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Metallurgia e Materiali non Metallici Metallurgia e Materiali non Metallici Dispensa ufficiale del Corso Lezioni del corso del prof. Fabrizio D'Errico tenute al Politecnico di Milano A cura del docente con la collaborazione degli studenti G.Toso e G.Vedovati ___ La presente dispensa fa parte del materiale didattico distribuito sul website del corso. Non è permessa la vendita ne la riproduzione oltre gli scopi didattici e della preparazione all’esame degli studenti del corso.

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Metallurgia e Materiali non Metallici

Metallurgia e Materiali non Metallici

Dispensa ufficiale del Corso

Lezioni del corso del prof. Fabrizio D'Errico tenute al Politecnico di Milano A cura del docente con la collaborazione degli studenti G.Toso e G.Vedovati ___ La presente dispensa fa parte del materiale didattico distribuito sul website del corso. Non è permessa la vendita ne la riproduzione oltre gli scopi didattici e della preparazione all’esame degli studenti del corso.

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Modalità d'esame Modalità di esame

Le modalità di esame sono comuni a tutti gli insegnamenti di Metallurgia e materiali non metallici (7 CFU – 1° anno Laurea). L’esame, come da modalità condivise, è suddiviso in due parti (parte A e parte B): PARTE A La parte A consta di 16 domande a risposta multipla (3 risposte possibili, di cui una corretta e due errate). Punteggio: per ogni domanda corretta +2 punti; per ogni domanda non risposta 0 punti; per ogni domanda errata - 1 punto. Amissione alla parte B: per poter accedere alla parte B, lo studente deve totalizzare almeno 16 punti (=16/30) nella parte A. Al temine della prova vi saranno le correzioni della parte A per consentire l’autovalutazione da parte dell’allievo. Il risultato della parte A viene registrato dal docente e tenuto da parte perché collabora alla composizione del VOTO FINALE. Voto finale VF è dato dalla formula: VF = 0,4*A + 0,6*B dove A e B sono le votazioni totalizzate nelle due parti. Il tempo a disposizione per rispondere alle 16 domande è di 20 minuti. Un esempio di parte A è disponibile al sito Beep del corso Metallurgia e Materiali non Metallici del docente, alla pagina: Materiale Didattico/ Regolamento d'esame del corso docente **** PARTE B La parte B consta di tre esercizi ed una domanda che può vertere su Polimeri o Ceramici-Vetri. Per la piena sufficienza, la valutazione della parte B deve essere almeno di 18/30. Un esempio di parte A è disponibile al sito Beep del corso Metallurgia e Materiali non Metallici del docente, alla pagina: Materiale Didattico/ Regolamento d'esame del corso docente **** REGOLE SPECIALI per pre-appello

Le seguenti regole valgono soltanto per l'eventuale preappello deciso dal docente.

• La PARTE A, se superata con voto sufficiente ( >16/30, in accordo con le regole standard) avrà validità fino alla sessione di settembre;

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• Nella correzione della Parte A vengono tollerati con punteggio nullo fino a 2 errori (a differenza delle regole standard che prevedono invece per due errori commessi una penalizzazione pari a: -0.5*2=-1 punto);

• La PARTE B, se superata con voto sufficiente (>18/30, in accordo con le regole standard) avrà validità fino alla sessione di settembre;

• Il punteggio complessivo della PARTE B per il preappello è di 34/30, invece che 30/30 in accordo con le regole standard.

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Introduzione Introduzione La metallurgia è lo studio dei metalli che partendo da un punto di vista della fisico della materia (metallurgia fisica) permette di interpretare le correlazioni esistenti tra le microstrutture dei metalli e le proprietà del materiale; studia inoltre le tecniche ed i metodi attraverso i quali poter governare - durante tutte le fasi produttive - l'evoluzione delle microstrutture in modo che vengano sviluppate quelle più idonee allo scopo, quale ad esempio incrementare le caratteristiche di resistenza oppure, all'opposto, aumentare la capacità di "cedere" e deformarsi plasticamente sotto l'imposizione di bassi carichi, come accade ad esempio nello stampaggio a freddo della lamiera impiegata per la produzione della carcassa esterna di un elettrodomestico o della portiera di un'auto. Nel nostro corso ci concentreremo quasi ed esclusivamente sui metalli, mentre la parte conclusiva del corso verrà dedicata ad una introduzione sui materiali polimerici (comunemente detti plastiche) e i materiali ceramici. Partiremo dalla struttura atomica dei metalli, studiandone la "architettura" allo stato solido. Questa branca della metallurgia, poiché si dedica a studiarne la struttura e darne una spiegazione fisica, prende comunemente il nome di metallurgia fisica. Per comprendere come si combinano gli atomi di un metallo (e successivamente quelli di diversa specie presenti in una lega metallica) allo stato solido giova partire da come essi si comportino quando il metallo è allo stato liquido. Per facilità, d'ora in poi ci riferiremo al caso più semplice di metalli puri, ovverosia atomi della stessa specie chimica. La solidificazione dei metalli Consideriamo un crogiolo contenente del metallo liquido che raffreddiamo lentamente. Gli atomi del metallo allo stato liquido si muovono più o meno liberamente e caoticamente: per analogia, basti pensare a quanto accade per le molecole di acqua nel loro passaggio di stato da vapore a liquido (e viceversa). È noto che le molecole di acqua allo stato liquido sono legate dal particolare legame ad idrogeno, un legame a bassa energia che si instaura tra i dipoli elettrici (positivo e negativo) della molecola di H2O. Questo legame è sì debole, ma data la bassa energia cinetica posseduta dalle molecole dell'acqua a temperatura ambiente, è in grado di durare per un certo tempo. Statisticamente e in modo random, le molecole di H2O rompono e riformano questo legame tra loro continuamente, così da permettere da un lato all'acqua di assumere stato di aggregazione con "forma libera" ma soggetta alla forza gravitazionale (i.e. stato liquido), ma dall'altro l'energia cinetica posseduta dalla singola molecola di H2O non è sufficiente a mantenere a lungo separata la singola molecola dalle altre e farla fluttuare liberamente in aria (i.e. stato di vapore). Va da se quindi che, allorquando noi imponiamo un aumento della temperatura dell'acqua fino a portarci a 100°C (per l'acqua pura), progressivamente stiamo aumentando l'energia cinetica delle molecole di acqua; l'incremento di energia cinetica significa un incremento della loro vibrazione che porta due molecole a distanziarsi oltre una distanza limite entro la quale le (basse) forze di legame elettrostatico possono agire ed instaurare il legame di natura elettrostatica tipico della molecola dipolo elettrico dell'acqua. Il risultato dell'aumento di temperatura quindi è quello di permettere la rottura dei legami ad idrogeno e impedirne la loro formazione, conferendo alle molecole di H2O energia di movimento sufficiente a distaccarsi dal pelo libero dell'acqua allo stato liquido e fluttuare liberamente nell'aria (almeno finché non perderanno energia cinetica e quindi ritorneranno allo stato di liquido). Se operiamo in direzione opposta a partire dalla temperatura ambiente, ovverosia

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diminuendo la temperatura del liquido fino ad arrivare agli 0°C (per l'acqua pura), è esperienza comune osservare che l'acqua contenuta nel contenitore inizierà a trasformarsi da liquido a solido, cioè inizierà a "ghiacciare". In gergo ciò che si sta verificando allo stato fisico è ancora una volta una progressiva diminuzione dell'energia cinetica delle molecole contenute nell'acqua allo stato liquido; esse iniziano ad avvicinarsi fino ad instaurare un legame più forte e strutturarsi (normalmente) in una forma a reticolo cristallino esagonale. Abbassando ancora la temperatura, l'acqua non subisce più alcuna modifica di stato di aggregazione, rimane cioè allo stato solido, ma la vibrazione delle molecole diminuisce sempre di più finché si raggiunge agli 0 gradi kelvin (i.e. temperatura dello zero assoluto) una condizione di totale assenza di moto delle molecole (o atomi nel caso dei metalli). Per quanto riguarda i metalli considereremo solo i due stati possibile ovvero lo stato solido e lo stato liquido perché per vaporizzare un vapore ci vogliono temperature e pressioni molto alte e non è parte trattata in questo corso. Applichiamo ad un metallo questi principi generali della materia, ovverosia la correlazione esistente tra aumento della temperatura e aumento della energia vibrazionale delle molecole (atomi, nel caso dei metalli). Quando un metallo si trova nel suo stato di aggregazione liquido, significa che i suoi atomi sono in continuo e "pseudo-libero" movimento (vedi Fig.1 e Fig.2): parliamo di pseudo-libero perché non dispongono di energia cinetica sufficiente a fluttuare liberamente nell'aria (in questo caso parleremmo di metallo allo stato sublimato o vaporizzato; a pressione atmosferica i metalli sono al massimo allo stato liquido). Ciò di fatto è quanto avviene, per analogia, nell'acqua che si trova ad esempio nello stato liquido, dove le singole molecole si "staccano" e "riattaccano" caoticamente tra loro, per via della rottura e riformazione continua di legami ad idrogeno. Abbassando la temperatura, anche l'energia cinetica diminuisce, e piano piano gli atomi si trovano in un certo istante di tempo in posizioni ravvicinate al punto tale che due atomi sentono attrazione tra loro, che risulterà stabile proprio per il fatto che essi possiedono ora energia cinetica limitata, no sufficiente cioè ad allontanarli da questa reciproca posizione stabile.

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Fig.1 - Rappresentazione schematica delle forze di attrazione Coulombiana nel caso di stato solido (a) e stato liquido (b).

Fig.2 - Rappresentazione dello stato liquido del metallo. Gli atomi possiedono elevate energia cinetica, tale che in media in un intervallo piccolo di tempo non è permessa la formazione di alcun legame (legame metallico, per la precisione) stabile di attrazione reciproca. Si noti in figura (a) che nell’istante di tempo raffigurato i due atomi A e B sono riusciti effettivamente ad instaurare un legame reciproco, perché la loro distanza è risultata causalmente sufficientemente ridotta perché essi sentano reciproca attrazione elettrica tra i nuclei positivi di un atomo e gli elettroni negativi dell’altro, secondo lo schema di base del legame stabile tra due atomi (vedi Fig.1b). Tuttavia l’energia cinetica posseduta da A e B è troppo elevata ancora per «trattenere» in posizione stabile di legame A e B che nel successivo istante di tempo (vedi (b)) si rompe. Se abbassiamo la temperatura, l’energia cinetica degli atomi diminuisce: nello schema di figura (c) accade quindi che 4 atomi si trovano casualmente in posizioni tali da sentire attrazione reciproca (vedi schema di Fig.1a) e riescono a costruire un «edificio» stabile, allo stato solido. Si parla in tal caso di germe o nucleo di solidificazione. Si noti come altri atomi sono ancora troppo «mobili» per poter attaccarsi all’edifico costruito dai 4 atomi o costruirne uno nuovo. Siamo cioè in fase di solidificazione, con parte della materia solida e parte ancora liquida.

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Come già discusso per l'acqua, anche in questo caso il metallo passa dallo stato liquido allo stato solido: ciò non vuol dire che gli atomi si sono "fermati" sulle proprie posizioni. Essi continueranno a vibrare (e questo è "sintomatico" della temperatura di un corpo) almeno finché la temperatura rimane al di sopra dello 0 assoluto (i.e. 0 gradi Kelvin). Al di sotto della temperatura cui avviene il passaggio da liquido a solido, definita temperatura di solidificazione del metallo, diventa quindi probabile e "fattibile" la creazione di legami metallici che daranno vita ad un solido metallico. Questa nuvola elettronica caratterizza l'alta conduzione elettrica e termica dei metalli: questo perché quando una parte di una lamina viene messa a contatto con un corpo più caldo gli atomi metallici del nostro pezzo in corrispondenza della faccia calda iniziano a vibrare e prendere energia, energia che grazie alla nuvola elettronica viene trasferita agli atomi sempre più vicini che iniziano a vibrare anch'essi, trasmettendo così il calore. Nel caso della conduzione elettrica se noi poniamo un potenziale negativo e uno positivo da una parte all'altra della nostra barra metallica la nuvola elettronica tende a spostarsi attraverso un moto ordinato di elettroni che poi noi chiamiamo elettricità].

Legame metallico: consiste nella condivisione di tutti gli elettroni di valenza che formano una "nuvola elettronica" intorno agli atomi.

Microstruttura (dei metalli): struttura microscopica del metallo, come appare al microscopio (in opposizione al concetto di macrostruttura, cioè quanto osservabile limitatamente ad occhio nudo) un metallo allo stato solido; cioè come appare la struttura del metallo in base all'osservazione di un microscopio (ottico o elettronico a scansione, SEM) frutto della disposizione ordinata degli atomi in configurazione spaziale ben ordinata e prestabilita (i.e. reticolo cristallino, vedi dopo).

Crogiolo: bicchiere contente il metallo liquido Metalli puri Un metallo puro è un elemento di specie chimica della tavola periodica caratterizzato da: • Conducibilità elettrica e termica • Opacità • Duttilità e malleabilità • Lucentezza I metalli sono caratterizzati dal legame metallico (gli elettroni possono spostarsi da un atomo all’altro). Si parla di metallo soltanto se ci si riferisce all’elemento puro (almeno purezza industriale). Lega metallica Costituita da un metallo con aggiunte di altri elementi. Esistono leghe binarie, ternarie, quaternarie, ecc. rispettivamente costituite da 1 metallo base più aggiunte di 1, 2, 3, ecc. elementi di lega. Sono considerati elementi di lega solo quelli volutamente aggiunti, indipendentemente dalla quantità. Le impurezze (sostanze dannose presenti involontariamente) derivano invece dalle materie prime impiegate nel ciclo di fabbricazione della lega e/o dai processi a cui il materiale è sottoposto prima di entrare in uso. In generale, come si vedrà più avanti,

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Stato Solido Riprendendo lo schema di fig.2c, sappiamo che quando inizia il raffreddamento, incominciano a formarsi dei germi di solidificazione (o nuclei di solidificazione), distribuiti in maniera casuale. Ma mano che sottraiamo calore (i.e. raffreddiamo) la solidificazione procede: molti atomi inizieranno a ridurre la loro energia cinetica al punto che saranno in grado di:

a. Legarsi ad un edificio cristallino già costruito, cioè andranno ad aumentare l'area (il volume, ragionando ovviamente per il caso reale; noi adotteremo lo schema bidimensionale per semplicità di raffigurazione) dei nuclei solidi appena costruiti; si parla in questo caso di ACCRESCIMENTO dell'edificio cristallino;

b. Costruire nuovi germi solidi, cioè gli atomi iniziano ad "edificare" nuovi nuclei di metallo solido, che a loro volta, man mano che sottraiamo calore, tenderanno ad accrescersi.

Il fenomeno combinato a) e b) identifica come di fatto procede una solidificazione di un metallo, ovverosia per NUCLEAZIONE (b) ed ACCRESCIMENTO (a).

Ad un certo momento l’accrescimento dei nuclei diversi interferisce reciprocamente (vedi Fig.3), il liquido si esaurisce e si creano naturalmente dei confini tra gli edifici cristallini (gli edifici sono raffigurati in Fig.3 con dei quadratini) che si sono accresciuti lungo diverse direzioni (dettaglio di Fig.3c). In altre parole, i diversi nuclei che si sono accresciuti separatamente lo fanno lungo direzioni diverse; è infatti del tutto improbabile avere due nuclei sospesi nella massa liquida e vicini tra loro che si accrescono perfettamente lungo le stesse direzioni. All'edificio cristallino che si è accresciuto lungo una sua particolare direzione solidificando la massa liquida intorno si da il nome di grano cristallino del metallo, o semplicemente grano. Il bordo di confine tra un grano cristallino e l'altro (Fig.3c) è detto bordo di grano.

Fig.3 - Schema della fenomeno di nucleazione ed accrescimento degli edifici cristallini del metallo solido: a) nuclei in formazione; b) accrescimento dei nuclei; c) il liquido è scomparso, tutta la massa metallica è diventata

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solida. Si noti nel dettaglio di ingrandimento a sinistra che gli edifici accresciutisi lungo 4 diverse direzioni "urtano" l'uno contro l'altro. Gli edifici solidi accresciutisi con diversa direzione prendono il nome di grano cristallino, o semplicemente grano. Si noti come in alcuni punti (rossi), i 4 diversi grani cristallini mettono in condivisione i propri atomi. Questi punti di contatto tra i diversi grani permettono alla massa solida di rimanere "unita". Sono i bordi di grano, visibili nello schema di figura (d) che rappresenta la ( c) ma a basso ingrandimento.

SISTEMI CRISTALLOGRAFICI

Come abbiamo visto, i metalli allo stato solido edificano reticoli cristallini, cioè i propri atomi si organizzano in strutture ordinate e precise. Ogni metallo possiede il suo reticolo cristallino; alcuni metalli hanno edifici simili, ma cambiano le dimensioni, perché ad esempio cambia di metallo in metallo il raggio atomico, la forza di attrazione (che influenza la distanza di legame stabile, e quindi la distanza nello spazio tra atomo e atomo). I reticoli cristallini noti sono di diversa natura e sono tutti raffigurati in Fig.4. Per quanto riguarda questo corso, ci interesseremo particolarmente ai 4 reticoli evidenziati in figura 4.

Fig. 4 - Possibili reticoli cristallografici della materia solida.

In realtà il primo reticolo, quello cubico semplice, non appartiene ai metalli che studieremo in questo corso (ferro, per lo studio degli acciai e ghise, ed alluminio). Ma essendo la sua rappresentazione grafica particolarmente semplice lo useremo per spiegare alcuni principi di base della struttura e comportamento dei metalli.

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Ci soffermiamo per ora su due reticoli in particolare, il Cubico Facce Centrate (o in acronimo CFC) e il Cubico Corpo Centrato (in acronimo, CCC). La struttura di base di un CFC (Cubico Facce Centrate) è un cubo, appunto, con ai vertici gli atomi del metallo in questione e con un atomo della stessa specie al centro di ciascuna faccia del cubo. La fig.5 mostra la raffigurazione schematica del CFC, Fig.5a, e quella più realistica nello spazio, dove i effetti le orbite esterne degli atomi (raffigurati come sfere) raggiungono la minima distanza possibile, senza ovviamente compenetrarsi. Per comprenderne la reale configurazione, basta immaginare di partire dalla configurazione in fig.5a e compattare il più possibile il cubo finché le sfere non iniziano a entrare in contatto reciproco. Si noti come gli atomi nello schema di Fig.5b sono "tagliati" opportunamente di modo che ogni porzione lasciata nella figura sia effettivamente una porzione di completa pertinenza del reticolo unitario. Essendo infatti i reticoli unitari nella configurazione spaziale (fig.5c) attaccati gli uni con gli altri all'interno del medesimo grano, ogni atomo di spigolo appartiene contemporaneamente a 8 celle unitarie, dunque soltanto 1/8 è di pertinenza del reticolo unitario. Stesso ragionamento si applica per i restanti atomi, quelli presenti sulle facce laterali del cubo, per i quali soltanto metà appartiene completamente al reticolo unitario. Questo porta a calcolare come pari a 4 (=1/8 atomo x 8 spigoli + 1/2 atomo x 6 facce) il numero di numero di atomi effettivi presenti all'interno della cella unitaria di CFC. Il piano a maggiore densità atomica (cioè quello che contiene più atomi nell'edifico di base) è il piano Il piano a maggiore densità atomica è quello che interseca i 3 assi (Fig.6).

Fig. 5- Configurazione del reticolo CFC: a) raffigurazione schematica, b) raffigurazione realistica dell'edificio cristallino; c) porzione di grano cristallino nello spazio.

Fig. 6 - Piano a massima densità atomica del CFC.

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La struttura di base di un CCC (Cubico Corpo Centrato) è anche in questo caso un cubo che possiede, oltre agli atomi ai vertici del cubo, un singolo atomo della stessa specie al centro del cubo. Si veda la raffigurazione schematica in Fig.7. Applicando allo schema di Fig.7b lo stesso ragionamento fatto per il reticolo CFC è possibile calcolare il numero effettivo di atomi appartenenti alla singola cella unitaria: è pari a 2 (= 1/8 atomo x 8 spigoli + 1 atomo centrale ) il numero di atomi effettivi presenti all'interno della cella unitaria di CCC. Il piano a maggiore densità atomica di questa tipologia di reticolo cristallografico è quello diagonale, come raffigurato in Fig.7.

Fig.7 - Configurazione del reticolo CCC: a) raffigurazione schematica, b) raffigurazione realistica dell'edificio cristallino; c) porzione di grano cristallino nello spazio.

Fig. 8 - Piano a massima densità atomica del CFC. All'interno di tutti i reticoli cristallini che vanno a collegarsi l'uno con l'altro per formare il grano cristallino del metallo solidificato rimangono degli spazi vuoti; questi sono ben visibili nello schema tridimensionale del reticolo unitario CFC e CCC riportati nelle due figure 5b e la Fig.7b. Ogni reticolo, in base alla sua conformazione, ha dunque i propri liberi che in gergo vengono definiti siti interstiziali. Cambiando la struttura reticolare, i siti interstiziali cambiano in termini di localizzazione (vedi Fig.8) e volume disponibile (il volume per la verità cambia di molto anche in base all'aumento i temperatura, vedi nota a lato sui siti interstiziali).

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Fig. 8 - Siti interstiziali di diversi reticoli; da sinistra verso destra: a reticolo semplice, reticolo cubico corpo centrato (l'acronimo BCC è in Inglese e sta per Body-Centered Cubic ); reticolo cubico facce centrate (l'acronimo FCC sta per Face-Centered Cubic). Rappresentazione semplificata del reticolo cristallografico Ai fini di semplificare la trattazione nei successivi paragrafi, si farà principalmente riferimento allo schema bi-dimensionale del reticolo di un metallo, partendo dal reticolo più semplice in assoluto, ovverosia il cubico semplice. Anche se questo reticolo non ha riscontro nei metalli che si studieranno più avanti in questo corso, come anticipato esso è di estrema comodità per introdurre i concetti di base che seguono. Quindi rappresentiamo una porzione di un grano cristallino in ambiente 2-D invece che 3-D. Basta semplicemente immaginare di proiettare su di un piano (piano cristallografico) il reticolo che desideriamo studiare (vedi fig.9).

Fig.9 - Schema semplificato di un reticolo cristallino.

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Difetti reticolari di punto e di linea Finora abbiamo supposto gli atomi disposti in maniera perfettamente regolare. Ma i reticoli in realtà non sono composti veramente in questo modo, poiché solo in un caso ideale tutti gli atomi sono sempre al posto corretto del reticolo di base. In generale, la disposizione non corretta di atomi all'interno del reticolo di base viene identificata con il termine di difetto reticolare. La errata posizione che gli atomi assumono è figlia di velocità di solidificazione elevate, cioè quelle che tipicamente sono impiegate nei processi di fusione industriali. In sostanza ciò che accade è che, in accordo sempre con lo schema di solidificazione rappresentato in Fig.3, gli atomi non hanno il tempo di mettersi tutti nelle posizioni corrette. A mero titolo di esempio, potrebbe accadere che in un reticolo CCC un atomo non si dispone correttamente al centro del cubo, ma rimane in posizione sbagliata all'interno della faccia superiore del suo reticolo gemello accanto.

Fig.10 - Possibile difetto generato dalla posizione errata occupata dall'atomo centrale del reticolo CCC di destra. Questo appena descritto si chiama difetto reticolare di punto perché crea una errata disposizione di un atomo in un punto; per la precisione, nell'esempio di figura 10, sono due le posizioni non corrette, una realizzata dalla mancanza dell'atomo centrale, l'altra realizzata per l'inclusione di un atomo all'interno di un interstizio del reticolo ccc. In generale possiamo classificare i difetti reticolari di punto secondo le seguenti tipologie (vedi Fig.11):

• Vacanza reticolare: posizione vacante; • Atomo interstiziale: posizione interstiziale di un reticolo, che

dovrebbe quindi essere libera, che viene occupata da un altro atomo.

. Siti interstiziali: Spazi lasciati liberi all'interno di uno specifico reticolo cristallino della struttura allo stato solido. La loro localizzazione dipende dalla struttura cristallografica; la loro dimensione è fortemente influenzata dalla stessa disposizione degli atomi nel reticolo (fig.A), dal raggio atomico della specie chimica che costituisce il reticolo di base e soprattutto dalla temperatura. Aumentando la temperatura - e rimanendo al di sotto della temperatura di fusione - la vibrazione degli atomi che costituiscono il reticolo aumenta, facendo così aumentare anche la distanza media di equilibrio tra un atomo e quello ad esso collegato nel reticolo cristallino. Di fatto l'effetto dell'aumento della vibrazione degli atomi all'interno del reticolo si traduce a livello macroscopico con la ben nota dilatazione del metallo man mano esso viene scaldato. L'effetto del maggior volume occupato dal reticolo ad alta T si ripercuote anche sui siti interstiziali che diventano sempre più ampi, dato che gli atomi vibrano sul posto a distanze interatomiche maggiori. Fig. A - Variazione degli spazi interni del reticolo al solo variare della struttura cristallografica, a parità di temperatura e raggio atomico della specie chimica

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Fig.11 - Difetti reticolari di punto: a) vacanza reticolare, b) atomo interstiziale. Nel caso di leghe metalliche, cioè con reticoli costituiti da atomi di una specie con delle aggiunte di atomi di un'altra specie chimica (ad esempio: lega oro e argento, Au-Ag; lega di ferro Fe e carbonio C, noma come acciaio, etc.), l'atomo aggiunto può avere dimensioni di raggio atomico minore o maggiore rispetto il raggio atomico della specie che lo ospita all'interno del proprio reticolo. In tal caso il reticolo subirà delle distorsioni locali maggiori o minori, come mostrato in fig. 12.

Fig.12 - Riepilogo dei difetti reticolari di punto di leghe metalliche: a) vacanza reticolare; b) atomo interstiziale di piccolo raggio (caso frequente in leghe metalliche con aggiunte di specie chimiche con raggio atomico molto inferiore rispetto il raggio atomico della specie ospitante) ; c) atomo sostituzionale di piccole dimensioni; d) atomo sostituzionale di dimensioni maggiori di quelle della specie ospitante.

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DIFETTI RETICOLARI DI LINEA Immaginiamo ora di prendere un libro chiuso. Le singole pagine le possiamo immaginare come i diversi piani cristallografici, perfetti come nel caso di reticolo ideale dal quale a breve però ci discosteremo. Ora apriamo il libro, ne pieghiamo una pagina e la tagliamo: richiudendolo e sfruttando l'analogia tra pagina del libro e "foglio" di atomi, cioè il piano cristallografico, otteniamo ciò che viene definito come difetto di linea; ovverosia, generiamo una mancanza ripetuta di atomi lungo una intera fila di atomi, e come questa, anche tutte le file mancanti al di sotto di essa (vedi Fig.13). Dunque non possiamo più parlare di difetti tipo vacanza di punto, essendo i punti di vacanza tanti ed allineati. Questa tipologia di difetti ricade dunque in una nuova categoria, detta difetti di linea o in gergo "dislocazione". In figura 13 è mostrata la linea di dislocazione (o semplicemente, dislocazione), simboleggiata anche in modo convenzionale con il simbolo "⊥".

Fig.13 - Rappresentazione schematica di una dislocazione: esempio della pagina tagliata, analogia con un piano dislocativo. Le dislocazioni, vedremo nella prossima sezione rivestono un ruolo fondamentale nei micromeccanismi di deformazione plastica dei metalli.

Dislocazione: tipo di difetto di linea di un reticolo cristallografico che consiste nella mancanza di un semipiano cristallografico.

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Introduzione alle sollecitazioni meccaniche nei corpi solidi In ingegneria con forza si identifica una azione meccanica esterna applicata ad un componente. Essa è misurata in Newton nel Sistema Internazionale. Le forze applicate al componente ne producono la sua sollecitazione meccanica. Lo stato di sollecitazione è dunque il risultato della applicazione di forze esterne. Le sollecitazioni meccaniche semplici che riconosciamo applicabili ad un corpo (semplici perché esse possono anche agire simultaneamente; si parlerebbe in tal caso di sollecitazione composta) sono schematizzate in Fig.13:

• Sollecitazione assiale di trazione o compressione; agisce lungo l'asse del corpo, trazionandolo o comprimendolo;

• Sollecitazione di taglio, che agisce come risultante tra due forze contrapposte assiali e disassate tra loro;

• Sollecitazione di torsione, che attraverso un braccio, applica sul corpo una azione di torsione lungo il suo asse longitudinale.

• Sollecitazione a flessione, tipica della applicazione forza all'estremità su di una mensola incastrata;

Fig.13 - Tipi di sollecitazione semplici. Quando però si vuole considerare la risposta del materiale che costituisce il componente sollecitato dall'esterno, bisogna necessariamente riferirsi alla forza per unità di superficie interna sulla quale la forza esterna si trasmette. Vediamo un esempio. Consideriamo la sollecitazione più semplice in assoluto che possiamo applicare ad un provino cilindrico di un dato materiale, ovverosia quella di trazione (vedi Fig. 13, a sinistra). Riportiamo lo stesso schema di carico applicato in Fig.14 nel caso della trazione di un provino cilindrico, ma questa volta siamo interessati a verificare come la forza totale applicata sulle teste alta e bassa del provino di tramette all'interno del materiale. Lo schema che ci interessa è quindi riportato in fig.15. Una qualsiasi superficie ortogonale all'asse del provino, ovverossia ortogonale alla direzione assiale della forza F applicata agli estremi del provino, viene internamente sollecitata per ogni suo millimetro quadrato con una serie di

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vettori la cui somma da ovviamente il vettore F applicato dall'esterno. In altre parole, la F esterna è la risultante della somma dei vettori che sono omogeneamente distribuiti sulla superficie ortogonale alla direzione di applicazione della forza esterna F. Al vettore forza per unità di superficie si da in ingegneria il nome di SFORZO, per ovviamente distinguerlo della forza esterna applicata al componente. Le unità di misura evidentemente cambiano (vedi Fig.14): mentre la forza esterna applicata ad un corpo nel SI è misurata in Newton, N, lo sforzo viene misurato in N/mm2. sempre nel SI 1 N/mm2 equivale a 1MPa, pertanto gli sforzi interni al componente sono misurati in MPa o N/mm2 indifferentemente.

Fig.14 - Definizione di sforzo di trazione, effetto della forza esterna F applicata alle teste del provino.

Se considerassimo invece lo schema di sollecitazione a compressione, vedi ancora la fig.13, l'unica differenza rispetto lo schema di fig.14 risiederebbe nel verso del vettore F applicato dall'esterno ed ovviamente cambierebbe anche il verso (non più verso l'altro, ma verso il basso) dei vettori di sforzo - essi devono ovviamente rispettare sempre la condizione che, la loro somma, deve dare come risultante un vettore F, che ha direzione, modulo e verso propri. Poiché nel caso di trazione o compressione gli sforzi sono entrambi di tipo assiale (i.e. ortogonali alla superficie di sezione del provino, ortogonale a sua volta all'asse longitudinale lungo il quale abbiamo applicato la forza esterna), in ingegneria si assegna la medesima notazione simbolica: gli sforzi assiali sono identificati con la lettera greca σ. Poiché tuttavia gli sforzi di trazione (vettori "uscenti" dalla superficie) hanno verso opposto rispetto quelli di compressione (vettori "entranti" nella superficie), si distinguono gli uni dagli altri mediante la convenzione seguente:

• Sforzi di trazione sono a segno positivo: ad esempio 1000 N di forza esterna di TRAZIONE applicata ad un provino cilindrico di area 10mm2, esercita su ciascuna

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sezione ortogonale all'asse del provino uno sforzo di trazione pari a σ = + 100 N/mm2 (ovverosia + 100MPa);

• Sforzi di compressione sono a segno positivo: ad esempio 1000 N di forza esterna di COMPRESSIONE applicata ad un provino cilindrico di area 10mm2, esercita su ciascuna sezione ortogonale all'asse del provino uno sforzo di compressione pari a σ = - 100 N/mm2 (ovverosia - 100MPa);

Tralasciando i casi di flessione e di torsione che verranno approfonditi in altri corsi, ci concentriamo invece sullo schema di Fig.13 relativamente alla sollecitazione di taglio, ovverosia due forze uguali e contrarie applicate ad un corpo in modo NON allineato e chiediamoci come saranno distribuiti gli sforzi interni al copro; cioè: dato lo schema di carico di taglio in fig,13, quali forze su unità di superficie si sviluppano all'interno del corpo e soprattutto, come sono orientate? Su quale superfice agiscono? Per rispondere alla domanda, ripetiamo quanto fatto per il caso della sollecitazione trazione/compressione. Riferiamoci allo schema in fig.15.

Fig.15 - Definizione di sforzo di taglio, effetto delle forze esterna F applicata in modo contrapposto e non allineato (schema di sollecitazione del corpo a TAGLIO). Il ragionamento che si compie è il medesimo visto nel caso trazione e compressione, soltanto che in tal caso si ottiene che le forze per unità di superficie compaiono come vettori piccoli e tutti uguali distribuiti "sdraiati" sulla superficie cosiddetta di taglio, cioè la superficie che separa idealmente il copro (unico) in due porzioni, superiore ed inferiore, ciascuna delle quali viene "spinta" con forza F uguale in modulo e direzione va verso opposto. Separiamo quindi idealmente le due porzioni mediante il piano di taglio, detto anche piano di scorrimento (o slittamento, sono tutti sinonimi).Avendo idealmente separato il corpo in due parti, consideriamo una "fettina" molto sottile, immaginiamo di estrarla dal

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copro e valutiamo quali siano gli sforzi che agiscono sulle due superfici superiore ed inferiore (vedi ancora schema di Fig.15). I vettori che rappresentato gli sforzi agenti su queste due superfici opposte giacciono su di esse omogeneamente distribuiti. Il singolo vettore sforzo di taglio nello schema di figura 15 agisce quindi su ogni millimetro quadrato di superficie; analogamente a quanto visto per il caso degli sforzi assiali, la somma di tutti questi vettori distribuiti sulla superficie da come risultante la forza F esterna di spinta da sinistra verso destra. Analogamente, i vettori sforzo di taglio applicati sulla la faccia opposta, sommati daranno come risultante la forza F esterna di spinta da destra verso sinistra. In ingegneria si assegna il simbolo τ per identificare che si tratta di uno sforzo di taglio, per distinguerlo quindi nettamente da uno sforzo assiale σ. Riepilogando Sforzi interni al materiale sono misurati in forza per unità di superficie (i.e. N/mm2 nel SI) e vengono distinti in:

• sforzi assiali, di trazione e compressione, e sono identificati con la lettera greca σ, con segno + e segno - per distinguere rispettivamente sforzi di trazione da sforzi di compressione;

• sforzi di taglio sono identificati con la lettera greca τ. Micro-meccanica della deformazione elastica e plastica nei metalli Avendo introdotto le due tipologie di sforzi interni che si sviluppano nel materiale a seguito di forze esterne applicate, possiamo procedere per studiare quali siano i meccanismi fisici che un materiale metallico costituito cioè da un reticolo ordinato, mette in atto per deformarsi elasticamente plasticamente. Anzitutto conviene definire cosa intendiamo quando parliamo nei metalli di deformazione elastica e plastica. Non molto differentemente dal linguaggio comune, intendiamo per deformazione elastica una temporanea deformazione del reticolo metallico, soggetto a carico esterno (o, identicamente, soggetto a sforzo interno per reazione al carico esterno): no appena rimuoviamo l'azione esterna che produce la deformazione del reticolo, esso ritorna alla sua geometria originale, come se fosse un elastico, appunto. Per meglio chiarire il concetto, basta riferirsi allo schema di fig.16 che rappresenta una porzione di reticolo atomico soggetto a forza di tipo assiale. Si noti che tra gli atomi il legame è rappresentato simbolicamente con delle piccole molle, tutte uguali, data la natura identica degli atomi (cioè consideriamo nello schema di studio il caso più semplice di porzione di reticolo perfetto, cioè privo di difetti, con atomi tutti uguali - i.e. caso del metallo puro).

