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METROPOLIS - FRITZ LANG 1927, GERMANIA EPOCA: CINEMA ESPRESSIONISTA (TRA IL 1910 E IL 1924) GENERE: FANTASCIENZA, DRAMMATICO (FILM MUTO) CASA DI PRODUZIONE: UNIVERSUM FILM AG INTEPRETI E PERSONAGGI: Alfred Abel: Johann (Joh) Fredersen Gustav Fröhlich: Freder Fredersen Brigitte Helm: Maria/La donna robot Rudolf Klein-Rogge: C.A. Rotwang, lo scienziato pazzo Fritz Rasp: Smilzo, spia di Freder Theodor Loos: Josaphat, assistente di Joh Erwin Biswanger: Georgy (No. 11811) Heinrich George: Grot Ben, capotecnico della Macchina del Cuore TRAMA: Nel futuro 2026 un gruppo di ricchi industriali governa la città di Metropolis dai loro grattacieli e costringe al continuo lavoro la classe proletaria relegata nel sottosuolo cittadino. L'imprenditore-dittatore è Joh Fredersen, che vive in cima al grattacielo più alto; il figlio Freder vive invece in un irreale giardino eterno popolato da sensuali fanciulle. Improvvisamente irrompe nel giardino l'insegnante e profeta Maria, accompagnata dai figli degli operai, che lo invita a guardare i "suoi fratelli" in un forte campo-controcampo a 180°. Freder rimane così colpito dalla visita di questa donna, che decide di visitare il sottosuolo e immediatamente si rende conto delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare gli operai, i quali anche se stremati non possono commettere il minimo errore, pena l'esplosione della "macchina M" di cui si occupano e la morte dei meno fortunati, evento a cui Freder stesso assiste. Ancora in preda alle allucinazioni, dovute agli scoppi e ai fumi degli impianti, vede la Macchina M come un grande Moloch che ingoia le sue vittime umane (il riferimento è al film Cabiria del 1914). Sconvolto da tanto orrore e brutalità decide di parlarne con suo padre per far cambiare le cose, ma il padre si preoccupa solo della minaccia che l'incidente può costituire per il suo potere. Il capotecnico della Macchina del Cuore, Grot, porta a Joh alcune mappe trovate nei vestiti degli operai morti nell'incidente alla Macchina M. Joh, di conseguenza, licenzia in tronco l'assistente Josaphat per non avergli riferito in tempo dell'incidente e delle mappe trovate in tasca agli operai. Freder, disapprovando la scelta del padre, rincorre l'assistente e lo salva dal suicidio. Dopodiché inizia il viaggio nei sobborghi di Metropolis per entrare in contatto con i suoi concittadini, inconsapevole che nel frattempo il padre ha ingaggiato una spia, lo Smilzo, per pedinarlo. Freder decide di fingersi operaio per vivere sulla propria pelle le fatiche dei lavoratori: regala i vestiti all'operaio 11811, ormai sfinito dalla fatica, e lo sostituisce alla macchina. Il suo compito è quello di spostare continuamente le lancette su una ruota in maniera da unire due luci che si illuminano sul bordo. In una visione la sua macchina si trasforma in un enorme quadrante di orologio che segna dieci ore, le dieci ore del turno di lavoro, e quando sta per terminare sembra tornare minacciosamente indietro. Ben presto Freder si rende quindi conto delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare i dipendenti di suo padre, costretti a sopportare calore, fumi e orari impossibili che li fiaccano alla soglia dello svenimento. Al termine del turno un operaio dall'aria cospiratrice, confondendo Freder per un collega, gli dà appuntamento nel sottosuolo perché una "lei" li vuole vedere. Questa donna è Maria, che accoglie gli operai sfiniti dal lavoro raccontando la storia della torre di Babele : così

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METROPOLIS - FRITZ LANG 1927, GERMANIA

EPOCA: CINEMA ESPRESSIONISTA (TRA IL 1910 E IL 1924)

GENERE: FANTASCIENZA, DRAMMATICO (FILM MUTO)

CASA DI PRODUZIONE: UNIVERSUM FILM AG

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Alfred Abel: Johann (Joh) Fredersen

➢ Gustav Fröhlich: Freder Fredersen

➢ Brigitte Helm: Maria/La donna robot

➢ Rudolf Klein-Rogge: C.A. Rotwang, lo scienziato pazzo

➢ Fritz Rasp: Smilzo, spia di Freder

➢ Theodor Loos: Josaphat, assistente di Joh

➢ Erwin Biswanger: Georgy (No. 11811)

➢ Heinrich George: Grot Ben, capotecnico della Macchina del Cuore

TRAMA:

Nel futuro 2026 un gruppo di ricchi industriali governa la città di Metropolis dai loro grattacieli e costringe al continuo lavoro la classe proletaria relegata nel sottosuolo cittadino. L'imprenditore-dittatore è Joh Fredersen, che vive in cima al grattacielo più alto; il figlio Freder vive invece in un irreale giardino eterno popolato da sensuali fanciulle.

Improvvisamente irrompe nel giardino l'insegnante e profeta Maria, accompagnata dai figli degli operai, che lo invita a guardare i "suoi fratelli" in un forte campo-controcampo a 180°. Freder rimane così colpito dalla visita di questa donna, che decide di visitare il sottosuolo e immediatamente si rende conto delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare gli operai, i quali anche se stremati non possono commettere il minimo errore, pena l'esplosione della "macchina M" di cui si occupano e la morte dei meno fortunati, evento a cui Freder stesso assiste. Ancora in preda alle allucinazioni, dovute agli scoppi e ai fumi degli impianti, vede la Macchina M come un grande Moloch che ingoia le sue vittime umane (il riferimento è al film Cabiria del 1914).

Sconvolto da tanto orrore e brutalità decide di parlarne con suo padre per far cambiare le cose, ma il padre si preoccupa solo della minaccia che l'incidente può costituire per il suo potere. Il capotecnico della Macchina del Cuore, Grot, porta a Joh alcune mappe trovate nei vestiti degli operai morti nell'incidente alla Macchina M. Joh, di conseguenza, licenzia in tronco l'assistente Josaphat per non avergli riferito in tempo dell'incidente e delle mappe trovate in tasca agli operai. Freder, disapprovando la scelta del padre, rincorre l'assistente e lo salva dal suicidio. Dopodiché inizia il viaggio nei sobborghi di Metropolis per entrare in contatto con i suoi concittadini, inconsapevole che nel frattempo il padre ha ingaggiato una spia, lo Smilzo, per pedinarlo.

Freder decide di fingersi operaio per vivere sulla propria pelle le fatiche dei lavoratori: regala i vestiti all'operaio 11811, ormai sfinito dalla fatica, e lo sostituisce alla macchina. Il suo compito è quello di spostare continuamentele lancette su una ruota in maniera da unire due luci che si illuminano sul bordo. In una visione la sua macchina sitrasforma in un enorme quadrante di orologio che segna dieci ore, le dieci ore del turno di lavoro, e quando sta per terminare sembra tornare minacciosamente indietro. Ben presto Freder si rende quindi conto delle condizioni disumane in cui sono costretti a lavorare i dipendenti di suo padre, costretti a sopportare calore, fumi e orari impossibili che li fiaccano alla soglia dello svenimento. Al termine del turno un operaio dall'aria cospiratrice, confondendo Freder per un collega, gli dà appuntamento nel sottosuolo perché una "lei" li vuole vedere.

Questa donna è Maria, che accoglie gli operai sfiniti dal lavoro raccontando la storia della torre di Babele: così

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come la torre di Babele fu costruita dagli schiavi per avvicinarsi al cielo, la Metropolis fu costruita dalle braccia del proletariato per farci abitare i ricchi. Maria predica la pace futura e l'avvento di un mediatore che porrà fine alle iniquità perpetrate dai capitalisti sugli operai. Questi però, sfiniti dalla dura giornata lavorativa, ascoltano conmalavoglia le parole di Maria ed uno di loro a gran voce dice che non aspetteranno ancora per molto. Mentre gli operai se ne vanno, Freder rimane inginocchiato, estasiato dalle parole di Maria tanto da innamorarsene. Questo amore viene ricambiato dalla giovane ragazza, che lo bacia e gli dà appuntamento alla cattedrale per il giorno seguente.

Nel frattempo Joh fa visita al professor C. A. Rotwang, uno scienziato pazzo con una protesi al posto della mano destra, inventore delle macchine che fanno funzionare la città. Rotwang vive isolato in una vecchia casa, struggendosi per la perdita di Hel, la madre di Freder morta di parto, che scelse Joh al suo posto. Lo scienziato la rimpiange ancora e ne tiene in casa un busto. Rotwang presenta a Joh la sua ultima invenzione: un "uomo-macchina", in grado di sostituire in tutto l'uomo. Il prototipo robotico diventerà un androide dalle sembianze femminili indistinguibile da una persona in carne e ossa.

Joh chiede all'inventore cosa rappresentino le mappe trovate in tasca agli operai: l'inventore capisce che si tratta delle catacombe, situate ad un terzo livello della città, al di sotto delle abitazioni dei lavoratori. Facendogli segno di seguirlo, lo conduce attraverso un intricato percorso che li porterà ad ascoltare il discorso di Maria. Joh capisceche il figlio non aveva tutti i torti quando parlava di possibili rivolte operaie e decide pertanto di prendere delle contromisure, incaricando l'inventore di rapire Maria per dare al robot le sue sembianze, in modo da poter controllare i malumori degli operai attraverso la predicazione di una falsa Maria.

L'inventore rapisce la donna e, per mezzo di un congegno basato su onde elettromagnetiche, copia l'esteriorità diMaria e la trasferisce al robot, HEL. La Maria-robot viene inviata in un postribolo della zona dei divertimenti di Metropolis, Yoshiwara, alla presenza dell'aristocrazia di Metropolis, esibendosi in uno spogliarello in cui mette a nudo le grazie ricevute dalla Maria-umana; il pubblico, tutto maschile, rimane a bocca aperta per la bellezza delladonna e si scatena in contese e follie dettate dalla lussuria senza freno della donna robot, incarnazione della meretrice di Babilonia. Nella scena la finta Maria appare a cavallo di un mostro che evoca l'Apocalisse di Giovanni.

Il giovane Freder, dopo aver scoperto il robot nell'ufficio del padre e convinto che sia la vera Maria, si ammala e cade preda di terribili allucinazioni. Maria in realtà è ancora nella casa di Rotwang, dove quest'ultimo le confessa di aver programmato il robot affinché esso induca gli operai a distruggere le macchine, contravvenendo per vendetta alle istruzioni di Joh, suo antico rivale in amore; quindi le intima di rimanere con lui. La Maria-robot aizza gli operai a cui non par vero di iniziare la "rivoluzione": solo Freder (con l'aiuto di Josaphat) capisce immediatamente che colei che sta parlando non è la vera Maria, ma non viene creduto perché viene riconosciutocome Freder, il figlio del padrone e per questo viene picchiato e scacciato dal sottosuolo. . L'operaio 11811 si sacrifica per salvare Freder prendendo una coltellata che era diretta a lui.

[Scena in cui la musica originale è stata scritta apposta per il film] Gli operai si ribellano, fuoriescono in massa dalsottosuolo. Maria-robot stessa incita a non lasciare indietro né uomini né donne. Joh, avvisato da Grot della situazione, dà ordine di aprire i cancelli e lasciare arrivare la folla alla macchina del cuore (Herzmaschine), il generatore che alimenta la città. La distruzione del generatore causerebbe l'allagamento del sottosuolo, e quindi delle case degli stessi insorti. La falsa Maria, alla testa dei ribelli, sovraccarica il generatore, che esplode. Metropolis, regno del lusso e del benessere, collassa: il maestoso sistema d'illuminazione cessa di funzionare e leripide strade della città divengono un cimitero di lamiere. Joh si rende conto di quanto sta accadendo dopo essersi recato a casa di Rotwang per ricevere consiglio ed aver scoperto il piano di distruzione di quest'ultimo: preso dalla disperazione, tramortisce lo scienziato, permettendo così a Maria di fuggire e di salvare, assieme a Freder, i bambini imprigionati nel sottosuolo allagato.

Joh è disperato per la scomparsa del figlio, e lo Smilzo gli ricorda che all'indomani dovrà rendere conto a migliaia di persone infuriate di quello che è successo ai loro figli nella città sotterranea. Maria discende nella città sotterranea per cercare di sedare la ribellione, ma rimane isolata dalla caduta degli ascensori causata dall'esplosione. Intanto gli operai, felici per aver distrutto le cause della loro oppressione, ballano e cantano intorno alle macchine; a ricondurli alla ragione ci pensa il guardiano della macchina centrale Grot, che ricorda loro di non aver pensato alle conseguenze del loro operato, ovvero che con la distruzione delle macchine le loro case si sarebbero allagate e all'interno di esse vi erano i loro bambini.

Anche gli operai, dopo aver ascoltato le parole del capo-operaio, cadono in uno stato di prostrazione e in preda alfurore vendicativo decidono di punire colei che li ha spinti alla rivolta, Maria. Inizialmente viene catturata la vera

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Maria, che riesce a fuggire nascondendosi a Yoshiwara. Per un fortunato scambio i ribelli catturano la Maria-robot che viene legata a un palo e bruciata come una strega, tra le urla di Freder, trattenuto a stento dalla folla assetata di vendetta, il quale crede sia la sua amata; di sangue però non ne scorre, poiché "sciolta" l'esteriorità diMaria, rimane il metallo lucido del robot tra lo stupore e lo spavento dei carnefici.

La vera Maria viene nuovamente catturata da Rotwang intenzionato a ucciderla per paura che gli operai scopranoil suo piano e lo uccidano a sua volta. Maria riesce a liberarsi ma egli la insegue fino alla terrazza della cattedrale gotica. Freder li segue e si scaglia contro l'inventore per salvare Maria, la quale viene portata da Rotwang sopra il tetto a spiovente. Nel frattempo Joh giunge alla piazza e assiste a tutta la scena, con la paura che il figlio possa essere scaraventato a terra dall'inventore; fortunatamente Freder riesce a spuntarla e a morire è Rotwang, che precipita dalla cattedrale. La sequenza finale segna l'intesa tra gli operai e il padrone avvenuta tramite Freder, il mediatore profetizzato da Maria che finalmente è arrivato a portare pace ed armonia tra le genti.

→ “Il mediatore tra la mente e le braccia deve essere il cuore.”

SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

→ Film sociale-economico, parabola fantascientifica, romanzo di formazione, film ideologico e dramma sociale.

→ Mix di passato arcaico e futuro fantascientifico.

→ L'automa è una degli elementi chiave del film e dell'espressionismo.

→ Le scene della distruzione della città sono molto suggestive per sottolineare la difficoltà in cui si trovano i personaggi. (città che si distrugge, con effetto M.D.P= terra che trema).

→ Nella scena finale troviamo i due fronti faccia a faccia, la stretta di mano segna la pace per metropolis.

Il finale del film, scritto da Thea von Harbou (moglie di Fritz), venne in seguito ripudiato da Lang. Quello scritto daLang avrebbe visto i due innamorati partire su un razzo, mentre la città veniva distrutta dagli sconvolgimenti dellaribellione.

L'ispirazione per Metropolis deriva da un'esperienza personale di Lang. Mentre stava arrivando negli Stati Uniti per la prima di “I Nibelunghi”, Lang rimase colpito e impressionato dalla vista notturna di NY e del suo skyline. La produzione impegnò la troupe per diciannove mesi: trecentodieci giorni di riprese e sessanta notti furono necessarie per produrre 600.000 metri di pellicola. Erich Pommer e la casa di produzione UFA non badarono a spese per la lavorazione, assoldando 36.000 comparse. La lavorazione si protrasse per un anno. L'investimento superò i 5 milioni di marchi tedeschi di allora. Queste spese non vennero coperte dagli introiti della distribuzione,tanto che la UFA andò in bancarotta: Hugenberg, editore e membro del Partito Nazista, comprò la casa di produzione trasformandola in parte nella macchina propagandistica del nazismo.

Dal punto di vista tecnico, nel 1927 Metropolis era un film all'avanguardia. In esso vennero utilizzate tecniche di ripresa strabilianti per l'epoca, tra le quali spiccava l'introduzione del cosiddetto effetto Schüfftan, dal nome del fotografo Eugen Schüfftan, che permetteva la creazione di mondi virtuali a costi relativamente bassi. Si trattava diuna proiezione di fondali dipinti, tramite un sistema di specchi inclinati a 45 gradi; lo specchio poteva essere grattato in una o più parti, in modo che lo sfondo comparisse solo in alcuni punti della pellicola, curando nel dettaglio la profondità di campo. Nelle restanti parti si potevano poi usare scenografie tradizionali ed attori in carne ed ossa, con uno straordinario effetto di realtà. Questa tecnica venne usata, ad esempio, per creare l'enorme stadio di Metropolis (effetto Schüfftan nella parte alta e veri corridori nella parte bassa), la città dei lavoratori, la torre di Babele o le viste aeree di Metropolis.

In Metropolis si registra inoltre l'introduzione nel cinema d'autore del passo uno, ovvero le riprese effettuate per singoli fotogrammi. Non esistendo tecniche di editing adatte, le scene con esposizioni multiple sono state realizzate direttamente sul posto, riavvolgendo la pellicola e filmandovi sopra più volte, in alcuni casi anche per trenta passaggi. Questa tecnica era delicata, in quanto un solo errore avrebbe compromesso tutto il lavoro. Tra lescene più complesse quella degli occhi spalancati e sovrapposti nel bordello di Yoshiwara, che rappresenta la libidine degli uomini attratti dall'esibizione della finta Maria.

Essenziale nella cinematografia di Lang è la composizione dell'inquadratura, che crea un vero e proprio universo visionario senza però ostacolare la narrazione della storia. Lang fu anzi un maestro nel raggiungere un perfetto punto di equilibrio tra storia narrata, che scorre chiara e forte, e l'uso di effetti speciali ricchi di immagini travolgenti e simboliche.

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CHI E' IL REGISTRA:

Fritz Lang, nato a Vienna nel 1890 è stato un regista, sceneggiatore e scrittore austriaco. Il suo ruolo nella storia del cinema è unanimemente considerato di primaria importanza. È stato definito "uno dei maestri universalmente riconosciuti del cinema" (Aurélien Ferenczi), "il più grande maestro del cinema tedesco" (Sandro Bernardi), "il simbolo stesso del cinema" (Jean-Luc Godard).

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LUCI DELLA CITTÀ (CITY LIGHTS) – CHARLIE CHAPLIN 1931

EPOCA: CINEMA MUTO ANCHE SE SUPERATO, USA LEGGERMENTE IL SONORO (1900 – 1930..) MA PIÙ PER PRENDERLO IN GIRO (TROMBETTA), QUESTO RICONDUCE AL CINEMA D'AUTORE.

