M. Garino, concl. conf.; imp. ric. da sent. C.M.A., Sez. Dist. Napoli (dich. inammissib.).

Le questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento possono essere sollevate soltanto subito dopo il compimento dell'accertamento della costituzione delle parti e ne è definitivamente preclusa la proposizione in momenti successivi, come disposto dai primi due commi dell'art. 491 C.p.p.

C. Cass., 9 gennaio 2004, n. 3, Pres. Gemelli, Rel. Vancheri, P.M. Garino, concl. conf.; imp. ric. da sent. C.M.A., Sez. Dist. Napoli (dich. inammissib.).

(6) La sentenza cita la precedente pronuncia n. 7597 della V Sezione della Corte, datata

11 maggio 1999, dove si precisa che basta ad integrare il dolo generico richiesto per il delitto di

ingiuria l'uso consapevole di espressioni socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate

in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento

alle intenzioni dell'agente.

(7) Secondo quanto precisato dalla stessa sentenza, l'esplicita dizione della norma di cui al

secondo comma dell'art. 431 c.p.p. ("Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il

dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero") non può lasciare dubbi in proposito.

Page 312: Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

GIURISPRUDENZA PENALE MILITARE

14374/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

In tema di opposizione della persona offesa dal reato alla richiesta di archiviazione, quando l'opponente ha adempiuto all'onere impostogli dall'art. 410, primo comma, C.p.p., mediante indicazione dell'oggetto dell'investigazione suppletiva e dei relativi elementi di prova, non spetta al G.I.P. la formulazione, inaudita altera parte, di giudizi di merito sulla rilevanza e sul possibile esito delle investigazioni richieste, riservati alla disamina da svolgersi nel contraddittorio delle parti, ex art. 410, terzo comma, C.p.p. (8).C. Cass., (C.C.), 30 gennaio 2004, n. 585, Pres. Sossi, Rel. Gironi, P.M. Rosin, concl. diff.; p.l. ric. da decr. G.I.P. T.M. La Spezia (annulla senza rinvio e disp. trasmiss. atti al G.I.P. T.M. La Spezia per ulter. corso).

Nullità

Il deposito in cancelleria del dispositivo, in luogo della sua lettura in udienza, non può ritenersi lesivo dell'obbligo di immediatezza della deliberazione di cui all'art. 525 C.p.p., poiché le modalità seguite per la pubblicazione della decisione emessa in esito a giudizio d'appello celebrato con rito camerale non possono determinare alcuna forma di invalidità, ferma la necessità di notificare l'avviso di deposito alle parti non comparse (9).C. Cass., 17 febbraio 2004, n. 244, Pres. Fazzioli, Rel. Gironi, P.M. Gentile, concl. conf.; imp. ric. da sent. C.M.A. Roma (dich. inammissib.).

Tribunale militare di sorveglianza

Posto che il procedimento di sorveglianza si svolge secondo le regole dettate per il procedimento di esecuzione, in virtù del generale richiamo fatto dall'art. 678 all'art. 666 C.p.p., il secondo comma

(8) La sentenza richiama, come precedenti conformi, C. Cass., Sez. VI, 13 giugno 2000, sent. n. 2792 e Sez. IV, 10 ottobre 2001, sent. n. 682.

(9) La sentenza richiama, come precedente conforme, C. Cass., 15 novembre 2000, sent. n. 684.

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GIURISPRUDENZA PENALE MILITARE

1438 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

di tale ultima disposizione contempla una deroga al principio del contraddittorio, prevedendo la declaratoria di inammissibilità, che può essere emessa dal presidente del collegio de plano quando l'istanza costituisca mera riproposizione di una richiesta già rigettata, ovvero allorché appaia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge.

L'adozione "in corso d'opera" di una diversa forma procedimentale, arbitrariamente esclusiva della partecipazione e dell'intervento della difesa, si pone in evidente contrasto con il combinato disposto degli artt. 666 e 678 C.p.p.C. Cass., (C.C.), 19 novembre 2004, n. 4554, Pres. Fazzioli, Rel. Riggio, P.M. Gentile, concl. conf.; imp. ric. da ord. T.M. Sorv. (annulla).

A cura diGiuseppe Scandurra - Magistrato

Dott.ssa Donatella Scandurra

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14394/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Reati fallimentari

Reati fallimentari - Art. 216 L.F. - Bancarotta fraudolenta documentale - Elemento soggettivo - Dolo generico.

Reati fallimentari - Art. 216 L.F. - Bancarotta fraudolenta per distrazione - Elemento soggettivo - Dolo generico.

Ai fini della realizzazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale, è necessaria l'intenzione dell'agente di impedire la conoscenza relativa al patrimonio o al movimento degli affari, ma non occorre l'intenzione di recare pregiudizio ai creditori e neanche la rappresentazione di tale pregiudizio.

Per la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è sufficiente la consapevolezza della sottrazione dei beni a garanzia della massa creditoria.

Svolgimento del processo

D.G.F. impugna per cassazione la sentenza che ne ha confermato la dichiarazione di colpevolezza in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione, contestatogli nella qualità di amministratore della S.r.l. "I.G." fallita il 27 maggio 1999.

Propone quattro motivi di impugnazione, come segue rubricati e svolti.

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia inosservanza di legge e mancanza di motivazione relativamente al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento volta ad ottenere un approfondito accertamento del reale "status" economico patrimoniale dell'impresa.

Diritto penale dell'economia

Page 315: Modelli di tassazione del Reddito di Gruppo 4_2005 pag 1347

DIRITTO PENALE DELL'ECONOMIA

1440 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Il motivo è manifestamente infondato. Come è stato precisato dalla giurisprudenza, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. Un., 24 gennaio 1996, Panigoni), e nella specie la Corte d'Appello ha ritenuto motivatamente ininfluente, attesa la piena completezza probatoria già acquisita, l'indagine peritale genericamente sollecitata dall'appellante.

2. Il secondo motivo enuncia erronea applicazione dell'art. 216, comma 1, nn. 1 e 2, L.F.

Dalla sua illustrazione si evince che, con esso, si imputa al giudice di secondo grado d'essere incorso nell'errore di ritenere che il dolo delle fattispecie criminose in argomento sia generico (sia pure intenzionale) e non richieda invece lo scopo di recare un pregiudizio ai creditori.

La censura non merita accoglimento.

La lettura dell'art. 216, comma 1, n. 2, L.F. rende chiaro che il dolo specifico oggetto delle argomentazioni del ricorrente è relativo alla prima ipotesi di bancarotta documentale, mentre la seconda ipotesi, della quale il D.G. è stato ritenuto responsabile, è caratterizzata dalla tenuta delle scritture contabili "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari", ed è questo lo scopo cui deve tendere l'agente, e quindi l'elemento soggettivo del reato. Occorre, in definitiva, l'intenzione di impedire la conoscenza relativa al patrimonio o al movimento degli affari, ma non occorre l'intenzione di recare pregiudizio ai creditori e neanche la rappresentazione di questo pregiudizio.

