Single Time Constant Measurement Dr. Len Trombetta 1 ECE 2100.
Mida Ideogrammi - Come migliorare l'efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
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COME MIGLIORARE L’EFFICACIA COMMERCIALE
E VENDERE DI PIU’
di Silvio Trombetta
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di piu, di Silvio Trombetta
Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche, intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori
traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo. I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio
peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.
COME MIGLIORARE L’EFFICACIA COMMERCIALE
E VENDERE DI PIU’ di Silvio Trombetta
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
1. Vendere di più e vendere “meglio”: come si fa?
La richiesta di migliorare l’efficacia commerciale di singoli
individui e, più in generale di intere reti commerciali, è di
assoluta attualità.
Le sempre più difficili condizioni concorrenziali e di mercato
richiedono capacità sempre più sviluppate di gestione
commerciale e di relazione con il cliente.
Sono quindi molto frequenti richieste da parte sia di singoli
sia di organizzazioni, le quali ci chiedono interventi per lo
sviluppo delle competenze commerciali.
Le richieste portano con sé esigenze diverse, riferite alla
capacità di migliorare le vendite sia da un punto di vista
quantitativo (vendere “semplicemente” di più), sia da quello
qualitativo, che significa “vendere meglio”, ossia riuscire a
curare tutti i dettagli del processo di vendita in modo così
accurato da costruire e mantenere una buona relazione
commerciale con i clienti. Vendere meglio può significare,
per esempio, migliorare le capacità di esplorazione e di
analisi delle esigenze, oppure, sempre per fare esempi, di
gestire con efficacia le obiezioni dei clienti. Va da sé,
d’altronde, che soddisfare queste e altre esigenze di tipo
qualitativo significa migliorare anche il volume delle vendite:
far crescere la qualità ha dunque impatto anche sulla
quantità.
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
Il punto è pertanto: come si fa a vendere di più e/o a
“vendere meglio”?
Sperimentazioni effettuate da illuminati Autori e le nostre
modeste esperienze sul campo convergono nel concordare
che vi sono alcuni comportamenti maggiormente adeguati
per vendere con maggiore efficacia: “commerciali” che
adottano determinati comportamenti vendono di più e
gestiscono con maggiore qualità il processo di vendita e la
relazione con i clienti.
Quali siano nel dettaglio i comportamenti opportuni dipende
da una serie di fattori:
– qual è l’oggetto della vendita: servizi o prodotti? E quali
servizi o quali prodotti?
– lo stile aziendale nella gestione del processo di vendita
– le dinamiche del mercato di riferimento
– ecc.
Ciò che in questa sede ci interessa non è tanto definirli,
quanto, piuttosto, far comprendere in che modo crediamo
che un intervento consulenziale e formativo possa avere un
reale impatto nel modificare i comportamenti commerciali
dei venditori (anche esperti).
I comportamenti possono essere modificati attraverso un
approccio per fasi:
– spiegando perché un determinato modo di fare non è
congeniale al raggiungimento di obiettivi specifici;
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– proponendo una o più alternative, magari
argomentando, anche qui, sui vantaggi di questa
soluzione;
– facilitando l’applicazione del “nuovo” modo di operare.
Questa modalità d’intervento intuitiva e di semplice
attuazione a volte – ma sarebbe più adeguato scrivere:
spesso – non è efficace. Stiamo dicendo che frequentemente
non basta affermare che un certo modo di fare e di
comportarsi non va bene e che sarebbe più opportuno avere
un approccio diverso.
Ciò non è sufficiente soprattutto quando il comportamento
che si vuole modificare è abituale, è frequentemente
praticato, fa ormai parte della persona che lo adotta.
Complica ulteriormente la situazione il fatto che quel
comportamento abbia prodotto, in passato, risultati
apprezzabili.
Insomma, l’abitudine e l’esperienza, per giunta positive, non
facilitano il processo di cambiamento.
Quando, pur spiegando loro quali comportamenti ci
aspettiamo, le persone non si uniformano a quanto ci
attendiamo da loro, questa strada non ci porterà da nessuna
parte.
La spiegazione è più profonda di quanto non possa
sembrare. L’abitudine e le esperienze di successo personali
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o di altri hanno consolidato il comportamento e la
convinzione della sua efficacia.
In questi casi, che sono invero la maggior parte, per
modificare i comportamenti è indispensabile ristrutturare le
convinzioni che “sostengono” quei comportamenti.
Vediamo più in dettaglio, nei paragrafi seguenti, quali siano
le ragioni di questo meccanismo mentale.
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2. Le convinzioni e il loro impatto sull’autoefficacia
a tesi che vogliamo qui sostenere è che le convinzioni che
ognuno di noi attiva all’interno della sua mente influiscono
significativamente sul livello delle prestazioni che
eroghiamo.
Sosterremo che la direzione dell’influenza è tale per cui,
quando le convinzioni sono “potenzianti”, così come in
letteratura1 vengono definite, il livello della prestazione è
mediamente più elevato rispetto al caso in cui l’erogazione
della stessa prestazione avviene quando i pensieri attivati da
chi mette in atto la performance sono di tipo
“autolimitante”2.
Dimostreremo quindi che, per sviluppare livelli di
prestazione più elevati, è fondamentale acquisire la
consapevolezza, innanzitutto, dell’influenza che le
convinzioni hanno sul nostro agire quotidiano; e che, una
volta sviluppata questa consapevolezza, la focalizzazione
dovrà essere posta su come fare per riuscire ad agire
influenzati da convinzioni potenzianti invece che
autolimitanti.
1 Questo termine viene utilizzato da molti Autori ed è consolidato nella letteratura sul tema. 2 Si definiscono convinzioni autolimitanti quelle in cui le persone non si percepiscono capaci di raggiungere un determinato risultato, anche perché tendono a non percepire di poter influenzare il raggiungimento dell’obiettivo.
