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D ella Bielorussia conservo un caro ricordo. Arrivai a Minsk, con volo dai Balcani, trovandovi pioggia e cielo grigio. Era primavera e sembrava inverno, ma ero final- mente in Bielorussia. Belgrado, Budapest, Minsk, un vento ge- lido mi accolse nella capitale della Russia Bianca, come le vec- chie cartine chiamavano la Bielorussia, quel vento gelido del Baltico che aveva sbatacchiato come un fuscello il mio picco- lo aereo mentre sorvolava i boschetti di betulle. La betulla, simbolo della Bielorussia, dove dal 1943 riposano militari italiani prigionieri di guerra caduti in mano tedesca e qui deportati dall’ex alleato che non perdonò loro il tradimento. Ci sono luoghi che ci sono destinati, così è stata la Bielorussia per me. Tutto iniziò un giorno d’estate, quando mi arrivò la no- tizia di una sepoltura di italiani vicino Glubokoe. Glubokoe? E dov’era? Chi erano quei militari? Chi li aveva portati fin laggiù? Perché erano morti? Aprii in silenzio la porta bielorussa, en- trando timidamente in quella casa. Giorno dopo giorno, il mo- saico si ricompose, con i bielorussi al mio fianco: lettere, noti- zie, documenti, tutto via rete, per vincere le distanze. Più i bie- lorussi mi venivano incontro, più l’Italia chiudeva le porte. Pen- savo l’Italia avrebbe capito. Mi sbagliavo. Solo l’Ambasciata d’Italia a Minsk, con il Consolato, rispose alle mie richieste di notizie. Fu così quando mi aiutò a far luce, intercedendo per me presso le autorità bielorusse, sugli italiani ritrovati nel 1998 nel boschetto del villaggio di Orekhovno e quell’11 agosto sepolti lì vicino dai bielorussi. Un giorno, da Minsk, una persona mi scrisse, parlandomi di un documento del Kgb bielorusso – un dattiloscritto del 1965 – sui crimini nazisti contro prigionieri di guerra italiani. Era a Minsk, all’Archivio di Stato. Arrivò in Italia, nell’originale digitalizzato, via rete. Mi fu “donato”, quand’io avevo già fatto di conto con i rubli. Imparai il cirillico e a leggere quel russo burocratico. Il do- cumento parlava di fucilazioni e torture di militari italiani caduti in mano tedesca nei primi del 1943 per aver deposto le armi contro i sovietici, quindi dopo l’8 settembre. Tutti prigionieri di guerra, sfruttati, maltrattati, falcidiati da fame, freddo, malattie, sterminati per essersi rifiutati di collaborare con gli “occupanti tedeschi” in opere di saccheggio, devastazione, uccisione di ci- vili bielorussi e prigionieri di guerra sovietici. Nel giugno 2012 pubblicai la mia inchiesta: ero stata fortunata, la rivista di storia contemporanea, cui avevo scritto l’ottobre prima, mi aveva risposto solo dopo quattro giorni. Fu il primo passo. La stampa italiana, invece, non capì. Quella vigilia di Natale, sebbene il mio cuore fosse con il Bambino Gesù, trascorsi la serata fra carte e documenti, fino a quando non vidi un bando dell’Università di Trento su un se- minario sui rapporti storici fra Italia e Germania. Scaduto due giorni prima. Scrissi, chiedendo: posso? Mi risposero da Trento il giorno di Natale: con quel documento del Kgb lucci- cante agli occhi degli accademici come un dono di oro, in- censo e mirra. Vinsi il concorso. Quell’inverno, dalla grigia Milano, partii per il Trentino Alto Adige. A Verona sul treno per Bolzano salirono alcuni militari. Uno si sedette accanto a me, togliendosi per rispetto il cappel- lo con la piuma e passando il tempo a sbirciare fra le mie car- te. Vedendo che sorridevo, perché sapevo che mi avrebbe 9 Marinai d’Italia Novembre 2015 8 Marinai d’Italia Novembre 2015 Testimonianze Il gelido vento del Baltico I caduti Italiani di Khodorovka Stefania Elena Carnemolla - Saggista e Pubblicista Stefania Elena Carnemolla a Khodorovka Khodorovka C ome Presidente dei Marinai d’Italia ho acconsentito al- la pubblicazione di questo articolo in omaggio alla tra- dizionale apertura ed indipendenza del nostro Giornale, la- sciando agli autori la responsabilità di quanto scrivono. Pro- prio in ossequio a questa nostra linea, mi attendo ora dal- l’autrice o da altri che vorranno intervenire, anche un artico- lo sulle migliaia e migliaia di prigionieri italiani (altro che 200) che i sovietici uccisero o lasciarono crudelmente mori- re, nei loro campi di concentramento, in dispregio alla Con- venzione di Ginevra, giungendo perfino a profanarne le tom- be. Visto che il KGB è stato così generoso nel fornire elenchi e dettagli per questo articolo, perché non chiedergli anche quelli relativi alle atrocità commesse dai sovietici (e sono si- curo che vi troveremmo i nomi di decine e decine di marinai che noi ancor oggi, così come tanti fratelli alpini, fanti, cara- binieri, artiglieri, bersaglieri, possiamo solamente annove- rare come “dispersi in Russia”). Paolo Pagnottella

