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Direttore ARTURO DIACONALE Mercoledì 31 Agosto 2016 Fondato nel 1847 - Anno XXI N. 156 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QuOtIDIANO LIBErALE pEr LE GArANzIE, LE rIfOrmE ED I DIrIttI umANI delle Libertà ECONOMIA LETTIERI-RAIMONDI A PAGINA 4 Il sistema bancario sempre in bilico ESTERI MEOTTI A PAGINA 5 Europa: la sostituzione di una popolazione POLITICA GUIDI A PAGINA 2 Rottamato contro rottamatore PRIMO PIANO NEGRI A PAGINA 3 Congresso radicale: non serve litigare CULTURA D’ALESSANDRI A PAGINA 7 Black Bruxelles: l’amore ai tempi dell’odio Continua a pagina 2 Le lacrime dell’Italia Ieri i funerali di Stato di 38 vittime del tragico terremoto che ha devastato la cittadina laziale. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ribadito la vicinanza delle istituzioni agli sfollati più in là, e gli oppositori dell’immigra- zione di massa stanno scivolando lungo una deriva molto pericolosa, perché carica di ideologia: quando si parla di identità vengono messi in moto meccanismi psicologici profondi e non facilmente esorcizzabili. Si pensi solo al referendum sulla Brexit, che ha di ANGIOLO BANDINELLI “I n gioco non è il burkini, ma la di- fesa della Francia”. Questo, o un analogo, è il messaggio che ci viene da Cannes, la nota località balneare e tu- ristica francese. La questione del bur- kini dilaga sui giornali di mezza Europa: forse è il tormentone del- l’estate, ma fa senso. In questi stessi giorni la signora Angela Merkel riba- disce che il burka non è tollerabile in Germania, perché è una pratica che nega la democrazia, dove il “mostrare il proprio volto è fondamentale”. Questioni, problemi simili ma – at- tenzione – non sovrapponibili. La Merkel ha ragione, il burka impedisce l’immediato e pubblico riconosci- mento della persona, non può essere permesso in un Paese democratico. Ma nessuna condanna, nessun pregiudizio dietro un provvedimento che è solo di ordine pubblico. Una semplice dispo- sizione di polizia è sufficiente a risol- vere le questioni. Il problema non è insomma quello dei migranti e/o di certe loro consue- tudini che possono, ad alcuni, apparire non consone o assimilabili a quelle in vigore nelle democrazie dell’Occidente. Sempre più pressante si fa invece il confronto con il tema della difesa del- l’identità (addirittura, l’identità nazio- nale) sollevato dagli oppositori dell’immigrazione ed emerso prepo- tentemente a Cannes. Il tema delle migrazioni e dei mi- granti è stato esaminato e sviscerato, seppure confusamente, dal punto di vista dell’economia e/o della sociolo- gia/demografia. C’è chi pensa che i mi- granti sono un’opportunità per il Paese di accoglienza, in quanto stimolano la produttività e fanno crescere il Pil e la ricchezza; c’è invece chi afferma il con- trario, e cioè che essi sottraggono la- voro ai locali e/o determinano un eccesso di offerta lavorativa, facendo calare il livello dei salari. I primi in ge- nerale sostengono anche che la pre- senza e la commistione delle diversità offra utili stimoli per migliorare la so- cietà anche sul piano sociale, culturale, eccetera; i secondi invece affermano perentoriamente che il multiculturali- smo comporti un abbassamento dei costumi e della qualità umana, specie se la mescolanza o vicinanza è con se- guaci dell’Islam. Questi sono certamente temi im- portanti, e sono in qualche modo giu- stificate o almeno comprensibili le diversità di approccio e le risposte ad inquietudini diffuse specie tra le classi e i ceti meno capaci di atteggiamento critico. Oggi però siamo andati molto messo in forse la tradizione di apertura e accoglienza tipica della recente sto- ria della Gran Bretagna. Il tema dell’identità è (o era) molto sentito dai radicali. A un non recentis- simo congresso tenutosi a Chianciano... Burkini, radicali, identità

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Direttore ARTURO DIACONALE Mercoledì 31 Agosto 2016Fondato nel 1847 - Anno XXI N. 156 - Euro 0,50

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QuOtIDIANO LIBErALE pEr LE GArANzIE, LE rIfOrmE ED I DIrIttI umANI

delle Libertà

ECONOMIA

LETTIERI-RAIMONDI A PAGINA 4

Il sistema bancario

sempre in bilico

ESTERI

MEOTTI A PAGINA 5

Europa:

la sostituzione

di una popolazione

POLITICA

GUIDI A PAGINA 2

Rottamato

contro rottamatore

PRIMO PIANO

NEGRI A PAGINA 3

Congresso radicale:

non serve litigare

CULTURA

D’ALESSANDRI A PAGINA 7

Black Bruxelles:

l’amore ai tempi dell’odio

Continua a pagina 2

Le lacrime dell’ItaliaIeri i funerali di Stato di 38 vittime del tragico terremoto che ha devastato la cittadina laziale.Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ribadito la vicinanza delle istituzioni agli sfollati

più in là, e gli oppositori dell’immigra-zione di massa stanno scivolandolungo una deriva molto pericolosa,perché carica di ideologia: quando siparla di identità vengono messi inmoto meccanismi psicologici profondie non facilmente esorcizzabili. Si pensisolo al referendum sulla Brexit, che ha

di ANGIOLO BANDINELLI

“In gioco non è il burkini, ma la di-fesa della Francia”. Questo, o un

analogo, è il messaggio che ci viene daCannes, la nota località balneare e tu-ristica francese. La questione del bur-kini dilaga sui giornali di mezzaEuropa: forse è il tormentone del-l’estate, ma fa senso. In questi stessigiorni la signora Angela Merkel riba-disce che il burka non è tollerabile inGermania, perché è una pratica chenega la democrazia, dove il “mostrareil proprio volto è fondamentale”.

Questioni, problemi simili ma – at-tenzione – non sovrapponibili. LaMerkel ha ragione, il burka impediscel’immediato e pubblico riconosci-mento della persona, non può esserepermesso in un Paese democratico. Ma

nessuna condanna, nessun pregiudiziodietro un provvedimento che è solo diordine pubblico. Una semplice dispo-sizione di polizia è sufficiente a risol-vere le questioni.

Il problema non è insomma quellodei migranti e/o di certe loro consue-tudini che possono, ad alcuni, apparirenon consone o assimilabili a quelle invigore nelle democrazie dell’Occidente.Sempre più pressante si fa invece ilconfronto con il tema della difesa del-l’identità (addirittura, l’identità nazio-nale) sollevato dagli oppositoridell’immigrazione ed emerso prepo-tentemente a Cannes.

Il tema delle migrazioni e dei mi-granti è stato esaminato e sviscerato,seppure confusamente, dal punto divista dell’economia e/o della sociolo-gia/demografia. C’è chi pensa che i mi-

granti sono un’opportunità per il Paesedi accoglienza, in quanto stimolano laproduttività e fanno crescere il Pil e laricchezza; c’è invece chi afferma il con-trario, e cioè che essi sottraggono la-voro ai locali e/o determinano uneccesso di offerta lavorativa, facendocalare il livello dei salari. I primi in ge-nerale sostengono anche che la pre-senza e la commistione delle diversitàoffra utili stimoli per migliorare la so-cietà anche sul piano sociale, culturale,eccetera; i secondi invece affermanoperentoriamente che il multiculturali-smo comporti un abbassamento deicostumi e della qualità umana, speciese la mescolanza o vicinanza è con se-guaci dell’Islam.