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Fig.16 - a) Reticolo metallico perfetto a riposo; b) reticolo sollecitato assialmente a trazione, in analogia con lo schema macromeccanico di carico a trazione per il provino di fig.14; c) caso della rottura dei legami per via del superamento della forza di attrazione Coulombiana (vedi anche schema di Fig.1). Lo schema di fig.16b spiega bene come i metalli si deformino elasticamente: applicando una forza di trazione al reticolo perfetto del metallo puro, le "molle" rappresentative del legame metallico si estendono; se l'azione viene rimossa, si tornerà dalla configurazione b) alla configurazione a). Ciò che invece lascia perplessi è lo schema in c) che, se pur logico, non rappresenta la realtà di un metallo puro cui applichiamo un carico esterno e, tranne rari casi, non ci aspettiamo ceda in modo repentino e fragile (cioè in assenza di marcate deformazioni osservabili a occhio nudo). In altre parole, lo schema di rottura in c) è quello tipico di una materiale ceramico: non appena supero un carico limite, un materiale ceramico in assenza di deformazioni visibili, si divide nettamente in due parti. Dunque una prima conclusione è la seguente:

• Lo schema, detto anche modello micromeccanico della deformazione elastica del metallo, spiega bene come un reticolo metallico si deformi sotto carico applicato di trazione in modo elastico, ovverosia variando la sua geometria (da caso a al caso b) ma in modo reversibile; no appena cioè rimuovo il carico esterno, a mo' di elastico, il reticolo recupera la sua originaria configurazione (da caso b torno al caso a).

• Il medesimo modello NON è però in grado di spiegare perché i metalli (puri, per la precisione) si rompano sempre solo dopo aver subito deformazioni marcate, permanenti e visibili. Per permanenti intendiamo che, superato un certo carico, il metallo anche se non giunge a rottura manifesta variazioni di forma. Anche rimuovendo il carico, queste variazioni di geometria non sono più recuperabili.

Consideriamo allora un altro schema di applicazione del carico, al fine di ricercare quale sia il modello micromeccanico di deformazione plastica o irreversibile dei metalli. Riferiamoci allo schema di fig.17.

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Fig.17 - a) Reticolo metallico perfetto a riposo ; b) reticolo sollecitato a taglio, in analogia con lo schema macromeccanico di carico a taglio di fig.15. In a) il reticolo perfetto di metallo puro è in posizione di riposo. In b) applichiamo invece una sollecitazione di taglio, in perfetta analogia con quanto fatto per un corpo solido in Fig.15. immaginando quindi di fare evolvere lo slittamento della porzione superiore "spinta" da sinistra verso destra, e quello della porzione di reticolo inferiore, in movimento da destra verso sinistra perché spinta in tale direzione, il risultato dopo lo slittamento di "passo" unitario (intendiamo per passo unitario dello slittamento lo spostamento di atomi di una distanza pari alla distanza interatomica di equilibrio Coulombiano, vedi ancora Fig.1a) sarà quello di Fig.17b. Lo schema di fig.17b sarebbe in grado di ben spiegare quindi come avviene uno slittamento irreversibile: infatti, se immaginiamo a questo punto di rimuovere le forze applicate dall'esterno al reticolo nella configurazione b), il reticolo non può tornare alla configurazione originaria, semplicemente perché la nuova configurazione in b) è stabile: cioè per arrivarci, tutti gli atomi sopra e sotto la traccia del piano di slittamento hanno rotto i propri legami originari, riformandone altri nuovi. A questo punto dobbiamo osservare quanto segue:

• Il modello micromeccanico di taglio applicato ad un reticolo perfetto spiega teoricamente come possa avvenire una deformazione irreversibile o anche detta plastica), a differenza del modello in Fig.15 che è in grado solo di spiegare la deformazione reversibile o elastica;

• Purtroppo, esso NON è ancora sufficiente a spiegare nella realtà come i metalli si deformano permanentemente per il sol fatto che tale modello appena visto presuppone che per appena un passo unitario di spostamento di atomi, qualche Angstrom, sia necessario rompere tutti i legami della fila di atomi disposti lungo il piano di slittamento. In altre parole, se il reticolo in figura 16, per semplicità, rappresentasse un singolo grano cristallino del metallo a geometria rettangolare, sarebbe necessaria una forza applicata al grano per rompere simultaneamente 6 legami, per far deformare di pochi Angstrom il bordo del grano! E pensando che invece in un grano reale gli atomi da bordo a bordo del grano sono di un ordine di grandezza di almeno 10^-5, si capirà come è impossibile sulla faccia della Terra

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sviluppare forze così elevate per produrre una insignificante deformazione di un singolo grano, di pochi Angstrom. Oppure, per converso, non è possibile attraverso questo schema spiegare come mai i metalli si deformano plasticamente e di molto se soggetti a forze facilmente realizzabili da macchine sviluppate dall'uomo.

Ciò che c'è di buono nel modello di Fig.17, però, è proprio lo schema di taglio: esso è effettivamente capace di visualizzare come il reticolo possa slittare e modificarsi permanentemente nella sua geometria. Il segreto dei metalli è presto svelato, basta solo ricordare che un metallo NON possiede, e per fortuna, un reticolo perfetto. Ma al suo interno vi sono molti difetti, di punto e lineari. Qui ci interessano particolarmente quelli lineari che abbiamo chiamato dislocazioni. All'interno del reticolo reale di grano di un metallo, vi sono diversi milioni di dislocazioni distribuite casualmente, frutto della solidificazione con cinetiche reali che non permette di mettere in perfetta posizione tutti gli atomi. Dobbiamo quindi considerare sì il modello in fig.17, ma rendendolo più realistico, inserendoci cioè una dislocazione. Rivediamo quindi lo stesso modello considerando però la presenza di una dislocazione all'interno del reticolo. Il modello micromeccanico che ne viene è quello mostrato in fig.18. Come si nota dallo schema di figura, dalla configurazione "1" alla configurazione "4" la geometria del reticolo cambia (cambia la forma del perimetro tratteggiato). Ciò è il risultato di un piano di dislocazione che, sollecitato a taglio, si è mosso all'interno del reticolo, fuoriuscendone infine (vedi posizione "4") e provocando quindi la deformazione irreversibile del contorno del reticolo. In altre parole, sollecitato a taglio, il reticolo con all'interno una dislocazione risponde con il movimento (interno al reticolo stesso) della dislocazione (ovviamente ciò può avvenire al di sopra una soglia minima di sforzo di taglio τ caratteristica di ogni metallo). Il tutto senza che vi sia un apporto di energia esorbitante, come nello schema di reticolo perfetto di Fig.17. Il tutto grazie al difetto di linea di dislocazione; se non ci fossero le dislocazioni nei metalli, questi non si deformerebbero plasticamente, ma si comporterebbero in modo fragile.

Fig.18 - Applicazione dello schema di taglio ad un reticolo interessato da una dislocazione. La sequenza mostra come da 1 fino a 3 la geometria esterna (linea tratteggiata) non è cambiata, ma all'interno del reticolo la dislocazione si sta muovendo interessando un solo legame per volta. Quando essa fuoriesce, cioè arriva al bordo di grano, la geometria del reticolo è effettivamente cambiata irreversibilmente, come già accadeva nello schema di fig.17, ma con un solo legame per volta che viene rotto e riformato come visibile nella successione mostrata in figura. La forza necessaria a far avanzare il piano di dislocazione è molto bassa: essa dovrà infatti soltanto spostare l'atomo di fine dislocazione (atomo A) verso destra di una quantità appena sufficiente per far in modo che questo senta attrazione con l'atomo in basso alla sua destra (atomo C). Non essendo infatti l'atomo A collegato inferiormente con nessun altro atomo (è l'atomo di fine piano di dislocazione), non occorre rompere alcun legame in questa fase. La forza che occorre è quella necessaria ad avvicinarlo quanto più possibile all'atomo B che sta alla sua destra, di quanto basta per fare in modo che l'atomo C si avvicini al punto da sentire attrazione reciproca. Appena l'attrazione Coulombiana sin instaura tra i due atomi A e C, viene formato un nuovo

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legame, mentre contemporaneamente si rompe il legame tra C e B pre-esistente. Il risultato di questo meccanismo ripetuto ciclicamente mentre la forza F è applicata è il passaggio dalla configurazione "1" alla configurazione "4", dove la dislocazione è ormai fuoriuscita dal bordo di confine del reticolo, modificandone la geometria e dunque producendo deformazione irreversibile, ma con la minima spesa di energia. In base quindi alla presenza delle dislocazioni, del loro moto all'interno del reticolo ed in ultimo all'effetto che tale moto produce in termini di finale variazione della forma del bordo grano (deformazione irreversibile), se ne deve dedurre che:

a. Se le dislocazioni all'intero di un reticolo cristallino sono molto "mobili", cioè sono attivabili con poca forza applicata al corpo dall'esterno, il materiale metallico in questione sarà poco RESISTENTE e molto DUTTILE; per RESISTENZA intendiamo la capacità meccanica del materiale di resistere appunto al carico senza deformarsi plasticamente; per DUTTILITA' intendiamo l'opposto, ovverosia fatti la proprietà di un materiale di deformarsi molto in modo plastico sotto bassi carichi realizzando cioè grandi deformazioni permanenti del reticolo;

b. Se le dislocazioni sono "impedite" nel loro movimento, ed all'estremo esse vengono bloccate, pur esistendo all'interno del materiale, il risultato sarà quello di aver raggiunto certamente un elevata RESISTENZA meccanica, ma con comportamento del materiale di tipo FRAGILE: cioè dovrò arrivare alla condizione di rottura dei legami atomici lungo un grano (e poi tutti gli altri lungo quel fronte di rottura) per far cedere il metallo, senza peraltro osservare alcuna deformazione plastica dall'esterno (i.e. le dislocazioni non possono muoversi).

In base a quanto detto, in un materiale metallico distinguiamo in finzione della "mobilità" delle dislocazioni sotto carico in:

• Comportamento DUTTILE , scarsa resistenza meccanica, alta duttilità (caso a) • Comportamento FRAGILE, alta resistenza meccanica, scarsa duttilità (caso b); • Comportamento TENACE, che è cioè il buon compromesso tra il caso a) e quello b):

ottima resistenza meccanica e buona duttilità.

MECCANISMI DI RAFFORZAMENTO DEI METALLI Abbiamo quindi introdotto il concetto di metallo RESISTENTE o DUTTILE e indicato come queste proprietà dipendano essenzialmente dalla capacità di movimento delle dislocazioni. Tant'è vero che le due proprietà sono sempre contrapposte, nel senso che se l'una aumenta, l'altra tendenzialmente diminuisce, proprio perché dipendono dallo stesso fenomeno: se le dislocazioni si muovono facilmente, la DUTTILITA' aumenta, se le dislocazioni sono invece sfavorite nel loro moto, allora la RESISTENZA meccanica aumenterà, poiché dovrò aumentare il carico dall'esterno al fine di poterle finalmente mettere in movimento. Ma cosa permette di impedire in un reticolo cristallino il moto delle dislocazioni? Vi sono alcuni meccanismi, li vedremo a breve, che consentono di limitare / inibire il moto delle dislocazioni all'interno del reticolo. Questi meccanismi vanno sotto il nome di meccanismi di rafforzamento (dei metalli). Tutti indistintamente cioè hanno il medesimo effetto: ridurre la mobilità delle dislocazioni, sfavorirla: fare cioè in modo che per muovere una dislocazioni sia necessario impiegare più forza dall'esterno. Vediamoli separatamente, tenendo conto che essi, in pratica, possono agire simultaneamente, se nel metallo sono presenti simultaneamente i fattori che li governano.

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Rafforzamento per soluzione solida La presenza all'interno del reticolo di un metallo di alcuni atomi "ospiti" (in gergo si parla di soluzione solida e l'aggiunta di atomi di soluto viene detta "alligazione") comporta variazioni locali del reticolo, ovverosia perturba localmente il reticolo del metallo (vedi fig.12). Come visto, atomi aggiunti nel reticolo ospitante possono essere a raggio atomico più elevato e andare in "sostituzione" degli atomi ospitanti, all'interno cioè di vacanze reticolari (Fig.12d). Oppure atomi a raggio atomico molto piccoli possono inserirsi negli interstizi spazi liberi lasciati dalla compattazione del reticolo (fig.12b e anche fig.8). Ciò che accomuna l'uno (si parlerebbe di soluzione solida sostituzionale) o l'altro (soluzione solida interstiziale) è l'effetto di perturbazione che il reticolo subisce localmente dove l'atomo ospite risiede. Poiché una dislocazione non è altro che un semi-piano cristallografico della stessa tipologia del reticolo di base, quando essa sta muovendosi ed incontra una zona perturbata del reticolo, per via della presenza di questi atomi in soluzione, essa tende a fermarsi. Per poterla sbloccare occorre quindi aumentare il carico esterno. Dunque in comparazione con il reticolo di atomi di una stessa specie (i.e. metallo puro), un reticolo con aggiunte di atomi alliganti (i.e. lega metallica) è sempre più "rafforzato" poiché necessita di più forza dall'esterno per poter muovere le dislocazioni al suo interno.

Rafforzamento per presenza di particelle, detto per "precipitazione" Lo schema del fenomeno di inibizione del moto della dislocazione è analogo al precedente, con l'unica differenza che in tal caso a limitare il moto della dislocazione non sono perturbazioni prodotte da singoli atomi di soluto distribuiti all'interno del reticolo, ma vere e proprie particelle (molto piccole, dell'ordine di qualche "passo" reticolare, cioè da diversi Angstrom fino a pochi nanometri) estranee al reticolo. Queste particelle possono essere di tipo coerente o incoerente, dove per coerenza si intende riferita alla struttura reticolare di queste particelle in rapporto a quella del metallo che le ospita. Se la particella è di tipo coerente, la dislocazione trova sì un ostacolo in essa, ma riesce ad attraversarla. Se invece la particella è di tipo incoerente, la dislocazione non riesce a superarla. Queste particelle si dicono anche "precipitati" perché si formano spesso in presenza di eccesso di atomi delle specie alliganti (cioè gli atomi di soluto) che non possono quindi essere tutti ospitati (in gergo, disciolti) all'interno del reticolo di base e pertanto formano composti chimici insieme al metallo ospitante con struttura definita, coerente o incoerente, appunto. Rafforzamento per incrudimento In un grano abbiamo molte dislocazioni e quanto più il grano è a dimensioni ridotte, tanto più la densità delle dislocazioni aumenta. L'applicazione di una forza esterna che deforma il reticolo permanentemente (a temperatura ambiente), produce una moltiplicazione di dislocazioni al proprio interno: alcuni piani cristallini (interni al grano) tendono a separarsi formando nuovi piani di dislocazione, nel tentativo di assecondare la deformazione imposta. Ma nel frattempo l'applicazione del carico impone sollecitazioni di taglio all'interno capaci di attivare il moto delle dislocazioni. Dal momento che le dislocazioni interne al grano sotto l'applicazione del carico diventano sempre in maggior numero, molte nel loro avanzamento si intercetteranno tra di loro (vedi Fig.19). Dunque sotto l'applicazione di un carico esterno ciò che accade normalmente è che nuove dislocazioni nascono, che in teoria favorirebbero la deformabilità plastica del grano. Tuttavia l'effetto collaterale di questa enucleazione di nuove dislocazioni consiste nel fatto che raggiungono un numero tale da ostacolarsi a vicenda. Le ulteriori deformazioni plastiche dunque sono possibili a atto di incrementare il carico applicato. Questo fenomeno va sotto il nome di incrudimento del materiale, cioè

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aumento della resistenza meccanica mentre viene deformato plasticamente a freddo, ed il meccanismo di rafforzamento viene appunto chiamato rafforzamento per incrudimento.

Fig.19 - 1) due grani contigui con un certo numero di dislocazioni, non ancora attive; 2) sotto carico applicato, le dislocazioni si muovono; alcune riescono a raggiugere il bordo grano (colore verde) altre rimangono bloccate però durante il loro movimento ne hanno intercettate altre che avanzavano perpendicolarmente al loro tragitto. Una volta bloccate hanno impedito ad altre che seguivano sul loro stesso piano di avanzare. Per sbloccarle è necessario aumentare la forza applicata.

Rafforzamento per affinamento del grano Il principio del meccanismo si basa sul bloccaggio delle dislocazioni, ma il tutto avviene a bordo grano, che funge da confine difficilmente valicabile dalle dislocazioni. In particolare la difficoltà con la quale la dislocazione transita da un grano all'altro (fig.20a) dipende essenzialmente dall'entità del disallineamento tra i reticoli dei grani contigui. In altre parole, la dislocazione cammina fino al bordo grano. A questo punto la dislocazione può:

• Transitare il bordo grano ed entrare nel reticolo del grano contiguo (vedi schema A di Fig.20) continuando il suo tragitto;

• Rimanere bloccata a bordo grano, poiché il reticolo del grano continguo è troppo disallineato per permetterle di essere assorbita dal reticolo del secondo grano (Caso B di fig.20). Una volta arrestatasi, essa bloccherà tutte le altre dislocazioni che seguono

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lungo lo stesso piano cristallografico che andranno dunque ad "impilarsi" al bordo grano (Fig.20b). Per poter permetterne lo sbloccaggio, occorre aumentare il carico.

Fig.20 - A) Grani a basso orientamento favoriscono il transito della dislocazione da un grano al successivo, liberando il passaggio della seconda che segue nello schema; B) grani a forte disallineamento sono un impedimento al transito di una dislocazione da un grano al successivo; la dislocazione si bocca a bordo grano e la successiva che segue si "impila" al bordo di grano. Occorre aumentare il carico esterno per poter sbloccare la prima e permettere alla successiva di compiere il tragitto a bordo grano.

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Sollecitazioni esterne: la prova di trazione

Per determinare le caratteristiche meccaniche dei materiali metallici si ricorre a prove di:

• trazione

• durezza

• resistenza alla fatica

• tenacità.

In questo capitolo ci limiteremo a discutere la prova di trazione, mentre rimandiamo ad altro capitolo le restanti prove meccaniche.

LA PROVA DI RESISTENZA ALLA TRAZIONE

La provetta su cui esegue la prova di trazione ha forma e dimensioni minuziosamente fissate dalle norme tecniche. La provetta più comune, di cui diamo una rappresentazione schematica in Fig.21, è quella a sezione circolare.

Fig.21 - Schemi generali di provette per prove di trazione sui materiali metallici.

Le teste della provetta sono a sezione maggiorata per consentirne l’afferraggio da parte della macchina di trazione. Le macchine di trazione hanno uno schema di funzionamento piuttosto standard, come mostrato in Fig.22.

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Fig.22- Schema di funzionamento di una macchina per l'esecuzione di prove di trazione di materiali.

La provetta viene alloggiata tra le due teste di afferraggio della macchina e ad esse vincolata. La macchina viene impostata dall'operatore per azionare in sollevamento la traversa mobile con velocità di avanzamento costante. Le velocità di prova sono in generale stabilite da norme tecniche in certi range, variabili per classi di materiali. Appena la traversa inizia a sollevarsi, due strumenti di misura registrano due segnali elettrici che sono, attraverso la taratura dello specifico strumento, tradotti in grandezze fisiche. In particolare, lo strumento Cella di Carico registra istante per istante il valore della forza in N di reazione esercitata dal provino che cerca di opporsi al movimento della traversa. È questa la prima grandezza che ci interessa per tracciare il diagramma finale forza in N ed allungamenti del provino in mm, rispettivamente l'asse delle ordinate e delle ascisse del diagramma di prova. Il secondo strumento che registra le informazioni importanti ai fini della tracciatura del diagramma di trazione è l'estensometro, ovverosia uno strumento dotato di due coltelli mobili direttamente a contatto con due punti fissi della provetta. Man mano che la provetta si allunga sotto carico applicato dal sollevamento della traversa mobile, i coltelli ne seguono perfettamente la superficie. Il segnale elettrico viene convertito quindi dall'estensometro nella grandezza fisica allungamento o ∆L della provetta, cioè la seconda grandezza fisica che ci occorre per tracciare il diagramma forze-allungamenti. In generale per un materiale metallico, la curva forze - allungamenti che si ottiene è quella raffigurata in Fig.22.

Tuttavia in ingegneria la curva così come tracciata, nelle due grandezze Forza e Allungamento non è di molto interesse. Questo perché ogni curva dipenderebbe dalle dimensioni della provetta. Poiché ciò che importa è testare il comportamento a trazione del materiale della provetta, mentre poco ci importa del comportamento della provetta in se, le due grandezze Forza e Allungamento vengono scalate in:

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• La forza viene divisa per la sezione originaria indeformata della provetta, misurata dall'operatore con il calibro prima del montaggio; il rapporto della forza F per l'area nominale della provetta A0 rappresenta lo sforzo σ di trazione, appunto, sviluppato all'interno del materiale, ed è espresso come già abbiamo visto in MPa (o N/mm2);

• L'allungamento istante per istante del provino viene rapportato alla sua lunghezza iniziale nominale L0 (vedi schema di Fig.19), definita da normativa; la grandezza che si ottiene è quindi pari a: ∆L/L0 , è adimensionale essendo un rapporto tra millimetri e gli si assegna il simbolo di epsilon ε e viene chiamata deformazione.

Ricapitolando, il diagramma di interesse in ingegneria relativo ad una prova di trazione di un materiale è il diagramma SFORZI - DEFORMAZIONI oppure σ−ε.

Poiché i valori di sforzo e deformazione sono ottenuti partendo dall'output della macchina - cioè dai dati di Forze e Allungamenti - e operando una divisione a denominatore per una grandezza fissata, pari a:

i) l'area nominale A0 a denominatore nel caso della forza, per ottenere lo sforzo σ;

ii) la lunghezza nominale L0 del provino a denominatore dell'allungamento, per ottenere la deformazione ε;

Se ne deduce che la forma della curva σ−ε risulterà identica a quella della curva F - ∆L.

Una generica prova di trazione condotta su un materiale metallico mostra una curva σ−ε con la tipica forma raffigurata in Fig.23. Questo andamento è tipico di tutti i metalli nel senso che si riscontrano:

• Un tratto lineare, a elevata pendenza; è il tratto che compete alla deformazione in fase elastica del materiale. Ogni metallo ha la sua pendenza, nel senso che la pendenza del tratto lineare varia per classi di materiali. Il comportamento cosiddetto in regime elastico lineare, che determina la pendenza della retta iniziale, dipende dalla forza di natura Coulombiana esercitata dagli atomi della specie metallica che si sta considerando. Pertanto si scopre che il Fe ha pendenza maggiore del Al; e l'alluminio ha pendenza maggiore del Mg.;

• Un tratto crescente fino ad un massimo di sforzo registrato durante la prova;

• Il picco di sforzo massimo della prova;

• Un tratto discendente che porta alla finale rottura.

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Fig.23- Tratti caratteristici della curva s-e di un metallo e le relative variazioni dimensionali del provino.

Dalla fig.23 si vede come in generale si possono distinguere tre periodi: un periodo elastico, durante il quale le deformazioni permanenti, cioè quelle che rimangono una volta che si sia scaricata la provetta, sono piccolissime, un periodo delle grandi deformazioni, durante il quale il materiale si deforma plasticamente mentre i carichi aumentano molto lentamente, ed un ultimo periodo (periodo della strizione), che manca nel caso di materiali fragili, caratterizzato da un andamento decrescente della curva carichi-allungamenti.

Dallo studio della curva σ−ε si ricavano quindi dei parametri identificativi del comportamento a trazione del materiale, ovverosia:

• Lo sforzo che delimita il punto in cui la curva sforza si discosta dall'andamento lineare, denominato Carico Unitario a Snervamento o Rsn sempre espresso in N/mm2; è opportuno specificare che non tutti i materiali metallici manifestano un punto netto per il quale si possa identificare con certezza e univocità lo sforzo a partire dal quale cessa il comportamento lineare. Pertanto per convenzione in questi casi di incertezza il carico unitario a snervamento lo si riferisce al valore Rp0.2 che viene misurato come lo schema in Fig.24;

• Il picco massimo di sforzo, cui viene dato il nome di Carico Unitario a Rottura o Rm, in notazione simbolica espresso ovviamente in N/mm2;

• La pendenza del tratto iniziale lineare, cioè il tratto elastico lineare; la tangente dell'angolo che questa retta forma nell'origine con l'asse delle ascisse, è la misura del Modulo di Elasticità del materiale, anche detto Modulo di Young, in simbologia rappresentato dalla lettera E;

• La deformazione finale a rottura, o εr, ottenuta dopo lo scarico. Nella pratica questo parametro è però poco usato per la definizione di quanto il materiale si è deformato fino a rottura. Si preferisce a questo il parametro A% o Allungamento Percentuale a Rottura. Esso corrisponde all’allungamento della provetta dopo che si rotta riferito percentualmente alla sua lunghezza iniziale ed è calcolato nel modo seguente:

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i. L'operatore prima della prova ha marcato due riferimenti a distanza L0; ii. Dopo la rottura del provino, l'operatore riaccosta gli estremi della provetta rotta e

misura la nuova distanza Lr assunta dagli iniziali riferimenti, dopo le deformazioni permanenti avvenute;

iii. L'operatore calcola quindi l'allungamento a rottura con la formula A %= (Lrottura – L0 ) / L0 * 100;

Analogamente si definisce una stazione percentuale Z così calcolata (meno usato dell'A%): Z% = S0 – Srottura / S0 * 100, dove ovviamente S0 è la sezione iniziale della provetta, mentre Srottura è la sezione misurata dall'operatore sul provino rotto e riaccostato .

Fig.24 - Studio della curva σ−ε e parametri di interesse.

I tipi di curve che si possono ottenere sono sostanzialmente quattro, come mostrato in fig.25. La curva 1 è caratterizzata degli acciai a basso tenore di carbonio (acciai dolci) e privi di elementi di lega. La curva 2 è tipica degli acciai legati. La curva 3 è caratteristica dei materiali con reticolo cubico a facce centrate (acciai inossidabili austenitici, alluminio, rame, ecc.). La curva 4 rappresenta il comportamento di materiali fragili quali ad esempio le ghise.

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Fig. 25 - Tipologie di curve σ−ε di materiali metallici.

Micromeccanica della prova di trazione: aspetti metallurgici Applicando una forza di trazione ad un corpo, essa si traduce come sappiamo in sforzo assiale σ perpendicolarmente ad una generica sezione ortogonale all’asse di applicazione della forza esterna F. Tuttavia, orientandoci su una sezione qualsivoglia angolata del campione cilindrico sollecitato a trazione, la forza esterna F si decompone in due vettori, uno ortogonale alla superficie angolata Fn ed uno parallelo ad essa. Questo secondo vettore è responsabile della formazione su questa superfice angolata anche di sforzi τ (Fig.26). Dunque in generale possiamo affermare che all’interno di un provino sollecitato a trazione, le superfici perpendicolari alla direzione di F sono ovviamente soltanto sforzi assiali σ; ma su ogni altra sezione angolata, vi sarà sia uno sforzo σ che uno sforzo τ. In corsi successivi si affronterà il problema di come calcolare σ e τ in funzione dell’orientamento della superficie. Per ora basti sapere che lo sforzo τ raggiunge un massimo per sezioni orientate a ± 45° rispetto l’asse di applicazione del carico F.

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Fig. 25 - Schema di Schmidt che mostra come all'interno del materiale sollecitato a trazione si sviluppi una forza tangenziale Fr lungo superfici angolate rispetto l'asse di carico, responsabile a sua volta delle sollecitazioni τ applicate su queste superfici. Tratto di inizio delle grandi deformazioni per superamento del carico unitario a snervamento Ciò che accade macroscopicamente durante la prova di trazione una volta superato il carico unitario a snervamento (Rsn o Rp0.2 a seconda dei casi) è spiegato al livello micro-meccanico nello schema semplificato di in Fig.26. Ogni grano cristallino ha il suo orientamento cristallografico, che determina dunque la direzione di moto possibile delle dislocazioni al proprio interno. Vi saranno quindi alcuni grani favorevolmente orientati con il proprio reticolo a ± 45°, direzione dove le sollecitazioni τ sono massime per la forza F applicata dall'esterno. Quando la F esterna arriva ad un valore tale per cui lo sforzo τ a ±45° raggiunge il valore di soglia minimo in grado di far "attivare" il moto delle dislocazioni all'interno dei grani favorevolmente orientati, si produce un iniziale deformazione plastica di alcuni grani (inizia la fase di snervamento). Ma mano che la forza F applicata aumenta, vi sarà anche l'aumento delle sollecitazioni interne τ che diventeranno sufficientemente elevate anche per altre direzioni diverse dai ±45°. Il risultato è che anche altri cristalli orientati con angoli sfavorevoli vedono l'attivarsi delle proprie dislocazioni (la t interna è diventata infatti alta sì da poterle mettere in movimento). Molti altri grani iniziano a deformarsi permanentemente per il moto delle proprie dislocazioni e la deformazione plastica continua marcatamente come osservato in Fig.26.

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Fig. 26 - a) Schema del materiale metallico policristallino con la rappresentazione schematica dei diversi orientamenti cristallografici; b) schema micro-meccanico che spiega come il provino, superato il carico unitario esterno Rsn o Rp0.2, inizi ad entrare nel campo delle grandi deformazioni; le dislocazioni iniziano a muoversi all'interno dei grani (mettendosi in movimento dapprima in cristalli favorevolmente orientati), giungono a bodo grano e ne deformano permanentemente il perimetro. Tratto delle grandi deformazioni crescente: tratto tra Rsn e Rm Durante il fenomeno appena descritto (vedi ancora Fig.26), le dislocazioni che iniziano a muoversi si moltiplicano sempre di più. Riconducendoci allo schema semplificato discusso in Fig.19 e al fenomeno del mutuo bloccaggio delle dislocazioni all'interno del grano (incrudimento), si deduce che l'aumento dello sforzo durante il periodo delle grandi deformazioni fino al valore Rm di inizio strizione è dovuto al fenomeno del rafforzamento per incrudimento. Il tratto utile L0: Qualsiasi provino si consideri, piatto o cilindrico, esso mostra sempre un cambio di sezione tra il tratto cosiddetto utile e gli afferraggi, co aumento della sezione sulle teste di afferraggio. Questo accorgimento deriva dal fatto che si vuol guidare la deformazione del provino in modo che essa avvenga solo all'interno del tratto utile. Come noto infatti dalla sezione precedente, uno sforzo di trazione all'interno del materiale, su una superficie ortogonale all'asse di applicazione di una forza F, è dato dalla forza F diviso per l'area della sezione trasversale. Ne deriva dunque che aumentando la sezione, lo sforzo diminuisce notevolmente, e ciò comporta che il provino nei tratti delle teste di afferraggio rimanga ben al di sotto del suo carico limite a snervamento Rsn o Rp0.2 (vedi di seguito nel paragrafo), cioè rimanga sollecitato nel campo elastico. I raggi di raccordo mostrati in fig.A mostrano come sia importante guidare la variazione di sezione in modo progressivo, sì da mantenere il più possibile lo sforzo nelle sezioni di cambio geometria omogeneo. Si studierà in altri corsi che un

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cambio repentino di geometria comporta una cosiddetta sovrasollecitazione (cioè un aumento di sforzo oltre il valore nominale) localizzata proprio dove questo cambio avviene in presenza di spigoli vivi (i.e. sovrasollecitazione da intaglio).

Fig.A - Distribuzione uniforme dello sforzo nella sezione di un provino di trazione. Significato di E (Modulo di Young): Un valore di E maggiore per un materiale rispetto ad un altro, visibile nella curva σ−ε come curva a maggiore pendenza (vedi Fig.B) nel tratto elastico lineare corrisponde al fatto che, a parità di sforzo il materiale a E maggiore subirà una deformazione elastica minore. Si parla infatti di materiale avente maggiore rigidezza. Nella pratica ciò equivale al fatto che il materiale a più elevato Modulo di Young tende a deformarsi meno in campo elastico, ovverossia dove esso è chiamato a lavorare in esercizio in ambito strutturale (le strutture sono dimensionate in modo da resistere a carichi esterni reagendo con sforzi interni sufficientemente basse da rimanere al di sotto del carico a snervamento Rsn o Rp0.2, vedi dopo nel paragrafo per la definizione di Rsn e Rp0.2). Conoscere E è dunque importante in fase di progettazione perché permette di calcolare le deformazioni elastiche della struttura.

Fig.B - Variazione di alcuni Moduli Elastici di alcune classi di materiali. E' importante osservare che il modulo elastico E è un parametro fisico strettamente legato alla classe di materiale, es. ferro puro, acciaio al carbonio, acciaio inossidabile, lega di alluminio, lega di titanio, ecc. Questo dipende essenzialmente dal fatto che in regime elastico il reticolo cristallino viene sollecitato secondo lo schema micromeccanico visto in fig.16b. In accordo co quanto visto, in tale schema gli atomi si allontanano temporaneamente sotto l'applicazione del carico, ma a forza di attrazione Coulombiana agisce "come se" fosse una molla, riportando gli atomi in posizione non

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appena il carico viene rimosso. Dunque in tale fase agisce solo e soltanto la forza di attrazione tra gli atomi del reticolo e pertanto la forza di richiamo (cioè della "molla" in analogia micromeccanica) dipende soltanto dalla natura degli atomi che compongono il reticolo di base del materiale metallico (es. Fe, Al, Ti) e non è interessato da altri fenomeni che coinvolgono il moto delle dislocazioni e dei meccanismi di "blocco" visti precedentemente (questi ultimi dipendenti molto dagli elementi aggiunti, dalle dimensioni del grano cristallino, ecc).

Prova resistenza a trazione, periodo delle Grandi Deformazioni: A partire dallo sforzo massimo (indicato con Rm) si registra un restringimento macroscopico locale della sezione denominato strizione. Da questo momento in poi la sezione in un punto del tratto utile inizia a collassare e pertanto si restringe di più delle altre contigue. L’effetto è duplice: le sezioni al di fuori della zona di strizione, rimangono da questo momento in poi cilindriche e sollecitate elasticamente (cioè tutta la deformazione plastica che hanno subito si arresta e procedono in deformazione elastica); Le sezioni comprese nella zona di strizione collassano plasticamente, si riducono in area e questo determina che la macchina di trazione «senta» nella sua cella di carico minore forza necessaria alla progressiva deformazione plastica (localizzata) del provino. Ricordiamo che la machina è impostata per sollevare con velocità costante la sua traversa mobile e non agisce minimamente sulla forza applicata, grandezza invece semplicemente misurata dalla cella di carico come reazione del provino all’allontanamento della traversa mobile.

Fig. C - Fenomeno e significato della strizione. Ciò che avviene macroscopicamente all'interno del materiale strizionato è mostrato schematicamente in Fig.D.