GENERE: COMMEDIA, SENTIMENTALE

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Charlie Chaplin: un vagabondo

➢ Virginia Cherril: una fioraia cieca

➢ Harry Myers: un milionario eccentrico

➢ Florence Lee: la nonna della fioraia

➢ Garcia: James, il maggiordomo

➢ Hank Mann: un pugile

➢ Henry Bergman: il sindaco

TRAMA:

*1.Il film inizia con la scena in cui il sindaco sta per mostrare alla città la statua chiamata “Pace e Prosperità” ma quando tolgono il telo che copriva la statua ecco che si vede un vagabondo (Chaplin), che dorme sulle ginocchia della statua.

Successivamente passeggia per la città e si ferma ad ammirare una statua femminile ma non vuole darlo a vedere, e qui si svolge la scena del montacarichi, scena GAG, che serve per far avvicinare il personaggio al pubblico, in quanto solo il pubblico sa che Charlot sta per cadere.

*2. Andando avanti nella passeggiata incontra una fioraia cieca che, sentendo sbattere la portiera di una grande macchina mentre lui le passa davanti sul marciapiede, lo crede milionario e gli chiede di comprare un fiore; lui rimane affascinato dalla ragazza, di cui non coglie subito la cecità, e le compra un fiore con l'unica moneta che ha.

*3.La stessa sera salva per caso un vero milionario che, ubriaco, vuole gettarsi nel fiume perché la moglie lo ha lasciato, e per ringraziarlo lo porta dapprima a casa e poi in un locale a festeggiare. Nel tornare a casa di mattina presto incontra nuovamente la ragazza e decide di comprare tutti i suoi fiori con l'aiuto del milionario e di accompagnarla a casa con la macchina dell'amico. Al risveglio però, il milionario muta improvvisamente umore: la sua bonomia e amicizia da ubriaco si tramutano in freddezza e indifferenza da sobrio tanto da far cacciare via ilvagabondo.

Charlot torna a passeggiare per la città: incontra dapprima la fioraia e poi, nel pomeriggio, anche il milionario di nuovo ubriaco, dal quale però non spera di trovare più aiuto, dal momento che è in partenza per l'Europa.

Deciso a trovare i soldi per curare la cecità della ragazza, che lo crede sempre milionario, trova lavoro come netturbino anche se ben presto lo perderà per essere arrivato in ritardo dopo essere andato a trovarla durante la pausa pranzo.

*4.Nel momento in cui viene licenziato un uomo lo vede e gli propone di guadagnare dei soldi combattendo un incontro di boxe truccato e spartendosi la vincita, ma all'ultimo scappa perché ricercato dalla polizia, lasciando nei guai il vagabondo costretto a combattere un incontro vero. Dopo aver perso il combattimento anche se valorosamente, si imbatte nuovamente nel milionario che, riconoscendolo perché brillo, lo porta a casa per festeggiare.

Qui intanto sono penetrati due ladri intenzionati a derubare il milionario, che colpiscono in testa il milionario e glifanno perdere la memoria di nuovo sulla conoscenza del suo amico Charlot, i ladri scappano e Charlot viene accusato di furto poiché il poliziotto che egli stesso aveva chiamato insieme al maggiordomo gli trovano in tasca i

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mille dollari che il milionario gli aveva dato poco prima che lo colpissero per aiutare la fioraia, allora decide di scappare con i soldi.

Arrivato dalla ragazza la mattina dopo le consegna tutti i soldi che le consentiranno di saldare i debiti e di operarsi per riacquistare la vista. Il vagabondo la saluta con la consapevolezza che di lì a poco sarà arrestato per furto.

*5. Qualche mese dopo Charlot esce di prigione e cammina sconsolato per la città. La fioraia nel frattempo ha riacquistato la vista, ha aperto un bel negozio di fiori con la nonna e vive nella speranza di reincontrare il suo benefattore. Vede passare Charlot davanti alla sua vetrina, schernito dagli strilloni della strada, ma non lo può riconoscere, anzi sorride di lui e ne ha pietà. Quando però lui si volta e la vede, la riconosce subito e rimane imbambolato a fissarla. Si guardano a lungo, poi la fioraia esce dal negozio per offrirgli un fiore in regalo insieme con una moneta di elemosina. Il vagabondo all'avvicinarsi di lei fa per fuggire ma resta lì e accetta il fiore. A questo punto lei lo avvicina e gli prende la mano per dargli anche la moneta e così, tenendogli la mano, lo riconosce: il milionario suo benefattore è lui. *6.

SCENE IMPORTANTI:

– *1. Voci trombetta: presa in giro dei talkies (nasalità per microfoni non fedeli) concatenazione di GAG come coreografia comica e armonica. Da notare come nella scena la voce delle personalità importanti è resa grottesca con l'uso di una trombetta che si zittisce solo in occasione dell'esecuzione dell'inno (il buon Charles sapeva comunicare concetti "pesanti" anche attraverso scene comiche.... un pò in tutto il film viene mostrata una società basata su una rigida divisione in caste sociali, dove nessuno concede nulla a chi è suo inferiore).

– *2. Il pubblico si accorge prima del protagonista della cecità della fioraia.

– *3. I commenti musicali sono sincronizzati coi movimenti dei personaggi [viene usata la tecnica mickeymousing, con l'espressione Mickey Mousing si indica una tecnica di composizione musicale ottenuta sincronizzando le azioni sullo schermo con gli effetti sonori e la musica di accompagnamento, che segue punto per punto l'azione visibile sullo schermo. Questo è un sistema che prende il nome dal personaggio di Mickey Mouse]. La musica in queste scene spiega anche il discorso pro-vita di Charlot (“gli uccelli canteranno domani”).

– *4. Combattimento come una danza e la musica in sottofondo ne scandisce il ritmo.

– *5. Riutilizzo scenografia: rimando alla scena del primo incontro. Negozio nello stesso angolo, la portiera che si chiude e attira l'attenzione della fioraia e i due ragazzini che scherniscono Charlot, che trova un fiore per strada e che nel girandosi vede Lei (qui i ruoli si scambiano).

– *6. Il film termina con un primo piano sconvolgente e rivelatore, lei lo riconosce. Questa scena emozionail film e ci lascia immaginare poiché il tutto finisce in una situazione inconclusa.

ANALISI DEL FILM: Commedia romantica in pantomima.

Considerato da molti come l'apice della carriera artistica di Chaplin (regista nella cui filmografia solo quattro o cinque lavori non sono capolavori assoluti), "City Lights" è indubbiamente uno dei più grandi film della storia delcinema. Nessuno riuscirà a ripetere allo stesso livello lirico quella mediazione tra comico e drammatico che caratterizza questo diamante della cinematografia mondiale. E la colonna sonora (curata e composta da Chaplin stesso) fa da sfondo ideale alle vicende del Vagabondo.

Le musiche della soundtrack sono perle di rara bellezza. La breve overture iniziale può essere considerata quasi come una piccola sintesi del contenuto emozionale del film: dall'attacco spensierato alla malinconia del tema, fino alla "mondana" conclusione che ci fa già intuire come queste, così chiamate, "luci della città" altro non sono che una maschera di ipocrisia...

Il finale è ambiguo. Personalmente propendo per il lieto fine. Lo sguardo di lei e il, sempre di lei, posare la mano di lui sul suo petto sono eloquenti in questo senso. A ogni modo è indescrivibile.

Per essere riuscito a comunicare una tale pienezza di mondo, Charlie Spencer Chaplin deve essere considerato

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come uno dei più grandi poeti mai plasmati dalla natura umana. Chaplin non è morto. Vive ancora: è in quell'istante, in quell'attimo conclusivo di City Lights, in quel sentimento di malinconia, o meglio: di malinconica gioia di vivere, destinata a rimanere tale. Per sempre.

CHI E' IL REGISTA:

Quando nel 1929 Charlie Chaplin cominciò a pensare al suo nuovo film, il sonoro era diventato ormai pressoché irrinunciabile per qualsiasi regista dell'epoca. Charlie era molto scettico rispetto alla nuova invenzione della pellicola sonorizzata e tentò in tutti i modi di restare alla pantomima che lo aveva reso celebre. Fino al 1940 presentò solo film muti. Decise infatti di continuare con il muto e di realizzare City Lights, quello che diventerà il suo film più apprezzato dalla critica, sonorizzato in parte con la musica di accompagnamento e gli effetti sonori.

Chaplin venne accusato dai suoi colleghi di essere nevrotico e perfezionista, nonostante la loro immensa ammirazione nei suoi confronti, uno degli esempi è perché la fioraia avrebbe dovuto scambiare il piccolo vagabondo per un milionario ma Chaplin non sapeva ancora come ottenere tale risultato e prima di trovare una soluzione rifece la scena svariate volte, provando i più svariati espedienti. Tale scena alla fine è divenuta la più ripetuta nella storia del cinema, per un totale di 342 ciak. Altro esempio è che questo film ha avuto una lavorazione di ben 3 anni e vennero utilizzati ben 100 000 metri di pellicola, cosa inconcepibile anche per i tempi odierni.

Nato il 16 Aprile del 1889 nei sobborghi di Londra da una famiglia già dedita alle pratiche dello spettacolo e del teatro, l'infanzia di Charlie Chaplin fu però contraddistinta dalla povertà e dal continuo passaggio tra collegi e istituti per orfani. Charlie Chaplin si sarebbe poi contraddistinto per la grande capacità espressiva del suo volto, capace di esplodere con tutta la sua potenza sullo schermo cinematografico, nonostante la mancanza della controparte sonora: una capacità, di cui Chaplin imparò i rudimenti lavorando nella troupe di Fred Karno.

La grande svolta, però, non arriva né col teatro né con la pantomima circense: fu il cinema la passione e l'indiscusso trampolino di lancio di Charlie Chaplin. Il cinema fu un settore al quale approdò nel 1914 grazie a Mark Sennett che lo scritturò per la Keystone, sua casa di produzione.

Furono quelli gli anni in cui nacque il personaggio forse più famoso di Charlie Chaplin, caratterizzato soprattutto alivello visivo: scarpe dalla grandezza smisurata, pantaloni troppo larghi, e una giacchetta lisa e aderente al corpo; tocco finale una bombetta e un bastone di bambù che, accompagnate alla straordinaria mimica dell'interprete, ne fecero una maschera che negli anni successivi riuscì a conquistarsi la celebrità ma soprattutto la fedeltà del pubblico.

Il personaggio di Charlot (questo il nome del vagabondo personificato da Chaplin) fu protagonista di moltissimi cortometraggi prodotti da altrettante case di produzione. Quello a cui veniva data vita sullo schermo era un personaggio comico che, però, racchiudeva al suo interno un universo variegato di sensazioni che vanno dal patetico , al dramma fino alla polemica di stampo sociale.

Fu probabilmente questo il motivo che lo spinse non solo a rivestire il ruolo di attore, ma anche quello di regista: Charlie Chaplin fu quindi un personaggio estremamente versatile, capace di ricoprire tutti i ruoli maggiori all'interno di una produzione cinematografica. Attore, sceneggiatore ma anche regista diventò a breve anche produttore: fondando la United Artists, Chaplin decise di essere artisticamente indipendente.

Del 1931 è invece Tempi Moderni, l'ultima pellicola nella quale compare il personaggio di Charlot. Avendo preso così tanto piede il sonoro, il personaggio di Charlot che, come affermava lo stesso Chaplin, 'non poteva parlare', doveva necessariamente essere abbandonato. Un abbandono che, tuttavia, fu seguito da un altro capolavoro, questa volta realizzato in modo completamente sonoro. Parliamo de 'Il Grande Dittatore', proiettato per la primavolta nel 1940 e chiaramente ispirato al personaggio di Hitler, fu il grande addio a Charlot.

Un addio che corrisponde altresì a un'interruzione dell'attività cinematografica, che Chaplin riprese circa 7 anni dopo con Monsierur Verdouz, dopo il quale la già precedente accusa del suo filocomunismo divenne più insistente, fino a far diventare Chaplin uno dei principali bersagli del noto movimento anti-comunista di McCharty. Un'accusa che divenne concreta nel 1952 quando all'attore e regista fu proibito di soggiornare negli Stati Uniti.

Dopo due ulteriori produzioni cinematografiche Charlie Chaplin morì la notte di natale del 1977 lasciando il mondo orfano di uno dei più grandi interpreti e registi che la storia abbia mai conosciuto.

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LA GRANDE ILLUSIONE – JEAN RENOIR 1937, FRANCIA

EPOCA: CINEMA D'AUTORE, IMPRESSIONISTA

GENERE: GUERRA, DRAMMATICO

CASA DI PRODUZIONE: RÉALISATIONS D'ART CINÉMATOGRAPHIQUE (RAC)

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Jean Gabin: Tenente Maréchal

➢ Dita Parlo: Elsa, la contadina tedesca

➢ Pierre Fresnay: Capitano de Boëldieu

➢ Erich von Stroheim: Capitano von Rauffenstein

➢ Marcel Dalio: Tenente Rosenthal

➢ Julien Carette: Cartier, l'attore

➢ Georges Peclet: un ufficiale francese

➢ Werner Florian: Sergente Arthur

➢ Jean Dasté: l'insegnantge

➢ Sylvain Itkine: Tenente Demolder

➢ Gaston Modot: l'ingegnere

TRAMA:

1914-1918, Prima guerra mondiale.

"La grande illusion" è la parabola di tre personaggi in guerra: il tedesco barone von Rauffenstein, assodell'aviazione, i francesi capitano de Boieldieu e tenente Maréchal, aviatori anch'essi. Abbattuti da Rauffensteinin combattimento, i due francesi sono trattati civilmente. Il tedesco li vuole conoscere. Ma le loro strade subito siseparano. Gli ufficiali francesi sono internati in un campo di concentramento, insieme a soldati di diversa enazionalità. Maréchal, piccolo borghese patriota (meccanico nella vita civile), ha una sola aspirazione: evadere etornare a combattere.

Con un gruppo di compatrioti della più varia estrazione sociale (le caratterizzazioni sono puntuali e spiritose: c'èun artista di varietà, un professore, un ingegnere, e ci sono i loro piccoli problemi, le preoccupazioni per lafamiglia, le speranze) organizza un tentativo di fuga.

Scavano una galleria sotto la baracca in cui sono alloggiati riuscendo a giungere quasi ai bordi del campo. Sono igiorni in cui si combatte furiosamente attorno a Douaumont: un manifesto affisso al muro annuncia che itedeschi l'hanno conquistata. proprio durante lo spettacolo organizzato dai prigionieri, si apprende che i francesil'hanno ripresa e Maréchal irrompe sul palcoscenico per dare la notizia e intonare con i compagni la Marsigliese.Il tenente è messo agli arresti.

Quando torna in camera, è risotto assai male, mentre gli amici si preparano ad evadere; persino Boieldieu che loha sempre trattato con distacco si impietosisce. ma non c'è tempo né per la commozione né per la fuga: itedeschi annunciano l'immediato trasferimento in un altro campo.

In una fortezza inaccessibile ritroviamo Rauffenstein. Comanda un campo di prigionia: ha accettato un mestiereche lo ripugna per poter continuare a servire la patria (è mutilato: un corpetto metallico gli sostiene la colonnavertebrale e sorregge il capo sotto la gola). Gli conducono i prigionieri appena arrivati, fra cui Maréchal, Boieldieue l'ebreo Rosenthal. Con il nobile francese ritrova immediatamente quella cordialità che già gli aveva dimostrato.Con gli altri è diverso, soltanto nemici. Mostra a tutti la fortezza, luogo tanto isolato e protetto che ogni tentativo

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di fuga sarebbe una pazzia. Ma Maréchal non si arrende e prepara una corda per calarsi dai bastioni. Ma occorrequalcuno che distragga le sentinelle e a questo provvede Boieldieu che decide di sacrificarsi: sarà lui a teneroccupata la guarnigione mentre Maréchal e Rosenthal salteranno giù dal muro. Così avviene Maréchal eRosenthal gettano la fune oltre il bastione, mentre Boieldieu corre sui camminamenti per attirare l'attenzionedelle guardie. Interviene Rauffenstei che lo supplica di scendere. Il francese rifiuta, e Rauffenstein è costretto aucciderlo. Il resto del film racconta la fuga dei due prigionieri. Maréchal e Rosenthal, dopo aver vagabondato perstrade coperte di neve, trovano ospitalità nella casa di una contadina che ha avuto il marito ucciso a Verdun. Ladonna ha una bambina. Rosenthal non può procedere perché si è fatto male ad una caviglia. la donna li accoglieumanamente. Fra lei e Maréchal nasce un breve idillio. Marèchal, la notte di natale, bacia la piccola "Lotte hatblaue Augen" nel suo tedesco approssimativo, che la donna dolcemente corregge. Rosenthal è guarito, orapossono partire. Raggiungono la frontiere. Un vasto pendio coperto di neve li separa dalla Svizzera. Un soldatotedesco (il fucile in primo piano) fà fuoco sui due che arrancano. «Non sparare, sono in Svizzera» gli dice ilcompagno. Del gruppo degli evasi solo Maréchal e Rosenthal riusciranno a conquistare la libertà.

SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

→ Film di guerra ma pacifista, emergono l'amicizia, l'amore e la lealtà (messaggio di umanità). Nobilità e grandezza umana dei personaggi (tutti diversi tra loro) che rispettano il nemico e che vengono considerati comunque come pari.

Francia, anni '30, la grande illusione è che non ci saranno più guerre.

Renoir, cerca la realizzazione migliore (molto diversa dalla standardizzazione holliwoodiana).

Uscito a Parigi nel giugno 1937, il film ebbe un notevole successo e nel medesimo anno, malgrado l'opposizionedi Luigi Freddi, fu premiato a Venezia con la coppa della giuria "per il miglior complesso artistico".

La grande Illusione fu però proibito in Italia dalla censura fascista e venne proiettato solo nel 1947, se si escludeuna proiezione alla Triennale di Milano nel 1940.

Il manifesto sintetizza, attraverso la composizione figurativa e il gioco dei colori, lo spirito dei film, che alla vigiliadella seconda guerra mondiale aveva formulato «un messaggio pacifista di intenso significato umano, sia purpervaso da un senso di amarezza presaga» (G.C.Castello).

Parlando di Renoir, per molto tempo si è pensato che l'aggettivo realista bastasse a sintetizzare la versatilità delsuo talento. Ma se per realismo s'intende la riproduzione diretta, obiettiva della realtà, senza alcunarielaborazione appare evidente che Renoir non era un realista in questo senso. Non cessò mai di affermare lasupremazia del narratore sulla narrazione, del pittore sulla pittura, dell'uomo sulla natura. Renoir condivideval'idea del padre secondo cui il compito di un vero artista non consiste nel copiare la realtà, anche se fedelmente,ma nel ricrearla. "Ciò che rimarrà in ogni artista -dichiarava- non è la sua imitazione della realtà, dato che essa èmutevole e transitoria: ciò che è eterno è il suo approccio alla realtà, che può essere raggiunto attraverso unaricostruzione e non una sterile ricostruzione".