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D ella Bielorussia conservo un caro ricordo. Arrivai aMinsk, con volo dai Balcani, trovandovi pioggia e cielogrigio. Era primavera e sembrava inverno, ma ero final-

mente in Bielorussia. Belgrado, Budapest, Minsk, un vento ge-lido mi accolse nella capitale della Russia Bianca, come le vec-chie cartine chiamavano la Bielorussia, quel vento gelido delBaltico che aveva sbatacchiato come un fuscello il mio picco-lo aereo mentre sorvolava i boschetti di betulle.La betulla, simbolo della Bielorussia, dove dal 1943 riposanomilitari italiani prigionieri di guerra caduti in mano tedesca equi deportati dall’ex alleato che non perdonò loro il tradimento.Ci sono luoghi che ci sono destinati, così è stata la Bielorussiaper me. Tutto iniziò un giorno d’estate, quando mi arrivò la no-tizia di una sepoltura di italiani vicino Glubokoe. Glubokoe? Edov’era? Chi erano quei militari? Chi li aveva portati fin laggiù?Perché erano morti? Aprii in silenzio la porta bielorussa, en-trando timidamente in quella casa. Giorno dopo giorno, il mo-saico si ricompose, con i bielorussi al mio fianco: lettere, noti-zie, documenti, tutto via rete, per vincere le distanze. Più i bie-lorussi mi venivano incontro, più l’Italia chiudeva le porte. Pen-savo l’Italia avrebbe capito. Mi sbagliavo. Solo l’Ambasciatad’Italia a Minsk, con il Consolato, rispose alle mie richieste di

notizie. Fu così quando mi aiutò a far luce, intercedendo per mepresso le autorità bielorusse, sugli italiani ritrovati nel 1998 nelboschetto del villaggio di Orekhovno e quell’11 agosto sepolti lìvicino dai bielorussi.Un giorno, da Minsk, una persona mi scrisse, parlandomi di undocumento del Kgb bielorusso – un dattiloscritto del 1965 – suicrimini nazisti contro prigionieri di guerra italiani. Era a Minsk,all’Archivio di Stato. Arrivò in Italia, nell’originale digitalizzato,via rete. Mi fu “donato”, quand’io avevo già fatto di conto con irubli. Imparai il cirillico e a leggere quel russo burocratico. Il do-cumento parlava di fucilazioni e torture di militari italiani cadutiin mano tedesca nei primi del 1943 per aver deposto le armicontro i sovietici, quindi dopo l’8 settembre. Tutti prigionieri diguerra, sfruttati, maltrattati, falcidiati da fame, freddo, malattie,sterminati per essersi rifiutati di collaborare con gli “occupantitedeschi” in opere di saccheggio, devastazione, uccisione di ci-vili bielorussi e prigionieri di guerra sovietici.Nel giugno 2012 pubblicai la mia inchiesta: ero stata fortunata,la rivista di storia contemporanea, cui avevo scritto l’ottobreprima, mi aveva risposto solo dopo quattro giorni. Fu il primopasso. La stampa italiana, invece, non capì.Quella vigilia di Natale, sebbene il mio cuore fosse con ilBambino Gesù, trascorsi la serata fra carte e documenti, finoa quando non vidi un bando dell’Università di Trento su un se-minario sui rapporti storici fra Italia e Germania. Scaduto duegiorni prima. Scrissi, chiedendo: posso? Mi risposero daTrento il giorno di Natale: con quel documento del Kgb lucci-cante agli occhi degli accademici come un dono di oro, in-censo e mirra.Vinsi il concorso.Quell’inverno, dalla grigia Milano, partii per il Trentino AltoAdige. A Verona sul treno per Bolzano salirono alcuni militari.Uno si sedette accanto a me, togliendosi per rispetto il cappel-lo con la piuma e passando il tempo a sbirciare fra le mie car-te. Vedendo che sorridevo, perché sapevo che mi avrebbe