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Fig. D - Fenomeno macroscopico della formazione della rottura finale interna alla zona di strizione. E' importante rilevare è che tutto ciò che è avvenuto dal carico di snervamento e soprattutto dalla strizione in poi corrisponde a fenomeni di deformazione plastica o irreversibile. Ciò significa che in tutto questo tratto di curva le dislocazioni si stanno muovendo, stanno in grandi quantità giungendo ai bordi di grano e stanno producendo la deformazione permanente dei bordi di grano che dunque si allungano plasticamente (Fig.E). Il risultato macroscopico di questo fenomeno microscopico è proprio la deformazione plastica del provino lungo tutto il tratto dal Rsn alla rottura.

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I-Diagrammi di Stato delle leghe binarie ed il diagramma a completa miscibilità allo stato solido FASE: si definisce fase di un sistema qualsiasi porzione dello spazio delimitata dove si ha contemporaneamente uguale e omogenea:

• Composizione chimica • Stato di aggregazione • Pressione, temperatura

Fig. 27 - Esempi di fasi. VARIANZA: la varianza di sistema rappresenta i gradi di libertà del sistema e possiamo calcolarla attraverso la regola delle fasi o di Gibbs:

V = Ci + m - f Dove:

• Ci: Composti chimici indipendenti, pari a Ctot - n, dove n è il numero di relazioni chimiche di equilibrio;

• m: Numero di fattori fisici del sistema(p,T) • f: Numero di fasi del sistema

ESEMPIO: Ipotizziamo un serbatoio sigillato contenente carbonio, CO2 e CO all'equilibrio. Possiamo calcolare:

• Ci = Ctot - n = 3-1 = 2 , poiché i composti chimici totali contenuti nel sistema sono 3 (ovverosia C, CO2 e CO) mentre il numero di relazioni di equilibrio è pari a 1, ovverosia: 2CO ↔ CO2 + C

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Ci = Ctot - n.relazioni In questo caso ho tre composti chimici legati dalla formula 2CO a dare CO2+C, ovvero 3-1=2

• m, in questo esempio è pari a 2 , perché è 2 il numero dei fattori efficienti (i.e.

pressione e temperatura) che possiamo variare per modificare il sistema portandolo da una posizione di equilibrio ad un'altra.

La regola delle fasi (o di Gibbs) per le leghe metalliche binarie La Regola di Gibbs per leghe metalliche binarie che subiscono solidificazione in atmosfera (pressione fissata, p=patm) si semplifica sempre nella relazione che segue: V = 3 - f dove: V = varianza (o n° gradi libertà) del sistema f = n° di fasi

Dimostrazione: Per una solidificazione in atmosfera di una lega metallica, il fattore «m» che corrisponde al numero di parametri fisici controllabili è la sola TEMPERATURA poiché la PRESSIONE rimane costante, essendo quella atmosferica. Il numero dei costituenti indipendenti «Ci» è sempre pari a 2, poiché abbiamo nel sistema che ci interessa, lega BINARIA, ho sempre due elementi chimici indipendenti A e B che compongono la lega. Quindi: V = Ci + m – f = 2+1 – f = 3 - f

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I diagrammi di stato binari: regole per la loro interpretazione Esistono diagrammi di stato binari, ternari, ecc. cioè riguardanti leghe metalliche costituite rispettivamente da due, tre elementi.

Consideriamo un sistema metallico formato da due elementi che genericamente indichiamo con A e B (ad es: Au-Ag, Cu-Ni, ecc.). Essi costituiscono una lega metallica binaria o sistema binario. La struttura di base di un qualsiasi diagramma binario di due elementi A e B è quella riportata in Fig., cioè del tipo:

Fig. 27 - Struttura di un diagramma di stato binario. In ordinate è riportata la temperatura e in ascisse la composizione chimica del sistema (data come percentuale di metallo B presente nella lega). La verticale di sinistra corrisponde al metallo A puro, quella di destra al metallo B puro. Le principali convenzioni di cui si farà uso sono le seguenti: • indicheremo con un cerchietto vuoto O la composizione chimica (media) del sistema ad una data temperatura; • indicheremo invece con un punto pieno la composizione della singola fase. Spesso è utile rappresentare, accanto al diagramma di stato, la curva di raffreddamento relativa alla lega considerata. CURVA DI RAFFREDDAMENTO DI METALLO PURO A: Facendo uso dalle convenzioni appena introdotte disegnano la curva di raffreddamento relativa al metallo A puro (Fig.28).

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Fig. 28 - Curva raffreddamento del metallo puro A. Dove:

• Ts = temperatura di solidificazione; tutti i metalli puri solidificano a temperatura costante;

• La pendenza del primo tratto di raffreddamento è uguale (NON rallentata) sia per il liquido che per il solido

• QL è il calore latente di trasformazione di fase liquido - solido

IMPORTANTE: Per i metalli puri la formula che si applica per il calcolo della varianza è data dall'equazione: V = 2 - f ; infatti per i metalli puri si ha un solo composto chimico indipendente Ci e nessuna relazione , e dunque la regola viene semplificata in V= (Ctot-n)+m-f = (1-0)+1-f = 2-f

Analizziamo la curva di raffreddamento alla luce della regola delle fasi. Poiché stiamo considerando un metallo puro, questa assume la forma V = 1 + 1 – f = 2- f.

In corrispondenza del 1° tratto della curva di raffreddamento è presente la sola fase liquida, quindi V= 2 – 1 = 1, cioè il sistema è in condizione di monovarianza.

Quando giungiamo alla temperatura di solidificazione, accanto alla fase liquida abbiamo una fase solida, dunque V = 2 -2 = 0, cioè il sistema è zerovariante e la temperatura si arresta. Terminata la solidificazione, l’unica fase presente è quella solida, pertanto: V = 2 – 1 = 1 (il sistema è tornato monovariante). Tutti i metalli e le leghe metalliche sono completamente miscibili allo stato liquido, cioè sfruttando la analogia in Fig.27, seguono il "modello di miscibilità" del tipo «acqua e alcol»: dopo mescolamento, gli ingredienti originari acqua e alcol sono indistinguibili. Tuttavia allo stato solido, i due ingredienti immessi A e B a possono trovarsi allo stato solido in condizioni:

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1. totale miscibilità allo stato solido per qualsiasi rapporto di A e di B; vale cioè ancora il modello del «acqua e alcol», soltanto che interviene allo stato solido della materia, dove A e B si combinano in soluzione solida all'interno di un reticolo per qualsiasi proporzione di A e di B;

2. parziale miscibilità allo stato solido, cioè in accordo con il modello del «acqua + sale»; parte di B e A si combinano in soluzione solida con limitate proporzioni;

3. totale immiscibilità allo stato solido, cioè in accordo con il modello dell’ «acqua + olio»; in tal caso A e B allo stato solido rimangono perfettamente distinti.

CASO BASE: LA COMPLETA MISCIBILITA’ ALLO STATO SOLIDO Il diagramma tipico di un metallo A ed un metallo B che possiedono completa miscibilità allo stato solido è mostrato in fig.29.

In figura sono indicati: • con TSA e TSB le temperature di fusione dei metalli puri A e B; • l'asse delle ascisse è espresso in percentuale crescente del tenore di B; dunque l'asse

verticale di sinistra identifica 0% di B, cioè metallo puro A, mentre l'asse verticale di destra il metallo puro B (=100% B);

• La linea del liquidus e la linea del solidus, ovverosia il luogo geometrico dei punti dove rispettivamente inizia e termina la solidificazione; si noti come i corrispondenza degli assi la solidificazione avviene ad una temperatura fissata, mentre per qualsiasi altra composizione chimica diversa, la solidificazione avviene in un intervallo di temperatura detto appunto intervallo di solidificazione. Ciò accade per le leghe metalliche.

• La zona annerita (si può anche tratteggiare) che corrisponde per convenzione alla zona monofasica solida, alla quale sempre per convenzione viene assegnata una lettera greca dell'alfabeto, α nel caso specifico. Si noti che α è appunto la soluzione solida formata dagli atomi A e B che, data la completa e mutua miscibilità all'interno del reticolo, occupa tutta la zona bassa del diagramma (cioè, per ogni sistema A e B, qualsiasi sia la loro concentrazione, gli atomi A e B saranno in soluzione solida all'interno del medesimo reticolo, ad esempio formando un reticolo CCC);

• Una linea verticale, nel nostro esempio posto al 30%, che identifica la particolare lega binaria che si vuole studiare in termini di evoluzione delle fasi e della struttura ottenibile man mano che la temperatura diminuisce da una al di sopra della linea del liquidus alla temperatura ambiente, corrispondente all'asse delle ascisse.

• La curva di raffreddamento (Fig.29b) che mostra un secondo tratto meno inclinato del primo: questo accade poiché durante la solidificazione il sistema restituisce il calore latente di fusione QL e quindi il raffreddamento risulta più lento. Non appena la solidificazione termina (cioè verticale 30% transita per la linea del solidus nel diagramma di stato di Fig.29a), la curva di raffreddamento riprende a diminuire con pendenza che aveva in origine, prima dell'inizio solidificazione.

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(a) (b) Fig. 29 - Diagramma di stato binario a completa miscibilità allo stato solido e relativa curva di raffreddamento. In fig.29b sono anche riportate tre finestre di controllo, che vogliono rappresentare a tre diverse temperature come un microscopio (teorico, dato che lavorerebbe ad alta T) vedrebbe evolvere la microstruttura della massa metallica durante il raffreddamento:

• Partendo dal tratto iniziale, cioè quello al di sopra della linea del liquidus, tutto il sistema è ovviamente liquido; in particolare alla T=T1 di studio il cerchietto nero è unico e concentrico con il cerchio vuoto: non può essere infatti diversamente, dato che la fase a questa temperatura è unica ed è tutta liquida;

• Nell'intervallo di solidificazione, per esempio alla temperatura T=T3 (vedi Fig.29a), attraverso la finestra di controllo visualizziamo la morfologia della massa metallica: una parte della massa è ancora liquida , ma una altra parte si è trasformata in massa solida, attraverso il fenomeno della nucleazione ed accrescimento di grani cristallini. In base al particolare diagramma, i grani formatisi sono costituiti tutti da soluzione solida α. In particolare, per identificare le fasi esistenti a questa temperatura, si parte dal cerchietto bianco posizionato lungo la linea verticale che identifica il sistema scelto (i.e. 30%B e 70%A) posto all'altezza della T3 e si procede tracciando un segmento alla sua destra ed alla sua sinistra parallelo all'asse delle ascisse finché entrambi i segmenti non incontrano la curva che delimita l'esistenza di un campo monofasico. Nell'esempio specifico, tracciando il segmento verso destra, si incontra la linea del liquidus, che delimita la zona monofasica liquida (non annerita per convenzione: il liquido non viene mai annerito/tratteggiato); mentre il segmento che si stacca dal cerchietto vuoto e procede verso sinistra incontra la linea del solidus. In corrispondenza di questi due bordi di confine delle 2 zone monofasiche, si posizionano i 2 cerchietti neri, identificativi ciascuno di una delle 2 fasi presenti all'interno della massa alla T3. Il posizionamento dei 2 cerchietti neri, in base alla loro

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definizione, ci permette anche di conoscere la composizione chimica della specifica fase: partendo dal cerchietto pieno di sinistra (fase solida), si scende lungo una verticale e si legge sull'asse delle ascisse il valore riscontrato, pari al con il 10% di B. Per il liquido, alla stessa maniera, si ottiene il valore di 60% di B. Ciò significa che alla T3 il sistema è formato da: o Grani solidi di soluzione solida α al 10%B e 90%A, o anche sinteticamente α10; in

altre parole i grani cristallini sono costituiti da un reticolo dove coesistono atomi A e atomi B in soluzione solida con un rapporto in termini di peso pari al 10%A e 90%B (se per semplicità si considera il peso atomico di A e B idealmente pari all'unità, significa che la soluzione a è formata da un reticolo di atomi tale per cui ogni 10 atomi, 1 è di tipo A, 9 di tipo B). ad esempio α potrebbe trattarsi di una soluzione solida sostituzionale, come effettivamente accade per la lega oro e argento, due metalli perfettamente miscibili allo stato solido;

o Liquido di composizione chimica 60% di B, o sinteticamente Liq60; • al di sotto della linea del solidus, ad esempio alla T=T5, tutta la massa si è ormai

solidificata e può farlo soltanto continuando (a partire dalla T3) a formare per nucleazione e accrescimento grani di soluzione solida α (unica fase solida esistente). Dunque in corrispondenza della temperatura di studio, T5, si posiziona concentrico con il cerchietto vuoto un unico cerchietto pieno (il segmento in tal caso non può "aprirsi" verso destra e sinistra perché siamo in un campo MONOFASICO di fase solida α). Dal diagramma è possibile anche verificare la composizione chimica della fase a: la verticale staccata dal cerchietto pieno alla T5 ci mostra che la fase solida a è al 30% di B, o sinteticamente α30.

La regola della leva per il calcolo della quantità delle fasi di un sistema Finora abbiamo visto come identificare le fase esistenti ad una data temperatura e determinarne la loro composizione chimica. Non abbiamo però ancora risolto come quantificarle. Ad esempio, nella fig.29b, alla T3, sappiamo che esistono due fasi (grazie allo studio del diagramma in fig.29a e ai due cerchietti pieni identificati come solido α e liquido); sappiamo anche che le due fasi sono strutturalmente organizzate in liquido al 60%B con all'interno grani α al 10%B (vedi ancora la finestra di controllo in Fig.29b). Ma come facciamo a quantificare quanto di liquido e quanto di fase solida α esiste alla T5? Lo strumento adatto è la cosiddetta regola della leva. Per calcolare la quantità delle 2 fasi (si applica ovviamente in campo bifasico), si parte dal segmento identificativo sul diagramma di stato delle 2 fasi alla temperatura di interesse (vedi Fig.30), si sceglie quale fase calcolare e si calcola una frazione come di seguito illustrato:

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detta appunto Regola della Leva. OSSERVAZIONE: il diagramma di stato considerato ed anche tutti quelli che considereremo in seguito sono validi solo se si opera per successivi stati di equilibrio, cioè con raffreddamento che procede in tempi molto lunghi; solo in questa condizione, infatti, la mobilità degli atomi è pienamente consentita, ed il sistema procedendo verso T più basse ha tutto il tempi per raggiungere una nuova condizione di equilibrio (i.e. Temperatura e Composizione chimica della/e fase/i). Il tutto è infatti governato dalla diffusione allo stato solido degli atomi A e B che deve essere pienamente consentita affinché attraverso tempi di raffreddamento molto lenti.

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Origine del diagramma di stato binario delle leghe metalliche Il diagramma di stato binario si ricava partendo dalle curve di raffreddamento. Per i differenti sistemi (nell'esempio di fig.A, si considerano i sistemi al 0% B, 20%B, 80%B, 100%B), si considerano le rispettive curve di raffreddamento. Si riportano quindi in un diagramma Temperatura vs Composizione Chimica , cioè per %B crescente, le temperature di cambio pendenza, che identificano il passaggio attraverso campi a varianza diversa. Il risultato è quello di Fig.B: si noti che il passaggio dalle curve di Fig.A alla Fig.B implica l'eliminazione del parametro tempo, parametro in ascissa nelle curve di raffreddamento di Fig.A.

Fig.A Fig.B

Dimostrazione della Regola della Leva

Riepilogo strumenti utili per la lettura dei diagrammi di stato e delle curve di raffreddamento

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Diagramma di Stato Binario a Completa Immiscibilità allo stato solido È un diagramma che, come lo stesso nome lo contraddistingue, rappresenta leghe binarie tali per cui i due elementi A e B, gli ingredienti immessi in fase liquida e qui perfettamente miscibili, devono rimanere perfettamente separati una volta che la massa metallica si è solidificata. I tipico diagramma a perfetta immiscibilità allo stato solido è raffigurato in fig.30. Il diagramma ha diverse particolarità che lo contraddistinguono nettamente dal diagramma semplice a completa miscibilità allo stato solido. Anzitutto è assente al di sotto del solidus l'esistenza di una unica fase: l'area al di sotto della linea del solidus che prende il nome di linea Eutettica (vedremo a breve perché) è infatti "bianca", cioè bifasica con le monofasi che coincidono con gli assi verticali agli estremi del diagramma, ovverosia:

• asse a 0% B , cioè il metallo puro A, a sinistra; • asse 100% B, cioè il metallo puro B, a destra.

Fig.30 - Diagramma a perfetta immiscibilità allo stato solido.

Ma un'altra evidente differenza è la presenza di una linea del liquidus che si unisce in un punto preciso, ad una concentrazione specifica (a titolo di esempio, nel diagramma considerato la concentrazione eutettica è posta pari al 30%) detta Eutettica, dal greco εὐ, eu- = buono e τήκω, tekō = fondere. È infatti quella composizione chimica del sistema che

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fonde alla più bassa temperatura, in confronto a qualsiasi altro sistema alla sua destra e alla sua sinistra. Sempre sfruttando l'esempio di Fig.30, ogni verticale che rappresenti un sistema in raffreddamento con %B maggiore o minore del 30% incontra la linea del liquidus, di inizio solidificazione, a temperatura sempre più alte del sistema B=30%, sistema eutettico. Altra sostanziale differenza:

• la presenza di due intervalli di solidificazione distinti (cioè due zone bifasiche solido + liquido), l'uno a sinistra e l'altro a destra della verticale tratteggiata in fig.30 corrispondente al sistema eutettico (i.e. B=30%, nel nostro esempio);

• La presenza di una unica temperatura di trasformazione liquido-solido in corrispondenza della concentrazione eutettica; come un metallo puro, anche la lega eutettica solidifica ad una precisa temperatura.

In base alle regole già viste, è già possibile quindi tracciare la curva di raffreddamento, rappresentata in Fig.31.

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Fig.31 - Diagramma a perfetta immiscibilità allo stato solido e curve di raffreddamento: a) sistema eutettico; b) sistema ipo-eutettico; c) sistema iper-eutettico.

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L'esempio della perfetta immiscibilità di olio e acqua rappresenta bene in analogia la condizione che si vuole descrivere, con l'unica differenza che per la massa metallica la "separazione" netta tra le due fasi A e B puri avviene allo stato solido. In altre parole, a livello reticolare, gli atomi di A e B formano 2 reticoli cristallini distinti, che dovranno coesistere all'interno del grano cristallino. A livello morfologico, ciò è quindi possibile perché A e B possono costituirsi in un sistema a lamelle alternate, detto appunto sistema eutettico o grano eutettico, come mostrato in Fig.32. Le relazioni fisiche che intervengono sono riportate negli schemi di Fig.33: il liquido eutettico, e solo il liquido eutettico, cioè quello che arriva alla temperatura eutettica con la concentrazione eutettica, inizia alla Teutettica a trasformarsi in un grano a lamelle alternate A e B. Si noti che questa trasformazione avviene in corrispondenza del tratto di arresto della temperatura (diagramma temperatura-tempo), ciò perché il sistema è zero-variante; i cerchi pieni che identificano le fasi presenti alla Teutettca sono infatti 3 (da cui il calcolo della varianza V=0) indicanti:

• La fase liquida, che è ancora ovviamente presente durante la trasformazione eutettica;

• La fase A puro, che infatti è presente nelle lamelle del costituente lamellare che si sta solidificando dal liquido (fig.32 e schema fig.33b);

• La fase B puro, presente anch'essa come lamella (Fig.32 e schema fig.33b).

Fig.32 - Sistema eutettico, costituente strutturale a lamelle alternate di A puro e B puro, non mescolati in una singola soluzione, in accordo con il diagramma di stato a perfetta immiscibilità allo stato solido.

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Fig.33 - Relazioni di trasformazione del liquido eutettico: a)equazione simbolica della trasformazione di fase, da liquida in due fasi A e B; b) stessa relazione espressa in termini di trasformazione di costituenti strutturali, da liquido eutettico in grano lamellare.

Fig.34 - Studio delle strutture in evoluzione durante il raffreddamento per un sistema eutettico. Cosa accade in termini di microstruttura se consideriamo un sistema ipo-eutettico come quello di Fig.31b? Scendendo lungo la verticale, il liquido inizia la solidificazione (curva

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temperatura-tempo di destra inizia a rallentare). Lo studio del diagramma ad una temperatura poco prima della eutettica (Teut+) ci fornisce le fasi esistenti: si tratta del cerchio pieno di sinistra, posto sull'asse A puro, e del cerchio pieno di destra, il liquido appunto. Poiché esiste solo una fase solida A che si formando dal liquido, e dovendo il liquido solidificarsi al solito co nucleazione e accrescimento di grani, la struttura a questa temperatura non potrà che essere costituita dal liquido e da cristalli (grani) di A puro.

Quando il sistema arriva alla Teutettica, il liquido eutettico (e solo il liquido) inizia la trasformazione in accordo con l'equazione di Fig.33: man mano si forma grano lamellare a spese del liquido che scompare. I cristalli precedente formatisi durante l'intervallo di solidificazione transitano inalterati, dato che non partecipano alla trasformazione eutettica (vedi ancora Fig.33).

Fig.34 - Studio dell'evoluzione delle strutture durante i raffreddamento per una lega ipo-eutettica. Se avessi considerato una lega a destra della lega eutettica, lega iper-eutettica, la differenza che avrei avuto rispetto questa appena considerata è relativa al primo tratto di intervallo di solidificazione: in accodo con il diagramma, si formerebbero in fase di solidificazione del liquido cristalli di B puro. Non appena il liquido in raffreddamento giunge alla Teutettica, la trasformazione eutettica si attiva e tutto il liquido eutettico (e soltanto questo) si trasforma nel costituente eutettico lamellare. Tutti i cristalli B precedente formati passano inalterati. A trasformazione completata, la struttura si presenta formata da grani di B puro e da grani lamellari.

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Diagrammi di Stato binario a Parziale Miscibilità allo stato solido La completa immiscibilità vista nella sezione precedente non è altro che un caso limite di un generico diagramma con due fasi solide distinte, che chiameremo α e β. Nell'esempio di Fig.35:

• la fase α è a basso contenuto di B, in particolare con B=20% , valore che rappresenta il limite di solubilità (costante dalla T = Teutettica fino T= Tamb) di atomi B all'interno del reticolo della fase α; in altre parole α è la soluzione solida costituita da atomi A e B, con B al 20% in peso;

• la fase β, posizionata sull'asse opposto del diagramma, è invece ad alto contenuto di B, in particolare con B=90% valore che rappresenta il limite di solubilità (costante dalla T = Teutettica fino T= Tamb) di atomi B all'interno del reticolo della fase β; la fase β è cioè una altra soluzione solida costituita da atomi A e B, con B al 90% in peso;

Fig.35 - Diagramma di stato a parziale miscibilità allo stato solido. Studiamo per il diagramma in Fig.35, il sistema al B=10%, come mostrato in Fig.36. Le considerazioni che si possono fare per questo sistema sono analoghe a quelle già fatte nel caso di completa miscibilità, sia in termini di fasi, sia in termini dei risultati ottenuti per la

Differenza tra Fase e Costituente Strutturale e loro identificazione. La lettura temperatura per temperatura di un sistema studiato su un diagramma di stato e l'impiego dello strumento "cerchietto pieno" in accordo con la specifica conformazione delle zone monofasiche solide (nel caso della totale miscibilità allo stato solido, è la sola fase α; nel caso qui trattato di completa miscibilità, sono le fasi A puro e B puro) permettono di identificare inequivocabilmente le fasi presenti nel sistema ad una data temperatura. Le finestre di controllo, invece, permettono di rappresentare come la/le fase/i sono organizzate nello spazio a livello di struttura, cioè come esse sono "assemblate" a formare la microstruttura della massa metallica a quella data temperatura. Per questo motivo i singoli e diversi "mattoncini" che compongono la microstruttura (i.e. che compaiono nella finestra di controllo) sono definiti Costituenti Strutturali. Ad esempio, in Fig.29, alla temperatura T3 sono due i mattoncini che si riconoscono nella finestra di controllo: il liquido ed i cristalli omogeni di fase α. Nel caso qui descritto, vedi Fig.34, ala temperatura Teutettica (durante la solidificazione zero-variante) i mattoncini riconoscibili nella finestra di controllo (figura di destra) sono il liquido eutettico ed i cristalli lamellari eutettici, costituiti a loro volta dalle fasi A puro e B puro (come evidenziato dal diagramma di stato a sinistra). In definitiva, alla temperatura eutettica, durante la trasformazione liquido - solido, per il diagramma in Fig.34, il sistema eutettico studiato B=30% è costituito da:

• 3 fasi, ovverosia il liquido eutettico (in trasformazione), la fase A puro, la fase B puro;

• 2 costituenti strutturali, ovverosia il liquido eutettico e i cristalli lamellari.

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curva di raffreddamento e i costituenti strutturali.

Fig.36 - Diagramma di fig.35, studiato per il sistema B=10%. In effetti, se si considera per il diagramma in Fig.36 la porzione di interesse per lo studio del sistema B=10%, il diagramma che si può immaginare di sostituire a quello di Fig.36. è proprio quello di una lega binaria a completa miscibilità (vedi Fig.37).

Fig.37 - Similitudine tra il sistema studiato in fig.36 e il diagramma di base a completa miscibilità allo stato solido.

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In base a quanto appreso dallo studio dei diagrammi precedenti, siamo ora in grado di studiare qualsiasi sistema a parziale miscibilità relativo al diagramma di stato di Fig.36. Vediamo cosa accade per un sistema con 20% <B < 30% (Fig.38). Il risultato in termini di curva di raffreddamento, varianze e costituenti strutturali è analogo al sistema ipo-eutettico studiato per il diagramma in Fig.34, con l'unica sostanziale differenza che in tal caso le fasi del sistema che compongono i costituenti strutturali sono α e β, in accordo con il diagramma di stato A parziale miscibilità.

Fig.38 - Sistema ipoeutettico. Allo stesso modo si ragiona per il sistema eutettico (vedi Fig.39a) ed iper-eutettico (Fig.39b).

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(a)

(b)

Fig.39 - Studio del diagramma a parziale miscibilità allo stato solido: a) sistema eutettico; b) sistema iper-eutettico.

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PARZIALE MISCIBILITA' CON SINGOLO SMISCELAMENTO Vediamo ora un caso particolare del diagramma di stato a parziale miscibilità, come mostrato in Fig.40. La differenza da quello precedente di Fig.36 si nota per il fatto che la fase α diminuisce progressivamente il contenuto limite dell'elemento B al proprio interno partendo dal valore massimo di B=20% alla temperatura eutettica fino al valore B=10% alla temperatura ambiente. Consideriamo ora un sistema B=20%, coincidente cioè con il valore limite di solubilità di B in α. La fase di solidificazione procede da T1 a Teutettica, formando cristalli omogenei di fase α. Quando però il sistema arriva ala Teutettica, tutto il liquido disponibile si è esaurito alla formando cristalli omogenei di fase α, anzi, per la precisione, si tratta di cristalli α al 20% di B; in forma simbolica possiamo definirli α20. In altre parole, poiché alla Teutettica il sistema arriva già tutto solidificato in cristalli omogenei α20, non vi è più alcuna porzione di liquido eutettico che possa attivare la trasformazione eutettica precedentemente studiata. Il sistema dalla T> T1 fino alla T= Teut si comporta quindi come il caso semplificato visto in Fig.37. Tuttavia dalla T=Teut. in poi fino alla Tamb accade qualcosa di diverso. La fase α non può più contenere più tutto il B che possedeva alla Teut. (B=20%): la percentuale di B deve diminuire conformemente al diagramma di fig.40, portandosi dal 20% al 10%. Il 10% in eccesso deve cioè essere "espulso" dalla fase α, presente tutta in forma di grani omogenei (vedi la 3 finestra di controllo, partendo dall'alto). Questo è possibile attraverso fenomeni diffusivi che mobilitano gli atomi B in eccesso all'interno dei grani a verso zone ricche di vacanze reticolari, come i bordi grano: qui gli atomi di B in eccesso si uniscono con pochi atomi di A, precisamente in proporzione 10/90 (i.e. 10% in peso di A e 90% di B), a formare la fase b, come d'altronde evidenziato dal diagramma di stato a Tambiente. Il risultato è la progressiva formazione di fase β ricca in B al bordo dei grani α. Il fenomeno di formazione delle placchette b a bordo dei grani a procede quindi fino alla Tamb., con il risultato finale di una microstruttura costituita da:

• Grani omogenei di fase α, precisamente si tratta di α al 10%B (o simbolicamente α10);

• Placchette omogenee di fase β, precisamente si tratta di β al 90% (o simbolicamente β90).

Il fenomeno appena descritto che prevede l'abbattimento del contenuto di B in eccesso in soluzione solida α attraverso la formazione di fase β va sotto il nome di smiscelamento.

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Fig.40 - Diagramma a parziale miscibilità: caso di un sistema al limite di solubilità di B in α alla temperatura eutettica. Le considerazioni appena fatte per il sistema B=20% sono identiche anche per un sistema qualsiasi con 10% < B < 20% con l'accortezza seguente. Si veda come esempio il sistema B=15% in Fig.41.

Fig.41 - Diagramma a parziale miscibilità con presenza di un limite di solubilità di B in soluzione solida α

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Procedendo nel raffreddamento della massa solidificata (cioè al di sotto della temperatura T=T2 ) in grani a, non succede nulla fino alla T=T3. Da questa temperatura a varianza cambia, poiché il sistema da monofasico si trasforma in bifasico (infatti la seconda fase β sta iniziando a formare placchette a bordo grano di a per via dello smiscelamento). Questa variazione viene segnata sulla curva di raffreddamento con una freccia: essa denota il cosiddetto "punto singolare" della curva di raffreddamento, ovverosia un punto di impercettibile cambio di pendenza che lo strumento è in grado di apprezzare (la formazione di una nuova fase avviene sempre con modifiche di tipo termodinamico).

NB: È importante osservare che questa variazione minima di pendenza ai fini degli esercizi NON deve essere segnata, pertanto la curva di raffreddamento in Fig.41 mantiene la stessa pendenza che aveva anche nel tratto monofasico a varianza V=2. Ciò che è importante è invece segnalare il fenomeno di nascita della nuova fase mediante la freccia come in figura.

Caso del sistema eutettico e lo smiscelamento intra-lamellare Vediamo un altro caso, quello del sistema eutettico studiato sul medesimo diagramma di tipo a parziale miscibilità e singolo smiscelamento della fase α. Riferiamoci alla fig.42. Se si comparano i risultati mostrati in Fig.42 relativi alla curva di raffreddamento e ai costituenti strutturali ottenuti durante il raffreddamento, non appare alcuna differenza nei confronti con il sistema eutettico studiato in Fig.39a, ovverosia quanto visto per u sistema eutettico del diagramma a parziale miscibilità senza smiscelamento. Ma a guardar bene una differenza sostanziale esiste tra i due. Il fenomeno dello smiscelamento presente in Fig.42 procede anche per il grano a lamelle eutettico; la fase α cioè deve abbattere il contenuto di B dalla Teut- e lo fa sempre in accordo con il suo diagramma di stato: la fase α smiscela la fase β. Tuttavia in questo caso lo smiscelamento della fase β da α non produrrà alcuna placchetta al bordo grano lamellare; il sistema infatti procede con la "soluzione" a più a basso "costo" energetico possibile: piuttosto che costruire da zero una nuova struttura a bordo grano di tipo β, lo smiscelamento procede con la migrazione di atomi B dalla lamella α verso la contigua lamella β. In altre parole, lo smiscelamento avviene tutto in maniera intra-lamellare con l'effetto finale di un ispessimento delle lamelle di β, a scapito di quelle α, come evidenziato in fig.42.

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Fig.42- Sistema eutettico nel diagramma a parziale miscibilità con singolo smiscelamento. Sistemi ipo-eutettico e iper-eutettico Conosciamo ora come procede lo smiscelamento della fase b da a sia nel caso la fase a sia interna a grani omogenei di tipo a oppure sia in forma di lamelle all'interno del grano eutettico (vedi schema in fig.43).

Fig.43- Possibili fenomeni di smiscelamento: a) in placchette a bordo grano di cristalli omogenei contigui; b) intra-lamellare all'interno di cristalli eutettici.

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In base a questi due fenomeni di smiscelamento, e in base a tutto quanto visto finora, possiamo studiare i rimanenti due sistemi, ipo-eutettico e iper-eutettico del diagramma di stato a parziale miscibilità con singolo smiscelamento della fase α. I risultati sono riportati in Fig.44 e fig.45.

Fig.44 - Sistema ipo-eutettico del digramma a parziale miscibilità con singolo smiscelamento.

Fig.45 - Sistema iper-eutettico del digramma a parziale miscibilità con singolo smiscelamento.

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La trasformazione Peritettica Nel caso di parziale miscibilità allo stato solido un diagramma di stato binario di metalli possono presentare al posto dell’orizzontale eutettica un'altra trasformazione notevole, detta peritettica. Un esempio di un diagramma di stato con trasformazione peritettica è riportato in figura 46. Se da un lato possono esserci diverse particolarità a caratterizzare un diagramma di stato con peritettica, ovverosia possiamo avere casi dove la fase solida α presenta il fenomeno dello smiscelamento (al contrario dell'esempio di fig.46), oppure casi con fase β in assenza di smiscelamento (invece che il caso presentato in figura), ciò che accomuna tutti i diagrammi peritettici è la presenza della curva del liquidus al di sotto della trasformazione orizzontale zero-variante.

Fig.46 - Sistema a parziale miscibilità allo stato solido con trasformazione peritettica. Tutte le regole viste finora, quali sono ovviamente valide anche in questo caso. Per lo studio del diagramma peritettico dobbiamo perciò occuparci soltanto di definire quale sia la trasformazione zero-variante che accade alla Tperitettica. Come abbiamo visto in precedenza per la trasformazione eutettica, occorre prima descrivere quale sia la "equazione" di trasformazione di fase e quella dei costituenti strutturarli. Considerando il caso più semplice, quello di un sistema a concentrazione peritettica (ovverossia la concentrazione che passa proprio per il punto di cuspide della fase solida β che si origina durante la trasformazione) la trasformazione peritettica avviene con reazione

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di due reagenti, cioè il liquido peritettico e la fase solida formata durante la iniziale solidificazione, cioè α nell'esempio di figura 46, per dare come unico prodotto la nuova fase β: (eq.1) Liquido peritettico + cristalli di fase α --> cristalli di fase β In fig.47 le equazioni simboliche.

Fig.47 - Relazioni di trasformazione peritettica, con reazione del liquido peritettico con i cristalli di fase solida: a)equazione simbolica della trasformazione di fase; b) stessa relazione espressa in termini di trasformazione di costituenti strutturali. Nota la equazione peritettica, possiamo ora studiare il sistema peritettico di fig.48. Fino alla temperatura Tperitettica non si verificano fenomeni diversi da quelli già visti in precedenza: il liquido solidifica in un intervallo di temperatura formando cristalli di fase omogenea α. Alla temperatura Tperitettica+ sono presenti cristalli α di composizione 20%B e liquido di composizione 80%B. Portiamoci ora alla temperatura Tperitettica. A questo punto i cristalli α ed il liquido peritettico reagiscono tra di loro e danno origine ad una nuova specie cristallina β (peritettico). Tale trasformazione avviene a temperatura costante, come nel caso della trasformazione eutettica: alla temperatura Tperitettica sono presenti 3 fasi (α, β e liquido), ed il sistema è zero-variante. Al di sotto della temperatura Tperitettica, cioè a temperatura Tperitettica – sono presenti quindi solo cristalli β e non c’è più traccia dei cristalli α formatisi.