La grande illusione è la prova evidente di questa poetica. Non solo non è una semplice cronaca della fuga deiprigionieri di guerra, ma della guerra stessa riesce a mettere in evidenza le grandi contraddizioni interne. C'èalmeno una sequenza che in questo risulta particolarmente illuminante. E' la scena in cui Boieldieu chiedespiegazioni per il trattamento di favore concessogli da Rauffenstein. La risposta di quest'ultimo è tanto seccaquanto apparentemente incomprensibile: «perché voi vi chiamate de Boieldieu, ufficiale di carriera dell'esercitofrancese, e io Von Rauffenstein, ufficiale di carriera dell'esercito imperiale tedesco».

Renoir era un pacifista, la sua illusione era quella di vivere in un mondo senza guerre, in pace. La realizzazione de “La grande illusione” fu spinta in lui anche dal suo odio verso i film di guerra pieni di falsi eroismi. I suoi film invece mostrano il realismo delle cose, era ufficiale durante la prima guerra mondiale, di conseguenza sapeva, lo aveva vissuto in prima persona.

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CHI E' IL REGISTRA: ricreare la realtà (prese in spunto dal padre)

Jean Renoir (1894 - 1979) è stato un regista, sceneggiatore e scrittore francese, secondo figlio del pittore impressionista Pierre-Auguste Ronoir.

La sua è una lunga carriera che si sviluppa dal 1924 al 1969: inizia negli anni '20, durante i quali gira film muti; negli anni '30, in Francia, gira film sonori; trasferitosi a Holliwood negli anni '40 gira sei film; ritornato in Francia, fra gli anni '50-'60, gira i suoi ultimi otto film.

Dopo studi mediocri al "Collège Notre-Dame de Sainte-Croix" e a un liceo di Nizza, abbandonato prima del diploma, Jean Renoir si arruolò nel Corpo dei Dragoni. Soldato nel 1914. Durante la guerra in Alsazia venne ferito a una gamba e rimase zoppo per tutta la vita.

Nel 1920, sposò una modella di suo padre, Andrée Heuchling, che figurerà nei suoi primi film e cominciò a lavorare come ceramista.

Se Renoir debuttò quindi nel cinema muto, si mise però in luce con il sonoro, a partire da La cagna (1931) che segnò una svolta nella sua opera. Fu uno dei primi film parlati.

Prima della Seconda guerra mondiale, Jean Renoir cercò, con La grande illusione, di promuovere un messaggio dipace, facendo recitare, quale omaggio, suo padre spirituale Erich von Stroheim insieme a Jean Gabin. Il film è ambientato durante la grande guerra: alcuni ufficiali francesi sono prigionieri dei tedeschi in una fortezza comandata da un capitano di nobili natali, von Rauffenstein, interpretato da Erich von Stroheim. I rapporti tra i personaggi si articolano lungo linee trasversali, in base alle differenze sociali. La questione del rapporto tra la civiltà dell'Ottocento e quella del Novecento, che è al centro della Grande illusione, è una delle possibili chiavi di lettura del cinema di Renoir degli anni trenta. L'influenza della pittura (prima di tutto del padre) e della letteratura del XIX secolo è molto forte, e da alcuni critici è considerato il suo film migliore.

→ La poetica di Ronoir:

• Un narratore: Renoir si definisce innanzitutto "un narratore di storie con la cinepresa".

• Un esploratore: un regista è un artista e l'artista è un esploratore, un pioniere che precede il branco e rivela i sentimenti nascosti, spalanca le finestre su paesaggi occultati dalla nebbia delle false tradizioni. La sua funzione è quella di squarciare i veli che ricoprono la realtà.

• Un umanista: si è parlato a lungo dell'umanesimo di Renoir. Egli fa suo il motto di Pascal: "C'è solo una cosa che interessa l'uomo, è l'uomo stesso".

• Sogno e realtà: al cinema la differenza fra il sogno e la realtà è abbastanza fluida. Il regista lavora con delle lampade, con delle cineprese, con una pellicola, uno sviluppo, un lavoro in cui i problemi materiali contano enormemente: "Si comincia sempre con dei sogni imprecisi. Poi si fanno rientrare questi sogni nel quadro della realtà; e, prima che il film sia terminato, è la realtà che prevale.[...] A conti fatti, la realtàvale più del sogno. È più fantasiosa. Non c'è sogno capace di presentarci i mille, mille, mille aspetti diversi che un fatto qualsiasi ci presenta.".

• Commedia e tragedia: Renoir attinge il senso e il gusto della commedia dalla coscienza profonda della tragedia umana, mette sapientemente in scena la dialettica del gioco e della regola, del piacere e dell'amore, dell'amore e della morte.

• Progressismo e tradizione: "...due forze eguali e contrarie hanno sempre guidato l'esistenza di Renoir: una di tipo progressista, legata alla sua militanza politica e ai film di maggiore impegno ideologico e sociale, la seconda di tipo regressivo e edipico legata al mondo della sua infanzia, al padre e alla centralità dei sentimenti, dei valori, del rigore professionale, solidarietà, lealtà, onestà, amicizia e amore come donazione di sé."

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SUSANNA! (BRINGING UP BABY) – HOWARD HAWKS 1938, USA.

EPOCA: CINEMA NARRATIVO CLASSICO (O ETÀ D'ORO DI HOLLYWOOD 1927 E IL 1963 CIRCA)

GENERE: COMMEDIA

CASA DI PRODUZIONE: RKO RADIO PICTURES

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Katherine Hepburn: Susan Vance

➢ Cary Grant: David Huxley

➢ May Robson: zia Elisabeth

➢ Fritz Feld: dottor Fritz Lehman

➢ Virginia Walker: Alice Smallow

TRAMA:

Il paleontologo professor David Huxley, intento da anni alla ricostruzione di un brontosauro e vicino alla conclusione dell'impresa, il giorno prima di sposare la sua segretaria incontra casualmente l'ereditiera Susan, stravagante e capricciosa, che gli causa una lunga serie di guai, fino a portarlo all'inseguimento di un leopardo di nome Baby.

Una lunga serie di equivoci porta David ad essere ritenuto strampalato dalle persone dalle quali cerca di ottenereappoggio. Inevitabilmente David si innamora della donna, e i due si dichiarano reciprocamente innamorati, distruggendo in modo accidentale il brontosauro, ancora una volta a causa di Susan.

SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM:

Nessun flash-back, nessuna ellissi, la sua regola è la continuità; nessun personaggio si muove senza che noi lo seguiamo, nessuna sorpresa che il protagonista non condivida con noi. (…) L’intero film, corpo glorioso, è animatoda una respirazione duttile e profonda. - Jacques Rivette

Se la meticolosa (ri)costruzione del brontosauro che costituisce lo scopo scientifico del paleontologo David Huxley (Cary Grant) è la metafora di una vita diligentemente posta al servizio della scienza e della “normalità” che avrebbe portato lo scienziato a sposare la altrettanto coscienziosa, ma algida miss Swallow, il suo afflosciarsi su se stesso, nel finale del film, in una sorta di spettacolare implosione per l’ennesimo “disastro” causato da Susan Vance (Katharine Hepburn), costituisce il segno di una necessaria e nuova ricostruzione non solo del povero brontosauro ridotto di nuovo a scheletro scomposto, ma anche della vita del “malcapitato” scienziato.

Howard Hawks è stato un geniale costruttore di cinema che ha spaziato dal western alla commedia, con una puntata anche nella fantascienza e in quel cinema più strettamente contingente ad una attualità in movimento come accadeva nel cinema degli anni settanta che con un abbandono graduale dei generi cercava nel contemporaneo l’ispirazione per le nuove produzioni.

I suoi film hanno tutti diritto ad un posto nella storia del cinema e sicuramente qualcuno di questi ad un posto privilegiato. La sintesi rivettiana ci pare non superabile per condensare in tre righe la poetica di questo autentico maestro del cinema hollywoodiano che aveva in odio il montaggio ed era per questo che privilegiava la continuitàdel racconto che restituiva allo spettatore quella fisiologia narrativa di cui ci parla il grande autore francese.Susanna (1938) che altro non è che la storia di un corteggiamento con evidenti tracce di stalking, si direbbe oggi, traspone i mali d’amore e dell’innamoramento in una commedia iperattiva, decisamente esagerata e dalla trama che si fa progressivamente articolata tanto da assomigliare ad un cubo di Rubik nelle mani nervose di un inesperto giocatore.

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Lavorando su una curva iperbolica che Hawks ebbe a giudicare eccessiva per la totale assenza di personaggi normali, il film mette a segno una serie gag tra le quali non si può dimenticare quella che si coglie nella versione originale nella sequenza del travestimento femminile di David quando per la prima volta al cinema la parola “gay” viene usata in relazione all’omosessualità.

Ma Susanna è molto di più e la sua forza comica si coglie nello svolgersi della storia in cui l’ininterrotta serie di equivoci fa da struttura portante al corteggiamento sfrenato di Susan nei confronti dello sprovveduto David cui Cary Grant offre il proprio corpo impacciato e la sua espressione da nerd inguaribile che non riesce a guardare il mondo se non attraverso una inconcludente razionalità scientifica. Susan è un ciclone distruttivo, una vera calamità naturale, un disastro ambulante che sconvolge la tranquillità misurata di David e della sua composta (ex)compagna.

Il film diventa così un dispositivo di incessante comicità, forse caricaturale, ma era quella l’intenzione di Hawks. Susanna, con l’intricato groviglio di sovrastrutture verbali ed equivoci di irresistibile comicità costituisce, per Hawks, il frutto del suo lungo lavoro sui generi e quindi anche sulla commedia. Un impegno che lo spingeva ad una invenzione continua delle forme espressive ed è indubbio che per questo film, fece anche grande affidamento sulla presenza scenica dei due grandissimi attori che aveva scelto. Il personaggio di Katherine Hepburn è di una spiccata modernità, Susan che in anni insospettabili (ricordiamolo, siamo nel 1938) agisce come una donna dei nostri giorni senza alcuna ipocrisia femminile, dritta verso il suo obiettivo che riesce a raggiungere lasciandosi dietro una immensa serie di piccole catastrofi che nella Hollywood di quegli anni erano perfettamente rimediabili con un bacio finale e il brontosauro millenario accasciato irrimediabilmente nella sua originaria scomposizione.

CHI E' IL REGISTA:

Howard Hawks, nato il 30 maggio 1986, è stato un regista, produttore cinematografico e sceneggiatore statunitense, tra i più eclettici ed apprezzati dalla critica dell'era classica di Hollywood.

Nato in una famiglia benestante del Wisconsin, trasferitasi temporaneamente nell'Indiana, Howard Hawks ebbe un'infanzia e un'adolescenza agiate e sviluppò un certo spirito d'avventura che lo portò a dedicarsi con passione all'automobilismo, all'aeronautica e alla caccia. Dopo essersi laureato in ingegneria meccanica alla Cornell University, si spostò a Los Angeles, dove un amico lo introdusse nel cinema, facendolo assumere come trovarobe dalla "Famous Players-Lasky". Qui divenne amico del divo Douglas Fairbanks Sr., con cui condivideva la passione per il tennis.

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OMBRE ROSSE (STAGECOACH) – JOHN FORD 1939, USA

EPOCA: CINEMA WESTERN CLASSICO (CINEMA AMERICANO DEGLI ANNI DI ROOSVELT)

GENERE: WESTERN

CASA DI PRODUZIONE: UNITED ARTIST

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Claire Trevor: Dallas

➢ John Wayne: Henry "Ringo Kid" (Enrico)➢ Andy Devine: Buck➢ John Carradine: Hatfield➢ Thomas Mitchel: dottor Josiah Boone➢ Louise Platt: Lucy Mallory (Lucia)➢ George Bancroft: maresciallo Charlie Wilcox➢ Donald Meek: Samuel Peacock➢ Berton Churchill: Henry Gatewood➢ Tim Holt: tenente Blanchard➢ Tom Tyler: Luke Plummer➢ Yakina Canutt: Cavalry scout➢ Chris-Pin Martin: Chris

TRAMA:

1880. Un dispaccio informa un'unità dell'esercito che gli Apache, comandati da Geronimo, sono sul piede di guerra.

L'interruzione delle comunicazioni via telegrafo impedisce di avere maggiori informazioni, ma un gruppo di passeggeri, non valutando bene il pericolo e pensando di poter contare sulla scorta dell'esercito, decide ugualmente di mettersi in viaggio sulla diligenza che da Tonto va a Lordsburg.

L'equipaggio è piuttosto eterogeneo (il medico ubriacone Boone, la prostituta Dallas, il giocatore d'azzardo Hatfield, il banchiere disonesto Gatewood, lo sceriffo Wilcox, il rappresentante di liquori Peacock e Lucy Mallory, moglie incinta di un ufficiale dell'esercito) e ad esso si unirà poi Ringo, evaso alla ricerca di vendetta (a Lordsburg si trovano i fratelli Plummer, gli assassini del padre e del fratello).

I membri del gruppo, inizialmente diffidenti l'uno dell'altro e pieni di pregiudizi nei confronti dei "poco di buono",come Ringo e Dallas, imparano a collaborare grazie all'improvviso parto di Lucy e all'attacco indiano poco prima di raggiungere la meta (dove Hatfield perde la vita).

Raggiunta Lordsburg, Ringo compie la sua vendetta uccidendo i Plummer e, con la complicità del medico e dello sceriffo, grande amico di suo padre, fugge verso la frontiera in compagnia di Dallas.

SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

→ Il film è un atto di accusa verso l’epoca precedente a Roosvelt, contro l’ipocrisia sociale e l’emarginazione nei confronti dei più deboli, gli esclusi della società, che non a caso sono i veri protagonisti del racconto, sono persone disperate ed emarginate, che hanno avuto guai con la legge o finiranno per averne, persone che nel pericolo dimostreranno di non essere ciò che sembrano.

Diviso in 4 parti:

1. Introduzione (personaggi + vicenda)

2. Viaggio

3. Attacco cavalleria

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4. Finale chiuso

APACHE, Indiani = elemento di pericolo tipico di questo genere.

Morale del genere: giustizia sarà fatta (chi ha ragione vince).

*La parte dell'inseguimento coinvolge particolamente il pubblico. Le inquadrature sono belle esteticamente e ti fanno sentire dentro al film. Per creare dinamismo Ford sperimenta lo spostamento della macchina da presa da un lato all'altro. Fa un uso straordinario di questa, mostrandoci panoramiche, carrellate e zoom. Altra cosa a cui si affida molto sono le immagini prive di dialogo. Molte cose ci vengono comunicate dall’azione e dalle inquadrature più che dalle battute.

→ Cambiamento significativo si 3 personaggi:

RINGO: riesce a farsi giustizia da solo.

DALLAS: personaggio leale, molto vicino al pubblico.

DOTTORE: riesce a riscattarsi (2° possibilità nella vita)

→ Film girato nella Monumenti Valley (location preferita da Ford); quadro naturale di grande attrattiva.

E’ il film western più famoso della storia del cinema. E’ il primo mai girato? Assolutamente no, anzi i produttori avevano delle diffidenze a finanziarlo in quanto non avevano intenzione di fare “…il solito western”. Erano trent’anni che il cinema americano dava in pasto questo genere al pubblico e si riteneva di aver raggiunto la fine.

Da dove derivano le ombre del titolo? Sono un’invenzione tutta italiana, il titolo originale del film è infatti Stagecoach che tradotto significa diligenza, la carrozza per lunghi viaggi dove interagiscono i protagonisti della storia. Perché è stato cambiato il titolo? Forse all’epoca il termine diligenza non era molto comune in Italia o venne ritenuto inadatto e si preferì sottolineare la presenza degli indiani nel racconto. Più che di presenza però bisognerebbe parlare di continua non-presenza. Il titolo italiano infatti spinge a ritenere che la storia sia incentrata tutta sullo scontro con gli indiani, che in realtà rimangono praticamente solo una presenza minacciosa nei discorsi dei personaggi. Quasi ci si aspetta che il film sia una storia di tensione dove il il nemico, non appare mai ma è continuamente presente in qualche modo sulla scena. Ma l'intenzione di Ford è un'altra. Gli indiani nonsono nemmeno i nemici principali del protagonista e costituiscono solo un ostacolo da superare prima della prova finale. Ford pone al centro della storia i personaggi.

La diligenza, mezzo di trasporto tipico dell’iconografia western, è trasformato da Ford in un brulicante microcosmo, specchio di una società, al pari del saloon, della fattoria e del fortino, luoghi questi dove si intrecciano storie e dove si incontrano tutti coloro che contribuiscono, nel bene e nel male, a creare un mondo nuovo. Il regista non è interessato al conflitto etnico tra bianchi e pellerossa ma al conflitto sociale: tra pregiudizi e necessità racconta l’America durante il New Deal roosveltiano. La diligenza è un’efficace metafora della società dell’epoca, un mondo variegato per ceto, origini e cultura, in cui solo l’unione delle forze può permettere di superare ogni ostacolo e dare a tutti una possibilità di riscatto.

La diligenza appare come simbolo della comunità civile: i nove passeggeri corrispondono a stereotipi sociali e disegnano un sistema di personaggi conflittuale, dove si contrappongono bene e male, rispettabilità (intesa comestatus sociale) e moralità (come valori profondi dell'individuo), legalità e illegalità.

I rappresentanti ufficiali della rispettabilità si rivelano corrotti e immorali (il banchiere Gatewood), o quantomeno, inizialmente, rigidi e ingiusti (Lucy, moglie di un ufficiale di cavalleria), mentre la prostituta Dallas e il fuorilegge Ringo, non rispettabili secondo i canoni convenzionali, sono i depositari di una moralità profonda e diautentici valori di lealtà e giustizia. Specularmente opposti sono il dottor Boone e il giocatore di azzardo Hatfield, in cui rispettabilità e immoralità si invertono, nel gioco dell'apparenza e della realtà. Il confronto tra lo sceriffo Wilcox e il fuorilegge Ringo contrappone ai valori riconosciuti della collettività, le aspirazioni e le istanze di libertàdell'individuo, suggerendo la necessità di una dialettica reciproca, come dimostra, nel percorso narrativo del film,la loro progressiva collaborazione e l'attenuarsi dell'individualismo del giovane, con la scelta di legarsi a Dallas per formare una nuova famiglia, una nuova cellula sociale.