Questi sono certamente temi im-portanti, e sono in qualche modo giu-stificate o almeno comprensibili lediversità di approccio e le risposte adinquietudini diffuse specie tra le classie i ceti meno capaci di atteggiamentocritico. Oggi però siamo andati molto

messo in forse la tradizione di aperturae accoglienza tipica della recente sto-ria della Gran Bretagna.

Il tema dell’identità è (o era) moltosentito dai radicali. A un non recentis-simo congresso tenutosi a Chianciano...

Burkini, radicali, identità

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Lo spettacolo desolante offerto daMassimo D’Alema e dai due con-

duttori di un programma di informa-zione-intrattenimento trasmesso daLa7 sulla riforma della Costituzione(18 luglio 2016), si può riassumerealla fin fine così: una colossale sce-neggiata orchestrata per il dileggio delsegretario del Partito Democratico.

Non ricordo, nemmeno nella sto-ria del vecchio Pci, una caduta cosìstorpia da parte di un leader di par-tito che, accecato dalla voglia di deni-grare i propri avversari interni (Renzie Boschi), scende tanto in basso neldiapason del disgusto. La cosa è dop-piamente disgustosa se si pensa cheD’Alema è stato anche uno dei Presi-denti del Consiglio della RepubblicaItaliana. Nel raffronto Arnaldo For-lani svetta per dignità anche nel mo-mento del declino.

Non fa sconti D’Alema. Tutto è ne-gativo: dalla conduzione del partitoalla carenza di dialogo al suo interno,dalla grave sconfitta alle elezioni co-munali allo snaturamento dell’animadi sinistra del Pd, dalla gestione dellacrisi delle quattro banche all’incapa-cità di dare risposte alla crisi econo-mica, fino alla riforma costituzionale.Il tutto dal pulpito di chi “legge libri”e dunque ha titolo per dispensare pa-tenti e pagelle.

È soprattutto sulla riforma costi-tuzionale però che D’Alema dà il“massimo”, attraverso lo zibaldone

di aggettivi demolitori, che la dipin-gono “cattiva”, “pasticciata”, “con-fusa”, foriera di conflitti dicompetenza, “mal scritta”, “mal con-cepita”, prolissa e soprattutto“troppo lunga”, quando “una paginabasta”, perché ci sono tre semplici in-terventi da fare: ridurre i parlamen-tari al numero di 645 invece degliattuali 945, dare il voto di fiducia soloalla Camera dei deputati, aggiustarele competenze tra lo Stato e le Re-gioni. Verrebbe da dire, ma non eraquesta la riforma bocciata anche daD’Alema nel 2006? Soprattutto, do-v’era D’Alema nel 2001 quando èstato stravolto il Titolo V della Costi-tuzione, cui dobbiamo porre rimediooggi? Se non erro aveva lasciato dapoco la carica di Presidente del Con-siglio; non era dunque proprio aimargini della vita politica italiana,tanto da non accorgersi che quellaprima, unilaterale riforma, era “cat-tiva”, “pasticciata”, “confusa”. Forsesi occupava già di politica estera piut-tosto che delle vicende della Costitu-zione.

Credo che gli spettatori si siano di-vertiti in quei 40 minuti di spettaco-lare denigrazione dell’avversario,anche perché il complice mutismo deidue ridanciani conduttori non hafatto altro che ingigantire gli arrem-

banti assalti denigratori dell’ospite diturno. Personalmente non mi sono di-vertito per niente. Oltre alla facilone-ria con cui sono stati maltrattati temiche meriterebbero un diverso maneg-gio, preoccupa soprattutto l’approc-cio veterocomunista con cui il temadella riforma dello Stato è stato af-frontato. Infatti, se si torna a raccon-tare che la riforma Renzi-Boschicausa il “restringimento della demo-crazia e della partecipazione” si tornaalla Prima Repubblica, alla consocia-

zione, al Parlamento governante ed aiGoverni “esecutivi”, alla pratica dellemediatizzazioni parlamentari,quando invece l’Italia ha bisogno diistituzioni rappresentative e di go-verni governanti, perché la democra-zia o è “governante” o non è.

D’Alema non parla apertamente di“autoritarismo” della riforma. In que-sto caso marchierebbe in modo inde-lebile il suo stesso partito. Tuttavia,l’esplicito accostamento dell’attualeriforma a quella proposta da Silvio

Berlusconi nel 2005, ampiamente bol-lata a suo tempo con l’epiteto di “au-toritaria”, consegue lo stessorisultato. È evidente che il triste scon-tro cui assistiamo, da passivi spetta-tori, ha esclusivamente finalità interneal Pd. Il referendum costituzionale èinfatti l’occasione ghiotta per regolarei conti tra due personalità molto di-verse e tra due culture politiche nonsempre amalgamabili, quella post-co-munista di D’Alema e quella del Par-tito Democratico di Matteo Renzi.

L’arcobaleno dei sostenitori del“No” si tinge così di un altro colore,più acido e velenoso degli altri, per-ché, oltre che di sapore veterocomu-nista, è intriso dei caratteri delprotagonismo contra personam. Checosa ci fa Berlusconi in questo mi-nestrone di movimenti, partiti, cor-renti, associazioni, personalità epersonalismi, assemblati per lo piùsoltanto dalla logica del contrasto alnemico comune? Niente. La sceltapare dettata soltanto dalla necessitàdi tenere unito un fronte di opposi-zione che, diversamente, rischia didissolversi definitivamente. Com-prensibile. Il prezzo però è moltoalto, perché certifica la contraddit-torietà e la subordinazione di ForzaItalia a una linea politica tracciatada altri.

2 L’OPINIONE delle Libertà mercoledì 31 agosto 2016Politica

Rottamato contro rottamatoredi GUIDO GUIDI

“Non si capisce perché una rela-zione tra adulti edotti e con-

senzienti possa essere vietata, di più,stigmatizzata, di più, aborrita”.

Con queste parole, Hamza Pic-cardo, tra i fondatori dell’Ucoii(Unione delle comunità ed organiz-zazioni islamiche in Italia), ha propo-sto giorni fa l’introduzione dellapoligamia in Italia, “secondo la Rive-lazione e la tradizione”, vale a diresolo per i maschi.

Il 9 agosto scorso Luigi Manconigli ha risposto dalle colonne delCorriere della Sera. Le tesi del so-ciologo nonché deputato del PartitoDemocratico non ci sembrano peròconvincenti. La poligamia, scriveManconi, “per contenuto morale eper struttura di vincolo, si fonda – enon può che fondarsi – su una con-dizione di disparità, che viene ripro-dotta e perpetuata”.

Ora, che la poliginia, l’unione co-niugale di un uomo con più donne,diffusa in alcuni Paesi islamici siastata e sia uno strumento per co-stringere la donna ad un ruolo di su-bordinazione e soggezione all’uomoè indubbio. Ma perché Manconiprecisa che la poligamia, per conte-nuto e struttura, “non può che fon-darsi” sulla discriminazione ai

danni della donna?Su un piano logico, e non storico,

perché mai la condizione di inferio-rità di un partecipante a una unioneconiugale dovrebbe discendere dallanumerosità dei partecipanti alla me-desima? Perché secondo Manconi inuna unione a due non c’è necessaria-mente disparità mentre in una unionea tre, quattro, n soggetti sicuramentesì?

