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Mirella Santamato

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ISBN 978-88-98829-90-3

©2016 Uno Editori

Prima edizione: Giugno 2016

Tutti i diritti sono riservatiOgni riproduzioni anche parziale e con qualsiasi mezzo, deve essere preventivamente autorizzata dall’Editore.

Copertina: da una idea grafica di Elisa Leotti www.xvinca.comImpaginazione: Caterina RobattoEditing: Enrica Perucchietti, Andrea Cogerino

Stampa: Litostampa Mario Astegiano, V. Marconi 94/b - Marene (CN)

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Mirella Santamato

Quando Troia era solo una città

Scopri come il passaggio da una società matrilineare

di cooperazione ad una società patriarcale di dominio assoluto,

cambiò le sorti dell’umanità

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IndIce

9 Prefazione

13 Introduzione

15 Prologo

23 1 Donne, Dive o Dee?

33 2 L’Età dell’oro

41 3 Dal canto al teatro

47 4 Amazzoni antiche e Amazzoni moderne

57 5 Origine della violenza

61 6 Verginità: trappola patriarcale

69 7 L’inversione dei poli

79 8 In nome del Padre

85 9 I colori e i simboli dell’antichità

93 10 Animali totemici

101 11 L’onore dei figli e dei fratelli

107 12 Il Dio che partorisce

119 13 Della legge e dell’arte medica

127 14 La seduzione femminile

133 15 I vari aspetti della morte

139 16 L’impunità degli uomini

147 17 Il Fato

157 18 Falchi e colombe

169 19 I vincitori

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179 20 I vinti

191 21 Il Cavallo di Troia

199 22 L’inizio dell’inganno

211 23 L’importanza dei libri

221 24 Il crepuscolo delle dee

233 L’Autore

234 Ringraziamenti

235 Bibliografia

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Dedicato a tutti i papà che hanno delle figlie

e a tutte le figlie che non capiscono i loro papà.

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Prefazione

Leggendo il libro di Mirella Santamato si comprende che il passato si presti a chiavi di lettura diverse, variegate, spesso contrastanti, quanto meno nel merito del contenuto.Pertanto, quando ci si approccia a certi testi è necessario dichiarare – prima a se stessi – poi, se necessario, a coloro con cui si comu-nica, quali sono le finalità con cui si conduce la lettura. I poemi omerici possono essere letti innanzitutto come opere meramente letterarie, componimenti di poesia epica, e come tali valutati; pos-sono poi essere utilizzati come fonte di informazioni su un passato che, nella sua veste spesso considerata spesso superficialmente mi-tica, contiene invece la sostanza di ricordi storici capaci di fornire indicazioni su eventi che sono realmente accaduti.Possono infine, come fa l’autrice, essere intesi come

«rivelazione ipotetica di un antico mistero, la narrazione criptata sotto

potenti metafore, del cambiamento di pensiero epocale da una società

matrilineare e matrifocale, pacifica e prospera, a una società violenta e

guerresca denominata, comunemente, “patriarcale”».

Una chiave di lettura finalizzata a ipotizzare e descrivere un proces-so millenario, che è antropologico ma anche personale e psicologi-co, sottinteso alla stessa evoluzione culturale dell’umanità e del suo convivere nelle varie forme di organizzazione sociale.

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10 qUANdO TROIA ERA SOLO UNA CITTà

In questo senso ha ragione l’autrice quando dichiara:

«Poco importa […] che Omero sia esistito o meno o che abbia davvero

scritto (cosa molto improbabile) i due poemi più grandiosi dell’antichi-

tà. quello che importa è che l’Iliade esiste e di questa stessa esistenza

dobbiamo essere grati».