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Ebbe un grande successo di pubblico e critica e vinse due premi oscar. Ford realizzò dal punto di vista dei contenuti e della tecnica un film fuori dall’ordinario, quasi visionario nel suo anticipare certe caratteristiche tipiche del cinema successivo. Western maturo. Si ritiene che questo film sia l’ultimo e più grande esponente di una certa forma del western, aveva trovato l'equilibrio perfetto tra i miti sociale , l'evocazione storica, la verità psicologica e la tematica tradizionale della messa in scena western e che nessuno di questi elementi fondamentali prendesse il sopravvento sull’altro.

CHI E' IL REGISTRA:

Ritengo che il punto di partenza ideale per iniziare a parlare del cinema western sia questo film. Non si tratta a mio parere del migliore mai girato ma è sicuramente il più importante. Sottolineo innanzitutto che stiamo analizzando una pellicola girata alla fine degli anni Trenta, quando il film era in produzione doveva ancora scoppiare la Seconda Guerra Mondiale! Le conseguenze del tempo sono inevitabili. E’ vero che il classico, in qualsiasi forma d’arte si manifesta, non invecchia mai, ma forse per il cinema bisogna fare un discorso a parte. Nel trascorrere del tempo, dove nelle arti si può parlare di evoluzione della sensibilità e dello stile, all’interno del cinema avviene anche un progresso tecnologico e di mercato. I film cercano sempre più di stupire e attrarre il pubblico e di conseguenza i mezzi e i metodi per esprimere concetti ed emozioni si raffinano. John Ford è stato forse il più grande regista americano, ha fatto scuola e ha creato ciò che noi definiamo cinema classico americano. E’ anche vero che sicuramente Ford non faceva l’arte per l’arte, il suo scopo era riempire i cinema, far venire il pubblico a vedere e apprezzare i suoi film, in questa prospettiva un regista come lui oggi girerebbe questo film in modo ben diverso.

John Ford, nato John Martin Feeney nel 1894, è stato un regista e produttore cinematografico statunitense, famoso soprattutto per l'imponente produzione di film western e il record di 4 Oscar alla regia. Attivo fin dagli anni del cinema muto, John Ford è unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi registi della storia del cinema: registi quali Akira Kurosawa, Martin Scorsese e tanti altri hanno apertamente ammesso la notevole influenza che i film di Ford hanno avuto sulle loro opere. Alla fama e al successo di Ford, a cui la cinematografia western è indissolubilmente associata, contribuì anche la collaborazione con attori di grande successo popolare, in particolare John Wayne (insieme girarono 21 film), ma anche Henry Fonda, John Carradine e Lee Marvin.

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NOTORIOUS - L'AMANTE PERDUTA (NOTORIOUS) – ALFRED HITCHCOCK 1946, USA

EPOCA: CINEMA D'AUTORE

GENERE: THRILLER, SENTIMENTALE, DRAMMATICO

CASA DI PRODUZIONE: RKO RADIO PICTURES

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Cary Grant: T.R. Devlin➢ Ingrid Bergman: Elena Huberman➢ Claude Rains: Alessio Sebastian➢ Louis Calhern: Paolo Prescott➢ Leopoldine Konstantin: madame Anna Sebastian➢ Reinhold Scunzel: dott. Otto Anderson➢ Moroni Olsen: Walter Beardsley➢ Ivan Triesault: Eric Mathis➢ Alex Minotis: Giuseppe, il maggiordomo➢ Wally Brown: sig. Hopkins➢ Sir Charles Mendl: il commodoro➢ Ricardo Costa: dott. Julian Barbosa

Ingrid Bergman: Hitchcock la volle assolutamente nella parte della protagonista. L'attrice aveva appena interpretato per un film di Hitchcock ed era dunque alla sua seconda collaborazione col regista britannico; anche successivamente avrà un terzo ruolo in un film del regista. «Molti notarono che raramente nella storia del cinema un'attrice era stata ripresa con tanta delicatezza e una tale adorazione».

Cary Grant: interpreta il protagonista maschile, il poliziotto Devlin, anch'egli alla sua seconda collaborazione con Hitchcock, con cui lavorerà altre due volte. «La sua recitazione è perfettamente tesa sulla corda dell'ironia e il sottofondo mefistofelico della sua eleganza fa capolino nelle inquadrature che lo riprendono alle spalle»

Claude Rains: interpreta il ruolo del cattivo, la spia che s'innamora di Elena, dando al personaggio tenerezza e sincerità. Aveva già recitato con Ingrid Bergman in Casablanca, di .

Leopoldine Konstantin: interpreta il ruolo della madre della spia, che le fu affidato in virtù del suo status di importante attrice teatrale, ma che era sconosciuta negli ambienti cinematografici. Questa sarà la sua unica interpretazione in un film americano, ma rimarrà memorabile. Il ritratto di madre tirannica e possessiva che l'attrice incarna è di grande forza e incisività.

TRAMA:

Miami, Florida. 24 aprile 1946. Ore 15.20. Si conclude il processo contro la spia tedesca John Huberman: l'imputato è condannato a vent'anni di carcere. Un gruppo di giornalisti e di fotografi attende con impazienza di intervistare la figlia, Elena (Alicia nell'originale inglese), ma sono delusi perché lei se ne va senza rilasciare alcuna dichiarazione.

Tempo dopo, la donna ospita uno sconosciuto ad un party e si mette a corteggiarlo in stato di evidente ubriachezza. Il mattino successivo egli rivela la sua identità: si tratta dell'agente segreto T.R. Devlin e l'ha contattata per conto del Governo degli Stati Uniti, per chiederle di partecipare a una missione in Brasile, volta a smascherare un complotto filonazista. Elena, innamorata e desiderosa di riscattare la sua famiglia, decide di accettare e parte con lui per Rio de Janeiro. Non si sente idonea all'incarico, ma è motivata principalmente dai suoi sentimenti; l'agente, invece, agisce in base ai suoi doveri di funzionario.

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Durante il viaggio in aereo riceve la notizia che il padre si è suicidato in carcere. A Rio le viene assegnato il compito di carpire informazioni al presunto capo dell'organizzazione nemica, un suo antico corteggiatore respinto, Alessio (Alexander nell'originale inglese) Sebastian, amico di suo padre. Tuttavia, ben presto, si trova in una posizione difficile perché Alessio, innamorato ancora di lei e finalmente convinto di poter essere ricambiato, le propone di sposarlo, sfidando inaspettatamente la madre, madame Anna Sebastian, diffidente e ostile ad Elena.

Devlin non si oppone al parere favorevole espresso dai suoi superiori sull'opportunità del matrimonio, ma soffre profondamente della situazione, reagendo in maniera amareggiata nei confronti di Elena che, a sua volta amareggiata e delusa a causa della freddezza dell'uomo che ama, si sacrifica per la missione e sposa Alessio. Tramite Devlin mantiene un contatto periodico con i servizi segreti americani per informarli sugli incontri che i nazisti tengono periodicamente in casa di Sebastian e sui loro movimenti.

Quando arriva alla certezza che la cantina nasconde un segreto, organizza un ricevimento per consentire a Devlin di indagare nella villa di persona. L'agente scopre che la cantina è il luogo in cui è nascosto il minerale di uranio inbottiglie di vino. Sebastian, esaurite le scorte di champagne, sorprende la moglie e Devlin nei pressi della cantina.Per deviare i sospetti, Devlin bacia appassionatamente Elena, fingendo di esserne l'amante. Ma, nonostante questa manovra diversiva, Alessio fiuta l'inganno: nota che la chiave della cantina gli è stata sottratta e che qualcuno vi si è introdotto e ha rotto una bottiglia.

Con la complicità della madre, Alessio vuole far sparire Elena e nello stesso tempo vuole impedire che i suoi complici scoprano che ha sposato una spia. Un veleno mischiato al caffè servirà allo scopo, agendo lentamente e debilitandola fino alla morte.*1. Colpita da frequenti malori e sempre più debole, Elena continua a recarsi coraggiosamente agli appuntamenti per fornire informazioni a Devlin, che, notando il peggioramento del suo stato di salute, lo attribuisce all'abuso di alcool.*2. Tuttavia non sopporta più il tormento che gli procura il ruolo che si è assunto e chiede di essere trasferito in Spagna. All'ultimo incontro Elena però non si presenta. Devlin è preoccupato e, dopo averne discusso con il suo capo, decide di recarsi personalmente nella casa di Sebastian.

Nella villa è in corso una delicata riunione: vistisi pedinati, alcuni membri del gruppo nazista iniziano a sospettaredi Sebastian. Di soppiatto Devlin sale ai piani superiori e trova Elena in fin di vita. Le dichiara finalmente il suo amore e la trae in salvo, accompagnandola all'auto e mettendo alle strette il marito, indeciso tra il bloccare la fuga dei due amanti, facendosi scoprire dai suoi complici, o il lasciar fuggire Elena.*3. Il film si conclude con Devlin e Elena che s'allontanano in macchina, mentre Alessio si avvia verso casa, dove dovrà rendere conto dell'accaduto alle spie naziste che hanno assistito alla fuga della moglie.

SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

Notorious è una parola inglese che contiene un'ambiguità di senso: significa noto, conosciuto, evidente, ma anche famigerato, malfamato. Il titolo del film fa riferimento al comportamento ritenuto generalmente immoraledella protagonista.

Hitchcock utilizzò il racconto come punto di partenza, rielaborandolo in modo consistente. L'affiancò alla sceneggiatura Ben Hecht.

Da sempre incentrato sul genere giallo e sul concetto di suspance. Usa in modo ricorrente i temi morali di colpa, e peccato, realtà e apparenza, angoscia e sospetto.

Giallo incentrato su scenario onirico in cui il problema fondamentale dell'identità dell'individuo, tra conscio e inconscio, normalità e follia, si pone attraverso accadimenti e situazioni che assumono valore simbolico.

La suspance è costituita attorno a due elementi: la chiave e la falsa bottiglia. A scandire il tempo e la suspance sono le bottiglie della festa che diminuiscono, rendendo logico l'azione che dopo verrà, l'andare in cantina a prenderne delle altre.

→ Tre scene sono i cardini del film:

1. La sequenza del bacio. Nella prima parte del film, la scena sul balcone della casa di Rio de Janeiro, della durata di tre minuti, è diventata famosa per il bacio più lungo nella storia del cinema fino a quel momento, entrando così nel guinness dei primati. Per aggirare le limitazioni imposte da Hollywood sui baci prolungati, Hitchcock ricorre a una successione di piccoli baci: Grant e Bergman alternano i baci alla preparazione della cena romantica e alla telefonata di Devlin al suo superiore.

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2. La sequenza del ricevimento. Caratterizzata da una grande suspense, con un piano totale della sala ripreso dalla cima di un'altissima gru, seguito da una celebre carrellata che parte dalla sommità delle scale e si conclude con il dettaglio della chiave che Elena tiene nella mano e scambierà nella mano di Devlin. «Il lungo e lento travelling ci mostra il cammino che dovranno compiere i protagonisti per ritrovare l'intimità della scena iniziale» (Noel Simsolo). La scena prosegue con il montaggio alternato di Elena che guarda preoccupata le bottiglie di champagne che si stanno esaurendo, il marito e il cameriereche stanno decidendo di scendere in cantina per una nuova provvista e Devlin che, nascosto nella cantina, sta cercando di scoprire il segreto delle spie. Culmina con il bacio che dovrebbe sviare i sospetti del marito «Devlin fingerà di stringere Elena in un abbraccio falsamente ingannatore, mentre il loro abbraccio simulato sarà un bacio autentico» (Rohmer-Chabrol).

3. La sequenza finale. «Finale abbagliante ma conciso, sereno ma disperato, uno dei più «pietrificati» e rigorosi dell'intera storia del cinema» (Bruzzone-Caprara). Devlin irrompe nella casa Sebastian, uomo sbucato dall'ombra come un fantasma del Bene (anche nella prima inquadratura appariva di schiena e in controluce come un'ombra misteriosa): trascina Elena fuori dalla stanza per distruggere tutto ciò che l'incatena e finalmente si arrende alla forza dell'amore. Sebastian al contrario non potrà fuggire da quell'incubo. «Questo film costruito sulle tenebre e la luce, l'immobilità e il movimento, si chiude sul primo piano di una vettura che parte portando via Elena e Devlin e di una porta che si richiude su Sebastian».

→ SCENE PiÙ IMPORTANTI:

*1. La scena della tazza ci dà la risposta di quale sarà la causa dell'avvelenamento.

*2. Malattia di Elena/Alicia: inquadrature con personaggi non a fuoco.

*3. Quando Devlin cerca di portarla via si crea una forte suspance, che viene inoltre sottolineata dalla musica. Qui avviene una sorta di CLIMAX.

Soffermandoci invece ad analizzare la parte tecnica di Notorius, non possiamo che commentare entusiasticamente una regia di straordinaria efficacia in grado di discostarsi da una rappresentazione classica e al contempo di formare uno standard per il cinema futuro.

Già soltanto la prova schiacciante che convince la Bergman a collaborare con la polizia è resa con intelligenza. La registrazione che viene fatta ascoltare all’imputata è spiazzante e avrà talmente tanta fortuna da essere utilizzata ancora oggi in un qualsiasi film poliziesco.

Le inquadrature soggettive sono strabilianti. La donna che guida ubriaca l’automobile con i capelli al vento che le oscurano parzialmente la vista è rappresentata in soggettiva con le ciocche di capelli della protagonista che svolazzano libere davanti alla macchina da presa. Le deformazioni della pellicola sono invece di straordinario impatto nel restituirci l’idea di avvelenamento, di difficoltà nel percepire l’ambiente circostante. Esattamente come l’inquadratura capolavoro di un Cary Grant statuario che vigilia su una ubriaca Ingrid Bergman, eseguita a macchina da presa ruotata di 45° gradi.

Queste anomalìe prospettiche sono ricorrenti nell’opera e, cosa più importante, non cadono mai nel tecnicismo autoreferenziale. Al giorno d’oggi è davvero difficile scovare un regista che quando azzarda qualche funambolismo tecnico riesca a non discostarsi dalla funzionalità narrativa ed espressiva dell’immagine. In Hitchcock il problema non sussiste nemmeno perché i tecnicismi sono sempre estremamente contestualizzati.

L’azzardo tecnico più interessante è però il movimento di macchina che Hitchcock ripete più volte durante il film, arrivando alla perfezione nella scena della festa quando dal piano superiore in campo largo si va a riprendere il dettaglio custodito nella mano della protagonista. Il movimento è questo: spostare la macchina da presa di qualche metro per andare a mettere in risalto un volto o un dettaglio, in tempo rapido. È una sorta di zoom ante-litteram. Nel 1946 non esistevano ancora obiettivi a focale variabile che permettono di avvicinarsi o allontanarsi da un dettaglio senza muovere la macchina da presa, ma solamente agendo ruotando verso destra o verso sinistra l’obiettivo, come oggi avviene su ogni macchina fotografica reflex. Nel ’46 se si voleva realizzare un effetto di questo tipo bisognava spostare l’intera macchina da presa, con tutto il suo enorme peso, tramite un carrello con braccio libero di sollevare la cinepresa fino a qualche metro d’altezza, denominato dolly.

Notorius, L’Amante Perduta è un film che, è da considerare un capolavoro imperdibile della cinematografia.

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CHI E' IL REGISTA:

Alfred hitchcock nasce a Leytonstone, vicino Londra, il 13 agosto 1899.Suo padre William gestisce due negozi di frutta e verdura lungo l’High Road di Leytonstone. Alfred è il terzogenito, suo fratello maggiore, William jr, ha 9 anni più di lui, sua sorella Nellie invece ne ha 7 di più.Sarà William ad ereditare il patrimonio di famiglia, mentre il giovane Alfred preferirà dedicarsi al cinema.fin da piccolo Alfred si dimostra un bambino buono e tranquillo, tanto che suo padre è solito chiamarlo il suo "agnellino senza macchia".All’età di 4-5 anni succede un fatto curioso: per punirlo di una marachella suo padre decide di mandarlo al vicino commissariato di polizia con una lettera. Al funzionario, dopo aver letto il foglio, rinchiude il povero Alfred in una cella per una decina di minuti, ma è abbastanza da far crescere in Alfred la paura per tutti i poliziotti!Introverso e solitario, gli piace stare seduto in un angolino a guardare gli altri in silenzio, non ha molti amici con cui giocare, frequenta scuole religiose e ne cambia parecchie.Dai 9 ai 14 anni è presso i Gesuiti, allo St. Ignatius College di Stamford Hill, un ambiente rigido e severo, dove subisce anche punizioni corporali."Molto probabilmente" - come disse una volta lui stesso – "è stato durante il periodo passato dai Gesuiti che il sentimento della paura si è sviluppato con forza dentro di me".Alfred non è un genio a scuola, ma ha una gran passione per la fotografia e per tutto ciò che ha a che fare con carte topografiche, mappe, e percorsi ferroviari. Da qui il suo enorme interesse per i viaggi in tutto il mondo.Tutto ha inizio quando Alfred riesce ad ottenere dalla casa produttrice Famous Players l'incarico dei disegni e delle didascalie dei film in produzione. In questo modo ha occasione di avvicinarsi anche ad altri settori della casadi produzione, tra cui quello della sceneggiatura e del montaggio. Sono gli anni d’oro del cinema muto americano, quello in cui ritroviamo i capolavori di Griffith: "Nascita di una Nazione" (1914), "Intolerance" (1916), "Il Giglio Infranto" (1919); quelli di C. Chaplin, come "Il Monello" (1921), e di Stroheim, "Femmine Folli" (1921).E’ il 1922, alfred hitchcock debutta come regista.Nella vita di hitchcock c’erano molte cose a proposito delle quali egli voleva essere evasivo: fantasie colpevoli, comportamenti sociali di aggressività passiva, desideri proibiti non sempre frenati, un’attitudine personale e registica manipolatoria, se non addirittura tirannica. Tutte caratteristiche che in maniera più o meno chiara alla fine diventarono elementi essenziali dei suoi film; e soprattutto nel momento in cui il regista inglese decise di trasferirsi negli Stati Uniti, dove poi avvenne la sua definitiva consacrazione.hitchcock riuscì perfettamente ad inserirsi nel “sistema” hollywoodiano, utilizzandone ampiamente tutte le possibilità, introducendo negli schemi produttivi e nei canoni spettacolari, sostanzialmente uniformi e ripetitivi, quella sua personale visione del mondo, venata di cattolicesimo e di una forte dose di scetticismo, che si esprimein una poetica che ruota attorno al concetto di “suspence”, vale a dire l’”attesa” che accada qualcosa che ognuno,dentro di sé, non vorrebbe che accadesse, grazie al quale il pubblico viene coinvolto in un gioco sadico che gli provoca, inesorabilmente, un’angoscia irrefrenabile. La fine degli anni ’50 segna un profondo cambiamento nella poetica di hitchcock, che adesso si orienta verso una più complessa e prospettica rappresentazione dell’angoscia contemporanea, in cui il dubbio e la paura affondano nel tessuto vitale di un’esperienza di vita che è quella dei nostri giorni. In uno stile più disteso, classico, maturo, l’abnorme, il misterioso, l’inconsueto nascono da una realtà perfino a tratti banale, si introducono nelle pieghe diun racconto che procede senza scosse, quasi fosse un resoconto di fatti di cronaca. Il brivido, adesso, è un elemento indispensabile per la resa spettacolare di una situazione drammatica che fornisce tutta una serie di indicazione per osservare la “quotidianità” con occhi irrequieti, indagatori. La realtà fenomenica, così, balza in primo piano, al di là delle costrizioni cinematografiche consuete, e questo maggior realismo della rappresentazione conferisce al film una dimensione maggiormente angosciante.Simbolo di questo nuovo modo di intendere il cinema è forse il film più conosciuto del regista inglese, Psyco (1960), più un horror che un thriller, dove il tema dell’angoscia si fa più esplicito e profondamente radicato nella vicenda e nei personaggi. Alfred hitchcock si spense senza suspence, senza violenza (il terrore, dopotutto, era stato per anni parte dei suoi sogni e della sua arte) alle 09,17 della mattina del 29 aprile del 1980 a Los Angeles in California.Vissuto in un'epoca in cui l'umanità non riesce più a controllare le proprie azioni e vive costantemente nell'incubo dell'olocausto nucleare, alfred è il più grande poeta della paura di ogni tempo; non la paura di un tiranno o di un assassino, ma la paura di un innocente e mediocre uomo qualunque, per esempio un uomo di nome alfred.