Tale interrogativo appare tantopiù legittimo quanto più ci si sof-ferma a riflettere che la poligamiacontempla anche la fattispecie dellapoliandria, vale a dire l’unione co-niugale di una donna con più uomini.Un matrimonio o più modestamenteuna unione civile tra una donna e nuomini condannerebbero inevitabil-mente la prima a uno stato di sogge-zione nei confronti dei maschi?

Manconi aggiunge che la poliga-mia non può essere introdotta in Ita-lia per gli stessi fondamentali eindisponibili princìpi, vale a dire pa-rità tra sessi e tutela della dignità con-tro ogni discriminazione, che vietanonel nostro Paese il “lavoro schiavi-stico”, il commercio degli organi,

l’esclusione delle giovani dall’istru-zione scolastica, i matrimoni precocie le mutilazioni genitali femminili.

Anche in questo caso le argomen-tazioni di Manconi non sembranopersuasive. Il mancato assolvimentodegli obblighi scolastici e il matrimo-nio precoce non sono accettabilidallo Stato italiano, che non può nonesercitare un’azione di tutela nei con-fronti dei minorenni, azione di tutelache non può evidentemente essere in-vocata per impedire un’unione poli-gamica tra adulti consenzienti. Laratio del divieto di commercio di or-gani e della mutilazione genitale ri-siede poi nella lesione dell’integritàfisica che tali pratiche comportano,lesione di per sé non legata a un tipospecifico di unione coniugale (e che laviolenza abiti quotidianamente nellerelazioni monogamiche è sotto gliocchi di tutti…). Per quanto riguardala riduzione in schiavitù propria-mente detta, suo elemento qualifi-cante è una soggezione forzata, che,ripetiamo, non necessariamente do-vrebbe caratterizzare una relazionepoligamica.

Lo Zeitgeist del nostro tempo ha

d’altronde decretato l’inadeguatezzadel matrimonio tradizionale a soddi-sfare le ogni giorno più variegate ecomplesse domande di affettività e si-curezza morale e materiale. Una voltascoperchiato il vaso di Pandora, però,gli spiriti, liberati, hanno assuntoforme forse non preconizzate nean-che dagli interpreti più autorevoli diquello Zeitgeist, tra le quali quella diPiccardo, che, approfittando dei var-chi concessi dalla nuova stagione deidiritti civili, cerca di piantare le pro-prie bandiere.

Coloro che però in queste ultimenon si riconoscono, dovrebbero avereil coraggio non di arretrare affer-mando che ciò che è storicamentestato sarà inevitabilmente anche infuturo, ma di avanzare e alzare a lorovolta, nel caso in concreto, la ban-diera della poligamia per tutti, tra soliuomini, sole donne, tra uomini edonne, transgender e così via fino acoprire l’intero spettro delle quasi in-finite combinazioni che il desiderioumano può concepire. Si potrebbeobiettare che la maggioranza degliitaliani, cristiana per fede o cultura, èpoco interessata alla poligamia e che

la sua introduzione nel nostro Paesepotrebbe rivelarsi il classico cavallodi Troia ideato dall’islamismo radi-cale per colonizzarci.

A tale obiezione è fin troppo facilereplicare che non possiamo escluderea priori che anche dei non musulmaniper le più diverse ragioni, affettive,materiali, mass-mediatiche potreb-bero ritenere utile contrarre unaunione poligamica. L’unica giustifica-zione allora plausibile per negare l’in-troduzione nel nostro ordinamentodella poligamia, cui però Manconinon fa cenno nel proprio intervento,è che ci troviamo nel pieno di unaguerra di religione e che la guerra dasempre non è proprio il momento piùpropizio per ampliare la sfera dellescelte individuali. Come scriveva in-fatti Cicerone nel De Legibus, Saluspopuli suprema lex esto.

(*) Università degli Studi Roma Tre

Poligamia per tutti? Macché di LUCA TEDESCO (*)

segue dalla prima

...Emma Bonino lo affrontò lucidamente:per lei l’identità non era nelle “radici”, nelpassato, nel Dna o nell’intoccabile “tradi-zione” tramandata dai padri, ma piuttostonelle “fronde”, perché l’identità non puòessere conquistata se non come processo vi-tale, come ricerca continua, affidata alla re-sponsabilità del singolo. Le identità digruppo sono, molto spesso, ataviche con-suetudini accolte acriticamente, e moltospesso sono state di intralcio allo svilupposcientifico e culturale di un Paese. E soventesono state rimosse solo grazie a campagnee battaglie di singoli ma anche di gruppi emovimenti popolari. L’identità – del sin-golo, ripetiamo – è un processo di crescitache stritola, impasta e rinnova – anche dis-sacrandole – tradizioni e consuetudini, vo-

glia di innovazione e di affermazione,obiettive necessità: un processo senza ilquale c’è stagnazione, non solo economicama anche etica.

Il Partito Radicale si presenta al suo40esimo Congresso (1, 2, 3 settembre, nelcarcere di Rebibbia) per rivendicare e riba-dire questa concezione dell’identità. Tra itemi che verranno in discussione sarà anchequello, apparentemente solo statutario, delprimato tra l’iscritto singolo e le associa-zioni sorte qua e là, rivendicando addirit-tura una egemonia di rappresentanza senon del partito sicuramente di Radicali Ita-liani. Nel partito è da sempre accettato ilprincipio che il singolo, il “chiunque”, siail vero protagonista della presenza e del-l’iniziativa radicale, le associazioni sonostate sempre viste come pragmatiche aggre-gazioni, formatesi attorno ad un tema o perprossimità territoriale, sempre pronte a

sciogliersi quando ne venga meno la neces-sità.

Il Congresso vedrà – magari sotterranea-mente – anche la battaglia per l’appropria-zione del termine “radicale”. Anche questoè un tema che fa riferimento alla questionedell’identità. Sarà una battaglia largamentepretestuosa e in definitiva inutile. MarcoPannella ha più volte ricordato che, specieagli inizi, sarebbe bastata l’iscrizione alPartito Radicale dei membri di una sola se-zione del Pci per impadronirsene. E Pan-nella replicava che in tal caso sarebbe statosufficiente lasciare la vecchia e mettere inpiedi una nuova casa. Il problema di fondodel Congresso dovrebbe dunque esserecome far prevalere e affermarsi l’”essere”piuttosto che l’”avere”. Essere radicalidovrà sempre essere “spes”, anche “contraspem”, se necessario.

