MATTEO CADARIO NERONE E IL “POTERE DELLE...

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177 1. Dettaglio della corazza della statua loricata di Nerone da Caere. Città del Vaticano, Musei Vaticani significativo, sebbene ridotto, programma decorativo dedicato proprio all’illustrazione della sottomissione dei Parti. Nella parte superiore della lorica lo stesso Nerone (il cui ritratto riprende il tipo creato nel 64) è alla guida del carro del Sole, ossia nella stessa iconografia del velario del teatro di Pompeo; nella parte inferiore due Arimaspi in costume orientale venerano una coppia di Grifoni offrendo una patera e inginocchiandosi, replicando così la proskynesis con cui Tiridate aveva accettato il diadema da Nerone. Nel mito gli Arimaspi erano uomini monocoli che abitavano ai confini del mondo conosciuto, dove contendevano il possesso dell’oro ai Grifoni, gli animali a loro volta fantastici e sacri ad Apollo che custodivano le miniere aurifere per conto del dio; nella statua di Caere, traducendo la complessa allegoria tipica del linguaggio della propaganda giulio-claudia, gli Arimaspi simboleggiavano quindi i Parti che si sottomettevano al potere apollineo di Roma, identificato dai Grifoni, sotto lo sguardo stesso di Nerone/Sol Invictus che sembrava spuntare insieme alla sua quadriga nella parte superiore della lorica. La submissio dei Parti/Arimaspi avrebbe poi goduto (come Tiridate) della clemenza imperiale (cfr. Seneca, Sulla clemenza, 1, 2). Di per sé l’iconografia non era una novità assoluta, ma l’inserimento del volto dell’imperatore serviva a riprodurre le circostanze eccezionali dell’investitura di Tiridate replicando l’immagine di Nerone realizzata ad hoc per il teatro di Pompeo. La statua aveva così lo scopo di ribadire che quello spettacolo non era stato solo un’indimenticabile performance (il dies aureus) offerta al popolo romano da un istrionico imperatore, ma il frutto di una strategia propagandistica coerente che voleva presentare l’incoronazione del re vassallo come un atto di clemenza in risposta alla sua sottomissione e quindi come un successo politico e militare favorito proprio dalla protezione di Apollo/Helios. La rappresentazione della scena in un loricato ribadiva inoltre il ruolo perenne di imperator vittorioso impersonato ormai da Nerone. L’investitura di Tiridate rappresentò forse il momento più felice della comunicazione pubblica di Nerone almeno a Roma, visto che subito dopo egli partì per la Grecia e fu poi travolto dalla crisi del suo governo appena rientrato nella capitale. 176 Alla fine del maggio del 66 Roma visse una giornata indimenticabile, in cui Nerone diede prova del suo indubbio talento scenografico allestendo uno spettacolo di rara efficacia: l’incoronazione del re d’Armenia Tiridate, il fratello del re partico Vologese (Dione Cassio, Storia romana, 63, 2-6; Svetonio, Nerone, 13; Plinio, Storia naturale, 33, 54; Tacito, Annali, 16, 23-24). Essa avvenne in una cornice eccezionale ed era stata preceduta da costose cerimonie lungo tutto il percorso che aveva portato il principe arsacide dalla Siria all’Urbe. Tiridate aveva viaggiato a cavallo insieme alla moglie e al suo seguito per nove mesi via terra e aveva incontrato Nerone a Napoli, da dove i due si erano recati a Roma. All’alba il popolo romano li attendeva già schierato lungo le strade e nel Foro, dove aspettavano anche i soldati resi scintillanti dalle armi e dalle corazze da parata. Il primo ad arrivare fu Nerone, che, vestito in abito trionfale e attorniato dai pretoriani, prese posto sui rostri, sedendosi sul seggio curule; poco dopo Tiridate lo raggiunse, si prostrò in segno di sottomissione e si disse suo servo e pronto persino ad adorarlo. Nerone gli rispose proclamandolo prima a voce re d’Armenia e poi ponendogli sul capo il diadema tra le acclamazioni della folla. La cerimonia si spostò nel Campo Marzio e si ripeté nel magnifico teatro di Pompeo, tutto rivestito d’oro per l’occasione e dotato anche di un nuovo tendone, in cui campeggiava l’immagine dello stesso Nerone alla guida della quadriga solare nel cielo stellato. Di sera la festa proseguì in forma privata, ossia con un banchetto in cui Nerone si esibì come citaredo e auriga, vestendo entrambi i costumi e rinunciando alla toga da trionfatore indossata di giorno. In seguito egli si assegnò anche una acclamazione imperatoria, corone d’alloro e il titolo perpetuo di imperator. In questo show lungo un giorno l’imperatore aveva riunito i temi chiave della sua propaganda: la presentazione al popolo della vittoria sui Parti, il grande nemico orientale dell’impero (in realtà il conflitto si era concluso con un compromesso); l’accostamento al Sole, da tempo una priorità per Nerone, che scandì i tempi stessi della cerimonia per sottolinearlo, facendo coincidere con le prime ore della giornata il “rito” forense in cui Tiridate lo equiparò a Mitra (una divinità solare), sfruttando molteplici effetti di luce (le armi e le corazze risplendenti dei soldati, il teatro dorato nel pieno della luce del giorno) e facendosi ritrarre alla guida del carro solare sul telo che proteggeva il pubblico dai raggi del sole; last but not least la passione per i ludi, esibita dall’imperatore sia scegliendo il teatro come seconda location dello spettacolo sia presentandosi come auriga per ribadire il suo rapporto con Sole/Helios, il dio auriga per eccellenza. Come accade di rado, una testimonianza concreta della traduzione in un “monumento” di questa spettacolare cerimonia è giunta fino a noi grazie a una statua loricata dello stesso Nerone che fu aggiunta tra il 66 e il 68 a un gruppo dinastico eretto nel teatro di Caere (Cerveteri) (fig. 1). La testa dell’imperatore fu probabilmente rimossa dopo la sua morte, ma la corazza è decorata con un MATTEO CADARIO NERONE E IL “POTERE DELLE IMMAGINI”

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1. Dettaglio dellacorazza della statualoricata di Nerone daCaere. Città delVaticano, MuseiVaticani

significativo, sebbene ridotto, programma decorativo dedicato proprio all’illustrazione dellasottomissione dei Parti. Nella parte superiore della lorica lo stesso Nerone (il cui ritratto riprende iltipo creato nel 64) è alla guida del carro del Sole, ossia nella stessa iconografia del velario del teatrodi Pompeo; nella parte inferiore due Arimaspi in costume orientale venerano una coppia di Grifonioffrendo una patera e inginocchiandosi, replicando così la proskynesis con cui Tiridate avevaaccettato il diadema da Nerone. Nel mito gli Arimaspi erano uomini monocoli che abitavano aiconfini del mondo conosciuto, dove contendevano il possesso dell’oro ai Grifoni, gli animali a lorovolta fantastici e sacri ad Apollo che custodivano le miniere aurifere per conto del dio; nella statuadi Caere, traducendo la complessa allegoria tipica del linguaggio della propaganda giulio-claudia,gli Arimaspi simboleggiavano quindi i Parti che si sottomettevano al potere apollineo di Roma,identificato dai Grifoni, sotto lo sguardo stesso di Nerone/Sol Invictus che sembrava spuntareinsieme alla sua quadriga nella parte superiore della lorica. La submissio dei Parti/Arimaspiavrebbe poi goduto (come Tiridate) della clemenza imperiale (cfr. Seneca, Sulla clemenza, 1, 2).Di per sé l’iconografia non era una novità assoluta, ma l’inserimento del volto dell’imperatoreserviva a riprodurre le circostanze eccezionali dell’investitura di Tiridate replicando l’immagine diNerone realizzata ad hoc per il teatro di Pompeo. La statua aveva così lo scopo di ribadire che quellospettacolo non era stato solo un’indimenticabile performance (il dies aureus) offerta al popoloromano da un istrionico imperatore, ma il frutto di una strategia propagandistica coerente chevoleva presentare l’incoronazione del re vassallo come un atto di clemenza in risposta alla suasottomissione e quindi come un successo politico e militare favorito proprio dalla protezione diApollo/Helios. La rappresentazione della scena in un loricato ribadiva inoltre il ruolo perenne diimperator vittorioso impersonato ormai da Nerone. L’investitura di Tiridate rappresentò forse ilmomento più felice della comunicazione pubblica di Nerone almeno a Roma, visto che subito dopoegli partì per la Grecia e fu poi travolto dalla crisi del suo governo appena rientrato nella capitale.

176 Alla fine del maggio del 66 Roma visse una giornata indimenticabile, in cui Nerone diede provadel suo indubbio talento scenografico allestendo uno spettacolo di rara efficacia: l’incoronazionedel re d’Armenia Tiridate, il fratello del re partico Vologese (Dione Cassio, Storia romana, 63, 2-6;Svetonio, Nerone, 13; Plinio, Storia naturale, 33, 54; Tacito, Annali, 16, 23-24). Essa avvenne inuna cornice eccezionale ed era stata preceduta da costose cerimonie lungo tutto il percorso cheaveva portato il principe arsacide dalla Siria all’Urbe. Tiridate aveva viaggiato a cavallo insieme allamoglie e al suo seguito per nove mesi via terra e aveva incontrato Nerone a Napoli, da dove i due sierano recati a Roma. All’alba il popolo romano li attendeva già schierato lungo le strade e nel Foro,dove aspettavano anche i soldati resi scintillanti dalle armi e dalle corazze da parata. Il primo adarrivare fu Nerone, che, vestito in abito trionfale e attorniato dai pretoriani, prese posto sui rostri,sedendosi sul seggio curule; poco dopo Tiridate lo raggiunse, si prostrò in segno di sottomissione esi disse suo servo e pronto persino ad adorarlo. Nerone gli rispose proclamandolo prima a voce red’Armenia e poi ponendogli sul capo il diadema tra le acclamazioni della folla. La cerimonia sispostò nel Campo Marzio e si ripeté nel magnifico teatro di Pompeo, tutto rivestito d’oro perl’occasione e dotato anche di un nuovo tendone, in cui campeggiava l’immagine dello stessoNerone alla guida della quadriga solare nel cielo stellato. Di sera la festa proseguì in forma privata,ossia con un banchetto in cui Nerone si esibì come citaredo e auriga, vestendo entrambi i costumie rinunciando alla toga da trionfatore indossata di giorno. In seguito egli si assegnò anche unaacclamazione imperatoria, corone d’alloro e il titolo perpetuo di imperator.In questo show lungo un giorno l’imperatore aveva riunito i temi chiave della sua propaganda: lapresentazione al popolo della vittoria sui Parti, il grande nemico orientale dell’impero (in realtà ilconflitto si era concluso con un compromesso); l’accostamento al Sole, da tempo una priorità perNerone, che scandì i tempi stessi della cerimonia per sottolinearlo, facendo coincidere con le primeore della giornata il “rito” forense in cui Tiridate lo equiparò a Mitra (una divinità solare),sfruttando molteplici effetti di luce (le armi e le corazze risplendenti dei soldati, il teatro dorato nelpieno della luce del giorno) e facendosi ritrarre alla guida del carro solare sul telo che proteggeva ilpubblico dai raggi del sole; last but not least la passione per i ludi, esibita dall’imperatore siascegliendo il teatro come seconda location dello spettacolo sia presentandosi come auriga perribadire il suo rapporto con Sole/Helios, il dio auriga per eccellenza.Come accade di rado, una testimonianza concreta della traduzione in un “monumento” di questaspettacolare cerimonia è giunta fino a noi grazie a una statua loricata dello stesso Nerone che fuaggiunta tra il 66 e il 68 a un gruppo dinastico eretto nel teatro di Caere (Cerveteri) (fig. 1). Latesta dell’imperatore fu probabilmente rimossa dopo la sua morte, ma la corazza è decorata con un

M AT T E O C A D A R I ON E R O N E E I L

“ P OT E R E D E L L E I M M A G I N I ”

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come testimoniano una bella testa con indosso la corona civica (?) proveniente forse da Vienne(oggi è a Genf) e altri ritratti in cui il giovane principe mostra tratti meno infantili (Mantova). Ilcambiamento non riguardò tanto l’acconciatura, quindi non si trattò di un vero e proprio nuovotipo ritrattistico, quanto l’età, in modo da conferire al giovane principe un aspetto più adulto eadatto all’erede al trono. Questo intento si nota anche in una statua togata di Detroit, diprovenienza asiatica, che potrebbe raffigurare il giovanissimo Nerone con indosso proprio la togavirile al posto di quella infantile. L’attenzione con cui la propaganda illustrava i delicati equilibriconnessi alla successione dinastica è confermata dal Sebasteion di Afrodisia, il grande santuariodedicato al culto imperiale, la cui costruzione doveva mostrare il legame della città caria con lafamiglia giulio-claudia: in un pannello si trovò quindi il modo di illustrare il primato di Nerone suBritannico raffigurando i due principi insieme e in nudità eroica, ma il solo Nerone stringeva ilglobo terrestre e l’aplustre, segno evidente della sua supremazia.

Figlio dell’optima mater Agrippina MinoreNella cura con cui il ruolo di Nerone fu rafforzato e comunicato si riconosce l’intervento dellamadre Agrippina, la cui onnipresenza al fianco del figlio, già evidente prima dell’ascesa al trono,segnò anche il momento delicato della successione, il 13 ottobre del 54, circostanza che ladonna seppe gestire con grande abilità, guadagnandosi uno spazio pubblico inusitato per ilmondo romano. Il suo ruolo di garante dell’autorità del figlio, che si avvicinava all’esercizioeffettivo del potere, è dimostrato dal gran numero di ritratti esistenti, dall’acclamazione qualeoptima mater (Svetonio, Nerone, 9), dal titolo di Augusta, da oggetti preziosi come il cammeo diColonia, in cui Agrippina/Fortuna incoronava Nerone assimilato a Giove, e dalla monetazioneurbana, dove l’imperatrice era eccezionalmente ritratta insieme al figlio (cfr. gli aurei con le testeaffrontate di madre e figlio e quelli con i capita iugata), proprio così come lo accompagnavanelle occasioni pubbliche, suscitando preoccupazione tra i consiglieri imperiali.Agrippina voleva infatti partecipare agli affari di stato e cercò di intervenire direttamente nella

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2a. Ritratto di Neronebambino (1° tipo).Parigi, Louvre

2b. Ritratto di Neroneda Olbia (2° tipo).Cagliari, MuseoArcheologico Nazionale

2c. Ritratto di Neronedal Palatino (3° tipo).Roma, Museo Palatino

2d. Ritratto di Nerone(4° tipo). Monaco diBaviera, Glyptothek

Da Domizio Enobarbo a Giulio-ClaudioNato nel 37, Nerone entrò nella famiglia imperiale solo nel 50, quando Claudio, dopo avernesposato la madre Agrippina Minore (nel 49), lo adottò. La fretta di comunicare la novitàdell’adozione è dimostrata dall’elaborazione immediata del primo tipo ritrattistico ufficiale delgiovane principe (il tipo “Parma”) (fig. 2a) che, nell’intento di legittimare la sua posizione, lo resesomigliante al padre adottivo nella pettinatura, spartendo la frangia intorno a un analogo motivoa forcella (altri dettagli di acconciatura e fisionomia, come le basette e le sopracciglia marcate,erano invece tratti personali del giovane principe). Seguì l’immediato inserimento di Nerone neicicli statuari che presentavano la famiglia imperiale nei principali edifici pubblici delle cittàromane. Le élites locali onoravano infatti abitualmente i membri della domus Augusta,aggiornando progressivamente i cicli a seconda degli sviluppi della politica dinastica e ilfrequente inserimento di giovani principi e principesse era anche un modo per rassicurare sullacontinuità della famiglia imperiale, un’esigenza che si fece più forte in età claudia, quando iritratti infantili in toga conobbero un vero e proprio boom (cfr. Veio, Rusellae, Luni, Fano eMilano). L’identificazione di Nerone bambino è sicura per due statue togate conservate a Parma eal Louvre e provenienti rispettivamente da Velleia (fig. 3) e da Gabii (o Anzio). In entrambe egliindossa la toga praetexta e la bulla, ossia il tipico costume infantile romano che era sostituitodalla toga virile al momento dell’ingresso nella vita adulta. Come si conveniva all’erede al tronoNerone anticipò i tempi ed ebbe il privilegio di portare la nuova toga già nel 51, ossia a soli 13anni, il che consente di datare le due statue tra il 50 e il 51; esse costituirono dunque un’ecoimmediata dell’adozione di Nerone e una prova della rapidità con cui le élites municipali italichesi adeguavano ai cambiamenti in corso nella famiglia imperiale.La designazione di Nerone quale erede effettivo dell’impero divenne palese tra il 51 e il 52 con ilconferimento degli onori connessi al ruolo di “Cesare” e con la sua frequente raffigurazione nellamonetazione imperiale, da cui invece Britannico, il figlio naturale di Claudio più giovane però diNerone, era escluso. Nel frattempo fu aggiornato anche il ritratto ufficiale del futuro imperatore,

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1814. Pannello delSebasteion di Afrodisiaraffigurante Neroneincoronato dalla madreAgrippina Minore

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3. Nerone togato conbulla da Velleia. Parma,Museo ArcheologicoNazionale

gestione della crisi armena che segnò l’inizio del duro conflitto con i Parti che proseguì dal 54 al63. Nell’occasione ella tentò di ricevere insieme a Nerone gli ambasciatori armeni, ma fu ostacolatada Seneca e da Afranio Burro (Dione Cassio, Storia romana, 61, 3). Un pannello del Sebasteion diAfrodisia descrive molto bene il ruolo dell’imperatrice in quel difficile frangente. Anch’essoraffigura (ma in un edificio pubblico) l’incoronazione di Nerone da parte della madre (fig. 4):Agrippina è sempre assimilata a Fortuna dalla cornucopia, mentre il figlio indossa la corazza persottolineare i successi iniziali nella guerra contro i Parti. La scena era la stessa illustrata dalle statuedi culto del tempio di Roma e di Augusto a Pergamo, in cui Augusto loricato era incoronato a suavolta da una figura femminile, ma il delicato compito di porgergli la corona, che implicava ancheuna preminenza di rango, era toccato in quel caso alla dea Roma, mentre ad Afrodisia, l’élite, beneinformata su quanto accadeva a corte, si affrettò a “fotografare” la situazione affidando proprioall’Augusta il compito di incoronare il figlio, per sottolineare così il suo anomalo ruolo pubblico.L’annuncio della vittoria era poi completato da un secondo pannello in cui lo stesso Nerone eraritratto come l’amorevole soccorritore di uno stato cliente, ossia mentre, come un giovane eroe,risollevava l’Armenia caduta a terra; la scena era volutamente ambigua, perché, alludendo almodello eroico del duello tra Achille (Nerone) e l’amazzone Pentesilea (la personificazionedell’Armenia), mostrava l’imperatore sia come un guerriero vincitore sia come il “salvatore” diun’Armenia prostrata.In entrambi i pannelli il volto dell’imperatore appare cambiato: chi saliva al trono si affrettavainfatti a dotarsi di un nuovo ritratto e così fece anche Nerone almeno dall’inizio del 55, quando ilcosiddetto tipo “Cagliari” comparve per la prima volta sulle monete (fig. 2b). Questo nuovo ritrattoriformulava in senso più realistico (cfr. gli occhi infossati, il labbro superiore prominente e gliorecchi a sventola) l’iconografia del giovane principe giulio-claudio, del quale conservava peròancora la caratteristica frangia compatta e bipartita dal motivo a forcella. I rilievi di Afrodisia sidatano quindi nel corso del 55 e segnano nello stesso tempo l’apice del potere di Agrippina el’inizio del suo declino, nel quale fu decisivo proprio il tentativo di vedere riconosciutoapertamente l’esercizio di una sorta di reggenza/tutela sul figlio. Dopo il 55 ella scomparve infattidalla monetazione e, sebbene conservasse una certa influenza, perse ogni ruolo ufficiale finché noncadde vittima dell’ira imperiale nel 59.