L
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Per argomentare la nostra tesi forniremo, innanzitutto, un
inquadramento teorico del tema, all’interno del più ampio
costrutto del potenziamento del sé (o empowerment) e, in
particolare, con riferimento alla teoria dell’autoefficacia
(self-efficacy).
Proporremo, inoltre, i risultati di alcuni interventi di successo
realizzati presso Aziende di settori merceologici differenti
che hanno dimostrato come la tesi che sosteniamo sia in
pratica efficace nello sviluppare le prestazioni commerciali.
La teoria che sosteniamo è, infatti, applicabile in concreto,
ed è stata appunto sperimentata con successo in moltissimi
ambiti: medico, sportivo, commerciale3, ecc.
3 Cfr. per i diversi ambiti di applicazione, tra gli altri, gli studi di Cervone e Bandura.
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3. La relazione fra convinzione e comportamento
Come copiosa letteratura dimostra4, esiste ormai unanime
consenso sul fatto che le convinzioni siano un elemento
fondante per il nostro agire quotidiano.
Ciò che facciamo in ogni momento, e il modo con il quale
agiamo, è determinato dai pensieri che si sono sviluppati
nella nostra mente.
Le azioni che mettiamo in atto sono la conseguenza del fatto
che pensiamo che fare quella cosa sia giusto, etico,
opportuno, dovuto, ecc., a seconda dei casi.
Compiamo quell’azione perché ci siamo convinti che sia, qui
e ora5, quella che va compiuta. E che le modalità con le
quali la stiamo mettendo in atto siano quelle più opportune.
Ci interessa sottolineare qui la forza del legame fra la
convinzione e l’azione conseguente: è importante affermare
che l’azione o il comportamento che conseguono alla
convinzione devono essere coerenti. Si tratta di una
coerenza, ovviamente, non assoluta, ma dal punto di vista
soggettivo di chi la mette in atto.
4 Cfr., fra gli altri, Il senso di autoefficacia, a cura di A. Bandura, Erickson 1997. 5 Con l’espressione convenzionale “qui e ora” s’intende tipicamente denotare che quanto stiamo dicendo è vero se contestualizzato in un determinato momento, contesto e situazione. La stessa azione o lo stesso comportamento, pur con riferimento alla stessa persona “agente” potrebbero cambiare, mutando il momento, il contesto e la situazione.
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Questa coerenza è - potremmo dire - “sana”, nel senso che
se, viceversa, non intervenisse, le persone dimostrerebbero
sintomi di patologie simil-schizofreniche.
“Teorici di spicco come Leon Festinger, Fritz Hieder e
Theodore Newcomb considerano il bisogno di coerenza un
fattore centrale nella motivazione del comportamento”6.
A favore della coerenza gioca, d’altronde, l’apprezzamento
sociale e la sua utilità, mentre l’incoerenza è considerata un
tratto di personalità negativo se non, addirittura come
accennavamo, persino patologico.
Se alzandosi al mattino una persona, guardando fuori dalla
finestra, si convincesse che in quella giornata pioverà, è
altamente probabile che quella persona prenderà delle
decisioni che le faranno assumere dei comportamenti
coerenti con la sua convinzione: per esempio, è probabile
che indosserà scarpe “chiuse” anziché sandali, una giacca
impermeabile e che porterà con sé l’ombrello.
L’esempio serve per affermare che anche comportamenti (e
azioni) abituali e quotidiani sono influenzati dalle convinzioni
che sono state attivate, ancorché questo passaggio non sia
esplicito e consapevole. Infatti, quello stesso giorno, due
persone che abbiano osservato lo stesso cielo nuvoloso
potrebbero aver agito diversamente: l’una portandosi dietro
l’ombrello; l’altra no.
6 In Cialdini R.B. Le armi della persuasione, Giunti 2010 pag. 67.
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Senz’altro, ciò sarà dovuto al fatto che le convinzioni relative
alle evoluzioni meteorologiche di quella giornata siano state
diverse: in un caso si sarà attivata la convinzione “pioverà”,
nel secondo caso quella opposta.
E’ interessante questa diversità di comportamento per
comprendere come la produzione della convinzione sia
davvero un processo soggettivo.
Se intervistassimo la persona che ha portato con sé
l’ombrello, in quanto convinta che pioverà, e le chiedessimo
perché si è persuasa che il tempo volgerà al brutto,
certamente ci spiegherà le sue ragioni facendo riferimento
alla sua esperienza, al suo vissuto precedente in situazioni
similari. Scopriremmo quindi che la sua convinzione ha
preso forma utilizzando il dato di realtà-cielo nuvoloso (che
è sempre - va ricordato - una percezione della realtà
stessa), il ricordo che in situazioni analoghe avesse piovuto,
il bisogno di assumere una scelta coerente a quelle adottate
in precedenza, ecc.
Anche l’altra persona ci risponderebbe tuttavia che
l’elaborazione dei dati a sua disposizione l’ha portata, dal
suo punto di vista con identica forza, a conclusioni opposte
perché attivate da una diversa convinzione.
Questa digressione per affermare che le convinzioni sono
tutte basate su elementi (percepiti come) reali: tuttavia
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ciascuno fa rifermento a schemi di pensiero e di ricordo
diversi.
Per spiegare con maggiore profondità questo aspetto, ci
viene in soccorso il concetto rappresentato dalla scala delle
inferenze.
Con questo termine si fa riferimento alla circostanza in base
alla quale, partendo da fatti che rappresentano una realtà
oggettivamente uguale per tutti, ognuno di noi seleziona
quella parte della realtà che percepisce come maggiormente
importante e significativa, in funzione della propria cultura di
riferimento, dei valori e del peso che a questi viene affidato,
della propria personalità.
Se la selezione dei fatti è quindi soggettivamente differente,
anche il significato che a quei fatti viene dato è diverso da
persona a persona.
Ciò che è importante sottolineare è che, in base al
significato che abbiamo assegnato ai fatti percepiti come
maggiormente rilevanti, costruiamo le nostre convinzioni
attivando il processo già descritto che determina le azioni
conseguenti.