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Fig.48 - Studio del diagramma con concentrazione peritettica B=60%. Durante l'ulteriore raffreddamento, i cristalli b subiscono il fenomeno dello smiscelamento, introdotto nella precedente sezione. Questo porta alla finale microstruttura fatta da cristali omogenei di β con placchette a bordo grano di α. Caso della lega con concentrazione non peritettica Merita attenzione il caso in cui il sistema che si considera sia a concentrazione inferiore (fig.49a) o superiore (fig.49b) alla concentrazione peritettica.

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Fig.49 - Sistemi con concentrazione inferiore e superiore alla peritettica. Ciò che accade in questi due casi è che la reazione peritettica non avviene in modo perfettamente bilanciato, ma nell'uno e nell'alto caso il liquido arriva alla Tperitettica con un eccesso di fase complementare. Nello specifico:

• Per il caso di fig.49a, il liquido arriva alla Tperitettica con eccesso di cristalli solidi α; la reazione (1) dunque si scriverà: (eq.2) Liquido peritettico + eccesso di cristalli di fase α --> cristalli di fase β + residui di cristalli α

• Per il caso di fig.49b, il liquido arriva alla Tperitettica in eccesso; la reazione (1) dunque si scriverà: (eq.3) Liquido in eccesso + cristalli di fase α --> cristalli di fase β + Residuo di liquido

Note queste due reazioni, è possibile quindi completare lo studio dei due diagrammi di fig.49, come mostrato in fig.50 e fig.51.

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Fig.50 - Sistema con concentrazione inferiore alla peritettica.

Fig.51 - Sistema con concentrazione superiore alla peritettica. Osservazione: Confrontando la microstruttura a Tamb ottenuta in fig.50 con quella di fig.48, occorre rilevare come non vi sia presenza delle placchette di α smiscelate a bordo grani β, Nonostante lo smiscelamento sia presente. Questo dipende dal fatto che per il sistema in fig.50, già a partire dalla Tperitettica- esiste già un "edificio" cristallino α pronto ad accogliere nuovo α smiscelato. Dunque lo smiscelamento produce solo un ulteriore

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accrescimento dello spazio occupato dai grani α (per la precisione ciò che accade è che al bordo tra due grani α e β, la porzione confinante di grano β si modifica in fase α, venendo quindi "assorbita" dal cristallo α. Riassumendo: Per una trasformazione orizzontale peritettica ed eutettica le fasi esistenti durante la trasformazione sono 3 (i.e. varianza = 0). In particolare, i. per la peritettica abbiamo

• Una zona di "cuspide" bassa, che denota la nascita di una fase peritettica omogenea a seguito della trasformazione;

• Gli estremi del segmento sono una fase liquida ed una omogenea solida formata durante la presedente fase di solidificazione a varianza = 1;

• ii) per la eutettica abbiamo

• Una zona di "cuspide" alta, che denota la fase liquida che si trasforma, scomparendo, per dare origine a due fasi distinte;

• Gli estremi del segmento sono le due fasi nella quali in liquido si trasforma.

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Diagrammi di stato binari complessi con composto intermetallico e fasi intermedie I diagrammi di stato introdotti nei precedenti paragrafi sono detti semplici perché, rispetto ai casi di leghe reali, appaiono in effetti più semplificati. Tuttavia essi introducono delle regole generali che, se seguite, permettono di discutere qualsiasi diagramma. Diagrammi binari complesso sono a titolo di esempio quelli raffigurati in Fig.52.

Fig.52 - Diagrammi di stato complessi: a) con fase intermetallica congruente; b) con composto intermetallico congruente; c) con fase intermetallica incongruente; d) con composto intermetallico incongruente. Come si può notare, tutti gli esempi in Fig.52 sono un assemblato di diagrammi semplici; ad esempio, il diagramma in fig.52a e 52b sono un assemblato di due diagrammi eutettici

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semplici affiancati e possono essere trattati nel modo solito, pur di spezzarli in due mediante la verticale corrispondente al composto o fase intermetallica. Anche i diagrammi in Fig.52c e 52d sono un assemblato di due diagrammi semplici, un diagramma peritettico (in alto a destra) ed un diagramma eutettico (in basso a sinistra) separati da una fase o composto intermetallico. Osservazione 1: è essenziale per la comprensione dei diagrammi di stato complessi tratteggiare correttamente i campi monofasici. Una regola pratica suggerita è la seguente. Si tracciano delle linee orizzontali (a diverse altezze) e si verifica che:

• Sugli assi devo ritrovare due campi o linee monofasiche; • Ad un campo monofasico (tratteggiato) si alterna un campo bifasico (bianco)

Osservazione 2: Tutte le linee orizzontali sono trasformazioni di tipo eutettica o peritettica come già visto, oppure eutettoidica o peritettoide ( quest'ultima un po' più rara) che si differenziano dalla eutettica e peritettica per il solo fatto che la trasformazione avviene in presenza di fasi tutte solide (vedi un esempio in fig.53).

Fig.53 - a) Diagramma di stato con trasformazione eutettoidica; b) diagramma di stato con trasformazione peritettoide. Nel caso più frequente della trasformazione eutettoidica, il costituente eutettoidico che si forma lo fa in accordo con la equazione di trasformazione di fase e di costituenti in Fig.54 (che richiama molto la equazione di Fig.33).

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Fig.53 - Relazioni di trasformazione eutettoidica: a)equazione simbolica della trasformazione di fase, da fase omogenea a (vedi Fig.53a) in due fasi β e γ; b) stessa relazione espressa in termini di trasformazione di costituenti strutturali, da fase α alla concentrazione eutettoidica in grano lamellare.

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II-Diagramma di Stato Binario Ferro-Carbonio (Fe-C) CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Il Fe puro è polimorfo, esistendo in varie forme allotropiche, cioè diverse strutture a seconda della temperatura. In particolare: Forma allotropica Struttura cristallina Campo di esistenza Ferro α cubico corpo centrato (c.c.c.) stabile fino a 912° Ferro γ cubico facce centrate (c.f.c.) 912° - 1394° Ferro δ cubico corpo centrato (c.c.c.) 1394° - 1537° Le strutture d’equilibrio delle leghe ferro e carbonio, cioè acciaio e ghisa, sono invece rappresentate dal diagramma di stato ferro-carbonio (fig.54).

Fig.54 - Diagramma di stato Ferro-Carbonio. La verticale di destra del diagramma di figura 54 viene tracciata in corrispondenza della concentrazione di C pari a 6,69%. Questa è la quantità di carbonio contenuta nel composto interstiziale carburo di ferro, formula chimica Fe3C detto anche cementite. Il diagramma rappresentato in figura 54 è quindi, più propriamente, un diagramma ferro-cementite. Per convenzione è però definito ferro-carbonio.

Si parla di acciai se il tenore di C < 2,11.

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In particolare, in riferimento alla concentrazione eutettoidica, si parla di: • acciai ipoeutettiodici se C < 0,77% • acciai eutettoidici se C = 0,77% • acciai ipereutettoidici se C > 0,77%

Si parla di ghise per C>2,11 In particolare, in riferimento alla concentrazione eutettica, si parla di:

• ghise ipoeutettiche se C < 4,3% • ghise eutettiche se C = 4,3% • ghise ipereutettiche se C > 4,3%

Nel diagramma F-C si evidenziano anche le temperature critiche o punti critici, ovverosia il luogo geometrico della trasformazioni notevoli come di seguito elencato: A4: luogo geometrico al variare di C delle temperature di trasformazione δ ↔ γ A3: luogo geometrico al variare di C delle temperature di trasformazione γ ↔α A1: luogo geometrico al variare di C della temperatura di trasformazione eutettoidica (costante, a 727°C) Acm: luogo geometrico al variare di C della temperatura di trasformazione γ ↔F3C

Il diagramma Fe-C semplificato Vediamo ora come ai fini della trattazione del diagramma Fe-C, cioè dello studio della evoluzione delle microstrutture fino alla Tambiente, ci si può riferire anche ad un diagramma cosiddetto semplificato. La semplificazione viene fatta in corrispondenza della fase δ e della fase α, come di seguito descritto. Semplificazione della fase δ Si consideri la porzione di diagramma Fe-C in figura 55. La fase che si ottiene dopo il completamento della solidificazione in tutti e tre i sistemi I, II e III è sempre la fase omogenea γ.

Fig.55 - Diagramma di stato ferro-carbonio nella parte alta studiata per i 3 sistemi con concentrazione inferiore, uguale o superiore alla concentrazione peritettica. In tutti i casi visti, I, II e III, a partire da una certa temperatura in giù si ha sempre la formazione di cristalli γ di composizione pari a quella del liquido di partenza. Si può pertanto semplificare la PARTE ALTA del diagramma Fe-Fe3C come in fig.56.

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Fig.55 - Diagramma di stato ferro-carbonio semplificata nella parte alta, con la scomparsa della fase δ. Semplificazione della fase α Poiché il limite della solubilità del C nella fase a è molto bassa sia a 727°C (pari a 0.02%) sia a temperatura ambiente (pari a 0.008%). In tal caso, ai fini della semplificazione dei calcoli che verranno svolti negli esercizi, si può contrarre la fase a sull'asse delle ordinate, assumendo cioè che essa sia a circa 0% di carbonio. Il diagramma Fe-C si semplifica quindi come mostrato in fig.57.

Fig.57 - Diagramma di stato ferro-carbonio semplificata nella parte bassa, con lo schiacciamento della fase α sull'asse delle ordinate .

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In definitiva, il diagramma Fe-C semplificato si presenta come in fig.58. D'ora in poi si farà riferimento a questo diagramma per studiare l'evoluzione della microstruttura delle leghe del Fe-C, al variare di C, a temperatura ambiente.

Fig.58 - Diagramma Fe-C semplificato.

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II- Diagramma di Stato Fe-C: studio degli acciai (C<2.11%) In questa sezione vengono studiati i 3 sistemi Fe-C: a) ipo-eutettoidici, b) eutettoidici, c) iper-eutettoidici. Le regole che sono applicate per lo studio del Fe-C sono quelle apprese nello studio dei diagrammi di stato semplici. Come infatti anticipato, ogni diagramma complesso è un assemblato di diagrammi di stato semplici. Acciai ipo-eutettoidici: C<0.77% In fig.59 viene raffigurato il diagramma Fe-C per una lega ipo-euttetoidica e l'evoluzione delle sue strutture. Lo studio prevede l'impiego di regole già note, tranne per una particolarità: ogni costituente strutturale del diagramma Fe-C ha un suo nome proprio, ovverosia:

• I grani di fase omogenea γ si chiamano AUSTENITE (simbolicamente indicati con la lettera A)

• I grani di fase omogenea α si chiamano FERRITE (simbolicamente indicati con la lettera F);

• I grani di fasi alternate in lamelle (è il costituente eutettoidico degli acciai, in accordo con l'equazione di trasformazione mostrata in Fig.53) si chiamano PERLITE (simbolicamente indicati con la lettera P).

Fig.59 - Evoluzione dei costituenti strutturali a temperatura ambiente per un acciaio di tipo ipo-eutettoidico.

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Acciai eutettoidici: C=0.77%

In fig.60 viene raffigurato il diagramma Fe-C per una lega eutettoidica e l'evoluzione delle sue strutture.

Fig.60 - Evoluzione dei costituenti strutturali a temperatura ambiente per un acciaio di tipo eutettoidico. Acciai iper-eutettoidici: C>0.77% In fig.61 viene raffigurato il diagramma Fe-C per una lega iper-eutettoidica e l'evoluzione delle sue strutture. Si noti che lo smiscelamento di fase Fe3C dalla fase g produce una rete continua a bordo grano dell'austenite. Essendo un nuovo costituente strutturale, viene anch'esso chiamato con un nome: si tratta della Cementite II.

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Fig.61 - Evoluzione dei costituenti strutturali a temperatura ambiente per un acciaio di tipo iper-eutettoidico.

*** Riepilogo A temperatura ambiente quindi abbiamo visto che le microstrutture di EQUILIBRIO degli acciai (cioè quelle ottenute con "storie termiche" che procedono con un lentissimo raffreddamento - per successivi stati di equilibrio) sono rispettivamente:

• grani di FERRITE e PERLITE per gli acciai ipo-eutettoidici (Fig., con la proporzione tra le due strutture FERRITE e PERLITE governata dalla percentuale di carbonio (man mano che %C cresce fino al limite di 0,77%, la PERLITE aumenta a scapito della FERRITE;

• grani tutti PERLITICI nel caso di acciai eutettoidici; • grani di PERLITE circondati da una rete di cementite, cioè dalla CEMENTITE II o CII, nel

caso di acciai iper-eutettoidici; la quota parte CII rispetto alla PERLITE è governata dalla percentuale di carbonio: maggiore è la percentuale di carbonio, maggiore è la quota parte di CII rispetto la PERLITE;

Ma come cambiano le strutture a temperatura ambiente se consideriamo un diagramma Fe-C completo, al posto del diagramma semplificato impiegato nelle 3 figure precedenti? In tutti e 3 i casi notevoli (ipo-eutettoidici, eutettoidici e iper-eutettodici) la differenza in termini di fasi consiste ovviamente nella presenza al di sotto della T=727°C del limite di solubilità del carbonio in fase α, cioè l'evidenza del fenomeno dello smiscelamento di fase Fe3C dalla fase α che nel diagramma Fe3C no può ovviamente essere valutato (essendo la fase a ridotta alla verticale con circa 0% di carbonio). Vediamo caso per caso cosa cambia quando si consideri lo smiscelamento di Fe3C dalla fase α.

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1. Nel caso di un acciaio ipo-eutettoidico, la fase Fe3C smiscelata da fase α produrrà:

• minuscole placchette a bordo dei grani FERRITE, come già rappresentato in Figura 43a (vedi anche la figura qui di seguito); le placchette a bordo grano un nuovo costituente strutturale che prende il nome di Cementite Terziaria, o simbolicamente CIII;

• la fase α presente in forma di lamelle nella perlite smiscela la fase Fe3C direttamente in contiguità con la lamella di fase Fe3C a lei affiancata, cioè come già discusso nello schema di Fig.43b; ciò significa che la quota parte di Fe3C smiscelata dalle lamelle α va ad ispessire internamente al grano perlitico le lamelle di Fe3C.

Dunque nel caso di acciai ipo-eutettoidici, anche detti acciai FERRITICO-PERLITICI, il considerare il diagramma Fe-C completo implica che a T ambiente ci sia anche un terzo costituente strutturale, la CIII appunto, insieme con la FERRITE e la PERLITE. Dal punto di vista delle caratteristiche meccaniche, invece, lo smiscelamento è così esiguo e le placchette di CIII così piccole da NON modificare le proprietà della microstruttura FERRITE e PERLITE che abbiamo considerato nel diagramma Fe-C semplificato. Vediamo perché. Le caratteristiche meccaniche cioè il carico unitario a snervamento, ad esempio, dipendono come tutti i metalli dalla possibilità di movimento delle dislocazioni all'interno della struttura reticolare, o per meglio dire, dall'impedimento del loro moto prodotto dai vari disturbi reticolari. All'interno delle strutture di equilibrio degli acciai appena viste, la fase nella quale le dislocazioni possono muoversi liberamente è la fase α: si tratta infatti di una fase costituita da un reticolo a bassissimo contenuto di carbonio, cioè quell'elemento interstiziale degli acciai in grado di produrre un disturbo al moto delle dislocazioni. La presenza di fase Fe3C, ad esempio, in forma di lamelle di PERLITE inibisce il moto delle dislocazioni: poiché le dislocazioni non possono transitarla, vengono limitate nel loro movimento all'interno della contigua lamella di fase α. Quanto più la lamella di fase α è sottile, e dunque per converso, quanto più la lamella di Fe3C è spessa, tanto più le dislocazioni faranno fatica a muoversi. Ciò che macroscopicamente si produce è un aumento delle caratteristiche meccaniche, a partire dal Rsn, ivi compreso il Rm e la durezza del materiale. Ora, se pur vero che lo smiscelamento di fase a in CIII qui considerato va ad aggiungere placchette di Fe3C a bordo grano (anche loro potenziale disturbo delle dislocazioni) che debbano muoversi da grano a grano, e/o aumentino l'ispessimento della lamelle Fe3C all'interno del grano lamellare perlitico, la porzione di Fe3C smiscelata è

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talmente bassa che sia la produzione di placchette di CIII sia l'ispessimento lamellare di Fe3C non ha alcuna pratica ricaduta sull'inibizione al moto delle dislocazioni. Questo ragionamento relativo alla facilità o meno con cui le dislocazioni si muovono all'interno delle strutture di EQUILIBRIO degli acciai è però fondamentale per rappresentare in scala qualitativa di Fig.62 l'andamento delle caratteristiche meccaniche (e duttili, in opposizione alle prime) di queste stesse strutture.

Fig.62 - Scala qualitativa delle proprietà meccaniche delle microstrutture di equilibrio. 2. Nel caso di un acciaio eutettoidico, lo smiscelamento di Fe3C dalla fase a produce l'ispessimento delle lamelle di Fe3C presente nella perlite. Anche in tal caso le proprietà meccaniche non si modificano rispetto al caso del diagramma semplificato Fe-C per le stesse motivazioni espresse nel caso degli acciai ipo-eutettoidici: se è vero che le dislocazioni che possono muoversi liberamente nella matrice di fase α vengono maggiormente limitate nel loro movimento dalla presenza di lamelle Fe3C più spesse, la variazione di spessore dovuta al fenomeno dello smiscelamento è talmente esigua da non produrre alcun aumento della resistenza meccanica nei confronti della struttura perlite considerata su un diagramma Fe-C semplificato; 3.Nel caso di acciaio iper-eutettoidico, lo smiscelamento di Fe3C dalla fase a produce l'ispessimento delle lamelle di Fe3C della perlite. Valgono le stesse considerazioni fatte a riguardo al punto 2 relativamente alla invariabilità delle proprietà meccaniche ottenibili studiando un diagramma Fe-C semplificato al posto che un Fe-C completo. IMPORTANTE: ciò che invece è importante è che all'aumentare di C, le strutture di equilibrio degli acciai si modificano aumentando le loro caratteristiche meccaniche (vedi ancora Fig.62) in proporzione al tenore di C - in accordo con la regola della leva - poiché di

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fatto l'aumento di C riduce la quantità di fase α "libera", quella cioè presente in grani di FERRITE negli acciai ipo-eutettoidici e quella presente in lamelle α, per la struttura PERLITE. Questo a vantaggio della fase Fe3C che è in grado di inibire il moto delle dislocazioni.

*** Osservazione: Dal punto di vista teorico è più corretto rappresentare la formazione di nuovi cristalli di perlite (nel triplice caso di acciai ipo-eutettoidici, eutettoidici ed iper-eutettoidici) a partire dai cristalli di austenite con il fenomeno della nucleazione e accrescimento già peraltro evidenziato nelle finestre di controllo di fig.59. In altre parole, anche il grano perlitico si forma per nucleazione e accrescimento a partire dai bordi grano - particolarmente dai punti tripli di unione di bordi grano - in accordo con lo schema di seguito rappresentato in Fig.63. In ogni caso, a fini didattici e di esercizi proposti, è considerata valida anche la rappresentazione più comoda e rapida che prevede la trasposizione in lamelle di tutta l'area bianca che nella finestra di controllo rappresenta l'austenite (vedi fig.59-61).

Figura 63 - Schema realistico di trasformazione di austenite in perlite in un acciaio ipo-eutettoidico.

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II- Diagramma di Stato Fe-C: studio delle ghise (C>2.11%) Come anticipato nella introduzione al diagramma Fe-C, con carbonio superiore al 2,11% in lega con il Fe si parla di ghise e non più di acciai. Per lo studio delle 3 diverse tipologie delle ghise, ovverosia ghise ipo-eutettiche, eutettiche ed ipereutettiche, si applicano tutte le regole già viste precedentemente. Tuttavia prima di procedere è necessario introdurre 3 nuovi costituenti strutturali - non ancora incontrati nello studio degli acciai - derivanti da:

• La trasformazione zerovariante eutettica alla T=1148°C; si tratta del costituente strutturale eutettico delle ghise. Esso si genera in base alle "equazioni" di fase e di trasformazione strutturale mostrata in Fig.64. Il nuovo costituente strutturale che si forma dal liquido eutettico sono grani cristallini a matrice di fase γ e globuli di Fe3C (carburo di ferro) ed ha il nome di LEDEBURITE.

Fig.64 - Relazioni di trasformazione eutettica: a)equazione simbolica della trasformazione di fase, da fase liquido eutettico che ha raggiunto la concentrazione eutettica del Fe-C pari a 4,3% in due fasi γ e Fe3C; b) stessa relazione espressa in termini di trasformazione di costituenti strutturali, da fase liquida a concentrazione eutettica in grano globulare. .

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• La trasformazione zerovariante eutettoidica alla T=727°C; si tratta del costituente strutturale eutettoidico delle ghise che si forma quando la fase γ, cioè la matrice del costituente LEDEBURITE (formatosi precedentemente alla T=Teutettica) si trasforma in base alla già nota equazione mostrata in Fig.53.Il nuovo costituente strutturale che si forma dalla fase γ a concentrazione eutettoidica sono grani cristallini a matrice lamellare e globuli di Fe3C (carburo di ferro) ed ha il nome di LEDEBURITE TRASFORMATA di seguito illustrata.

• La separazione diretta di fase Fe3C dal liquido iper-eutettico, che va sotto il nome di Cementite Primaria o simbolicamente CI, come mostrato nella figura che segue:

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Ghise ipo-eutettiche: 2,11%<C<4,3%

Fig.65 - Evoluzione dei costituenti strutturali a temperatura ambiente per una ghisa di tipo ipo-eutettica.

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Ghise eutettiche: C=4,3%

Fig.66 - Evoluzione dei costituenti strutturali a temperatura ambiente per una ghisa di tipo eutettica. Al di sotto della T eutettica non si forma CII al bordo dei grani ledeburitici perché lo smiscelamento della fase Fe3C avviene prevalentemente all’interno dei grani, con aumento dimensionale dei globuli di Fe3C.

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Ghise iper-eutettiche: 4,3%<C<6,69%

Fig.67 - Evoluzione dei costituenti strutturali a temperatura ambiente per una ghisa di tipo iper-eutettica.

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(Laboratorio)

Le microstrutture dei metalli e delle leghe

Da <http://www.opto-lab.com/images/microscopi/xds2.jpg> Questo discorso lo riprenderemo quando faremo le microstrutture dei materiali. Per analizzare un metallo e andare a curiosare nell'oculare, si utilizza un microscopio dritto(storicamente utilizzato da tutti quei campi che non sono la metallurgia dove vanno a lavorare dove la luce passa attraverso) o rovesciato(è fatto apposta per analisi di materiale attraverso il quale la luce non passa, si dice rovesciato perché il campione si presenta rovesciato). Si potrebbe usare anche il dritto per metallurgia ma andrebbe calibrato in modo tale che la luce arrivi a colpire il materiale a 90 gradi, cosa che avviene di base nel rovesciato. Metodologia di utilizzo: la luce illumina il pezzo e deve essere riflessa tutta(sarebbe meglio), per far ciò la superficie del pezzo deve essere lucidata a specchio se no non riflette, e incanalata nell'oculare(la luce va regolata perché se no arriva diretta nell'occhio) ma se all'interno del metallo c'è un piccolo difetto come un graffio(dovuto anche dalla preparazione del campione) essa devia la luce di cui il campione è irradiata e si vedrà un graffiettino nell'oculare Ora se però lasciando perdere i graffi di lucidatura a specchio e all'interno del materiale è presente una cavità e quindi un difetto appartenente al materiale, oppure un residuo ceramico che non riflette la luce, queste particelle anormali vengono rilevate come grigie. Preparazione lucidatura a specchio:

1. Taglio: del pezzo del metallo da provare(tramite ad esempio troncatrice metallografica), Ma spesso non si ha un pezzo da tagliare magari abbiamo un'intera struttura di una macchina da studiare, allora a quel punto si taglia un pezzo manipolabile chiamato Campione metallografico(SEZIONAMENTO DEL COMPONENTE) per poi essere lavorata sotto la macchina precedente.

2. A questo punto abbiamo il pezzo ma va lucidato: si prende il campione e si va sulla spianatura meccanica che attraverso delle carte abrasive si sgrossa levigando il campione via via con carte sempre più fini.

3. Ora è il momento della lucidatura che, dopo un preventivo lavaggio in alcool, consiste nello spruzzare uno spray al diamante sintetico con lucidatura a 8 micron, per poi

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arrivare alla lucidatura vera e propria che porta la rugosità ad un micron(specchio vero e proprio).

Per ora io vedo bianco, a parte le imperfezioni per le quali dovrò fare dei rilevamenti, ma il materiale non è stato preparato per l'osservazione della sua microstruttura. Quindi prendo il pezzo e lo immergo in una soluzione acida(dipendente dalla composizione del pezzo). Mentre lo si osserva questa aggressione porta il colore bianco del pezzo in grigio ed è un'aggressione omogenea alla superficie tranne che per i bordi di grano perché essi avranno una concentrazione atomica differente rispetto al resto(quindi si scaverà di più producendo un solco). Successivamente si lava nuovamente il campione e siamo pronti per il rilevamento a microscopio che mostrerà ora delle parti scure riferite ai nostri bordi di grano. La fase Alpha si intende una soluzione di atomi di A e atomi di B

Da <http://www.remet.it/it/solidografia/metallografia/troncatrici/img/TR-100-Evolution.jpg>

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I trattamenti termici degli acciai

Da questo momento ci occuperemo degli acciai, ovverosia delle leghe Fe-C che sono rappresentate sul diagramma Fe-C appena discusso come leghe del Fe con carbonio variabile fino alla percentuale limite del 2,11%. INTRODUZIONE

Le microstrutture descritte dal diagramma di stato Fe-C non sono le migliori dal punto di vista di impiego industriale, per due motivi:

1. Le caratteristiche meccaniche risultano governate unicamente dalla presenza del carbonio e non sono dunque ottimizzabili nel caso pratico che si desideri, ad esempio, esaltare maggiormente le caratteristiche di resistenza meccanica (es: parametro Rm) senza però decrescere molto in caratteristiche di duttilità (es: parametro A%) e tenacità (es: parametro KV che verrà a breve introdotto, vedi la sezione "Prove di Durezza e di Tenacità"). Riferendoci infatti alle strutture di equilibrio degli acciai deducibili dal diagramma Fe-C, ed in particolare riferendoci alla Fig.62, non vi sarebbe altro modo di incrementare la resistenza di un acciaio incrementando il tenore di carbonio, sì da ridurre la fase α all'interno della microstruttura, che, come visto, è un facile "veicolo" di moto delle dislocazioni. Ma l'incremento di C prevede ovviamente da diagramma Fe-C l'incremento della fase Fe3C che causa, per valori elevati di C, la formazione di una rete fragile di CII a bordo grano, con perdita eccessiva di duttilità e tenacità;

2. I tempi di raffreddamento necessari per ottenere le strutture degli acciai di EQUILIBRIO appena studiate sono troppo lunghi, non percorribili con la pratica industriale perché impegnerebbero troppo a lungo forni di riscaldamento ad alta temperatura, cosi da rendere non competitivo alcun acciaio per gli alti costi e tempi di produzione, cosa che in realtà non avviene.

Fortunatamente è possibile eseguire riscaldamenti e raffreddamenti praticabili industrialmente sia per le temperature limitate, sia soprattutto per i tempi di raffreddamento imposti. La sequenza di riscaldamento e raffreddamento in generale viene denominata trattamento termico. La fase di riscaldamento il più delle volte viene condotta per portare l'acciaio all'interno del forno al di sopra di una temperatura opportuna tal per cui la struttura diventi tutta austenitica. Questo è necessario per poter preparare la massa metallica alle successive trasformazioni che necessariamente avverranno, essendo l'Austenite un costituente per leghe binarie Fe-C non ammesso al di sotto della temperatura 727°C. Vedremo che è proprio la seconda fase del trattamento termico, cioè il raffreddamento guidato, che interviene nella generazione di strutture maggiormente ottimizzate per lo scopo. Non è importante ora scendere nei dettagli riguardo gli scopi diversi che si desiderano a livello ingegneristico (se ne parlerà quando tratteremo le tipologie di acciai), ma per ora basti considerare che 2 sono le strategie di massima possibili:

1. Esaltare le caratteristiche meccaniche, es. Rm, Rsn, Durezza mantenendo però buone proprietà di tenacità e duttilità;

2. Ridurre le caratteristiche di resistenza prima citate (Rsn, Rm e durezza) ed al contrario aumentare e caratteristiche di duttilità per ottenere migliore lavorabilità del materiale alle macchine utensili.

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Le strutture ottimizzate che studieremo a breve sono in genere ottenute raffreddando la struttura Austenitica (vedi ancora Fig.68) con i mezzi solitamente disponibili nella pratica industriale, ovverosia:

1. lento raffreddamento in forno; 2. raffreddamento in aria; 3. raffreddamento in olio (a diverse temperature); d. raffreddamento in acqua; e. raffreddamento isotermo (i.e. brusco calo della temperatura, mantenimento isotermo -

es. in sali fusi - raffreddamento finale in aria);

Fig.68 - Schema di un generico trattamento termico di un acciaio con le fasi essenziali, riscaldamento, mantenimento e raffreddamento governato . Al fine di governare le microstrutture in fase di raffreddamento, la fase di riscaldamento e mantenimento dovrà dunque avvenire a temperatura sufficientemente alta da convertire tutta la struttura in origine in austenite (vedi Fig.68), ma non troppo per evitare fenomeni di ingrossamento del grano austenitico che potrebbero causare eccessiva fragilità in fase di raffreddamento successivo, soprattutto per raffreddamenti rapidi come ad esempio in olio (Fig.68). Questa fase del trattamento è anche detta di austenitizzazione. Il mantenimento alla temperatura di austenitizzazione per il tempo opportuno garantisce a tutta la massa metallica di non solo raggiungere la temperatura di austenitizzazione, ma di omogeneizzare la struttura austenitica in tutte le regioni interne delle sezioni del pezzo in trattamento. Come si nota dal diagramma di Fig.69, per compiere una completa austenitizzazione occorre entrare in fase γ; in casi specifici per acciai iper-eutettoidici ad alto carbonio, ci si limita a non superare il limite di temperatura indicato in rosso, ovverosia il limite per il surriscaldamento. Si noti che aumentando il carbonio la curva di solidus si abbassa

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molto e diventa molto alto il rischio di produrre zone surriscaldate (=locali fusioni) del bordo grano; la temperatura di inizio fusione negli acciai reali può infatti essere localmente più bassa a causa di disomogeneità di composizione chimica e spesso di presenza di specie chimiche a basso punto di fusione che si sono segregate (= localizzate qui durante la solidificazione primaria) a bordo grano.

Fig.69 - Diagramma Fe-C per la parte acciai con evidenziato il limite di temperatura per il trattamento di austenitizzazione di 5 acciai generici, 2 ipo-eutettoidici, un eutettoidico e due iper-eutettoidici. Si nota in figura il limite di temperatura di riscaldamento per la austenitizzazione della struttura, cosiddetto limite di surriscaldamento: al di sora di circa 900-1000°C (dipendentemente dalla composizione chimica dell'acciaio) l'austenitizzazione avverrebbe con ingrossamento eccessivo del grano. Grano troppo grosso in fase di trattamento termico non è indicato perché porta a diverse controindicazioni, tra cui la replica di grana grossolana anche sulle finali strutture di trasformazione ottenute a T ambiente o peggio delle rotture in fase di raffreddamento spinto, acqua ad esempio. In ambito di trattamenti termici diventano quindi importanti i luoghi delle temperature di inizio trasformazione della struttura austenitica. In particolare, si definiscono 3 Temperature Critiche o Punti Critici, come segnati in fig.69:

A1: Punto critico di trasformazione Austenite ↔ Perlite A3: Punto critico di trasformazione Austenite ↔ Ferrite Acm: Punto critico di trasformazione Austenite ↔ Cementite II

A questo punto possiamo anche meglio definire tutti quei trattamenti termici segnati nello schema di fig.68 come trattamenti termici SOPRA I PUNTI CRITICI, intendendo caratterizzare con questa definizione il fatto che la struttura originaria, qualunque essa sia, viene cancellata durante la fase di austenitizzazione che porta l'acciaio sopra A1 ed

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A3, per l'acciaio ipo-eutettoidico, sopra A1 coincidente con A3 per l'acciaio eutettoidico e potenzialmente sopra A1 e Acm per acciai iper-eutettoidici (vedi Tabella 1).

Ipo-eutettoidico (sistema I)

Eutettoidico (sistema II)

Iper-eutettoidico (sistema III)

A1(punto critico)

A->P A->P A->P

A3(punto critico)

A->F \\ \\

Acm (punto critico)

\\ \\ A->C2

Tabella 1 - Punti critici che intervengono nel riscaldamento o raffreddamento dei 3 diversi sistemi di acciai (ipo-eutettoidico, eutettoidico, iper-eutettoidico).

Osservazione. L'aggettivo "potenzialmente" usato per gli acciai iper-eutettoidici, come già mostrato nello schema di fig.69, deriva dal fatto che per acciai iper-eutettoidici con alte percentuali di carbonio si preferisce limitare a temperatura di austenitizzazione all'interno del campo A1-Acm, e dunque in tal caso non sarebbe corretto da un punto di vista formale parlare di austenitizzazione. Tuttavia, anche nel caso pratico industriale di una non completa dissoluzione di C (in forma di cementite ) in fase γ, si è soliti definire austenitizzazione il trattamento di riscaldamento condotto al di sopra di A1 e al di sotto Acm.

Variabilità dei punti critici in funzione della velocità di raffreddamento Consideriamo un acciaio Ipo-Eutettoidico, al solo carbonio e dunque che è possibile studiare come fatto sinora su un diagramma di stato binario Fe-C. Per semplicità di discussione, riferiamoci ad un acciaio del tipo 0,20% di carbonio. In Fig.70 sono mostrati i suoi punti critici A1 ed A3 sia nel diagramma di stato Fe-C a sinistra, sia nel diagramma di destra temperatura-velocità di raffreddamento.

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Fig.70 - Diagramma Fe-C , a sinistra, con un sistema ipo-eutettoidico al 0,20% di carbonio. Per il sistema considerato sono evidenziati i due unti critici A1 e A3. Essi sono anche riportati nel diagramma di sinistra, temperatura-velocità di raffreddamento. La velocità di raffreddamento è bassa, ma non può essere posta ovviamente pari a zero. È rappresentativa della velocità media di discesa impiegata è per il tracciamento del diagramma d stato binario, cioè quella risultante da u lento raffreddamento per successivi stati di equilibrio. Si osserva sperimentalmente che aumentando la velocità di raffreddamento -ipotizzata costante e con valori crescenti - i due punti critici tendono ad abbassarsi nel diagramma di destra e avvicinarsi sempre di più. Da una certa velocità di raffreddamento in poi si osserva un particolare fenomeno: i 2 punti critici confluiscono in un unico punto critico, rappresentativo evidentemente di una nuova tipologia di trasformazione da grani austenitici ad una nuova struttura. Chiamiamo questa struttura Bainite e il nuovo punto critico lo indichiamo con la lettera B. Ma non solo. All'aumentare ulteriormente della velocità di raffreddamento, da una certa velocità di raffreddamento si nota la nascita di un nuovo punto critico molto più in basso del precedente, anche questo non rappresentabile su di un diagramma di stato (di equilibrio). Anche la comparsa di questo nuovo punto critico che definiamo con la lettera M, che sta per Martensite , ovverosia si osserva la comparsa di una nuovo costituente strutturale formatasi dai grani austenitici, che però non è presente nel diagramma di equilibrio Fe-C.