Il modello augusteo e la vittoria particaQuando nell’autunno del 54 Nerone era salito sul trono, nel suo primo discorso (scritto da Seneca),in cui aveva proclamato l’apoteosi di Claudio, aveva dichiarato la sua volontà di governare secondoil modello augusteo (Svetonio, Nerone, 10, 1). A suo modo egli restò fedele a questo intento pertutto il principato, sfruttando la guerra con i Parti per sviluppare il nesso che Augusto avevastabilito per primo tra la vittoria partica, il ritorno dell’età dell’oro (l’aurea aetas) e la protezione diApollo e di Sol/Helios. Proprio l’uso di questi temi fin dall’inizio del regno neroniano fa dubitareche sia possibile scandire l’evoluzione dell’immagine dell’imperatore, individuando date specificheper l’inizio della sua assimilazione ad Apollo (59) e al Sole (64). Nonostante quei due anni abbianosegnato delle svolte, la propaganda neroniana non operò con tanta coerenza, anzi intrecciò spessotra loro i vari temi, come si è visto nell’incoronazione di Tiridate nel 66, restando per giunta alungo nel solco del modello augusteo, per distaccarsene solo negli ultimi anni.Nel 55 la strada dell’imitatio Augusti nella celebrazione della vittoria partica fu sceltadall’entourage di Nerone accettando che una statua (effigies) del giovane sovrano fosse collocatanel tempio di Marte Ultore (Tacito, Annali, 13, 8, 1), dove erano conservate le insegne legionarieche i Parti avevano riconsegnato proprio ad Augusto nel 20 a.C. Il nesso con il dio della guerra fuaccompagnato dall’adozione immediata dell’immagine loricata, testimoniata nel rilievo diAfrodisia e in una statua di Tralleis (fig. 12c), oggi acefala ma identificata con Neronedall’iscrizione e datata ai primi anni di regno. In entrambe le corazze la decorazione è formata dasimboli solari, evidenziando così l’accostamento a Sol/Helios già nel momento delle prime vittoriein Armenia, un legame confermato da un altro pannello del Sebasteion di Afrodisia del quale siconserva solo l’iscrizione da cui si deduce però che Nerone e il dio vi fossero rappresentati insieme.In seguito la vittoria romana sui Parti fu celebrata di nuovo nel 58 nelle forme consuete dellasalutazione imperatoria e della costruzione in Campidoglio di un arco onorario, che fu completatonel 62, ossia prima della conclusione del conflitto nel 63. L’arco fu poi distrutto dopo la morte di

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1837. Denario raffiguranteforse Nerone assimilatoad Apollo citaredo

8. Altare di Eumolpo.Firenze, MuseoArcheologico Nazionale Questa adesione a modelli ellenistici è coerente con le decisioni pervase di filellenismo prese

dall’imperatore in quegli stessi anni, e in particolare con l’istituzione dei primi concorsi musicali eletterari (Iuvenalia nel 59 e i Neronia nel 60). Di per sé l’interesse dell’imperatore per il teatro eper le recitationes non era una novità, visti l’impegno nel restauro di edifici teatrali municipali eanche la frequente presenza di statue di Nerone nei teatri (Bologna, Caere, Vaison) e soprattuttonegli odeia (Cosa, Luni, Vienne), una presenza che si inseriva comunque ancora nel solcodell’esempio augusteo. È significativa del clima culturale dell’epoca anche la contemporaneaaffermazione di una nuova iconografia del cittadino romano come intellettuale/poeta in toga,ottenuta mediante la rappresentazione del gesto di interrompere la lettura (cfr. un togato di etàneroniana dal teatro/odeion di Luni).Nerone si preparava però a fare molto di più, ossia a calcare personalmente la scena come citaredo,attore e pantomimo, coltivando così in pubblico ciò che per un aristocratico romano era stato finoad allora accettato (e raramente) solo in privato. Dal 59 Nerone si impegnò invece moltissimonella sua carriera musicale e teatrale, in cui esibiva le abilità nel canto e nell’uso della cetra,condivise proprio con Apollo. L’esordio sulla scena produsse così anche nuove immagini, estraneealle consuete iconografie imperiali. Svetonio (Nerone, 25, 2) riferisce infatti al momento del ritorno“trionfale” dalla Grecia a Roma la rappresentazione di Nerone in costume da citaredo in alcunestatue e nella monetazione. In effetti diverse emissioni coniate a Lione e in Grecia tra il 64 e il 67,raffigurano sul rovescio un citaredo in azione in cui è stato riconosciuto l’imperatore nelle vesti diApollo (fig. 7). L’identificazione non è evidente, ma è significativo che i romani, e tra costoro ancheSvetonio, abbiano creduto che si trattasse di immagini di Nerone e non del dio. Per quantoAugusto fosse stato a sua volta assimilato ad Apollo sul Palatino e le immagini di Nerone citaredofossero una “logica” conseguenza delle sue vittorie nel tour greco, niente di simile si era visto aRoma tanto che l’imperatore stesso ne limitò la collocazione alla propria residenza privata.Calcare le scene fece inoltre sì che Nerone si immergesse a fondo in quel mondo del mito in cuisceglieva i soggetti delle sue interpretazioni, spesso suggerendo, come ha sostenuto E. Champlin,anche un certo grado di identificazione con i “suoi” personaggi. Una coincidenza interessante siscorge allora nel soggetto di due delle poche sculture verosimilmente attribuibili all’arredoscultoreo di una residenza neroniana. Il debutto professionale di Nerone come citaredo nel 64

182 5. Rilievo con guerrieropartico. Roma, MuseoNazionale Romano

6. Efebo di Subiaco.Roma, Museo NazionaleRomano, Palazzo Massimo alle Terme Nerone, ma siamo informati sul suo aspetto grazie alle monete che lo raffigurano e ad alcuni

frammenti attribuiti da E. La Rocca alla decorazione architettonica e figurata dell’edificio. Ilprogramma decorativo, che per la prima volta occupava ogni spazio disponibile ed era completatosull’attico dalla statua di Nerone sulla quadriga trionfale, doveva riunire il linguaggio simbolicodella propaganda giulio-claudia, riconoscibile per esempio nelle immagini di Vittorie e didanzatrici, con la più concreta rappresentazione delle scene di battaglia. Queste sono a stentoleggibili nelle monete, ma potrebbero essere conservate almeno da un frammento di rilievo delMuseo Nazionale Romano in cui compare un guerriero partico mentre combatte (fig. 5): si trattadi un documento prezioso del rinnovamento formale e di contenuti in corso nel rilievo storicoromano, che aveva iniziato a dare più spazio ai temi bellici, anticipando le conquiste dell’etàtraianea nella composizione di una scena molto ricca di pathos e lontana ormai dai modelliaugustei. Il rilievo consente inoltre di ipotizzare l’esistenza di un repertorio (perduto) di immaginiufficiali raffiguranti le campagne neroniane (cfr. anche i trofei partici citati in Tacito, Annali, 15,18, 1), che è suggerita anche dall’eco in alcune appliques con guerrieri partici e soprattutto in unbronzetto di Venezia, proveniente da Oderzo e raffigurante Nerone mentre, nei primi anni di regno(il ritratto è un tipo “Cagliari”), seduto e loricato, accettava la sottomissione di un nemico.

Il nuovo Apollo citaredoIl primo quinquennio di regno di Nerone fu poi ricordato come un periodo felice e la lietaricorrenza fu sottolineata nel 59 mediante la creazione di un nuovo ritratto imperiale (tipo “Museodelle Terme”), che segnò per la prima volta un distacco netto dalla tradizione giulio-claudia el’adesione a quella del sovrano ellenistico. L’inizio di quella che sarà poi considerata la fase“tirannica” del principato neroniano, inizio segnato anche dall’uccisione di Agrippina, vide cosìNerone mutare letteralmente volto e rinnovare profondamente l’immagine imperiale (cfr.Svetonio, Nerone, 51 sulla pettinatura). Nel nuovo ritratto, testimoniato da una splendida testaproveniente dal Palatino (fig. 2c), il viso si fece più largo, il collo più massiccio, le basette e i capellisi allungarono fino a coprire guance e collo (Seneca, Apocolocyntosis, 4, 30-34) e la frangiacompatta tipica dei giulio-claudi lasciò il posto a un brusco movimento delle ciocche verso latempia destra concluso da un motivo a forcella sull’angolo esterno dell’occhio destro.

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18510. Aureo raffiguranteNerone in toga, stante e radiato

avvenne infatti con l’interpretazione di una Niobe, un tema scelto probabilmente perché la crudelepunizione della donna e dei suoi figli esprimeva al meglio la forza implacabile del potere di Apollo.Lo stesso tema era però illustrato anche nella villa imperiale di Subiaco (Sublaqueum), cometestimoniano la statua di Efebo (fig. 6) e forse anche la cd. fanciulla dormiente attribuite a ungruppo raffigurante i Niobidi. L’illustrazione del potere di Apollo poteva dunque accompagnarel’imperatore sia in scena sia nei momenti di otium.

Tra Sol/Helios e il Divo AugustoDall’assimilazione ad Apollo all’accostamento al Sole il passo era breve, come in parte era giàaccaduto in età augustea, e per Nerone il tema solare è attestato dalla statua di Tralleis, daipannelli Afrodisia e da molti brani encomiastici di poeti e letterati del tempo (Lucano, CalpurnioSiculo, alcuni epigrammi greci, in parte Seneca). In questo caso la novità decisiva fu l’adozionedella corona radiata, che Nerone indossò per la prima volta nel 64, nel momento della creazionedel suo ultimo tipo ritrattistico (il quarto) in occasione dei decennalia di regno. Il volto imperiale(cfr. lo splendido ritratto in bronzo dorato della collezione Alex Guttman, fig. 9, e la testa diMünchen, fig. 2d), come si nota soprattutto nelle immagini monetali, divenne allora più pesante,le basette sostituirono la corta barba precedente e la sistemazione della frangia si fece ancora piùteatrale, perdendo la “forcella” sull’angolo dell’occhio destro. Il ritratto di Nerone doveva ormaiillustrare il potere benefico dell’imperatore, pronto a distribuire ricchezza ai cittadini (come nellescene monetali di congiarium) in piena coerenza con quel ritorno della pace e dell’età dell’orofinalmente realizzato con la conclusione delle ostilità con i Parti nel 63 e con la conseguentechiusura delle porte del tempio di Giano che Nerone stesso ordinò nel 64, avendo come unicoprecedente quello augusteo, anch’esso derivante da una vittoria partica.La scelta della corona radiata, un indubbio attributo solare che caratterizzava però anchel’immagine ufficiale del Divo Augusto, doveva puntare in effetti molto sull’ambiguità di unsimbolo che era ormai considerato (anche) un attributo del princeps divinizzato. Nel rovescio di unaureo coniato dopo il 64, in cui Nerone fu ritratto con indosso la toga, la corona radiata, un ramod’alloro nella destra e un globo niceforo nella sinistra, la nuova immagine “solare” si sposava infatticon la celebrazione della vittoria nel solco del modello augusteo, citato dalla presenza di quellastessa Vittoria sul globo che Augusto aveva fatto porre nella Curia Iulia (fig. 10). Dal punto divista di Nerone la chiusura del tempio di Giano realizzava di fatto l’aurea aetas promessa e gliconsentì di passare dalla semplice imitazione di Augusto alla più impegnativa e inedita emulazionedel Divo Augusto, sfruttando anche il comune accostamento ad Apollo e al Sole. La corona radiatapresentava dunque Nerone come un divo ante litteram, come in un cammeo di Nancy, in cui eraanticipata l’apoteosi stessa dell’imperatore, assimilato a Giove e portato in cielo da un’aquila.Nel ritratto radiato la novità non risiedeva quindi tanto nell’iconografia quanto nella suaestensione all’immagine vivente di un imperatore. Essa fu però solo il punto di partenza per lanascita di nuove immagini in cui l’accostamento al Sole si liberò degli ingombranti precedentiaugustei, e cominciò a confidare direttamente sulle abilità personali dell’imperatore, come lapartecipazione alle corse dei carri. La nuova iconografia di Nerone auriga solare, che fu mostrata alpopolo il giorno dell’incoronazione di Tiridate e riprodotta nella statua loricata cerite, dimostra cheNerone non si “accontentava” della corona radiata, ma cercava di coniugare il ruolo del Sole nelmito (e nel circo) con le sue doti di auriga per costruire un’assimilazione al Sole più stretta edesclusiva, come aveva fatto con Apollo sfruttando la citarodia. In questo filone si inserisce anche ladedica privata di un piccolo altare offerto al Sole e alla Luna da Eumolpo, uno schiavo che lavoravaper la Domus Aurea (fig. 8). La sua decorazione, con al centro l’immagine radiata del Solecaratterizzata però dal volto di Nerone e dal costume d’auriga, dimostra il salto di qualitànell’identificazione tra l’imperatore e il dio, almeno nelle dediche private: l’altare raffigurava infattiil Sole, dando però al dio la fisionomia di Nerone, ragion per cui l’imperatore non si limitava più aindossare la corona radiata ma appariva circonfuso direttamente di radii solari.L’episodio più celebre e controverso dell’assimilazione solare di Nerone fu la decisione di realizzareil Colosso raffigurante il Sole nel vestibolo della Domus Aurea (Plinio il Vecchio, Storia naturale,34, 18, 45; Svetonio, Nerone, 31, 1). La statua fu completata e dedicata come un’immagine del Solenel 75 da Vespasiano (Svetonio, Vespasiano, 18 e Dione Cassio, Storia romana, 65, 15, 1), ma,sebbene si corra il rischio di fare un processo alle intenzioni, visto che è probabile che nel 68

184 9. Ritratto di Nerone,già nella collezione AxelGuttman

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18712a. Statua loricata di Nerone dal teatro diBologna. Bologna, CivicoMuseo Archeologico

12b. Statua loricata di Nerone da Vaison-La-Romaine. Vaison-La-Romaine, MuséeArchéologique ThéoDesplans

12c. Statua loricata diTralleis. Istanbul, MuseoArcheologico

12d. Statua loricata daVelleia. Parma, MuseoArcheologico Nazionale

186 11. Nerone seminudo(opera venduta all’astanegli anni sessanta)

l’opera non fosse stata ancora terminata, il suo aspetto originario e il grado di somiglianza del voltocon Nerone sono da tempo oggetto di discussione.Le fonti letterarie non consentono però di pronunciarsi in maniera definitiva sull’identità previstaper il Colosso. Si può solo dire che l’imperatore amava i ritratti giganti: una sua immagine alta 120piedi era stata dipinta presso gli Horti Maiani (Plinio, Storia naturale, 35, 51; sarà poi distrutta daun fulmine) e anche quella raffigurata nel velario del Teatro di Pompeo doveva essere enorme.Si ha perciò l’impressione che il frequente accostamento di Nerone al Sole e la colossalità dellastatua avrebbero indotto di per sé chiunque a riconoscere il volto imperiale nell’immagine del dio,un po’ come nelle monete con Apollo Citaredo, anche al di là dell’effettiva “somiglianza” fisica eprescindendo dal fatto che il Colosso fosse stato pensato o no come un ritratto di Nerone nel sensopieno del termine.Proprio le statue come Apollo citaredo e le immagini come Sol auriga apparse tra il 66 e il 68segnarono quindi un mutamento nella propaganda neroniana che, dopo aver portato alle estremeconseguenze gli spunti apollinei e “solari” presenti nel modello augusteo, fino a porre l’imperatoresullo stesso piano del Divo Augusto (nel 64), cercava nuove strade, sfruttando le passioni e le“carriere agonistiche” di Nerone come spunto per adottare immagini nuove che ne proclamassero

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origine dell’imperatore, legata al culto di Nettuno. Inoltre soggetti marini furono evocati più voltenegli spettacoli e nei banchetti allestiti da Nerone e in particolare durante il viaggio in Grecia, aIsthmia, dove fu pronunciata un’ode in onore di Poseidone e Anfitrite (Luciano, Nerone, 3) e aCorinto dove il tema apparve sulle monete.Sembra quindi probabile che il tema sia stato sfruttato proprio per onorare l’imperatore inoccasione della liberazione della Grecia e della visita del 66-67, forse alludendo anche all’anticosignificato agonale di queste immagini.