Se quel testo è davvero capace di facilitare il processo di compren-sione di cui necessitiamo per penetrare il presente e declinarlo nelle sue varie sfumature culturali, sociali e psicologiche, dobbia-mo veramente essere grati ai poemi omerici e a chi li ha prodotti: chiunque esso (o essi) sia (siano).Altrettanto grati dobbiamo essere a chi, come Mirella Santamato, fornisce ai lettori l’occasione per riscoprire, o scoprire ex-novo, un capolavoro del passato arricchito da spunti che devono essere uti-lizzati per elaborare personali e autonome riflessioni.questi spunti devono avere l’obiettivo di rielaborare una storia per giungere alla comprensione del presente e hanno quindi, proprio come il testo da cui originano e la riflessione che inducono, la caratteristica tipica di ciò che è valido per ogni tempo, per ogni età in cui ci sia un essere umano che desidera concretizzare intelli-gentemente le possibilità offerte dalla struttura che lo rende tale: la mente con la sua funzione precipua.E ogni essere umano si pone necessariamente domande come quelle cui l’autrice prova a dare risposta:

• Perché la parola “Troia”, che una volta indicava una delle più belle città del mondo antico, ora è diventato un epiteto offen-sivo per una donna?

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PREfAzIONE 11

•L’Iliade è solo un poema epico o nasconde altro?

• La cosiddetta “Età dell’oro” di cui parlano Esiodo, Platone, Virgilio e altri filosofi, è davvero esistita?

• Senza la distruzione di Troia, esisterebbero oggi le religioni monoteiste?

•Perché il Cavallo di Troia era proprio un cavallo?

•Chi era Lilith?

•Il matrimonio è sempre esistito?

• dove ebbe origine il male della dominanza e dello sfrutta-mento delle persone, degli animali e del pianeta?

• Nella proibizione di mangiare il maiale nelle grandi religioni monoteiste c’è la traccia dello scontro che ha visto la società patriarcale prevalente sulla precedente civiltà matrilineare?

Insomma, le corrispondenze tra i testi antichi di varie culture tor-nano anche in questa lettura innovativa, alternativa, capace di aiu-tarci a vedere il mondo antico in una luce nuova che illumina e po-tenzialmente decodifica anche molti enigmi del mondo moderno.

Mauro Biglino

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Introduzione«O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde

sotto ‘ l velame de li versi strani».Dante alighieri1

I miei libri nascono la mattina presto. quando nel dormiveglia della prima luce, un pensiero fisso mi martella la mente e non vuo-le andarsene. Apro gli occhi, guardo la sveglia, ma quel pensiero è sempre lì. È sempre lì perché vuole essere scritto. Così accade per le poesie e così accade quando un pensiero diventa così lungo da formare un libro. questo libro è un pensiero lungo, lunghissimo, talmente lungo da comprendere migliaia e migliaia di anni. Anche per quanto riguarda la mia vita, il pensiero che porta a que-sto libro parte da lontano, dalla fanciullezza, quando, tremante ragazzina del liceo, mi apprestavo a leggere uno dei più grandi poemi dell’Umanità: l’Iliade.Allora non avrei mai immaginato che, a distanza di tanti decenni, proprio l’Iliade mi sarebbe venuta in mente quella “mattina presto” in cui è nato questo libro. I ricordi del mio compitare in greco an-tico sono lontani, appunto, ma oggi, dopo molti studi e approfon-dimenti, sono giunta a una visone sorprendente di questa opera millenaria. questi antichissimi racconti che l’umanità ha distillato