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LADRI DI BICICLETTE – VITTORIO DE SICA 1948, ITALIA

EPOCA: NEOREALISMO

GENERE: DRAMMATICO

CASA DI PRODUZIONE: P.D.S. (PRODUZIONE.DE.SICA)

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Lamberto Maggiorani: Antonio Ricci➢ Enzo Staiola: Bruno, suo figlio➢ Lianella Carell: Maria, sua moglie➢ Elena Altieri: signora benefattrice➢ Gino Saltamerenda: Baiocco➢ Vittorio Antonucci: Alfredo Catelli, il ladro della bicicletta➢ Giulio Chiari: un attacchino dei manifesti➢ Michele Sakara: il segretario della festa di beneficenza➢ Fausto Guerzoni: l'attore della Filodrammatica➢ Carlo Jachino: un mendicante➢ Massimo Randisi: il ragazzo borghese alla trattoria➢ Ida Bracci Dorati: la "santona"➢ Peppino Spadaro: il brigadiere➢ Mario Meniconi: lo spazzino➢ Checco Rissone: il vigile in Piazza Vittorio➢ Memmo Carotenuto: un cittadino della folla che difende il vero ladro➢ Giulio Battiferri: un cittadino della folla che difende il vero ladro➢ Sergio Leone: uno studente del seminario

TRAMA:

Roma, secondo dopoguerra. Antonio Ricci, un disoccupato, trova lavoro come attacchino comunale. Per lavorare deve però possedere una bicicletta e la sua è impegnata al Monte di Pietà, per cui la moglie Maria è costretta a dare in pegno le lenzuola per riscattarla*1. Proprio il primo giorno di lavoro, però, mentre tenta di incollare un manifesto cinematografico, la bicicletta gli viene rubata. Antonio rincorre il ladro, ma inutilmente.

Andato a denunciare il furto alla polizia, si rende conto che le forze dell'ordine per quel piccolo e comune furto non potranno aiutarlo. Tornato a casa amareggiato, capisce che l'unica possibilità è mettersi lui stesso alla ricercadella bicicletta. Chiede quindi aiuto a un suo compagno di partito, che mobilita i suoi colleghi netturbini con i quali, all'alba, insieme al figlio Bruno, che lavora in un distributore di benzina, si reca a cercare la bicicletta: dapprima a Piazza Vittorio e poi a Porta Portese, dove solitamente vengono rivenduti gli oggetti rubati. Tuttavia non c'è niente da fare: la bicicletta, probabilmente ormai smembrata nelle sue parti, non si trova.*2

Proprio a Porta Portese, Antonio riconosce il ladro in compagnia di un vecchio barbone, perdendolo subito di vista. Anche il vecchio vuole sfuggire a Ricci che lo segue fino a una mensa dei poveri, dove dame di carità della pia borghesia romana distribuiscono minestra e funzioni religiose agli affamati. L'uomo pretende di essere accompagnato dal barbone al recapito del ladro ma, approfittando di una sua distrazione, il vecchio si dà alla fuga. Ormai perse le speranze, Antonio arriva persino a rivolgersi a una "santona", una sorta di veggente che accoglie nella sua casa un'umanità varia, afflitta e disgraziata; ma il responso sibillino della donna è quasi una presa in giro. Subito dopo, solo per caso, Antonio s'imbatte nuovamente nel colpevole in un rione malfamato, dove però tutti gli abitanti prendono fermamente le difese del ladro, minacciando il derubato. Nemmeno un carabiniere, non trovando prove concrete, può fare alcunché per arrestare il colpevole.*3

Stravolti dalla stanchezza, Antonio e Bruno attendono il tram per tornare a casa, quando Antonio nota una bicicletta incustodita e, preso dalla disperazione, tenta maldestramente di rubarla, ma viene subito fermato e aggredito dai passanti. Solo il pianto disperato del figlio, che muove a pietà i presenti, gli evita il carcere. Bruno stringe la mano al padre e i due si allontanano tra la folla mentre su Roma scende la sera. *4

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SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

→ Gli attori sono amatoriali i quali rendono il tutto ancora più realistico e naturale, i protagonisti inoltre sono stati scelti per il loro modo di camminare, in particolare quello del bambino apprezzatissimo e che viene preso subito per la sua goffaggine naturale e spontanea, perfetta per il ruolo da interpretare.

→ Tutte le situazioni del film sono perfettamente concordi alla mimica dell'attore e alla colonna sonora.

*0: Roma, strade larghe ma vuote, no auto né mezzi. Città pulita = estrema povertà del dopo guerra. Ambienti degradati e situazioni di abnorme e atroce miseria. Il popolo come tante formiche in un formicaio che lottano perla sopravvivenza.

*1: Scena in cui il deposito degli oggetti e il monte dei pegni mostra in quadro simbolico la povertà.

*2: Scena che mostra il percorso tormentato che il protagonista deve compiere per risolvere i suoi problemi, vi è un viaggio reale ma anche simbolico come la ricerca del santo Graal (che sarebbe la bici) e che porta inoltre gli eroi alla scoperta di sé stessi. È inoltre la bici stessa simbolo della vita che viene rubata.

*3: Scena in cui si vede che la condizione del ladro è ben peggiore rispetto a quella di Antonio.

*4: Finale aperto che lascia spazio alle intuizioni. → vi è un importante scambio di ruoli tra padre/figlio con un gioco di sguardi, inquadrature e musiche, e grazie a questi elementi percepiamo senza il bisogno di parole le emozioni forti dei personaggi.

Dopo l'insuccesso commerciale di Sciuscià, con un pubblico abituato ai film dei "telefoni bianchi" degli anni del ventennio fascista o ai grandi film di Hollywood, De Sica volle a tutti i costi realizzare questo secondo film, al punto da investire il proprio denaro nella sua produzione.

Il pubblico del cinema Metropolitan di Roma non accolse bene il film, anzi reclamava la restituzione del prezzo del biglietto.[14] Tutt'altra l'accoglienza a Parigi, con la presenza di tremila personaggi della cultura internazionale. Entusiasta e commosso, René Clair abbracciò al termine della proiezione De Sica dando il via a quel successo mondiale che ebbe in seguito il film con i cui proventi il regista riuscì finalmente a pagare i debiti contratti per la produzione di Sciuscià.

Ladri di biciclette incassò ₤ 252.000.000.

Un'altra protagonista del film è la bicicletta, divenuta da mezzo popolare di trasporto, un elemento vitale di sopravvivenza per il protagonista del film. Le biciclette attraversano tutta la storia del film, appaiono e scompaiono (isolate o in mucchi, integre o fatte a pezzi) come un incubo agli occhi del piccolo Bruno e di suo padre. La bicicletta rappresenta la tentazione che spinge Antonio a rubare, l'esca con cui il pedofilo di Piazza Vittorio attira il piccolo Bruno, la perdita del lavoro e la disperazione finale di una povera famiglia che aveva riposto in quell'umile oggetto tutte le sue speranze di sopravvivenza.

CHI E' IL REGISTRA:

Vittorio Domenico Stanislao Gaetano Sorano De Sica (1901 – 1974) è stato un attore, regista e sceneggiatore italiano. Tra i cineasti più influenti della storia del cinema, è stato inoltre attore di teatro e documentarista. È considerato uno dei padri del Neorealismo e, allo stesso tempo, uno dei maggiori registi e interpreti della commedia all'italiana. Famoso per aver dato via a capolavori del Neorealismo italiano come Sciuscià e Ladri di Biciclette.

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CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA (SINGING IN THE RAIN) – STANLEY DONEN & GENE KELLY 1952, USA

EPOCA: CINEMA NARRATIVO CLASSICO HOLLIWOODIANO

GENERE: MUSICALE, COMMEDIA

CASA DI PRODUZIONE: MGM (METRO GOLDWYN MAYER)

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Gene Kelly: Don Lockwood➢ Donald O'Connor: Cosmo Brown➢ Debbie Reynolds: Kathy Selden➢ Jean Hagen: Lina Lamont➢ Millard Mitchell: R.F. Simpson➢ Cyd Charisse: ballerina➢ Douglas Fowley: Roscoe Dexter➢ Rita Moreno: Zelda Zanders➢ King Donovan: Rod➢ Richard Emory: Phil➢ Bobby Watson: maestro di dizione➢ Harry Tenbrook: tecnico del suono➢ Julius Tannen: uomo sullo schermo➢ Mae Clarke: parrucchiera

TRAMA:

A Hollywood, nel 1927, l'attore Don Lockwood, acclamata star del muto con un passato di ballerino, musicista e stuntman, non sopporta la propria partner sullo schermo, la bionda e vanitosa Lina Lamont. Lina crede che Don sia segretamente innamorato di lei: ella infatti è soffocante verso di lui, e non riesce a mettersi in testa che Don non è però affatto innamorato di lei, nonostante cerchi in tutti i modi di farle capire che tra loro non c'è mai statoniente. Oltretutto Lina ha un carattere sprezzante, capriccioso, smorfioso e altezzoso verso chiunque e anche la sua voce non è per niente gradevole cosicché Don, per non rovinare l'immagine di entrambi, durante le conferenze e le interviste deve puntualmente stopparla ogni volta che lei vorrebbe parlare. Come se non bastasse anche i loro fan credono che i due attori siano fidanzati da tempo, ritenendoli addirittura una coppia modello del cinema e ciò rende Lina ancora più antipatica e insopportabile. Il successo dei primi film sonori, in particolare dopo “Il cantante jazz” di Alan Crosland costringe R.F. Simpson, il produttore della Monumental Pictures, a trasformare Il cavaliere spadaccino, l'ultima pellicola della coppia, in un film parlato, ma l'idea si rivela impraticabile a causa del tono di voce squillante e fastidioso di Lina che fino a quel momento nessuno aveva mai udito, e della sua incapacità di parlare verso il microfono nascosto che fa sentire i dialoghi spezzati.

Dopo uno screen test fallimentare, il musicista Cosmo Brown, migliore amico di Don, suggerisce di trasformare il film in un musical che viene reintitolato Il cavaliere della danza, nel quale Lina verrebbe doppiata dalla dolce giovane attrice e cantante Kathy Selden di cui Don si è nel frattempo innamorato. Lina è molto gelosa della ragazza, e quando scopre la verità si infuria e cerca di sabotare la storia d'amore, nonché di tenere Kathy alle sue dipendenze costringendola a continuare a doppiare i suoi futuri film contro la sua volontà; impone infine ai produttori che la cosa non venga rivelata, minacciando di fare loro causa. Alla prima il film è un enorme successo e quando a Lina viene chiesto di cantare, Don, Cosmo e R.F. la convincono a esibirsi in playback con Kathy dietro le quinte, per poi poterla smascherare alzando il sipario durante la sua esibizione e quindi rivelando il talento di Kathy. Infine i protagonisti riescono a raggiungere l'obiettivo di creare un film prettamente musicale “Singing in the rain”. La scena finale sui due innamorati che si baciano davanti al cartellone pubblicitario del loro film.

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SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

Cantando sotto la pioggia (Singin' in the Rain) è un film del 1952 diretto da Stanley Donen e Gene Kelly, interpretato dallo stesso Gene Kelly, Donald O'Connor e Debbie Reynolds. Kelly e Donen si occuparono anche delle coreografie. Il film è ambientato alla fine degli anni venti, nel periodo di passaggio dal cinema muto al sonoro.

→ La sequenza in cui Kelly canta sotto la pioggia fu in realtà girata di giorno. L'effetto notte fu ottenuto ricoprendo la scena con teloni. Per la pioggia, fu aggiunto del latte all'acqua in modo che rendesse meglio sulla pellicola. Durante le riprese l'attore aveva oltre 39 di febbre. Per questo film arrivarono a lavorare anche 20 ore algiorno, Kelly con la febbre e Debby ballando persino con i piedi sanguinanti, ma nessuno dei due volle fermarsi, riposavano qualche ora nel divano del loro camerino e poi ritornavano al lavoro.

→ Nel film Debby offre la sua voce a Lina, mentre nella realtà è la Reynolds che viene doppiata in molte parentesicanore da Betty Noyes e in alcuni dialoghi dalla Hagen cioè Lina.

→ La sceneggiatura viene creata dopo le canzoni: infatti il film doveva essere un modo creativo per contenere i numeri musicali della Metro Goldwin Meyer.

→ Gene Kelly tirannico, molto dispotico sul set di Cantando sotto la pioggia. O'Connor ammise che non era stato molto piacevole lavorare con lui. Mentre un giorno Debby si nascose dietro le quinte a piangere perché Kelly l'aveva redarguita per le sue non eccellenti qualità di ballerina.

→ Un musical che si amalgama a meraviglia con la commedia rosa riuscendo a rallegrare lo spirito dello spettatore in maniera naturale, intrattenendolo senza alcuna fatica e lasciandogli vivo e fiammante il ricordo di scene come quella di Gene Kelly che canta sotto la pioggia (appunto).Un film che sfiora la perfezione, meritandosi di diritto un posto rilevante nella cinematografia mondiale.

→ Donen replicherà più o meno tali fasti due anni dopo con Sette spose per sette fratelli, altro ottimo film comunque un pò inferiore a questo.

CHI E' IL REGISTRA:

Stanley Donen (Columbia, 1924) è un regista e coreografo statunitense. È stato chiamato da David Quinlan "il re dei musical hollywoodiani". Il suo film più famoso è Cantando sotto la pioggia (Singin' in the Rain), che ha diretto assieme a Gene Kelly; ma anche Sette spose per sette fratelli ebbe molto successo. L'Academy gli ha assegnato, nel 1998, l'Oscar alla carriera.

Gene Kelly, nome completo Eugene Curran Kelly (Pittsburgh, 23 agosto 1912 – Beverly Hills, 2 febbraio 1996), è stato un ballerino, attore, cantante, regista, produttore cinematografico e coreografo statunitense. Interprete di personaggi scanzonati e affabili, ballerino eclettico e coreografo dal talento fortemente innovativo, Kelly portò uno stile di danza energico e atletico in alcuni tra i maggiori musical statunitensi, come Un americano a Parigi (1951) e Cantando sotto la pioggia (1952). L'American Film Institute ha inserito Kelly al quindicesimo posto tra le più grandi star della storia del cinema.

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FINO ALL'ULTIMO RESPIRO (À BOUT DE SOUFFLE) – JEAN-LUC GODARD 1960, FRANCIA

EPOCA: NOUVELLE VAGUE

GENERE: DRAMMATICO

CASA DI PRODUZIONE: LES PRODUCTIONS GEORGES DE BEAUREGARD, SOCIÉTÉ NOUVELLE DE CINÉMATOGRAPHIE.

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Jean-Paul Belmondo: Michel Poiccard alias László Kovács➢ Jean Seberg: Patricia Franchini (Patrizia, nel doppiaggio italiano)➢ Daniel Boulanger: Ispettore Vital➢ Henri-Jacques Huet: Antonio Berruti➢ Roger Hanin: Carl Zubert➢ Claude Mansard: Claudius Mansard➢ Liliane David: Liliane➢ Jean-Pierre Melville: Parvulesco

TRAMA:

Michel Poiccard è un piccolo delinquente di Marsiglia, strafottente e nevrotico. Ruba una macchina sportiva, parla e guarda nella macchina da presa, fa un sorpasso vietato e si fa beccare dalla polizia. Allora tira fuori una pistola, uccide uno dei due poliziotti e fugge verso Parigi. Sugli Champs Élysées ritrova Patricia, studentessa americana e aspirante giornalista, che per tirare avanti vende l'"Herald Tribune" per la strada. Il rapporto tra i dueè fatto di continue schermaglie, discussioni e indecisioni amorose: Michel vorrebbe che la ragazza lo seguisse in Italia, Patricia tentenna. La polizia, nel frattempo, ha identificato Michel. La sua foto appare sui giornali con la notizia dell'omicidio. Davanti a un poster di Humphrey Bogart, si accarezza le labbra lentamente con un dito, imitando il divo americano. Incontra di nuovo Patricia, che non ha tempo per lui: deve andare a un incontro di lavoro con un giornalista americano che si è offerto di aiutarla. Michel fa buon viso a cattivo gioco, segue Patricia e la spia mentre è con l'uomo. La ragazza passa la notte con il giornalista, ma quando il mattino seguente torna inalbergo, trova nel suo letto Michel ad attenderla. I due parlano, scherzano, amoreggiano, poi escono. Indeciso trala fuga e Patricia, Michel ruba un'altra automobile per accompagnare la ragazza a Orly, dove deve svolgere il suo primo incarico da giornalista: la conferenza stampa di uno scrittore. Intanto un passante riconosce Michel e avverte la polizia. Dopo essere scampato alla trappola di un concessionario di automobili che avrebbe voluto truffare, Michel sfugge per poco a un pedinamento da parte della polizia. Michel e Patricia vanno di sera quindi a parlare con Antonio, il quale deve dei soldi a Michel e suggerisce loro un posto dove nascondersi. Michel e Patricia passano un'ultima notte d'amore nello studio di un amico fotografo. Di mattina presto Patricia esce per comprare un giornale e del latte e va a denunciarlo. Al ritorno, confessa a Michel quel che ha fatto: questi, con indolenza, le dice di essere stanco di lottare. Poco dopo, in strada viene raggiunto per farsi dare i soldi ma presto arriva anche la polizia: dopo un goffo tentativo di fuga, viene colpito alle spalle dai proiettili della polizia e crolla aterra. Patricia accorre angosciata, mentre Michel, moribondo, la insulta: "Sei una schifosa". Patricia dice di non capire le ultime parole di Michel.

SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

→ Manifesto Nouvelle Vague

→ Godardiano per:

• Ritratto sfacettato del protagonista

• Stile narrativo ellittico

• Ritmo sincopato del linguaggio

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→ Disseminato di discussioni sulla vita, sull'autore, sui viaggi; ma è anche un antologia di effetti filmici.

→ Intento generale di Godars: far emergere la potenza suggestiva del linguaggio filmico.

→ Si passa dito sulla bocca alla maniera di BOGART. Quando lo vede su un manifesta si ferma a guardarlo come se fossero amici.

La pellicola si apre con il furto di un’automobile. Michel ('ANTIEROE) la ruba nel porto di Marsiglia in un soleggiato giorno d’estate. Con l’auto rubata intraprende un viaggio fino a Parigi. Un viaggio caratterizzato da un intenso monologo interpretato dal protagonista. Un monologo necessario affinché lo spettatore conosca il tipo con cui ha a che fare, un tipo intellettualmente modesto oltre che arrogante. Celebre la battuta recitata da Belmondo guardando dritto nella camera da presa: «Se non vi piace il mare… Se non vi piace la montagna, se nonvi piace la città… Andate a quel paese!». Durante il viaggio avviene quell’atto violento, quel sacrificio della vita cuiho accennato sopra. Michel braccato da due gendarme, ne uccide uno. Scappa e finalmente raggiunge Parigi dove lo attende Patricia, interpretata da Jean Seberg, la sua amante. Insieme passeggiano per gli Champs-Elysees. Occorre sottolineare l’importanza di questa passeggiata. Non è una semplice camminata romantica tra due giovani innamorati, coppia simbolo del trionfo dell’amore autentico, è un congeniale modo adottato da Godard per fare entrare la capitale francese nel film. La scelta non è casuale. Parigi incarna, meglio di ogni altra città, il mito della città moderna, della metropoli. In essa l’uomo perde se stesso divenendo nient’altro che un elemento qualunque della massa, in essa l’uomo perde la sua facoltà più importante, la facoltà di pensare liberamente. L’uomo della metropoli non è più un uomo libero. Tuttavia esistono individui che non riescono proprio ad omologarsi alla moltitudine, che lottano per affermare se stessi e la propria libertà. Michel e Patricia appartengono entrambi a questa sempre più rara categoria di eroi.

Rappresenta al meglio tutto questo la sequenza seguente a quella della passeggiata. La sequenza più lunga del film, ventidue minuti e cinquantadue secondi, un’enormità, interamente girata nella stanza 12 dell’Hotel de Suede. La sequenza in cui il protagonista e la sua amante si posseggono l’un l’altro e in cui soprattutto parlano. Si tratta di un dialogo del tutto particolare, che rompe con la tradizione cinematografica, che prevedeva il lineare scambio di battute tra personaggi. Un dialogo che allo spettatore appare casuale, privo di ogni finalizzazione. Eppure c’è un passo del colloquio tra Michel e Patricia fondamentale. La donna legge al compagno la seguente frase, tratta dal romanzo Palme selvagge di William Faulkner: «Fra il dolore e il nulla io scelgo il dolore», chiedendogli poi: «E tu, cosa sceglieresti?». Michel risponde: «Il dolore è idiota. Io scelgo il nulla. Non è meglio… ma il dolore è un compromesso. O tutto o niente». Perché? Perché il nulla è una scelta esistenziale molto più radicale del dolore, perché lui stesso è nulla, perché, decidendo di non fuggire nella sequenza finale, pur essendobraccato dalle forze dell’ordine e privo di una qualunque via di fuga e di salvezza, dimostra che la stessa libertà inseguita incessantemente lungo tutto il film è nulla. Michel non muore ucciso. Si è rifiutato di tagliare la corda, muore dunque suicida, sebbene sia l’arma da fuoco di un altro a sparargli.

Non poteva esserci altro destino per un simile personaggio. D’altronde la morte è l’inevitabile fine di gran parte dei soggetti trattati dalle opere di Godard. Egli è un regista esistenzialista. Fa sue le lezioni di tutti quei filosofi e di tutti quegli scrittori riconducibili a tale linea di pensiero.

Opera prima di Jean-Luc Godard, viene considerato uno dei suoi capolavori e manifesto della Nouvelle Vague. Di fatto la destrutturazione delle regole della tradizionale narrazione filmica per permettervi l'irruzione della realtà di un mondo in cambiamento, i film a budget ridotto, girati in pochi giorni (60), con ciò che tale novità comportava in termini di libertà espressiva e autonomia dalle imposizioni della produzione, le innovazioni del linguaggio e delle tecniche erano destinati ad esercitare un impatto permanente sui decenni successivi.

Con Fino all'ultimo respiro Godard ha reinventato il linguaggio cinematografico, il regista prendeva le decisioni di giorno in giorno, in questo modo si ritrovava a non usare il cavalletto, realizzare lunghe carrellate senza binari e a riprendere Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg lungo gli Champs-Élysées con una macchina da presa, nascosta in una bicicletta.

La sceneggiatura approssimativa (ispirato da un fatto di cronaca), fu frettolosamente rielaborata per convincere ilproduttore Georges de Beauregard a finanziare il film. Ampio spazio viene lasciato all'improvvisazione degli attorie all'influenza dell'ambiente.

Il film lancia la carriera dei due protagonisti, Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg, la quale diventa l'attrice simbolodella Nouvelle Vague francese. Jean-Luc Godard appare nel film nei panni di uno spione.

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Sin dall'inizio si presenta come un film con procedure di messa in scena complesse e contraddittorie. Il regista crea un personaggio contraddittorio che contemporaneamente cerca l'autenticità e si rifà a modelli immaginari del cinema (Bogart e il noir americano). Altra contraddizione subito evidente sta nel fatto che Godard vuole lavorare allo stesso tempo sull'autenticità del mondo.

Pervade chiaramente nel film un rifiuto di Godard delle regole del cinema classico. Lo vediamo ad esempio dalle inquadrature di Michel alla guida che vengono effettuate dal sedile posteriore dell'auto. Sono realizzate con luce naturale, neutra, per consentire una resa più autentica dell'immagine filmica. È una tecnica innovativa, sicuramente controcorrente nei confronti del cinema classico che prediligeva, per situazioni simili, la retro-proiezione.

Un'altra scelta particolare consiste nel fatto che spesso Michel si rivolge alla macchina da presa, direttamente allo spettatore. In questo modo la macchina filmica e la finzione vengono evidenziate: Godard ricorda allo spettatore di essere al cinema, rompendo il rapporto di identificazione dello spettatore nel personaggio. Anche il montaggio presenta aspetti interessanti. Il regista non usa i raccordi solitamente adottati nel cinema classico per correlare le inquadrature, ma taglia queste ultime, giustapponendole: i cosiddetti Jump-Cut, che rompono la continuità di ciò che stiamo guardando creando una dinamica del vedere più libera e aggressiva (svecchiando le tecniche del cinema classico). Tutto ciò è in linea con la volontà provocatoria dell'avanguardia.

Godard, inoltre, per tutto il film evidenzia ciò che il cinema aveva sempre trascurato: l'irrilevante, trasformando questo aspetto in evento. Ad esempio, nel momento della morte dell'agente di polizia ad inizio film che passa velocissimo (come la stessa morte di Michel alla fine), al dialogo “superfluo” tra Michel e Patricia nella camera d'albergo sono dedicati ben 20 minuti del film; considero anche il tic del protagonista del toccarsi le labbra, un segno irrilevante sottolineato più volte. Anche attraverso l'uso di piani sequenza Godard sottolinea l'innovazione del suo cinema e, allo stesso tempo, il rifiuto di quello classico e la sua volontà di re-inventarlo.

CHI E' IL REGISTRA:

Jean-Luc Godard (Parigi, 3 dicembre 1930) è un regista, sceneggiatore, montatore e critico cinematografico francese. È uno degli esponenti più importanti della Nouvelle Vague, nonché uno dei registi più significativi del cinema francese e internazionale. La sua carriera è contraddistinta da una grande prolificità e soprattutto dalle grandi innovazioni linguistiche apportate al mezzo cinematografico.

L'esordio di Godard nel lungometraggio avviene nel 1959 con un film che diviene immediatamente il vessillo della nouvelle vague francese: Fino all'ultimo respiro.

Il film, che viene girato in sole quattro settimane con un budget limitato e il ricorso all'utilizzo della cinepresa a mano, ottiene il premio Jean Vigo e dà inizio al primo periodo della filmografia godardiana. All'interno di questa sua prima opera sono già presenti quelle "trasgressioni" ai modelli narrativi tradizionali che la nouvelle vague utilizzerà per distanziarsi dal cosiddetto "cinema de papà": montaggio sconnesso, attori che si rivolgono direttamente al pubblico, sguardi in macchina. Evidente risulta anche la cinefilia di Godard, che cita ossessivamente i film statunitensi di genere degli anni cinquanta.

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8½ – FEDERICO FELLINI 1963, ITALIA & FRANCIA

EPOCA: CINEMA D'AUTORE, REALISMO MAGICO

GENERE: COMMEDIA, DRAMMATICO, GROTTESCO, FANTASTICO

CASA DI PRODUZIONE: RIZZOLI

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Marcello Mastroianni: Guido Anselmi

➢ Claudia Cardinale: Claudia

➢ Anouk Aimée: Luisa

➢ Sandra Milo: Carla

➢ Rossella Falk: Rossella

➢ Barbara Steele: Gloria

➢ Guido Alberti: Pace il produttore

➢ Jean Rougeul: Carini l'intellettuale

➢ Annibale Ninchi: il padre di Guido

➢ Giuditta Rissone: la madre di Guido

➢ Eddra Gale: la Saraghina

➢ Mario Conocchia: direttore di produzione

TRAMA:

Guido Anselmi, un affermato regista di quarantatré anni, sta elaborando il suo prossimo film. Egli si trova a trascorrere un periodo di riposo in una stazione di cure termali. Guido cerca in quella località di coniugare i propriproblemi fisici (stanchezza cardiaca) con quelli della produzione del film, ancora allo stato di preparazione. La quiete che vorrebbe è continuamente minata dalla presenza delle maestranze del film (produttore, tecnici, attori) che soggiornano nel suo stesso albergo e che vedono in lui l'unico appoggio sicuro. Ma il suo spirito creativo si è inaridito e non riesce a dare una direzione chiara al suo progetto cinematografico. Oltretutto, ai suoi problemi professionali si aggiungono grattacapi sentimentali. L'amante Carla lo raggiunge alle terme e poco dopoarriva anche sua moglie Luisa. Sollecitato dal produttore Pace, interrogato dai suoi assistenti e dagli attori che vogliono capire quale storia sta per raccontare, quali intenzioni vorrebbe esprimere, cerca di imbastire alla meglio una trama: un bilancio fatto di rapporti con personaggi reali e di fantasticherie, ricordi, sogni, che si inseriscono all'improvviso negli avvenimenti concreti delle sue giornate e delle sue notti. Dei suoi sogni fanno parte i ricordi del padre e della madre, morti, con i quali egli discorre teneramente, come con persone vicine. Continui dubbi e incertezze si palesano attraverso una crisi esistenziale senza via d'uscita, in cui non riesce a dare un senso al suo rapporto con gli altri e al suo passato. E tutto questo non fa che rendere consapevole quello smarrimento che egli si porta dentro da anni e che le cure della esistenza quotidiana e del lavoro avevano in parte mascherato. In un onirico, fatato affresco di immagini si alterna un centinaio di personaggi di contorno tra cui spiccano: un intellettuale, che gli è stato messo alle calcagna dal produttore, la moglie, l'amante e la protagonista femminile del film in produzione. I giorni trascorrono mentre i fatti reali, i ricordi e le fantasie del regista si accavallano sempre più fino a diventare indistinguibili. Il produttore fa visionare a Guido i provini già girati, e presso la scenografia di un'enorme piattaforma di lancio per un'astronave indice una conferenza stampa in cui finalmente il regista dovrà raccontare a tutti quelle che sono le sue intenzioni riguardo al film, ma in realtà il regista è sempre più confuso, non ha idea di cosa vuole raccontare, né di come farlo. La sua confusione professionale rispecchia la sua confusione vitale: è la fine della sua carriera e della sua stessa vita: egli decide di abbandonare la regia del film durante la conferenza stampa. Ma proprio quando tutto sembra essere finito, quando i giornalisti si sono allontanati e le maestranze iniziano a smontare il set di un film che non si farà più,

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Guido ha la percezione che tutto quello che gli accade intorno, tutte le persone che ha conosciuto e che con lui hanno percorso la strada della vita, nel bene e nel male, sono parte di lui. Tutti insieme in un girotondo circense roteano intorno a lui, che li dirige, ma che da loro riceve, un dare-avere indistinguibile. Nel carosello finale con tutti i personaggi del film, il regista, che ha ora riconquistato l'innocenza e la gioia di vivere, si rivede bambino.

È proprio con questa sequenza, la più importante di tutto il film, cinque minuti prima della fine, che tutto il pensiero di Fellini prende una connotazione meno intimistica, trascende tutto il valore di intrattenimento del film, e da un aspetto personale si riveste di un aspetto universale, con splendide immagini che arrivano all'anima,o meglio dell'A.sa NI.si MA.sa, come nella filastrocca dei suoi ricordi di bambino.

SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

È considerato uno dei capolavori di Fellini ed una delle migliori pellicole cinematografiche di tutti i tempi, fonte d'ispirazione per generazioni di registi. Dopo aver girato Le tentazioni del dottor Antonio, per la testa di Fellini comincia a girare l'idea di un nuovo film, ma non un'idea precisa, piuttosto un accumulo di idee vaghe che tentano di mescolarsi tra di loro. Quando parla del progetto all'amico Ennio Flaiano questi sembra più scettico che convinto; come si può filmare il pensiero di un uomo, la sua immaginazione, i suoi sogni?

La scrittura della sceneggiatura non procede, non c'è un progetto preciso e Fellini non ha neanche un titolo da dargli: si accontenta per ora del provvisorio 8½, poiché questa pellicola viene dopo sei film interamente da lui diretti (Lo sceicco bianco, I vitelloni, La strada, Il bidone, Le notti di Cabiria e La dolce vita) più tre "mezzi" film, in quanto codiretti con altri registi.

Ma quando tutto è pronto sorge un problema di cui Fellini non ha parlato a nessuno: il film non c'è più, l'idea cheaveva in testa è sparita. Quando è ormai deciso a comunicare la disfatta al produttore Angelo Rizzoli, Fellini vieneinterrotto da un capo macchina di Cinecittà che lo chiama per festeggiare il compleanno di un macchinista.

Tra i festeggiamenti gli arrivano gli auguri per il nuovo film, che ormai non c'è più, ma una volta seduto su una panchina arriva il lampo di genio: il film parlerà proprio di questo, di un regista che voleva fare un film ma non si ricorda più quale, cosicché il protagonista, Guido Anselmi, interpretato da Marcello Mastroianni, diventa la proiezione di Fellini stesso per un nuovo capolavoro del regista, con cui arriverà al terzo premio Oscar della sua carriera, forse il più importante di tutti.

Mastroianni non fu comunque la primissima scelta, all'inizio infatti Fellini pensò Charlie Chaplin. Anche per avere Sandra Milo, Fellini dovette lottare, perché il marito di lei si opponeva al suo ritorno al cinema, dopo la delusione del film Vanina Vanini di Roberto Rossellini. Rimasero invece fin dall'inizio Anouk Aimée, già presente ne La dolce vita, e Claudia Cardinale, che per la prima volta non venne doppiata e che stava lavorando contemporaneamente anche a Il Gattopardo.

All'uscita del film in diverse copie distribuite in Italia alcune scene erano virate (in seppia in certe copie, in azzurro in altre): si trattava, delle scene che rappresentavano ciò che era sognato o immaginato dal protagonista. Il viraggio fu deciso dalla casa distributrice per facilitare agli spettatori la distinzione fra scene reali e no.

Altre sequenze invece Fellini le volle sovraesposte, come la sequenza alla fonte, quando Marcello è in fila con altre persone, con il suo bicchiere in mano. Questo aspetto volutamente abbacinato della scena è andato perduto purtroppo con il recente restauro del film. I restauratori hanno rifatto la sequenza con un perfetto bianco e nero estremamente contrastato, tradendo così le originali intenzioni di Fellini.

→ Costretto dentro l’abitacolo di una macchina mentre tenta di liberarsi da questa gabbia, Guido Anselmi, registain crisi, è lo spettacolo muto per gli occhi di un’Italia presente che lo guarda e dalla quale vorrebbe scappare. Così, nel sogno iniziale che apre 8 e mezzo, Guido vola via, come in un miracolo, da questi sguardi che lo assediano e sale, sopra le nuvole, libero ma della libertà, presto portata a terra, di cui godono gli aquiloni. In ogni grande opera il principio contiene la fine e la fine il principio, dove fine e principio è, in questo caso, una riflessione metalinguistica sul significato dell’arte e il ruolo dell’artista – di un’artista – nella società a lui contemporanea.

→ Nine è un musical del 2009 diretto da Rob Marshall. La pellicola è ispirata all'omonimo musical di Broadway, tratto da una piece del commediografo aquilano residente a New York Mario Fratti che si rifà a sua volta a 8½ di Federico Fellini, il quale quando lesse il copione, pregò l'autore di non dargli per titolo quello del suo film: «Lo intitolerò 'Nove'», fu la risposta di Fratti.

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CHI E' IL REGISTRA:

Federico Fellini (1920 – 1993) è stato un regista, sceneggiatore, fumettista e scrittore italiano. Considerato uno dei più grandi registi della storia del cinema, vincitore di quattro premi Oscar al miglior film straniero, per la sua attività da cineasta gli è stato conferito nel 1993 l'Oscar alla carriera. Vincitore due volte del Festival di Mosca (1963 e 1987), ha inoltre ricevuto la Palma d'oro al Festival di Cannes nel 1960 e il Leone d'oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1985.

Nell'arco di quasi quarant'anni - da Lo sceicco bianco del 1952 a La voce della luna del 1990 - Fellini ha "ritratto" in decine di lungometraggi una piccola folla di personaggi memorabili. Definiva sé stesso "un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo". Ha lasciato opere indimenticabili, ricche di satira ma anche velate di una sottile malinconia, caratterizzate da uno stile onirico e visionario. I titoli dei suoi più celebri film - La strada, Le notti di Cabiria, La dolce vita, 8½ e Amarcord - sono diventati dei topoi citati, in lingua originale, in tutto il mondo.