ANGIOLO BANDINELLI

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Burkini, radicali, identità

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3L’OPINIONE delle Libertàmercoledì 31 agosto 2016 Primo Piano

Iniziato con un articolo di AdrianoSofri sulla necessità di un Con-gresso e sulla “roba” (archivio, fre-quenze radio, ecc.), in due mesi ildibattito sul futuro dei radicali hamutato di segno. Anzi si è ribaltato:l’eredità materiale di Marco Pan-nella ha giustamente ceduto il passoal tema del destino di una storia po-litica. Del resto – come chiarito – deci-

sioni e affidamenti stabiliti in vistadi una successione non sono og-getto di confronto politico, anche sedispiacciono si possono purtropposolo rispettare o tutt'al più conte-stare per altre vie. Sicché la merito-ria convocazione di un congresso –in luogo che più evocativo della “al-terità” radicale non poteva essere –ha acceso un faro sul resto: sullescelte immediate di una famigliapolitica. Ma è qui che il radicale chesono è rimasto interdetto. Sarà che il partito conosciuto

quando ne ero segretario era altro(non dico migliore, altro) dall’at-tuale, o forse tre lustri spesi a fare ilcontadino hanno attutito il miocomprendonio. Sta di fatto che ladurezza e la probabile irrevocabilitàdello scontro interno per me è scon-certante. Non solo per la pochezzadelle sue ragioni: soprattutto perl’esiguità della posta in gioco. Chesenso e che utilità ha gettare moltidi noi nello sconcerto, quando allavigilia del congresso sentiamo direche “ora è in causa e va difeso ilbrand del nome Radicali”, che ta-luno vorrebbe confiscare a danno dialtri? Stupisce che ciò sia procla-mato ora che il peso e il “patrimo-nio” del nome Radicali sia a talpunto ridotto al lumicino da ren-

dere l’indicazione che fu di MarcoPannella e della mozione che sciolseil Pr come partito elettorale italianonon solo una “splendida intuizione”- come per anni ripetuto - ma unaovvia, necessaria medicina per nonperire nelle ristrettezze e fra i litigi. “I radicali in Italia devono co-

struire nuovi ed altri soggetti poli-tici con interlocutori altri e diversida loro”, recita la lezione pannel-liana che ci fece sopprimere un par-tito del 3 per cento, non consideratopiù adatto all’ambizione di unaclasse politica dirigente determinataa cambiare davvero il Paese e non asopravvivere a se stessa. Questo fu detto, questo fu de-

ciso. E questo a mio avviso è piùche mai attuale: o i radicali sannodavvero affrontare il mare apertodella costruzione di nuovi strumentipolitici con obiettivi alti e ambi-ziosi, o se si rinchiudono in inesi-stenti “averi” hanno già accettato ilproprio declino. Il brand Radicali,ammesso che non sia di già insi-diato da ben più temibili radicaliislamici, è ormai e di fatto il nomeesclusivo di un partito che ha com-piuto e maturato la propria sceltatransnazionale, nonché di irreversi-bile abbandono dell’agone eletto-rale italiano. Si vuole forse faremarcia indietro? Si intende ridiscu-tere il divieto di chiamare PartitoRadicale o Radicali una qualsivo-glia formazione elettorale italiana?Personalmente ritengo anch’io chein tal modo si rinnegherebbe difatto (come se niente fu detto equasi si fosse scherzato) la scelta

transnazionale compiuta. Ma so-prattutto: lo si farebbe per cosa eperché? Per un patrimonio che visi-bilmente, tangibilmente più non esi-ste? Per difendere la realtà virtualedi un 1 per cento e l’inevitabile,conseguente ruolo di partitino sa-tellite? Ecco: è questo ciò che stupisce. È

il clima di scontro intorno al nullache induce un nuovo (antico)iscritto quale sono a sperare che ilpeggio non si compia. Io infatticredo, voglio credere, che il peggiolo si possa evitare con due passiunilaterali e collettivi molto sem-plici, di puro rispetto delle sceltecompiute e delle persone che lehanno compiute: 1) evitare di col-pirsi a vicenda in nome di “beni ra-dicali” il cui affidamento non èstato deciso da altri che dal suo ti-tolare; 2) rispettare la decisione difondo assunta da anni, in forzadella quale la scelta transnazionaledel Pr fa sì che il nome Radicale siaspendibile per lotte, iniziative, cam-pagne ma non per una formazioneelettorale italiana. Una volta messi al riparo questi

due princìpi da ogni speculazione,sono convinto che i radicali sa-pranno trovare la strada più umile eforte per rilanciare insieme la lorosfida transnazionale e per costruirein Italia uno o più nuovi utensilipolitici, a prescindere da qualsiasipapà-partito e senza lottizzare sigle,nomi e brand del passato. Chi scrive, proprio in ossequio a

una mozione di scioglimento delPartito radicale italiano della quale

fui primo firmatario, ha ad esempioin queste settimane promosso la“Marianna”, una formazione chedal prossimo 17 settembre iniziacon una manifestazione a Roma ilproprio percorso verso la Conven-zione nazionale. Per ciò che valequesto piccolo utensile politico è adisposizione di chiunque fra i radi-cali voglia venire a fare, mutare,plasmare con noi la Marianna, per

trasformare questa “democraziareale” italiana . Ma altre e diverseforme di impegno politico italianopossono ovviamente esistere e pro-liferare, purché appunto si operi inun quadro di rispetto reale, sostan-ziale delle scelte compiute e deiprincìpi che ne sono alla base. Al difuori dei quali si scorgono solo li-tigi furibondi intorno al nulla e la-cerazioni irreversibili.

Congresso radicale: non serve litigare

Sono tornato per la prima volta inSudafrica quindici anni dopo ladisastrosa “Conferenza mondialecontro il razzismo, la discrimina-zione razziale, la xenofobia e l’in-tolleranza” convocata a Durbandall’Unesco. In quella sede le orga-nizzazioni non governative avevanoun proprio limitato diritto di tri-buna nell’ambito di un evento es-senzialmente interstatale, che videanche la sfilata di una serie di auto-crati impegnati più ad inveire con-tro gli Stati Uniti, Israele e altri Paesidi democrazia liberale che ad ana-lizzare il tema. Nulla poterono gliallora segretario generale dell’OnuKofi Annan e Alto Commissario peri diritti umani Mary Robinson, cheavevano aperto l’evento, per scon-giurarne il naufragio. La pretesa dialcuni regimi di definire Israele“Stato razzista” – amplificata ancheda finte Ong sponsorizzate dai re-gimi stessi, come quello degli aya-tollah iraniani – e la richiesta dipersonaggi come il dittatore delloZimbabwe, Robert Mugabe, di ot-tenere compensazioni monetarie peril colonialismo e per la schiavitù disecoli passati (pratica della qualequasi ogni Stato o comunità è statacolpevole in un momento o in unaltro della storia) spinsero la confe-renza completamente fuori rotta:con l’abbandono da parte di StatiUniti e Israele, l’imbarazzata resi-stenza dell’Unione europea e di altriStati democratici e la faticosa ela-borazione di una dichiarazione fi-nale completamente inutile. Personaggi come Gheddafi e

Fidel Castro furono accolti con spe-ciale entusiasmo da gruppi che sidefinivano “anti-imperialisti” e “an-tisionisti”, che approvarono una ri-soluzione del forum parallelo dellasocietà civile dalla quale presero de-cisamente le distanze le principaliorganizzazioni non governative in-ternazionali. Eravamo nel 2001:solo tre giorni dopo l’approvazione

della dichiarazione finale – e quasia tragico coronamento di quel falli-mento – fu l’11 settembre. Moltecose sono cambiate da allora nelcampo dei diritti umani. Alcuni se-gnali sono stati positivi, come l’ap-provazione da parte dell’Assembleagenerale dell’Onu, nel 2007 e in suc-cessive sessioni, di Risoluzioni per lamoratoria universale delle esecu-zioni e l’entrata in vigore (per gliStati che ne hanno ratificato lo Sta-tuto) della Corte Penale Internazio-nale: due delle più importanticampagne condotte con successodal Partito Radicale transnazionale,per le quali l’Italia ha svolto un