Per esemplificare, proponiamo nella pagina successiva, nella
Figura 1, una rappresentazione grafica della scala delle
inferenze. Sulla sinistra, inclusi nell’ovale, vi sono gli
elementi soggettivi che influenzano la selezione dei dati
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osservati, il significato che a questi viene assegnato, le
conclusioni che ne derivano, e così via.
Il resto della figura va letto dal basso verso l’alto: partendo
dai dati, dal fatto accaduto, si arriva a trarre conclusioni e a
derivarne le conseguenti convinzioni che, a loro volta,
determinano l’agire individuale, in un senso o nell’altro.
Figura 1
Facciamo due esempi, per dimostrare la grande
significatività, nella realtà, della scala delle inferenze.
La prima ipotesi è rappresentata dalla seguente tabella e
ambientata solo esemplificativamente in una filiale bancaria.
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Naturalmente, analogo processo mentale può essere
presente in qualsiasi settore di attività:
Gradini della scala delle
inferenze Processo del filtro percettivo
Fatto Una persona di circa ottant’anni entra in una filiale di una importante banca
Selezionare i fatti Ecco uno che vuole un libretto di risparmio o accreditare la pensione
Aggiungere significato E’ la tipica persona anziana che non sa come passare la mattinata …
Presumere Sarà venuto a chiedere informazioni tanto per fare qualcosa
Trarre conclusioni Non è certo qui per concludere
Adottare convinzioni Non devo perdere tempo nel dedicarmi a lui, ma fare qualcosa di più produttivo
Agire “Mi dispiace, in questo momento sono impegnato, può tornare nel pomeriggio?”
Dunque, in questa ipotesi, il “consulente-privati” si è trovato
di fronte a una situazione oggettiva costituita dalla visita di
un anziano. La conclusione che ha tratto, le convinzioni che
ha maturato e, infine, la sua azione, sono state tutte
determinate dalla selezione del dato oggettivo che ha fatto:
la percezione del cliente come persona che gli farà perdere
tempo. Con questa percezione di riferimento, è altamente
coerente che si convinca a dedicarsi ad altro, piuttosto che
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utilizzare il suo tempo per aprire una “posizione” bancaria
che non ritiene produttiva di risultati. La sua comunicazione
di diniego ne costituisce la naturale azione conseguente.
Immaginiamo adesso una seconda ipotesi. Il punto di
partenza è identico, ma la conclusione sarà di tenore
opposto perché diversa immagineremo che sia la selezione
del fatto accaduto.
Gradini della scala delle inferenze
Processo del filtro percettivo
Fatto Una persona di circa ottant’anni entra in una filiale di una importante banca
Selezionare i fatti Chissà che non siano in cerca di un partner bancario affidabile in questo momento di grande incertezza …
Aggiungere significato Devo comprenderne bene le esigenze
Presumere Presumo che se svilupperò in lui fiducia in me, potrò acquisirlo come cliente
Trarre conclusioni Dovrò dimostrarmi competente e assecondarne le ansie, rassicurandolo
Adottare convinzioni Un atteggiamento accudente e sicuro è quello che serve per conquistarlo
Agire “Certo che curiamo gli interessi dei clienti che hanno solo bisogno di accreditare la pensione, i clienti per noi sono tutti importanti …”
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Nel primo caso, aver dato a quel fatto un significato
negativo rispetto alla potenzialità del cliente, ha indotto il
primo venditore a scongiurare l’incontro; nel secondo,
l’incontro avviene e il consulente si mette nella condizione di
fare ciò che serve per acquisire un nuovo cliente, il cui
“valore” potrà essere compiutamente valutato soltanto ex-
post: chi dice che un pensionato, dopo una vita di lavoro,
non abbia invece denaro da investire, ecc.; egli, se trattato
bene, parlerà di noi in modo positivo ad amici e parenti e
potrebbe contribuire a farci conquistare uno o più nuovi
clienti.
Possiamo ulteriormente arricchire l’inquadramento del
costrutto teorico in discorso parlando dell’azione delle
convinzioni di controllo, cui è dedicato il prossimo paragrafo.
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
4. Le convinzioni di controllo
Alla base dei comportamenti descritti vi sono quelle che
Flammer7 e altri definiscono convinzioni di controllo, la cui
analisi è importante perché queste convinzioni costituiscono
“il prerequisito per la pianificazione, l’inizio e la regolazione
delle azioni”8 e ci permetteranno di ampliare
successivamente il nostro discorso.
Le convinzioni di controllo contengono sia la credenza che
alcune azioni specifiche porteranno a produrre un
determinato risultato, sia quella relativa alle proprie capacità
riferite al compimento di quelle determinate azioni9.
Come vedremo, ciò spiega efficacemente la relazione che
esiste fra il livello e la tipologia della convinzione attivata e
la prestazione che viene erogata da parte del soggetto preso
in esame.
Un elemento fondamentale è il concetto di consapevolezza.
La percezione o meno della convinzione di controllo
determina la presenza (o assenza) dell’autocoscienza di
riuscire a produrre determinati effetti.
L’efficacia del commerciale che deve sviluppare le sue
vendite dipende in effetti, innanzitutto, dalla sua capacità di
“credere” di poter influenzare, con il suo comportamento e
7 August Flammer in Control beliefs and self-knowledge, in Rivista di Psicologia, 1990. 8 Cfr. Flammer A. in Il senso dell’autoefficacia, pag. 72. 9 Flammer le definisce, rispettivamente, convinzioni di contingenza e convinzioni di competenza.
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le sue azioni, le scelte dei suoi clienti e, più in generale, di
poter produrre ciò che desidera o ciò che gli serve per
raggiungere i suoi obiettivi commerciali.
Essere convinto, viceversa, che certi effetti avvengono al di
fuori del suo controllo10 non lo aiuta a impegnarsi verso
l’obiettivo.