È in siffatta direzione rivolto l'indirizzo largamente maggioritario della giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, Sez. V, 3 giugno 2002, Capasso), e solo in senso apparentemente contrario è la decisione richiamata in ricorso (Sez. V, 22 gennaio 1992, Zamponi), che, nel postulare il dolo specifico anche in rapporto all'ipotesi qui in considerazione, ne definisce i contenuti, non in termini di "animus nocendi", ma, per l'appunto, di intenzione di impedire la sopramenzionata conoscenza e, dunque, in senso non dissimile da quella accolta dalla cennata giurisprudenza.

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DIRITTO PENALE DELL'ECONOMIA

14414/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Analoghe considerazioni valgono in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Dalla lettera e dalla "ratio" della norma si evince a chiari note che lo scopo di recare pregiudizio ai creditori è richiesto solo in relazione all'ipotesi di esposizione e riconoscimento di passività inesistenti, mentre per quelle di distrazione, dissipazione, ecc., è sufficiente la consapevolezza della sottrazione dei beni a garanzia della massa creditoria (V. fra le tante, Sez. V, 29 aprile 1999, Massimino).

3. Con il terzo motivo è sollevata eccezione di incostituzionalità, per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione, in relazione alla disciplina di cui all'art. 216 L.F., nella parte in cui non prevede, in armonia con il novellato art. 223, comma 2, n. 1 L.F., che le condotte ivi specificate abbiano cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società.

La proposta questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata.

Improprio si rileva l'assumere come "tertium comparationis" il sistema delineato dalla rinnovata formulazione dell'art. 223, comma 2, n. 1, L.F., trattandosi di situazione "incomparabile" con quella disciplinata dall'art. 216 della stessa legge.

Invero, una cosa è la condotta di distrazione, dissipazione, distruzione patrimoniale o la volontaria tenuta irregolare della contabilità; ed altra, ben diversa, è la condotta integrativa di reati societari, pur se seguita dalla dichiarazione di fallimento.

Legittimamente, pertanto, il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità politico-criminale, ha ritenuto di dover modificare il volto della bancarotta fraudolenta "da reato societario", introducendo la previsione di un evento, il dissesto della società, posto in rapporto di causalità con la commissione di violazioni societarie.

In definitiva, trattandosi di condotte eterogenee e per nulla sovrapponibili, non può dirsi violato l'art. 3 della Costituzione.

Privo di qualsiasi specificazione è, poi, il richiamo fatto in ricorso all'art. 27 Cost.

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DIRITTO PENALE DELL'ECONOMIA

1442 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

4. Il quarto motivo attiene al trattamento sanzionatorio e, sotto la denuncia di vizi di legittimità, lamenta che, a fronte di un ridimensionamento delle condotte ascritte, riveniente dal proscioglimento da altra imputazione (ex artt. 223, 216 L.F., 2621 c.c.), la pena sia stata ridotta di soli tre mesi di reclusione.

La censura è inammissibile, in quanto afferisce al potere discrezionale del giudice di merito in sede di determinazione della pena, che, peraltro, nel caso di specie risulta pienamente conforme ai parametri di legge, altroché congruamente e sufficientemente motivato con riferimento alla gravità dei fatti di bancarotta, all'intensità del dolo e alla deplorevole scelta di tacitare taluni creditori lasciandone invece insoddisfatti altri, per cospicui ammontari.

Il ricorso va pertanto respinto, con le conseguenze di legge.

Per questi motivi

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.Cassazione, Sez. V, Sent. n. 1140 del 18 maggio 2005, dep. il 28 giugno 2005, Pres. Foscarini, Rel. Calabrese.

A cura dell'Avv. Prof. Bruno Assumma

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14434/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Alcune note sulle iniziative europee di Difesa (*)

Paradossi europei

All'avvicinarsi delle consultazioni popolari che in diversi Paesi, segnatamente in Francia a fine maggio, dovranno ratificare il nuovo Trattato firmato a Roma l'anno scorso, non si può fare a meno di notare la situazione paradossale in cui versa il progetto europeo.

Da un lato, secondo diversi sondaggi popolari e per ammissione stessa dei governanti, il contesto globale di riferimento spinge a trovare soluzioni condivise e a rafforzare le istituzioni regionali, nella ricerca di quella coesione necessaria per affrontare problemi irrisolvibili a livello nazionale, fra cui spiccano quelli di sicurezza.

La Costituzione Europea, pur con i suoi limiti, il più delle volte imputabili al processo di "peggioramento" cui è stata sottoposta durante la Conferenza Intergovernativa, dovrebbe favorire proprio questo processo di coesione in un ambito di "flessibilità controllata". L'impegno europeo nel settore della sicurezza è uno degli elementi qualificanti di novità, la cui realizzazione nel contesto dell'Unione, anziché in altre sedi (coalizioni di volenterosi o direttori, più o meno determinati da interventi di attori esogeni), dipende largamente dal successo del nuovo Trattato.

Dall'altro, a questa domanda di Europa si contrappone un disamore per un progetto che viene erroneamente percepito (talora in modo strumentale, al fine di sviare le responsabilità imputabili a una

Rassegna militare

(*) Fonte: LA SCHEDA in CeMISS, Osservatorio Strategico, aprile 2005.

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RASSEGNA MILITARE

1444 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

cattiva gestione nazionale) come un gioco a somma zero, in cui gli altri membri non sono partner ma competitors.

La possibilità che alcuni Paesi non ratifichino impone una prima analisi dell'impatto di tale scelta, quantomeno sulla politica di sicurezza.

Ovviamente dal punto di vista politico (giuridicamente ogni Stato "conta" quanto gli altri) non tutti i "no" avrebbero lo stesso impatto; per quanto concerne la Pesd, i Paesi chiave sono due o tre: Regno Unito, Francia e Germania.

Le rigidità imposte dal Trattato di Nizza possono essere vinte solo da una coesione fra questi attori, in assenza di nuove regole, ci si deve aspettare nel migliore dei casi uno sviluppo delle collaborazioni fuori dalla logica istituzionale europea, nel peggiore un sostanziale immobilismo generato da contrasti che determinerebbero la fine di qualunque aspirazione a proseguire sulla strada di produttori di sicurezza. Per una potenza media come l'Italia, afflitta da problemi di bilancio soprattutto (ma non solo) nel settore della difesa, entrambi gli scenari determinano un rapporto costo/beneficio ampiamente inferiore allo scenario cooperativo.

Il fallimento del referendum francese potrebbe generare una corsa al "liberi tutti", in cui avrebbero la meglio quei processi di rinazionalizzazione della politica europea di cui si sentono già forti avvisaglie.

La situazione attuale

In questo momento di incertezza, proseguono comunque diverse iniziative, sia nell'ambito delle operazioni all'estero dell'Ue, in crescita sia numerica che qualitativa, sia nelle politiche di contrasto alle nuove minacce, in particolare terrorismo e non proliferazione di armi di distruzione di massa.