ruolo trainante. Tuttavia, nello stesso periodo vi

sono stati sviluppi gravissimi.L’emergere di reti terroristiche suscala globale, l’intensificazione del-l’autoritarismo e dell’espansioni-smo bellico di alcuni Stati, leinfiltrazioni islamistiche e le ondatemigratorie di decine di milioni dimigranti vedono sostanzialmenteimpreparati sia gli Stati democraticiche il sistema delle organizzazioniinternazionali. La relativizzazionedei diritti, che l’umanità ha impie-gato millenni a proclamare “uni-versali”, ne riduce in molte aree delpianeta la portata e ne nega di fatto

l’applicazione sotto il pretesto di in-terpretazioni locali o culturali.È a queste sfide che ha cercato di

rispondere a Johannesburg il39esimo Congresso della Federa-zione Internazionale dei DirittiUmani (Fidh nella sigla francese),organizzato insieme con Lawyersfor Human Rights del Sudafrica,Centre for Human Rights del Bot-swana e Zimrights dello Zim-babwe. Alla Fidh, fondata nel 1922con sede centrale a Parigi, sono af-filiate 178 associazioni attive in120 Paesi: in Italia la Lega Italianadei Diritti dell’Uomo, fondata nel1919 (che rappresento a Johanne-

sburg insieme con Maria VittoriaArpaia e Riccardo Scarpa), el’Unione Forense per la Tutela deiDiritti Umani. Circa 400 i parteci-panti al Congresso.È proprio in una delle versioni

del titolo del Congresso che è con-tenuto, a mio avviso, il suo signifi-cato più profondo. Se, infatti,traducendolo dalla versione fran-cese o da quella spagnola, è lette-ralmente “All’offensiva per i dirittiumani”, nella versione inglese è:“Fighting back for human rights”;quindi non una semplice offensiva,ma una controffensiva. Al di là di tutte le risoluzioni spe-

cifiche che il Congresso ha discussoe approvato (che saranno disponi-bili sui siti fidh.org e liduonlus.it),è oggi qui la vera chiave del nostroimpegno: i diritti umani, per la cuiattuazione dal 1945 per circamezzo secolo l’insieme della comu-nità internazionale – pur con ecce-zioni e contraddizioni – avevacompiuto enormi progressi, subi-scono da almeno quindici anni at-tacchi continui e pressanti, ai qualiè sempre più urgente reagire primache le Convenzioni internazionali inmateria siano relegate allo status diutopie. I difensori dei diritti umanidi tutto il mondo, molti dei qualicontinuano ad essere perseguitatinei propri Paesi, dovranno ripartireda Johannesburg con decisione,competenze e coesione ancora mag-giori – e con non meno coraggio diquello che tanti fra loro hanno fi-nora dimostrato, spesso pagandoper i propri ideali un prezzo altis-simo.

(*) Membro della Lidu Onlus e del Consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino

di ANTONIO STANGO (*) Diritti umani: da tutto il mondo a Johannesburg per una “controffensiva”

di GIOVANNI NEGRI

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Dopo le grandi agitazioni nelmondo bancario internazionale

provocate dagli stress test, le va-canze estive sembra abbiano creatoun’ovattata atmosfera di apparentetranquillità. Ma, osservando con piùattenzione i processi finanziari incorso, l’emergenza resta sempre die-tro l’angolo. Non solo per quanto ri-guarda il futuro del Monte deiPaschi di Siena, della Veneto Banca edi altre banche in Italia.

Negli Usa, per esempio, la com-ponente repubblicana del Comitatoper i Servizi Finanziari della Cameradei deputati ha recentemente pre-sentato un dossier sul coinvolgi-mento della grande banca inglese, laHongkong and Shanghai BankingCorporation (Hsbc), nel riciclaggiodei soldi provenienti dal traffico didroga operato dal cartello messi-cano di Sinaloa e da quello colom-biano del Norte del Valle. Sono statidocumentati ben 881 milioni di dol-lari “lavati” dai narcotrafficanti nelsistema bancario americano. Quellaemersa e documentata dalle indaginiin realtà è solo una piccola parte del-l’enorme business che si è svilup-pato, in modo incontrastato, peranni. Durante le indagini, iniziatenel 2013, la Hsbc aveva ammesso ilcrimine e accettato di pagare unamulta di circa 2 miliardi di dollari.Il rapporto accusa in particolare ilDipartimento di Giustizia americanodi aver bloccato il processo controla banca, anche su pressione della Fi-nancial Services Authority, l’equiva-lente inglese della Consob, in quanto“esso avrebbe potuto avere serieconseguenze per il sistema finanzia-rio”.

È un’accusa molto forte che ladice lunga sull’opacità di certe ope-razioni fatte da importanti attori del

sistema bancario americano e in-glese. Soprattutto sulla capacitàdelle “too big to fail” di influenzarele decisioni delle istituzioni finanzia-rie di controllo e addirittura diquelle dei governi. L’opacità natu-ralmente si estende anche a moltealtre operazioni finanziarie ed ai bi-lanci delle banche, che spesso non ri-flettono il loro vero stato di salute.Nonostante gli stress test.

Anche in Europa sono in corso al-cune complesse operazioni bancarie,in particolare in Germania. All’ini-

zio del mese di agosto l’indice borsi-stico europeo Stoxx Europe 50 harimosso dal suo listino la DeutscheBank e il Credit Suisse per evitareche il livello dell’indice fosse in-fluenzato negativamente dalle conti-nue perdite di valore delle azionidelle suddette banche. Attraverso lepagine del quotidiano tedesco Fran-kfurter Allgemeine Zeitung, MartinHellwig, un importante economistadell’istituto tedesco di ricerca MaxPlanck, ha addirittura ventilatol’ipotesi della necessità di una nazio-

nalizzazione della Deutsche Bankche si troverebbe in “una crisi peg-giore di quella del 2008”. Il bail-in,con la partecipazione di azionisti eobbligazionisti nella copertura delleperdite della banca, non sarebbe suf-ficiente a salvarla.

Da parte sua, il Fondo MonetarioInternazionale ha recentemente di-chiarato che la Db “presenta grandirischi” per l’intero sistema bancario.Infatti essa sarebbe grandemente in-debitata e pericolosamente sotto ca-pitalizzata. La Db è anche in

continuo conflitto con l’agenziaamericana Commodity Futures Tra-ding Commission (Cftc), che con-trolla il mercato dei derivati, inquanto non esporrebbe in modochiaro la vera situazione delle sueoperazioni in derivati finanziari otc,“compromettendo la capacità di va-lutare i potenziali rischi sistemici delmercato dei derivati”.

Da ultimo anche la Banca del Re-golamenti Internazionali e l’Interna-tional Organization of SecuritiesCommissions (Iosco), che coordinagli enti di vigilanza dei mercati fi-nanziari a livello mondiale, affer-mano che persino le CentralCounterparty Clearing (Ccp), cioè le“casse di compensazione” che do-vrebbero garantire le parti coinvoltenei contratti in derivati, non sareb-bero in grado di far fronte ai lorocompiti per mancanza di fondi. Alriguardo non è un caso che la stabi-lità delle casse di compensazione edi rischi derivanti dalla speculazionefinanziaria siano stati posti, su ini-ziativa della Cina e dell’India, nel-l’agenda del G20 che si terrà trapochi giorni nella città cinese diHangzhou (4-5 settembre).

Ciò dovrebbe essere di monitoanche in Europa per far sì che il si-stema bancario e i derivati non sianolasciati in balia del “fai-da-te” delmercato. Senza ulteriori indugi essidovrebbero essere sottoposti ad unastringente e profonda revisione daparte dei governi, che dovrebberoovviamente mirarli più al creditoproduttivo che agli interessi dellaspeculazione finanziaria.