Non riuscire a sviluppare convinzioni di controllo non
influisce soltanto sull’efficacia della prestazione, ma anche
sul proprio benessere psicologico, come dimostrato da
numerosi studi empirici11. Sia molti cognitivisti che teorici
dell’azione12 e psicoanalisti convergono nel ritenere vera
questa condizione, al punto che si spingono a considerare
salutare persino la sovrastima delle proprie convinzioni di
controllo13 perché sembra che questa favorisca lo sviluppo
personale.
Ciò su cui dibattono gli Autori che si occupano del tema delle
convinzioni di controllo è relativo alla genesi delle
convinzioni di controllo: riuscire a definire quale sia il
processo che le attiva è fondamentale per permetterne lo
sviluppo soggettivo. In altri termini, la questione centrale è:
10 Rispetto al concetto di controllo e alla sua distinzione con le convinzioni di controllo, Flammer propone “una distinzione fra il controllo (cioè la regolazione effettiva di un processo), il controllo inteso come la possibilità di controllare (o di regolare un processo qualora ciò si rendesse necessari) e le convinzioni di controllo (cioè le rappresentazioni soggettive delle proprie capacità di esercitare un controllo)”. Aggiungiamo che è quest’ultima definizione che ci interessa riguardo alla nostra tesi. 11 Cfr. in particolare gli studi, in disegni teorici differenti, di Rotter, Seligman e Bandura.
12 La teoria dell’azione focalizza l’attenzione sui significati che le persone attribuiscono alle loro
azioni. 13 Cfr. Alloy e Abramson, Dunning e Story, Seligman e Taylor e Brown.
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perché, messe di fronte ad un compito, le persone
concludono il loro ragionamento riguardo al saperlo o al non
saperlo fare?
La risposta a questa domanda ci interessa molto perché le
convinzioni influenzano significativamente le prestazioni
individuali, come abbiamo già affermato e come
dimostreremo più avanti.
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
5. Le convinzioni e il loro effetto sulle prestazioni
Se analizziamo infatti le prestazioni individuali che sono
finalizzate al raggiungimento di un obiettivo specifico,
scopriamo che il meccanismo di funzionamento delle
convinzioni segue lo schema seguente:
pensiero à convinzione à livello e qualità della prestazione
dove livello e qualità della prestazione risentiranno del tipo
di convinzione che si sarà attivata: avremo prestazioni
migliori se supportate da convinzioni potenzianti; prestazioni
di qualità e quantità inferiori se, viceversa, le convinzioni
che le hanno accompagnate sono state tali da aver de-
potenziato l’efficacia di chi le ha messe in atto.
Scrivere questo documento presuppone che chi scrive
s’impegni nell’impresa e la qualità della prestazione erogata
presuppone necessariamente che alcune convinzioni si siano
attivate:
– innanzitutto, che scrivere un documento relativo a questi
contenuti sia utile e interessante per i destinatari cui mi
rivolgo;
– nel merito, convinzioni fondamentali sono quelle che:
– chi scrive sia in grado di argomentare in modo utile
a sostenere la tesi proposta;
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– che il tempo disponibile sia sufficiente;
– che gli strumenti a disposizione siano sufficienti;
– che quelli eventualmente necessari, ma assenti,
siano reperibili, ecc.
Proviamo a immaginare che, viceversa, la seconda
convinzione non si attivi: ipotizziamo che chi scrive non sia
convinto di riuscire a dimostrare la tesi che sta sostenendo.
Questa convinzione è de-potenziante, ossia riduce la
“potenza” di energie e risorse che verranno impiegate
nell’impresa.
Ciò avverrà per un’inconsapevole riduzione dell’impegno: è
un comportamento molto coerente, che rispetta
assolutamente il vincolo prima esposto, in base al quale è
necessaria una coerenza fra convinzione e azione (o
comportamento). Se chi scrive non è convinto di poter
sostenere una tesi, inconsapevolmente ma certamente,
ridurrà l’intensità del proprio impegno.
L’esempio ci aiuta a capire anche
perché le convinzioni vengono
definite auto-limitanti: la
produzione della stessa è infatti
auto-indotta, costituisce un limite
che la stessa persona attiva verso
di sé, pur se in maniera
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
inconsapevole.
Il concetto di limite o di limitazione è depotenziante perché
riduce le energie a disposizione della persona che ne è
imprigionata. Costituisce una vera e propria perdita di
potenza: l’individuo potrebbe fare molto di più, ma non
riesce (direi addirittura che non può, non ha accesso) a
mettere in atto tutte le sue potenzialità.
Nella letteratura è dimostrato14 che questa “perdita di
potenza” influenza al ribasso il livello della qualità e della
quantità della prestazione, come già abbiamo avuto modo di
accennare.
Albert Bandura15 ha dimostrato che le persone che non
attivano convinzioni potenzianti, attraverso le quali le
persone sentono un senso di autoefficacia16, si comportano
così:
– tendono a faticare maggiormente nel raggiungimento
degli obiettivi;
– ne raggiungono in misura minore, se confrontati con
gruppi “di controllo” che attivano pensieri potenzianti;
– si assegnano obiettivi meno sfidanti;
– erogano, nel complesso, prestazioni di livello più basso. 14 Cfr. nella bibliografia i testi citati di Bandura, Bates e Skinner. 15 Noto in tutto il mondo per i suoi studi sull’apprendimento imitativo, ha concettualizzato per primo, a partire dal 1977, il costrutto teorico dell’autoefficacia in un articolo, divenuto storico, sulla Psycological Review. 16 Per senso di autoefficacia si intende “la convinzione delle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessarie per gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno in un particolare contesto, in modo da raggiungere gli obiettivi prefissati” in Il senso di autoefficacia a cura di A. Bandura, 1997.
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
L’attivazione di convinzioni negative su di sé e sulle proprie
capacità di fare qualcosa e di riuscire a
raggiungere gli obiettivi desiderati
influisce, più in generale, anche sulle
modalità con le quali le persone guardano
il mondo, sulla loro visione delle cose: la
maggior parte di coloro che “pensano
negativo” vivono male i propri insuccessi
e sono tendenzialmente pessimisti.