Pur notando progressi e la predisposizione di strutture che fanno ben sperare per il futuro, non si possono non stigmatizzare diverse gravi deficienze; a un anno dagli attentati che hanno colpito Madrid, i governati hanno dovuto prendere atto che il loro livello di cooperazione è ben lungi dall'essere soddisfacente.

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RASSEGNA MILITARE

14454/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Mentre su un tema cruciale come il contrasto al terrorismo vi sono irresponsabili lentezze, la problematica della non proliferazione sembra trovare una dimensione di consenso crescente, anche se l'incertezza legata alle difficili discussioni con l'Iran, tuttora in corso, non permette un giudizio compiuto.

Se il piano predisposto da una avanguardia di Paesi europei dovesse riscuotere i successi sperati, potrebbe inaugurarsi un modello transatlantico di azione, in cui le trattative, supportate da una credibile minaccia di ritorsione, risultano vincenti.

In questo contesto di incertezza istituzionale dell'Ue, la Nato rimane per molti Paesi europei un punto di riferimento, ma il disimpegno del principale alleato, unito alle limitazioni operative riscontrate, suggerisce cautela nel considerare superate le debolezze strutturali dell'Alleanza Atlantica.

Inoltre, fra le due istituzioni rimangono sostanzialmente irrisolti i problemi legati allo scambio delle informazioni, a causa del contrasto turco-cipriota, nonché il modello di "compatibilità", dal momento che entrambe sembrano convergere sull'impegno in operazioni di stabilizzazione a intensità medio-bassa.

La Cina è vicina?

Una ulteriore questione che genera incertezza e contrasti oramai da mesi riguarda il rapporto con la Cina, riferito in particolare alla questione dell'embargo sugli armamenti.

La decisione del Consiglio europeo di dicembre 2004, volta a intavolare trattative finalizzate al ritiro del provvedimento entro la fine del primo semestre 2005, è andata progressivamente a scontrarsi con iniziative esogene (reazione americana, irrigidimento cinese su Taiwan) che hanno suggerito un ripensamento.

Non sembra essere in discussione il ruolo della Cina come partner dell'Europa, quanto piuttosto l'immaturità di un approccio che non chiarisca sin dal principio un aspetto specifico di tale rapporto, relativo alla sicurezza e alla stabilità nel contesto regionale e globale.

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RASSEGNA MILITARE

1446 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Da un lato, la spinta europea a rinviare ogni decisione, in attesa che si raggiunga un consenso interno sulla questione, determinerà un peggioramento momentaneo delle relazioni con la Cina, un ulteriore contrasto fra i Paesi favorevoli (Francia in particolare) e contrari (ultimamente, in seguito all'atteggiamento americano, il Regno Unito) che si riverbererà anche a livello transatlantico.

Dall'altro si intravedono alcuni benefici, segnatamente la sospensione di un motivo di contesa con gli Usa (in un momento in cui vi sono già fin troppi contenziosi aperti, su diversi fronti, ad iniziare dal settore aeronautico), e la disponibilità di tempi supplementari di trattativa con Pechino, nell'ottica di ottenere contropartite reali, in particolare nell'avanzamento del rispetto dei diritti umani, e garanzie verso Taiwan.

Lo stallo venutosi a determinare proseguirà probabilmente sino a fine anno; salvo ulteriori azioni autolesioniste da parte cinese o un irrigidimento strutturale dell'Amministrazione americana, cui potrebbe seguire un rinvio sine die, la fine dell'embargo sembra ora solo rimandata a tempi più maturi.

A cura del Gen. C.A. Dott. Osvaldo Cucuzza

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14474/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Corte Costituzionale

Codice della strada - Guida in condizioni di alterazione fisica e psichica correlata all'uso di stupefacenti - Mancata previsione del limite oltre il quale il soggetto può essere considerato in stato di alterazione fisica e psichica - Violazione del principio di legalità e di quello relativo alla finalità della pena - Manifesta infondatezza (Cost. artt. 25 e 27).

Non è fondata la questione di costituzionalità dell'art. 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, nella parte in cui si sanzionerebbe penalmente la condotta di chi si pone alla guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti senza prevedere alcun limite oltre il quale il soggetto possa essere considerato in tale situazione. In realtà, si è in presenza di una fattispecie invece indubbiamente integrata dalla concorrenza dei due elementi, l'uno obiettivamente rilevabile dagli agenti di polizia giudiziaria (lo stato di alterazione) e per il quale possono valere indici sintomatici, l'altro, consistente nell'accertamento della presenza, nei liquidi fisiologici del conducente, di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope, a prescindere dalla quantità delle stesse, essendo rilevante non il dato quantitativo, ma gli effetti che l'assunzione di quelle sostanze può provocare in concreto nei singoli soggetti.Ordinanza n. 277 del 27 luglio 2004, Pres. Zagrebelsky, Rel. Mezzanotte.

Immunità parlamentari - Componente commissione parlamentare di inchiesta - Dichiarazioni rese alla stampa per giustificare la mancata partecipazione a un convegno scientifico - Esercizio di funzione parlamentare - Sussistenza di funzione parlamentare (Cost., art. 68, comma 1; Deliberazione Senato della Repubblica del 7 marzo 2000).

Massimario

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MASSIMARIO

1448 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Per come già ripetutamente osservato, le Commissioni parlamentari di inchiesta costituiscono articolazioni del Parlamento, cosicché debbono dirsi parlamentari le attività che si svolgono nel loro senso o con riguardo al loro funzionamento. In ragione di ciò, le dichiarazioni attraverso le quali il componente della commissione esprime le ragioni politiche che avevano motivato la scelta di astenersi dalla partecipazione a un convegno costituiscono esercizio di funzioni parlamentari, ancorché espresse con atto (dichiarazioni rese in conferenza stampa) in senso stretto non tipico dell'attività parlamentare, giacché sono comunque divulgate espressioni espresse da un parlamentare in un atto legato da nesso funzionale con l'attività parlamentare, in quanto tale rientrante nella sfera di immunità di cui all'art. 68, comma 1, della Costituzione. Se è vero, infatti, che non ogni opinione espressa da un parlamentare rientra nella previsione dell'art. 68, primo comma Cost., perché altrimenti l'immunità si risolverebbe in un privilegio personale confliggente in modo irrinunciabile con i princìpi costituzionali, sotto altro profilo anche le attività non tipizzate debbono considerarsi coperte dalla garanzia di cui all'art. 68 nei casi in cui si esplicano mediante strumenti, atti e procedure, anche innominati, ma comunque rientranti nel campo di applicazione del diritto parlamentare, che il membro del parlamento è in grado di porre in essere e di utilizzare proprio e solo in quanto rivesta tale carica.Sentenza n. 298 del 29 settembre 2004, Pres. Mezzanotte, Rel. Amirante.

Cassazione Penale

Tentativo - In genere - Idoneità degli atti - Valutazione - Giudizio ex ante - Fattispecie in tema di truffa ai danni della P.A. - Artificio o raggiro inserito all'interno del procedimento amministrativo di rimborso di indennità e spese di missione - Idoneità degli atti (C.p. artt. 56, 640, comma 2).