(*) Già sottosegretario all’Economia (**) Economista

assicuratricecoMPagnia di assicurazionicoMPagnia di assicurazioni

Milanese s.p.a.

www.assicuratr icemilanese.it Telefono (centralino): r.a. 059 7479111 Fax: 059 7479112

4 L’oPinione delle Libertà Economia

di Mario Lettieri (*)

e PaoLo raiMondi (**) Il sistema bancario sempre in bilicomercoledì 31 agosto 2016

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5L’OPINIONE delle Libertàmercoledì 31 agosto 2016 Esteri

Qualche ora dopo che gli agenti di si-curezza avevano linciato un dete-

nuto, il presidente dell’Autoritàpalestinese (Ap) Mahmoud Abbas haesortato gli imprenditori palestinesi chevivono all’estero a sostenere l’economiapalestinese investendo nei Territori pale-stinesi. Egli ha dichiarato che l’Ap sta “la-vorando per garantire la sicurezzanecessaria per incoraggiare gli investi-menti”.

Secondo Abbas, “i territori palestinesivivono in una condizione di stabilità dalpunto di vista della sicurezza, a cuistiamo lavorando a favore dei residenti edegli investitori, garantendo il rispettodello stato di diritto e aumentando la tra-sparenza e la responsabilità”.

Deve essere bello creare la propria re-altà, soprattutto se l’autentica realtà deifatti è quella dell’81enne Abbas. Nel suodiscorso pronunciato davanti agli im-prenditori, Abbas non ha fatto alcun ri-ferimento all’ultima ondata di “caos nellasicurezza” nelle zone controllate dall’Apin Cisgiordania, in particolare a Nablus,la più grande città palestinese.

Cinque palestinesi, tra cui due poli-ziotti dell’Autorità palestinese, sono statiuccisi durante uno dei peggiori episodi diviolenza intestina che ha colpito la Ci-sgiordania negli ultimi anni. Abbas dun-que sta prendendo in giro gli imprenditorio spera che essi siano sordi e ciechi comelui. La violenza scoppiata a Nablus nonsorprende chi ha seguito attentamente lasituazione in Cisgiordania negli ultimimesi. A giugno, altri due agenti di sicu-rezza dell’Ap, Anan Al-Tabouk e UdayAl-Saifi, sono rimasti uccisi in una spara-toria con uomini armati a Nablus. L’Au-torità palestinese ha dichiarato che leuccisioni sono state compiute da “crimi-nali” e ha promesso di punire i colpevoli.Le tensioni a Nablus hanno raggiuntol’apice il 23 agosto, quando decine di po-liziotti dell’Ap hanno linciato AhmedHalawah, un ax agente di polizia sospet-tato di essere a capo di una famosabanda appartenente alla fazione di Fatah.Halawah è stato picchiato a morte da un

poliziotto dell’Autorità palestinese pocodopo essere stato arrestato e condotto nelcarcere di Jneid, gestito dall’Ap. La lea-dership dell’Autorità palestinese, che hasuccessivamente ammesso che Halawahè stato linciato dai suoi poliziotti, dice diaver chiesto l’apertura di un’inchiesta sulcaso. I suoi dirigenti hanno dichiarato chesi è trattato di “un errore inammissibile”.Il pestaggio a morte del detenuto ha cau-sato un’ondata di proteste in tutta la Ci-sgiordania, con molti palestinesi chehanno invocato l’apertura immediata diun’inchiesta sulle circostanze del capo echiesto che i responsabili siano processati.

L’Associazione forense palestinese hadiramato un comunicato che condannafermamente il linciaggio di Halawah de-finendolo “un crimine e una violazionedei diritti umani”. L’ordine degli avvocatiha chiesto di attribuirgli ogni responsa-bilità, aggiungendo: “Gli episodi spiace-voli e dolorosi, come l’uccisione diAhmed Halawah, non fanno gli interessidei cittadini del paese e aggravano le di-visioni nella nostra società”. L’associa-zione ha inoltre esortato l’Ap e le sueforze di sicurezza a rispettare la legge e idiritti umani del palestinesi e le loro li-bertà pubbliche.

Preoccupati per le diffuse condannedel linciaggio di Halawah, alcuni funzio-nari dell’Autorità palestinese hanno co-minciato a lanciare minacce dirette evelate contro i detrattori. L’avvocato pa-lestinese Wael Al-Hazam, che ha invitatoAbbas a “ritirare” le sue forze di sicu-rezza da Nablus, ha ricevuto la visita dinon identificati uomini armati che hannosparato contro la sua abitazione 14 colpid’arma da fuoco. Il legale e i suoi fami-liari non sono rimasti feriti nell’attaccoche era un chiaro un messaggio di avver-timento a chiunque osasse alzare la vocecontro la violazione dei diritti umani daparte delle forze di sicurezza dell’Auto-rità palestinese. E in questo caso, il mes-saggio è arrivato. Poco dopo l’attentatoalla sua casa, l’uomo ha rilasciato una di-chiarazione in cui ha affermato: “Quat-tordici colpo d’arma da fuoco sonoabbastanza per farmi tacere. Sono unuomo di legge e non posso rispondere ai

proiettili. La mia penna e la voce sono lamia unica arma. Non ho milizie militari perdifendermi”. L’episodio intimidatorio haavuto luogo poco dopo che agenti della si-curezza dell’Ap avevano minacciato l’av-vocato di non partecipare a un programmatelevisivo per parlare dell’ultima ondata diviolenza scoppiata nella sua città.

I disordini a Nablus hanno spintomolti palestinesi a chiedere ad Abbas diposticipare le prossime elezioni ammini-strative della città. In una riunioned’emergenza convocata il 25 agosto aNablus, diversi esponenti e fazioni pale-stinesi hanno concordato sul fatto chenelle attuali circostanze è impossibile te-nere le elezioni.

Secondo Sarhan Dweikat, un membroanziano di Fatah, è necessario rinviare leelezioni per “proteggere il tessuto socialee preservare il nostro progetto nazionale,che si trova a dover affrontare una mi-naccia esistenziale alla luce del caos nellasicurezza e dell’anarchia a Nablus. (...) Lecondizioni esistenti a Nablus non assicu-rano un clima favorevole allo svolgi-mento delle elezioni”.

È difficile immaginare come Abbas,illuso come sembra essere, possa acco-gliere le richieste di posticipare le ele-zioni amministrative. Il suo pateticotentativo di convincere gli imprenditoripalestinesi a investire il loro denaro nellearee sottoposte al controllo dell’Auto-rità palestinese nel momento in cui lefiamme stanno inghiottendo il suo giar-dino è un ulteriore segno del rifiuto – odell’incapacità – di quest’uomo di guar-dare in faccia la realtà.

Questo è lo stesso presi-dente che dice di voler con-durre il suo popolo verso unoStato e un futuro migliore.Abbas probabilmente conti-nuerà a ingannare i leadermondiali, facendogli credereche lui e l’Autorità palestinesesono pronti per la creazione diuno Stato palestinese. Tutta-via, il sangue versato a Nabluse in altre città palestinesi è laprova che Abbas sta per per-dere il controllo della Cisgior-

dania, proprio come nel 2007 dovettecedere Gaza a Hamas. Se fino a oggi sem-brava che Hamas costituisse la minacciapiù grande al governo di Abbas in Ci-sgiordania, ora è evidente che non è così.La vera minaccia arriva dai lealisti localidi Abbas che si sono trasformati in ribelli.