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2001: ODISSEA NELLO SPAZIO (A SPACE ODISSEY) – KUBRICK 1968, USA & GRAN BRETAGNA

EPOCA: CINEMA D'AUTORE

GENERE: FANTASCIENZA

CASA DI PRODUZIONE: METRO-GOLDWYN-MEYER

CASA DI DISTRIBUZIONE IN ITALIA: WARNER BROS

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ Keir Dullea: David Bowman ➢ Gary Lockwood: Frank Poole

➢ William Sylvester: Heywood R. Floyd

➢ Daniel Richter: Guarda-la-Luna

➢ Leonard Rossiter: Andrei Smyslov

➢ Margaret Tyzack: Elena

➢ Robert Beatty: Ralph Halvorsen

➢ Sean Sullivan: Bill Michaels

TRAMA:

In Africa un gruppo di uomini-scimmia sopravvivono a loro stessi, cibandosi di piante e di uno spazio sconosciuto.

Un mattino il capo del branco delle scimmie, il primo a svegliarsi, nota la presenza di un parallelepipedo nero eretto, di media grandezza.

Le scimmie lo accerchiano con grida acute, alcune si raggruppano e lo circondano. Poco dopo, scomparso il monolito, il capo clan, frugando tra ossa di tapiro, ha l’idea (suscitata, suggerisce il montaggio, dal ricordo del monolito) di prenderne uno per servirsene come strumento per colpire altre ossa, farle saltare, poi distruggerle.

Gli uomini-scimmia si servono dell’osso arma per procacciarsi il cibo e conquistare una fonte d’acqua. Qui ha luogo un violento scontro tra due clan. La tribù di cui seguiamo la storia utilizza l’osso: arma per prendere vantaggio sugli avversari e stordire il loro capo.

L’apparizione del monolito ha segnato un passaggio fondamentale: l’uomo si è trasformato. ll primo segno di questa trasformazione è un’intuizione, una nuova associazione mentale che gli ha fatto scoprire l’uso dello strumento per aggredire più efficacemente, cioè per essere vincente nella lotta per l’esistenza.

L’evoluzione della specie ha avuto inizio con la competizione: la lotta per la vita, uno dei fondamentali meccanismi dell’evoluzione sia biologica che culturale. Urlando il proprio trionfo, l’uomo-scimmia lancia l’osso verso il cielo, fratturando il tempo verso il 2001.

L’evoluzione, sembra dirci Kubrick, non si è mai arrestata: l’intelligenza ha permesso all’uomo di superare lo stadio animale per affermare il suo predominio di fronte alle altre specie dell’universo.

La scena continua nello spazio, l’hostess compie un percorso a 360° in assenza di gravità per servire un da pasto adatto all’assenza di gravità, camminando al suolo con delle suole adesive. L’uomo ha realizzato definitivamente il suo dominio nell’universo attraverso l’intelligenza e la tecnologia.

La stazione spaziale e le astronavi sono ambienti asettici, freddi come i rapporti interpersonali e Ia vita rimane congelata (gli astronauti ibernati nel Discovery). Kubrick, al pari di Nietzsche, mette in scacco la fiducia nel positivismo ottocentesco e il valore della ragione che ha bloccato l’istintività umana, racchiudendola nelle forme della tecnologia ed in ambienti specializzati (le immagini della lotta fra i due lottatori nella televisione), e ha portato l’uomo all’interno dei meccanismi alienanti della nuova società.

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L’imperialismo dell’intelligenza si é tradotto nella rimozione totale delle emozioni e degli istinti, e quindi nella separazione dalla natura e della vita con cui essi mantengono l’uomo in rapporto più diretto e immediato. Mentre la natura e la vita procedono dialetticamente per cicli di morte e nascita, l’intelligenza procede linearmente forzando questi ritmi naturali e pretendendo il suo dominio sulla realtà, divenendo in tal modo mostruosa e distruttiva.

Il mondo di 2001 è maturo per la morte come sottolinea la musica intensamente malinconica di Kachaturian che accompagna l’esistenza monotona e vuota dei cosmonauti all’interno del Discovery.

Nel corso di questo viaggio veniamo a sapere che é stato trovato un monolite, in apparenza “sepolto deliberatamente”, 4 milioni di anni prima sulla luna. La navetta atterra nei pressi di uno scavo illuminato aperto attorno a quest’oggetto. Gli uomini in scafandro marciano verso il monolito; uno degli studiosi porta Ia mano verso il monolito; uno di loro cerca di fotografare l’oggetto enigmatico, ma improvvisamente, con l’alba lunare, si inizia a sentire nel casco una sorta di sibilo stridente.

Ancora una volta il monolito nero riappare per rompere e mettere in crisi l’apparente sicurezza, l’insieme delle conquiste realizzate dall’intelligenza umana.L’uomo, sembra dirci la presenza dei monolito, deve abbandonare lo stato evolutivo a cui é giunto, per poter giungere allo stadio dell’oltreuomo. L’intelligenza è stata essenziale nell’evoluzione umana, ma ora non basta più,per quanto sviluppata e sofisticata sia diventata.Inizia la danza attraverso i pianeti.

Una lunga e bianca astronave, la Discovery, solca lo spazio verso Giove. A bordo vi sono gli astronauti Frank Poolee Dave Bowman e altri componenti ibernati.

Con loro o forse in loro HAL 9000, il computer di bordo, comincia a dare segni di malfunzionamento. HAL avverte che un elemento esterno e in avaria. Frank esce per sostituirlo e HAL io scaglia lontano nello spazio, investendolocon una capsula.

Le macchine travolgono l’uomo con le stesse debolezze umane, in fondo ogni creazione é finita proprio perché materia, paranoia divina.

Abbandonato Frank nello spazio, Dave, in una titanica rinuncia alla vita per la vita, si dirige verso il vano circuiti della memoria di HAL, e li disattiva malgrado le implorazioni del computer. Disattivato HAL, scatta un messaggio pre-registrato che informa Dave sul vero scopo della missione, di cui era a conoscenza il solo HAL: il monolito trovato sulla Luna emetteva segnali in direzione di Giove, ma la sua funzione é rimasta misteriosa. In questa scena emerge uno dei protagonisti più interessanti dei film, ii computer HAL.

Non é una figura in carne ed ossa, ma la sua presenza é ovunque: si percepisce attraverso i dialoghi con gli astronauti e si rivela nella figura dell’occhio-camera che scruta l’equipaggio analizzandone i più piccoli particolari.Anche in questo “personaggio” si manifesta la natura contraddittoria dell’intelligenza umana in esso riposta: l’apparente sicurezza esteriore rivela una necessita tutta interiore di far riemergere il carattere ”umano” in esso presente. Egli è apparentemente privo di sentimenti e segue soltanto la sua logica di salvezza della missione, ma in realtà pone se stesso la di sopra di tutto a costo di distruggere la vita umana. Il carattere distruttivo dell’intelligenza avvolge anche HAL, figura che non riesce ad uscire dal labirinto della ragione, dal suo metodo di conoscenza e comunicazione (Heuristic and ALgoritmic),perché non possiede “la chiave” dell’istinto umano di Dave.

Giunto nell’orbita di Giove trova un monolito molto più grande, che si sposta lentamente nel vuoto, forse è il vuoto. Abbandonata la Discovery, David si avvicina al monolito, che improvvisamente si riempie di stelle spingendolo a velocità incredibili attraverso il cosmo, verso pianeti lontani, verso il non più umano, verso l’odissea nello spazio… la porta della dimensione spazio – tempo si apre ed inizia un viaggio nella luce, nei colori, nelle forme, nel mistero della materia; lo sguardo esterrefatto dell’astronauta rimescola alle fantasmagoriche visioni, fino ad essere unificato con esse.

“L’uomo supera lo stadio animale con la tecnologia e raggiunge lo stato del superuomo liberandosi di quella stessa tecnologia.” Dave ha fatto ricorso alla distruttività e ai suoi istinti animali per uccidere HAL, il mostro onnipresente e minaccioso. Qui è iniziata la trasformazione dell’uomo verso il superuomo.

ll passaggio è sottolineato dal viaggio allucinatorio di Dave: le forme regolari e simmetriche della realtà lasciano ilposto a figure irregolari e indefinibili, ad un arcobaleno di colori che rendono evidente lo sforzo del personaggio per entrare nell’oltre.

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La telecamera si sposta sull’occhio, che cambia colore ogni volta che batte le ciglia.

Quando le apre per l’ultima e si ritrova con l’astronave in una stanza in stile impero, chiusa ermeticamente, illuminata dal pavimento, circondata da rumori riverberati. Ci sembra di vedere un altro uomo, ma è lo stesso Davide, molto invecchiato, nel suo scafandro; esplora la camera, entra in una stanza da bagno, si vede in uno specchio, avvertiamo il rumore di una presenza, si volta e torna verso la camera principale: c’è un uomo in vestaglia. E’ lo stesso Davide, ancora più vecchio, che mangia, si volta, poi si alza lentamente e viene verso di noi, guarda se c’è qualcuno nella stanza del bagno, poi come se avesse constatato che non c’è nessuno, torna a sedersi alla tavola imbandita.

Spostando la mano fa cadere un calice; si volta verso il letto e vede una forma strana distesa sopra un letto. E’ sempre Davide, molto vecchio, che alza la mano per indicare il monolito, comparso di fronte al letto. ln questa scena Davide ha riconquistato l’unità con il mondo che aveva perso attraverso il dominio dell’intelligenza. Soggetto e oggetto tornano a coincidere, l’io si ritrova nella totalità della realtà. L’immagine in cui Davide si specchia e inizia a vedere le trasformazioni del Davide invecchiato, confermano l’ipotesi evidenziando come l’uomo sia ritornato all’interno del processo di creazione e distruzione della natura. La Luna, poi la Terra, una lucecome di un altro pianeta di dimensioni equivalenti arriva da sinistra: è la testa di un feto gigantesco assomigliantea Davide, si volge verso la Terra e poi gira lo sguardo verso di noi.

Così Davide diventa il Bambino delle Stelle, diventa lucifericamente Dio dopo aver guardato Dio. L’ultimo passo dell’evoluzione è compiuto, proprio quando nulla ormai ha più il sapore dell’uomo.

SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

Così recìtavano le locandine del film alle porte della sua prima apparizione al pubblico. Un titolo ambiguo e di difficile interpretazione che richiama alla nostra mente le peregrinazioni di Ulisse, all’interno però del vasto panorama moderno della tecnologia e delle contemporanee scoperte scientifiche.

ll risultato di questo “strano” connubio è tuttavia sorprendente e affascinante, ricco di innumerevoli colpi di scena nel quale il pubblico rimane spesso disorientato, ma piacevolmente attratto dal suo carattere profondamente enigmatico. ll film, come evidente nel titolo, è il viaggio del moderno Ulisse, Dave Bowman, l’uomo arco, la corda tesa verso l’infinito, l’assoluto: Ulisse è l’eroe che percorre il confine dell’umano, l’uomo cheascolta il canto delle sirene, il viandante che accetta l’ignoto e varca le colonne d’Ercole. Attraverso la figura dellospirito libero, Nietzsche mette a fuoco uno dei temi-chiave della sua filosofia: la vita dell’uomo ha valore per i grandi progetti che è capace di esprimere. Essere viandante, secondo Nietzsche, significa quindi essere colui che grazie alla scienza riesce ad emanciparsi dalle tenebre del passato, inaugurando una filosofia del mattino che si basa sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite, un passo decisivo per divenire oltreuomo proprio come fa Bowman: si libera dalle certezze precostruite, dalla sicurezza, da HAL.

Tuttavia lo spirito libero è solo un viandante verso una meta ancora non chiarita. E dove dunque vogliamo arrivare? Al di là del mare? […] perché proprio in quella direzione, laggiù dove sono ƒino a oggi tramontati tutti i soli dell’umanità? Un giorno si dirà ƒorse di noi che, volgendo la prua a occidente, anche noi speravamo di raggiungere I’India, ma che fu il nostro destino a naufragare nell’infinito? [F. Nietzsche, Aurora]

Anche nel film non è chiara quale sia la meta del viaggio, esso si conclude con l’immagine di un feto astrale, nega una conclusione vera e propria per inserirsi all’interno di quel ciclo naturale dove ogni cosa nasce, si sviluppa e muore per una successiva rigenerazione. Certa è comunque la sua distanza dal genere epico, nel quale i personaggi e le loro vicende si costruivano all’interno di un disegno ideologico unitario e organico che celebrava ivalori di un’intera civiltà.

Nel film, al contrario, i personaggi restano abbandonati al loro destino, riscoprono un totale smarrimento di fronte alla vastità di uno spazio infinito dove l’uomo ha perso le sue coordinate. ll senso delle vicende, di cui i personaggi si rendono protagonisti, e i valori etici e morali non sono dati come nel romanzo epico, ma vanno ricercati costantemente con la più nuda consapevolezza che difficile è la conquista dell’obbiettivo e la posta in gioco è il destino dell’identità dell’intero genere umano.

Il viaggio dunque non è il semplice sfondo del film, piuttosto uno dei temi centrali in quanto esso costituisce la possibilità e soprattutto la necessità di riscoprire la dimensione autentica dell’uomo, la sua vera natura che il

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mondo della tecnologia e delle ideologie hanno coperto. L’arte, in questo caso il cinema, si propone di affrancare lo spirito dell’uomo, di liberarlo dalle sovrastrutture dell’umanità, rendendoci coscienti attraverso la sua conoscenza contemplativa e non utilitaria degli scompensi del reale. Ci mette di fronte allo specchio, proprio come fa Bowman nella stanza in stile Luigi XVI, permettendoci di ritrovare attraverso una sorta di regressione verso la nostra infanzia quel rapporto di immediatezza e ingenuità con il mondo che l’umanità ha nascosto dietro alle sue false illusioni del progresso.

Zarathustra, in un certo senso, si reincarna in Kubrick.

Nietzsche, ha elaborato, attraverso un confronto con il mondo degli antichi, una profonda analisi del novecento, evidenziando, secondo la lezione di Schopenhauer, l’aspetto contraddittorio di questo secolo: in origine nel mondo esistevano due forze opposte e il loro contrasto è a fondamento della vita. Questa duplicità dello spirito simostra attraverso le maschere di Apollo e Dioniso.

Apollo è il dio della luce e della chiarezza, della misura e della forma: l’apollineo simboleggia l’inclinazione plastica, la tensione alla forma perfetta; Dioniso è il dio della notte e dell’ebbrezza, del caotico e dello smisurato: il dionisiaco simboleggia l’energia istintuale, l’eccesso, il furore. Esso è impulso di liberazione e di abbandono.

Con il passare dei secoli l’uomo si è l’evoluto/involuto cercando di razionalizzare l’irrazionalizzabile spinto da un bisogno di rassicurazione, dall’esigenza di rendere tollerabile il disordine della vita, fagocitando cosi la componente della forza dionisiaca e decretando in tal modo non solo la fine della tragedia ma anche quel carattere di indubbia organicità e compattezza che si creava al suo interno dal conflitto dialettico di queste due parti.

La sconfitta, la frustrazione, il senso di impotenza sono aspetti ormai evidenti nei protagonisti del film che scoprono nella tecnologia l’illusione di dare un senso alla realtà, di razionalizzarla mascherando però il carattere caotico e irrazionale dello spirito dionisiaco. Il conflitto lacerante tra spirito apollineo e spirito dionisiaco si risolveva, nella antichità, nella promessa di una rigenerazione dell’eroe: l’angoscia e la sofferenza di una “doppia”realtà lasciava il posto ad una catarsi, ad una purificazione interiore che cancellava, nel momento della morte, la sofferenza dell’individuo per riportarlo ad una nuova vita.

Nella modernità la scomparsa della componente irrazionale dello spirito dionisiaco, a causa di una ragione totalizzante e chiarificatrice, ha decretato la fine della possibilità della rigenerazione: HAL, il computer umanoide,muore e la sua morte è definitiva, senza possibilità di proiettarsi verso una nuova esistenza; la sua morte è ricostruita nel passaggio che ripercorre le tappe verso la sua infanzia, è un ritorno al passato che preclude l’eternità del suo sistema. Ma c’è un uomo, e questo è Dave Bowman (la cui traduzione letterale arco-uomo) che esce dal mondo della tecnologia per ritrovare nella natura istintuale e pulsante dell’uomo l’autenticità della propria identità.

Scollega il computer, lascia il carattere dogmatico e assoluto della ragione, per ritrovare l’ingenuità del primate e una nuova ragione questa volta aperta e problematica. Supera la fase di servitù nei confronti della morale e della scienza per risvegliare la libertà che è in lui; la sua è una volontà che da critica diventa man mano produttiva verso l’essenza dionisiaca della libertà umana e il gioco creativo della vita. Nell’orizzonte siderale, segnato come limite da superare attraverso la figura del monolito, l’astronauta, con le sue sole forze, si spinge “oltre l’uomo” per ritrovarsi, per riprendere su di sé la potenza dell’istinto.

→ 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey) è un film di Stanley Kubrick, basato su un soggetto di Arthur C. Clarke, il quale ha poi tratto dalla sceneggiatura un romanzo dal titolo omonimo. Benché molti ritengano la pellicola ispirata al racconto di Clarke La sentinella. La categoria "film di fantascienza" spesso attribuita all'opera di Kubrick non rappresenta in realtà l'intima natura del film, che, pur ambientato nel futuro, tocca problematiche antichissime relativa all'identità della natura umana, al suo destino, al ruolo della conoscenza e della tecnica. Un'umanità alla ricerca di sé, diversa dal resto della natura, definita dal simbolo centrale di un parallelepipedo, razionale, verticale, misterioso, sovrastato da una luce speciale. Una ricerca che, condotta con il prevalente obbiettivo del domino tecnico, trova invece alla fine l'uomo di fronte al suo limite irrisolto, ancora sovrastato dall'incombente figura geometrica, mai veramente risolta.

Il film di Kubrick è considerato unanimemente un capolavoro della storia del cinema e costituisce una svolta epocale per il cinema. Nel 1991 la pellicola è stata giudicata di rilevante significato estetico, culturale e storico, e inserita nella lista di film preservati nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al ventiduesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è salito al quindicesimo posto.

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→ KUBRICK non racconta ma osserva i suoi personaggi e le storie da una distanza siderale.

→ Film moderno, perchè l'autore riduce al minimo la narrazione ed esalta i percorsi visivo-descrittivi, lunghe inquadrature, lunghi interminabili carrelli.