Ai fini della sussistenza del delitto tentato, occorre che, sulla base di una valutazione ex ante, gli atti compiuti, anche se meramente preparatori o solo parziali, siano idonei ed univoci, ossia diretti in modo non equivoco a causare l'evento lesivo ovvero a realizzare la

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MASSIMARIO

14494/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

fattispecie prevista dalla norma incriminatrice, rivelando così l'intenzione dell'agente di commettere lo specifico delitto. L'idoneità degli atti non è peraltro sinonimo della loro sufficienza causale, bensì esprime l'esigenza che l'atto abbia l'oggettiva attitudine ad inserirsi, quale condizione necessaria, nella sequenza causale ed operativa che conduce alla consumazione del delitto. Ne consegue che, nell'ipotesi di tentata truffa ai danni della Pubblica Amministrazione, è irrilevante la circostanza che gli artifici e raggiri siano posti in essere all'interno di una fase procedimentale non conclusa, ad esempio perché ancora mancante degli atti di controllo necessari a completare lo specifico procedimento, mentre è sufficiente che l'azione, dotata dei caratteri propri dell'artificio o raggiro - ossia astrattamente capace di indurre in errore la Pubblica Amministrazione - sia oggettivamente idonea ad attivare l'iter procedimentale volto a conseguire il vantaggio patrimoniale indebito. (Nel caso di specie, è stata ritenuta un idoneo tentativo di truffa la semplice presentazione dei fogli di viaggio e delle ricevute delle spese per i pasti da parte del personale dipendente della Polizia di Stato, volta ad ottenere il rimborso delle spese di trasferta, alla quale non aveva fatto seguito la relazione favorevole del capo pattuglia).

Cass. Pen., Sez. II, 13 maggio 2003, Pres. Varola, Rel. Fantacchiotti, P.M. Febbraro.

Cassazione Civile

Processo tributario - Rapporti tra il processo tributario e il processo civile - Compatibilità logico-giuridica tra i due sistemi - Riconoscimento di norma speciale - Alla sola disposizione processuale tributaria - Applicabilità degli artt. 16 e 17 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 - Operante - Atto di impugnazione dell'ufficio - Notifica a mani proprie della contribuente - Legittima.Invim - Edilizia abitativa - Immobile inserito in un piano a fini speciali - Impugnazione del piano con ricorso al Tar - Espropriazione per pubblica utilità - Cessione dell'immobile - Esenzione dall'Invim - Operante.

Nell'ambito della disciplina dei rapporti tra il processo tributario ed il processo civile va tenuta presente, innanzi tutto, la norma

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MASSIMARIO

1450 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

dell'art. 1, comma 2, del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546, per cui tra i due sistemi si pone un rapporto di specialità, in cui il ruolo di norma speciale e, quindi, escludente l'operatività dell'altra, va riconosciuto alla disposizione processuale tributaria. Pertanto, la notifica dell'atto di impugnazione dell'ufficio, a mani proprie della contribuente e presso il suo domicilio, deve considerarsi rituale, secondo le previsioni del nuovo processo tributario, all'epoca già vigente.

In tema di trasferimento di proprietà di immobili inseriti nel contesto di una procedura espropriativa, collegabile obiettivamente alla pubblica utilità delle opere da realizzare ed inclusi in un piano a fini speciali per l'edilizia abitativa, si realizza pienamente la ratio legis sottesa all'agevolazione fiscale prevista nella forma dell'esenzione dall'Invim. Ciò, anche in presenza di impugnazione del piano con ricorso al Tar, atteso che non risulta intervenuta una declaratoria di nullità di tale piano (Oggetto della controversia: istanza di rimborso Invim).Cass., Sez. trib., Sent. n. 18269 del 13 gennaio 2004, dep. il 10 settembre 2004.

Ricorso per Cassazione - Requisiti - Indicazione delle parti - Valutazione sostanziale - Caso di specie.Riscossione - Riscossione delle imposte sui redditi - Modalità di riscossione - Versamento diretto - Rimborsi - In genere - Ritenuta d'acconto sugli interessi attivi relativi a somme depositate presso una banca da una società di mutua assicurazione - Importo - Restituzione in conseguenza dell'assoggettamento di detta società a liquidazione coatta amministrativa - Obbligo dell'Amministrazione finanziaria - Sussistenza - Esclusione.

Il requisito dell'indicazione delle parti, richiesto dall'art. 366, comma 1, n. 1), del codice di procedura civile a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, deve intendersi nel senso proprio della norma generale dettata dall'art. 163, comma 3, n. 2), dello stesso codice per l'atto di citazione e, pertanto, l'errore inficiante l'indicazione della parte contro cui l'impugnazione è rivolta non incide sulla validità del ricorso, quando dal contesto di questo e dal riferimento agli atti dei

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MASSIMARIO

14514/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

precedenti giudizi sia agevole identificare con certezza tale parte (nella fattispecie, la Suprema Corte, sulla base del contenuto del ricorso e della sentenza impugnata, ha ritenuto irrilevante il fatto che l'intimata, società "X" fosse stata denominata "Y" e non fosse stato indicato che la società in questione si trovava in fase di liquidazione coatta amministrativa).

In tema di imposte sui redditi, la ritenuta d'acconto conserva la sua funzione fino al momento della liquidazione dell'imposta, atteso che soltanto tale operazione, con il conteggio delle reciproche ragioni di dare ed avere nei rapporti tra Erario e contribuente, consente di affermare se il versamento dell'imposta è ancora giustificato o meno nel rapporto tributario. Pertanto è legittimo il rifiuto dell'Amministrazione finanziaria di restituire al commissario liquidatore l'importo della ritenuta d'acconto legittimamente operata da un istituto di credito sugli interessi attivi maturati su somme depositate presso l'istituto stesso da una società di mutua assicurazione successivamente sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, restando irrilevante il fatto che nel caso di liquidazione coatta amministrativa la liquidazione dell'imposta avviene alla chiusura della procedura concorsuale e non sulla base di una dichiarazione annuale dei redditi (Oggetto della controversia: rimborso ritenute alla fonte).Cass., Sez. trib., Sent. n. 57 del 4 novembre 2004, dep. il 3 gennaio 2005.

Riscossione - Modalità di riscossione - Versamento diretto - Rimborsi - In genere - Credito d'imposta evidenziato in dichiarazione - Rimborso - Istanza ex art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 - Necessità - Esclusione - Potere-dovere di controllo da parte dell'Amministrazione in sede di liquidazione, ex art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, o di rettifica della dichiarazione - Sussistenza - Requisiti.

Prova documentale - Esame da parte del giudice - Specifica istanza - Necessità - Ragioni.

Il dovere dell'Amministrazione di procedere al rimborso delle eccedenze d'imposta, con la procedura prevista dall'art. 36-bis del

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MASSIMARIO

1452 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sorge unicamente quando gli afferenti dati emergono dalla dichiarazione del contribuente; in caso contrario deve essere presentata istanza ai sensi dell'art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

La riforma dell'art. 111 della Costituzione, operata con l'art. 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, ha ribadito e confermato il principio secondo cui il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti solo nei casi in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo, nei propri scritti difensivi, gli scopi della esibizione con riguardo alle sue pretese.