In effetti, scene di illegalità e “caosnella sicurezza” costituiscono la normain molte città, villaggi e campi profughi,segnale questo che l’Ap potrebbe perdereil controllo delle bande armate e delle mi-lizie. I palestinesi parlano di falatan amnio “caos nella sicurezza”. Un articolo pub-blicato sul sito del Gatestone a giugnomenziona un numero sempre maggioredi episodi di anarchia e illegalità nellezone della Cisgiordania che sono sotto ilcontrollo dell’Autorità palestinese, Na-blus in primis.

Nablus è stata ribattezzata dai pale-stinesi come la “Montagna di Fuoco”, unriferimento agli innumerevoli attacchi ar-mati condotti dal 1967 dagli abitantidella città contro gli israeliani. Maquanto è accaduto di recente nella cittàcisgiordana mostra con quale facilità l’in-cendio bruci il piromane. L’Autorità pa-lestinese sta pagando il prezzo di averospitato, finanziato e incitato i membri dibande armate e miliziani che fino a pocotempo fa erano salutati da molti palesti-nesi come “eroi” e “combattenti della re-sistenza”. Com’era prevedibile, lamaggior parte di questi “fuorilegge” e“criminali” (come li descrive l’Ap) è le-gata a diverso titolo a Fatah, la fazionedi Mahmoud Abbas.

Ora la “Montagna di Fuoco” minac-

cia di trasformarsi in un vulcano che staper eruttare davanti ad Abbas e al go-verno dell’Autorità palestinese. La situa-zione dei giorni scorsi a Nablus sollevaseri interrogativi sulla capacità dell’Ap diattuare le misure di sicurezza più ele-mentari e contenere le bande armate e imiliziani. Inoltre, la violenza senza pre-cedenti ha ulteriormente distrutto la fi-ducia dei palestinesi nell’Autoritàpalestinese e i suoi leader in vista delleelezioni amministrative, fissate per l’8 ot-tobre. Il sogno di Hamas di estendere ilsuo controllo alla Cisgiordania ora sem-bra più realistico che mai. Stando così lecose, Abbas offrirebbe la Cisgiordania aHamas su un piatto d’argento, a menoche egli non si svegli e si renda conto diaver commesso un grosso errore autoriz-zando le elezioni amministrative. E la de-legazione di imprenditori che haincontrato Hamas? Si potrebbe immagi-nare che essi siano abbastanza furbi daevitare investimenti destinati all’insuc-cesso. Nablus farà sicuramente al casoloro: probabilmente spariranno dal caosdei territori controllati dall’Autorità pa-lestinese. Le cose sono diventate evidentiquando il 18 agosto, nella città vecchiadi Nablus, due membri delle forze di si-curezza dell’Autorità palestinese, Shiblibani Shamsiyeh e Mahmoud Taraira,sono stati uccisi in uno scontro con uo-mini armati. Ore dopo, poliziotti dell’Aphanno colpito a morte due uomini armatipalestinesi accusati di essere coinvolti nel-l’uccisione degli agenti delle forze di si-curezza. I due sono stati identificati comeKhaled Al-Aghbar e Ali Halawah. I fa-miliari di uno dei due uomini hanno ac-cusato l’Autorità palestinese di avercompiuto un’esecuzione sommaria, af-fermando che i loro congiunti sono staticatturati vivi e solo in seguito uccisi.Hanno anche chiesto l’istituzione di unacommissione indipendente d’inchiestache faccia luce sulle circostanze connesseall’uccisione dei due uomini. E alla ri-chiesta si sono unite le organizzazioni pa-lestinesi per i diritti umani.

(*) Gatestone Institute(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada

di KhaLEd abU TOaMEh (*)

Palestinesi: quando la “montagna di fuoco” erutterà

Che il numero di decessi superi quellodelle nascite potrebbe sembrare fan-

tascienza, ma questa è oramai la realtàdell’Europa. È appena accaduto. Nel2015, in Europa sono nati 5,1 milioni dibambini e sono morte 5,2 milioni di per-sone, il che significa che per la primavolta nella storia moderna l’Unione eu-ropea ha registrato una variazione natu-rale negativa della popolazione. I datiarrivano dall’Eurostat (l’agenzia statisticadell’Unione europea), che dal 1961 contala popolazione del Vecchio Continente. Èdunque ufficiale.

Vi è tuttavia un’altra cifra sorpren-dente: la popolazione europea è com-plessivamente aumentata passando da508,3 milioni a 510,1 milioni. Per qualemotivo? Perché la popolazione compo-sta da immigrati è aumentata di circa duemilioni in un anno, mentre la popola-zione europea autoctona sta diminuendo.È la sostituzione di una popolazione.L’Europa ha perso la voglia di sostenereo incentivare la propria crescita demo-grafica. Il sisma demografico in corsoequivale alla grande peste del XIV secolo.

Questo cambiamento è ciò che il de-mografo David Coleman ha descritto nelsuo studio, intitolato “Immigration andEthnic Change in Low-Fertility Coun-tries: A Third Demographic Transition”(Immigrazione e trasformazione etnicanei Paesi a bassa fecondità: la terza tran-sizione demografica). Il tasso di natalitàsuicida dell’Europa, insieme ai migrantiche si moltiplicano velocemente, trasfor-merà la cultura europea. Il tasso di ferti-lità in calo dei nativi europei coincide,infatti, con l’istituzionalizzazione del-l’Islam in Europa e la “reislamizzazione”dei suoi musulmani.

Nel 2015, il Portogallo si è piazzato alpenultimo posto nell’Ue per natalità (8,3nati ogni 1000 abitanti) e ha registratouna crescita naturale negativa del 2,2 per1000 abitanti. E qual è il Paese del-l’Unione europea con il più basso tassodi natalità? È l’Italia. Dal “baby boom”degli anni Sessanta, nel Paese famoso perle sue famiglie numerose, il tasso di nata-lità è più che dimezzato. Nel 2015, il nu-mero delle nascite è sceso a 485mila, ilpiù basso dalla nascita dell’Italia mo-derna nel 1861.

I Paesi dell’Europa orientale registrano“le più gravi perdite di popolazione dellastoria moderna”, mentre la Germania hasuperato il Giappone, come il Paese doveil tasso di natalità è il più basso delmondo, facendo una media delle nascitedegli ultimi cinque anni. In Italia e in Ger-mania le perdite sono particolarmentedrammatiche, rispettivamente del - 2,3per cento e - 2,7 per cento.

Alcune aziende non sono più interes-sate al mercato europeo. La Kimberly-Clark, l’azienda produttrice dei pannolini

Huggies, ha rinunciato a gran parte delmercato del Vecchio Continente perchénon è più appetibile. Intanto, Procter &Gamble, che produce i pannolini Pam-pers, si è gettata assieme alla Kimberly-Clark sul business del futuro: i pannoloniper vecchi.

L’Europa sta diventando grigia: si puòavvertire tutta la tristezza di un mondoche si è autoconsumato. Nel 2008, i Paesidell’Unione europea hanno visto la na-scita di 5.469.000 bambini. Cinque annidopo erano 5.075.000, un calo del setteper cento. I tassi di fecondità sono cadutiin Paesi con economie doloranti, comeGrecia e Italia, ma anche in Paesi chehanno navigato attraverso la crisi finan-ziaria, come Australia e Norvegia.