→ L'atto di guardare è il tema principale del film

CHI E' IL REGISTRA: «Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato.»

Stanley Kubrick (1928 – 1999) è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense naturalizzato britannico.

Viene considerato uno dei più grandi e geniali cineasti della storia del cinema, è stato anche direttore della fotografia, montatore, scenografo, creatore di effetti speciali, scrittore, fotografo. Le sue opere sono considerate "tra i più importanti contributi alla cinematografia mondiale del ventesimo secolo". Ha diretto in totale tredici lungometraggi ed è stato candidato per tredici volte al Premio Oscar, vincendolo solo nel 1969 per gli effetti speciali di 2001: Odissea nello spazio. Nel 1997 gli è stato assegnato il Leone d'oro alla carriera al Festival del cinema di Venezia.

È conosciuto per aver affrontato con grande successo di critica e pubblico un ampio numero di generi cinematografici: il genere guerra con Paura e desiderio, Orizzonti di gloria e Full Metal Jacket, il noir con Il bacio dell'assassino, il thriller con Rapina a mano armata, il peplum con Spartacus, la commedia nera con Lolita, la satira politica con Il dottor Stranamore, la fantascienza con 2001: Odissea nello spazio, la fantascienza sociologicacon Arancia meccanica, il genere storico con Barry Lyndon, l'horror con Shining, il dramma psicologico con Eyes Wide Shut.

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PULP FICTION – QUENTIN TARANTINO 1994, USA

EPOCA: CINEMA D'AUTORE

GENERE: GANGSTER, THRILLER, COMMEDIA

CASA DI PRODUZIONE: MIRAMAX FILMS, A BAND APART, JERSEY FILMS

INTEPRETI E PERSONAGGI:

➢ John Travolta: Vincent Vega

➢ Uma Thurman: Mia Wallace

➢ Samuel L. Jackson: Jules Winnfield

➢ Tim Roth: Ringo "Zucchino"

➢ Amanda Plummer: Yolanda "Coniglietta"

➢ Bruce Willis: Butch Coolidge, il pugile

➢ Ving Rhames: Marsellus Wallace

➢ Harvey Keitel: Winston Wolf

➢ Eric Stoltz: Lance, pusher

➢ Maria de Medeiros: Fabienne, moglie del pugile

➢ Quentin Tarantino: Jimmie Dimmick

➢ Peter Greene: Zed

➢ Duane Whitaker: Maynard

TRAMA:

Il film è un intreccio di varie storie. L'introduzione del film inizia all'Hawthorne Grill, una piccola caffetteria di Los Angeles, dove una giovane coppia di amanti, Zucchino e Coniglietta, stanno architettando il loro prossimo colpo, quando, su iniziativa di lui, decidono di operare proprio nello stesso locale. (sigla)

Quindi la scena si sposta a bordo di un'auto, dove due malavitosi in abito scuro, Vincent Vega e Jules Winnfield, si dirigono di buon'ora a recuperare una misteriosa valigetta sottratta al loro capo Marsellus Wallace da alcuni giovanotti. Giunti all'appartamento di questi, recuperano la valigetta ed uccidono i ragazzi, non prima che Jules abbia recitato un terrificante passo biblico Ezechiele 25:17. I due killer raggiungono quindi il capo Marsellus nel suo locale, mentre quest'ultimo sta ordinando a Butch, un pugile prossimo al ritiro dal ring, di perdere volontariamente il suo prossimo incontro. Quindi il boss Marsellus va da Vincent Vega e gli ordina di portare in giro sua moglie Mia, quella sera stessa.

Prima dell'appuntamento, Vincent si reca da un suo amico spacciatore, Lance, dal quale compra ed assume dell'eroina di ottima qualità. Quindi si reca a prendere Mia, e insieme vanno al Jack Rabbit Slim's, un centralissimo locale kitsch in tema anni cinquanta. A cena i due iniziano a conoscersi meglio, spaziando da argomenti banali a temi quasi filosofici. Quindi si fanno coinvolgere da una gara di twist scatenandosi sulle note di You Never Can Tell di Chuck Berry. Tornati felicemente a casa, Vincent, consapevole delle spiacevoli conseguenze che comporterebbe una mancanza di rispetto nei confronti di Marsellus Wallace, si ritira in un bagno per sottrarsi alle attenzioni di lei e riflettere. Mia, cercando un accendino nella giacca di Vincent, trova dell'eroina e, ritenendola cocaina, la inala finendo in overdose. Vincent, vistosi finito, decide di portarla in casa dell'amico Lance, il quale seppur riluttante suggerisce di praticarle una disperata iniezione sternale di adrenalina. In una tesissima situazione tragicomica, tra urla e battibecco in casa di Lance, Vincent riesce a praticarle la difficilissima iniezione e salvarle la vita. Conclusa la disavventura, Vincent riaccompagna Mia a casa ed entrambi giurano di tacere a Wallace i particolari scabrosi della serata.

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Primi anni settanta. Un uomo in uniforme, reduce della guerra in Vietnam, si reca a casa di un bambino per comunicargli la morte di suo padre prigioniero e consegnargli un orologio d'oro appartenuto alla famiglia del genitore per generazioni. Butch Coolidge è il pugile al quale Wallace ha ordinato di perdere ma egli fa il doppio gioco, scommettendo a proprio favore e mettendo al tappeto lo sfidante, che addirittura muore nell'incontro. Butch fugge in taxi con una latina, Esmeralda, facendosi condurre sino al motel dove lo attende Fabienne, la sua fidanzata. La mattina seguente la coppia sta per partire per la città natale di Butch, Knoxville in Tennessee, secondo i piani, ma nel fare i bagagli si scopre che la donna ha dimenticato l'orologio d'oro paterno. Butch, dato l'enorme valore affettivo e pur consapevole degli enormi rischi, decide di tornare nel proprio appartamento per recuperarlo. L'appartamento appare deserto, e Butch, compiuto il recupero, si concede una breve colazione. A untratto però nota una mitraglietta con silenziatore e la impugna perplesso. Pochi istanti dopo sente infatti lo scarico del gabinetto e vede uscirvi Vincent Vega. I due si ritrovano uno di fronte all'altro e rimangono entrambi attoniti fino a quando Butch, spaventatosi per un rumore improvviso (lo scatto del tostapane), crivella di colpi il killer. Durante la fuga in auto, a un semaforo, Butch s'imbatte proprio in Wallace. Spaventato, accelera investendolo, per poi rimanere coinvolto in un incidente con un'altra auto nell'incrocio, restando tramortito. Rimessisi entrambi faticosamente in piedi, Wallace inizia un inseguimento con sparatoria contro Butch fino a raggiungere un negozio di pegni di un certo Maynard. Il proprietario del negozio, un piccolo criminale, stordisce i due e chiama un suo amico, Zed, una guardia giurata, che giunge al negozio. Maynard e Zed, che si rivelano dei sadici, decidono di violentarli. Scelto Wallace per primo, Butch resta solo con "lo Storpio" (un servo di Maynard) legato a una sedia ma ben presto riesce a liberarsi e mentre sta per fuggire ha un ripensamento, si arma di una katana che trova nel negozio e si reca dai violentatori uccidendo Maynard. Wallace una volta libero spara a Zed evirandolo e promettendogli di sottoporlo ad atroci torture da parte dei suoi compari prima di finirlo. Il boss, per ricambiare, perdona tutto a Butch, a patto che questi lasci Los Angeles e non faccia menzione ad alcuno dell'atroce disavventura.

Vincent e Jules hanno appena ucciso due dei tre ragazzi che volevano rubare a Wallace quando a sorpresa esce dal bagno un quarto uomo che spara su di loro l'intero caricatore senza però neppure sfiorarli. Ucciso costui, portano via l'unico superstite. In auto, mentre Jules tenta di spiegarsi come mai siano riusciti a restare illesi dopo la sparatoria e gridando al miracolo divino, Vincent cerca di fargli cambiare idea e si volta verso Marvin chiedendo la propria opinione, quando involontariamente parte un colpo di pistola che prende il ragazzo in pienovolto. I due killer si ritrovano in un bagno di sangue e nei guai fino al collo. Temendo di essere notati da qualche pattuglia di polizia si rifugiano nella vicina villa di un amico di Jules, l'estroso Jimmie Dimmick, residente a Toluca Lake, il quale più che inorridirsi del cadavere, si preoccupa delle spiacevoli conseguenze per la scoperta da parte di sua moglie Bonnie, prossima a rincasare dal turno notturno all'ospedale. Jules assicura il padrone di casa di poter risolvere tutto e così telefona a Wallace, il quale gli invia rapidamente sul luogo un cinico e misterioso Mr. Wolf. Grazie ai suoi efficienti metodi, l'auto viene ripulita e i due killer si ritrovano lindi dopo soli trenta minuti. L'auto di Jules viene condotta nel deposito per autodemolizioni di un certo "Mostro Joe", sicché Wolf riparte con la figlia del rottamatore, sua amica, lasciando i due a piedi, in tenuta balneare e con la valigetta.

Desiderosi di fare colazione, Jules e Vincent raggiungono l'Hawthorne Grill, dove il primo ribadisce il suo intento di abbandonare l'attività malavitosa in seguito a quello che definisce un miracolo, ma ben presto i due si trovano coinvolti nella rapina di "Zucchino" e "Coniglietta". Mentre Vincent è di nuovo in bagno, Jules, pur di salvare la preziosa valigetta, finge di assecondare il rapinatore, per poi metterlo in scacco puntandogli contro la propria arma. "Zucchino" non ha scelta: desiste ascoltando il malaugurante sermone biblico di Jules e s'accontenta del danaro del killer, che gli lascia il suo portafogli (riconosciuto grazie a una frase ingiuriosa scritta su di esso). I due rapinatori si congedano e i killer riescono finalmente a terminare il proprio lavoro.

SCENE IMPORTANTI + ANALISI DEL FILM + CURIOSITA':

Pulp Fiction è un film del 1994 diretto da Quentin Tarantino. È l'ultimo capitolo della cosiddetta "trilogia pulp" di Quentin Tarantino, preceduto da Le iene (1992) e Una vita al massimo (1993, diretto però da Tony Scott).

La pellicola rilanciò John Travolta, ormai in ombra da anni, e consacrò la giovane e già quotata Uma Thurman. Le interpretazioni di entrambi meritarono una candidatura all'Oscar rispettivamente per miglior attore protagonista e miglior attrice non protagonista. Anche Samuel L. Jackson ricevette la candidatura come miglior attore non protagonista.

Uscito il 14 ottobre 1994 negli Stati Uniti, arrivò nelle sale italiane il 16 dicembre dello stesso anno. In Italia, il film venne inizialmente vietato ai minori di 18 anni, ma dal 1997 il divieto è stato abbassato ai minori di 14 anni,

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consentendo così la trasmissione tv in seconda serata. Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al novantacinquesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è salito al novantaquattresimo posto. Lo stesso istituto l'ha inserito al settimo posto nella categoria gangster.

Scritto da Tarantino e Roger Avary, il film venne diretto solo dal primo. Samuel L. Jackson definì il lavoro con Quentin Tarantino come «qualcosa di assolutamente straordinario», considerando il regista come «un'enciclopedia del cinema vivente». Per quel che riguarda lo stile, Tarantino ammise di essersi ispirato a grandi personaggi come Hitchcock, ma anche a registi del cinema noir come Don Siegel o Jean-Luc Godard. In un'intervista, Tarantino ha dichiarato che secondo lui il motivo del successo di Pulp Fiction è rappresentato dalla scoperta che coglie di sorpresa lo spettatore. Più tardi affermerà infatti che:

«Una delle cose che preferisco nel raccontare storie come faccio io, è dare forti emozioni: lasciare che il pubblicosi rilassi, si diverta e poi all'improvviso… boom!, voglio trasportarli improvvisamente in un altro film.»

Oltre a vestire i panni di regista e sceneggiatore, Tarantino si riservò il ruolo di Jimmie Dimmick, nonostante fosseindeciso sino all'ultimo se interpretare Jimmie o Lance: alla fine optò per Jimmie, perché preferiva trovarsi dietro la macchina da presa durante la scena dell'iniezione di adrenalina. Tarantino ammise che questa fu la scena più difficile da girare. Questa venne infatti girata al contrario, con John Travolta che tirava fuori l'ago dal petto di UmaThurman.

→ Pulp Fiction ha una Struttura labirintica, ma al contrario di questo che dovrebbe mettere in difficoltà uscirne, una volta entrato paradossalmente diventa sempre più facile uscirne. Opera con un meccanismo ad orologeria.

Il film parte da una storia banale, la sviluppa e salta in un’altra, apparentemente ad essa estranea, quindi divaga in un parallelismo che non rispetta neppure la sequenzialità dei fatti, per infine virare e tornare da dove era partito, in un procedimento circolare a 360 gradi che solo alla fine, come in un giallo, si ricompone, spiegando in tal modo tutte le divagazioni, i retroscena e le pieghe del racconto. Lo spettatore è come se fosse finito in una sorta di ottovolante, pur stando seduto in poltrona.

L’autore ha raggiunto questo risultato attraverso uno spettacolo stratificato da vari livelli di lettura che però, anche rimanendo al più basso, più immediato e facile, diverte, attira, coinvolge, attraverso un viaggio che tocca vari generi del cinema, confondendoli fra di loro. Tant’è che diventa difficile catalogare quest’opera in un genere specifico, ma ogni tassello s’incastra nell’altro come in un mirabile puzzle che alla fine appaga tutti i gusti, dal più semplice a quello più esigente. È quindi un’opera universale che contiene tutti gli ingredienti del cinema, che sorprendentemente convivono e si esaltano fra loro, anziché stridere ed andare in conflitto.

Tarantino ha avuto l’idea di girare dentro lo stesso ambiente (nello specifico il ristorante con i sedili rossi imbottiti) scene diverse, contemporanee, montandole poi in momenti temporalmente differenti dello stesso film,per infine farle combaciare e legare, come fossero l’effetto del caso, solo nell’istante della ‘resa dei conti’ finale. Fa morire in maniera violenta un personaggio (John Travolta) per poi farlo riapparire nel finale, con avvenimenti che cronologicamente si riferiscono alla sua metà o giù di lì, e senza che ciò sembri strano, asincrono o peggio ancora assurdo. Perché Pulp Fiction non è un film surreale, che in qualche modo giustificherebbe un andamento libero da ogni sceneggiatura standard, ma un’opera sin troppo legata al reale, esplicita, pratica e carica di pathos, ma anche di momenti drammatici e comici allo stesso tempo.

Pulp Fiction è come un cubo. Ogni lato è un film diverso: comico, drammatico, poliziesco, sociologico, metaforico… Sta allo spettatore coglierne ogni aspetto oppure anche uno soltanto.

Tarantino è abilissimo nel sedurre lo spettatore con storielle e discussioni tanto insulse nei contenuti quanto irreprensibili nella loro logica e rigore di ragionamento, anche se poi non c’entrano nulla con quello che sta per avvenire nei fatti di lì a breve.

D’altra parte lo stesso titolo dichiara la natura di questo film ed il suo più immediato significato. Pulp significa in pratica rimescolamento di tempi e luoghi e davvero in quest’opera tale espressione raggiunge il suo più completosignificato. Si potrà sospettare che tutta questa originalità espressiva generi disordine, una sorta di improvvisazione, pur elegante e fine, ma senza una logica definita ed invece la chiarezza espositiva e la geometria della sua opera, sono ancora una volta fra i punti di forza del concetto di cinema di Tarantino, il quale, per meglio raggiungere l’obiettivo, qui come in precedenza e poi ancora in seguito, è solito dividere il racconto in alcuni capitoli ed ognuno di essi caratterizzarlo con attori di gran talento e carisma, impreziosendo con queste illustri presenze ogni singolo episodio affinchè possa restare più facilmente impresso nella memoria dello

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spettatore.

Pulp Fiction è sostanzialmente diviso in tre capitoli principali che s’incrociano e s’intersecano fra di loro in un gioco di scatole cinesi. Ogni episodio perciò è legato in qualche modo all’altro, anche se non è rispettata l’esatta cronologia delle situazioni che vengono rappresentate. A volte il legame si realizza attraverso delle coincidenze, in altre invece grazie a personaggi in comune, oppure seguendo la normale sequenza degli eventi.

Una curiosità finale: tutto il corso del film è caratterizzato dalle coppie: i due killer, i due rapinatori da strapazzo, ilpugile e la sua compagna sciocchina, il boss Marcellus e la moglie Mia, interpretata dalla brava Uma Thurman che s’accompagna a sua volta a John Travolta ed infine i due stupratori sadici. Difficile dire se c’è un messaggio subliminale al riguardo, quando per definizione tutto è fiction ma è anche pulp…

CHI E' IL REGISTRA:

Quentin Jerome Tarantino (1963) è un regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico statunitense. Definito un regista DJ per la sua capacità di riuscire a combinare stili diversi fondendoli insieme in una nuova opera. Iniziò la sua carriera come regista all'inizio degli anni novanta, raggiungendo il successo di critica con il filmdi debutto Le iene. Con il successivo Pulp Fiction arrivò la consacrazione, vincendo la Palma d'oro al Festival di Cannes e conquistando, oltre a sette nomination, il premio per la miglior sceneggiatura originale, condiviso con Roger Avary, ai Premi Oscar. A partire dal 21 dicembre 2015 il suo nome è presente tra le celebrità della Hollywood Walk of Fame.

I film di Tarantino sono rinomati per i dialoghi, la violenza, i salti temporali nella narrazione e le ossessioni della cultura pop. Alcuni elementi sono ricorrenti nelle sue opere. Proprio i dialoghi, sempre sopra le righe, sono il suo "marchio di fabbrica". Non a caso Tarantino è un fan dello scrittore statunitense Elmore Leonard, romanziere noircelebre per i dialoghi surreali e per i suoi grotteschi personaggi.

Altra sua fissazione sono le riprese effettuate rigorosamente su pellicola, supporto che il regista statunitense, in questo periodo di transizione del cinema dall'analogico al digitale, cerca di difendere ed utilizzare più che può. Lostesso New Beverly Cinema di Los Angeles, di sua proprietà, proietta ancora oggi esclusivamente su celluloide. Conosciuto almeno quanto le sue opere per la sua logorrea senza freni e per la sua sterminata cinefilia enciclopedica, sia di film d'autore che popolare, Tarantino è famoso anche per il suo amore per i cereali da colazione, e molte delle sue realizzazioni ne mostrano diverse marche, vere o inventate. Altre costanti dei film di Tarantino sono il fumo, gli hamburger e i piedi femminili, spesso oggetto di inquadrature e di riferimenti nei dialoghi.

Tarantino spesso si ritaglia una piccola parte all'interno dei propri film, ed il suo personaggio spesso muore.

Agostina Sol Cisella