Un altro esempio significativo del modo di procedere di questa propaganda è la statua loricata diVaison-La-Romaine (fig. 12b), il cui ritratto, posteriore al 64, fu poi rilavorato come Domiziano: lacorazza accoglie una scena di venerazione del Palladium, l’antico simulacro di Minerva conservatonel tempio di Vesta e simbolo dell’eternità di Roma. Anche questo tema era specifico dellapropaganda imperiale (l’imperatore in quanto pontefice massimo era il garante della tutela dellastatua), ma la salvezza del Palladium e il legame con Vesta furono evocati con forza da Neronesolo dopo l’incendio del 64 e il programma decorativo del loricato di Vaison illustra quelmessaggio. Una scena analoga di venerazione di un simulacro arcaico di Minerva, si riconosce delresto anche in un affresco della Domus Aurea (corridoio 117). Queste statue dimostrano quindidue cose: l’importanza dell’immagine “marziale” dell’imperatore, che metteva in luce il ruolo didetentore dell’imperium, e la presenza nella sua propaganda di altri temi, spesso sottostimatirispetto a quello solare/apollineo, forse perché meno rivoluzionari, ma non meno vitali.

Quello che resta della memoria di un imperatoreMediante la dedica di statue e monumenti onorari ogni uomo politico romano mirava a garantirsiuna memoria pubblica perpetua, mentre il danneggiamento dei suoi ritratti era il primo segnale didiscredito, visto che il popolo li usava proprio per comunicare le proprie simpatie e orientamenti.Per un imperatore la morte costitutiva poi anche il redde rationem del suo governo, visto che ilSenato si trovava spesso di fronte alla scelta tra la proclamazione della sua apoteosi e la sanzionedella damnatio memoriae, ovvero della distruzione delle immagini imperiali di chi si eradimostrato un tiranno. Con Nerone il Senato scelse questa strada, dichiarandolo nemico pubblicomentre era ancora vivo (Svetonio, Nerone, 49, 2) e punendolo dopo la morte mediante larimozione e il danneggiamento deliberato dei ritratti, sanzioni ripetute sia al momento dellacaduta dell’imperatore sia durante i regni di Galba e di Vespasiano. L’applicazione di questedecisioni è documentata concretamente in tutto l’impero dalle epigrafi scalpellate, dalle monetesfregiate e dal gran numero di ritratti rimossi, spesso dopo essere stati gravemente mutilati nelvolto, oppure lasciati sul posto ma per essere rilavorati e assumere una nuova identità. Come hadimostrato E.R. Varner, non ci possono essere dubbi sull’effettiva decisione della damnatiomemoriae dell’imperatore.La distruzione non fu però l’unico destino delle immagini di Nerone: la memoria dell’imperatorefu occasionalmente difesa, per esempio da Otone e Vitellio, che nel 69 fecero ricollocare inpubblico le statue rimosse (ma non distrutte) da Galba, e fu conservata soprattutto da una partedel popolo, come documenta la notizia della frequente ricomparsa di ritratti dell’imperatore investe di console (in toga praetexta) nel foro di Roma (Svetonio, Nerone, 57, 2). L’apprezzamentopopolare in effetti non abbandonò mai del tutto Nerone e questa indulgenza si spiega anche conl’amore per i ludi e per le corse, che egli aveva condiviso con una folla di appassionati. Questa ansiadi riabilitazione tra il IV e il V secolo produsse persino nuove immagini di Nerone: l’imperatore furaffigurato di nuovo alla guida della quadriga solare in un cammeo oggi al Cabinet des Médailles eil suo busto fu rappresentato spesso e fedelmente nei contorniati che venivano distribuiti durante igiochi circensi. Sui rovesci si trovavano le immagini delle corse (fig. 13), del pantomimo e diApollo citaredo, riunendo così il volto dell’imperatore alle passioni che aveva coltivatopubblicamente. Della propaganda di Nerone sopravvissero quindi più a lungo proprio le sueultime e “scandalose” immagini, ossia probabilmente anche le più “vere” e vicine all’indoledell’imperatore.

188 13. Contorniato raffigurante Neronesul dritto e scena con corsa di bighe sul rovescio.Parigi, BibliothèqueNationale, Département des Monnaies, médailles et antiques, Cabinet desMédailles

un’assimilazione più stretta agli dèi protettori dei suoi exploits. Entrambe le iconografie in costumeda citaredo e da auriga non erano state inventate ex novo, ma era inedito il loro ingresso nelritratto imperiale e, visto che almeno fino al 62 Nerone era stato “guidato” dai suoi consiglieri, èprobabile che proprio queste immagini più tarde consentano di cogliere oggi l’indirizzo piùpersonale (e scandaloso dal punto di vista senatorio) dell’imperatore nella comunicazione dellapropria immagine.

Il linguaggio dei corpi nei ritratti imperialiI ritratti come auriga e come citaredo avrebbero rinnovato non poco l’immagine imperiale, manon ebbero il tempo di entrare in quel repertorio di tipi statuari che le classi dirigenti localiusavano in tutto l’impero per “dialogare” con il sovrano ringraziandolo per i benefici (reali opresunti) del suo governo. In effetti proprio la scelta dei tipi statuari abbinati ai ritratti offre altreinformazioni sugli indirizzi meno eversivi della propaganda neroniana. Una volta salito sul tronoper Nerone si fece infatti ancora ricorso all’abituale immagine togata (il ritratto del MuseoPalatino e una statua di Eleusi, una statua acefala di Cosa e un’altra rilavorata come Augusto adAquileia), ma prevalse rapidamente la volontà di rinnovare il repertorio tradizionale, mediante lascelta sia dell’immagine eroizzante sia di quella militare. Esse consistevano rispettivamentenell’adozione della nudità, che era spesso velata dal mantello cinto intorno ai fianchi(Hüftmantel), e della statua con corazza o loricata. Entrambe divennero molto frequenti:immagini (semi)nude erano abbinate ai ritratti di Cagliari e Tuscolo (oggi ai Musei Capitolini),realizzati poco tempo dopo il 54, mentre altre statue presentavano Nerone come un eroicoguerriero (a München, con testa rilavorata come Domiziano) oppure lo ritraevano come Giove (aVicenza e in una statua comparsa brevemente solo sul mercato antiquario; fig. 11), una sceltaquest’ultima che poneva già l’imperatore vivente su un piano vicino a quello dei divi Augusto eClaudio (depotenziando così l’apoteosi di quest’ultimo, che infatti l’entourage dell’imperatorescherniva apertamente, cfr. l’Apocolocyntosis di Seneca).Le immagini loricate sono le più numerose e significative, anche perché offrivano la possibilità disfruttare lo spazio vuoto della corazza per un messaggio propagandistico extra (cfr. Caere).Nerone fu così il primo imperatore regnante a puntare molto sulla diffusione della propriaimmagine loricata anche in Occidente, una scelta che può sembrare paradossale, visto che eglinon guidò mai un esercito sul campo, ma legittimata dal fatto stesso che i suoi generalicombattevano sotto i suoi auspici. Questo volto della propaganda neroniana si manifestò in modidiversi: nelle monete Nerone fu il primo imperatore a far rappresentare il proprio busto loricatosul dritto (65/66 ca.); alle statue si affiancarono le immagini in piccolo formato, scolpite in pietrepreziose, come la statuetta loricata in diaspro di cui parla Plinio il Vecchio (Storia naturale 37,118), o realizzate in bronzo, come lo splendido loricato ageminato del British Museum, chepropone una versione patetica del volto imperiale (cfr. il ritratto in bronzo del Louvreproveniente dalla Cilicia); ma soprattutto all’imperatore furono erette molte statue loricate alnaturale o superiori al vero (elenco solo le più probabili: Caere, Bologna, Vaison la Romaine,Velleia, Tralleis, la serie di statue greche con Nereidi e forse Rusellae). Nella basilica di Velleia ilcontrasto tra la statua loricata di Nerone (fig. 12d) e la ricca serie di immagini in toga dedicate inprecedenza agli uomini della famiglia giulio-claudia (Nerone bambino compreso) fa capirel’impatto della nuova immagine nei cicli statuari dominati dal tradizionale costume civile delcittadino romano.I programmi decorativi dei loricati impiegavano, con poche eccezioni, un repertorio standard,quasi formulare, che nasceva a Roma ed era poi riproposto in più statue e anche da personaggidiversi, sfruttando un linguaggio simbolico ma adattabile a eventi contingenti (cfr. Caere). Dallecorazze si può dunque risalire ai temi propagandistici caratteristici di un imperatore. Nel caso diNerone fu quasi specifica del suo regno la rappresentazione di una coppia di Nereidi a cavallo didraghi marini (ketoi) o ippocampi, attestata in una statua di Bologna (fig. 12a) e soprattutto inGrecia (Olimpia, Durazzo, Salonicco, Narona, Megara, Opus e in due loricati del Louvre e diMünchen di provenienza greca). Forse non tutte queste statue ritrassero l’imperatore, mal’identificazione è certa a Bologna e Olimpia, e, per ragioni stilistiche, almeno la cronologianeroniana è assai probabile per tutte le altre. Il tema alludeva al dominio stabilito sul mare, untopos della propaganda imperiale connesso però anche ai Domizi Enobarbi, ossia alla famiglia di

scontornare

scontornare

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1911-2. Affreschi dallaDomus Transitoria con riti bacchici.Napoli, MuseoArcheologico Nazionale

I colori chiari e lo stile, rapido e nervoso, che schizza molto rapidamente le figure, nel quale sonodipinti i fregi napoletani (sia quelli con incoronazione di Priamo che quelli con processionedionisiaca), appare assai lontano dalla gravità ‘epica’ e dai classicheggianti toni scuri in cui sonodipinti gli eroi omerici nei frammenti del Museo Palatino. Questa diversità non deve stupire inpitture contemporanee e collocate all’interno di uno stesso gruppo di ambienti, al contrario: nellaproduzione figurativa di età romana l’uso dei diversi ‘linguaggi stilistici’ costituisce esso stesso unlinguaggio comunicativo ed è strettamente legato a una serie di variabili, tra le quali hanno unpeso importante soprattutto la funzione dell’ambiente e il soggetto rappresentato, o per megliodire il contesto figurativo nel suo complesso. Di tutto questo, le decorazioni qui esaminate dellaDomus Transitoria costituiscono un esempio molto significativo, che adotta per un soggetto legatoall’‘arte per i sensi’, quale è quello della festosa processione dionisiaca, uno stile ‘nervoso e vibrante’,e sceglie invece un linguaggio più aulico per rappresentare gli eroi dell’epos omerico. Inoltre, lagiustapposizione in uno stesso complesso – e talvolta anche in uno stesso ambiente – di stili,tecniche e soggetti diversi, costituisce nel linguaggio figurativo della società romana unamanifestazione di padronanza di tutti i diversi aspetti delle tecniche artistiche, che rappresentaessa stessa una forma di eccellenza artistica.Nel complesso dei “Bagni di Livia” il contrasto tra l’ambientazione sotterranea, i giochi d’acqua, irivestimenti di marmi policromi e di bronzo dorato, le pitture su fondo bianco impreziosite dadorature, finte gemme e partizioni in stucco contribuiva a creare in questo gruppo di ambienti unasorta di ‘grotta divina’.La profusione di marmi e materiali pregiati presenti nella decorazione del ninfeo della DomusTransitoria ci introduce a un’altra difficoltà nella trattazione della pittura nell’età neroniana: se allacommittenza di questo imperatore è legato il nome di uno dei pochi pittori di età romana dei qualisia noto il nome, tramandatoci da Plinio il Vecchio (Storia Naturale, 35, 120), che lo dice quasi‘imprigionato’ nella Domus Aurea, quel Fabullus (o Famulus) il cui operato non siamo peraltro ingrado di riconoscere all’interno di questo complesso, è proprio in gran parte dei contesti neronianiche la pittura perde il ruolo di principale tecnica decorativa nelle case della società romana, ruoloal quale essa aveva assolto per circa 150 anni anche entro le case di committenza alta e altissima,come ci testimonia l’esempio della casa di Augusto sul Palatino.Come espressione della concezione monarchica del potere imperiale che si attribuisce a Nerone,nella Domus Aurea gli spazi nei quali vive l’imperatore – con una particolare, non casualeconcentrazione nell’ala orientale del complesso – sono rivestiti di materiali particolari (marmicolorati, mosaici parietali e altri materiali pregiati), che dovevano essere utilizzati in parete inmodo da giocare sulle combinazioni di colore che essi permettevano. Tutto ciò non rappresentasolo una manifestazione di grande lusso abitativo, secondo tendenze già peraltro riconoscibili neglianni precedenti, nell’età di Claudio, ma risponde anche a una concezione teocratica del potere

190 In ricordo di Stefania Adamo Muscettola

Il tentativo di isolare, tra le pitture eseguite nei decenni centrali del I secolo d.C., quelle databiliall’età di Nerone, non rappresenta un compito facile: tecnica, stile e schemi decorativi nonpermettono infatti di distinguere con sufficiente certezza una pittura databile all’età di Claudio dauna databile a quella di Nerone o di Vespasiano, e costringerebbero inoltre a entrare in una serie diquestioni di dettaglio che non possono essere esaminate in questa sede.Il criterio-guida in questo tentativo deve essere quindi, per quanto è ancora possibile, l’analisi deicontesti di provenienza delle pitture; in questa operazione, una posizione di particolare importanzava evidentemente riconosciuta alle residenze imperiali neroniane, Domus Transitoria e Domus Aurea.Le pitture della Domus Transitoria sono di datazione discussa, tra l’età di Claudio e quella diNerone. L’analisi del contesto e dei soggetti in esso rappresentati ha permesso di dirimere laquestione in maniera convincente: tra i frammenti distaccati nel corso del Settecento dal ninfeosotterraneo del Palatino tradizionalmente noto come “Bagni di Livia” (conservati oggi nei Depositidel Museo Archeologico di Napoli – dove sono giunti seguendo il trasferimento a Napoli dellacollezione Farnese) – alcuni presentano infatti temi iconografici molto singolari, che sono statiposti in relazione con l’ascesa al potere del giovane Nerone e con la sua concezione teocratica delpotere imperiale. In particolare uno di essi rappresenta l’investitura da parte di Eracle del giovanePriamo, diventato re di Troia in seguito all’uccisione, da parte dello stesso Eracle, di suo padreLaomedonte. Sotto le spoglie della narrazione mitologica si alluderebbe quindi all’ascesa al poteredel giovane imperatore, mentre la rappresentazione di un’investitura ‘divina’ ben converrebbe aduna concezione teocratica del potere imperiale.I frammenti conservati a Napoli sono purtroppo assai mal conservati, ma quanto è ancoraleggibile consente di attribuire allo stesso complesso un altro frammento di fregio non identificatoin precedenza, conservato anch’esso a Napoli, raffigurante un’animata processione dionisiaca, i cuipersonaggi principali sono ancora a stento riconoscibili sul bianco del fondo (figg. 1-2).Il riconoscimento della committenza neroniana dei fregi sopradescritti, basato come già detto nonsu un’attribuzione di natura stilistica ma su considerazioni di ordine ideologico, costituisce unaacquisizione di grande interesse. Dirimendo la questione cronologica della datazione dei “Bagni diLivia”, questa proposta consente di attribuire all’epoca di Nerone anche le porzioni della volta edella lunetta dipinte, oggi conservate nel Museo Palatino (inv. 381404-6). I frammenti rappresentanosul fondo bianco scene iliache, inquadrate entro una partizione formata da fasce a fondo rossoevidenziate da ornati in stucco e gemme in pasta vitrea blu, ad imitazione del lapislazzuli.

I R E N E B R A G A N T I N IL A P I T T U R A

D I E T À N E R O N I A N A

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192 1933. Affreschi dallaDomus Transitoriacon scene omerichee “grottesche” conbottoni finte gemmeincastonate. Roma,Museo Palatino

imperiale, a una concezione divina della figura dell’imperatore, che ‘imprigiona’ all’interno dellasua residenza la natura, divenendone chiaramente il signore.L’uso decorativo di marmi e materiali pregiati – in particolare nei contesti pubblici dicommittenza imperiale, dove i marmi colorati provenienti dai vari paesi dell’imperorappresentavano il dominio e l’appropriazione da parte del ‘centro del potere’ di un paesaggio edelle sue risorse – non è nuovo: nuove sono le dimensioni eccezionali che il fenomeno oraraggiunge, che non sono paragonabili con le manifestazioni di lusso abitativo a noi note per leepoche precedenti e per quelle successive.Le pareti degli ambienti ‘principali’ della Domus Aurea, quelli nei quali possiamo pensare che‘agisca’ l’imperatore, non sono dunque dipinte, ma rivestite di marmi: proprio osservando ladiversa altezza alla quale giungono le lastre di marmo in parete, a seconda della funzione e dellaposizione degli ambienti nel percorso della villa, è stato anzi possibile identificare una ‘gerarchiadegli spazi abitativi’ entro questa enorme residenza. Spoliati i marmi delle pareti negli interventidegli imperatori successivi, gli ambienti ci appaiono ora con le pareti nude, con le quali

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195194 4a. Affreschi dellaDomus Aurea, voltadella sala 119, intero e particolare

contrasta l’esuberanza ornamentale delle volte conservate, come nell’esempio della ‘volta d’oro’della sala (80).Questa situazione è riconoscibile in particolare nell’ala orientale del complesso; per quantopossiamo affermare – in base ai resti conservati e allo stato delle conoscenze – sulla decorazioneparietale degli ambienti dell’ala occidentale che si aprono sul grande peristilio (20), sembra sipossa qui riconoscere un’intenzionale diversità di linguaggi decorativi rispetto al complesso deirivestimenti parietali dell’ala orientale, nella quale il ricorso all’uso ‘tradizionale’ della pitturaparietale gioca come si è detto un ruolo assai limitato. Nell’ala occidentale invece, entro spazi cheanche per la loro organizzazione planimetrica appaiono più ‘tradizionali’, per i quali è ipotizzabileuna funzione ‘di rappresentanza’, tecniche e schemi decorativi si presentano più conservativi, afronte di una maggiore ‘innovatività’ degli spazi dell’ala orientale, che presentano caratteristichearchitettoniche più ‘rivoluzionarie’.

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196 4b-c. Affreschi dellaDomus Aurea, voltadella sala 119,particolari con Achille a Sciro

Tra le decorazioni più ‘conservative’ citiamo quelle della sala nera (32): al di sopra di uno zoccoloin marmo alto circa 2 metri e di un fregio con tralci vegetali, le pitture presentano ampi pannelliriquadrati da elementi decorativi molto esili, quasi ‘metallici’, ancora del tutto in linea con latradizione dei decenni precedenti, alla quale si richiama anche la monocromia del fondo nero.