È infatti evidente che il richiamo generico (e non univocamente decifrabile) ad un materiale di prova documentale, prodotto in causa, non consente alla controparte di controdedurre adeguatamente e di esercitare pienamente il suo diritto di difesa e si traduce, altresì, in un inammissibile tentativo di demandare al giudice la ricerca degli elementi più utili alla tesi sostenuta.Cass., Sez. trib., Sent. n. 10267 del 9 marzo 2005, dep. il 16 maggio 2005.

Commissione Tributaria Regionale

Accertamento - Accertamento induttivo - Inattendibilità delle scritture contabili - Art. 39, comma 2, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - Presupposti - Gravi, numerose e ripetute omissioni e false indicazioni relative agli elementi indicati nella dichiarazione - Fattispecie - Segnalazioni ed ispezioni effettuate dalla Guardia di Finanza presso soggetti terzi - Difetto di attività accertativa e di riscontro presso il contribuente - Conseguenze - Mancato assolvimento dell'onere della prova da parte dell'Amministrazione finanziaria - Illegittimità del ricorso all'accertamento induttivo.

L'accertamento induttivo, ex art. 39, comma 2, lett. d), del D.P.R. 600/1973 legittima l'Amministrazione finanziaria alla determinazione del reddito imponibile soltanto laddove le irregolarità formali sono talmente gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture contabili.

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MASSIMARIO

14534/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

A cura del Gen. C.A. Prof. Salvatore D'Amato

Per assolvere a tale onere probatorio, l'attività di accertamento non può pertanto limitarsi alla raccolta di dati, notizie od elementi presso terzi soggetti senza procedere a riscontri nei confronti del contribuente.

Ad una razionale determinazione del reddito d'impresa si perviene sulla base di elementi di fatto indicativi di capacità contributiva come i dati relativi alle caratteristiche strutturali della specifica impresa e alle modalità di esercizio dell'attività.

L'accertamento induttivo, pur se giustificato da gravi inadempienze e violazioni, non può mai tradursi in una inammissibile sanzione impropria od in una libera quantificazione del reddito imponibile e la pretesa tributaria per essere legittima deve trovare causa giustificatrice in un reddito effettivo e non fittizio.Comm. Regionale di Bari, Sez. V, Sent. n. 26 del 18 ottobre 2004, dep. il 22 novembre 2004.

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14554/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Circolari e note ministeriali

Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 31/E del 6 giugno 2005

Irpef - Applicazione dell'imposta - Determinazione della base imponibile per i soggetti non residenti - Effetti della deduzione per oneri di famiglia sulle addizionali all'Irpef - Deduzione per gli addetti all'assistenza personale - L. 30 dicembre 2004, n. 311 (legge Finanziaria 2005).

Premessa

La presente circolare, integrando le prime istruzioni fornite con la Circolare n. 2/E del 3 gennaio 2005 fornisce ulteriori chiarimenti in merito al secondo modulo di riforma dell'Irpef introdotto dalla legge Finanziaria per il 2005 (L. 31 dicembre 2004, n. 311, in seguito legge Finanziaria).

In particolare, le precisazioni riguardano la base imponibile delle addizionali, la base imponibile dei redditi dei soggetti non residenti, l'applicazione della clausola di salvaguardia.

Di seguito, nel richiamare le norme della legge in commento, si farà riferimento esclusivamente al numero del comma interessato seguito da legge Finanziaria.

1. La determinazione della base imponibile per i soggetti non residenti

II comma 349, lett. a), della legge Finanziaria ha modificato l'art. 3 del Tuir, al fine di coordinare le disposizioni in materia di determinazione della base imponibile con le nuove deduzioni per oneri di famiglia disciplinate dalla successiva lett. b).

Legislazione e prassi amministrativa

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LEGISLAZIONE E PRASSI AMMINISTRATIVA

1456 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

Una delle novità di maggior rilievo introdotte dalla legge Finanziaria è rappresentata, infatti dalla trasformazione del beneficio fiscale concesso in relazione alla situazione socio economica del nucleo familiare. In luogo della detrazione d'imposta per carichi di famiglia, prevista dal previgente art. 13, che abbatteva l'imposta lorda, sono state, infatti previste deduzioni per oneri di famiglia, disciplinate dal nuovo art. 12 (comma 349, lett. b), che opera in diminuzione del reddito.

Le nuove deduzioni, previste anche in relazione alle spese sostenute per l'assistenza di persone non autosufficienti, diversamente dalle precedenti detrazioni i cui importi erano fissati in un ammontare prestabilito, sono fissate in misura teorica e devono essere determinate nel loro effettivo importo sulla base di una formula analoga a quella dettata per l'applicazione della no-tax area (art. 11: deduzione per assicurare la progressività dell'imposizione).

La sostituzione delle detrazioni per carichi di famiglia con le deduzioni per oneri di famiglia ha comportato un adeguamento dei criteri di determinazione della base imponibile all'Irpef. La legge Finanziaria ha pertanto riformulato l'art. 3 del Tuir prevedendo che il reddito da assoggettare a tassazione, costituito per i soggetti residenti dal reddito complessivo e per i soggetti non residenti dal reddito prodotto nel territorio dello Stato, deve essere assunto al netto, oltre che degli oneri deducibili indicati nell'art. 10 del Tuir e della deduzione per assicurare la progressività dell'imposta di cui all'art. 11 del Tuir, anche delle nuove deduzioni di cui all'art. 12 del Tuir.

Tuttavia, in base ad una interpretazione logico-sistematica, si deve ritenere che le nuove deduzioni non modifichino in maniera sostanziale le regole di tassazione previste per i soggetti non residenti: se, difatti, ai sensi dell'art. 24 del Tuir le detrazioni per oneri di famiglia disciplinate dal previgente art. 13 non erano riconosciute in riduzione dell'imposta lorda dovuta dai soggetti non residenti, analogamente le nuove deduzioni non devono operare in riduzione del reddito da assoggettare a tassazione nel territorio dello Stato.

Pertanto, la previsione che esclude per i soggetti non residenti il beneficio delle detrazioni d'imposta per carichi di famiglia, che, si

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LEGISLAZIONE E PRASSI AMMINISTRATIVA

14574/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

evidenzia, non è stata abrogata dalla legge Finanziaria, deve essere riferita, ai sensi del comma 351 della legge Finanziaria, alle nuove deduzioni per oneri di famiglia.

Conseguentemente per i soggetti non residenti il reddito da assoggettare a tassazione deve essere assunto al netto dei soli oneri deducibili indicati dall'art. 24 del Tuir e della deduzione spettante per assicurare la progressività dell'imposizione ma non anche al netto della deduzione per oneri di famiglia.