Martin Seligman17 alimenta questa concezione con il
costrutto dello stile esplicativo: con questa locuzione, egli
intende un’abitudine di pensiero appresa durante l’infanzia e
l’adolescenza e che deriva direttamente dal modo con il
quale le persone vedono il mondo.
Lo stile con il quale le persone spiegano a se stesse gli
eventi (questo il senso di “esplicativo”) può essere
tendenzialmente ottimista o pessimista. Le persone che
denotano una tendenza esplicativa pessimista attivano,
molto più frequentemente di altri, convinzioni autolimitanti,
recuperano più difficilmente dagli insuccessi e sviluppano un
locus of control esterno18.
17 In Imparare l’ottimismo, Giunti Editore. 18 Possiamo definire il locus of control ciò che le persone pensano in riferimento alle cause di ciò che gli accade. Il locus of control può essere interno o esterno. Nel primo caso le persone si sentono responsabili delle loro azioni e sentono di poter incidere e determinare il corso degli eventi, ne avvertono la responsabilità e si attribuisco meriti e “colpe” di ciò che accade. Nel secondo caso avviene l’opposto: la tendenza è a esternalizzare le cause degli eventi. Ciò comporta una percezione di responsabilità lontana da sé, ma “affibbiata” costantemente agli altri, a seconda delle circostanze.
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
Infatti, chi spiega a se stesso gli eventi con una declinazione
pessimista tende a convincersi che:
– le cause degli eventi negativi che capitano loro sono
permanenti e attivano convinzioni che Seligman
esemplifica così19: “Sono un fallimento totale”; “Le diete
non funzionano”; “Mi rimproveri sempre” (…);
– il fallimento in un ambito della loro vita “pervade”20 tutto
il resto: ciò accade perché le persone danno “spiegazioni
universali ai loro fallimenti”: “Sono uno che non piace”;
“Tutti i professori universitari sono ingiusti”;
– ciò che non va è fondamentalmente effetto delle proprie
(in)capacità mentre, di fronte ad un successo, tendono a
non attribuirsene i meriti.
Spostando il discorso verso un’esemplificazione pratica, che
ci permette di anticipare l’ambito di applicazione dello
sviluppo delle competenze attraverso la formazione e altre
modalità didattiche, possiamo dire che quanto descritto fa
accadere e può determinare una situazione di questo
genere: immaginiamo un commerciale il quale, in un periodo
recessivo dell’economia, vede ridurre la quantità dei suoi
contratti conclusi e quindi il suo reddito, se commisurato in
tutto o in parte alle vendite realizzate. 19 Cfr. Imparare l’ottimismo, infra, pag. 50. 20 Seligman spiega lo stile esplicativo attraverso tre dimensioni riferite, rispettivamente, al tempo, allo spazio e al locus of control: chiama la prima permanenza, la seconda pervasività e la terza personalizzazione. Ecco perché abbiamo utilizzato il termine pervade compreso fra le virgolette.
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
Di fronte a questo dato di realtà,
egli potrà prendere “strade
mentali” diverse, che
produrranno convinzioni diverse
e, in conseguenza,
comportamenti e azioni differenti.
Se sarà capace di sviluppare convinzioni “potenzianti”, pur
nell’oggettività della difficoltà di contesto, potrà riuscire a
pensare, per esempio, che “Il momento è difficile, per cui
devo impegnarmi di più”: la sua convinzione è che,
nonostante la difficoltà, si possa fare qualcosa per
contrastare la minore propensione all’acquisto dei suoi
clienti.
Convinto di questo, coerentemente, si darà un gran da fare
per progettare e proporre promozioni, attiverà contatti verso
altri mercati, costruirà relazioni cui prima non aveva
dedicato energie, si sforzerà di pensare a categorie di clienti
che, per la tipologia di attività svolta, non siano fortemente
coinvolti dal trend recessivo, assumerà un comportamento
diverso rispetto a quando accadeva che, in periodi più
floridi, molti clienti venivano spontaneamente a trovarlo: per
esempio, andrà a visitarli a domicilio, offrendo loro soluzioni
e proposte per invogliarli all’acquisto, ecc.
L’altra strada sarà invece preferita se le convinzioni che egli
attiverà si connoteranno come di tipo autolimitante.
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Mida SpA – Come migliorare l’efficacia commerciale e vendere di più, di Silvio Trombetta
In quanto tali, queste convinzioni ne limiteranno appunto
l’azione: lo indurranno paradossalmente a fare di meno,
perché tanto nulla serve in questo momento, aggravando
inevitabilmente la situazione e concretizzando la
conseguenza temuta di minore penetrazione commerciale,
secondo il classico schema della “profezia che si auto-
avvera”.
Pensando che non ci sia niente da fare, non farà
coerentemente di più e poco o niente di nuovo. Poiché
questo suo comportamento produrrà l’effetto che le vendite
seguiranno il trend negativo temuto, egli potrà in futuro
convincersi ancora di più che “in effetti non c’era niente da
fare: il mercato è in crisi”, proprio verificando di aver
concluso un minor numero di contratti.
Questo radicamento della convinzione basato sull’esperienza
appena vissuta è un aspetto molto rilevante perché spiega la
perversa relazione che si instaura fra:
– la convinzione limitante originaria la quale, attivando
prestazioni inefficaci, eleva la probabilità di risultati non
soddisfacenti;
– il riscontro dei quali costituirà la base di ragionamento di
successive convinzioni che si alimenteranno
dell’esperienza di insuccesso per costituirsi, nuovamente,
in una forma limitante ancora più radicata.
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Possiamo così dire che questo meccanismo innesca un
circolo vizioso che può essere interrotto soltanto attraverso
un percorso che permetta a chi ne sia prigioniero di averne,
innanzitutto, piena consapevolezza e di comprendere, in
seconda battuta, come “uscirne”.