Non mancano comunque nella Domus Aurea alcuni soggetti che possono rivestire un interesseparticolare per l’imperatore, presenti all’interno di ambienti che appaiono come principali nelpercorso dell’enorme complesso. Le pareti della sala (119) – collocata a ridosso della sala ottagonale(128), intorno alle quali si aprono a raggiera le quattro sale con nicchie per i letti tricliniari disposteai lati del grande ninfeo (124) – erano rivestite di lastre di marmo fino a circa due terzi della loroaltezza. Al di sopra le pitture a fondo bianco, scandite da colonne e lesene realizzate in pittura e astucco, esibiscono una complessa ornamentazione popolata da figure entro architetture. La voltapresenta un ricco ornato (al quale appartengono anche i frammenti di fregio con sfingi e tralcivegetali recanti tracce di doratura, oggi al British Museum), al centro del quale è rappresentato lo‘svelamento’ di Achille (figg. 4a-c). Al suono delle armi, secondo lo stratagemma escogitato da Ulisseper portarlo a combattere a Troia con gli eroi greci, l’eroe – nascosto dalla madre nell’isola di Scirotra le figlie del re Licomede – si libera con grande impeto delle vesti femminili, mostrando tutta labellezza del suo corpo giovanile e, afferrando scudo e lancia, va eroicamente incontro al suo destino.Lo stato di conservazione non consente di apprezzare tutti i dettagli di questa vigorosacomposizione, che sembra tradurre nella concitazione di tutti i personaggi l’eccezionalità delmomento. Analizzando il modo nel quale qui (per la prima volta in questa forma?) viene raffiguratoquesto episodio della vita di Achille, episodio non compreso nella narrazione omerica e che fino aetà tardoantica rivestirà una funzione centrale nel rappresentare gli ideali di vita maschile, eponendo attenzione allo stile vigorosissimo della rappresentazione, sembra difficile seguirel’interpretazione ‘alternativa’ che alcuni studiosi hanno dato della presenza di questa scena nellaresidenza neroniana. Secondo questa diversa lettura, non dovremmo qui riconoscere un’altramanifestazione della imitatio Achillis di Nerone, ricostruita sulla scorta di contesti monumentali digrande rilevanza; al contrario, questa figurazione tradurrebbe invece la ‘presa di distanza’ e ladenigrazione, da parte del giovane imperatore, dei valori ‘classici’ della cultura: una sorta di‘ridicolizzazione’ della figura del giovane eroe per antonomasia dell’epos greco, che vigliaccamente sitraveste da donna per salvarsi dal combattimento.Questa lettura appare difficilmente sostenibile anche perché, di qui in poi, le storie di Achille,diversamente declinate nei diversi episodi, conosceranno una particolare fortuna, come

1977. Quadro con Tetinell’officina di Efesto.Pompei, VII 1, 25, Casadi Sirico, esedra 10,parete E

8. Zoccolo a fintomarmo e fregiraffiguranti sceneiliache e l’investituradel giovane Priamo daparte di Eracle.Pompei, II 2, 2, Casa diOctavius Quartio, oecusH, parete S tratto E

testimoniano le pitture dei centri vesuviani, che costituiscono l’altro polo privilegiato di osservazioneper indagare la pittura di età neroniana.Anche se disponiamo qui di dati più precisi, legati ai due eventi principali che segnano gli ultimianni di vita di queste città – il terremoto del 62/63 e l’eruzione finale del 79 – i problemi didefinizione cronologica che abbiamo lamentato per le testimonianze romane (l’impossibilità ol’estrema incertezza di distinguere su basi stilistiche pitture distanti solo di qualche decennio)sussistono anche per i centri vesuviani (Pompei, Ercolano, Stabiae, Oplontis, sito della ricchissimavilla attribuita alla famiglia di Poppea, moglie di Nerone) e non è quindi facile, se non in casimolto particolari, districarsi tra questi problemi. Del resto, dal momento che quello che quiinteressa è il tentativo di ricostruire – attraverso l’analisi delle pitture – aspetti significativi dellamentalità della società romana in quest’epoca, non saranno certo le questioni stilistiche a destaremaggiore interesse.Così, seguendo il filo dell’importanza della figura eroica di Achille per l’ideologia neroniana – checome abbiamo già detto è stata convincentemente messa a fuoco per altri materiali e altri contesti –possiamo cercare di approfondire quali aspetti della sua vicenda siano rappresentati nelle pitture deicentri vesuviani e come ad essi sia data forma figurativa, sul modello delle scelte iconograficheprodotte a Roma.Se esaminate ponendo attenzione ai diversi contesti e livelli di committenza e al diverso impegnodecorativo che esse attestano, le pitture dei centri vesuviani (in larga parte contesti abitativi)possono infatti essere utilmente analizzate per risalire ai modelli urbani dai quali esse dipendono‘in tempo reale’.Tra gli episodi della vita di Achille che vediamo più frequentemente rappresentati in quest’epoca visono: la consegna, alla madre Teti, delle armi divine dell’eroe forgiate nell’officina di Efesto; quellonoto come ‘ira di Achille’, che rappresenta la contesa tra Agamennone e Achille per il possesso diBriseide (rappresentato a Pompei anche nel portico del tempio di Apollo, ma oggi perduto), e quello,già incontrato tra le pitture della Domus Aurea, di Achille alla corte di Licomede. Osservando ilmodo in cui queste vicende vengono raffigurate, restando all’interno di un repertorio tradizionale o alcontrario esibendo significativi ‘salti’ e innovazioni iconografiche, possiamo cercare di comprenderecome il tema letterario venga ‘declinato’ e ipotizzare quindi a quali letture esso si possa prestare neicontesti abitativi, contribuendo così a ricostruire la mentalità figurativa di un’epoca.Per quanto riguarda la consegna a Teti delle armi di Achille, nel secolo precedente, intorno allametà del I secolo a.C., la rappresentazione della celeberrima narrazione che nel libro diciottesimodell’Iliade descrive la fabbricazione delle armi di Achille da parte di Efesto e le figurazioni dello

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Con gli altri episodi della vita di Achille sopra citati (‘l’ira di Achille’ e ‘Achille a Sciro’), tali quadritestimoniano l’interesse per questi aspetti della vicenda dell’eroe che possiamo mettere in relazionecon le scelte delle grandi committenze urbane.Tra i complessi di recente rinvenimento attribuibili ad età neroniana, il complesso di Murecine,con il notevole stato di conservazione di alcune delle sue pitture, si rivela di un certo interesse.Le pitture ornavano tre triclini aperti su un portico, entro una struttura che costituiva forse la sededi un collegium. L’ambiente centrale si differenzia dai due laterali, a fondo rosso, per il fondo nerodella zona mediana e per la presenza in esso di tre grandi figure raffiguranti i Dioscuri e Venere (o Elena?) che conferiscono significato alla sua centralità planimetrica, riflessa anche dalla altaqualità pittorica di queste grandi figure. La cura posta nella loro esecuzione risulta anche dalleincisioni graffite (particolarmente evidenti nelle parti meglio conservate) che sono servite di guidaper la realizzazione delle figure, alle quali il tratteggio e il vivace gioco di luci e ombre conferisconogrande plasticità.Nei limiti di spazio di questo saggio non è possibile affrontare in dettaglio i problemi cronologiciche questo contesto presenta: è però possibile notare che le trame e i rimandi ipotizzati in unaserie di studi specialistici tra le pitture di Murecine e un gruppo di pitture che presentanocaratteristiche stilistiche simili e che rimandano agli anni precedenti e a quelli successivi alterremoto del 62/63 rendono difficile accettare per queste pitture una proposta di datazione all’etàdi Claudio (41-54 d.C.); tra queste pitture, le più significative delle tendenze stilistiche dell’epocagrazie agli agganci cronologici che esse offrono sono quelle pompeiane della Casa dei Vettii e delTempio di Iside. Va comunque chiarito che la datazione ad età neroniana delle pitture dell’AgroMurecine che viene qui accolta non implica assolutamente che si accetti la proposta di quantiriconoscono ritratti di membri della famiglia imperiale e di Nerone stesso nelle figure al centro deipannelli, che rappresentano invece consuete immagini ideali di divinità e Muse.Più sostenibile e più feconda di questa discussa ipotesi sembra quella avanzata qualche anno fa daStefania Adamo Muscettola, che aveva proposto un nesso tra la decorazione di questi ambienti equelle presenti nelle case di alcuni supporters pompeiani di Nerone, tra i quali la studiosaindividuava anche il proprietario della Casa dei Dioscuri, VI 9, 6-7: la casa prende il nome dallaraffigurazione sulle pareti del vestibolo di questi mitici eroi che – come nota la stessa studiosa –“compaiono a Pompei solo con l’età neroniana”.È significativo che questa proposta, che prende le mosse dalle pitture di Murecine per ricostruire ilcontesto storico e sociale del quale esse potrebbero essere espressione, possa trovare una confermanel fatto che i due quadri, collocati l’uno di fronte all’altro sulle pareti del tablino, rappresentinol’ira di Achille e Achille a Sciro. Considerato il livello economico e sociale del proprietario di questacasa ricavabile dall’analisi globale della sua residenza – che conserva uno dei pochi esempipompeiani di ambienti con le pareti rivestite integralmente di lastre di marmo, circostanza che,nonostante le evidenti differenze di scala, può costituire un importante nesso ideologico con letestimonianze romane – possiamo supporre un intervento diretto del proprietario nella scelta deisoggetti dei due quadri presenti nell’ambiente centrale della casa, che costituisce il cuore dellarappresentazione pubblica del dominus. Il fatto che qui sia adottata la versione iconograficadell’episodio alla corte di Licomede presente nella Domus Aurea, assente in questa forma dalrepertorio figurativo dei decenni immediatamente precedenti e da quest’epoca in poi presenteinvece in altri contesti pompeiani, conferisce a questa scelta una valenza particolare, e puòcorroborare la proposta di istituire un nesso con la figura dell’imperatore, che potrebbe essersirecato a Pompei nel 64.Alcune significative particolarità iconografiche distanziano comunque questi quadri pompeianidall’esempio della Domus Aurea, restituendo una visione meno ‘eroica’ e ideologicamente orientatadella figura di Achille: in particolare, l’eroe è qui rappresentato ancora rivestito delle vestifemminili, alle quali si adatta il colorito chiaro del suo incarnato, che contrasta con quello scurodella pelle degli eroi greci.

Anche i due fregi dipinti sopra un alto zoccolo a finto marmo nella casa pompeiana II 2, 2-4,illustranti l’uno scene iliache incentrate sulla figura di Achille, l’altro scene della vita di Eracle(compresa l’investitura del giovane Priamo, già incontrata tra i fregi della Domus Transitoria)richiamano gli esempi romani. Questa circostanza sembra particolarmente significativa in quanto

198 9. Affreschi daMurecine, Triclinio A,parete ovest

scudo come immagine del mondo, trova forma figurativa in un fregio nel quale la Nereide,ammantata in atteggiamento di compianto, distoglie lo sguardo dalla contemplazione delle armidivine, rivestito dalle quali il figlio morirà, e il dolore della perdita – più che il preannuncio dellamorte eroica – sembra qui prendere il sopravvento e costituire il vero significato dellarappresentazione. Ad età neroniana è invece credibilmente assegnata una nuova redazione diquesto soggetto, che muta completamente l’atmosfera e il ‘senso’ della rappresentazione. L’analisidi questa nuova iconografia rivela la diversa lettura che viene data dello stesso episodio letterario,svelandoci il nuovo ‘senso’ che quello stesso episodio doveva assumere per i committentidell’epoca: la triste ‘predizione’ della morte del giovane eroe compendiata nella sue armi diventaora pretesto per una scena di predizione astrologica incentrata sulla rappresentazione dellecostellazioni sullo scudo meraviglioso che domina il centro del quadro, scudo che Teti contemplacon interesse e ammirazione per l’abilità di Efesto o nel quale essa si specchia. Da segnalareanche la nuova, particolare cromia della rappresentazione, con il fulgore delle armi dorate dipintein toni di colore molto pastosi e resi più efficaci da forti giochi di luce, lontani dai toni freddi,neoclassici, dei quadri dei decenni precedenti.

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10. Affreschi di CasaBellezza sull’Aventino,parete gialla 4

La perdita di importanza del ruolo della pittura parietale nei contesti di committenza più alta,ideologicamente orientati verso il lusso dei materiali, segnerà in maniera definitiva gli esitisuccessivi della pittura: venuto infatti a mancare il ruolo guida che – tra la fine del I secolo a.C. el’inizio del successivo – la committenza più alta aveva ancora potuto esercitare nei confronti deiceti di livello inferiore, che erano stati in grado di seguire in maniera ‘accettabile’ il modello socialeche essi rappresentavano, nell’impossibilità economica e sociale di avere ora accesso ai materialipregiati che caratterizzano gli spazi abitativi, i pittori che operano per committenti ‘di mediolivello’ non sono più in grado di proporre sensibili innovazioni.Come ci testimoniano molti contesti ostiensi, gli artigiani cercheranno ora soluzioni nuoverestando sostanzialmente all’interno di un repertorio consolidato, fino ad arrivare, di qui a qualchedecennio (in particolare nell’area occidentale dell’impero) ad abbandonare la pittura parietalefigurata a favore di schemi decorativi che riportano ancora una volta in auge – come era avvenutonel I secolo a.C. – il linguaggio basato sugli schemi architettonici e sul rimando al valore simbolicodel marmo.

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la facciata di questa casa presentava una corona civica in stucco, un simbolo del culto imperialeche potrebbe indicare che il proprietario avesse un ruolo in questo culto. La qualitàparticolarmente elevata di queste pitture e la collocazione di un così particolare soggettoiconografico nell’ambiente della casa in cui vengono ricevuti gli ospiti di pari livello sociale,potrebbe indicare la volontà del dominus di esibire la sua adesione all’ideologia imperiale: l’analisidi un complesso abitativo di un centro italico, del quale come di consueto ignoriamo ilproprietario, ci permette forse di ricostruirne la figura sociale e il suo ruolo sulla scena locale.

Per concludere questa presentazione della pittura in età neroniana, sebbene la Domus Aurea cirestituisca un ruolo della pittura notevolmente ‘ridimensionato’ rispetto alle epoche precedenti, ilcomplesso – grazie anche al suo stato di conservazione, protetto al di sotto del complesso termalea destinazione pubblica che nell’età di Traiano gli si sovrappone, occupandone e condannandonela memoria, ma preservandone l’integrità – costituisce una testimonianza di grande interesse perricostruire una visione complessiva della funzione della decorazione immobile (e in particolaredella pittura) nei contesti abitativi della società romana. La gerarchia di impegno decorativo tra ivari ambienti ricavabile dall’analisi dei materiali usati per i rivestimenti parietali – in particolarel’osservazione del rapporto tra rivestimenti marmorei e pittura che consente di visualizzare ipercorsi dell’imperatore e dei suoi ospiti – costituisce un’ulteriore conferma della stretta relazionetra l’architettura, i percorsi della casa e la funzione delle diverse aree, il diverso impegnodecorativo e l’uso sapiente e modulato delle diverse tecniche decorative e ci permette diricostruire la ‘circolazione’ di quanti si trovano a percorrere gli spazi o a sostarvi nel corso dellediverse occasioni sociali.Così, se la ‘veduta di città’ realizzata su fondo azzurro su una delle pareti della facciata del cortilepentagonale richiama alla mente la celebre ‘città dipinta’ rinvenuta recentemente (1998) su unaparete – anch’essa di facciata – sottostante l’area delle Terme di Traiano, il fondo bianco dellepareti del criptoportico (92), illuminato solo da finestre a bocca di lupo, contribuisce a migliorarela ridotta luminosità dell’ambiente, mentre sulle pareti si dispiega tutto il repertorio tipico diquest’epoca qui fantasiosamente assemblato per ricoprire le alte superfici: scorci architettonici,vedute paesaggistiche, figure umane sono schizzate rapidamente sulle pareti.Grazie al confronto con queste pitture e all’aggancio cronologico che esse offrono, è stato inoltrepossibile assegnare alla stessa epoca un gruppo di ambienti dipinti appartenenti ad una casastraordinariamente conservatasi a Roma, sull’Aventino, nota come Casa Bellezza: si tratta di uncontesto abitativo di alto livello, come risulta dalla presenza di un oecus colonnato, aperto su di uncriptoportico. Il complesso è confrontabile anche con contemporanei esempi pompeiani di altolivello, in particolare da quelli che presentano uno stile più miniaturistico, mentre la strutturacompositiva della parete, la monocromia della zona mediana e alcuni particolari ornamentalitrovano confronto anche tra le pitture di Murecine.Nelle pagine precedenti si è molto insistito sulla difficoltà di riconoscere su sole basi stilistiche lepitture di età neroniana, difficoltà che è accresciuta dal fatto che anche nella pittura parietale –come nel complesso della produzione figurativa di età romana – diversi linguaggi stilistici, piùconservatori o più innovativi, convivono fianco a fianco e vengono usati con una intenzionecomunicativa, nella quale larga parte viene fatta alla committenza e alle sue possibilitàeconomiche, ai destinatari, nonché agli artigiani produttori. Non è quindi possibile caratterizzareunivocamente le tendenze stilistiche più rappresentative dell’età di Nerone. Alcuni esempisembrano infatti indicare un’esuberanza cromatica e una ridondanza decorativa che sidifferenzierebbero dalle tendenze ‘restauratrici’ che caratterizzerebbero l’età di Claudio, e quelle –per diversi motivi – nuovamente tradizionali del regno di Vespasiano. Tale esuberanza trovaespressione nell’uso dello stucco in combinazione con la pittura, per evidenziare plasticamente inparete o sul soffitto diversi particolari decorativi come lesene, colonnine o cassettonati: il rilievoche così si realizza crea sulla superficie della parete zone più in ombra e zone più in luce che –soprattutto negli ambienti in cui più studiato è il rapporto tra la decorazione e l’incidenza dellefonti di luce – accrescono e ‘movimentano’ la parete. Ad essa si affiancano però, comenell’esempio della sala nera della Domus Aurea o della parete a fondo giallo di ‘Casa Bellezza’,strutture molto aeree e particolari decorativi eseguiti su un fondo monocromo con la nitidezza ela precisione che aveva caratterizzato le pitture dei primi decenni del I secolo d.C.