Fig.71 - Stesso diagramma di fi.70, con il risultato finale sull'andamento dei punti critici di trasformazione dell'austenite all'aumentare della velocità di raffreddamento.

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Ciò che accade è che con l'aumentare della cinetica di raffreddamento ci si allontana da quelle condizioni di equilibrio che facilitano la diffusione di carbonio nel reticolo austenitico (cioè la prima condizione per favorire le normali trasformazioni A--> F e A-->P). Ciò che si produce è dunque una riduzione della cinetica di diffusione, con conseguente formazione di due nuove strutture di NON equilibrio, denominate appunto Bainite e Martensite. Vediamo di cosa si tratta.

Fig.72 - Stesso diagramma di Fig.71 con evidenziate le trasformazioni da austenite a bainite e da austenite a martensite. La bainite Il grafico in Fig.72 ci dice che se il raffreddamento procede con velocità blande, anche se superiori alla velocità di raffreddamento molto lenta da diagramma di stato Fe-C, la diffusione è ancora permessa e le trasformazioni da austenite in ferrite o austenite in perlite sono ancora permesse, anche se si paga un prezzo in termini di spostamento delle temperature critiche verso più basse temperature. Man mano però che aumento la velocità di raffreddamento, la diffusione del carbonio viene sempre più diminuita: il carbonio non riesce quindi a disporsi all'interno della matrice γ si da formare compiutamente le lamelle di Fe3C in alternanza alle lamelle di α, si da formare la perlite. Al posto di lamelle invece si forma una grande quantità di piccoli aghetti di Fe3C, che richiamano morfologicamente delle lamelle frammentate. Questa struttura evidenziata in Fig.73 prende il nome di bainite. La bainite ha sempre una matrice di base del grano fatta di ferro α, come la perlite, ma a differenza della perlite la Fe3C è disposta in forma di minuscoli aghi.

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Fig.73 - Confronto tra la perlite e la bainite. In termini di resistenza meccanica la bainite è più resistente (più alto Rsn, Rm e durezza) della perlite a parità di carbonio; nonostante le due fasi a e Fe3C siano le stesse, da diversa distribuzione di Fe3C nel grano bainitico sfavorisce il cammino libero delle dislocazioni. Le dislocazioni cioè incontrano nel loro camminamento più disturbi offerti dai numerosi aghi di Fe3C presenti nel grano. Al contrario nella perlite la lamella di fase a è un percorso preferenziale libero per il camminamento delle dislocazioni. La bainite è una struttura di NON equilibrio, nel senso che nasce in condizioni non osservabili nel diagramma Fe-C ma in modo similare alla perlite (cui assomiglia) si forma per NUCLEAZIONE ed ACCRESCIMENTO di grani a partire da bordi grano e punti tripli di grani austenitici, quando essi vengono raffreddati con una opportuna velocità e portati rapidamente al di sotto del punto critico B (vedi ancora lo schema di fig. 72) . La martensite Cosa succede quando aumenta ulteriormente la velocità al punto tale da bloccare la diffusione del carbonio? Poiché viene azzerata in tal caso la diffusione del C, non possiamo avere alcuna variazione di reticolo con nucleazione di nuove fasi α e Fe3C come avviene invece per tutte e tre strutture precedentemente incontrate: ferrite, perlite e bainite (le prime due dette di equilibrio, la terza di non equilibrio). D'altra parte a così bassa temperatura il reticolo cubico facce centrate dell'austenite (i.e. cfc) non può esistere in condizioni stabilizzate. Da un lato quindi esso non ha il tempo per trasformarsi in un nuovo reticolo cubico corpo centrato (ccc) cioè la fase allotropica del ferro a bassa temperatura; dall'altro questa trasformazione da reticolo cfc a reticolo ccc è consentito se il carbonio diffonde e gli atomi di Fe possono quindi riordinarsi nella nuova architettura ccc. Tuttavia se si osservano due reticoli cfc affiancati, come quelli raffigurati in fig.74a, è possibile rilevare come al centro tra i due esiste, ruotato a 45°, un reticolo che richiama un reticolo ccc per il fatto di possedere 8 atomi di spigolo e uno al centro (si veda il reticolo evidenziato con contorno più spesso in fig.74a). Questa cella elementare non ha una struttura di base cubica. Inoltre, poiché la cinetica di diffusione del carbonio è stata azzerata dalla rapidità di raffreddamento, gli atomi di carbonio rimangono bloccati nelle posizioni interstiziali proprie del reticolo cfc. A bassa temperatura, la cella si contrae notevolmente: queste posizioni interstiziali non sono sufficientemente ampie

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per accogliere il comodamente il C come accade ad alta temperatura per il reticolo austenitico cfc. Il risultato della cinetica di diffusione è quindi duplice:

a. nessuna nuova struttura reticolare si genera a partire dalla precedente cfc; la nuova struttura "nasce" istantaneamente perché già inclusa all'interno dei due reticoli affiancati cfc; tale struttura dunque, a differenza delle altre finora considerate, non si genera per NUCLEAZIONE ed ACCRESCIMENTO; la struttura nuova è fortemente disallineata con i piani di dislocazione che appartenevano alla struttura cfc, che dunque avanzano con difficoltà all'interno del reticolo tetragonale;

b. Gli atomi di C rimangono stanziali in posizioni interstiziali anomale; questo determina un reticolo distorto e tensionato (Fig.74b), quindi particolarmente fragile; tanto più alto è il contenuto di carbonio, tanto più è alto più distorto è il reticolo tetragonale e tanto più inibito è il moto delle dislocazioni. Contemporaneamente all'incremento della resistenza meccanica, si registra però un decremento notevole della duttilità e della tenacità.

Fig.74 - a) Reticolo tetragonale corpo centrato già presente all'interno dei due reticoli cfc; b) reticolo tetragonale distorto della martensite generatosi senza diffusione di atomi di Fe e di C.

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La struttura tetragonale distorta della martensite è dunque quella maggiormente resistente ma anche maggiormente fragile tra tutte le strutture degli acciai. Lo schema qualitativo della resistenza meccanica (i.e. Rm, Rsn, HV) e della duttilità e tenacità (A% e KV) delle microstrutture degli acciai si completa quindi come mostrato in fig.75.

Fig.75 - Andamento qualitativo delle proprietà meccaniche di resistenza e di tenacità delle strutture degli acciai. Effetto della composizione chimica sulla variazione dei punti critici di trasformazione. Esiste un altro parametro che influenza la posizione dei punti critici, l’eventuale presenza di altri metalli nella lega. Ci sono elementi aggiunti in lega insieme al Fe e C che innalzano i punti critici ed altri che invece l’abbassano. Per sapere se un elemento innalza o abbassa un determinato punto critico, si deve analizzare il diagramma di stato Fe con l'aggiunta dell'elemento in quesitone. A seconda dell'effetto che l'elemento aggiunto produce in termini di variazione dei punti critici del ferro, si riconoscono 4 tipologie di diagrammi binari Fe-Elemento aggiunto (vedi fig.76).

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Fig. 76 - Effetto sui punti critici degli elementi aggiunti al Fe: a) diagramma con campo γ aperto ; b) diagramma con campo γ allargato; c) diagramma con campo γ chiuso ; d) diagramma con campo γ ristretto. Nel caso del diagramma di Fig.76a, l’elemento aggiunto abbassa A3 ed alza A4. Questo tipo di diagramma di stato è detto con campo γ aperto. Gli elementi che aggiunti al ferro danno un diagramma di questo tipo sono: Ni, Mn, Co, ecc. Nel caso del diagramma di Fig.76b, l'elemento aggiunto abbassa A3 ed alza A4. Questo tipo di diagramma di stato è detto con campo γ allargato. Gli elementi che danno questo tipo di diagramma sono C, N, Cu.

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Nel caso del diagramma di Fig.76c, l'elemento aggiunto abbassa A4 ed alza A3. Questo tipo di diagramma di stato è detto con campo γ chiuso. Gli elementi che danno luogo a questo tipo di diagramma sono: cr, si, Al, W, V w Mo. Il diagramma di Fig.76d è di scarso interesse applicativo ed è tipico di elementi come S, B, Ce. Esso è detto a campo γ ristretto. In generale quindi si distinguono:

• elementi di lega del Fe che hanno la capacità di estendere il campo γ (fig.76a e b) in grado cioè di aprire o allargare il campo γ. Questi elementi sono detti austenitizzanti.

• elementi di lega del Fe che hanno la capacità di contrarre il campo γ (fig.76c e d), chiudendolo o restringendolo. Questi elementi sono detti ferritizzanti

Trattamento Termico di un acciaio. Si definisce trattamento termico l'operazione, o la successione di operazioni nel caso di un trattamento complesso, durante le quali l'acciaio viene sottoposto ad uno o più cicli termici, cioè a variazioni, entro limiti determinati, della temperatura in funzione del tempo. Di norma un ciclo termico comporta un riscaldo ad una data temperatura, un mantenimento per un certo tempo a questa temperatura ed infine un raffreddamento fino a temperatura ambiente con modalità diverse in relazione agli effetti desiderati. I vari cicli di trattamento vengono scelti in base alle caratteristiche di durezza, tenacità, microstruttura e lavorabilità desiderate. Il ciclo di trattamento deve essere fissato non solamente in funzione del tipo di acciaio ma anche delle dimensioni dei pezzi, delle caratteristiche del mezzo di riscaldo e di quello di raffreddamento.

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Curve di Trasformazione dell'austenite Isoterme (TTT) e Anisoterme CTT Abbiamo visto in fig. 68 che austentizzando un acciaio, ovverosia portando la sua temperatura al di sopra dei punti critici A1 e A3 ed omogeneizzando la struttura della massa metallica in completo campo o fase γ, è possibile operare con velocità differenti di raffreddamento al fine di indurre l'abbassamento dei punti critici (vedi fig. 72) e governare le cinetiche di trasformazione dell'austenite. In altre parole, la cinetica di raffreddamento influisce direttamente sulla cinetica di diffusione degli atomi; effetto diretto di una riduzione della diffusione di atomi che compongono il reticolo γ è quello di rallentare le cinetiche di "riassemblaggio" della struttura cristallina che deve trasformarsi da struttura cfc a struttura ccc, in accordo con lo stato allotropico del Fe a bassa temperatura. Il risultato finale ai fini metallurgici ed ingegneristici è la modifica di struttura di equilibrio, che da Ferrite e Perlite, preso ad esempio un acciaio ipo-eutettoidico, "degenera" in bainite o martensite, come mostrato in fig.72. Tuttavia il diagramma di Fig.72 non è impiegato nella pratica industriale. Un diagramma di questa tipologia, è infatti costruito esaminando le trasformazioni dell'austenite (di un determinato acciaio) a velocità costante: su un diagramma di trattamento Temperatura-Tempo impiegato nella pratica industriale, schematizzato in fig. 68 schematico, la condizione di velocità costante (a diversi valori costanti, V1, V2, ecc.) sarebbe ovviamente rappresentato da una retta costante che parte dalla temperatura di austenitizzazione e tale rimane fino al raggiungimento della temperatura ambiente. Se da un lato queste curve temperatura-tempo sono praticabili in laboratorio, operando cioè su piccola scala e con apparecchiature di laboratorio estremamente controllate e precise, nella pratica il mantenimento costante della velocità di raffreddamento all'interno di un forno industriale da trattamento che ospiti centinaia di kg di acciaio, diventa del tutto irrealizzabile. In altre prole, se ci limitassimo all'identificazione delle strutture ottenibili (per un certo acciaio) in funzione di una velocità costante, come leggibili da un diagramma tipo quello di Fig.72, andando successivamente ad operare con forni industriali, ci ritroveremmo con risultati incompatibili, data l'impossibilità tecnologica di un forno di mantenere perfettamente la velocità di raffreddamento all'interno della massa metallica. Dunque abbiamo necessità di un altro strumento di controllo per la valutazione delle strutture ottenibili in fase di raffreddamento con cinetiche variabili, ma praticabili. Partiamo quindi da quanto in realtà è possibile fare per governare un raffreddamento all'interno di forni industriali, per poi determinare quale sia lo strumento o gli strumenti adeguati per la valutazione delle trasformazioni strutturali dell'austenite in condizioni di raffreddamento industriali. Abbiamo nella pratica industriale 2 diverse possibilità di raffreddamento, di fatto già anticipate in fig.68:

• Un raffreddamento isotermo: i pezzi sono all'interno del forno di riscaldamento per la fase di austenitizzazione; una volta pronta la struttura (cioè una volta che essa è stata convertita tutta in fase γ), apro il forno e trasferisco i pezzi rapidamente in una vasca

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di raffreddamento con capacità termica elevata e a temperatura costante (ad esempio si impiegano bagno di sali fusi a temperatura fissata). Questo mi permette di condurre sull'acciaio immerso nel bagno termostatato un raffreddamento di tipo isotermo come la curva 5 di Fig.68.

• Un raffreddamento anisotermo, cioè con velocità variabile nel tempo, come rappresentato dalla curve 1-4 di fig.68. In pratica: al termine della fase di austenitizzazione, posso: a) lasciarlo in forno impostando una rampa di discesa (curva 1 di fig.68); b) aprire il forno, estrarre i pezzi e lasciarli raffreddare in aria (curva 2 di fig.68); c) aprire il forno, estrarre i pezzi e immergerli rapidamente in una vasca di olio da trattamento termico, a temperatura fissata (variabile genericamente dai circa 70°C ai 130°C, a seconda dell'olio impiegato e della capacità termica della vasca che accoglie i pezzi); d) come il trattamento c) ma al posto di olio caldo, in vasca ho dell'acqua (è acqua industriale da trattamento termico, in genere si tratta di acqua emulsionata con additivi particolari atti ad aumentare la drasticità del raffreddamento).

Dunque si parte da queste due tipologie di raffreddamento percorribili nella pratica per la definizione degli strumenti di controllo delle microstrutture ottenibili in conseguenza di un trattamento industriale. Qualunque sia il trattamento, isotermo o anisotermo, la base di partenza è la medesima: un diagramma di tipo temperatura - tempo; questo ci porta ad abbandonare quindi il diagramma prima visto temperatura-velocità di raffreddamento. Tratteremo quindi i due casi di raffreddamento isotermo e anisotermo, introducendo il diagramma di trasformazione dell'austenite per ciascuna tipologia d raffreddamento, rispettivamente:

• Il diagramma di trasformazione dell'austenite in condizioni isoterme, detto diagramma delle curve TTT dall'acronimo anglosassone "Time-Temperature Transformation" o semplicemente curve TTT degli acciai;

• Il diagramma di trasformazione dell'austenite in condizioni anisoterme, detto diagramma delle curve CCT dall'acronimo anglosassone "Continuous Cooling Curves" o semplicemente curve CCT degli acciai.

Curve di trasformazione isoterme o TTT Anche se non è interesse del corso valutare come si traccino i diagrammi di trasformazione dell'austenite, è opportuno ripercorrere almeno una volta - esempio per tuti i sottocasi che vedremo -come un diagramma TTT, ad esempio di un acciaio eutettoidico, viene realizzato in fase di sua tracciatura in un qualsiasi laboratorio, quando si voglia cioè studiare il comportamento di u dato acciaio durante raffreddamenti di tipo isotermo condotti al di sotto di A1 e A3 (al di sotto dei punti critici) e a temperature costanti diverse. L'esperimento per tracciare il diagramma TTT di un acciaio è mostrato schematicamente in fig.77. Si consideri un acciaio eutettoidico, preso come caso di studio. Si preparano dei campioni di acciaio di piccolo spessore ed ampia superficie (lamine), in tal modo da farne variare velocemente la temperatura. Ogni singolo campione viene portato al di sopra della temperatura di austenitizzazione, che per un acciaio eutettoidico è A1≡A3 affinché si abbia struttura completamente austenitica.

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Il campione viene quindi estratto dal forno e successivamente raffreddato bruscamente alla temperatura T1 immergendolo in un bagno di sale fuso (step 3 di figura 77). A questa temperatura viene mantenuto per un certo tempo, nello schema di figura pari al tempo t1. Successivamente viene prelevato e rapidamente immerso in acqua, cosi da formare martensite per l'eventuale parte di austenite non ancora trasformatasi durante il mantenimento precedente; tale quantità, è ovvio, è ancora per noi sconosciuta. Ma sarà la successiva fase di rilievo microstruttura (step 6 di fi.77) a determinare per differenza la quantità di austenite trasformatasi in perlite durante il trattamento isotermo T1 per il tempo t1 (per stimare la parte di perlite trasformatasi durante il mantenimento isotermo, si deve sottrarre dall'area totale esplorata la quota-parte di martensite che eventualmente si è prodotta durante la fase di raffreddamento rapido dopo l'estrazione del provino dal bagno di Sali fusi).

Figura 77 - Esperimento per la tracciatura del diagramma di trasformazione isoterma di un acciaio eutettoidico.

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Disponendo di un numero sufficientemente elevato di campioni si può così seguire la trasformazione isoterma da austenite in perlite nel tempo, alle T=T1 impostata. È dunque possibile identificare i due tempi di (vedi fig.78):

• inizio trasformazione A--> P; in tal caso la struttura osservata al microscopio è circa 100% martensite, dunque è pari a circa 0% la quantità di perlite trasformata al tempo di inizio trasformazione;

• Fine trasformazione A-->P; in tal caso la struttura osservata al microscopio è circa 100% perlite;

Figura 78 - Determinazione del punto di inizio e fine trasformazione A-->P per un trattamento isotermo di un acciaio eutettoidico alla temperatura T1. Ripetendo l'esperimento appena descritto per diverse temperature, identificati i tempi di inizio e fine trasformazione dell'austenite, riportando tali punti (aventi coppie di valori temperatura - tempo) nel diagramma temperatura-tempo, unendo infine con 2 distinte curve tutti i punti che corrispondono per le diverse isoterme:

• all'inizio della trasformazione; • alla fine della trasformazione;

Si ottengono le curve rappresentate in fig.79, ovverosia le curve di trasformazione anisoterma di un acciaio con C=0.77%.

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Figura 79 - Tracciatura delle curve TTT (in blu) di un acciaio eutettoidico come luogo geometrico dei punti di inizio e fine trasformazione di dell'austenite. Un diagramma di sintesi TTT di un acciaio eutettoidico è mostrato in fig.80 con tutte le informazioni solitamente riportate ai fini della determinazione delle strutture in funzione di un qualsivoglia trattamento isotermo, come a breve vedremo.

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Figura 80 - Lettura del diagramma TTT di un acciaio eutettoidico.

In figura 80 si è indicato con:

• A il campo di esistenza dell’austenite stabile; • (A) quello dell’austenite instabile. • I simboli P, B ed M indicano invece rispettivamente i costituenti perlite, bainite e

martensite. Si osservi che la Perlite che si ottiene dalla trasformazione isoterma dell’austenite diventa sempre più fine al diminuire della temperatura. Per temperature inferiori a quelle del campo perlitico il nuovo costituente che si ottiene è la Bainite, distinta in bainite superiore ed inferiore a seconda della temperatura di trasformazione. Sempre dalla figura 80 notiamo che la trasformazione A --> P e la trasformazione A -->B necessitano di un periodo di incubazione per poter innescarsi. Ad una certa temperatura minima (indicata con Ms) la trasformazione dell’austenite inizia invece subito durante il raffreddamento, in assenza di un periodo di incubazione. La microstruttura che si forma in tal caso è la martensite ed il parametro che regola questa trasformazione non sarà dunque più il tempo, ma la temperatura. L’inizio della trasformazione A --> M si ha in corrispondenza della temperatura Ms (martensite start) e la trasformazione può considerarsi conclusa al di sotto della temperatura Mf (martensite finish). A questo punto abbiamo finalmente lo strumento adeguato per poter prevedere la microstruttura che si originerà da un certo trattamento termico che vorremo condurre. Lo strumento da cui partiamo per la lettura dei risultati previsionali in termini di microstruttura è la curva TTT del nostro acciaio. Ipotizziamo per semplicità sia esso un eutettoidico, si da poter impiegare la prima curva TTT appena studiata. In figura 81 viene riprodotta la curva TTT di figura 80, alla quale però ci interessa sovrapporre la nostra curva isoterma rappresentativa del trattamento che vogliamo compiere.

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La lettura dei risultati in termini di microstruttura ottenibile a fine del nostro trattamento TA si esegue in questo modo:

• Si segue la curva TA, durante tutto il suo percorso sovraimpresso al diagramma TTT dell'acciaio in questione;

• Si identifica l'intersezione tra la curva TA con la curva di INIZIO trasformazione dell'austenite instabile (A): in particolare questo passaggio ci serve per determinare quale campo di trasformazione la TA inizia ad attraversare durante il suo percorso orizzontale: nel nostro esempio la curva TA attraversa il campo A-->P (in particolare, perlite fine);

• Si verifica che la TA abbia intersecato anche la curva di FINE trasformazione; • A questo punto, se la trasformazione si è conclusa ovverosia la TA è "entrata" ed

"uscita" dal campo di trasformazione dell'austenite, che nel nostro esempio è il campo A->P, allora la microstruttura che si ottiene a temperatura ambiente in conseguenza del trattamento termico TA sarà 100% di Perlite, in particolare perlite fine.

Vediamo il caso TB. Tutto sembra procedere come prima, con l'unica differenza che il campo che la TB attraversa è il campo A--> B. Ciò significa che a partire dall'ingresso di TB nel campo A-->B, la trasformazione dell'austenite in bainite è iniziata. Tuttavia si noti che la TB non fuoriesce dal campo A-->B, quando la sua temperatura inizia a calare: essa cioè non interseca più la curva di destra, cioè il luogo geometrico dei punti di fine trasformazione A-->B. A partire dall'istante t1 La TB decresce rapidamente, sintomo questo di una interruzione isotermo del trattamento, intersecando le curve Ms ed Mf agli istanti t2 e t3. Ciò significa che:

1. Solo una parte di austenite si è potuta trasformare in bainite; 2. Il trattamento è stato interrotto anzitempo, dato che TB non attraversa la curva che mi

fornisce l'indicazione che la trasformazione A--->B si è effettivamente compiuta; 3. il raffreddamento è anticipato e provoca a formazione anche di martensite che,

insieme alla struttura bainitica formatasi tra l'istante tin e l'istante t1, costituisce la struttura mista di fine trattamento TB, bainite e martensite.

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Figura 81 - Esempi di trattamenti isotermi e previsione delle microstrutture finali: a) trattamento isotermo condotto correttamente, con trasformazione isoterma di tutta l'austenite instabile; b) trattamento isotermo interrotto.

Dunque sintetizzando: • Qualsiasi altra curva la curva isoterma tagli DOPO che interseca la LINEA DI FINE

TRASFORMAZIONE non produce alcuna variazione sulla struttura appena completata: la struttura ha terminato infatti la sua trasformazione esaurendo la austenite instabile (A), unica in grado di trasformarsi al di sotto dei punti critici;

• Per converso, qualora la curva studiata non attraversi del tutto il campo di trasformazione, significa che parte della austenite instabile non è stata trasformata a temperatura costante, la parte residua si trasformerà quindi durante la fase di finale raffreddamento (che è stato quindi troppo anticipato).

Come vedremo, questa modalità di lettura dei diagrammi di trasformazione dell'austenite, cioè considerare quale trasformazione si svolge guardando i campi di trasformazione segnati sui diagrammi e da queste informazioni ricavare in quale struttura - istante per istante mentre il trattamento termico procede - l'austenite si sta trasformando, è valida per tutti i diagrammi, sia per i TTT restanti (cioè i due sottocasi ipo-eutettoidici e iper-eutettoidici che a breve studieremo), sia per tutti i diagrammi CCT che seguiranno.

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Curve TTT per acciai IPO-Eutettoidici Ora consideriamo un acciaio ipo-eutettoidico. Il corrispondente diagramma tipo è rappresentato in Fig.82.

Figura 82 -Curva TTT per un acciaio ipo-eutettoidico con un generico trattamento isotermo Tc. La prima differenza rispetto al precedente diagramma TTT per acciaio eutettoidico è che abbiamo in questo caso la comparsa di 2 punti critici nominali di riscaldo e austenitizzazione, cioè quelli letti sul diagramma Fe-C: si tratta di A1 ed A3. La forma di base del diagramma non cambia molto, ma compare un campo in più: è il campo di trasformazione A--> F, cioè la trasformazione che inizia per prima per un acciaio ipo-eutettoidico durante il raffreddamento dalla temperatura di austentizzazione. Si noti che i due punti critici A1 e A3 orizzontalmente tracciati (come nel caso precedente A1≡A3) sono relativi a quelli di riscaldo e mantenimento, cioè sono gli stessi leggibili sul diagramma Fe-C. In tal caso è facile capire perché la curva di inizio trasformazione A--> F è asintotica alla retta A3 in figura 82. Questo è spiegato dal fatto che abbassando di poco la temperatura al di sotto del punto critico A3, come per il trattamento Td segnato in figura, e mantenendola costante per lungo periodo, le trasformazioni che affrontiamo sono equivalenti a quelle che si svolgerebbero lungo un raffreddamento letto sul diagramma d stato Fe-C: il raffreddamento per successivi stati di equilibrio necessario per favorire i fenomeni diffusivi tipico del diagramma di stato Fe-C corrisponde ad un piccolo decremento della temperatura e mantenimento isotermo di un trattamento TTT che venga condotto appena al di sotto della A3. Non vi è differenza sostanziale tra i due.

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Ciò detto, è evidente che i risultati tra i due cicli termici debbano essere coerenti. Dunque, per un piccolo abbassamento di T al di sotto della A3 (vedi il trattamento Td in fig.83) la curva TTT di un acciaio ipo-eutettoidico deve dare gli stessi risultati in termini di cinetica di trasformazione dell'austenite. Per un tempo indefinito (i.e. molto lungo) i due punti critici segnati sul diagramma, l'uno corrispondente al punto critico A3 nominale dello stesso acciaio identificato sul diagramma Fe-C, e l'altro relativo all'inizio effettivo della trasformazione A--> F per il trattamento Td, sono asintotici. Se tuttavia aumentiamo il decremento di temperatura al quale il trattamento isotermo viene condotto, per esempio nel caso del raffreddamento Tc, i due punti critici - quello nominale A3 e quello effettivo di inizio trasformazione A-->F dell'acciaio - non corrispondono: quello effettivo ha subito un abbassamento. La trasformazione A--F inizierà prima, con tempi di incubazione minori.

Figura 83 -Curva TTT per un acciaio ipo-eutettoidico con un generico trattamento isotermo Tc e Td in condizioni di trasformazione da asustenite in ferrite e perlite con differente scostamento dai punti critici.

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Curve CCT per acciai Iper-Eutettoidici La curva CCT per un acciaio ipereutettico è mostrata in fig.84.

Figura 82 -Curva TTT per un acciaio iper-eutettoidico con un generico trattamento isotermo Te.

In tal caso, le principali differenze rispetto al precedente sono evidenti per la presenza del punto critico Acm e del campo A--> C che identifica il fenomeno dello smiscelamento della cementite secondaria. Tutte le considerazioni svolte in merito al precedente diagramma ipo-eutettoidico, valgono anche per il diagramma iper-eutettoidico, a patto ovviamente di sostituire a ferrite con la cementite.

Curve di trasformazione isoterme o TTT Vengono generate con la stessa procedura di laboratorio descritta per il tracciamento delle curve TTT, con l'unica sostanziale differenza consistente nella tipologia di raffreddamento eseguito sulle lamine dell'acciaio in fase di studio; in tal caso infatti il trattamento non è isotermo, ma è con velocità variabile nel tempo. Il raffreddamento è cioè continuo, da cui discende il nome dato a questi diagrammi, in anglosassone Continuous Cooling Curves, o diagrammi CCT.

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La loro lettura si esegue con le stesse tecniche apprese per le curve TTT. Si segue cioè la curva di raffreddamento del caso di specie, si valutano le intersezioni tra la curva di raffreddamento e le curve di trasformazione dell'austenite, si leggono le relative trasformazioni per le quali transita la curva di raffreddamento e si determinano quindi le strutture trasformate a partire dalla austenite instabile. Le curve CCT risultano spostate più in basso (cioè verso la temperatura più bassa) e più a destra (cioè si hanno tempi di incubazione più lunghi) rispetto alle curve TTT. Le linee Ms ed Mf, invece, coincidono con quelle delle trasformazioni isoterme. Curve CCT per un acciaio eutettoidico Il diagramma CCT per un acciaio eutettoidico è illustrato in fig.83. Si osservi la particolarità di questo diagramma rispetto al diagramma TTT di un acciaio eutettoidico. Manca del tutto il campo di trasformazione A --> B. Il campo A -->P termina infatti con la linea indicata con 1-2 in fig.83 che ha il significato di interruzione temporanea della trasformazione; nel senso che, se una curva di raffreddamento interseca tale linea, la trasformazione dell’austenite si interrompe (cioè non si completa, lasciando in microstruttura parte di austenite non trasformata e instabile) fino a quando non si raggiungerà la temperatura Ms. Dall'istante t2 rappresentato in figura, la austenite ancora non trasformata si trasformerà in martensite. Ai fini dello studio dei trattamenti termici è importante conoscere la velocità critica superiore e la velocità critica inferiore. La prima rappresenta la velocità di raffreddamento più bassa che mi permette di ottenere una struttura completamente martensitica. La seconda, invece, rappresenta la massima velocità di raffreddamento ammissibile se voglio ottenere una struttura in cui non sia presente martensite.

Figura 83 -Curva CCT per un acciaio eutettoidico con una generica curva di raffreddamento. Il raffreddamento impostato transita per il segmento tratteggiato a-b che implica l'interruzione della trasformazione A-->P che è avvenuta tra il punto 1 e il punto 2. La trasformazione dell'austenite instabile riprende quando la curva di raffreddamento interseca la Ms (punto 3) e la Mf (punto 4). La microstruttura finale ottenuta in tal caso è Perite mista a Martensite.

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Se invece il raffreddamento procede con curva che transita a sinistra del punto a (vedi la figura 84), la microstruttura che si otterrà sarà 100% di martensite. Viceversa, se la curva di raffreddamento transita a sinistra del punto b, e quindi non taglia la linea tratteggiata a-b, la struttura che otterremo è 100% di perlite.

Figura 84 -Curva CCT per un acciaio eutettoidico con due curva di raffreddamento: una curva in grado di produrre 100% di martensite ed una più a destra del punto b che produce perlite al 100%. Nel caso le curve transitino proprio per i punti a e b, esse si dicono rispettivamente Velocità Critica Superiore, Vs, e Velocità Critica Inferiore, o Vi. La prima rappresenta la velocità di raffreddamento più bassa che mi permette di ottenere una struttura completamente martensitica. La seconda, invece, rappresenta la massima velocità di raffreddamento ammissibile se voglio ottenere una struttura in cui non sia presente martensite. Ai fini dello studio dei trattamenti termici queste due velocità sono importanti per valutare: a) la drasticità del raffreddamento opportuno che possa produrre tutta martensite al fine di esaltare la resistenza meccanica, b) viceversa conoscere il limite di drasticità per evitare di formare martensite, volendo invece esaltare le caratteristiche di tenacità e lavorabilità all macchine utensili. Curva CCT per acciai ipo-eutettoidici e iper-eutettoidici Le curve CCT per gli acciai ipo e iper-eutettoidici sono differenti dalla precedente perché vedono la comparsa di un campo chiuso di trasformazione di austenite instabile in bainite. Per il resto, si assomigliano molto, fatta ovviamente la solita eccezione riguardo il punto critico più in alto (A3 nel caso di acciaio ipo-eutettoidico, Acm nel caso di acciaio ipo-eutettoidico) e dei campi di trasformazione a più alta temperatura (il campo A--> F per l'acciaio ipo-eutettoidico e A--> C per l'acciaio iper-eutettoidico). La lettura dei due diagrammi si effettua applicando tutte le regole viste precedentemente.

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Figura 85 -a) Curva CCT per un acciaio ipo-eutettoidico; b) curva CCT per un acciaio iper-eutettoidico.

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I Trattamenti Termici Industriali

I diagrammi TTT e CCT sono gli strumenti essenziali con i quali si lavora per progettare i trattamenti termici industriali degli acciai . L'obiettivo dei trattamenti termici industriali è quello di governare tramite raffreddamenti o mantenimenti isotermi opportuni le microstrutture ottenibili, di modo da esaltare alcune caratteristiche meccaniche (es. Rm, elevata durezza, etc), piuttosto che altre ( bassa durezza per la lavorabilità, duttilità). Classificazione dei trattamenti termici industriali Ricordiamo che i trattamenti termici prevedono sempre 3 fasi:

• I riscaldamento con leggi che variano a seconda del trattamento • II mantenimento (della temperatura raggiunta) con leggi che variano a seconda del

trattamento • III raffreddamento con leggi che variano a seconda del trattamento

A seconda della temperatura di riscaldamento raggiunta, i trattamenti termici possono essere suddivisi in vari modi: trattamenti termici :

• Sopra i punti critici (cioè in fase austenitica); • Subcritici, cioè al di sotto dei punti critici (non sono coinvolte trasformazioni di

struttura)

In base alla tipologia di raffreddamento che porta alla temperatura ambiente, possono essere distinti in:

• Isotermi (le trasformazioni che interessano avvengono a causa di un mantenimento a temperatura costante)

• Anisotermi (le trasformazioni interessanti avvengono durante il raffreddamento)

Infine in merito alla porzione di materiale coinvolta, i trattamenti termici si distinguono in:

• Massivi (il trattamento interessa tutto il pezzo) • Superficiali (il trattamento termico interessa solo lo strato superficiale; i

trattamenti termochimici, ad es. di solito sono di questo tipo).

Osservazioni generali Si è visto che il valore di A3 dipende dalla composizione chimica della lega. La composizione chimica degli acciai è in pratica fissata con un certo limite di tolleranza. Ad esempio l’acciaio indicato con la sigla 39NiCrMo3 (studieremo più avanti come si legge la sigla e come lo si classifica) dovrebbe contenere lo 0,75% di Ni, ma si ritiene accettabile che il tenore di Nichel vari all’interno di questo range: 0,75 + - 0,08%. Per cautelarci rispetto a possibili errori nel calcolo di A3, teniamo quindi un margine di sicurezza che indicheremo con d: invece di raggiungere la temperatura A3 (teorica),

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raggiungeremo una struttura completamente austenitica. Oltre che per le incertezze nel calcolo di A3, un margine di sicurezza si rende necessario per il fatto che non in tutti i punti del forno avrò esattamente la stessa temperatura. E’ necessario, tuttavia, conoscere con una certa esattezza la temperatura del punto A3 nominale dell'acciaio per evitare di eccedere nell'incremento di margine per evitare che un eccessivo riscaldamento provochi gli inconvenienti già mostrati in fig.69 e che di seguito brevemente riprendiamo, specificando meglio alcuni concetti. Riscaldando un metallo a temperatura elevata e mantenendolo a questa temperatura per un certo tempo t, si provoca un ingrossamento del grano. Se inizio il raffreddamento partendo da temperature molto al di sopra di A3, le trasformazioni dell’austenite iniziano più tardi, di conseguenza le curve di trasformazione risultano spostate verso destra. Questo potrebbe essere positivo ai fini di ottenere la trasformazione A -> M con velocità di raffreddamento più blande rispetto quelle che sarebbero necessarie se si raffredda da temperature di poco superiori ad A3. In generale, però, l’ingrossamento del grano è un fenomeno da evitare poiché causa una notevole diminuzione della tenacità del materiale. Se addirittura mi avvicino alla linea del solidus, rischio di bruciare il materiale (cioè ne ho rovinato la struttura, poiché ha raggiunto condizioni di incipiente fusione). Un materiale surriscaldato è recuperabile. Un materiale bruciato è irrecuperabile e deve essere scartato per essere rispedito in fonderia (il ciclo riparte da zero, in tal caso). TRATTAMENTI TERMICI SOPRA I PUNTI CRITICI

RICOTTURA COMPLETA

Ho come scopo quello di avvicinare le condizioni del materiale a quelle di equilibrio, in particolare quindi provoca un addolcimento del materiale (che diventa così più facilmente lavorabile), elimina le tensioni interne e cancellando le conseguenze di eventuali trattamenti termici precedenti.