Identico ciclo viene attivato ovviamente anche nel caso in
cui la prima convinzione sia stata invece di tipo potenziante.
Il “gran darsi da fare” del nostro commerciale auto-
potenziato avrà prodotto l’esito di “convincerlo” che
impegnarsi, invece che arrendersi, aiuta a raggiungere ciò
che si vuole e questa esperienza costituirà il presupposto
per sviluppare in futuro convinzioni ulteriormente
potenzianti. Il circolo è, in questo caso, virtuoso.
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6. Esempi di casi di successo
Per dare evidenza pratica di come interventi basati su
questo costrutto teorico abbiano prodotto esiti molto positivi
non soltanto nel modificare i comportamenti, ma anche sui
risultati che i comportamenti modificati hanno, in ultima
istanza, prodotto, presentiamo in sintesi tre esempi di
intervento la cui efficacia sia dimostrabile.
Il primo caso riguarda un intervento per la rete commerciale
della Filiale italiana di un noto marchio del settore Premium
dell’Automotive.
Gli obiettivi che ci erano stati chiesti di raggiungere
riguardavano sia il vendere di più che il “vendere meglio”.
Con riferimento al primo aspetto, la committenza voleva che
favorissimo un’evoluzione positiva dei volumi di vendita. Il
“vendere meglio” richiedeva invece che crescessero, da un
lato le azioni di proposta di test drive (ossia le prove dei
veicoli cui i clienti erano interessati) e, dall’altro, quelle di
chiusura attiva della trattativa, attraverso una “mossa” che
inducesse i clienti indecisi a concludere l’acquisto.
La ragione per la quale erano stati identificati questi
parametri come meritevoli di sviluppo risiedeva negli esiti di
numerosi mystery shopping, che avevano rivelato un
comportamento un po’ “pigro” da parte dei venditori della
rete italiana al confronto con quella del resto d’Europa, con
riferimento a entrambe le situazioni di lavoro.
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La progettazione dell’intervento ha previsto, sin da subito,
che venissero misurati, attraverso successivi mystery shop,
gli effetti prodotti dall’intervento formativo21.
Ciò che ci interessava verificare (e, possibilmente,
dimostrare) era che le persone sulle quali si era agito allo
scopo di demolirne le convinzioni depotenzianti, dopo aver
fatto loro acquisire consapevolezza dell’influenza delle stesse
sul loro agire quotidiano e professionale, avrebbero
conseguito prestazioni specifiche e risultati di vendita
migliori rispetto ai colleghi sui quali non si era viceversa
intervenuti.
Gli esiti sono stati decisamente incoraggianti:
– i venditori che in aula erano stati incoraggiati a destituire
di fondamento le convinzioni autolimitanti relative ai
vincoli che riducevano la proposta di test drive, hanno
offerto al 44,4% in più di clienti la possibilità di testare
su strada il veicolo di loro interesse, rispetto ai colleghi
ai quali il corso di formazione su questi temi non era 21 Per consentire una misurazione del lavoro svolto garantendo che non fosse influenzata da altri fattori (per esempio, andamento infra-annuale del mercato, campagne pubblicitarie di particolare efficacia, stagionalità, ecc.), si è deciso di iniziare ad erogare il seminario solo ad un campione di venditori, per la precisione a circa metà del totale della rete. In tal modo, sono stati costituiti un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo, così da poter elaborare i dati attraverso il metodo dell’analisi della varianza. L’ANOVA, acronimo di “Analysis of Variance”, consiste nel trattamento dei dati provenienti da due popolazioni o da campioni statistici allo scopo di confrontare le rispettive medie e determinare la significatività statistica del risultato. Utili approfondimenti in Barbaranelli C. Analisi dei dati, Led. Il gruppo sperimentale è risultato formato in tal modo da 39 venditori (su 84) provenienti dalle 17 concessionarie estratte. Il gruppo “di controllo”, che non ha partecipato a questa prima fase, ma che è stato successivamente coinvolto (anche per effetto dei risultati raggiunti dal gruppo sperimentale), era costituito dai rimanenti 45 venditori appartenenti alle altre 21 concessionarie.
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stato erogato; in particolare, i risultati medi che si sono
ottenuti nei due gruppi sono stati i seguenti: partecipanti
al seminario: 89,7; non partecipanti: 55,3, su una scala
da 0 a 100 che misurava la frequenza della proposta al
cliente;
– anche rispetto alla propensione a compiere azioni utili
per chiudere in modo attivo la vendita, la differenza fra i
venditori sui quali si era lavorato per rimuovere quelle
convinzioni che inibivano tali azioni e i colleghi non
coinvolti nella formazione, è stata significativa: 62,1 vs.
38,3;
– quanto questi e altri comportamenti abbiano influito
sull’efficacia commerciale è stato infine testimoniato da
un +28% nei risultati di vendita da parte dei partecipanti
al corso rispetto ai colleghi.
In tutti i casi, dal punto di vista statistico, le probabilità che
le differenze tra il gruppo sperimentale e il gruppo di
controllo non fossero legate al caso, ma derivassero dal
lavoro sulle convinzioni, sono risultate superiori al 95%,
denotando quindi un’altissima significatività. La
certificazione del dato è del Dipartimento di Statistica
dell’Università degli Studi di Milano.