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2031. Busto di Nerone da Olbia, foro (?).Cagliari, MuseoArcheologico Nazionale

202 “Nulla sopportò con maggiore pazienza degli insulti della gente” (Svetonio, 6, 39)

Gli interessi finanziari dell’aristocrazia senatoria e dell’alta dirigenza equestre furono duramentecolpiti dal nuovo corso impresso da Nerone alla politica economica con la grande riformamonetaria del 64. Di tali classi erano esponenti di spicco Tacito (Annali, 13-15), Svetonio (Vite deidodici Cesari, 6), Cassio Dione (Storia Romana, 61-63), in ordine cronologico le principali fontid’informazione sulla vita di Nerone.Nel presente saggio dalle opere degli autori citati sono state estrapolate e poste a confronto lenotizie riguardanti le attitudini artistiche, le attività ludiche e sportive di Nerone, epurate, perquanto possibile, dai commenti degli autori, in particolare di Svetonio e Cassio Dione. Si è, inoltre,tentato di ricomporre gli eventi in successione cronologica, riordinandoli per tematiche,nell’intento di seguire l’evoluzione delle passioni dell’imperatore nel quadro del suo sviluppopersonale e sullo sfondo degli eventi politici.

Sulla scenaNelle loro opere Tacito e Cassio Dione delineano un quadro molto preciso del clima in cui sisvolgeva ogni genere di spettacolo, tra opposte fazioni di tifoserie spesso incontrollabili e violenteal punto da richiedere la presenza dei militari. Tuttavia, alla fine del 55 a Roma fu ritirata la coorteche presenziava, con funzioni di controllo, agli spettacoli, secondo Tacito perché l’apparenza dellalibertà fosse più evidente e la moralità dei soldati, lontani dalla sfrenata permissività deglispettacoli, subisse meno danni, e anche per verificare se la plebe, allontanati gli addetti all’ordinepubblico, sapesse dare prova di moderazione. Ma l’anno successivo fu necessario richiamare isoldati a teatro, ove i disordini e le risse tra i sostenitori degli istrioni si trasformavano in veri epropri scontri grazie ai premi e alle garanzie di immunità concessi (Tacito, 13, 24-25). CassioDione riferisce una versione diversa, fortemente strumentale: gli uomini addetti al palcoscenico ealle corse dei cavalli ormai non si preoccupavano più dei pretori e dei consoli, anzi erano i primi aprovocare disordini. Nerone non solo non si opponeva, neanche con un semplice ammonimento,ma anzi li incitava, compiacendosi del loro atteggiamento e facendosi condurre di nascosto neiteatri a bordo di una lettiga, dalla quale osservare senza essere visto. L’imperatore vietò ai soldati dicontinuare ad assistere ai pubblici raduni, per fornire ogni possibile appoggio a coloro chevolevano provocare disordini (Cassio Dione, 61, 8, 2-3). Per evitare incidenti gravi dovuti alfanatismo del popolo fu necessario anche cacciare gli istrioni dall’Italia (Tacito, 13, 25). In realtà il

R O S S E L L A R E AN E R O N E , L E A RT I E I L U D I

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2052. Frammento di un ritratto di Agrippina Minore,da Ostia. Roma,Museo NazionaleRomano, PalazzoMassimo alle Terme

un’iscrizione precisa, donando a ciascuno il corrispondente di quanto aggiudicatosi (Cassio Dione,61, 18, 1-2). Al citaredo Menecrate e a un gladiatore, il mirmillone Spiculus, elargì patrimoni epalazzi degni dei trionfatori (Svetonio, 6, 30). La partecipazione agli spettacoli era aperta a tutti,anche ai non giovani o alle persone di salute malferma che, non potendo fare nullaautonomamente, potevano almeno prendere parte a canti corali. Tutti si esercitavano in base alleproprie inclinazioni: persone illustri, sia uomini che donne, ma anche fanciulle, ragazzini e anzianifrequentavano scuole appositamente aperte (Cassio Dione, 61, 19, 2-3). Nerone apparve di personain teatro, salendo sul palcoscenico in abito da citaredo e suonando un brano intitolato Attis, o LeBaccanti. Tutto ciò, ironicamente sottolinea Cassio Dione, fu quanto fece per celebrare la rasaturadella sua barba (Cassio Dione, 61, 21, 1), attribuendo agli Iuvenalia eventi riconducibili aisuccessivi Neroneia, come confermato da un precedente passo in cui l’autore, confondendo le duemanifestazioni, riferisce che i Neroneia furono celebrati in onore della sua barba, rasa per la primavolta proprio in quel periodo (Cassio Dione, 61, 19, 1). Lo storico afferma anche che, secondoquanto tramandato, la voce dell’imperatore era bassa e fioca (Cassio Dione, 61, 20, 2).Nel 59 o 60, per celebrare i primi cinque anni di regno, istituì a Roma un concorso quinquennaletriplice, per la prima volta all’uso greco, comprendente gare di musica, eloquenza, atletica e corsedi cavalli: i Neroneia che, come riporta Tacito (14, 47), suscitarono reazioni molto diverse. Alcuniricordavano che anche Pompeo era stato criticato dai più anziani per avere conferito una sede fissaal teatro: in passato, infatti, il palcoscenico veniva eretto solo per l’occasione e gli spettatorisedevano su gradinate provvisorie. Ancora prima, il popolo assisteva agli spettacoli in piedi, pernon sprecare nell’ozio intere giornate restando comodamente seduto a teatro. Secondo iconservatori era bene preservare almeno l’antica usanza di non obbligare alcun cittadino apartecipare a una gara in pubblico. Purtroppo le consuetudini degli antenati, decadute poco alla

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giovane imperatore era costretto ad assistere agli spettacoli di nascosto perché i suoi precettoriSeneca e Burro gli proibivano di mostrarsi in pubblico in simili occasioni (cfr. il saggio di A. Giardinain questo volume).Appena divenuto imperatore, Nerone convocò il citaredo allora più quotato, Terpnus, e perparecchi giorni di seguito, dopo cena, trascorse la maggior parte della notte accanto a lui mentrecantava. Cominciò anche a comporre e a esercitarsi personalmente, ponendo in atto tutti gliaccorgimenti cui ricorrevano gli artisti per conservare o rinforzare la voce: per esempio, restavasdraiato in posizione supina, con una lastra di piombo sul petto, e si purgava con emetici e clisteri,astenendosi dal consumare frutta e cibi nocivi. Tuttavia, per non degradarsi fino alla pubblicaesibizione in teatro, istituì nel 59, in occasione del primo taglio della sua barba (Cassio Dione, 61,19), i giochi chiamati Iuvenalia, in onore della gioventù, che si svolsero nel Palatium e nei suoigiardini, cui si iscrissero persone di ogni provenienza (Tacito, 14, 15). Nerone salì sulla scena,accordando con molto impegno le corde della cetra e provando il tono giusto con i maestri dicanto al suo fianco. Si dedicò anche alla poesia, raccogliendo intorno a sé quanti, benché nonancora noti, mostrassero talento poetico (Tacito, 14, 15-16). Le sue “disonoranti” esibizioni nonprodussero, come pensavano Seneca e Burro, sazietà: secondo Tacito, Nerone, convinto che l’offesaalla propria dignità si sarebbe stemperata coinvolgendo nella vergogna molti altri, trascinò sullascena gli eredi di nobili famiglie, anche dietro compenso, costringendo pure noti esponenti romanidell’ordine equestre, con doni cospicui, a promettere di esibirsi sull’arena (Tacito, 14, 14).La svolta decisiva nel regno di Nerone è attribuita dalle fonti al 59, dopo il quinquennium, quandoaveva 22 anni: poco a poco nell’imperatore crebbe l’insofferenza nei confronti dell’autorità maternae dei precetti di Seneca e Burro (Cassio Dione, 61, 4-5).Anicetus, suo educatore nell’infanzia, in seguito comandante della flotta di Miseno, suggerì aNerone il modo di procurare la morte alla madre per annegamento durante la festa delleQuinquatrie che si svolgeva a Baia, in onore di Minerva, dal 19 al 23 marzo e prevedeva, oltre alladanza dei Salii, gare fra scrittori, musicisti, artisti e combattimenti tra gladiatori (Tacito, 14, 3-4).L’idea era nata da uno spettacolo teatrale in cui una nave si era aperta lasciando uscire alcunianimali, e ricomposta tornando di nuovo stabile (Cassio Dione, 61, 12, 2). Il tentativo fallì (Tacito,14, 7) e Agrippina fu uccisa poco dopo nella sua camera da letto a colpi di spada dal trierarcaErculeius e dal centurione della flotta Obaritus, al cospetto dello stesso Anicetus (Tacito, 14, 8).Dopo la morte di Agrippina nel 59 alcuni eventi furono considerati prodigi nefasti: tra questi, aparte un’eclissi totale di sole, Cassio Dione racconta che gli elefanti che trainavano il carrodell’imperatore entrarono nel Circo Massimo e avanzarono fino alla zona ove sedevano i senatori,ma una volta giunti lì si fermarono e non proseguirono oltre (Cassio Dione, 61, 16, 4). L’episodiofu, forse, strumentalmente interpretato come un preciso invito divino rivolto a Nerone perché sifermasse a riconsiderare e riaffermare il ruolo politico del senato.In onore della madre defunta organizzò una festa così splendida e sontuosa che le celebrazionidurarono parecchi giorni e si svolsero in cinque o sei teatri contemporaneamente: in tale occasionefu addirittura fatto salire un elefante sulla sommità delle gradinate del teatro, da dove ridiscesecamminando su una fune con in groppa un esponente dell’ordine equestre (Cassio Dione, 62, 7, 2-3).Svetonio, unico tra gli autori, attribuisce tali spettacoli ai ludi Massimi, fornendone la seguenteversione: durante i giochi che, votati per l’eternità dell’Impero, volle chiamare Maximi, parecchicomponenti dei due maggiori ordini, senatori e cavalieri, e dei due sessi recitarono come attori, eun noto cavaliere romano attraversò il Circo sulla corda, seduto su un elefante (Svetonio, 6, 11). Ma lo spettacolo più umiliante, secondo Cassio Dione, ebbe luogo quando uomini e donne dirango non solo equestre, ma anche senatorio, si esibirono, “proprio come gli uomini di bassaestrazione sociale”, sul palcoscenico, nel Circo e nell’anfiteatro: alcuni di essi suonarono il flauto edanzarono, oppure interpretarono tragedie e commedie o, ancora, cantarono conl’accompagnamento della cetra; in altri casi, poi, condussero cavalli, uccisero bestie selvatiche ocombatterono come gladiatori (Cassio Dione, 61, 17, 2-3). Ogni giorno, racconta Svetonio,venivano lanciati al popolo regali eterogenei ed elargiti migliaia di volatili di ogni specie, vivande etessere che davano il diritto di ricevere in regalo viveri, abiti, oro, argento, pietre preziose, perle,quadri, schiavi, animali da soma e persino belve addomesticate, navi, case e poderi (Svetonio, 6,11). La notizia è confermata da Cassio Dione: Nerone distribuiva ricchezze ricorrendo al sistemadei contrassegni, facendo lanciare tra la folla una moltitudine di palline, ciascuna delle quali recava

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207206 3. Apollo citaredo,particolare, da Murecine(triclinio A, paretenord), età neroniana,intonaco dipinto.Soprintendenza Specialeper i Beni Archeologicidi Napoli e Pompei

volta, erano stravolte dall’immoralità giunta da altri paesi, giacché si vede ormai anche a Roma –sostenevano i detrattori – quanto, altrove, ha la possibilità di corrompere e di essere corrotto e igiovani, influenzati da mode straniere, degenerano tra palestre, sprechi di tempo e turpi amori,grazie all’esempio del principe e del senato che non solo hanno concesso licenza ai vizi, ma anchecostretto le più autorevoli personalità di Roma, con il pretesto di recitare prose e versi, a degradarsisulla scena. Che altro restava se non denudare il corpo, infilare i guantoni da pugile e addestrarsi aquelle lotte, invece di fare il soldato e usare le armi? I giudici sarebbero stati migliori se avesseroascoltato musiche leziose e voci effeminate? Equamente Tacito riporta anche le ragioni deifavorevoli: neppure gli antichi avevano avversato lo svago degli spettacoli, avevano anzi accolto gliistrioni dall’Etruria e importato le corse dei cavalli da Turi. Dopo la conquista della Grecia edell’Asia, nel 146 e 133 a.C., avevano allestito, con maggiore raffinatezza, i giochi, anche se nessunodi famiglia illustre a Roma si era mai abbassato a recitare in pubblico nei 200 anni successivi altrionfo nel 145 a.C. di Lucio Mummio, il primo a offrire nella Capitale questo genere di spettacoli.Costruendo un teatro stabile si era curato il risparmio, invece di erigere e abbattere costruzioniogni anno, con spese enormi. Inoltre, se lo Stato faceva fronte alle spese degli spettacoli, gli edilinon avrebbero più dilapidato il loro patrimonio, né il popolo avrebbe avuto più motivo di insistereper ottenere giochi greci dai magistrati. Le vittorie di oratori e poeti non potevano che stimolaregli ingegni, e per nessun giudice sarebbe stato un disonore prestare orecchio a occupazioni onestee a piaceri leciti. Queste le ragioni dei favorevoli. Gli spettacoli si svolsero tranquillamente, senzascandali ed esplosioni, anche modeste, di tifo popolare e i pantomimi, banditi da Roma nel 56,poterono tornare sulla scena (Tacito, 14, 20-21).Secondo Cassio Dione, i Neroneia furono istituiti nel 60 per propiziare la continuità del poteredell’imperatore e la sua prosperità, e per questo evento furono costruiti il ginnasio (Cassio Dione,61, 21), o palestra, e le terme (Tacito, 19, 47), nella IX Regione augustea, a nord-ovest delPantheon. In occasione dell’inaugurazione del ginnasio fu distribuito, con generosità tutta greca,olio per gli esercizi ai membri dell’ordine equestre e ai senatori (Tacito, 14, 47). La palestra bruciònel 62, colpita da un fulmine: la statua di Nerone, ivi contenuta, si ridusse a una massa informe dibronzo (Tacito, 15, 22) e l’edificio non fu più ricostruito (LTUR II, s.v. Gymnasium Neronis). Leterme, un complesso lussuoso e assiduamente frequentato, furono invece riedificate nel 63 o 64(LTUR V, s.v. Thermae Neronianae/Alexandrinae).A differenza di quanto riferito da Cassio Dione, secondo Svetonio le prime esibizioni pubbliche diNerone ebbero luogo solo nel 64, dopo la morte di Burro e il ritiro di Seneca dalla scena politica,quando l’imperatore aveva 27 anni. Desideroso di esibirsi in pubblico, fino a quel momento avevacantato solo a Palazzo e nei suoi giardini durante gli Iuvenalia, ora disprezzati perché seguiti dauna platea ristretta; non osando esordire a Roma, Nerone si esibì per la prima voltapubblicamente a Napoli, città greca, e, benché il teatro fosse scosso da un terremoto, non smise dideclamare fino alla fine del brano (Svetonio, 6, 20). Era infatti sua intenzione iniziare da Napoli,per poi andare in Grecia e, dopo avere conquistato corone prestigiose e considerate sacre findall’antichità affrontare, forte di una più grande notorietà, gli abitanti di Roma. Nel teatro diNapoli affluì una grande folla di cittadini e di gente accorsa dalle colonie e dai municipi vicini,cortigiani, funzionari e reparti di soldati, che stiparono l’edificio (Tacito, 15, 33). In partenza per laGrecia si fermò a Benevento, ove gli fu offerto da Vatinius un affollatissimo spettacolo gladiatorio.Tuttavia, rinunciò al viaggio e fece rientro a Roma (Tacito, 15, 34, 36).Nel teatro di Napoli si esibì in varie occasioni, e per parecchi giorni. Desideroso di cantare anche aRoma, ricominciò i Neroneia prima della data fissata, e quando gli spettatori gli chiesero di udirela sua voce rispose che li avrebbe accontentati nei suoi giardini; tuttavia, di fronte alle insistenzedel pubblico, promise di esibirsi subito e fece iscrivere il proprio nome nell’elenco dei citaredi chepartecipavano al concorso. Dopo avere suonato un preludio, fece annunciare che avrebbe cantatola Niobe. Tra le tragedie da lui interpretate furono: Il parto di Canace, Oreste matricida, Edipocieco ed Ercole furioso (Svetonio, 6, 21). In occasione di uno spettacolo popolare, nel 65, scesenell’orchestra del teatro e declamò alcuni versi di una sua composizione sulla guerra di Troia(Cassio Dione, 62, 29-1).In seguito, nel 66-67, si esibì finalmente in Grecia, nel corso del suo unico viaggio (Svetonio, 6,22), anche per potere, come diceva, vincere in tutti e quattro i grandi giochi (Pitici, Nemei, Istmici,Olimpici), riportando numerose vittorie (Cassio Dione, 63, 8, 3-4). Nerone gareggiò in ogni città

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5. Affresco con corsadi quadrighe,da Pompei, Casa delleQuadrighe. Napoli,Museo ArcheologicoNazionale

fazzoletto (Svetonio, 6, 25). Non urlava, e se doveva gridare acclamazioni c’era subito qualcunopronto a fermarlo e a ricordargli che avrebbe dovuto esibirsi come citaredo (Cassio Dione, 63, 26, 2).Nel 66 Nerone gareggiò tra i suonatori di cetra, e dopo che Menecrate, maestro di arte citaredica,ebbe celebrato per lui un trionfo nel Circo, si esibì come auriga (Cassio Dione, 63, 1,1).Probabilmente al medesimo anno 66 si riferisce la notizia secondo cui Nerone accettò la corona dioratoria e di poesia latina, aggiudicandosi anche quella per la cetra (Svetonio, 6,12). Si apprestava,forse nel 67, a scrivere un poema epico che narrava tutte le imprese dei Romani: ancora prima dicomporre un solo verso aveva iniziato a fare una stima del numero dei libri da scrivere,consultando, tra le varie persone coinvolte, anche Anneo Cornuto, in quel periodo celebre per lasua cultura (Cassio Dione, 62, 29, 1-2), un filosofo stoico, consigliere letterario di Nerone, maestrodi Persio e di Lucano.Esperto di strumenti musicali, Nerone mostrò ad alcuni senatori un nuovo modello di organoidraulico, fece loro esaminarne ogni singola parte, illustrandone il complesso meccanismo(Svetonio, 6, 41). Si trattò, secondo Cassio Dione, di uno dei suoi numerosi scherzi: una notte,all’improvviso, convocò in tutta fretta i senatori e i cavalieri più in vista come se dovesse renderlipartecipi di un evento imprevisto e disse: “Ho scoperto un modo in cui l’organo idraulico produrràtoni musicali più alti e più armoniosi” (Cassio Dione, 63, 26, 4).Svetonio racconta di avere visto le brutte copie e le annotazioni autografe dell’imperatore di alcunisuoi versi molto conosciuti, da cui era evidente che non aveva copiato, né scritto sotto dettatura: iversi erano, al contrario, meditati, come dimostravano le tante cancellature, le note e le aggiunte(Svetonio, 6, 52). Di parere diverso Tacito, che definisce le sue poesie prive di vigore, ispirazione eunità stilistica, prova dell’intervento di altri poeti, poco noti, che si riunivano dopo la cena con ilprincipe per ricucire versi da lui già composti o improvvisati (Tacito, 14, 16).Svetonio riferisce che il gradimento del pubblico per le declamazioni di Nerone era tale che dopouna sua esibizione fu decretato un pubblico ringraziamento agli dei e i suoi versi furono dedicati aGiove Capitolino, scritti in lettere d’oro (Svetonio, 6, 10).