2. Effetti della deduzione per oneri di famiglia sulla base imponibile delle addizionali all'Irpef

Le nuove disposizioni in materia di tassazione del reddito delle persone fisiche, introdotte dai commi da 349 a 353 della legge Finanziaria per il 2005, hanno suscitato problemi interpretativi circa la rilevanza delle nuove deduzioni per oneri familiari ai fini della determinazione della base imponibile delle addizionali regionali e comunali all'Irpef.

La legge Finanziaria per il 2005 non contiene, infatti, disposizioni specifiche al riguardo. Ciò a differenza di quanto previsto dalla L. 289/2002, che, in relazione all'introduzione del primo modulo di riforma dell'Irpef, all'art. 2, comma 4, stabiliva espressamente che la deduzione per garantire la progressività dell'imposta (art. 11 del Tuir) non rileva ai fini delle addizionali.

In assenza di una previsione analoga a quella relativa alla no-tax area si deve ritenere, pertanto, che la nuova deduzione per oneri di famiglia, prevista in relazione al secondo modulo di riforma dell'Irpef, comporti la riduzione della base imponibile non solo dell'Irpef ma anche delle addizionali regionali e comunali a tale imposta.

La base imponibile delle suddette addizionali, ai sensi, rispettivamente, dell'art. 50, comma 2, del D.L.vo 446 del 1997 e dell'art. 1, quarto comma, del D.L.vo 360/1998, è costituita dal reddito complessivo determinato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, al netto degli oneri deducibili riconosciuti ai fini di tale imposta. Tale base imponibile risulta ora modificata per effetto dell'introduzione

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LEGISLAZIONE E PRASSI AMMINISTRATIVA

1458 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

del secondo modulo di riforma dell'Irpef, dovendo intendersi che la stessa deve essere decurtata, oltre che degli oneri deducibili di cui all'art. 10 del Tuir, anche della nuova deduzione per oneri di famiglia effettivamente spettante.

Per tale aspetto la disposizione introdotta dalla legge Finanziaria assume una forte valenza agevolativa nei riguardi delle famiglie e costituisce un elemento di assoluta novità nell'ambito del sistema di tassazione del reddito, tenuto conto che in base alla normativa in vigore fino al 31 dicembre 2004 a fronte degli oneri di famiglia era attribuita una detrazione d'imposta, da far valere, quindi, ai soli fini della determinazio-ne dell'Irpef e non anche delle relative addizionali.

Tornano comunque applicabili le previsioni (art. 50 del D.L.vo 446 del 1997 e art. 1 del D.L.vo 360/1998), secondo le quali le addizionali sono dovute solo se per lo stesso anno risulta dovuta l'imposta sul reddito delle persone fisiche, al netto delle detrazioni per essa riconosciute.

Pertanto, qualora per lo stesso anno non risulti dovuta l'imposta sul reddito delle persone fisiche, anche per effetto della nuova deduzione per oneri di famiglia, non saranno dovute neanche le relative addizionali comunali e regionali.

Se invece la deduzione per oneri di famiglia determina solo l'emergere di un minor debito d'imposta, le addizionali sono dovute e la relativa base imponibile deve essere calcolata al netto della predetta deduzione.

3. Clausola di salvaguardia: rilevanza della deduzione per addetti all'assistenza personale

L'art. 12 del Tuir, a seguito delle modifiche apportate dal comma 349 della legge Finanziaria, prevede, al comma 4-bis, una nuova deduzione spettante in relazione alle spese sostenute dal contribuente, fino ad un importo massimo di 1.820 €, per gli addetti alla propria assistenza personale o all'assistenza personale di familiari, nell'ipotesi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana.

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LEGISLAZIONE E PRASSI AMMINISTRATIVA

14594/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

La deduzione in questione si applica secondo lo stesso meccanismo di calcolo previsto per le altre deduzioni per oneri familiari di cui al primo e secondo comma (rapporto che prevede al numeratore l'ammontare di 78.000 € a cui occorre aggiungere l'importo della deduzione in esame, di quelle per oneri familiari e degli oneri deducibili ex art. 10 del Tuir, e quindi sottrarre il reddito complessivo, e al denominatore l'importo di 78.000 €. Se il risultato del rapporto è mag-giore o uguale a 1, la deduzione compete per intero; se è pari a zero o minore di zero, la deduzione non compete; se è compreso tra zero ed 1, per il calcolo della deduzione vengono computate le quattro cifre decimali del rapporto stesso).

Poiché la nuova deduzione, inserita nell'art. 12 del Tuir, ossia tra le disposizioni strutturali che regolano il sistema di applicazione dell'Irpef, incide sulla determinazione del reddito complessivo, si deve ritenere che l'eventuale fruizione della stessa non impedisca il ricorso al meccanismo di salvaguardia.

Come ribadito con la Circolare n. 2/E del 2005, infatti, assumono rilevanza ai fini della verifica della clausola di salvaguardia le disposizioni del Tuir concernenti la determinazione complessiva della base imponibile, le aliquote d'imposta, gli scaglioni di reddito e la determinazione dell'imposta netta.

Il contribuente per individuare il sistema di tassazione a lui più favorevole deve confrontare l'imposta dovuta applicando le regole dettate per il 2005, comprensive quindi della nuova deduzione per le spese di assistenza personale in caso di non autosufficienza, con l'imposta dovuta applicando le regole vigenti al 31 dicembre 2004 basate sul primo modulo di riforma dell'Irpef che non prevedeva tale deduzione, o con quella dovuta applicando le regole anteriori alla riforma, vigenti al 31 dicembre 2002.

A cura diTen. Col. Dott. Marco Di Pierdomenico

Cap. Dott. Cosimo Lamanuzzi

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14614/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

Diritto Tributario

ANDRIOLA M., Le riorganizzazioni aziendali dalla riforma Visco alla riforma Tremonti. Il loro impatto sulla pianificazione fiscale, Diritto e pratica tributaria, 2005, n. 1, p. 69.

AZZONI V., Contenzioso: effetti della mancata indicazione, nel provvedimento tributario, delle modalità del ricorso e della Commissione competente, il fisco, 2005, n. 17, p. 2579.

BASILAVECCHIA M., Funzione di accertamento tributario e funzione repressiva: i nuovi equilibri dalla strumentalità alla sussidiarietà, Diritto e pratica tributaria, 2005, n. 1, p. 3.

BERSANI G., La responsabilità degli istituti di credito per le violazioni della normativa Consob: le prime interpretazioni da parte della giurisprudenza di merito, Impresa c.i., 2005, n. 3, p. 420.

CAPOLUPO S., Ias: considerazioni generali e riflessi fiscali, il fisco, 2005, n. 20, p. 2999.

CARANO A., Banche e segnalazione delle operazioni sospette: il Comitato antiriciclaggio si pronuncia in merito alle responsabilità del soggetto obbligato, il fisco, 2005, n. 19, p. 2866.

CINTOLESI E., La pianificazione fiscale concordata e le novità per gli studi di settore introdotte dalla Finanziaria 2005 (art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311), il fisco, 2005, n. 17, p. 2561.