I risultati ottenuti sono stati prodotti da un intervento
formativo di due giornate consecutive, così strutturato:
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Prima giornata Seconda giornata
Il processo di vendita Autoefficacia e attività commerciale (lezione interattiva) La relazione fra autoefficacia e prestazioni Esercitazione finalizzata a verificare il formarsi e il modo di funzionare delle proprie convinzioni; debriefing dopo ogni fase
“Questionario sullo stile esplicativo” (test) Lo stile esplicativo: cos’è, come funziona, come influisce sul comportamento del venditore (lezione interattiva) Lettura dei risultati individuali del test (debriefing) Come migliorare il proprio stile esplicativo (lezione interattiva) La tecnica ABCDE (esercitazione a coppie) finalizzata a ristrutturare le convinzioni autolimitanti e ad agire sulla scala delle inferenze
La sequenza convinzioni-‐comportamento-‐prestazioni (lezione e discussione) Simulazioni sulla vendita con la metodologia degli auto-‐casi (role play con protagonisti un partecipante nel ruolo di venditore ed un cliente “vero”, ossia in target, appositamente preparato) Debriefing finalizzato a suggerire comportamenti/azioni alternativi a quelli evidenziati come migliorabili Saluti ed appuntamento al giorno successivo
Simulazione di vendita sullo stile esplicativo (role play finalizzato alla verifica del proprio modo di gestire successi e insuccessi) Accurato debriefing finalizzato a migliorare la gestione di successi e insuccessi Stesura di un piano personale di miglioramento Chiusura del seminario e saluti
La medesima struttura d’intervento ha aiutato a migliorare
la “media-vendita” e il “mix-prodotti” di un’azienda leader
nella distribuzione di apparecchi acustici.
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Il mercato degli apparecchi acustici vede protagonisti gli
audioprotesisti, una figura professionale che dai primi anni
2000 è entrata a far parte delle professioni sanitarie.
L’approccio che queste persone utilizzano nei confronti dei
loro clienti è frequentemente molto tecnico e poco
“consulenziale” e orientato al servizio.
La relazione commerciale risulta condizionata da questo
approccio in quanto i clienti, tra l’altro in maggior parte
anziani con problemi ovviamente di udito, comprendono con
fatica le ragioni che sostengono le proposte che gli
audioprotesisti fanno loro.
Gli apparecchi acustici sono, infatti, di diverse tipologie e, a
seconda dei “modelli”, garantiscono un ausilio all’apparato
auricolare molto diverso: i benefici che le soluzioni più
sofisticate permettono di ottenere non sono lontanamente
ottenibili con apparecchi più semplici.
Naturalmente, le soluzioni più efficaci sono anche quelle più
costose, che risultano pertanto difficilmente commerciabili
se i clienti non comprendono il legame che c’è fra la
proposta che viene fatta e le loro esigenze di vita. Accade
così che i clienti tendano a desiderare soluzioni più
economiche e meno efficaci, perché non riescono a
percepire il vantaggio di soluzioni più costose. La limitata
efficacia delle soluzioni economiche che hanno scelto
fortifica, d’altronde, la convinzione di limitata utilità dei
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dispositivi di ausilio acustico, inducendoli a non acquistare
nuovamente altre soluzioni in futuro.
L’Azienda committente, alle prese per queste ragioni con
una media-vendita insoddisfacente, un tasso di
fidelizzazione inferiore a quanto desiderato, ci ha quindi
chiesto di stimolare gli audioprotesisti a utilizzare un
approccio più orientato al cliente e, soprattutto, di incidere,
con il nostro intervento, sulla media vendita e sul mix dei
prodotti venduti.
Ci siamo presto accorti come il comportamento degli
audioprotesisti fosse governato da alcune convinzioni sia
riferite a sé, che relative allo status dei loro clienti.
Con riferimento alle prime, era molto forte il convincimento
che il linguaggio tecnico, l’approccio medicale e il camice
contribuissero ad attribuirgli lo status che meritavano.
Riguardo ai clienti, emergeva una convinzione che svalutava
le capacità di discernimento degli stessi, rispetto a una
scelta ritenuta molto tecnica. Più di ogni altra era forte la
convinzione che dovessero essere gli audioprotesisti a poter
scegliere per il cliente la soluzione migliore, invece che
pensare di dover dare al cliente tutte le informazioni
necessarie affinché egli potesse condividere la miglior
soluzione possibile.
Lavorando quindi sulla ristrutturazione delle convinzioni cui
risultavano “ancorati” i comportamenti non desiderati degli
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audioprotesisti, abbiamo potuto registrare una crescita della
media-vendita individuale superiore al 20% e, in alcuni casi,
picchi vicini al 35%.
Gli audioprotesisti che non hanno partecipato alle sessioni
formative hanno manifestato invece risultati diversi,
mantenendo questi indicatori di prestazione al livello
consueto, pur avendo partecipato, nello stesso periodo, ad
un corso per lo sviluppo delle competenze su un altro tema
professionale.
Anche in questo caso abbiamo potuto così dimostrare che
rimuovere convinzioni che agiscono come inibitori di
comportamenti ritenuti opportuni, genera un effetto nella
direzione attesa, non solo nella modifica dei comportamenti
stessi, ma anche sui risultati che quei comportamenti hanno
influenzato.
Citiamo infine un ulteriore caso di successo, relativo ancora
all’azienda automotive presso la quale avevamo realizzato
l’intervento descritto per primo.
In questo caso, siamo intervenuti per potenziare l’efficacia
commerciale dei venditori perché avevano dimostrato scarsa
convinzione nell’effettuare il ricontatto telefonico dei clienti
“passati” in Concessionaria per chiedere informazioni o per
ricevere un preventivo, ecc.
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Profonde convinzioni relative alla dimensione del ruolo
(“Faccio il venditore e non l’operatore di telemarketing”) e il
disagio relativo allo svolgimento di questa attività, connesso
inoltre con l’idea che i clienti non avessero voglia di essere
disturbati, concordavano nel radicalizzare comportamenti
refrattari a questa azione che l’Azienda riteneva invece, con
ottime ragioni, molto efficace dal punto di vista
commerciale.
L’intervento formativo – questa volta di una sola giornata
per ogni gruppo in apprendimento – prevedeva due
momenti logici:
– la preparazione della telefonata, partendo dall’assunto
che chiamare i clienti con un obiettivo chiaro potesse
produrre un effetto decisamente migliore, rispetto alla
telefonata priva di una chiara finalizzazione;
– la realizzazione della stessa, che avveniva da parte del
venditore provvisto del “canovaccio”.