1 Divina Commedia, Inferno, IX, 61-63.

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nei millenni e le cui origini sono avvolte nel mistero nascondono sempre molti livelli di lettura.della “questione omerica” sono pieni tutti i libri di letteratura del liceo, e quest’opera non si propone certo di dirimere le varie con-tese tra gli studiosi di ogni tempo. Poco importa, a mio avviso, che Omero sia esistito o meno o che abbia davvero scritto (cosa molto improbabile) i due poemi più grandiosi dell’antichità. quello che importa è che l’Iliade esiste e di questa stessa esistenza dobbiamo essere grati. Le antiche Storie come la Bibbia, l’Iliade, l’Odissea, le antiche fia-be iniziatiche hanno formato la nostra attuale narrazione del mon-do. Ogni interpretazione diversa di queste antiche Storie, come, per esempio la rivisitazione in chiave non-sacra della Bibbia2 o la scoperta di Codici iniziatici nelle antiche fiabe3 cambia la narra-zione del nostro mondo. La narrazione si amplia, si ramifica in tante ipotesi diverse, una più affascinante dell’altra e man mano si rivelano i segreti una volta celati.questo libro è la rivelazione ipotetica di un antico mistero, la nar-razione criptata sotto potenti metafore, del cambiamento di pen-siero epocale da una società matrilineare e matrifocale, pacifica e prospera, a una società violenta e guerresca denominata, comu-nemente, “patriarcale” o della dominanza, come la definisce la studiosa Riane Eisler4.Il lungo cambiamento è durato circa una decina di migliaia di an-ni e da questo magico numero “dieci” partiamo per raccontare la nostra nuova, ovvero antica, anzi antichissima storia.

2 Si vedano i libri di Mauro Biglino citati in Bibliografia.3 Si veda il libro Le Principesse ignoranti, della stessa autrice, citato in Bibliografia.4 Si veda Bibliografia.

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Prologo

«Cantami, o diva, del Pelide Achillel’ira funesta…».

queste prime parole sono rimaste indelebili nella mente di molti lettori e la trasposizione italiana di Vincenzo Monti rimane “la traduzione” senza emuli o rivali. Ha vinto su tutti. Eppure già qui troviamo alcune parole chiave su cui voglio soffermarmi.La prima “Cantami” è già chiarissima: si tratta di un “canto” quin-di di qualcosa di orale, non scritto e come tale va intesa l’intera opera. L’Iliade appartiene a quel corpus di storie trasmesse oral-mente di generazione in generazione, a cui si è trovato, secoli e secoli dopo la loro nascita, un nome di autore leggendario. Nessuna prova storica esiste per dichiarare la sicura esistenza di un poeta chiamato Omero. Si crede a questo nome, in qualche modo, per fede, esattamente come si crede, per fede, a tante altre antiche narrazioni del mondo come la Bibbia e i Vangeli. Nello stesso modo si potrebbe credere alle antiche fiabe iniziatiche.L’unica cosa certa è che qualche popolazione antica ha ritenuto importante tramandare queste storie ai posteri. Anche l’Iliade, quindi, appartiene a queste Storie importanti.In questo testo si spiega come si possa senz’altro ancora concordare sulla sua importanza, ma da un altro punto di vista, ovvero eviden-ziando come essa narri, sotto metafora, un cambiamento radicale del pensiero dell’umanità: il passaggio da una società collaborativa e sostanzialmente egualitaria a una società di dominanza di un pic-

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colo gruppo, gerarchicamente e sessualmente connotato, sul resto dell’umanità intera.La seconda parola, “diva”, mette l’accento sull’argomento princi-pale di questo trattato. Nell’interpretazione tradizionale, filtrata da millenni di visone patriarcale, la famosa “diva” altri non è che una “Musa”, ovvero una delle divinità minori del Pantheon greco, ispi-ratrice di poeti e artisti. Io invece reputo meglio tradurre la parola letteralmente ricordando che “diva” significa “dea”. Μῆνιν ἄειδε θεὰ sono le antiche parole testuali e non lasciano adito a dubbi: θεὰ è la dea. Allora il Canto si rivolge all’antica dea, chiamata a testimone del-lo sfacelo della sua antica civiltà causato dell’“ira funesta” dell’eroe guerriero, apportatore di lutti agli “Achei” cioè al suo stesso po-polo. Infatti uno degli aspetti peculiari e, per certi versi, sorpren-denti del patriarcato, è proprio quello di “infliggere lutti e morte” ai suoi stessi popoli. Per la società patriarcale è molto più “natu-rale” la Guerra della Pace. Tendenzialmente la società di stampo patriarcale concepisce come “soluzione di ogni controversia” la guerra e, di conseguenza, per millenni ha regolarmente mandato i suoi stessi cittadini maschi in guerra a morire. I giornali che troviamo ogni mattina in edicola sono ancora ricchi di esempi di queste brillanti “soluzioni”, tramite guerre, per conflitti e disac-cordi di varia natura.L’Iliade, quindi, ci parla e ci racconta della Prima Guerra, di quel momento antichissimo in cui questo terribile pensiero si formò e inflisse “infiniti lutti” ai popoli che ci credettero. Prestate attenzione al fatto che non si tratta di addurre lutti al co-siddetto “nemico”, cioè i Troiani, ma al popolo acheo stesso. davvero significativo! questo è uno dei tratti salienti di quel mo-