208 4. L’organo di Aquincum,ricostruzione d’epocamoderna. Roma,Museo della CiviltàRomana

che organizzasse un agone, tranne ad Atene e a Sparta (Cassio Dione, 63, 14, 1-3). Durante le garedimostrava molta ansia e timore dei giudici, che dovevano esortarlo a farsi coraggio. Era moltorispettoso dei regolamenti: una volta, durante la scena di una tragedia, gli cadde accidentalmente aterra lo scettro, che raccolse immediatamente. L’incidente gli causò molta ansia, perché temeva diessere escluso dal concorso, il che non avvenne (Svetonio, 6, 23-24).Quando l’imperatore tornò a Roma nel 68 fu abbattuta una porzione delle Mura Serviane e fuinfranta una parte delle porte: alcuni sostenevano che entrambe le usanze facevano parte delcostume tradizionale in occasione del ritorno dei vincitori incoronati dai giochi. Il corteo trionfaleera aperto dagli uomini che recavano le corone vinte; seguivano altri che portavano, issate su aste,tavole su cui erano iscritti il nome dell’agone, il tipo di competizione e la dichiarazione di vittoria.Infine appariva il vincitore sullo stesso carro trionfale sul quale Augusto aveva a suo tempocelebrato i suoi numerosi trionfi: l’imperatore indossava una veste di porpora con ricami dorati,era coronato da una ghirlanda di ulivo selvatico e recava in mano l’alloro pitico. Dopo avereattraversato il Circo Massimo e il Foro scortato da esponenti dell’ordine equestre, senatori e soldati,Nerone salì sul Campidoglio e da qui si diresse al Palatino. La città era interamente decorata daghirlande, illuminata e invasa da fumi d’incenso, la folla acclamante (Cassio Dione, 63, 20, 1-5).Concluse le celebrazioni, l’imperatore fece annunciare corse di cavalli e dispose l’esposizione nelCirco Massimo delle corone conquistate in Grecia e di tutte le altre vinte nelle gare di corsa, dacollocare intorno all’obelisco egizio posto al centro della spina: in totale 1808 corone. Infine, siesibì come auriga (Cassio Dione, 63, 21, 1; Svetonio, 6, 26). Svetonio riferisce una versione piùsintetica del rientro dalla Grecia: Nerone attraversò il Circo Massimo, di cui aveva fatto demolireun arco, attraversò il Velabro e il Foro e giunse al Palatino e al tempio di Apollo. Al suo passaggio ilpopolo spargeva zafferano e gli offriva in dono uccelli, nastri e dolci (Svetonio, 6, 25).Dopo le vittorie riportate in Grecia, per conservare la voce non volle più rivolgere proclami alletruppe, facendoli leggere da altri, e non trattò più alcuna causa senza essere affiancato dal maestrodi declamazione che lo ammoniva di non sottoporre a sforzo i bronchi e di coprirsi la bocca con un

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mantenimento degli esemplari da gara non più giovani (Cassio Dione, 61, 6, 1). Era una suavecchia passione guidare la quadriga, unita all’altra mania, secondo Tacito non meno spregevole, dideclamare, accompagnato dalla cetra. Alle critiche Nerone rispondeva che gareggiare nella corsadei cavalli era consuetudine di re e di antichi condottieri, e materia del canto dei poeti consacrata aonorare gli dei, riferendosi alle gare equestri di Olimpia, Corinto e Delfi, in onore rispettivamentedi Giove, Nettuno, Apollo. Il canto, inoltre, era sacro ad Apollo, raffigurato con la cetra non solonelle città greche, ma anche nei templi di Roma. Poiché non si riusciva a frenarlo, Seneca e Burrodecisero di cedere almeno su un punto: fu così recintato, nella valle del Vaticano, uno spazio in cuiNerone potesse guidare i cavalli senza dare spettacolo a tutti. Ma in seguito, dopo essersi allenatoanche nei suoi giardini si esibì nel Circo Massimo (Svetonio, 6, 22). In Grecia guidò il carro inparecchi concorsi e, nei giochi olimpici del 67 ne condusse uno trainato da dieci cavalli: rovesciatodal carro, poco mancò che si sfracellasse, dovette rinunciare alla corsa prima della fine (Svetonio, 6,24; Cassio Dione, 63, 14, 1).

Spettacoli anfiteatrali e battaglie navaliSvetonio riferisce genericamente che Nerone offrì molti spettacoli, e di vario genere: giochigiovanili, spettacoli circensi, recite teatrali e un solo combattimento tra gladiatori, munus. NelCirco assegnò posti riservati all’ordine equestre, e fece correre anche quadrighe di cammelli(Svetonio, 6, 11).Raramente presiedeva agli spettacoli e di solito vi assisteva sdraiato in lettiga, in un primo tempoosservando attraverso fori praticati nelle cortine, e in seguito dall’alto del podio, che aveva fattoscoprire. Talvolta pranzava in pubblico, nella Naumachia recintata, o in Campo Marzio, o nel CircoMassimo (Svetonio, 6, 27), come già Claudio aveva fatto prima di lui.Durante il regno di Nerone, nel 59, nel corso di un munus organizzato a Pompei da LivineiusRegulus avvenne uno scontro talmente violento tra opposte tifoserie, Nocerini e Pompeiani, daessere non solo tramandato dalle fonti letterarie, ma persino immortalato in un affresco su unaparete di una modesta casa pompeiana (fig. 6). Tacito riferisce i particolari e le conseguenzedell’evento: le parti cominciarono a scambiarsi insulti, poi sassi, e finirono con lo sguainare lespade. Nella rissa gli abitanti di Pompei ebbero la meglio, mentre molti Nocerini furono riportatinella loro città feriti o mutilati, e parecchi piansero la morte di figli o genitori. Nerone affidòl’inchiesta sugli incidenti al senato e questo ai consoli. Quando l’inchiesta ritornò al senato, aiPompeiani, evidentemente colpevoli di avere scatenato gli incidenti, fu vietata per dieci anni lapartecipazione agli spettacoli e furono sciolte le associazioni costituitesi illegalmente. A Livineius, giàespulso dal senato, e a quanti avevano provocato i disordini, fu comminato l’esilio (Tacito, 14, 17).Di uno spettacolo offerto nel 56 riferisce Cassio Dione: uomini a cavallo abbatterono alcuni tori,abbordati al galoppo, e i cavalieri che facevano parte della guardia del corpo di Nerone trafissero400 orsi e 300 leoni. In quella stessa occasione 30 esponenti dell’ordine equestre combatteronocome gladiatori (Cassio Dione, 61, 9, 1). Nerone assisteva ai ludi dall’alto del proscenio: nel munusche offrì in un anfiteatro di legno, costruito in meno di un anno nel Campo Marzio, non fecemorire nessuno, nemmeno i condannati. (Svetonio, 6, 12,1). L’apparente atto di clemenza da partedi Nerone è, in realtà, un chiaro indizio del disinteresse dell’imperatore per gli spettacoli cruenti.La costruzione, avvenuta nel 57, delle fondamenta e delle strutture lignee dell’anfiteatro in cui sisvolse il munus fu, secondo Tacito, l’unico avvenimento dell’anno degno di menzione, ma solonegli acta diurna della città e non negli annales (Tacito, 13, 31), come dire in un quotidianopiuttosto che nell’annuale repertorio ufficiale degli eventi meritevoli di nota.Nello stesso anno 57 Nerone stabilì che nessun magistrato o procuratore organizzasse unospettacolo di gladiatori o di qualunque altro genere nella Provincia a lui assegnata, onde evitare,come avveniva, che tali prodigalità giustificassero le estorsioni e le prevaricazioni da cui i sudditierano afflitti (Tacito, 13, 31). Di spettacoli svoltisi in teatro nel corso dello stesso anno è il ricordoin Cassio Dione: Nerone fece improvvisamente riempire l’orchestra con acqua di mare, in cuinuotarono pesci e mostri marini, e fece rappresentare una battaglia navale (naumachia) traPersiani e Ateniesi. Subito dopo fece defluire l’acqua, asciugare il terreno e mettere in scena ancorauna battaglia, questa volta campale, in cui i soldati non combattevano in coppie, come negliscontri tra gladiatori, ma si fronteggiavano in gruppi numerosi (Cassio Dione, 61, 9, 5). Dell’evento l’autore riporta anche una versione leggermente diversa, o forse riferibile a un altro

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Come celebrato dal poeta Calpurnio nelle Ecloghe, il regno di Nerone, caratterizzato sul pianoculturale dalla ripresa della vita intellettuale, fu un ritorno “all’età dell’oro” in cui, in contrasto conil torpore dei decenni precedenti, rifiorirono tutti i generi letterari, pervasi da idee originali e danuove concezioni artistiche. Il gruppo di scrittori e artisti riuniti intorno al principe era moltonumeroso, e Nerone fu forse l’unico imperatore a comporre intorno a sé, nel corso del I secolo d.C.,“un movimento artistico coerente e originale”.Il vilipendio cui Nerone fu sottoposto dai suoi avversari politici ha trovato, a distanza di quasiduemila anni, ampia cassa di risonanza nella cinematografia moderna cui si deve, in gran parte, ilradicarsi nell’immaginario collettivo di uno stereotipo distorto: un principe cultore delle lettere edelle arti, cui la società civile del tempo era debitrice del rinnovato clima di rinascita culturale, èstato così trasformato in un ridicolo e patetico istrione.Nerone declamava tragedie accompagnandosi con il suono della cetra, secondo una tradizioneconsolidatasi in età ellenistica, ma che affondava le sue radici nella cultura greca di età classica,quando la musica era componente inscindibile dei testi tragici. Proprio alle tragedie è legata lanascita, in età ellenistica, di una particolare forma di interpretazione da parte di solisti che siesibivano in veri e propri recital: agli inizi del II secolo a.C., durante i giochi Pitici, un famososuonatore di aulo, principale strumento a fiato della musica greca, tenne un recital con esecuzionedi brani dalle Baccanti di Euripide, le cui opere dovevano essere ampiamente utilizzate per taliforme di spettacolo. Si è visto come tra le tragedie interpretate da Nerone le fonti indichino, tra lealtre, proprio le Baccanti. L’esecuzione cantata di versi che, nell’opera originale, erano destinati allarecitazione è documentata nel II secolo d.C., epoca in cui è attestata anche l’esecuzione di dialoghilirici: le Bucoliche di Virgilio furono, per esempio, varie volte messe in scena a teatro e cantate daprofessionisti. Sembra anche attestata, nel II secolo d.C., una probabile selezione, per la tragedia,di parti già in origine liriche – corali, oppure a una o due voci – destinate a esclusiva esecuzionemonodica, sulla base di personali elaborazioni musicali.Tra gli spettacoli più in voga presso il pubblico romano fino alla tarda antichità furono il mimo e ilpantomimo, generi di intrattenimento in cui la musica accompagnava la danza: brani e figure dellapoesia virgiliana costituirono soggetti per spettacoli di mimo, così come i versi di Ovidio. Il pantomimo, di matrice greca, era stato introdotto a Roma verso la fine del I secolo a.C. da due artistiorientali: un solista rappresentava, danzando, storie tratte in genere dal repertorio mitologico,accompagnato da un canto corale e dal suono di vari strumenti musicali, tra i quali era l’organoidraulico, inventato nel III secolo a.C. da un ingegnere, Ctesibio. Lo strumento, considerato una dellemeraviglie del mondo al pari del tempio di Artemide ad Efeso, era molto apprezzato da Nerone (fig. 4).Le motivazioni addotte da Nerone per giustificare le proprie inclinazioni ed esibizioni artisticheerano, sul piano culturale, saldamente fondate. L’affermarsi della musica come arte pubblica in etàellenistica era legata alle feste in onore delle divinità: la musica accompagnava i vari momenticultuali, cioè le preghiere, i sacrifici, le processioni. Il numero dei concorsi artistici in onore degli dei,gli agoni, aumentò nel tempo: si trattava di gare musicali, alle quali partecipavano suonatori di cetrae di aulo, con componimenti solo strumentali o anche funzionali ad accompagnare il canto. Negliagoni musicali e drammatici si esibivano, oltre ai suonatori, anche poeti, rapsodi, attori tragici ecomici, coreuti, in competizioni che andavano dagli assoli strumentali al canto accompagnato allerappresentazioni drammatiche. La diffusione degli agoni aveva contribuito in maniera determinantealla diffusione internazionale della cultura greca e, di conseguenza, alla coesione tra le popolazionielleniche. Gli stessi sovrani ellenistici promossero, attraverso le loro feste, le esecuzioni musicali, cheerano anche occasioni per cementare i rapporti tra il monarca e la sua corte.Nerone quindi tentò, dapprima timidamente con gli Iuvenalia, più decisamente con i Neroneia, didiffondere in ambiente romano, attraverso gli agoni, la tradizione culturale ellenistica, ancheaprendo apposite scuole per il popolo.

Nel CircoAdolescente, ma già imperatore, Nerone si divertiva ogni giorno a giocare con quadrighe di avoriodisposte su un tavolo. Abbandonava il suo ritiro per partecipare, dapprima di nascosto, alle corsedel Circo, in seguito apertamente, nonostante le proibizioni. Volle aumentare il numero dei premi,e quindi delle corse, che si protraevano in tal modo per una intera giornata (Svetonio, 6, 22).Nutriva una passione così profonda per le corse dei cavalli che dispose appositi finanziamenti per il

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213212 6. Rissanell’anfiteatro,da Pompei, Casa dellaRissa nell’Anfiteatro(I, 3, 23, peristilio),59-79 d.C., intonacodipinto, cm 170 x 185.Napoli, MuseoArcheologico Nazionale

spettacolo: dopo avere fatto uccidere alcuni animali selvatici, fece convogliare l’acqua nel teatro per lanaumachia. Dopo questa, defluita l’acqua, allestì un munus, terminato il quale riempì di nuovo l’areae vi organizzò un costoso banchetto a spese pubbliche (Cassio Dione, 62, 15, 1). Qui Cassio Dionesembra confondere le informazioni, assommando le notizie sui pubblici banchetti riportate daSvetonio (6, 27) e sulle taverne poste intorno al lago di Augusto di cui è menzione in Tacito (14, 15).Sui mostri marini, probabilmente persone mascherate, torna anche Svetonio: Nerone offrì unanaumachia, in acque ove nuotavano mostri marini, e fece danzare le Pirriche (danze di guerra, in usoa Sparta) ad efebi, e dopo lo spettacolo offrì loro i diplomi di cittadinanza romana (Svetonio, 6, 12).Come accennato anche da Svetonio, Tacito conferma che nel 63 l’imperatore fissò i posti riservatinel Circo agli esponenti della classe equestre, davanti a quelli della plebe. Entrambe le categorie,fino ad allora, erano entrate nel Circo senza distinzione alcuna: infatti, la lex Roscia del 67 a.C.aveva stabilito che i cavalieri occupassero, ma solo in teatro, le prime 14 file. Si svolsero nel 63munera di sfarzo pari agli spettacoli del passato: molte donne nobili e molti senatori sidegradarono scendendo nell’arena (Tacito15, 32). Si tratta, forse, dell’evento di cui parla ancheSvetonio: Nerone presentò uno spettacolo di combattimento cui parteciparono anche 400 senatorie 600 cavalieri, parecchi dalla fama e posizione inattaccabili, e scelse tra questi due ordini anche idomatori di belve e i vari sovrintendenti all’arena (Svetonio, 6, 12).Per festeggiare la nascita della figlia Augusta, avuta nel 63 da Poppea e morta ad appena 4 mesi,furono indette gare e uno spettacolo circense ad Anzio ove, dopo il parto, si riversò l’intero senato(Tacito, 15, 21).Nel 66 l’imperatore offrì a Tiridate, re d’Armenia, un munus a Pozzuoli. Ne curò l’allestimento illiberto Patrobius, che sfoggiò una magnificenza e profuse spese tali che durante una giornatafurono fatti entrare in teatro solo Etiopi, cioè esclusivamente persone dalla pelle scura. In segno diomaggio a Patrobius, Tiridate bersagliò con l’arco gli animali selvatici dall’alto del suo seggio(Cassio Dione, 63, 3, 1-2). Nerone condusse poi Tiridate a Roma, ove si svolse anche unacelebrazione in teatro. Cassio Dione descrive i teli (vela) stesi per proteggere il pubblico dai raggidel sole: erano di porpora e nel centro di essi era ricamata un’immagine di Nerone che conducevaun cocchio, su uno sfondo di splendenti stelle d’oro (Cassio Dione, 63, 6, 1-2). In seguito Nerone siesibì, alla presenza di Tiridate, come citaredo e come auriga, indossando la divisa dei Verdi e l’elmotipico dei condottieri di cocchi (Cassio Dione, 63, 6, 3).