9Marinai d’Italia Novembre 20158 Marinai d’Italia Novembre 2015

Testimonianze

Il gelido ventodel BalticoI caduti Italiani di KhodorovkaStefania Elena Carnemolla - Saggista e Pubblicista

Stefania Elena Carnemollaa Khodorovka

Khodorovka

C ome Presidente dei Marinai d’Italia ho acconsentito al-la pubblicazione di questo articolo in omaggio alla tra-

dizionale apertura ed indipendenza del nostro Giornale, la-sciando agli autori la responsabilità di quanto scrivono. Pro-prio in ossequio a questa nostra linea, mi attendo ora dal-l’autrice o da altri che vorranno intervenire, anche un artico-lo sulle migliaia e migliaia di prigionieri italiani (altro che200) che i sovietici uccisero o lasciarono crudelmente mori-re, nei loro campi di concentramento, in dispregio alla Con-venzione di Ginevra, giungendo perfino a profanarne le tom-be. Visto che il KGB è stato così generoso nel fornire elenchie dettagli per questo articolo, perché non chiedergli anchequelli relativi alle atrocità commesse dai sovietici (e sono si-curo che vi troveremmo i nomi di decine e decine di marinaiche noi ancor oggi, così come tanti fratelli alpini, fanti, cara-binieri, artiglieri, bersaglieri, possiamo solamente annove-rare come “dispersi in Russia”).

Paolo Pagnottella

Page 2: MdI 11 2015 Giornale.qxd:ANMIRiv3ï2009 - marinaiditalia.com · tedeschi” in opere di saccheggio, devastazione, uccisione di ci- ... così come tanti fratelli alpini, fanti, cara-binieri,

su quelle anime, ci sono le betulle di Bielorussia. A Orekhovnovolli posare personalmente sulla tomba degli italiani un omag-gio floreale con il tricolore, guardando, nell’adagiare, commos-sa, quei fiori, il vicino boschetto, dove i tedeschi avevano fuci-lato i prigionieri di guerra. A Borok, dove gli italiani riposanocon migliaia di cittadini “sovietici”, accolse il nostro arrivo ilsuono di una campana. Quel giorno di primavera, con il ventodel Baltico che soffiava forte, arrivò la pioggia, quindi la neve,con i bambini bielorussi che continuarono a cantare per le vit-time della ferocia hitleriana. E per miracolo, uscì il sole.Il 16 aprile con l’Ambasciatore d’Italia, S.E. Stefano Bianchi,ci recammo a Masjukovschchina, poco fuori Minsk, dove untempo sorgeva lo Stalag-352, il più grande della Bielorussia.

E anche qui corone e ghirlande con il tricolore sfidarono ilvento freddo del Baltico.A Minsk fu il Museo della Grande Guerra Patriottica il centrodegli eventi: incontri, tavole rotonde, la proiezione del nostrofilm-documentario. Dopo la proiezione, fui chiamata sul palco.Abbandonai i miei appunti, parlando a braccio. Dissi, sorriden-do: “Non sapevo nulla della vostra terra e della sua storia, maeccomi qua, dopo un lungo cammino”.

Un viaggio umano lungo e faticoso, ma bello, a ricordo degli ita-liani caduti in Bielorussia, che la terra delle betulle custodiscecon amore.