Le persone coinvolte hanno guardato all’attività di ricontatto
dei clienti con occhi nuovi
nel momento nel quale
hanno compreso che si
trattava di un’attività
strutturata, che prevedeva
la definizione di una
strategia, la costruzione di
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una tattica e una rigorosa progettazione della stessa
telefonata. E che abilità linguistiche e retoriche peculiari,
competenze relazionali e tecnico-commerciali notevoli
costituivano gli elementi differenziali per il successo.
Scardinata quindi la convinzione che fosse loro richiesto di
“fare delle telefonate” e sostituita dall’idea che si trattava di
attivare una prestazione professionale qualificata e
qualificante, i venditori hanno avviato questa pratica con
costanza acquisendo risultati eccellenti. Quelli che è stato
possibile registrare consistono in un esito pari a circa 8
contratti di vendita portati a termine con successo a fronte
di circa 80 chiamate a clienti ritenuti dagli stessi venditori
non particolarmente potenziali.
Gli esiti dell’intervento hanno quindi prodotto una media di
una vettura venduta ogni dieci telefonate effettuate, per un
controvalore di circa 700.000,00 euro di fatturato.
L’evidenza del dato ha costituito un’importante leva sui
processi mentali dei venditori, nella direzione di sviluppare
la convinzione che l’attività fosse invece molto utile e
commercialmente efficace.
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7. Non solo formazione in aula
E’ possibile potenziare l’approccio commerciale dei venditori
anche quando il bisogno formativo riguarda un piccolo
gruppo di persone.
In questi casi funziona molto bene un intervento di
coaching, individuale o di piccolo gruppo, intendendo come
tale un team composto da non più di quattro persone.
Il percorso può prevedere da quattro a sei incontri di circa
mezza giornata ciascuno, ma il dimensionamento viene
tarato, a seconda dei casi, sulle specifiche esigenze dei
partecipanti e in ragione degli obiettivi da raggiungere e
delle circostanze di contorno.
Il coach affianca i venditori preferibilmente presso il loro
luogo di lavoro. Il primo incontro viene dedicato a definire
gli indicatori di performance che si vogliono influenzare
positivamente e quindi gli obiettivi che si desidera o che è
necessario raggiungere.
Il coach trasferisce al partecipante il costrutto teorico che
abbiamo proposto in queste pagine nel corso del primo e del
secondo incontro. A partire dal quale il percorso prevede un
affiancamento durante l’attività lavorativa.
Le modalità dell’affiancamento sono funzione del tipo di
attività svolta dal coachee: nel suo ufficio o negozio, se
riceve i clienti presso di sé; facendo con lui il cosiddetto
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“giro clienti” se questa è la modalità di vendita prevista;
un’alternanza delle due modalità se è ciò che serve.
L’affiancamento serve al coach per osservare il
comportamento del venditore di fronte al cliente, ma anche
nelle fasi di preparazione di un incontro, di un contatto
telefonico o del suo piano commerciale e di visite. In questo
modo, il coach può restituire al venditore un feedback su
come si è comportato, confermando ciò che di positivo ha
fatto o detto e facilitandone la consapevolezza rispetto a ciò
che, viceversa, non ha funzionato bene.
L’applicazione dei suggerimenti e lo sviluppo della
consapevolezza da parte del venditore favorisce
l’implementazione di comportamenti sempre più in linea con
quanto desiderato, affiancamento dopo affiancamento e
incontro dopo incontro.
Naturalmente, il venditore lavora sui feedback del coach
anche al di fuori dei momenti di affiancamento. Vengono
concordati con il coach, infatti, “compiti” da svolgere nei
periodi di lavoro intercorrenti fra un incontro e l’altro, che il
venditore applica anche quando incontra i suoi clienti senza
il coach a fianco.
Il percorso, che dura da due a quattro mesi, a seconda degli
obiettivi e delle situazioni di contesto, permette un’effettiva
discontinuità dei comportamenti non graditi e influenza
positivamente i risultati che sono attesi.
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Bibliografia
M.M. Baltes e E.A. Skinner, Cognitive performance deficits and hospitalization, Journal of Personality and Social Psychology n. 45 - pagg. 1013-1016
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G.V. Caprara, D. Cervone, Personalità, Carocci, 2001
R.B. Cialdini, Le armi della persuasione, Giunti, 1995
A. Flammer, Erfahrung der eigenen Wirksamkeit, Huber, 1990
A. Flammer, Control beliefs and self-knowledge, in Rivista di Psicologia, 1990
M. Seligman, Imparare l’ottimismo, Giunti, 1996
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Silvio Trombetta
Mi occupo di persone, della loro efficacia manageriale e professionale e del loro benessere lavorativo… Offro un contributo che si realizza attraverso diverse forme di intervento: consulenza, formazione in aula, coaching, outdoor. I clienti per i quali lavoro sono primarie aziende, enti ed istituti nazionali e multinazionali. Questo è ciò che faccio da più di quindici anni nel corso dei quali mi sono specializzato, per quanto riguarda la formazione, nello sviluppo di competenze personali, relazionali e organizzative che amo declinare in un’ottica di potenziamento del sé, per migliorare l’efficacia delle persone. Credo molto nello sviluppo dell’autoefficacia personale e sulla possibilità che questa determini i le prestazioni e i risultati desiderati. Il potenziamento delle persone che svolgono attività commerciale è un’attività cui ho dedicato molto impegno a partire dal 2008. Non so fare soltanto formazione: ho realizzato infatti anche progetti di consulenza finalizzati all’analisi e alla diagnosi organizzativa e all’implementazione e allo sviluppo di sistemi delle competenze e di compensazione retributiva. Ho pubblicato numerosi articoli sui temi del cambiamento, della relazione interpersonale, delle tecniche di vendita e sono autore dei libri: Come gestire l’ansia sociale nei rapporti di lavoro (F.Angeli, 2007) e Valutazione delle prestazioni e sistema premiante (F.Angeli, 2010) Certificazioni LEA – Leadership Effectiveness Analysis Coach U – Wiesbaden (D) Silvio [email protected]
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