L’anfiteatro di Nerone in Campo MarzioL’interesse di Nerone per gli spettacoli anfiteatrali non appare, dal racconto delle fonti,paragonabile alla passione nutrita dal suo predecessore e zio Caligola, e dal medesimo Nerone perle corse del Circo. A fronte dell’emanazione di provvedimenti amministrativi vòlti a regolamentarela materia, Nerone non sembra interessato ai munera e non risulta, al contrario di Caligola, averemai partecipato direttamente, come protagonista, a spettacoli gladiatori o di caccia, limitandosi aoffrirne al popolo, con la partecipazione di senatori e cavalieri, in un crescendo numerico che, dai30 esponenti dell’ordine equestre del 56, giunse alle 1000 persone di alto rango nel 63.L’atteggiamento di Nerone nei confronti di munera e venationes potrebbe fornire indicazioniindirette sulla struttura, a carattere stabile o meno, dell’anfiteatro inaugurato in Campo Marzio nel 57(Tacito, 13, 31, 1; Plinio, Storia Naturale, 16, 76, 40; Ps. Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus 5, 3).Nonostante il malcelato disprezzo manifestato da Tacito, la magnificenza della costruzione ètestimoniata da Plinio il Vecchio (Storia Naturale, 19, 6, 24) che descrive l’azzurro velum stellato, eda Calpurnio Siculo, poeta bucolico vissuto al tempo di Nerone, autore di sette Ecloghe, composteprobabilmente tra il 54 e il 63, in cui l’autore celebra gli inizi del principato neroniano come unriavvento dell’età aurea. Nell’Ecloga 7 il protagonista, il pastore Coridone, descrive tantoaccuratamente e con tale dovizia di particolari l’anfiteatro, da suscitare forti perplessità sullastruttura completamente lignea del vasto edificio, cui, tuttavia, sembra inequivocabilmenterimandare l’espressione iniziale trabibus textis – intreccio di travi – che potrebbe anche indicare,come in seguito nel Colosseo, il solo coronamento ligneo della sommità della cavea.Tra i passi più significativi dell’Ecloga 7 sono i primi versi: “Abbiamo visto innalzarsi verso il cielol’anfiteatro con le travi commesse, come se guardasse dall’alto la cima del monte Tarpeio, edistendersi le immense gradinate dolcemente digradanti… cosa potrò dirti se io stesso sono stato astento capace di guardare il tutto parte per parte? Lo splendore che promanava da ogni luogo

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Palazzo e nei suoi giardini, frequentava regolarmente gli spettacoli del Circo (Tacito, 15, 53). La cospirazione non ebbe successo per il tradimento di uno dei congiurati (Tacito, 15, 55).Subrius Flavus, un tribuno militare che faceva parte del corpo di guardia del principe e partecipòal complotto, quando Nerone gli chiese la ragione del suo tradimento rispose: “Ti ho amato eodiato più di qualsiasi altro uomo: ti ho amato nella speranza che ti saresti dimostrato un buonimperatore, ma ti ho odiato perché fai tutto e il contrario di tutto: del resto, non posso essereschiavo di un conduttore di carri e di un suonatore di lira” (Cassio Dione, 62, 24, 1-2). Nerone,repressa la congiura e puniti i colpevoli, convocò il senato, fece seguire un editto al popolo epresentò la raccolta, in vari volumi, delle denunce e delle confessioni degli imputati percontrastare le accuse di quanti lo ritenevano responsabile della morte di personalità illustri einnocenti (Tacito, 15, 73).Scampato il pericolo e fatta giustizia furono decretati offerte e ringraziamenti agli dei e particolarionori al Sole, che aveva un antico tempio presso il Circo, ove si era organizzato l’attentato. Si stabilìanche che i giochi del Circo in onore di Cerere fossero celebrati con un numero maggiore di corsedi cavalli (Tacito, 15, 74).Dalla lettura delle fonti, nonostante alcuni margini di confusione nelle notizie tramandate, dovutepresumibilmente al lasso di tempo intercorso tra gli eventi e la loro narrazione – tra la morte diNerone nel 68 e la maturità di Cassio Dione era trascorso oltre un secolo – nonostante la difficoltàdi collocare nel tempo le informazioni di Svetonio, che comunque poco aggiungono alla narrazionedi Tacito (la più completa ed equilibrata, nonché la più attendibile in quanto prossima agli eventi),è possibile delineare un quadro complessivo del rapporto di Nerone con gli spettacoli, attività cuil’imperatore fu a lungo costretto a dedicarsi in solitudine, di nascosto, e nelle quali in prosieguocoinvolse, con una reazione forse direttamente proporzionale alle proibizioni imposte durante laprima giovinezza, strati sempre più ampi della popolazione fino a trascinarvi, volenti o nolenti, leclassi sociali più elevate, quasi trasformando la sua passione per gli spettacoli in un formidabilestrumento di irreverente “persecuzione politica” della vecchia classe dirigente.Ma il coinvolgimento delle classi sociali più elevate negli spettacoli non fu una prerogativa diNerone: già Augusto aveva esibito nel Circo aurighi, corridori e bestiari, non di rado giovani dellapiù alta nobiltà, avvalendosi talvolta anche, per gli spettacoli teatrali e per i combattimentigladiatori, dell’opera di esponenti dell’ordine equestre, fino a quando un senatoconsulto lo vietò(Svetonio, Augusto, 43).Nerone era giovane, chiaramente iperattivo, versatile, un uomo dalla solida cultura ellenica, chetraspare in moltissimi aspetti della sua vita, dalle sue scelte – i frequenti soggiorni a Napoli, cittàgreca, il suo unico viaggio, in Grecia – alle sue poche dichiarazioni tramandateci a sostegno edifesa del suo operato. Nuotatore, auriga, amante dell’arte, letterato, citarista, compositore dimusica e versi: le fonti delineano l’immagine di una persona esuberante, fisicamente eculturalmente, avida di esperienze e amante della vita. Non conosciamo il livello qualitativo dellesue prestazioni artistiche, e quindi non possiamo sapere se le sue capacità fossero, almeno inalcuni campi, reali o velleitarie. Nell’attività fisica appare spericolato, se rischiò di sfracellarsi con ilcarro durante le Olimpiadi in Grecia e di affogare nelle sorgenti dell’Acqua Marcia (Tacito, 14, 23).La sua incosciente vitalità giovanile scontratasi, appena adolescente, con la forte personalità diSeneca, fu costretta a destreggiarsi tra due opposte e potenti forze, la madre e i precettori, e tradiverse esigenze: coltivare i propri interessi artistici e letterari e le passioni sportive e, al contempo,adeguarsi al suo ruolo di principe, per il quale Seneca e Burro avevano previsto un tradizionalepercorso formativo in contrasto con l’indole del ragazzo. Inizialmente, in virtù della giovane età delprincipe, si giunse a una soluzione di compromesso: l’adolescente poteva dare libero sfogo alle suepassioni, purché in forma assolutamente privata, nei giardini del Palazzo imperiale e nel recintovaticano. Nerone, di nascosto, si recava al teatro e al Circo Massimo, ove assisteva agli spettacolichiuso nella lettiga, forse pervaso dai sensi di colpa per la sua disubbidienza. Con la mentalitàmoderna e gli strumenti forniti dalla psicanalisi possiamo facilmente immaginare le frustrazioni diun adolescente irrequieto fortemente condizionato da un’educazione formale e repressiva, per luiincomprensibile e, alla lunga, inaccettabile.Le esibizioni artistiche in solitudine, infatti, non gli bastarono più e istituì, a 22 anni, gliIuvenalia, i giochi della gioventù: probabilmente si riteneva pronto per il confronto. Nonsappiamo se la tendenza al pubblico coinvolgimento e alla corale esibizione scaturissero anche da

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impressionò il mio animo. Guardavo fisso e con la bocca spalancata, ammirando ogni cosa”.Tralasciando il chiaro intento da panegirista dell’autore, dalle sue parole emerge con chiarezza ilconcetto dell’imponenza dell’edificio.Ancora, Calpurnio si sofferma sui dettagli: “Il corridoio tempestato di pietre preziose, il porticorivestito d’oro, rilucevano a gara, e lungo il muro di marmo che cinge il perimetro dell’arena sonoruote lisce di avorio inafferrabili per le belve, che le rovesciano a terra. Le reti che sporgono versol’arena splendono come oro, e lungo le reti sono disposti, a eguale distanza, denti, ogni dentemolto più lungo di un aratro… abbiamo visto emergere le belve da voragini apertesi nel terreno… espesso dalle stesse latebre crescere alberi d’oro, dal colore giallo dello zafferano con cui erano dipinti”.L’anfiteatro di Nerone era dotato, quindi, di strutture sotterranee, funzionali alla preparazione,nello spazio sottostante il piano dell’arena, degli allestimenti scenografici utili agli spettacoli.Sull’arena apparivano all’improvviso animali e fondali naturalistici, come più tardi nel Colosseo, ilcui primo impianto sotterraneo, utilizzato da Tito per i giochi inaugurali dell’80, era di legno,probabile riproposizione delle soluzioni tecniche adottate nell’anfiteatro neroniano, delle quali erastata collaudata la funzionalità. I particolari descrittivi forniti da Calpurnio – il muro rivestito dimarmo circostante l’arena, il corridoio tempestato di pietre preziose, il portico rivestito d’oro – siaddicono più a un edificio in muratura che a una struttura interamente lignea che, per quantorobusta e solida, conserva comunque un carattere di precarietà.Ma Svetonio dichiara che l’anfiteatro era di legno e che la sua costruzione avvenne in un solo anno,periodo troppo esiguo per realizzare un edificio in muratura. Tacito, che forse poté vederlo, riferiscedi fondamenta e di strutture lignee.Nel Campo Marzio, e precisamente nei Saepta, i recinti in cui in età repubblicana si svolgevano leelezioni, già dal 7 a.C., in occasione dei funerali di Agrippa, si erano svolti combattimenti in onoredel defunto (Cassio Dione, 55, 8). Da allora i Saepta divennero luogo destinato agli spettacoli,come quelli realizzati nel 2 a.C. (Cassio Dione, 55, 10, 7) e nel 9 d.C. (Cassio Dione, 56, 1, 1). GiàAugusto, pertanto, aveva adibito il luogo ai munera (Svetonio, Augusto 43; Cassio Dione, 55, 8) e,forse, alle battaglie navali (Cassio Dione, 55, 10) (LTUR I, s.v. Amphitheatrum Caligulae) benchél’imperatore avesse già destinato alla costruzione di un anfiteatro stabile l’area, al centro della città,in seguito occupata da una parte della Domus Aurea, e ove poi fu costruito il Colosseo (SvetonioVespasiano, 9).Caligola, dopo avere offerto numerosi munera nell’anfiteatro di Statilio Tauro e nei Saepta, avevaavviato la costruzione di un nuovo edificio, forse ligneo, in Campo Marzio, iuxta Saepta, maiterminato e abbandonato da Claudio (Svetonio, Caligola 18, 21, 2). Cassio Dione riferisce cheCaligola detestava il teatro di Statilio Tauro e preferì realizzare i concorsi agonistici inizialmentenei Saepta, di cui aveva fatto scavare interamente l’area interna riempiendola poi d’acqua perpotervi condurre una nave, mentre in seguito li trasferì in un altro luogo, dove demolì moltissime evastissime costruzioni, al posto delle quali fece erigere stabilmente i palchi (Cassio Dione, 59, 10,5). Non è da escludere che Nerone abbia solo completato, in un anno, l’opera intrapresa presso iSaepta da Caligola (LTUR I, s.v. Amphitheatrum Neronis), nella medesima area in cui avrebbe,pochi anni dopo, edificato terme e ginnasio, prossima al teatro di Pompeo, definendo in tal modouna sorta di quartiere dedicato alla cura del corpo, allo svago e alla cultura.Permangono pertanto i dubbi sulla natura, completamente lignea o meno, dell’anfiteatro, e sullasua precisa ubicazione. Nella capillare cancellazione dell’opera di Nerone attuata dopo la suamorte, apparentemente nessuna traccia si è conservata dell’anfiteatro, se non nella topografia deiluoghi e, sicuramente, nelle strutture fondali di cui parla Tacito, che, pure in presenza di un elevatoligneo, dovevano essere di consistenza tale da ritenere probabile la loro, anche parziale,conservazione nel sottosuolo della città moderna.Probabilmente la costruzione di un anfiteatro stabile non rientrava nei programmi edilizi di Nerone,molto più interessato ad altre forme di intrattenimento.

Gli adepti della congiura dei Pisoni nel 65 si proposero di uccidere Nerone “nel palazzo tantodetestato e costruito con le spoglie dei cittadini”, la Domus Aurea, o in alternativa, in un luogopubblico (Tacito, 15, 52). Fu deciso di dare seguito al piano il 19 aprile, giorno conclusivo deiLudi Ceriales che si svolgevano in onore di Cerere dal 12 al 19 aprile e terminavano con una gara nel Circo Massimo. Nerone infatti, che in quel periodo restava chiuso, salvo rare uscite, nel

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217216 7. Erma di auriga,da Roma, vialeTrastevere, etàneroniana, busto in marmo lunense,erma in marmoafricano, alt. busto cm 36, alt. erma cm 150.Roma, Museo NazionaleRomano, PalazzoMassimo alle Terme

8. Erma di auriga,da Roma, vialeTrastevere, etàneroniana, busto in marmo lunense,erma moderna in marmo africano;alt. busto cm 36, alt. erma cm 150.Roma, Museo NazionaleRomano, PalazzoMassimo alle Terme

una forma di esibizionismo o dal desiderio di condividere le sue passioni e le sue creazioni:probabilmente sono vere entrambe le ipotesi. Tacito racconta, al proposito, che riunì intorno a séquanti, inclini alla poesia, non erano ancora noti: sicuramente lo divennero dopo aver preso partea uno spettacolo accanto all’imperatore, protettore delle arti e scopritore di nuovi talenti. Ma solocinque anni dopo, nel 64, a Napoli, osò esibirsi per la prima volta pubblicamente in teatro, perquanto è possibile dedurre dalle fonti.Il 59 è un anno chiave nella vita di Nerone: fa uccidere la madre, forse su istigazione di Seneca, einizia il rapido processo di allontanamento dal suo precettore che, tre anni dopo, si ritira a vitaprivata. Nel frattempo Nerone stava maturando, nel prendere le distanze dalla politica di Seneca,una propria linea di gestione della cosa pubblica, più aderente a una società in trasformazionedelle cui reali esigenze egli aveva, con ogni evidenza, compreso la natura e la portata e alle qualidiede risposte che scatenarono definitivamente la durissima reazione dei conservatori,rappresentanti di istituzioni fatiscenti, saldamente ancorate a tradizioni, modelli di vita, privilegi ediritti superati dall’evoluzione sociale e politica. Nel suo spirito innovatore, Nerone giunse, comealtri prima di lui, ma forse con un diverso spirito, al vilipendio delle vecchie istituzioni,costringendo aristocratici e cavalieri, in un crescendo inarrestabile, a esibirsi pubblicamente, anchedietro compenso, a teatro e, nel 63, nell’anfiteatro, negli spettacoli più amati dal popolo, in veste digladiatori, considerati la feccia della società. In tal modo l’imperatore disconosceva Seneca e i suoiinsegnamenti, si liberava del suo oppressore e cattivo consigliere, si vendicava dei suoi detrattoriche, per paura o per avidità, lo assecondavano. Alla fine, tuttavia, questi ebbero la meglio e siliberarono, con il suicidio del principe, di un imperatore forse per alcuni aspetti in anticipo suitempi, anticonformista, sicuramente non dotato, caratterialmente, di capacità di mediazione, néincline ai compromessi, fuori sintonia sul piano culturale e politico con istituzioni e tradizioni distampo vetero-repubblicano: un monarca colto, costretto a recitare un ruolo che non aveva scelto eda cui, di fatto, nascondendosi dietro una maschera teatrale, rifuggiva.

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2191. Un poeta (Virgilio?),affresco dalla parete ovestdel triclinio C di Murecine.Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei

218 L’epoca di Nerone è una delle più ricche e vivaci nella storia della letteratura latina. Dopo l’età“aurea” augustea, segnata dall’apparizione di una serie irripetibile di capolavori, era seguita sotto iprimi successori di Augusto una fase di minor rigoglio e quasi di ristagno delle lettere; è solo con ilprincipato di Nerone che si assiste a una nuova importante fioritura, che vede alcuni tra i piùinteressanti autori latini produrre nell’arco di meno di un quindicennio una quantità di operealtamente significative.Tra le prime ragioni di questo rinnovato fervore letterario va annoverata la ripresa delmecenatismo promossa da Nerone. Cultore delle lettere e delle arti, appassionato di poesia, musicae spettacoli teatrali, Nerone nutrì in prima persona velleità artistiche e poetiche, cometestimoniato da una ricca aneddotica tramandata soprattutto da Tacito e Svetonio, ma raccolseanche attorno a sé un gruppo di artisti e letterati, stimolandone l’attività con iniziative come iNeronia, certame poetico quinquennale istituito nel 60 d.C. Dietro tutto ciò si scorge da parte delgiovane principe un coerente programma di politica culturale, mirante a fare della letteratura edell’arte uno strumento di propaganda e consenso; a posteriori possiamo dire che questo progettodi controllo e indirizzo delle lettere non sortì gli effetti sperati, se è vero che le opere piùimportanti si producono lontano dalla corte neroniana: ma l’impatto sulla vita culturale di Romafu indubbiamente benefico.Per illustrare certe peculiarità della letteratura neroniana nel suo insieme può essere utile unraffronto con l’età di Augusto. La grande poesia augustea nasce da un’adesione meditata e a volteanche sofferta, ma in definitiva sincera, per quanto sapientemente organizzata dalle cure diMecenate, il “ministro della cultura” di Augusto, alla politica e all’ideologia del princeps; poeticome Virgilio e Orazio danno consapevolmente vita a una letteratura “nazionale”, che all’altissimovalore artistico associa un forte impegno ideale e che in forma più o meno diretta vuol farsiportavoce di quel programma di restaurazione dei valori dell’antica romanità che era il cardinedell’ideologia augustea. Ben diversamente stanno le cose sotto Nerone. Esiste sì una poesiacortigiana e celebrativa, impegnata a cantare incondizionatamente le lodi del principe, che perònon raggiunge grandi risultati sul piano artistico; come si accennava, gli esiti migliori vannocercati altrove, in una letteratura di opposizione, schierata apertamente contro il potere. Abbiamocosì un poeta come Lucano (che pure ai suoi inizi aveva fatto parte dell’entourage di Nerone), chenel suo poema epico mira a demolire il mito di Roma costruito dalla propaganda e dalla poesiaaugustea, mostrando come l’avvento dell’impero segni il tramonto dei valori autentici dellaromanità e l’inizio di un’era di schiavitù che prosegue fin nel presente; da parte loro autori comeSeneca e Petronio, sperimentando generi letterari nuovi e mai praticati a Roma, come la lettera

E M A N U E L E B E R T IL A L E T T E R AT U R A

A L T E M P O D I N E R O N E

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2-3. Doppia erma con il ritratto di L. AnneoSeneca accanto a quello di Socrate, prima metà del III secolo d.C.,da Roma, alt. cm 28.Berlino, Pergamonmuseum

prosperità, secondo una simbologia che apparteneva alla propaganda ufficiale neroniana e chevedremo ricomparire ancora.Alla corte di Nerone muove i suoi primi passi anche Lucano: come riferiscono le biografie antichedel poeta, egli si segnalò giovanissimo per il suo talento letterario, tanto da essere ammesso dalprincipe nella cerchia dei suoi amici più intimi. Il culmine della fase cortigiana della poesialucanea (del tutto perduta, a parte pochi brevi frammenti) può essere ravvisato nelle laudesNeronis, recitate in occasione dei Neronia, e che gli valsero l’incoronazione a poeta; ma oltre aqueste abbiamo notizia di una ricchissima produzione poetica – tanto più sorprendente se si pensache Lucano morì appena ventiseienne – che a giudicare dai titoli (tra gli altri un Iliacon, unCatachthonion, carme sulla discesa agli inferi, un Orpheus) prediligeva soggetti mitologici dimatrice greca. Proprio la natura di questa produzione minore di Lucano può gettare luce sui gustipoetici dello stesso Nerone; sappiamo del resto che anche l’imperatore compose un poema sullaguerra troiana intitolato Troica (forse lo stesso carme che egli avrebbe declamato durantel’incendio di Roma sullo sfondo della città in fiamme, secondo la celebre immagine immortalatada Tacito e Svetonio). Tale preferenza per una poesia di gusto grecizzante si accorda con quellaspinta verso l’ellenizzazione dei costumi che fu uno degli aspetti salienti della politica culturale diNerone e che, nonostante lo sdegno dei tradizionalisti, rispondeva a fermenti vivi nella societàromana del tempo.