Prendiamo come esempio un acciaio ipo-eutettoidico. Tale trattamento può essere schematizzato come in figura 86. Questo trattamento prevede:

• Un riscaldamento a temperatura elevata T > A3 • Una permanenza prolungata a tale temperatura • Un raffreddamento molto lento condotto in forno, almeno in un primo periodo e

fino a che non si raggiunge la temperatura di 400° C; dopo può essere condotto anche più rapidamente (ad esempio togliendo il pezzo dal forno e lasciandolo raffreddare in aria.

L'obiettivo è quello di realizzare struttura Ferritico-Perlitica grossolana, come detto prossima alla struttura di equilibrio. La temperatura di austenitizzazione è di circa 40°C sopra A3 (i.e. ∆T∼40°C, vedi schema di fig.86). La durata del trattamento dipende molto dalla dimensione della sezione del pezzo/i da trattare, poiché unitamente ai temi occorrenti per la trasformazione dei cristalli in fase omogenea g che avviene dopo che tutta la massa metallica ha raggiunto la temperatura di austenitizzazione opportuna, vi è da considerare il tempo necessario affinché tutte le porzioni interne dell'acciaio siano giunte alla stessa temperatura Taust.

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Questo tempo ovviamente dipende dalla dimensione della sezione (massima) dell'oggetto da trattare, essendo governato da tempi di trasferimento di calore per conduzione interna. Generalmente una regola di buona pratica industriale impone che il tempo minimo per un pezzo di sezione equivalente cilindrica di diametro D (vedi schema in Fig.87) sia pari a 1/2 al pollice (1/2 h per inch.), misurando la distanza in pollici totali lungo il 1/2 diametro D equivalente.

Fig.86 - Schema del trattamento termico di ricottura completa di un acciaio ipo-eutettoidico.

Fig.87 - Rappresentazione del diametro massimo equivalente per il calcolo del tempo minimo di permanenza alla Taust = (A3 + ∆T).

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NORMALIZZAZIONE Ha come scopo quello di normalizzare la struttura dell'acciaio, ovverosia ottenere una struttura caratterizzata dagli stessi costituenti strutturali presenti in condizioni di equilibrio, ferrite e perlite, nel caso di un acciaio ipo-eutettoidico preso ad esempio. Di fatto il risultato sembra essere simile a quello di una ricottura, ma vi sono alcune differenze rilevanti. Anzitutto la fase di raffreddamento dopo la austenitizzazione del ciclo termico è condotto in aria, a differenza del precedente trattamento di ricottura completa. Questo permette di contenere i costi del trattamento, poiché vengono impegnati forni di riscaldo ad alta temperatura soltanto per il tempo sufficiente ad eseguire la austenitizzazione del pezzo/i. Tutta la fase di raffreddamento viene qui condotta fuori forno. La secondo sostanziale differenza consiste nella dimensione media dei grani ottenuti al termine del trattamento di normalizzazione: pur trattandosi di ferrite e perlite (sempre considerando il nostro caso tipo dell'acciaio ipo-eutettoidico), i grani hanno dimensioni medie più ridotte rispetto alla Ricottura Completa (vedi schema comparativo tra i due trattamenti in Fig.88). I grani più fini derivano dal fatto che la curva di raffreddamento seguita in Normalizzazione è più veloce e l'inizio della trasformazione A-->F e poi A-->P avvengono a più bassa temperatura, in confronto alle temperature di trasformazione analoghe della Ricottura Completa condotta sul medesimo acciaio (vedi ancora fig.88). Un raffreddamento che spinga la struttura austenitica instabile a più bassa temperatura favorisce le cinetiche di nucleazione (si formano più nuclei della nuova struttura, Ferrite ad esempio, alla temperatura in inizio A-->F), che per complementarietà sfavoriranno la fase di accrescimento (cioè i grani formatisi lungo il bordo grano dei precedenti grani austenitici sono molti di più, e non riescono ad accrescersi oltre certe dimensioni, vedi ancora lo schema di Fig.88). Dunque la sostanziale differenza in termini di dimensioni medie dei grani si ripercuote sulle caratteristiche meccaniche finali: si è visto nella prima parte del corso, riguardo i meccanismi di rafforzamento dei metalli, che grani più fini sfavoriscono il moto delle dislocazioni sia all'interno del cristallo che transgranulare, tra cristallo e cristallo. L'effetto è quindi di un innalzamento delle caratteristiche meccaniche di resistenza (es. Rm, Rsn, durezza). Tuttavia il grano più fine della normalizzazione incide positivamente anche sulla tenacità, poiché se pur vero che un grano grossolano possiede un allungamento percentuale alla prova di trazione più ampio, la tenacità per grana grossolana, diminuisce (diminuisce complessivamente l'area sottesa dalla curva s-e, indicativa dell'energia per unità di superficie immagazzinata durante la rottura del campione). Un'altra differenza rilevante rispetto alla ricottura consiste quindi nell'ottenimento di strutture più fini e più dure, rispetto quelle più grossolane e meno dure della Ricottura Completa: la conseguenza è una diminuzione della lavorabilità alle macchine utensili. Il costo del trattamento termico di Normalizzazione è minore rispetto quello della Ricottura Completa: impegnando infatti un forno ad alta temperatura per tempi contenuti (vedi ancora schema a del trattamento di normalizzazione a confronto con quello di ricottura completa in fig.88) il costo del trattamento termico è inferiore rispetto quello di una Ricottura Completa.

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La normalizzazione prevede: • Un riscaldamento a temperatura elevata, Taust. = A3 + ∆T, con ∆T ∼70°C; • Una permanenza a tale temperatura per un tempo sufficiente (i.e. circa 1/2 al pollice lungo il 1/2 diametro massimo equivalente, vedi schema di Fig.87); • Un raffreddamento in aria calma.

Fig.88 - Schema del trattamento termico di Normalizzazione in confronto al trattamento di Ricottura Completa di Fig.86 (caso di un acciaio ipo-eutettoidico). TEMPRA

Ha come scopo quello di ottenere una struttura martensitica e dunque quello esaltare le caratteristiche di resistenza dell'acciaio (Rm, Rsn, durezza), in opposizione a quanto visto per i precedenti trattamenti di Ricottura Completa e Normalizzazione.

Va subito precisato che questo trattamento conferisce all'acciaio alta resistenza e durezza per via della formazione del reticolo tetragonale distorto (tanto più distorto quanto più è alto il tenore di C aggiunto in lega), ma con un effetto collaterale di non poca rilevanza, ovverosia la bassa tenacità tipica di questo reticolo (i.e. capacità di assorbire energia internamente senza rompersi fragilmente, vedi per approfondimenti la prova di Charpy). Acciai con struttura fiale martensitica sono quindi dotati di elevata durezza e resistenza meccanica (Rm e Rsn), ma scarsa tenacità. Questo problema verrà risolto a breve, quando si discuterà di un trattamento sotto i punti critici, il rinvenimento della martensite. Per ora basti sapere che vi è un trattamento secondario che segue

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sempre la tempra degli acciai in grado di lenire il problema della scarsa tenacità ottenuta. Ritornando al trattamento di tempra, si è detto che esso ha l'obbiettivo di produrre martensite all'interno del pezzo. Pertanto il trattamento di tempra deve prevedere:

• Un riscaldamento sopra il punto A3 ad una Taust calcolata sommando ad A3 un opportuno ∆T che nella pratica è pari a: a) ∆T= 50°C se il raffreddamento è eseguito in acqua; b) ∆T= 60°C se il raffreddamento è eseguito in olio; c) ∆T = 70°C se è possibile (vedremo quando) per alcuni acciai raffreddarli in aria per ottenere martensite;

• Un mantenimento a temperatura elevata per un tempo sufficiente (i.e. 1/2h al pollice misurato sul 1/2 diametro massimo equivalente, vedi ancora fig.87) a garantire la completa trasformazione in austenite;

• Un raffreddamento molto rapido; la velocità di raffreddamento deve essere maggiore della velocità critica inferiore e per quanto possibile della velocità critica superiore (infatti l'obiettivo ideale è formare 100% di martensite al termine del raffreddamento).

È essenziale a questo punto chiarire come intervengono gli elementi di lega nell'ambito delle curve CCT (ed anche TTT, prima discusse). L'aumento degli elementi di lega, tutti, ivi compreso il carbonio, e ad eccezione del Co che ha un effetto opposto, hanno l'effetto di ritardare l'inizio delle trasformazioni, cioè in pratica di aumentare il tempo di incubazione per una struttura austenitica instabile prima di attivarne la sua trasformazione. Questo si traduce in un diagramma CCT con uno spostamento del punto di inizio trasformazione verso il basso e verso destra che avvengono in modo contemporaneo. Per meglio chiarire questo concetto, si veda lo schema di fig. 89 che riporta due diagrammi CCT di due acciai, l'uno con basso contenuto di carbonio, ad es. acciaio ipo-eutettoidico con lo 0.20 % di C, l'altro con più alto contenuto di C, nell'esempio di figura 0.4%C. Si noti ora in figura che "ritardare la trasformazione" significa far avvenire lungo la stessa traiettoria di raffreddamento la medesima trasformazione (nell'esempio di figura, A--> F) ma più in basso ed a destra all'interno diagramma cartesiano temperatura-tempo.

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Fig.89 - Spostamento delle curve di trasformazione di due acciai con differente tenore di C. Si noti che tutte le trasformazioni dell'austenite instabile avvengono per l'acciaio a maggiore contenuto di C spostate più in basso e a destra nel piano temperatura-tempo.

Dunque, sintetizzando, per effetto degli elementi di lega le curve CCT si spostano verso destra e verso il basso. Questo inizia a chiarire cosa si intende per diversi mezzi di tempra, avendo prima citato la possibilità di eseguire la tempra per l'ottenimento della struttura martensitica in acqua, olio e aria, con drasticità che diminuisce, ovviamente, passando dall'acqua all'olio e infine all'aria. Poiché si è detto più volte che la struttura martensitica si forma con distorsione reticolare, il reticolo martensitico è poco tenace: dunque diminuire la drasticità del mezzo temprante, quando possibile, è un bene ai fini della riduzione delle tensioni termiche da trattamento che potrebbero arrivare a valori tali da metter in crisi la resistenza del reticolo e produrre rotture durante la fase di drastico raffreddamento. In tal caso il pezzo sarebbe da scartare e da rimandare il fonderia, perdendo tutto il valore economico delle operazioni condotte fino a questo momento. Dunque, se la disposizione delle curve CCT dell'acciaio in questione consente agevolmente di superare la velocità critica superiore impiegando olio - proprio perché le sue curve CCT sono spostate sufficientemente a destra (ed in basso, ma qui interessa che siano spostate a destra) - il mezzo temprante da scegliere sarà quello più blando tra i due: scegliamo cioè olio proprio per ridurre al massimo le tensioni termiche che si genererebbero per un raffreddamento più drastico in acqua.

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NOTA: Taluni accia, si vedrà, sono talmente ricchi di elementi di lega il cui effetto è lo spostamento verso destra delle curve che si può anche impiegare aria come di mezzo temprante

OSSERVAZIONE: le traiettorie di raffreddamento possono essere diverse a seconda della zona del pezzo che si considera (ad esempio superficie a cuore). Si parla di tempra efficace se al cuore ha almeno il 50% di struttura martensitica.

Fig.90 - Scelta del mezzo temprante per due acciai a diverso contenuto di elementi di lega, es. diverso tenore di C. I conclusione, nonostante per l'acciaio con 0.6% di carbonio posso usare entrambi i mezzi di raffreddamento, tra i due scelgo quello meno drastico, così da alleviare le tensioni interne il più possibile. Per quanto riguarda l'acciaio 0.2%C, sono invece costretto ad impiegare come mezzo temprante l'acqua, altrimenti non riuscirei ad ottenere martensite. Tuttavia il problema del tensionamento in questo caso è meno rilevante, dato che il reticolo della martensite che s i formerà sarà a basso contenuto di C, quindi meno atomi di carbonio in posizioni interstiziali, minore distorsione reticolare

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della martensite. Una martensite a basso carbonio infatti ha ancora delle buone riserve di tenacità, per via di una limitata distorsione del suo reticolo tetragonale. Trattamenti sotto i punti critici Rinvenimento È il trattamento obbligatorio al fine di una fase di tempra, poiché serve per mitigare il problema dell'eccessiva fragilità della martensite ottenuta con la fase di tempra. Esso consiste nel posizionare il pezzo in uscita dalla vasca di tempra all'interno di un forno a temperatura inferiore ai punti critici. In genere il miglior compromesso tra resistenza meccanica e tenacità recuperata durante questo trattamento lo si ottiene eseguendo il rinvenimento di un acciaio intorno ai 600°C. temperature più elevate sono sconsigliabili perché farebbero decrescere troppo la resistenza meccanica, nostro primario obiettivo del precedente trattamento di tempra. Mentre è possibile eseguire un rinvenimento al di sotto dei 600°C, ovverosia a temperature ottimizzate per ogni classe di acciaio, come si vedrà più avanti. Ciò che accade da un punto metallurgico all'acciaio rinvenuto è di seguito spiegato. Riscaldando il pezzo temprato in forno, ad esempio a 600°C, la diffusione degli atomi viene riattivata. Il reticolo tetragonale distorto si dilata e il carbonio, anche esso aumentando la sua mobilità grazie all'incremento di T, riesce a fuoriuscire dalla cella tetragonale nella quale era rimasto imprigionato. A questo punto accadono due fenomeni, concomitati:

• la cella tetragonale inizia a richiudersi, cioè lo spigolo del parallelepipedo di fig.91 si riduce, fino al punto che il reticolo finale ottenuto è proprio i cubico corpo centrato della ferrite. La durezza e la resistenza, che come abbiamo visto è legata alla deformazione della cella, quindi diminuirebbe drasticamente, trattandosi di reticolo di ferro a;

• Fortunatamente si svolge il secondo fenomeno: gli atomi di C fuoriusciti si legano a qualunque elemento a loro affine; nel caso più semplice di acciaio al carbonio, gli atomi di C si legano al Fe formando carburi di ferro. Ma a differenza del raffreddamento lento da diagramma di stato Fe-C, in questo caso i carburi di ferro che si formano non sono placchette ma particelle submicroscopiche (i.e. precipitati) finemente dispersi. Essi sono in grado di perturbare il reticolo localmente intercettando le dislocazioni e sfavorendone il loro moto. Cioè svolgono un ruolo efficace nel rafforzare la matrice cubica a corpo centrato di Feα mediante il meccanismo di RAFFORZAMENTO PER PRECIPITAZIONE (vedi la sezione relativa ai meccanismi di rafforzamento dei metalli) . Dunque in definitiva, se pur vero che la trasformazione durante il rinvenimento del reticolo tetragonale distorto in cubico corpo centrato determina un calo di resistenza e durezza, dall'altro il fenomeno della formazione di precipitati distribuiti in matrice di Feα innalza molto la resistenza e la durezza di quella di un reticolo ccc di ferro a. Il guadagno netto di questa nuova struttura che si forma, che chiamiamo Martensite Rinvenuta, è dunque in termini di TENACITA': alla fine si ottiene il buon compromesso di resistenza meccanica e tenacità cercato.

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Fig.91 - Variazione del reticolo e della struttura durante il rinvenimento: a) prima del rinvenimento, struttura tetragonale distorta della martensite di fine tempra; b) modifica del reticolo e delle strutture a seguito del rinvenimento. Ricottura di lavorabilità Per diminuire di qualche punto la durezza di una struttura Normalizzata, si esegue successivamente alla Normalizzazione una Ricottura di Lavorabilità, in genere condotta intorno a 650°. Essa ha come scopo il miglioramento della lavorabilità poiché diminuisce le tensioni termiche che si possono essere generate durante il raffreddamento in aria. È anche in grado di aumentare - di poco, in effetti - la dimensione dei grani, se la permanenza in forno è sufficientemente ampia. Poiché segue normalmente la normalizzazione, si usa definire il complesso del ciclo termico di Normalizzazione + Ricottura di Lavorabilità con un nome proprio, ovverosia Rigenerazione (i.e. Rigenerazione = Normalizzazione + Ricottura di Lav.).

Ingrossamento del grano austenitico per surriscaldamento. Un surriscaldamento eccessivo porta il grano austenitico ad accrescersi per aumento dei fenomeni diffusivi che provocano l' "assorbimento" (in gergo, annichilimento) di grani più piccoli all'interno di grani più grossi, o anche fenomeni di coalescenza tra reticoli cristallini tra due grani adiacenti che ad elevata temperatura si allineano l'uno rispetto all'altro. Due reticoli allineati di due grani infatti non manifestano di fatto più alcuna discontinuità al bordo grano: i due grani dunque vanno a coalescere in uno più grande, unione dei due. Detto D il diametro medio dei grani dopo riscaldamento e mantenimento e D0 il diametro dei grani prima del riscaldamento, risulterà al termine del trattamento di austenitizzazione che D>Do. Sperimentalmente si è constatato che:

D2-D02=k*t Dove: t = tempo del trattamento e k= k0 *e-Q/RT D risulta quindi funzione della temperatura, della durata del mantenimento e delle caratteristiche di diffusione delle specie chimiche all'interno del reticolo (parametro k).

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Prove meccaniche: Prove di Durezza Si indica con durezza l’attitudine di un corpo ad impedire che un altro corpo lo penetri. Esse si basano quindi sull’improntatura del materiale sul quale misurare la durezza da parte di un corpo penetratore, scelto in modo da risultare il più duro tra i due, e dunque non deformabile o improntabile.

In base alla procedura di prova ed al penetratore impiegato che ha geometria e dimensioni note, distinguiamo: • Scala di durezza Brinell (normativa di riferimento UNI EN ISO 6506) • Scala di durezza Vickers (normativa di riferimento UNI EN ISO 6507) • Scala di durezza Rockwell (normativa di riferimento UNI EN ISO 6508) Prova di durezza Brinell Il valore di durezza Brinell, in simbologia HB, è definito come il rapporto tra il carico P applicato al penetratore e l’area A della proiezione della calotta sferica lasciata dall’improntatura (vedi schema in Fig.A).

Fig.A - Schema della prova di durezza Brinell.

La durezza viene indicata in scala Brinell con HB o HBS nel caso in cui il penetratore sferico sia in acciaio; con HBW nel caso il penetratore sia realizzato in carburo. La prova Brinell può essere utilizzato solo per materiali non eccessivamente duri. Se infatti la durezza del materiale fosse comparabile con quella della sfera di acciaio temprato che costituisce il penetratore dell’apparecchiatura Brinell, anche questa si deformerebbe insieme al materiale da sperimentare falsando i risultati della prova. Per poter comparare i risultati è necessario che l’angolo di penetrazione dell’impronta α sia compreso fra 120° e 151° (valore di ottimo 136°), come evidenziato in fig.B.

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Fig.B - Angolo di impronta della prova di durezza Brinell. Ciò equivale anche ad imporre che dire che il rapporto tra i diametri dell'impronta e della sfera sia compresa in un intervallo, come descritto in (eq.1): (eq.1) d/D = (cos α/2) = 0,25 ÷ 0 50 (con valore di ottimo pari a 0,375) Il mancato rispetto di questa condizione porta ad ottenere valori di durezza non confrontabili. Se questa condizione non fosse infatti rispettata, cambiando il diametro della sfera D e/o il carico applicato P, si otterrebbero valori di HB molto diversi sullo stesso materiale. Vediamo da cosa dipende. Riferiamoci ai diversi esempi possibili mostrati in Fig.c.

Fig.C - Casi di impronta con angolo molto diverso sul medesimo materiale. Si consideri, ad esempio, il caso di stesso materiale e forza molto diversa (primo caso da sinistra di Fig.c ) come nello schema riportato in Fig.D. Se la penetrazione (e di conseguenza α) è molto differente la distribuzione della forza applicata al materiale è molto differente. La modalità con cui la forza applicata viene trasmessa al materiale non è la stessa. A causa di ciò la dimensione dell’impronta non aumenta in modo proporzionale all’aumento di forza blu usata per calcolare HB. Se α è lo stesso, la porzione di sfera che penetra nel materiale è la stessa e la distribuzione della forza trasmessa al materiale è la stessa. In tal modo il rapporto fra le componenti in direzione orizzontale e verticale delle forze rosse sono le stesse e anche la modalità di applicazione del carico è la stessa.

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Fig.D - Distribuzione del carico in modalità difforme tra il caso di basso carico(basso angolo α) e alto carico (elevato α). Pertanto, per ovviare a questa apparente falsa misura, la normativa stabilisce che, noto il materiale e scelto il diametro della sfera D, viene automaticamente definito il carico esterno P in kg da applicare, in base alla relazione: (eq.2) P/D2 = cost.

La costante è diversa a seconda del materiale su cui si esegue la prova:

Costante Materiale 30 Acciai e ghise

10 Leghe di Cu dure, di Al e dimg

5 Cu e sue leghe

2,5 Metalli antifrizione

Nel caso degli acciai, ad esempio, userò una sfera di 10 mm di diametro => X/10(2) = 30 => X = 3000 kg = carico da applicare. Nel caso il carico venga imposto in Newton, la relazione (eq.2) va modificata come segue:

0,102 P /d2 = cost. In base alla misura di durezza HB si può stimare il valore del carico unitario a rottura Rm di un acciaio, mediante la semplice conversione: (eq.3) Rm ≈ 3,3*HB La (eq.3) è valida per acciai al carbonio e debolmente legati, vedi più avanti la sezione Acciai per la definizione di acciaio al carbonio e acciaio debolmente legato).

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IMPORTANTE: La prova di durezza Brinell con penetratore sferico di acciaio perde la sua validità quando la misura supera un valore di soglia, pari a circa 450 HB; in tal caso infatti la misura di durezza del materiale diventa confrontabile con quella del penetratore sferico di acciaio (sotto carico la sfera si deformerebbe falsando la misura). Per ovviare a questo problema e permettere la misura di durezza su materiali più duri dell'acciaio del penetratore sferico, si passa a scale di durezza diverse, quali ad esempio la durezza Vickers e Rockwell. Prove di durezza Vickers La punta del penetratore è di diamante, di modo che la prova possa essere eseguita anche su materiali molto duri. La punta del penetratore è a forma di piramide retta a base quadrata con angolo al vertice di 136°.

Fig.E - Distribuzione del carico in una prova Vickers. L’angolo di penetrazione dell’impronta e, di conseguenza, la distribuzione della forza trasmessa al materiale (forza rossa) sono sempre uguali e sono indipendenti dal carico applicato (forza blu). L’impronta aumenta in modo proporzionale al carico applicato al penetratore (forza blu) usato per calcolare HV. Analogamente alla durezza Brinell, la durezza Vickers è definita come: HV = P/S, ovverosia il valore di durezza Vickers è misurato come rapporto tra il carico applicato al penetratore e l’area della superficie piramidale dell’impronta. Si può determinare facilmente S misurando la diagonale della impronte per mezzo di un microscopio (l’impronta è sempre molto piccola).

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Fig.E - Schema della prova di durezza Vickers. A scala Brinell e la scala Vickers teoricamente coincidono, (anche se solo fino a 450HB, ammesso che nelle Prove Brinell sia rispettato il valore α = 136°). Come per la prova di durezza Brinell, è possibile stimare dal valore ottenuto in scala HV il carico unitario a rottura Rm di un acciaio al carbonio o debolmente legato moltiplicando il valore HV per il fattore 3,3 (Rm ≈ 3,3*HV). Vantaggi della prova Vickers •Il carico P può essere qualsiasi, essendo la similitudine automaticamente rispettata (α sempre pari a 136°) •Il diamante consente di testare materiali molto duri •Possibilità di ottenere impronte di piccole dimensioni e di testare campioni di dimensioni limitate. È possibile indagare localmente la durezza di fasi e costituenti strutturali. Svantaggi della prova Vickers •Maggior cura nella preparazione della superficie dei campioni (specialmente se l’impronta è piccola) •Non può essere eseguita su materiali disomogenei, dato che l'impronta è molto piccola, risentirebbe di forti variazioni locali. La durezza Brinell permette al contrario di avere valori mediati anche in caso di alta variabilità da zona a zona. Prova Rockwell Il valore di durezza Rockwell non ha un significato fisico come nella prova HB o HV, ma è valutato come affondamento del penetratore (di diversa geometria, vedi Fig.H) sotto un determinato carico. La procedura di esecuzione prevede (Fig.F):

1. Si appoggia il penetratore sul pezzo e si applica un precarico F0 (sempre di 10 Kg) per l’assestamento;

2. si azzera il comparatore che misura l’affondamento del penetratore (zero macchina). 3. Si applica il carico vero e proprio F1 (diverso a seconda della prova).

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4. Dopo 10s si toglie F1 e si misura l’affondamento.

Fig.F - Schema della prova di durezza Rockwell.

Fig.H - Tipi di (scale) prove Rockwell Precarico: 10Kg. Le scale A, C, D sono usate per materiali molto duri; C è sconsigliata se il materiale è troppo duro (il carico elevato può Danneggiare il penetratore). Per durezze < 20 HRC è consigliabile usare la HRB.

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Prove meccaniche: Prova Charpy per la misura della tenacità del materiale (detta impropriamente prova di resilienza) La prova Charpy permette di caratterizzare il comportamento TENACE di un materiale, ovverosia la capacità di assorbire energia prima di rompersi soggetto ad una sollecitazione dinamica impulsiva ed in presenza di geometria intagliata. La proprietà TENACITA' non va confusa con la RESILIENZA, che è invece la capacità di un materiale di assorbire energia di deformazione elastica, quindi misurabile fino al regime delle grandi deformazioni (i.e. oltre il Rs). Tuttavia è frequente il nome un po’ improprio di Prova di Resilienza che viene ancora dato a questa prova su molti testi italiani. Per evitare di impiegare termini poco coerenti, si decide di chiamare questa prova Charpy (dal nome di chi l'ha sviluppata) oppure prova di tenacità. La macchina di prova consiste in un pendolo con una mazza battente di peso assegnato (fig.A). La mazza viene portata in posizione di carico (vedi fig.A) e viene bloccata per permettere l'alloggiamento del provino di materiale intagliato nel punto di minimo della traiettoria della mazza.

Fig.A - Schema dell'apparato di prova e geometria dei provini intagliati impiegati nella prova di resilienza. La mazza quindi viene rilasciata. Per gravità, l'energia potenziale all'istante t=0 (mazza bloccata in posizione alta) si trasforma in cinetica. La mazza urta contro il provino provocandone la rottura e risale ad una certa quota (Fig.B). La differenza tra le quote permette il calcolo della energia assorbita durante l'impatto, sotto-forma di energia di rottura del materiale con il quale è preparato il provino standard. La misura della prova Charpy è espressa in Joule (oppure, più raramente, in Joule/cm2). Simbolicamente il risultato della prova si esprime con il numero che indica i Joule registrati in prova seguito dalla scala che prende il nome dalla tipologia di provino usato. Ad esempio, impiegando il provino con intaglio a V, e registrando 45 Joule in prova di resilienza, si indicherà in KV=40 Joule il valore di resilienza del materiale.

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Fig.B - Misura dell'energia immagazzinata dalla rottura del materiale. Durante la prova Charpy condotta su un materiale metallico si possono manifestare due tipi di rotture:

• Rotture TENACI, cioè caratterizzate da una superficie di frattura di tipo duttile e con ampie deformazioni plastiche visibili già ad occhio nudo localizzate in corrispondenza della superficie con l'intaglio (che fa da invito alla rottura); la prova registra in tal caso elevati valori di tenacità (i.e. alti valori in scala Joule).

• Rotture di tipo FRAGILE, caratterizzate da nulle (o quasi nulle) deformazioni plastiche osservabili sulla superficie di rottura del provino; la prova registra in tal caso bassi (o quasi nulli) valori di tenacità (i.e. bassi valori in scala Joule).

La natura della microstruttura dell'acciaio a temperatura ambiente è il fattore determinante per avere una rottura TENACE o FRAGILE; ad esempio:

• Sarà molto tenace quando verrà testato un provino fatto da una microstruttura duttile (prima condizione per ottenere alta tenacità alla rottura, cioè marcate deformazioni plastiche in fase di rottura = alta energia assorbita) come ad esempio un acciaio a bassissimo carbonio con molta FERRITE e poca PERLITE;

• Sarà molto fragile nel caso venga testato un acciaio ad alto C costituito da una microstruttura a reticolo tetragonale distorto (i.e. martensite ad alto C);

Tuttavia si osserva che anche un materiale duttile, abbassando la temperatura cui viene condotta la prova Charpy al di sotto certi valori di soglia (variabili in funzione della composizione chimica e principalmente del tenore di carbonio), il provino esibisce rotture

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fragili (a bassa energia) nonostante nella prova Charpy condotta a temperatura ambiente questo stesso materiale esibiva un comportamento tenace, ad alta energia di rottura. Questo fenomeno, chiamato transizione duttile-fragile, del quale è responsabile la bassa temperatura (perché riduce fortemente la vibrazione degli atomi e la possibilità di scorrimento delle dislocazioni) è ben evidente nel diagramma di Fig.C che rappresenta genericamente il risultato di una curva di tenacità del materiale realizzato con prove di tenacità singole condotte a temperatura variabile, da temperatura sopra la Tambiente a bassa temperatura. Poiché il fenomeno della transizione duttile-fragile (tenace-fragile) si evidenzia per via dell'inibizione al moto delle dislocazioni per effetto termico, va da se che reticoli con moto delle dislocazioni sfavorito partono da valori di tenacità più bassi e mostrano il fenomeno della transizione a temperature più elevate. Ciò è ben evidente se si sovrappongono curve di tenacità di diversi acciai al carbonio con tenore di carbonio crescente (vedi Fig.D).

Fig.C - Curva di tenacità in temperatura con in evidenza la temperatura di transizione Ttr.

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Fig.D - Prove di tenacità in temperatura di acciai con tenore di carbonio variabile.

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Parte II – Gli Acciai Speciali e loro trattamento

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Rinvenimento degli acciai Note aggiuntive sull'effetto della temperatura di rinvenimento

Come visto nella sezione precedente, il rinvenimento è dunque un trattamento termico eseguito ad una temperatura inferiore a quella dei punti critici con il duplice scopo di: • Attenuare le tensioni interne, • Attenuare l’eccessiva fragilità della struttura martensitica. Il rinvenimento provoca una diminuzione della durezza ed un aumento della tenacità. In questo paragrafo approfondiamo a quali livelli di temperatura in genere si opera per i diversi acciai. Infatti la diversa temperatura di rinvenimento dipende dal tipo di acciaio, o meglio dire, dagli scopi particolari che si vogliono raggiungere con quel particolare acciaio. Questo concetto verrà rifinito e definitivamente compreso quando affronteremo la parte relativa alla Classificazione degli Acciai Speciali. Per ora pertanto è sufficiente iniziare a conoscere le 4 tipologie di rinvenimento che vengono usualmente impiegate per gli Acciai Speciali, ovverosia:

• Rinvenimento a bassa temperatura a 150°C (detto anche distensione); • Rinvenimento a 200°C; • Rinvenimento a 450° C; • Rinvenimento a 600° C.

Ma perché si impiegano proprio queste 4 temperature per il rinvenimento degli acciai e quale diverso effetto procura sull'acciaio appena temprato condurre un rinvenimento a temperatura variabile? Influenza della temperatura di rinvenimento di una struttura martensitica Gli effetti del rinvenimento sono tanto più sensibili quanto è maggiore la temperatura a cui tale raffreddamento è eseguito. Di solito come temperatura di rinvenimento si sceglie quella che dà il miglior compromesso tra le caratteristiche di durezza e resistenza e quelle di tenacità e deformabilità.

Fig.91 - Andamento qualitativo delle caratteristiche meccaniche di un acciaio temprato e rinvenuto a diverse temperature.

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Spieghiamo l’andamento delle curve in Fig.91. Come sappiamo, riscaldando si fornisce energia vibrazionale agli atomi, sia Fe che C. La combinazione dei due effetti, ovverosia la dilatazione del reticolo tetragonale di base (dovuta ad aumentata vibrazione sul posto degli tomi di Fe) e l'aumentata mobilità del C favorisce il suo fuoriuscire dalle posizioni interstiziali all'interno del reticolo tetragonale distorto, dove vi era rimasto imprigionato durante la fase di tempra. La cella diventa dunque meno deformata e la durezza, che come abbiamo visto è legata alla deformazione della cella perché la deformazione reticolare inibisce il transito di piani dislocativi, diminuisce. L'abbassamento di durezza, e quindi di tutte le caratteristiche meccaniche resistenziali (e.g. Rm, Rsn), è infatti evidente nel diagramma qualitativo di Fig.91. Ad un abbassamento della resistenza meccanica, fa da contropartita un innalzamento delle caratteristiche duttili (A%) e quelle di tenacità (KV), tra loro in stretta correlazione. Ovviamente questo effetto complementare è sempre "governato" dalla mobilità dei piani dislocativi: dato che il rinvenimento a 600°C consente la fuoriuscita del carbonio dal reticolo tetragonale e la sua trasformazione in reticolo cubico corpo centrato (ccc), il recupero di mobilità delle dislocazioni è notevole. Ovviamente la caduta di caratteristiche meccaniche è "bilanciata" dalla formazione di carburi dispersi in particelle (di Fe3C, se non vi sono altri elementi affini con il C più del Fe) di forma globulare molto piccole, sub-microscopiche ed in grado di perturbare il nuovo reticolo ccc formatosi per opporsi quanto possibile al moto delle dislocazioni. Vediamo allora, partendo dal rinvenimento classico a 600°C cosa accade per rinvenimenti a temperature più basse. Le diverse temperature di rinvenimento innescano diversi fenomeni metallurgici, in particolare:

• 100 / 250° C--> Inizia a precipitare del carburo di ferro con una stechiometria non ben definita, FexC o carburo ε;

• 200 / 300° C--> si assiste alla trasformazione dell’austenite residua eventualmente presente in Bainite. Può capitare che il punto Mf sia al di sotto delle temperature ordinarie, in funzione della analisi chimica dell'acciaio (più l'analisi chimica è ricca di elementi di lega, ivi compreso il C, più le curve CCT si spostano verso destra ma anche verso il basso). In questo caso, ultimata la tempra, può accadere che a temperatura ambiente rimane ancora una certa quantità di austenite che non si è trasformata in martensite. Questo rinvenimento permette di trasformare l’austenite residua in bainite, che è un costituente molto più duro dell’austenite. Ciò che si ottiene ottengo è un aumento di qualche punto di durezza. Tanto più la percentuale di austenite residua è alta, tanto più evidente sarà il recupero di durezza rispetto la condizione di struttura appena temprata (vedi schema di Fig.92).