CISI M., L'interpretazione del bilancio consolidato: rafforzamento patrimoniale tramite acquisizione societaria, Impresa c.i., 2005, n. 3, p. 411.

Rassegna Bibliografica

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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

1462 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

CROCE G., La disciplina fiscale della nautica da diporto, Diritto e pratica tributaria, 2005, n. 1, p. 125.

DEZZANI F. - DEZZANI L., Circolare n. 10/E del 16 marzo 2005 e risoluzione n. 35/E del 16 marzo 2005: conferimenti di opere e servizi nelle S.r.l. e nelle S.p.a., il fisco, 2005, n. 17, p. 2516.

DEZZANI F. - DEZZANI L., D.L.vo 28 dicembre 2004, n. 310 e D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6: il "leasing finanziario". Bilancio e nota integrativa al 31 dicembre 2004, il fisco, 2005, n. 19, p. 2855.

FARINA VALAORI E., Diritto societario: quando il revisore contabile, membro del collegio sindacale di S.p.a., viene sottoposto a misure cautelari, Impresa c.i., 2005, n. 3, p. 423.

FERRARO G., Il contratto di lavoro intermittente con le imprese tra le nuove occasioni di lavoro, Impresa c.i., 2005, n. 3, p. 425.

FIASCHI M., Le novità introdotte dalla Finanziaria relative alla disciplina degli studi di settore: revisione, adeguamento in dichiarazione, accertamento, il fisco, 2005, n. 20, p. 3059.

PORCARO G., Profili ricostruttivi del fenomeno della (in)utilizzabilità degli elementi probatori illegittimamente raccolti. La rilevanza anche tributaria delle (sole) prove "incostituzionali", Diritto e pratica tributaria, 2005, n. 1, p. 15.

SCHIAVON F., La cessione della quota del socio accomandante, Impresa c.i., 2005, n. 3, p. 437.

VISENTIN G.G. - PORFIDO R., Thin capitalization rule: aspetti qualificanti dell'istituto alla luce dei chiarimenti ministeriali forniti con la Circolare n. 11/E del 17 marzo 2005 e aspetti ancora non definiti, il fisco, 2005, n. 19, p. 2918.

Imposta sul valore aggiunto

DEL FEDERICO L., Contributi corrisposti per la costruzione di un impianto ospedaliero ed assoggettamento ad Iva, il fisco, 2005, n. 19, p. 2898.

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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

14634/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

FORTE N. - COSTANZO F., Iva: rivendita di beni che non hanno formato oggetto di detrazione. Esame critico della giurisprudenza di merito sul tema dell'art. 13, Sezione B, lett. c), della VI Direttiva Iva, il fisco, 2005, n. 19, p. 2901.

POSARELLI M., L'Iva nella gestione del servizio pubblico di parcheggio: il punto sulla questione, il fisco, 2005, n. 17, p. 2583.

SETTEMBRE D. - LOSCIALPO L., Circolare n. 4/E del 28 gennaio 2005: hanno finalmente un volto le prestazioni sanitarie, il fisco, 2005, n. 17, p. 2609.

Diritto Penale Tributario

SANTORIELLO C., Prescrizione dei reati tributari e "constatazione": la nuova disciplina e gli effetti sui contribuenti, il fisco, 2005, n. 19, p. 2957.

TRAMONTANO G., I nuovi obblighi antiriciclaggio per i possessori di libretti al portatore e l'evoluzione della normativa per i professionisti, il fisco, 2005, n. 17, p. 2641.

Imposte Dirette

ANDREANI G. - TUBELLI A., "Disinquinamento fiscale" in presenza di perdite, il fisco, 2005, n. 20, p. 3027.

BOIDI M. - GHISELLI F., Relazione critica tra participation exemption e società di comodo, il fisco, 2005, n. 19, p. 2885.

CAPILUPI S., L'indicazione dei redditi di capitale nei quadri RL e RM, Corriere Tributario, 2005, n. 21, p. 1647.

CAPOLUPO S., La tassazione del risparmio transfrontaliero, il fisco, 2005, n. 17, p. 2509.

CATTELAN G., Redditi agrari e redditi d'impresa forfettizzati prodotti dagli agricoltori, Corriere Tributario, 2005, n. 21, p. 1655.

COMMITTERI G.M. - SCIFONI G., Verifica dell'operatività e determinazione

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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

1464 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

del reddito per le società di comodo, Corriere Tributario, 2005, n. 21, p. 1661.

CINGANO R. - GAGGERO G., Spese di ricerca e sviluppo: un problema di non inquinamento fiscale del bilancio, il fisco, 2005, n. 20, p. 3043.

FUSA E., Imposte differite e disinquinamento fiscale: il legame tra la nota integrativa ed il prospetto EC dell'Unico, il fisco, 2005, n. 20, p. 3033.

MIGNARRI E., Unico 2005: le imprese e la deducibilità degli interessi passivi, il fisco, 2005, n. 17, p. 2552.

MOGOROVICH S., La rilevazione contabile delle indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia, Impresa c.i., 2005, n. 3, p. 435.

PEDROTTI F., La deducibilità del componente negativo di reddito in sede di cessione di crediti nelle operazioni di cartolarizzazione, Diritto e pratica tributaria, 2005, n. 1, p. 41.

PISONI P. - BAVA F. - BUSSO D., L'iscrizione in bilancio di plusvalenze non realizzate dopo il D.L.vo 28 febbraio 2005, n. 38: vincoli alla distribuzione di utili e riserve, il fisco, 2005, n. 20, p. 3013.

PISONI P. - BAVA F. - BUSSO D., Competenza e cassa nella determinazione del reddito imponibile, Impresa c.i., 2005, n. 3, p. 395.

TOMASSINI A. - TORTORA A., Profili di criticità nella dichiarazione delle CFC, Corriere Tributario, 2005, n. 21, p. 1666.

Imposte Indirette

ANDRIOLA M., II parere n. 2 del 2005 del Comitato antielusivo: utilizzo intersoggettivo delle perdite fiscali nel passaggio dall'Irpeg all'Ires, il fisco, 2005, n. 19, p. 2875.

CIANFROCCA S. - ROTUNNO C., Le novità relative all'imposta comunale sugli immobili contenute nella legge Finanziaria e nei provvedimenti collegati, il fisco, 2005, n. 19, p. 2937.

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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

14654/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

A cura della Redazione

DEBIASI M., Imposta di bollo: regime tributario degli adempimenti in materia di corsi di formazione professionale. Ambiti applicativi dell'imposta di bollo e possibili fattispecie di esenzione dal tributo, il fisco, 2005, n. 17, p. 2636.

PUDDU L., Erogazioni liberali delle fondazioni bancarie e detrazioni dall'Ires, il fisco, 2005, n. 20, p. 3010.

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14674/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

PALIERO C. E. - UBERTIS G., Codici per l'udienza penale, Raffaello Cortina Editore, 2005, pp. 2236, € 30,00.

La pubblicazione unitaria dei codici penale e di procedura penale nonché dei principali testi complementari persegue lo scopo di offrire un quadro il più possibile aggiornato e completo delle disposizioni del sistema penale volta a volta applicabili.