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PROLOGO 17

vimento sociale e culturale che verrà denominato, in epoca moder-na, “sistema patriarcale o della dominanza”. delle origini di questa particolare cultura, fondata sull’uso delle armi e sul dominio delle persone, tratterò in modo diffuso in que-sto excursus, tenendo ben presente che tutto il poema dell’Iliade è visto dalla “parte dei vincitori”, ovvero già filtrato dalla nascente cultura patriarcale che stava muovendo i primi passi.Se proseguiamo la disanima delle prime parole del testo, infatti, troviamo che la famosa “ira funesta” appartiene al Pelide Achille, cioè all’eroe guerriero per antonomasia, che viene definito con il suo patronimico, ovvero con il nome del padre. Alle nostre orecchie ciò suona “normale” perché millenni di pa-triarcato ci hanno abituato a cognomi derivati, appunto, dal pa-dre, ma anticamente le cose stavano diversamente. La famiglia apparteneva alla Mater che la procreava dal suo stesso corpo e quindi tutti i figli erano suoi, sia maschi sia femmine. Il grande poema si dispiega, quindi, su un lunghissimo periodo di tempo e i famosi “dieci anni”, comprendono, sotto metafora, tutte le cosiddette Età del metallo: dall’Età del rame, passando per quella del bronzo fino ad arrivare a quella del ferro; in altre parole, dalla fine del Neolitico fino all’Età storica vera e propria. Le ultime espugnazioni delle civiltà della dea avvengono con la distruzione di tante città del Sud del mondo allora conosciuto, partendo da Troia e finendo con Creta. Il crepuscolo delle dee è quindi l’argomento di fondo di questo poema, la cui bellezza cadente trova ampio risalto nella profondità dei versi sublimi. L’Iliade narra della caduta di Ilio, cioè della ricca e opulenta città della regione storica dell’Asia Minore, compresa tra l’Ellesponto

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e il Golfo di Adramittio, che corrisponde, nelle moderne cartine, all’estremo angolo nord-occidentale della Turchia asiatica.Ilio è il nome derivato dal mitico fondatore della città, ma la città non viene ricordata con questo nome, se non dagli studiosi. La gente comune la conosce con il nome di “Troia”. questa parola, di per sé, fa correre il pensiero a un altro significato che nulla ha che vedere con la città ricordata da Omero.Infatti, con la stessa parola definiamo una “donna di malaffare”. Come mai? Cosa può avere determinato l’equivoco che nei secoli si è istaurato nell’inconscio collettivo tra questi due significati così diversi? Analizziamo questa doppia valenza, che nasconde altri si-gnificati segreti. Con l’appellativo di “troia” il linguaggio del patriarca definisce non solo una donna genericamente dedita al vizio della lussuria, per la quale viene usata comunemente la parola “puttana”, ma una donna che, per questo vizio, tradisce l’uomo. Troia è quindi una “traditrice”, proprio come Elena, moglie di Menelao, che tradisce il marito per fuggire con l’amante più giovane e bello, ossia Paride. La guerra di Troia, quindi, è una guerra nata dal tradimento di una donna. “Elena” è un nome troppo santificato dalla Chiesa (ricordiamo la madre di Costantino, la grande Sant’Elena) per poterlo tramanda-re come epiteto ingiurioso.d’altra parte, “Elena di Troia” suona ai nostri orecchi come un tutt’uno, quasi fosse un nome e cognome. Non potendo quindi ricordare la traditrice con il nome, troppo diffuso tra le donne oneste, si è preferito ricordarla con il “cognome”, ovvero Troia, che da allora in poi è stato usato nella nostra lingua, con il significato negativo che tutti conosciamo.