• 250 / 350° C, intervallo nel quale si assiste alla precipitazione di Fe3C sotto forma di placchette a bastoncelle;

• 400 / 600° C, prosegue la precipitazione di Fe3C, questa volta sotto forma globulare. Come visto già, quando è uscito tutto il carbonio, da una struttura tetragonale originaria torno ad una struttura cubica a corpo centrato ccc.

• 500 / 600° C; se l’acciaio è fortemente legato con metalli che abbiano grande affinità con il carbonio (ad es. W, Mo, Cr, Ti) allora a queste temperature si verifica la formazione di carburi di questi metalli. Tali carburi hanno dimensioni molto limitate e sono omogeneamente dispersi nella matrice e incrementano molto le caratteristiche meccaniche intorno a questa finestra di trattamento (vedi fig.93). Questo andamento è qui mostrato per completezza di discussione ed è tipico di acciai per utensili, che però non sono oggetto di questo corso che si limiterà a trattare gli Acciai Speciali.

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• 600 / 700° C, si assiste alla coalescenza dei carburi; i carburi finissimi tendono a raggrupparsi tra di loro generando particelle più grossolane. Diminuiscono quindi le caratteristiche di resistenza (il rafforzamento è tanto più evidente quanto più sono piccole le particelle disperse nella matrice).

Fig.92 - Andamento qualitativo delle caratteristiche meccaniche di un acciaio temprato e rinvenuto a diverse temperature, con un picco intorno ai 200°C dovuto alla trasformazione in Bainite di una considerevole percentuale di Austenite residua rimasta non trasformata a causa di uno spostamento sotto la temperatura ambiente della temperatura critica Mf.

Fig.92 - Andamento qualitativo delle caratteristiche meccaniche di un acciaio temprato e rinvenuto a diverse temperature, con un picco intorno ai 500°C-600°C dovuto alla formazione di molti carburi complessi (cioè misti con altri elementi presenti in lega, come Cr, V, Ti, W, etc.) e stabili ad alta temperatura finemente dispersi in matrice.

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Influenza del tempo L’influenza delle durata del rinvenimento sulle caratteristiche meccaniche è molto meno evidente dell’influenza della temperatura. In fig.93 a titolo di esempio è mostrato come varia il carico di rottura col tempo nel caso di rinvenimento eseguito a 570° C oppure a 640° C.

Fig.93 - Andamento qualitativo delle caratteristiche meccaniche di un acciaio temprato e rinvenuto a diverse temperature e con tempi di rinvenimento variabili. Cadute sensibili si registrano solo a temperature elevate e sono localizzate nelle prime ore. Per temperature di rinvenimento inferiori ai 500° C occorrono invece moltissime ore perché si abbia un decadimento apprezzabile delle caratteristiche meccaniche. In definitiva, le variabili operative da cui dipendono i risultati del rinvenimento sono dunque due: temperatura e tempo. Il fenomeno della fragilità da rinvenimento degli acciai al Cr e Cr-Mn Questo fenomeno, conosciuto anche col nome di malattia di Krupp, interessa particolarmente gli acciai debolmente legati al Cr o al Cr-Mn contenenti impurezze che vengano soggetti ad un rinvenimento intorno ai 600°C dopo la fase di tempra, detto anche trattamento di bonifica. Si osserva per questi acciai che a seconda del mezzo di raffreddamento usato, cioè della rapidità del raffreddamento fuori forno, il comportamento del materiale nei confronti della tenacità è quello in fig.94.

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Fig.94 - Andamento delle curve di transizione di un acciaio al Cr o Cr-Mn che soffre del problema della fragilità da rinvenimento. E’ evidente dal diagramma di fig.24 che il tipo di raffreddamento post rinvenimento influenza inaspettatamente il comportamento del materiale dal punto di vista della fragilità. Se raffreddo in acqua infatti ottengo un materiale tenace anche alla basse temperature. Proseguiamo con i nostri esperimenti. Se facciamo un trattamento termico a temperatura inferiore di quella dell’ultimo trattamento eseguito, non modifichiamo la struttura iniziale. Se quindi sottoponiamo un materiale che ha subito un trattamento di bonifica ad un secondo rinvenimento a temperatura inferiore a 600° C, non dovremmo poter notare dei cambiamenti nel comportamento del materiale. Tuttavia, se il secondo rinvenimento è eseguito su questi acciai nel range di temperatura 500-525° C, si registra un notevole calo del valore della resilienza (fig.95).

Fig.95 - Andamento della tenacità in funzione della temperatura di un secondo rinvenimento eseguito su un acciaio al Cr o Cr-Mn che soffre del problema della fragilità da rinvenimento. Un raffreddamento veloce comporterà invece una permanenza minore nell’intervallo pericoloso (fig.96), spiegando i risultati del grafico in fig.94.

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Fig.96 - Tempi di transito dall'intervallo critico intorno.

Il fenomeno della fragilità di rinvenimento è tuttavia reversibile: se si sbaglia cioè la temperatura di rinvenimento oppure la velocità di raffreddamento, ottenendo un materiale fragile, è possibile rimediare ripetendo il rinvenimento in maniera corretta. L’aggiunta di Molibdeno in piccole percentuali (0,2%) è sufficiente a rendere questi acciai insensibili al fenomeno della fragilità di rinvenimento. Pertanto, nel caso si debbano rinvenire acciai da bonifica al Cr o al Cr-Mn, il raffreddamento deve avvenire in acqua; soltanto con l'aggiunta in lega di Mo il raffreddamento di questi acciai può essere più blando e condotto in aria. Solo con l'avvento della microscopia elettronica si è riusciti ad indagare sulle cause della fragilità di rinvenimento che sostanzialmente dipendono da: - Fenomeni di segregazioni di impurezze (soprattutto ai bordi di grano); - Precipitazione di carburi di Cr e Mn (anche questi ai bordi di grano). Poiché entrambi i fenomeni avvengono nell'intervallo critico 500-525°C ma hanno necessità di cinetiche minime, l'elevata velocità di transito nell'intorno di queste temperature non consente che i fenomeni di precipitazione a bordo grano si completino.

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Temprabilità degli acciai In questa sezione parleremo di temprabilità degli acciai, cosa è e come si misura attraverso la prova standard "Jominy". Anzitutto partiamo dal definire cosa si debba intendere con il termine TEMBRABILITA' per un acciaio. La temprabilità è l'attitudine di un acciaio a prendere tempra (trasformarsi in martensite) all'interno del pezzo. Certamente essa è - per come viene definita - legata alla posizione delle curve CCT dell'acciaio: come mostrato in Fig.90, l'aggiunta di elementi di lega (tutti ad eccezione del cobalto) favorisce lo spostamento delle curve CCT verso destra, permettendo all'acciaio quindi di essere temprato. Ma va però rifinito meglio il concetto di temprabilità considerando non più delle laminette sottili impiegate in laboratorio per il tracciamento e lo studio delle curve CCT di un acciaio. A livello industriale ci interessa infatti prevedere le strutture finali dopo un raffreddamento condotto su un pezzo massivo, ad esempio una barra cilindrica, e non di lamine di spessore ridotto che sono volutamente impiegate in fase di elaborazione delle curve CCT proprio per eliminare il problema delle inerzie termiche che si generano sempre all'interno di un pezzo quando esso viene immerso in una vasca di raffreddamento dopo la sua estrazione dal forno di austenitizzazione. Le inerzie termiche dipendono essenzialmente dal fatto che a ridosso dell'epidermide del pezzo ad alta temperatura lo scambio termico con il mezzo temprante avviene rapidamente e per fenomeni convettivi, mentre all'interno della sezione il calore viene estratto per fenomeni conduttivi (più lenti)dal cuore verso la superficie che si sta raffreddando a diretto contatto con il mezzo temprante. Il problema derivante dalla difformità di raffreddamento tra superficie (traiettoria 1) e cuore (traiettoria 3) della barra di Fig.97 è dunque ben evidenziabile in base allo stesso diagramma di Fig.94, quando esso lo si legga in termini di microstrutture prodotte al termine del raffreddamento di tutte le sue porzioni più interne.

Fig.97 - Andamento delle curve di raffreddamento reali su una sezione interna di una barra cilindrica a diametro finito.

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Mentre infatti si è riusciti a trasformare le zone epidermiche del pezzo in martensite, ciò non vale per le areole circonferenziali concentriche nell'intorno del punto 2 (la struttura ottenuta con il raffreddamento 2 è infatti mista, F+P+B+M), né tantomeno vi è produzione di martensite a cuore (i.e. traiettoria 3) che invece si realizza tutto in F+P. Uno dei principali effetti collaterali dannosi per la bontà del trattamento di tempra risiede infatti in una elevata difformità di microstrutture che si possono trasformare durante il rapido raffreddamento condotto in un mezzo di tempra. Si rimandano ad altro corso di metallurgia avanzato i dettagli dei complessi fenomeni che avvengono in fase di raffreddamento per acciai scarsamente temprabili, cioè di tutti quegli acciai per i quali per una data sezione minima si iniziano a svolgere in fase di tempra trasformazioni dell'austenite instabile in microstrutture molto variegate come nell'esempio di Fig.97. Tuttavia ai fini degli argomenti del corso che tratteremo segnaliamo soltanto i termini generali il fenomeno che avviene in fase di raffreddamento per pezzi che vedono le proprie traiettorie di raffreddamento molto discoste tra loro (i.e. pezzi di medio e grosso diametro), ovverosia le traiettorie della superficie e del cuore sono allo stesso istante di tempo "distanti" in termini di temperatura istantanea. Anzitutto va segnalato che nella trasformazione da reticolo CFC austenitico a tetragonale distorto martensitico, la cella elementare aumenta di volume. Questo di fatto è già a noi noto: sappiamo infatti che durante il rapido raffreddamento con blocco della diffusione di atomi di C, il reticolo CFC austenitico non ha il tempo di: 1) contrarsi per effetto termico (si sta raffreddando, dunque la sua dilatazione per effetto termico - vibrazione sul posto di atomi di Fe - diminuisce); 2) nucleare a bordo dei grani austenitici la nuova struttura BCC con riassetto degli atomi d C nelle nuove posizioni interstiziali tipiche del BCC (la diffusione del C è azzerata). In definitiva, ciò che qui preme ricordare è l'effetto combinato dei due fenomeni 1) e 2): il reticolo martensitico tetragonale distorto si forma con dilatazione volumetrica rispetto al CFC da cui si origina ed in più è molto resistente. Ora, consideriamo che, in base al raffreddamento difforme tra superficie e cuore (vedi Fig.98) vi siano a diversi istanti di tempo areole circonferenziali (parliamo di areole circonferenziali per continuare l'esempio della barra cilindrica) di materiale contigue tra loro che si trovano però in condizioni di trasformazione reticolare molto dissimili, ovverosia: a) quelle più esterne, verso la superficie, in condizioni di martensite trasformata, b) quelle più interne in condizioni di austenite instabile, molto cedevole (ha uno snervamento, per di più a caldo, molto basso). In figura lo schema della barra mostra infatti che ad un determinato istante di tempo t1, la superficie si è trasformata già in martensite, dura e rigida al tempo stesso, mentre il cuore è ancora in fase austenitica (instabile), molto cedevole perché possiede il CFC elevata deformabilità e bassissima resistenza allo snervamento. Ora si sommi allo schema di Fig.98 anche l'effetto dell'aumento volumetrico dovuto alla trasformazione subita dalle zone esterne superficiali nel loro passaggio (A) --> M; come detto, questa trasformazione avviene con aumento del volume reticolare. L'effetto finale all'istante di tempo t1 è dunque il seguente:

a. l'areola (o "anello", per semplificare lo schema) circonferenziale esterna si trasforma in martensite, dilatandosi circonferenzialmente (i.e. aumenta il suo diametro interno Di ed esterno De);

b. Mentre il diametro interno Di, quello contiguo con la zona interna che è ancora austenitica, aumenta, la zona interna austenitica "cede plasticamente" e segue questa dilatazione dell'anello martensitico. Tuttavia, appena la porzione interna all'istante t1 austenitica incorerà nella trasformazione martensitica (spostiamoci sullo schema all'istante t2), anche l'anello

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interno ex-austenitico vorrà dilatarsi. Poiché esso risulta impedito nella sua libera dilatazione volumetrica dall'anello esterno martensitico già rigido formatosi all'istate t1, il risultato è il seguente:

a. l'anello interno martensitico di fresca trasformazione "vorrebbe" dilatarsi liberamente, ma non può, essendo costretto nella sua posizione dal guscio rigido esterno già formato;

b. Contestualmente, l'anello esterno che ha già definito il suo finale "assetto" all'istante t1, viene sollecitato con una sorta di pressione interna dovuta al tentativo dell'anello interno di dilatarsi circonferenzialmente. Le due azioni 1) e 2) generano cioè nell'anello esterno delle tensioni residue da trattamento termico di trazione circonferenziale, mentre nell'anello interno esse si generano in segno opposto, di compressione: una volta che il pezzo si è assestato e si è portato omogeneamente a temperatura ambiente, il risultato può essere di tre tipi i seguito elencate per crescente livello di difettosità che dipendono essenzialmente dall'entità delle tensioni residue sopra citate, dalla resistenza meccanica del materiale e dalla geometria locale del componente (cioè per pezzi a geometria complessa e grosse variazione di sezione del componente; tale questione tecnologica non viene però affrontata in questo corso di base): i) le diverse dilatazioni subite in ultimo delle areole sono blande e determinano solo uno stato di tensione interna al pezzo, auto-bilanciato tra tensioni circonferenziali di trazione e di compressione sviluppatesi; ii) le dilatazioni volumetriche e le tensioni sviluppate di conseguenza sono elevate al punto che internamente il materiale subisce locali deformazioni platiche, cioè è stato superato il suo carico Rsn. Questo determina locali variazioni irreversibili di geometria (i.e. deformazione plastica del materiale in alcune zone), che a loro volta macroscopicamente determinano una non perfetta geometria "a disegno" del pezzo temprato; in alcune zone cioè il pezzo risulterà "fuori tolleranza" dimensionale. Si parla in tal caso di distorsioni da trattamento di tempra.

c. In aggiunta al fenomeno già descritto in ii), le tensioni sono talmente elevate che durante la fase di tempra, la martensite trasformatasi per prima, non appena l'anello interno (sempre in riferimento al nostro esempio di fig.98) prova a dilatarsi, cede e si rompe con comportamento fragile intergranulare (i.e. cedono i bordi di grano del tetragonale distorto). Si parla in tal caso di cricche da tempra. Questa è la condizione tra le 3 peggiore poiché ovviamente non recuperabile. Il pezzo in tal caso deve essere rimandato in fonderia per il recupero del materiale come rottame, e tutte le lavorazioni fino a quale punto eseguite vengono a non esser più assorbite dal valore che si stava generando, non più ovviamente portato sul mercato.

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Fig.98 - Effetto delle diverse traiettorie di raffreddamento sullo stato finale di tensionamento residuo finale di una barra di acciaio.

Riuscire dunque a temprare integralmente la barra del nostro esempio di fig.97 e fig.98, cioè spingere la martensite fino al cuore del pezzo, è benefico sia ai fini di omogeneizzare la struttura finale aumentandone le caratteristiche meccaniche fin all'interno della sezione, sia riducendo al minimo le tensioni residue dovute alle dilatazioni disuniformi istantanee prima discusse. Come possiamo quindi spingere la trasformazione di martensite quanto più possibile all'interno del pezzo? È proprio l'analisi chimica che viene in aiuto in tal senso: l'aumento degli elementi di lega, come noto, sposta le curve CCT verso destra e verso il basso, ma ciò che più conta ai fini della temprabilità è proprio l'effetto del loro spostamento verso destra. L'aumento degli elementi di lega, ivi compreso il carbonio, determina dunque un aumento della temprabilità di un acciaio. Rimane tuttavia il problema di valutare e quantificare in modo comparativo la temprabilità tra acciaio ed acciaio. Per misurare la temprabilità degli acciai, oppure semplicemente per caratterizzare la temprabilità di una colata prodotta in fonderia al fine che si possa ritenere effettivamente in accordo con gli standard fissati da normative di designazione acciai che più avanti incontreremo, si impiega solitamente la prova Jominy, o prova di temprabilità di un acciaio.

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La PROVA JOMINY o prova per la temprabilità di un acciaio

Per questa prova viene impiegato un campione, avente la forma e le dimensioni standardizzate ed indicate in fig.99. L'importanza della standardizzazione delle dimensioni e geometrie del campione risiede nel fatto che l'unica variabile qui da considerare, con effetto sulla temprabilità appunto, è l'analisi chimica dell'acciaio. Poiché infatti la variabilità di microstrutture ottenute all'interno di un pezzo (vedi ancora fig.97) dipende tanto dalla posizione delle curve CCT quanto dalla geometria del pezzo (i.e. dalla posizione del fascio di curve di raffreddamento), bloccando la geometria del pezzo, il problema della valutazione della temprabilità attraverso la formazione di più o meno martensite si riduce all'unica variabile "posizione delle curve CCT", cioè alla analisi chimica dell'acciaio che di fatto la governa. Questo metodo prevede dapprima l'inserimento in forno di una provetta standard le cui dimensioni e geometrie sono evidenziate in Fig.99. Si esegue quindi un riscaldo fino a raggiungere la temperatura di austenitizzazione dell'acciaio di costituzione del provino, cioè l'acciaio per il quale si vuole misurare la temprabilità. Non appena il provino ha terminato la sua omogena austenitizzazione, si estrae dal forno e si posiziona rapidamente sul supporto evidenziato in fig.99. A questo punto viene eseguito un raffreddamento calibrato, attraverso un ugello dal quale fuoriesce un getto d’acqua di intensità e temperatura opportuna. Anche la diposizione dell’ugello rispetto alla provetta è ben definita (fig.99). L'acqua di tempra impatta soltanto la base inferiore del provino, e lo schema di prova è proprio mirato a non far fluire alcun filetto fluido lungo la superficie cilindrica. Soltanto la base del provino è quindi investita direttamente dall'acqua. Il provino raffreddato in questa maniera risulta sottoposto a velocità di raffreddamento diverse che diminuiscono man mano che ci allontaniamo dalla base del provino direttamente colpita dal getto d’acqua. A raffreddamento avvenuto si misura la variazione della durezza lungo una generatrice della superficie cilindrica; per rendere più agevole la rilevazione della durezza, due generatrici opposte del provino vengono fresate in modo da ottenere due superfici piane, l'una di appoggio sotto lo strumento durometro, l'altra opposta dove vengono eseguite e prove di durezza. I risultati di questa operazione vengono riportati su un diagramma. Si ottiene così la curva di temprabilità o curva di Jominy dell’acciaio preso in esame. In fig.100 ne è riportato un esempio comprensivo della spiegazione del perché la curva di temprabilità rappresentata in figura parta con valori elevati e decade man mano che ci si allontana dalla base del provino Jominy.

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Fig.99 - Schema della prova Jominy comprensiva di provetta standard, supporto ed ugello di uscita dell'acqua di tempra.

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Fig.100 - Correlazione tra l'andamento delle durezze nella prova di temprabilità (grafico Jominy o di temprabilità in alto) e le trasformazioni avvenute in base alla curve CCT dell'acciaio.

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Ora confrontiamo due curve Jominy, di due acciai diversi, come quelle riportate in Fig.101. La curva 1 si riferisce ad una acciaio maggiormente temprabile: infatti la durezza diminuisce gradualmente sintomo questo che la martensite e strutture più dure, come la bainite, riescono a spingersi a distanze maggiori dalla base temprata. Ci si deve attendere dunque che le curve CCT dell'acciaio 1 sono spostate più a destra rispetto quelle dell'acciaio 2. D'altra parte la curva 2 rappresenta, per confronto con la 1, un acciaio meno temprabile perché meno legato con altri elementi di lega, ma esso possiede una maggiore percentuale di carbonio. Ciò lo si evince dal fatto che la durezza della martensite NON rinvenuta (cioè proprio quella generata sulla base temprata del provino Jominy investito dall'acqua) dipende essenzialmente dal contenuto di carbonio che determina l'entità della distorsione del reticolo tetragonale.

Fig.101 - Confronto tra la curve Jominy di due acciai: 1) acciaio a più alto carbonio, ma minore tenore percentuale di altri elementi di lega; 2) acciaio con minore carbonio ma maggiormente legato.

Si segnala, per completezza, che le tabelle normative per ogni acciaio vengono riportate due curve Jominy: ciascuna corrisponde alle estremità di variabilità che viene ammessa per la composizione chimica dell'acciaio come esso viene accettato dalla normativa. In tal modo risulta individuata l'intera banda di variabilità della prova Jominy come essa viene ammessa in base alla tolleranza di composizione chimica che viene accettata dalla normativa di riferimento (Fig.102).

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Fig.102- Esempio di una reale curva di temprabilità come appare nelle tabelle normate degli acciai.

Designazione degli acciai Per designazione degli acciai intendiamo descrivere la procedura in accordo con la normativa Comunitaria EN 10027-1 in base alla quale viene definita la sigla specifica degli acciai. Designare un acciaio in pratica equivale ad assegnarli i corretto nome, oppure, viceversa, leggerne la sigla per derivare le principali caratteristiche meccaniche, di impiego e/o di composizione chimica che la sigla stessa comunica. La normativa distingue anzitutto gli acciaio in due macro Gruppi, Gruppo I e Gruppo II; la distinzione avviene come segue. Acciai del GRUPPO I Agli acciai del Gruppo I appartengono acciai che vengono designati in base al loro impiego e alle caratteristiche meccaniche minime garantite, per quel particolare impiego. NON sono acciai da trattamento termico nel senso che i genere sono posti in esercizio allo stato normalizzato o ricotto, o comunque venduti su mercato con il trattamento finale eseguito direttamente dal produttore. Questi acciai non vengono trattati termicamente con cicli successivi perché da un lato il loro costo deve essere mantenuto particolarmente basso, dall'altro già la definizione dell'impiego e la definizione delle caratteristiche meccaniche minime garantite permettono all'utilizzatore di impiegarlo allo stato di fornitura. È questo il tipico caso di acciai da carpenteria (travi a H, ad I, etc.), di tondini da cemento armato, di acciai per armamento ferroviario (es. binari ferroviaria), ecc.

Come si designano Gli acciai I Gruppo si designano come segue: X nnn

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Ovverosia una lettera seguita da un numero, qui sopra genericamente definiti dalla generica lettera "X", e dal generico numero "nnn". La lettera "X" è definita da normativa in base all'impiego. Di seguito alcune delle lettere indicanti gli impieghi, con evidenziati in grassetto i principali da tenere in considerazione: B - acciai per calcestruzzo armato ordinario; P - acciai per impieghi sotto pressione; R - acciai per rotaie; S - acciai per impieghi strutturali (carpenterie metalliche); La stessa normativa stabilisce quale debba essere la caratteristica meccanica con l'indicazione quantificata della soglia minima garantita da introdurre come seconda parte della sigla (cioè i numeri "nnn"). Ad esempio, l'acciaio S 235 identifica: S: acciaio per impieghi strutturali; 235: Rsn (carico unitario a snervamento) minimo garantito in MPa; Oppure, l'acciaio R 200 identifica: R: impieghi per rotaie 200: minima durezza superficiale in HB Gli acciai del GRUPPO I vengono classificati (cioè raggruppati in classi) in 3 classi: bassa, media e alta resistenza, in base alla loro resistenza meccanica. Il carbonio è pressoché uguale in tutti i 3 gruppi, e ciò che varia è invece il tenore di silicio e manganese:

• Acciai a bassa resistenza con percentuale di silicio minore a 0,4; • Acciai a media resistenza hanno percentuali di silicio tra 0,4 e 0,8;

Perché si chiamano così perché il silicio ha quasi lo stesso effetto del carbonio, poiché va in soluzione nel reticolo del ferro α e lo distorce localmente aumentandone la resistenza, senza però impattare sui punti critici e sulle trasformazioni di fase;

• Acciai ad alta resistenza percentuale di silicio maggiore tra 0,8 e 1,6 e c'è presente il manganese maggiore dell'1,65 percento che aumenta ulteriormente la resistenza.

*** Acciai del GRUPPO II Al GRUPPO II invece appartengono gli acciai adatti per il trattamento termico. Ciò significa che l'ottimizzazione delle caratteristiche meccaniche la si ottiene proprio in seguito all'opportuno ciclo di trattamento termico che verrà condotto sul pezzo. Essi vengono designati in base a 3 tipologie di sigla in funzione della sua composizione chimica. Infatti questi acciai vengono anche detti acciai designati in base alla composizione chimica. Prima di procedere, è importante notare come la designazione è univoca, nel senso che se un acciaio viene designato in base ad una delle 3 tipologie di sigla, automaticamente le altre due sono escluse.

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Caso 1: Acciai solo carbonio. Si designano come segue: C nn Dove C indica appunto che l'acciaio è al solo C, mentre i numeri "nn" rappresentano, moltiplicata per 100, il tenore medio di carbonio presente nella formulazione chimica dell'acciaio. Ad es: C 40 indica un acciaio al solo carbonio con percentuale di carbonio pari al 0.4% (i.e. 0.4% = 40/100). Facciamo qui una premessa che ha carattere generale, cioè vale anche per le altre due tipologie di sigla di designazione che vedremo a breve. Nella composizione chimica dell'acciaio ci sarà sempre una soglia minima residuale di elementi come silicio Si e manganese Mn, poiché sono elementi immessi in varie fasi del ciclo di fabbricazione di un acciaio (che non verrà trattato in questo corso di base) e dunque elementi residui che rimangono in formulazione chimica. Ma sino ad una certa soglia, generalmente superiore al 0.5%.

NOTA: In particolare per il Mn in normativa si considera ammessa come residuo una soglia più alta, fino al 1,60%; tuttavia ai fini didattici si può più comodamente riferirsi in questo corso ad una soglia unica pari allo 0.5% per entrambi gli elementi residui del ciclo di fabbricazione dell'acciaio.

Spesso in formulazione chimica vi sono anche elementi inquinanti (cioè nocivi) come fosforo P e lo zolfo S che al contrario rimangono intrappolati e sono di difficile eliminazione, sotto certe soglie minime. Lo zolfo causa fragilità dell’acciaio peggiorandone le caratteristiche di deformabilità. Questo elemento è un elemento basso-fondente (fonde a temperature più basse del Fe) e rimane imprigionato a bordo grano. Portando l'acciaio a 1200-1300° C per le lavorazioni plastiche a caldo, i grani risulteranno tra di loro separati da un velo di metallo fuso, a causa della presenza del S. Esso è quindi responsabile della cosiddetta "fragilità al rosso", ovverosia del fenomeno per cui un determinato acciaio, portato ad incandescenza, non è più deformabile e malleabile, ma si sbriciola no appena si tenti di deformarlo. Il P peggiora in maniera molto sensibile la tenacità del materiale ( P è un elemento molto fragilizzante ). Caso 1: Acciai debolmente legati. Acciai debolmente legati, cioè acciai con formulazione chimica dove tutti gli elementi di lega hanno tenori percentuali minori del 5%. Si designano come di seguito illustrato: nn Xx Yy n Ad esempio: 42 Cr Mo 4

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Il primo numero "nn", diviso per 100, rappresenta ancora una volta la percentuale di carbonio presente in lega. Nell'esempio 42 Cr Mo 4, il numero davanti indica che in lega vi è circa il 0.42% di C. Le sigle Xx, Yy, ecc rappresentano le sigle degli elementi di lega VOLUTAMENTE aggiunti (rivedere quanto detto sopra su residui Mn e Si e inquinanti S e P) posti in sequenza in ordine da sinistra verso destra in base al decrescere dal massimo al minimo tenore percentuale in lega. Nell'esempio 42 Cr Mo 4 significa quindi che il Cr ha in lega un tenore percentuale maggiore di quello del Mo. Tra l'altro, quando il Mo è presente, esso deve possedere almeno tenori dell'ordine del 0.4% poiché viene inserito espressamente con tenori adeguati (>0.4%) per inibire il fenomeno della fragilità da rinvenimento. Il numero finale "n" in coda alla sigla, diviso per un fattore determina la percentuale del primo elemento da sinistra a destra scritto in sigla.

NOTA IMPORTANTE: questo fattore per gli acciai che si discuteranno in questo corso di base è sempre 4.

Quindi nel nostro esempio, 42 Cr MO 4, l'ultimo numero "4" diviso per 4 fornisce la percentuale, cioè 1%, dell'elemento inserito in lega (ed in sigla) con il tenore maggiore rispetto agli altri; nell'esempio questo elemento è il Cr, in quanto è elemento posto più a sinistra in sigla. In base alla lettura della sigla 42 Cr Mo 4 è dunque possibile definire la composizione chimica nominale di questo acciaio:

Si noti come il numero finale "n" è sempre posto intero; ciò implica che se viceversa si deve costruire una sigla probabile a partire dalla composizione data, dopo 'opportuna moltiplicazione per il fattore 4, il numero finale da apporre in coda alla sigla va arrotondato sempre al numero intero più vicino. Vediamo un esempio della procedura inversa. Sia data l'analisi chimica seguente:

%C %Cr %P %Ni %S %Mn %Mo %Si

0,39 1,24 0,002 1,15 0,003 0,4 0,45 0,38

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Mettiamo in ordine gli elementi presenti in lega, trascurando tutto ciò che non è volutamente aggiunto ovverosia:

• il P e S, sempre inquinanti e tenuti sotto soglia minima; • il Mn e Si perché sotto soglia del tenore residuo da ciclo di fabbricazione dell'acciaio;

Quindi organizzando la tabella di costruzione della sigla finale, notiamo anzitutto che ogni elemento ha tenore percentuale inferiore al 5% (dunque la sigla dovrà obbedire allo schema qui discusso, CASO 2):

Caso 3. Acciai altamente o fortemente legati. Acciai con formulazione chimica dove vi sia almeno un elemento di lega con tenori percentuali ≥5%. Si designano come di seguito illustrato: X nn Xx Yy n1.n2 Ad esempio: X 135 Cr Mo V 7.1.1 Si evidenzia subito per questa sigla la presenza della lettera X iniziale, che la distingue dalle due precedenti. Essa indica anzitutto che in lega vi è la presenza di almeno un elemento con tenore percentuale superiore al 5%. Il numero a seguire "nn" o 135 nell'esempio concreto indica la percentuale di C moltiplicato per 100. Successivamente si pongono in sigla li elementi di lega con ordine decrescente, dal maggiore a minore tenore percentuale partendo da sinistra e andando verso destra. Infine compaiono dei numeri (può anche essere un singolo numero), divisi da un punto o uno spazio: essi indicano la percentuale effettiva (cioè il fattore di divisione qui è pari a 1)

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dell'elemento primo a sinistra scritto in sigla (e tutti gli altri a seguire se vi è più di un numero). Nell'esempio, il numero 7 indica la percentuale effettiva 7% del Cr, mentre gli altri a seguire le percentuali degli altri elementi, 1% Mo e 1% V. In fig.103 mostriamo un riepilogo delle designazioni possibili di un acciaio.

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Fig.102 - Designazione degli acciai, diagramma di sintesi.

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Classificazione degli acciai del Gruppo II Riferiamoci ora strettamente agli acciai del secondo Gruppo II, quelli che sono sottoposti a cicli termici opportuni per esaltare le proprie caratteristiche in base alla funzione che dovranno svolgere. Quello che ancora non abbiamo fatto è classificare gli acciai, cioè suddividerli in classi che raccolgano insieme acciai che, pur se designati come solo carbonio o debolmente legati, abbiano stessa funzionalità e siano sottoposti a stessi cicli termici per ottimizzarne le caratteristiche meccaniche. Di seguito si propone la classificazione degli acciai del GRUPPO II, ma in grassetto si evidenziano solo quelli di interesse per questo corso di base (si possono quindi tralasciare i restanti) ovverosia gli Acciai Speciali con le relative 5 sottoclassi:

1. Acciai speciali da costruzione i. Acciai da cementazione

ii. Acciai da nitrurazione iii. Acciai per molle iv. Acciai da bonifica v. Acciai autotempranti

2. Acciai inossidabili -Acciai austenitici -Acciai ferritici -Acciai martensitici -Acciai bifasici -Acciai indurenti per precipitazione

3. Acciai per utensili -Acciai rapidi e super-rapidi -Acciai per lavorazioni a caldo -Acciai per lavorazioni a freddo

4. Acciai per impieghi particolari

-Acciai per lavorazioni alle macchine automatiche -Acciai per impieghi magnetici -Acciai per ricalcatura ed estrusione a freddo -Acciai per valvole -Acciai per cuscinetti -Acciai per lamiere destinate ad imbutitura e lavorazione per piegamento -Acciai per lamiere per caldaie e recipienti in pressione -Acciai per impieghi alle basse temperature -Acciai per bombole per gas -Acciai per costruzioni saldate molto sollecitate

5. Acciai per tubi

-Acciai per tubi senza saldature per alte temperature a pressioni -Acciai per tubi senza saldature per basse temperature

6. Acciai mar-aging

7. Acciai al 13% di Mn (Hadfield)

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8. Acciai per magneti permanenti -Acciai a grano orientato -Acciai a grano non orientato

9. Acciai per getti

Da questo momento in poi, ai fini soprattutto dell'esercizio 3 del tema d'esame, ci concentreremo esclusivamente sugli Acciai Speciali e le sue 5 sottoclassi. Verranno descritti prima 5 acciai speciali, classe per classe, per poi sintetizzarne al termine le principali caratteristiche distintive che aiutano immediatamente (ed univocamente) a includerlo all'interno di una delle 5 classi non appena sia stata identificata la sua designazione partendo dalla composizione chimica.

Acciai da Bonifica Gli acciai di bonifica sono gli acciai che permettono di avere un materiale con resistenza elevata mantenendo alta la tenacità mediante l'esecuzione del ciclo termico consistente in una tempra seguita da un rinvenimento a 600°C, detto appunto BONIFICA. È questo il duplice trattamento termico che permette di ottimizzare le caratteristiche meccaniche esaltando insieme le doti di resistenza e di tenacità della martensite rinvenuta a 600°C. In questa classe anzitutto distinguiamo: - acciai da bonifica al solo carbonio, ad es: C25, C30, C35, C40 (è il più usato), C45, C50, C60; - acciai da bonifica debolmente legati, ad es: 25CrMo4, 42CrMo4, 40NICrMo2. Per gli acciai da bonifica, il carico di rottura varia tra: 500-1300 MPa, dipendentemente dalla analisi chimica. Valori più bassi ovviamente si riferiscono ad acciai bonificati al solo C, con basso tenore di carbonio, es. C20. Sono questi acciai scarsamente temprabili, dove le caratteristiche meccaniche conferite alla martensite rinvenuta dipendono solo da pochi carburi di ferro distribuiti in matrice alla fine del rinvenimento. I valori più elevati invece competono a acciai debolmente legati, con formula chimica più "ricca" di elementi in grado di: a) aumentare la temprabilità e spingere martensite all'interno della sezione temprata, b) formare molti carburi finemente dispersi e stabili alla temperatura di rinvenimento (i.e. i carburi di Cr, oppure misti Cr-Mo rimangono molto fini, non coalescono tra loro alla T rinvenimento). Poiché molto fini e dispersi, riescono molto bene ad opporsi al moto delle dislocazioni, aumentando quindi le caratteristiche resistenziali della martensite rinvenuta. La buona tenacità di questi acciai è data proprio dalla microstruttura martensite rinvenuta (si veda quando già discusso nella sezione Rinvenimento degli Acciai). Negli acciai debolmente legati il cromo dunque compare sempre grazie alle sue proprietà di spostamento delle curve CCT verso destra (i.e. aumento della temprabilità) e poiché elemento formatore di carburi in fase di rinvenimento. Esso compare solo oppure insieme ad altri elementi di lega (es: acciai da bonifica al Cr – Mn, Cr- Mo, Cr – V, Cr – Ni – Mo).