Anzitutto, omessi soltanto i riferimenti ai decreti-legge non convertiti nel termine costituzionalmente previsto, in calce a ciascun articolo dei due codici e della normativa a loro collegata si è trascritta l'eventuale serie delle relative formulazioni così da meglio comprenderne la direzione ermeneutica e si è richiamata la normativa a esso attinente, anche se (per evidenti ragioni di spazio) non riportata nelle pur numerose sezioni costituenti la normativa complementare.

Inol t re , per ognuno dei test i anter ior i a l la r i forma processualpenalistica del 1988, si è effettuato il coordinamento con quest'ultima e con le successive innovazioni attraverso la specifica indicazione in nota delle modifiche intervenute (comprese quelle desumibili soltanto implicitamente) e si sono segnalate distintamente le interpolazioni dovute ai molteplici decreti conseguenti alla legge-delega, appositamente elencati dopo di essa per agevolare il controllo sull'osservanza delle sue direttive da parte del legislatore delegato.

Peraltro, va evidenziato che, pure in presenza di un apparato legislativo complesso, instabile e spesso caotico, un principio tuttavia è rimasto fermo, indipendentemente dalle eventuali preferenze di ciascuno: quello del rispetto della Costituzione e delle Convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo ratificate dall'Italia.

Ne è derivata la scelta di far seguire alla riproduzione della Carta costituzionale quella dei principali Atti internazionali in materia e di

Recensioni

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RECENSIONI

1468 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

richiamare le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, che abbiano riconosciuto violazioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo da cui emergano possibili incompatibilità della normativa italiana, tanto codicistica quanto complementare, con le prescrizioni della stessa Convenzione. In questa prospettiva, si giustifica l'esclusione delle pronunce attinenti, per un verso, a questioni esclusivamente collegate ad aspetti peculiari del caso deciso (come quelle riguardanti l'eccessiva lunghezza dei tempi processuali, per loro natura essenzialmente connesse all'evolversi concreto della singola vicenda o alle contingenti carenze dell'organizzazione giudiziaria, anziché a una valutazione di consonanza della legislazione nazionale con i precetti di fonte internazionalistica); per l'altro, a questioni magari attuali per alcuni Paesi del Consiglio d'Europa, ma per noi superate nel senso di un già effettivo adeguamento italiano ai princìpi pattiziamente sanciti. Si segnala tuttavia che l'incremento numerico (che aveva contribuito a generare la riforma di cui al Protocollo n. 11 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo) delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, spesso ripetitive di quanto ormai acquisito nella sua attività, induce a compiere un'ulteriore cernita tra le medesime, qualora non si riferiscano all'Italia. Quando siano relative ad altri Stati, pertanto, si è scelto di indicarle tutte soltanto se emesse fino al 31 ottobre 1998 o pronunciate dalla grande camera funzionante dal 1° novembre 1998, invece ricordando esclusivamente quelle concernenti questioni affrontate per la prima volta (e non successivamente decise anche dalla grande camera), se deliberate dalle singole sezioni operanti da tale seconda data.

Quanto al la giurisprudenza costituzionale, i l carattere eminentemente normativo del presente lavoro, che rende doverosa la considerazione delle sentenze di accoglimento per la loro indubbia incidenza sul testo legislativo, non è sembrato sufficiente per esimere dalla citazione di quelle interpretative di rigetto. Infatti, anche a esse viene comunemente attribuito un effetto generale almeno indiretto, nel senso di imporre al giudice, che intenda sostenere l'interpretazione disattesa dalla Corte costituzionale, di rimettere gli atti a quest'ultima.

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RECENSIONI

14694/2005 Rivista della Guardia di Finanza RASSEGNE

DEGL'INNOCENTI L. - FALDI F., Misure alternative alla detenzione e procedimento di sorvegl ianza , Giuff rè Editore, 2005, pp. 352, € 25,00.

L'opera si propone di delineare un quadro completo ed aggiornato della complessa materia delle misure alternative alla detenzione (comprese l'espulsione del cittadino straniero dal territorio dello Stato, prevista dall'art. 16, quinto comma del D.L.vo 286/1998, così come modificato dalla c.d. Legge Bossi-Fini e la sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva, c.d. indultino, istituita dalla L. 207/2003) e dei relativi meccanismi di applicazione cercando di offrire, agli operatori del diritto ed agli studenti universitari, una sintesi esaustiva dei più significativi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, con particolare riferimento, oltre che alla giurisprudenza di legittimità, anche a quella di merito non sempre adeguatamente valorizzata. Un apposito capitolo è, infine, dedicato al procedimento di Sorveglianza.

RUSTICHELLI R. - TALENTI V., La falsificazione delle patenti straniere, Laurus Robuffo, 2005, pp. 186, € 32,00.

II fenomeno dell'immigrazione di cittadini stranieri nel territorio italiano sta assumendo, col tempo, i connotati di vero e proprio movimento migratorio, inteso nell'accezione di trasferimento verso i confini nazionali di intere popolazioni ed etnie.

In questo contesto, l'utilizzo da parte degli stranieri, giunti nel nostro Paese, di patenti estere e di permessi internazionali di guida, di diversa specie e natura, crea problemi agli organi titolari di attribuzioni in materia di polizia stradale e di polizia di frontiera, sia di interpretazione delle norme che disciplinano la materia, sia operativi, in riferimento al controllo di autenticità di tali documenti.

Fino a qualche anno fa, gli stranieri muniti di patente estera erano, molto di frequente, conducenti professionali di autoveicoli adibiti al trasporto merci, o cittadini appartenenti a Paesi europei presenti sul nostro territorio per ragioni turistiche, dotati di abilitazioni di guida

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RECENSIONI

1470 Rivista della Guardia di Finanza 4/2005RASSEGNE

facilmente verificabili, in quanto simili alle corrispondenti patenti italiane; attualmente, esiste invece una moltitudine di patenti rilasciate da Paesi extraeuropei di difficile controllabilità, atteso che le loro caratteristiche strutturali sono di non facile comprensione.

La presente opera, al fine di risolvere le problematiche evidenziate, mette a disposizione degli operatori di polizia stradale gli strumenti conoscitivi, nonché tecnico-operativi, indispensabili per dare puntuale esecuzione alla complessa disciplina normativa afferente i documenti stranieri di guida.

Per il taglio operativo che la contraddistingue, essa si appalesa di facile consultazione ed apprendimento: ad una breve analisi delle fonti normative afferenti i documenti stranieri di guida, fa infatti seguito l'esame dei modelli e delle tecniche operative da utilizzare, da parte degli operatori di polizia stradale e della polizia di frontiera, per il controllo, su strada, dei documenti medesimi.

A completamento della trattazione, è riportato un rilevante numero di modelli di patenti e permessi internazionali di guida, originali, di diversi Paesi, comunitari e non, costituenti un indispensabile ausilio al fine della rilevazione dei falsi documentali da parte degli operatori che esercitano funzioni di polizia stradale.

A cura della Redazione