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PROLOGO 19

Singolare anche il fatto che altre lingue neolatine mantengano la stessa ambivalenza; in francese, per esempio, la città di Troia si dice Troie, ma truie significa “scrofa” ed è usato, come in italiano, come dispregiativo per la donna. Nessuna corrispondenza invece, per le lingue europee di altro cep-po linguistico. Risulta quindi impossibile non pensare a strane connessioni eti-mologiche, per quanto riguarda l’area del mediterraneo, anche se non ci aspettiamo che i linguisti possano fornire prove al riguar-do. L’etimologia ufficiale della parola “troia” indica la femmina del maiale, scrofa, appunto, che spesso viene rappresentata gravida, ovvero con dei piccoli nella pancia. Il famoso “Porcus troianus” altro non era che un modo di cucinare la porchetta nell’antica Ro-ma, dove la pancia del maiale veniva farcita di piccoli volatili arro-stiti e poi rosolata allo spiedo. La pancia della porchetta era “farcita” come il ventre del famoso Ca-vallo di Troia e probabilmente fu questo il motivo di tale appellativo.Non bisogna dimenticare, a questo proposito, le parole di Marija Gimbutas che, nel secondo volume de La civiltà della dea, scrive a pagina 1:

«Per almeno ottomila anni l’animale sacro della Madre Terra è stato il

maiale, forse perché cresce rapidamente ed è molto prolifico. La sua cre-

scita e fecondità venivano paragonate all’abbondanza del raccolto. Si so-

no rinvenute sculture in argilla che riproducono maiali risalenti all’inizio

del Neolitico».

Ovviamente, nel rovesciamento culturale patriarcale, uno degli animali più immondi è considerato proprio il maiale. Per due tra

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le tre religioni monoteiste più radicali che derivano dal ceppo della Bibbia, l’islam e l’ebraismo, non è un caso che l’unica carne “proi-bita” e “impura” sia proprio la carne di maiale. Tutto torna per-fettamente: ogni cosa anticamente sacra alla dea Madre, diventa negativa e malefica per il dio Padre. Nelle nostre campagne ancora oggi si festeggia “il maiale”, quan-do tutta la comunità si riunisce in un giorno d’inverno stabilito per l’uccisione della povera bestia e per la lavorazione comunitaria delle sue carni appena macellate. Il lavoro dura l’intera giornata o anche più giorni e il cibo viene insaccato e conservato per i mesi a venire. La carne del nobile animale è stata, per secoli, una del-le poche risorse alimentari in grado di sfamare l’intera comunità per molto tempo. Eppure la buona scrofa (o “troia”), che è quella che produce tutti i maialini e senza la quale non ci sarebbe simile approvvigionamento, viene disprezzata e vilipesa da chi, poi, si ap-profitta della sua natura prolifica. Un paradosso? Sì, certo! Come capiremo, il pensiero patriarcale è tutto fondato su paradossi assurdi e ingiustizie incredibili, eppure l’umanità si è lasciata fuorviare da migliaia di anni su questi con-cetti fondamentali. Vedremo come e perché.Al di là del mero rimando gastronomico e nutrizionale a cui abbia-mo accennato, rimane il fatto che noi attribuiamo immediatamen-te la parola “troia” a una donna.Incredibile come nessuno abbia finora pensato che le vicende di Elena possano essere anche lette in modo positivo, cioè come la storia di una donna coraggiosa che si innamora perdutamente di un uomo e lo segue in capo al mondo, noncurante delle leggi e dei legami pregressi.

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questa lettura, pur lecita, dei fatti non corrisponde alla visone comune, tramandata dai Padri e che ha “bollato” tutto il genere femminile da quei tempi fino a ora. da Elena di Troia alla presunta mela di Eva, il passo è davvero breve! E questo, come vedremo, non è un caso.