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Tra gli altri elementi pregiati presenti nei debolmente legati vi è il Nichel; è un elemento che come il Cr aumenta la temprabilità ma soprattutto per tutti gli acciai svolge un ruolo TENACIZZANTE.

Osservazione. Aggiunte di Ni infatti aumentano di molto la tenacità del reticolo del Fe. Il Ni è un elemento sostituzionale del Fe: possiede un raggio atomico comparabile a quello del Fe, ma leggermente inferiore. Piccole percentuali in lega permettono di: a) ripristinare piani cristallini diminuendone la loro perturbazione per presenza di vacanze reticolari offerte dallo scalzamento di atomi di C; Il Ni tende in soluzione ad occupare le posizioni vacanti, diminuendo localmente i difetti reticolari responsabili di inibizioni al moto delle dislocazioni; b) in sostituzione del Fe nel reticolo tetragonale martensitico, avendo minore raggio atomico, determina una minore dilatazione finale del reticolo martensitico prodotto a seguito della tempra. Minore dilatazione equivale a minore distorsione del reticolo tetragonale, e dunque permette di avere riserve di tenacità generalmente assenti nel reticolo martensitico distorto con carbonio presente nelle posizioni di spigolo.

Il Mo aumenta la temprabilità e forma carburi, ma viene particolarmente aggiunto allo scopo di rendere acciai al Cr e Cr-Mn insensibili alla fragilità di rinvenimento. Ciclo tecnologico degli acciai da bonifica Per ogni classe di acciai speciali definiremo il suo ciclo tecnologico, intendendo con questo la successione dei passaggi che sono necessari e consigliati per arrivare a produrre un pezzo finito con l'acciaio in questione, partendo da semilavorati acquistati su mercato. Il primo che vediamo è il ciclo tecnologico dell'acciaio da bonifica, che viene non a caso definito come il ciclo standard: tutti gli altri 4 cicli tecnologici infatti vedremo che sono no altro che una variazione in alcuni passaggi di questo ciclo di lavoro. Vediamo come si presenta per "blocchi" di operazioni il ciclo tecnologico di un acciaio da bonifica.

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La fase di rigenerazione a monte serve allo scopo di ridurre quanto possibile la durezza del pezzo, di modo da eseguire rapidamente e a basso costo le operazioni successive di lavorazioni alle macchini utensili (di sgrossatura). La rigenerazione che si esegue è un duplice trattamento preliminare: una normalizzazione per rendere la struttura P+F seguita da una ricottura di lavorabilità che abbatta ancora qualche punto di durezza dovuta a tensionamenti prodotti in fase di raffreddamento in aria. Pur ottenendo miglio obiettivo di bassa durezza con una Ricottura Completa, questo trattamento non viene usualmente eseguito per via dei più alti costi rispetto alla normalizzazione (la ricottura completa prevede infatti un impegno di u forno ad alta temperatura per molto tempo). Al termine della lavorazione alle machine utensili di sgrossatura (LMUsg.), sul pezzo viene lasciato del sovrametallo, prima di eseguire la bonifica. Il sovrametallo serve infatti per rimediare a possibili distorsioni prodotte in fase di tempra: nella successiva fase di lavorazione alla macchine utensili di finitura infatti il sovrametallo viene asportato, riportando in tolleranze dimensionali finali il pezzo. Acciai Autotempranti L'obiettivo degli acciai autotempranti è completare la trasformazione in martensite fino all'interno del pezzo, anche per pezzi di notevoli dimensioni. La normativa ne codifica soltanto uno, ovverosia il 34 Ni Cr Mo 16. La elevata penetrazione di tempra, cioè la elevata temprabilità di questi acciai è ottenuta grazie ad una adeguata formulazione chimica che rispetta una regola pratica: il tenore sommato del carbonio, più il nichel, più quello del cromo deve essere compreso in un range tra 5 e 7 (i.e. 5 ≤ C+Ni+Cr ≤ 7).

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Come lo stesso nome rivela, sono acciai talmente temprabili che un raffreddamento blando in aria ne provoca la tempra. La soglia minima che deve esser rispettata, cioè C+Ni+Cr ≥ 5, infatti garantisce che le curve CCT di questo acciaio siano spostate sufficientemente a destra sicchè un raffreddamento lento in aria, come ad esempio quello realizzato sulla sezione più lontana del provino Jominy, produca solo martensite. Si veda nello schema di fig.103.

Fig.102 - Curve Jominy e curva di temprabilità risultante per un acciaio autotemprante. Ma dallo schema di fig.102 si può agevolmente dedure anche il motivo del perché venga imposta una sogli limite superiore, in merito all'analisi chimica di questi acciai. Se infatti si eccedesse oltre il limite pratico del 7% per quanto riguarda la somma dei tenori percentuali dei tre elementi di lega che comandano lo spostamento verso destra delle curve CCT, anche con una ricottura completa (raffreddamento lento in forno) si avrebbe la formazione di

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martensite. Questo comporterebbe una quasi totale impossibilità di lavorare (a costi contenuti) questo materiale alle macchie utensili mediante la lavorazione per asportazione di truciolo di sgrossatura. Infatti, considerando quanto visto nel ciclo tecnologico degli acciai da bonifica, la prima operazione da condursi è quella che ha l'obiettivo di diminuire la durezza della massa metallica da lavorare, mediante la formazione di F+P. Per un acciaio autotemprante, ciò è possibile solo mediante ricottura in forno (completa), a atto ovviamente di non aver spostato troppo le curve verso destra. In fig.103 è mostrato il confronto di curve di temprabilità Jominy tra un acciaio autotemprante ed un ottimo acciaio da bonifica.

Fig.103 - Curve Jominy per un acciaio autotemprante in confronto a quella di un acciaio legato da bonifica ad elevata temprabilità. Questo acciaio inoltre possiede una altra caratteristica propria del ciclo termico che lo contraddistingue da un acciaio da bonifica. Esso viene rinvenuto dopo la tempra in aria a 200°C, invece che i tradizionali 600°C. Esistono due motivi per questa scelta di rivenirlo a bassa temperatura:

- poiché la tempra di questo acciaio è eseguita in aria, il reticolo martensitico che si forma è poco tensionato, dal momento che (si veda ancora lo schema di Fig.102) ogni sezione interna (o lontana dalla base della provetta Jominy, se si ragiona in schema d prova di temprabilità) inizia la trasformazione (A)--> M in maniera omogenea; in altre parole, il problema delle dilatazioni difformi che abbiamo studiato nella sezione relativa alla tempra (generica) di acciai, in tal caso è superato proprio per l'omogeneità di trasformazioni (A)--M che determinano una elevata omogeneità di dilatazioni reticolari nella trasformazione del reticolo FCC austenitico i reticolo tetragonale martensitico; - negli acciai autotempranti è presente circa il 4% di Nichel; si è già detto riguardo agli acciai da bonifica che questo elemento negli acciai forma una soluzione solida sostituzionale nel ferro, ma causa minori distorsioni reticolare (si veda quanto discusso negli acciai da bonifica a tal riguardo).

Il risultato pratico di un basso rinvenimento per questo acciaio è mostrato nello schema di fig.104. Nonostante la bassa temperatura di rinvenimento, questi acciai presentano quindi

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una buona tenacità, equiparabile a quella ottenibile per un ottimo acciaio da bonifica. Inoltre questa ridotta temperatura di rinvenimento consente anche di mantenere più alta la resistenza meccanica. Per questo acciaio si raggiungono in tutta la sezione agevolmente carichi di rottura di molto superiori a quelli degli acciai da bonifica (Rm = 1600-2400 MPa) con opportune piccole variazioni della temperatura di rinvenimento, che può cioè essere anche ridotta intorno ai 160°C per ottenere maggiori caratteristiche meccaniche quando si voglia esaltare più la resistenza meccanica rispetto le elevate dot di tenacità di questo acciaio.

Fig.104 - Curve di rinvenimento di un acciaio autotemprante a confronto con quelle di un ottimo acciaio da bonifica. Il ciclo tecnologico degli acciai autotempranti di seguito rappresentato sintetizza bene tutte le varianti rispetto alle operazioni normalmente condotte su un acciaio da bonifica partendo infatti dalla ricottura completa che sostituisce la rigenerazione (per i motivi sopra spiegati) fino al rinvenimento condotto a più bassa temperatura.

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Acciai da Cementazione Sono accia destinati a subire il trattamento termochimico di cementazione, che a breve verrà descritto, la cui funzione finale è quella di arricchire lo strato superficiale dell'acciaio con tenori locali di carbonio fino a valori eutettoidici, all'incirca 0,8%. L'obiettivo da un punto di vista ingegneristico infatti è quello di ottenere un pezzo con una sorta di doppio comportamento: si vuole ottenere elevata durezza in superficie ma conservare alta tenacità negli strati sottostanti (a cuore). Il tipico esempio è rappresentato dall'industria degli ingranaggi, per i quali si richiede elevata durezza superficiale, ma alta tenacità a cuore. Al fine di comprendere meglio le peculiarità di formulazione chimica di questi acciai e le fasi del ciclo termico che vengono condotte, conviene dapprima descrivere i estrema sintesi come avviene un trattamento termochimico (=termico + modifica della composizione chimica) di un acciaio da cementazione. Va detto anzitutto che la principale caratteristica distintiva da tutti gi altri acciai speciali è quella del basso tenore di carbonio: tutti gli acciai da cmentazione, in accordo anche con la normativa di riferimento, hanno tenore d carbonio inferiore allo 0.2%. Vediamo perché proprio considerando il trattamento di cementazione. Principi di base del trattamento termochimico di cementazione degli acciai L’operazione di cementazione può essere effettuata con tre metodi differenti, ciascuno dei quali è caratterizzato dall’uso di un diverso mezzo cementante (il mezzo cementante è detto cemento). Distinguiamo quindi: 1) cementazione con mezzo cementante in fase solida; 2) cementazione con mezzo cementante in fase liquida; 3) cementazione con mezzo cementante in fase gassosa. In questo corso solo del trattamento in forma gassosa, maggiormente impiegato in industria.

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Qualsiasi sia il mezzo cementante (= che arricchisce l'epidermide dell'acciaio di C)bisogna porsi nelle condizioni in cui l’acciaio può assorbire più facilmente il carbonio, ovverosia:

• È più rapido l'assorbimento di carbonio in reticoli a basso carbonio, in obbedienza al principio della diffusione: se il contenuto inziale di carbonio è basso, a parità di temperatura, cioè il fattore principale che governa la diffusione poiché governa la dilatazione reticolare (cioè "apre" la strada al movimento dei piccoli atomi di C), le cinetiche di assorbimento saranno più rapide. Il trattamento verrà dunque condotto con tempi minori, e costi minori. Si consideri che nella pratica industriale, a seconda di quanto in profondità si voglia spingere l'aumento di C, i tempi possono variare di diverse ore, dalle 8h fino anche arrivare a giornate intere che i pezzi trascorrono nei forni da cementazione ad alta T (vedi di seguito);

• Il carbonio si diffonde più facilmente a temperature elevate, come ovvio che sia per via della maggiore dilatazione reticolare ale alte temperature che permette di aumentare le "strade" per il transito dall'esterno (atmosfera cementane) all'interno del materiale. Inoltre l'acciaio assorbe più facilmente carbonio se il suo reticolo, oltre ad essere dilatato per via della temperatura, assume forma allotropica FCC: la struttura degli interstizi in tal caso è molto favorevole per la diffusione del C. Dunque occorre certamente condurre la cementazione in campo γ, superando dunque A3. Ma proprio per favorirne la massima dilatazione possibile, ci si spinge fino a circa 900-920°C. Non conviene in termini metallurgici superare tale soglia perché altrimenti si incorre nel fenomeno dell'ingrossamento del grano austenitico, che comporterà in fase di tempra una netta e pericolosa riduzione di tenacità, con il rischio di possibili distaccamenti e rotture dello strato cementato (=arricchito di C).

Dunque, chiarita quale debba essere la temperatura ottimale di un trattamento di cementazione, vediamo come il ciclo prosegue. CI si riferisca allo schema del ciclo riportato in Fig.105.

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Fig.105 -Schema di un ciclo completo di cementazione, doppia tempra e distensione. Commentiamo brevemente i passaggi importanti rappresentati nello schema di fig.105: Fase Cementazione: L’arricchimento di carbonio viene realizzato utilizzando direttamente una atmosfera carburante, tale cioè da garantire la presenza della quantità necessaria di monossido (CO) di carbonio che a contatto con il metallo (Fe) produce sull'epidermide una reazione catalitica con dissociazione di 2CO-->C+O2, e dunque fornendo il C a contatto con la superficie dell'acciaio che verrà adsorbito all'interno dal reticolo FCC del ferro γ. Fase pre-tempra: La temperatura in forno viene abbassata a valori dell'ordine dei 860°C (la temperatura effettiva dipende dalla analisi chimica dell'acciaio, dovendo essere questa posizionata al di sopra del punto A3 per il cuore del pezzo). In questa fase l'arricchimento di C viene interrotto. In realtà, ciò che avviene nella pratica è che il carbonio disponibile in atmosfera (detto Potenziale di Carbonio) viene mantenuto a livelli molto bassi, ma non viene completamente azzerata la quantità presente in atmosfera cementante, per non determinare inversioni di flusso che potrebbero in questa fase invece causare "desorbimento" del carbonio dalla superficie. Questo dettaglio non è segnato nello schema per non introdurre troppi dettagli del ciclo (fuori dallo scopo di questo corso). Ciò che invece importa rilevare è che alla fine di questa fase, la temperatura della superficie cementata (=arricchita di C) e del cuore si sarà uniformata ad una temperatura tale per cui: 1) la superficie sarà ancora austenitica ma pronta per una corretta tempra; 2) il cuore avrà parzialmente trasformato la sua austenite con poche percentuali di ferrite; la quantità di Ferrite è tuttavia controllabile in base alla durata del mantenimento isotermo (ci si riferisce quindi a curve TTT proprie per l'acciaio che si sta cementando) e generalmente non crea problemi al cuore se non una riduzione delle caratteristiche meccaniche a cuore rispetto

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quelle potenzialmente ottenibili in assenza di ferrite. In genere, si accetta la presenza di parte di ferrite a cure del pezzo come una buona soluzione di compromesso per non rischiare di temprare strati cementati da temperature troppo elevate. Fase di tempra: L'austenite si trasforma in martensite; particolarmente, l'austenite ricca di C in superficie si trasforma in martensite ad alto tenore di C e dunque ad elevata durezza, scopo principale del trattamento di cementazione. L'austenite povera di C a cuore, mista anche a della ferrite (vedi a tal riguardo quanto discusso nella Fase di Pre-Tempra), si trasforma in martensite a basso contenuto di C, quindi molto tenace (i.e. il reticolo martensitico è poco distorto ed assomiglia più ad un CCC che a un reticolo tetragonale). Fase di rinvenimento a bassa temperatura o distensione. Il pezzo viene spostato in un forno a bassa temperatura, dove subisce il trattamento distensivo per ridurre le elevate tensioni che si sono sviluppate durante la fase di tempra sulla superficie cementata. Se non vengono ridotte, queste tensioni possono generare rotture fragili all'interno dello strato cementato con distaccamenti dello strato esterno del materiale. Il risultato finale del ciclo appena descritto è dunque un pezzo che ha:

• un cuore tenace caratterizzato da martensite a basso C o da strutture miste bainitiche-ferritiche (a seconda delle CCT dell'acciaio del cuore e delle curve di raffreddamento sviluppate in fase di tempra);

• una superficie molto dura dell'ordine dei 700-900HV (dipendentemente dal contenuto di carbonio adsorbito) che progressivamente diminuisce man mano che ci si spinge all'interno del pezzo. Infatti e cinetiche di adsorbimento sono molto lente all'interno del materiale, e dopo un certo numero di ore diventerebbe non più conveniente protrarre il trattamento. In generale si sviluppano sui pezzi meccanici spessori di cementazione dell'ordine di pochi millimetri, fino a spessori limite di 4-5mm. Solitamente i valori di spessore di cementazione impiegati in industria meccanica si assestano intorno ai 1.5-2mm.

Verifica dello spessore di cementazione Per validare la bontà del trattamento di cementazione si effettua una prova di microdurezza HV lungo la sezione di un provino costituito dallo stesso materiale del pezzo cementato e che preventivamente è stato inserito in forno di cementazione di modo che subisse lo stesso ciclo di cementazione del pezzo. Ciò che l'operatore svolge dunque è il controllo del cosiddetto profilo di microdurezza interna al provino di controllo: occorre cioè verificare quanto la finale durezza si spinge all'interno del materiale cementato. Al fine di avere un parametro comodo e standardizzato per verificare lo spessore di cementazione, si fa riferimento al cosiddetto Spessore Efficace di cementazione, come mostrato nello schema di Fig.106. Essa equivale alla distanza dalla superficie in corrispondenza della quale risulta una durezza superiore ai HV 550. Si definisce invece spessore totale la distanza dalla superficie alla quale la durezza raggiunge il valore del cuore, cioè quella che avevo prima della cementazione.

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Fig.106 - schema di riferimento per la determinazione dello spessore efficace di uno strato cementato, in fase di controllo. Caratteristiche metallurgiche degli acciai da cementazione Noti i principi metallurgici di base della cementazione degli acciai appena descritti, è ora facile definire le caratteristiche metallurgiche di base degli acciai particolarmente adatti a questo trattamento, ovverosia degli Acciai da Cementazione. Sono anzitutto acciai con ridotto contenuto di carbonio; in normativa ci si riferisce ad acciai con C<0.2%. Possono essere acciai al solo carbonio o debolmente legati. Tra quelli al solo carbonio, economici ma scarsamente temprabili, citiamo il C10, C15. Proprio per la sua scarsa temprabilità (a cuore difficilmente si ottiene strutture temprate) di norma l’acciaio al solo carbonio viene utilizzato per pezzi piccoli o poco sollecitati. Per gli acciai debolmente legati, gli elementi di lega solitamente impiegati sono il Cr, Mo, Ni, Mn posti in ordine decrescente in base all'effetto dell'aumento della temprabilità dell'acciaio. Pertanto sono frequenti acciai da cementazione al Ni – Cr, al Cr – Ni (quando il Cr è superiore al Ni), al Cr – Mn, al Cr- Mo e al Ni – Cr – Mo. Il Mo è inserito in lega per il noto problema della fragilità da rinvenimento, mentre il Ni, oltre che per la temprabilità, viene soprattutto inserito per aumentare la tenacità dello strato cementato. In funzione unque della caratteristiche di temprabilità e tenacità che si vogliono conseguire, gli acciai debolmente legati vengono scelti per realizzare pezzi di dimensioni più grandi e/o soggetti a carichi più elevati (bisogna cioè spingere martensite quanto più possibile in profondità). Tra i più noti acciai debolmente legati ricordiamo l'ottimo 18NiCrMo5 ed il più economico ma meno tenace 20MnCr5. Per quest'ultimo, data l'assenza di Mo, bisogna particolarmente fare attenzione agli step di raffreddamento per evitare che nelle fasi centrali di tempra si transiti troppo lentamente dalla zona critica 500-525°C, zona della fragilità da rinvenimento.

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Ciclo tecnologico degli acciai da cementazione Di seguito si mostra la sintesi dei passaggi operativi che descrivono il ciclo tecnologico per un pezzo cementato.

Acciai da Nitrurazione Lo scopo del trattamento termochimico di nitrurazione è il medesimo di quello della cementazione, ovverosia ottenere un pezzo meccanico con elevata durezza superficiale ma alta tenacità a cuore. Ciò che invece cambia sono le modalità, cioè i fenomeni metallurgici con i quali questo obiettivo viene raggiunto. Riprendendo l'impostazione impiegata per discutere le peculiarità che caratterizzano gli acciai da cementazione distinguendoli dagli altri acciai speciali, faremo prima riferimento al trattamento termochimico di nitrurazione, descrivendone brevemente i concetti di base e gli step fondamentali, per poi sintetizzare il tutto nella usuale formulazione chimica che contraddistingue gli acciai da nitrurazione rispetto a tutti gli altri. Principi di base del trattamento termochimico di nitrurazione degli acciai La durezza superficiale è qui provocata da un arricchimento in Azoto, N. La fase di adsorbimento di N viene condotta in forni di nitrurazione dove cioè viene sviluppata una atmosfera nitrurante, ovverosia in grado di sviluppare a contatto con l'epidermide dell'acciaio la dissociazione di azoto in forma atomica.

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In questo corso di base si fa riferimento al processo in fase gassosa: l'atmosfera nitrurante all'interno del forno è basata su ammoniaca NH3 che, a contatto con il Fe della superficie del pezzo, si dissocia fornendo N2 per il successivo adsorbimento all'interno del metallo. Va subito specificato che la temperatura del processo termochimico di adsorbimento di Azoto nel reticolo del Fe in tal caso è molto più bassa della cementazione. Le temperature di processo sono infatti dell'ordine dei 500-550°C. Ciò inevitabilmente comporta tempi molto lunghi per permettere all'Azoto, elemento interstiziale e a raggio atomico molto piccolo, come il C, di penetrare e diffondersi a cosi bassa temperatura all'interno del reticolo del Fe di tipo CCC e non più FCC, come invece accade per la cementazione. In termini pratici, per ottenere penetrazioni (spessori efficaci) dell'ordine di pochi decimi di millimetro, si opera con tempi di trattamento molto lunghi: ad esempio, sono soliti trattamenti dell'ordine delle 60h per ottenere spessori efficaci dell'ordine del 0,4mm. Questo comporta anche un limite rispetto alla cementazione: non sono industrialmente praticabili trattamenti di nitrurazione che realizzino spessori efficaci superiori a un paio di mm (ci vorrebbero troppe ore di trattamento e diventerebbe dunque un trattamento migliorativo antieconomico). Anche la nitrurazione, come la cementazione, è dunque un processo di diffusione. Questa volta, però, l’indurimento superficiale è dovuto alla formazione di nitruri, piccole particelle submicroscopiche in grado di intercettare e bloccare le dislocazioni, almeno fin dove l'adsorbimento di N si riesce a spingere. I nitruri che si formano sono di varia composizione chimica, e questo ovviamente dipende dagli elementi presenti nella formulazione chimica dell'acciaio. Anche il solo carbonio in grado di formare nitruri di ferro, del tipo Fe3N e Fe4N. Ma i migliori risultati in termini di indurimento superficiale, si ottengono con la presenza in lega di elementi molto affini al N più del Fe, ovverosia (i ordine di affinità): Al, V, Ti, Cr. particolarmente l'alluminio, in genere elemento non di interesse come alligante degli acciai (non ha alcun effetto sostanziale all'interno degli acciai) permette la formazione di nitruri molto stabili e molto fini che sono in grado di innalzare la durezza nello strato indurito fino anche a 1200 HV. In ogni caso, uno strato nitrurato anche in assenza di alluminio raggiunge livelli di durezza che sono in genere superiori a quelli della cementazione (si parte infatti da valori minimi dell'ordine dei 800 HV). Si è detto che la temperatura del trattamento non supera i 500-550°C: questo anzitutto implica nella formulazione degli acciai da nitrurazione la presenza costante del Mo. Si noti infatti che la nitrurazione viene condotta proprio all'interno del range che diventa pericoloso per la fragilità da rinvenimento di acciai al Cr e Cr-Mn. Ma perché non viene condotta a temperature più alte di questo range, di modo che si posso velocizzarne la cinetica di assorbimento di N e quindi ridurre il costo? Il problema del limite massimo di temperatura è comprensibile guardando il diagramma Fe-N riportato in fig.107.

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Fig. 107 - Diagramma ferro-azoto. Dal digramma in figura anzitutto si deduce che sarebbe possibile ovviamente introdurre nell’acciaio molto più N se si conducesse il trattamento al di sopra dei 600°C, di modo cioè da entrare in fase γ. Ma proprio l'ingresso in fase γ è l'origine del problema che impone di limitarsi al di sotto della temperatura eutettoidica rappresentata nel diagramma di fig.107. Se si supera in trattamento la temperatura di trasformazione eutettoidica (i.e. 590°C), in fase successiva di raffreddando si formerebbe nella zona di adsorbimento di N un costituente lamellare eutettoide simile alla Perlite, detto Braunite. Questo costituente è però estremamente fragile a tal punto da scagliarsi non appena formatosi. Per evitare la comparsa di Braunite è necessario dunque rimanere al di sotto dei 590° C. In genere la temperatura migliore per trattamenti industriali è di 520° C. Infine particolare attenzione va posta alla presenza di Ni. In genere è bene evitare il Ni all'interno della formulazione chimica di acciai da nitrurazione perché, essendo questo un elemento fortemente austenitizzante, tende ad allargare il campo γ di figura 107, abbassando troppo l’orizzontale eutettoidica. Questo imporrebbe di condurre il trattamento di nitrurazione a temperature ulteriormente più basse, anche al di sotto dei 500°C, rendendo il trattamento troppo lungo e antieconomico.

Osservazione. La Braunite in confronto alla Perlite è fragilissima perché sebbene essi siano due costituenti strutturali morfologicamente simili, la Perlite risulta costituita soltanto per il 12% dal costituente duro Fe3C, mentre la Braunite è formata per circa il 33% dal costituente fragile γ’ .

D'altra parte, l'estremo vantaggio di condurre questo trattamento a bassa temperatura, cioè a temperature inferiori anche ad una normale bonifica (=tempra + rinvenimento 600°C) permette di non degradare le caratteristiche di resistenza meccanica conferite al materiale dalla bonifica precedente. Si opera infatti a temperature inferiori a quelle del rinvenimento. Questo aspetto viene considerato nella scelta della formulazione chimica degli acciai da nitrurazione, come a breve vedremo, insieme ad un altro importantissimo: un ulteriore vantaggio del trattamento di nitrurazione a bassa temperatura consiste nel fatto che esso

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non altera la microstruttura esistente; in altre parole, è un trattamento termochimico al di sotto di tutti i punti critici dell'acciaio che non cambia più la sua microstruttura e ciò che più importa la sua stabilità dimensionale. Va segnalato per la precisione che un trattamento di nitrurazione effettivamente apporta limitatamente allo strato nitrurato un leggero rigonfiamento (la formazione di nitruri infatti avviene con adsorbimento di nuova massa atomica di N), ma esso è non solo limitato, ma anche omogeneo. Poiché il trattamentista è in grado di valutare la variazione omogenea di geometria (i.e. rigonfiamento del pezzo) con prove preliminari in fase di ottimizzazione parametri di processo e prima campionatura, già in fase di lavorazione macchine utensili si potrà prevedere una finitura che elimini anche quella parte di volume di materiale che verrà successivamente ripristinato dall'aumento volumetrico dello strato nitrurato. L’operazione di nitrurazione si esegue infatti sul pezzo finito. Caratteristiche metallurgiche degli acciai da nitrurazione Gli acciai da nitrurazione sono quindi un tipo particolare di acciai da bonifica, dove vi è assenza di Ni per i problemi discussi in merito al diagramma Fe-N, con la presenza stabile del Mo (per ovviare ai problemi di fragilità da rinvenimento nei quali sin incorrerebbe) e che vedono talvolta la presenza di Al, elemento mai presente negli acciai da bonifica perché inefficace, quando si vogliano ottenere durezze molto elevate. Grazie alla elevata affinità del Cr con l'Azoto ed il suo effetto anche benefico per la temprabilità dell'acciaio, gli acciai da nitrurazione sono sempre alligati con Cr. Dunque sono sempre acciai legati, perché il Cr e il Mo sono i due elementi indispensabili per poter ottenere un buon risultato dello strato indurito e la sua integrità. Tra gli accia da nitrurazione normati più comuni sono: 31 CrMo 12, 31 CrMoV 10 e il 41CrAlMo7. Ciclo tecnologico degli acciai da nitrurazione Di seguito si mostra la sintesi dei passaggi operativi che descrivono il ciclo tecnologico per un pezzo nitrurato. Si notino le forti similitudini con il ciclo tecnologico di un acciaio da bonifica, dovuto al fatto che tali acciai si possono intendere come degli acciai da bonifica modificati ad hoc per ottenere migliori risultati in fase di trattamento di nitrurazione.

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Acciai per Molle La principale caratteristica di questi acciai è l’elevato carico unitario a snervamento, Rsn, che permette di ottimizzarne l'impiego. Come noto infatti una molla deve lavorare in campo elastico e pertanto innalzare il limite di elasticità permette di diminuire la sezione di progetto della molla. Un indice dell’estensione del campo elastico è rappresentato dal rapporto Rsn/Rm. Per una temperatura di rinvenimento pari a 450° C, tipica temperatura di rinvenimento di questi acciai, questo rapporto raggiunge il suo valore massimo pari a 0,88 (per gli acciai da costruzione di uso generale risulta Rsn/Rm = 0,6, mentre per gli acciai da bonifica Rs/R = 0,7). L'innalzamento del limite di snervamento viene perseguito negli acciai principalmente in due modi, ovverosia:

• aumentando la % di C; per questi acciai infatti si impiegano tenori di C dal 0.55 al 1%. Ovviamente più carbonio si introduce, maggiori saranno le caratteristiche resistenziali, minore la tenacità;

• aggiungendo del Silicio, cioè superando quelle normali concentrazioni che derivano dal ciclo di fabbricazione di un acciaio. Mentre però le aggiunte di carbonio tendono a diminuire la tenacità, aggiunte di elevate quantità di Si ottengono un incremento del limite di snervamento senza provocare effetti dannosi sulla tenacità del reticolo. Questo deriva dal fatto che il Si non è un elemento interstiziale per il Fe, pertanto va in soluzione reticolare e distorce localmente il reticolo del Fe α in modo meno

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violento. Tuttavia di Si non si aggiungono quantità superiori al 2.5% perché diventerebbe inefficace oltre queste soglie (non rimane in soluzione e forma precipitati, tipo inclusioni).

I due elementi che agiscono sulla estensione del campo elastico possono anche essere introdotti insieme in formulazione chimica. L'aggiunta di elementi di lega invece agisce sull'incremento ulteriore di temprabilità per questi acciai che, come prevedibile parlando di temprabilità, vengono posti in esercizio allo stato temprato e rinvenuto. Come anticipato il rinvenimento è condotto a più bassa temperatura, 450°, rispetto gli acciai da bonifica per esaltare maggiormente le caratteristiche meccaniche di resistenza rispetto quelle di tenacità). Caratteristiche metallurgiche degli acciai da nitrurazione Si distinguono acciai per molle: - al solo carbonio - debolmente legati al silicio o al silicio + altri elementi (Cr, Ni, V) - debolmente legati al cromo o al Cr-Mo-V. Mentre negli acciai da bonifica il tenore di C è compreso in u intervallo 0,20-0,60%, negli acciai per molle al solo carbonio il Carbonio assume tenori nell'intervallo 0.55 -1%. Spesso vi è la presenza di Si, superiore al 1.5%. Esempi di acciai per molle al solo carbonio: C 85, C 100. Nei debolmente legati il carbonio scende a valori intorno 0,55- 0,65 %. Esempi di acciai per molle debolmente legati: 48Si7, 55Si7, 52 SiCrNi5. La qualità degli accia per molle varia nell’ordine in cui sono stati elencati nella pagina precedente: gli acciai al solo carbonio sono quelli comunemente usati, si utilizzano invece acciai al Cr o al Cr-Mo-V quando sono richieste elevate prestazioni. Ciclo tecnologico degli acciai per Molle Al termine del ciclo di lavorazione le molle sono spesso sottoposte a pallinatura, cioè a bombardamento della superficie con graniglia metallica per incrudire la superficie ed attenuare la rugosità superficiale. Con questa operazione si eliminano dalla superficie difetti che possono, data la bassa tenacità, far decadere le proprietà meccaniche del materiale, con particolare riferimento al limite di fatica del materiale che verrà successivamente discusso in altri corsi e accennato nella sezione finale di Ulteriori Prove Meccaniche dove si introdurranno i principi della fatica nei materiali metallici.

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Tabella di sintesi e di guida per l'identificazione degli Acciai Speciali In sintesi, gli acciai speciali da costruzioni sono essenzialmente di 5 tipi: - Acciai da bonifica - Acciai per molle - Acciai autotempranti - Acciai cementazione - Acciai da nitrurazione. Si tratta di materiali che devono garantire elevate prestazioni e pertanto sono tutti acciai destinati a subire trattamenti termici per ottimizzarne le proprietà e adeguarle allo scopo (non vengono mai posti in opera grezzi). Le cinque famiglie di acciai sopra elencate hanno in comune una sequenza di operazioni (ciclo di lavorazione o Ciclo Tecnologico): La tabella che segue è un utile ausilio riepilogativo che permette anche di operare, per esclusione, l'individuazione di una classe di un acciaio, nota la sua designazione o formulazione chimica.

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Tabella di Scelta degli Acciai Speciali

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Vediamo due esempi a chiarimento. Esempio 1 Sia nota la composizione chimica di dettaglio di un acciaio. L'obiettivo è quello di risalire prima alla sua Designazione (sigla probabile) e successivamente Classificarlo, cioè includerlo in una delle 5 classi di acciai speciali viste.

Per prima cosa si provvede a semplificare la tabella considerando i reali elementi di lega, se ve ne siano. Ricordiamo quindi che:

• il P e S sono sempre elementi inquinanti, e dunque non sono volutamente aggiunti quando tenuti sotto soglie minime (come compaiono in tabella).

• Il Si e Mn sono elementi residui del ciclo di fabbricazione, almeno sotto soglie usuali intorno ai 0.5%, per semplicità di trattazione; effettivamente possono anche assumere valori superiori ma certamente il Si on deve superare la soglia del 1,5%. In tal caso si ricadrebbe nella classe di acciai per molle.

A questo punto si procede con la scrittura della sigla, operando come segue:

Infine si compara la composizione chimica effettiva impiegata per la scrittura della sigla probabile per identificare mediante l'impiego della Tabella di Scelta a quale classe univocamente questo acciaio appartenga.

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In genere conviene partire dall'esame del contenuto di C. Infatti, poiché in tal caso il C è inferire a 0,2%, tutte le classi di acciaio speciale tranne una risultano escludi. L'acciaio designato è dunque un acciaio da cementazione. Esempio 2 Sia nota la composizione chimica di dettaglio di un acciaio come segue.

Provvediamo a semplificare la tabella considerando i reali elementi di lega:

Procediamo con la scrittura della sigla probabile (designazione probabile):

Compariamo la composizione chimica effettiva impiegata per la scrittura della sigla probabile. Mediante l'impiego della Tabella di Scelta, verifichiamo dapprima il contenuto di C: notiamo che è alto, superiore allo 0,5%, ed è anche accompagnato da Si in elevate quantità. Sono questi due i caratteri distintivi di un Acciaio per Molle.