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chiesto, domandò. Raccontai, così, a quel giovane soldato lastoria di altri soldati, giovani come lui, mai più tornati in Italia.Si commosse.Trento mi accolse con la sua severa bellezza, fino a quandonon arrivò la primavera. Era maggio, quando dalla Bielorussiami giunse un messaggio: “La contatto in qualità di Responsabi-le dell’Ufficio Culturale dell’Ambasciata d’Italia a Minsk. La TV

ONT ha in progetto di realizzare una trasmissione sui prigionie-ri italiani in Bielorussia, argomento di cui Lei si è lungamenteoccupata. Vorrei verificare con Lei le possibilità di una collabo-razione o di uno scambio di informazioni sul tema in questio-ne”. Era il Dr. Giuseppe Bosco.Dissi sì, trasmettendo alla nostra sede diplomatica e ai col-leghi della TV bielorussa tutto il materiale del mio archivio.Per i colleghi bielorussi preparai quindi le istruzioni, assi-stendoli anche nella revisione della sceneggiatura. L’Amba-sciata d’Italia fu accanto al progetto, in particolare il Dr. UgoBoni, primo Consigliere d’Ambasciata, e tutti gli altri. Un la-voro frutto della collaborazione di tante persone. Il 6 ottobre2014 la ONT trasmise, nell’ambito di un programma televisi-vo su episodi poco conosciuti della storia bielorussa,Coлдаты Муссолини. Чужды войны (Soldati di Musso-lini. La guerra altrui ): era il nostro film-documentario.Era primavera quando su invito dell’Ambasciata d’Italia, cheper me pagò il volo, adoperandosi anche per il visto, raggiunsila Bielorussia in occasione di alcuni eventi sul secondo conflit-to mondiale. Il 13 aprile il mio aereo atterrò a Minsk. Scesi dal-la scaletta, mentre soffiava forte il vento gelido del Baltico, te-nendo stretta a me la valigetta con i documenti sui crimini con-tro gli italiani.L’Ambasciatore d’Italia a Minsk, S.E. Stefano Bianchi, con lasua gentile consorte – la signora Francesca –, il Dr. Ugo Boni, laDr.ssa Aksana Danilchik – traduttrice e interprete dell’Amba-sciata d’Italia –, i colleghi della ONT – Vladimir Bokun, Ekateri-na Parshikova, Elena Vasilevskaya –, finalmente conoscevo tut-ti. A Minsk conobbi anche il professore Enzo Orlanducci, presi-dente della ANRP, in Bielorussia in cerca di nomi di caduti.Da Minsk, un martedì, ci recammo in missione nel nord dellaBielorussia, uno dei teatri dei crimini contro gli italiani. Final-mente visitavo Glubokoe, Borok, Orekhovno, Lutsk, Khodo-rovka. Per la prima volta vedevo ciò che i miei occhi avevanosempre visto da lontano.Per i nostri caduti l’Ambasciata d’Italia ordinò fiori, corone eghirlande con il tricolore.A Khodorovka, dove un giorno d’estate i tedeschi massacraro-no 600 civili dei vicini villaggi e 200 italiani, mi fermai in preghie-ra davanti alle cinque fosse comuni e al cippo che ricorda levittime di quel crimine brutale. Oggi, a Khodorovka, a vegliare

Testimonianze

Il marinaio italiano di Minsk

F u prigioniero dei tedeschi a Minsk anche un figlio dellagrande famiglia marinara italiana. Fu ricordato, con altri

italiani, dagli storici sovietici Valerij Viktorovich Mikhailov eVasilij Filippovich Romanovskij nel loro libro Nel’zja Pro-stit’, pubblicato nel 1967, a Minsk, da Izdatel’stvo Belarus´:“L’operaio Giovanni Poggio, di Poggio alla Malva, in provin-cia di Firenze, sottufficiale della Marina italiana sulla torpe-diniera Sirtori, per il suo rifiuto di combattere a fianco dellaGermania fu rinchiuso in carcere e poi inviato in un rigido la-ger disciplinare in Grecia. Per sua fortuna quando giunsenel lager n. 352 presso Minsk la liberazione era ormai vici-na”. La R.N. Giuseppe Sirtori, dopo i danni subiti dall’attac-co aereo del 14 settembre 1943, era stata autoffondata aCorfù il 25 settembre.

Le foto sono di Stefania Elena Carnemolla a meno quella del Sirtori che è dell’USMM

Khodorovka

Orekhovno

Lo Stalag 352di Minsk

R.N. Sirtori

Borok

Stefania Elena Carnemollaa Masjukovschchina

Khodorovka

Le prima delle venti carte del documento del Kgb