Come ha detto di recente Lord Sacks,“la caduta del tasso di natalità potrebbesignificare la fine dell’Occidente”. L’Eu-ropa sta invecchiando e non rinnova lesue generazioni, piuttosto accoglie unenorme numero di migranti provenientidal Medio Oriente, dall’Africa e dal-l’Asia, che sostituiranno i nativi europei

portando con loro culture con valori ra-dicalmente differenti riguardo al sesso,alla scienza, al potere politico, alla cul-tura, all’economia e al rapporto fra Dioe l’uomo.

Progressisti e laicisti tendono a igno-rare l’importanza delle questioni demo-grafiche e culturali. Ed è per questo che imoniti più rilevanti arrivano da alcunileader cristiani. Il primo a denunciarequesta tendenza è stato un grande mis-sionario italiano, padre Piero Gheddo, ilquale ha spiegato che, a causa del calodella natalità e dell’apatia religiosa,“prima o poi l’Islam conquisterà la mag-gioranza in Europa”. Egli è stato seguitoda altri, come il cardinale libanese Be-chara Rai, a capo dei cattolici orientali inlinea con il Vaticano. Rai ha avvertito che“l’Islam conquisterà l’Europa con la fedee la natalità”. Un allarme analogo è statoda poco lanciato da un altro cardinale,Raymond Leo Burke.

Nell’arco di una generazione, l’Eu-ropa sarà irriconoscibile. Gli europeiora si rendono sempre più conto chel’identità della propria civiltà è minac-ciata soprattutto da un libertarismo ir-responsabile, un’ideologia che, con ilpretesto della libertà, vuole decostruiretutti i legami che uniscono l’uomo allasua famiglia, alle sue origini, al suo la-voro, alla sua storia, alla sua religione,alla sua lingua, alla sua nazione, alla sualibertà. Tutto questo sembra derivare daun’inerzia che non si preoccupa se l’Eu-ropa avrà successo o soccomberà, se lanostra civiltà scomparirà, sommersa dalcaos etnico o sopraffatta da una nuova

religione venuta dal deserto.Come spiega un paper del Washin-

gton Quarterly, l’incontro fatale tra ilcrollo del tasso di denatalità in Europae l’avanzata dell’Islam ha già avuto im-portanti conseguenze. L’Europa è diven-tata un’incubatrice di terrorismo; hacreato un nuovo antisemitismo vele-noso; ha vissuto un cambiamento poli-tico verso l’estrema destra; haconosciuto la più grande crisi della go-vernance dell’Unione europea e ha assi-stito a un riorientamento della politicaestera dopo il suo ritiro dal MedioOriente.

Il suicidio demografico non è unamera constatazione, sembra essere statovoluto. La borghesia europea esterofila,che oggi controlla la politica e i media,sembra intrisa di razzismo snob e ma-sochista. Essa ha voltato le spalle ai va-lori della sua cultura giudaico-cristianae li ha combinati a una visione allucina-toria e romantica dei valori di altre cul-ture. Il triste paradosso è che gli europeiora importano in gran numero giovanidal Medio Oriente per compensare leloro scelte di vita.

Un Continente agnostico e sterile –privo delle sue divinità e dei bambini per-ché li ha banditi – non avrà la forza dicombattere o di assimilare una civiltà difanatici e giovani. L’incapacità di contra-stare l’imminente trasformazione sembraschierarsi a favore dell’Islam. È quello acui stiamo assistendo in questi ultimigiorni d’estate?

(*) Gatestone Institute

Europa: la sostituzione di una popolazione di GIULIO MEOTTI (*)

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7L’OPINIONE delle Libertàmercoledì 31 agosto 2016 Cultura

Lontano dai palazzi del potere edalle istituzioni europee esiste

una realtà diversa. Il ritratto di Bru-xelles che ci viene offerto dal nuovofilm di Adil El Arbi e Bilall Fallah èquello di una città molto diversa daquella che abitualmente ci viene pro-posta. Periferica, malfamata, vio-lenta.

Arriva in sala oggi, presso 16 ci-nema “The Space” di 13 città italiane- per poi proseguire la programma-zione a Milano, Bologna, Firenze eRoma – “Black – L’amore ai tempidell’odio”, distribuito da Wanted. Iltitolo, che ha affascinato la critica in-ternazionale e conquistato il Disco-very Award al Toronto InternationalFilm Festival 2016, è la secondaopera registica dei due cineasti belgidi origine marocchina e trae spuntoda due romanzi, “Back” e “Black” diDirk Bracke.

La storia è quella di due adole-scenti, Maria Evelyne – nota ai piùcome Mavela – e Marwan. Mavela èuna quindicenne di origine centroa-fricana. Vive in un quartiere perife-rico della capitale belga con suamadre che cerca di proteggerla daamicizie pericolose. Dal canto suo

Mavela è affascinata dalla gang deiBlack Bronx nella quale riesce infinead entrare con un furto che la spedi-sce dritta in commissariato. Lì in-contra Marwan, coetaneo di originemarocchina che entra ed esce dalcommissariato per furti ed altri cri-mini minori, appartenente alla gangrivale dei 1080, interamente formatada ragazzi di origine marocchina. Laguerra tra le due bande è particolar-mente aspra così come le dinamicheinterne tra membri dello stessogruppo. La mancata osservanza alle“regole”, ovvero al codice internodella gang, viene punita con stupricollettivi e pestaggi e, soprattutto,una volta entrati nel gruppo non èpiù possibile sottrarsi.

Il legame tra i due ragazzi, vissutoin clandestinità, una volta scopertonon fa che ampliare le ragioni delconflitto tra i due gruppi che si op-pongono con violenza – a tratti fero-cia – alla loro unione. Capuleti eMontecchi del ventunesimo secolo insalsa black: il richiamo a Romeo eGiulietta di Shakespeariana memoriaè immediato, anche se la storia godedi una sua autonomia, con un pon-derato mix di romanticismo e vio-lenza. Assai credibili appaiono leprestazioni degli attori, tutti nonprofessionisti, coadiuvati dalla effi-cace colonna sonora, mix di compo-sizioni originali di Hannes DeMaeyer e brani tratti dalla scena hiphop di Bruxelles. Il film pone sul

piatto numerose que-stioni. Da una parte ri-propone il problemadell’integrazione diquesti giovani “margi-nali” rispetto al tessutosociale belga. Questiragazzi scelgono diaderire ad un clan pro-prio per avere quelsenso di appartenenzache la società sembranegargli – Mavela riba-disce alla madre chenonostante i suoi sforzilei resta comunque unanera, un amico di Mar-wan ricorda all’adole-scente che, nonostante

sia nato in Belgio, luisarà sempre consideratodiverso. Dall’altra partequest’opera, mettendo inluce un mondo fatto digang rivali di differentietnie che si combattonoa colpi d’arma da fuocoe violenza efferata, correil rischio di amplificarequel sentimento di diffi-

denza, che spesso si tramuta inaperta ostilità verso gli extracomu-nitari, enfatizzato recentementedalle stragi che l’Isis ha compiutoanche nella nostra “Vecchia Eu-ropa”.

Al di là di questo possibile “ef-fetto collaterale”, Black è certa-mente un esperimento riuscito e unfilm di grande impatto che meritauna visione sul grande schermo.

di ELENA D’ALESSANDRI

Black Bruxelles: l’amore ai tempi dell’odio

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