SenecaLa famiglia di origine spagnola degli Annei esercita una specie di egemonia sulla vita letteraria delI secolo d.C. fino a tutta l’età neroniana. Dopo il capostipite Seneca il Vecchio, autore della raccoltaOratorum et rhetorum sententiae divisiones colores, a cui dobbiamo le nostre conoscenze sulladeclamazione della prima età imperiale, a essa appartennero il poeta Lucano e, probabilmentecome liberto, il filosofo Anneo Cornuto; ma la figura centrale è ovviamente quella di Senecafilosofo, figlio di Seneca il Vecchio e zio di Lucano. Seneca esordisce come scrittore ben primadell’inizio del principato di Nerone nel 54 d.C.; ma tale data costituisce uno spartiacquefondamentale nella sua carriera. Caduto in disgrazia presso Claudio, che nel 41 d.C. l’aveva relegatoin Corsica in seguito a un’oscura vicenda di adulterio, fu richiamato a Roma nel 49 grazie ad

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filosofica e il romanzo, conducono un’approfondita riflessione sull’uomo, la cultura e la società deltempo, mettendone in luce le contraddizioni e le miserie. Non è un caso che tutti e tre gli scrittoricitati finiranno in rotta di collisione con il potere imperiale, pagando il loro desiderio diindipendenza con la morte.Non meno rilevanti sono i mutamenti attinenti alla forma. La letteratura neroniana ècontrassegnata da alcuni ben definiti caratteri stilistici e formali, che appartengono a tutta lacosiddetta età argentea, ma che in quest’epoca giungono a piena maturazione e che possono esserecomplessivamente compresi nella definizione di “manierismo”. Una delle marche peculiari dellaletteratura augustea era stata la volontà di rifare i grandi classici della letteratura greca, ponendosidi fronte a essi in un rapporto di imitazione-emulazione, così da creare delle opere che anche perla loro perfezione formale potessero stare alla pari con i modelli: è questa l’essenza del classicismoaugusteo. Allo stesso tempo questi scrittori e poeti si impongono come i nuovi classici e divengonoa loro volta oggetto di imitazione da parte degli autori delle generazioni successive; ma il desideriodi andare oltre quei modelli ritenuti insuperabili determina un’esasperata ricerca di novità e unaconseguente spiccata tendenza verso l’eccesso e l’artificiosità espressiva, che portano alla rottura diquell’equilibrio classico a all’affermazione di un gusto nuovo che si può appunto definiremanierista: rientrano in esso l’inclinazione per i toni più patetici ed enfatici, il gusto del paradosso,la predilezione per le rappresentazioni a tinte forti, orride, sovraccariche. In opere come le tragediedi Seneca o il poema di Lucano riconosciamo gli esempi più rappresentativi del manierismo latino.Al diffondersi di questo gusto contribuiscono anche altri fattori. In primo luogo bisogna tenerconto del cambiamento nei modi di fruizione della letteratura dovuto all’istituzione dellerecitationes, letture pubbliche di brani di opere letterarie, avvenuta verso la fine dell’età augustea:ciò comporta che le opere concepite per le recitationes siano spesso costruite come una serie dipezzi di bravura, che avendo come fine precipuo quello di far presa sull’uditorio, fanno ricorso adartifici di ogni genere e assumono marcati tratti di spettacolarità. Ma l’elemento che piùcaratterizza la letteratura argentea è il predominio assoluto della retorica, o meglio di quellaparticolare forma di retorica sviluppatasi nelle scuole di declamazione. Nel periodo compreso tra iregni di Augusto e Nerone il fenomeno delle declamationes conosce un successo e una popolaritàcrescenti; veri virtuosi della parola, i declamatori elaborano nuovi moduli espressivi, adatti a unaretorica il cui scopo non è più quello di ottenere la vittoria in un dibattito reale, ma di suscitare ildiletto e l’applauso del pubblico: è il cosiddetto “nuovo stile”, che presto varca i confini delle scuoledi retorica per estendersi a gran parte della prosa letteraria della prima età imperiale. Suo portatoprincipale è la dissoluzione delle strutture periodiche in favore di un dettato più mosso e nervoso,che trova la sua cellula stilistica nella sententia, breve frase a effetto capace di esprimere un’idea nelmodo più originale e brillante, concentrando il massimo di significato nel minimo di parole; saràsoprattutto Seneca filosofo a fare del nuovo stile lo strumento perfetto per l’espressione del suopensiero, creando una maniera destinata a fare scuola. L’influsso della retorica non si limita peròalla prosa, ma si esercita in modo prepotente anche sulla poesia: possiamo citare ancora le tragediedi Seneca e l’epica di Lucano come esempi paradigmatici di una poesia retorica, in cui l’interazionetra i due generi raggiunge il grado più alto, fin quasi ad annullare i rispettivi confini. Anche sottoquesto aspetto la poesia neroniana porta al loro pieno sviluppo tendenze che avevano iniziato amanifestarsi già da prima (significativo è soprattutto il precedente di Ovidio), lungo l’itinerario checonduce dall’età aurea all’età argentea della letteratura latina.

La letteratura cortigianaDella produzione cortigiana legata a Nerone resta testimonianza nell’opera di Calpurnio Siculo, unpoeta altrimenti ignoto, autore di sette ecloghe ispirate al modello delle Bucoliche virgiliane. GiàVirgilio aveva entro certi limiti concepito il genere bucolico come un travestimento della realtà,usando il mondo dei pastori per parlare di fatti salienti della storia recente; nel suo epigono taleprocedimento è portato all’estremo e spinto decisamente in direzione dell’allegoria. Calpurniocostruisce così delle poesie “a chiave”, intessute di una trama di allusioni a eventi e personaggireali; e prendendo in particolare spunto dalla famosa quarta ecloga virgiliana, in cui si annunciavala nascita di un puer che preludeva al ritorno dell’età dell’oro, in tre carmi egli celebra il giovaneprincipe (in realtà mai citato per nome; ma ci sono pochi dubbi che si tratti di Nerone), raffiguratonelle vesti di un dio, che riporta sulla terra gli aurea saecula inaugurando un’era di pace e

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ribaltando le sue stesse posizioni di partenza, Seneca ne rivendica ora con forza la pienalegittimità, rivalutandolo quasi come una forma superiore di negotium: mentre infatti chi operanella vita pubblica si rende utile solo al suo stato di appartenenza, nell’otium degli studi filosofici ilsaggio potrà porsi al servizio di una res publica più grande, coincidente con il mondo intero, econtribuire al progresso spirituale e morale di tutti gli uomini.Il De otio fornisce la giustificazione filosofica della decisione di Seneca, ormai escluso da qualsiasiruolo politico, di ritirarsi a vita privata. Scaturisce da qui l’ultima fase dell’attività letterariasenecana, la più intensa e ricca, che oltre all’ampio trattato De beneficiis e all’opera scientificaNaturales quaestiones, dà come frutto principale le Epistulae ad Lucilium, il capolavoro di Seneca.Lasciata cadere ogni prospettiva di intervento nella vita pubblica, Seneca si rivolge alla ricercamorale, concentrando il suo interesse sulla coscienza individuale; nella corrispondenza con l’amicoe discepolo Lucilio (poco importa se si tratti di corrispondenza reale o fittizia) egli intraprende unpercorso di liberazione dai vizi e perfezionamento morale, che ha per fine ultimo ilraggiungimento della saggezza. L’opera deve molto del suo fascino al suo carattere aperto, alienoda ogni rigidità dogmatica: conscio di essere lui stesso ancora lontano da quella meta, Seneca simette in gioco con le sue debolezze, che sono le stesse di tutti, rispecchiando nella sua condizione

222 4. Luca Giordano, La morte di Seneca.Parigi, Louvre

Agrippina, che lo volle come precettore del figlio adolescente Nerone; quando questi salì sul trono,Seneca si trovò così a essere tutore e primo consigliere del nuovo sovrano, reggendo di fatto,almeno inizialmente, le sorti dell’impero.Il regno neroniano si apre con l’orazione funebre per Claudio, pronunciata da Nerone macomposta da Seneca, nel ruolo di quello che oggi si direbbe ghostwriter (Tacito, Annali, 13, 3); mapiù o meno contemporaneo alla laudatio funebris è un altro scritto di ben altro tenore, in cuiSeneca dava sfogo ai suoi veri sentimenti verso Claudio: si tratta dell’Apokolokyntosis, la piùsingolare e una delle meglio riuscite opere senecane. Appartenente al genere della satira menippea(così detta dal nome del suo inventore, il filosofo greco Menippo di Gadara), da cui l’operettamutua i suoi peculiari caratteri formali – l’uso del prosimetro, cioè la mescolanza di prosa e versi,l’alternanza dei registri stilistici, il continuo ricorso a procedimenti di parodia letteraria – in essaSeneca inscena una feroce satira della divinizzazione di Claudio decretata dal senato, mettendo inridicolo la figura del defunto imperatore; non manca un inserto poetico in cui si celebra l’avventodel nuovo princeps Nerone, con il ricorso alla consueta simbologia dell’età dell’oro (cap. 4).L’Apokolokyntosis riflette bene le attese che Seneca riponeva in Nerone. Lo stoicismo, la dottrinafilosofica professata da Seneca, consigliava espressamente la partecipazione del saggio alla vitapolitica: in quanto legato agli altri uomini dalla comune appartenenza a una stessa civitas o respublica, egli aveva il dovere di operare in prima persona per il bene della collettività. Seneca ebbemodo di mettere in pratica tale principio al più alto livello nei primi anni del principatoneroniano, quando coltivò la speranza di realizzare l’utopia già platonica della filosofia alla guidadello stato: è il cosiddetto quinquennium felix, durante il quale, grazie alla presenza al suo fiancodi Seneca, Nerone sembrò avviarsi verso un modello di buon governo. In questo contesto si collocala più politica delle opere senecane, il trattato De clementia; dedicato a Nerone da poco asceso altrono, Seneca vi tratteggia un ideale di monarchia illuminata, in cui è la coscienza stessa delsovrano, ispirata dalla sapienza filosofica, a dover garantire un equilibrato esercizio del potere, eindica nella virtù della clemenza, intesa come un atteggiamento di umanità e moderazione neltrattare con i sudditi, il discrimine che distingue il buon re dal tiranno.Le speranze di Seneca dovevano però andare presto deluse; possiamo seguire l’evolversi del suopensiero riguardo all’impegno politico nella sequenza di tre Dialogi, che, nonostante le incertezzecronologiche che gravano sulle opere incluse in questa raccolta (di cui fanno parte dieci trattatifilosofici composti in epoche e occasioni diverse), sono databili con buona sicurezza. Il De vitabeata risale a un periodo in cui Seneca era ancora in una posizione di potere e nasce da un fattocontingente, cioè dalle accuse che nel 58 d.C. gli erano state mosse da Suillio Rufo, un loscopersonaggio noto come delatore: facendosi portavoce di ambienti ostili a Seneca, questi prendevadi mira la scarsa coerenza tra i princìpi professati dal filosofo e la sua condotta, rinfacciandogli inparticolare le enormi ricchezze accumulate, anche con mezzi poco leciti, in quattro anni diamicizia con Nerone (Tacito, Annali, 13, 42). Era chiaro che a essere posta sotto accusa era l’interaazione politica di Seneca e il suo rapporto con il principe: egli sentì dunque la necessità direplicare – seppur indirettamente, in un’opera che tratta del tema della felicità e del sommo bene –e nel De vita beata respinge le accuse di incoerenza e nega l’inconciliabilità tra virtù e ricchezza(poiché per il saggio ciò che conta non è il possesso o meno di ingenti ricchezze, ma l’uso che se nefa); più in generale l’opera può essere letta come una difesa e una giustificazione, da parte diSeneca, del proprio operato in un momento in cui le sue fortune politiche iniziavano a vacillare.I primi segni di un distacco dalla politica si colgono nel dialogo De tranquillitate animi, che deveessere di poco posteriore al De vita beata. Trattando del problema filosofico della tranquillitas oeuthymìa, Seneca ribadisce l’opzione dell’impegno politico per il saggio, ma argomenta che, se lecircostanze lo imporranno, egli dovrà trovare modi diversi per giovare alla collettività, senza perciòvenir meno ai suoi doveri di cittadino (capp. 3-5). Questa posizione si radicalizza nel De otio,risalente ormai al periodo successivo alla rottura definitiva con Nerone, nel 62 d.C. Qui Senecaaffronta l’annoso problema, assai dibattuto nella cultura romana almeno dai tempi di Cicerone,della scelta fra negotium e otium, la vita attiva spesa al servizio dello stato e la vita contemplativadedita agli studi filosofici e letterari. Se nel De tranquillitate animi la tensione tra i due poliopposti si risolveva ancora nella ricerca di un compromesso, nel De otio Seneca si pronunciadecisamente a favore dell’otium; ma contrariamente alla mentalità romana tradizionale, chevedeva nell’otium solo una soluzione di ripiego rispetto all’attivo impegno dell’uomo politico, e

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225224 5. Pieter Paul Rubens,La morte di Seneca.Monaco di Baviera,Alte Pinakothek

quella dell’uomo in faticoso cammino verso la necessaria conquista della saggezza. Nelle Epistulaead Lucilium dà il meglio di sé anche lo stile senecano, uno stile che, secondo la felice formula diAlfonso Traina, può definirsi “drammatico”, scisso tra “linguaggio dell’interiorità” e “linguaggiodella predicazione”: da un lato il ripiegamento verso l’introspezione, nella quale Seneca raggiungeuna profondità finora ignota alla letteratura latina, dall’altro l’urgenza della parenesi morale, chesfrutta tutte le risorse della retorica per bandire la verità e inculcarla nell’animo dei lettori.L’altro versante dell’attività letteraria di Seneca è costituito dalle tragedie. Sulla produzione tragicasenecana, comprendente otto drammi autentici (Hercules furens, Troades, Phoenissae, Medea,Phaedra, Oedipus, Agamemnon, Thyestes), più uno di autenticità dubbia (l’Hercules Oetaeus) euno certamente spurio (l’Octavia), pesano varie questioni aperte, a partire dalla cronologia el’epoca di composizione, che è del tutto ignota (anche se l’ipotesi prevalente è che essa debba esserefatta risalire, almeno in gran parte, a dopo il rientro di Seneca dall’esilio, quindi in piena etàneroniana), ma anche riguardo la sua destinazione: oggi si tende a credere che le tragedie sianostate composte, più che per la scena, per essere oggetto di recitationes (e in tal caso si può pensarecome destinatario privilegiato alla corte neroniana, in linea con l’interesse per la poesia cheabbiamo visto essere ivi diffuso). Altrettanto discusso è il problema del rapporto tra l’operafilosofica di Seneca e il suo teatro tragico, nel quale molti sono inclini a vedere nulla più cheun’illustrazione poetica, una sorta di exemplum in versi delle dottrine stoiche. Si tratta di unaposizione senz’altro eccessiva, se è vero che le tragedie sono innanzitutto opere di poesia, cherielaborano illustri modelli greci e latini; ma sarebbe anche errato disconoscere la sostanzafilosofica dei drammi senecani. Così ad esempio uno dei nodi tematici in essi più ricorrenti è ilconflitto tra ragione e passione, una questione centrale anche nel pensiero stoico: il furor che ispiral’agire di tanti personaggi tragici senecani (basti pensare a Medea o Fedra) è figura di quella “follia”che affligge gran parte del genere umano e che la filosofia si propone di curare. Non menoimportanti sono i contenuti politici, soprattutto in quelle che potremmo definire “tragedie deltiranno”, che hanno al loro centro la figura di un tiranno (come le Phoenissae, il Thyestes,l’Oedipus, ecc.): se non è forse lecito cercare nella trama delle tragedie precise allusioni a fattistorici o vedere in taluni dei protagonisti controfigure di personaggi reali, sono però evidenti irisvolti di attualità che esse presentano; il teatro tragico diviene così per Seneca, ancor più delleopere in prosa, lo strumento per riflettere sui meccanismi del potere e la natura del regno,tematiche intimamente legate alla sua esperienza biografica.Un cenno a parte merita l’Octavia, che pur essendo trasmessa nel corpus delle tragedie di Senecanon è opera sua (come basta a dimostrare il fatto che lo stesso Seneca figuri tra i personaggi); lasua composizione risale verosimilmente a una data di poco posteriore alla morte di Nerone.L’opera si differenzia dai drammi autentici per il fatto di essere una praetexta, una tragedia diargomento romano; essa rappresenta la storia di Ottavia, la prima moglie di Nerone ripudiata efatta uccidere per fare posto a Poppea. Al centro della praetexta sta un lungo dialogo tra Seneca eNerone (vv. 440-592): al sovrano che afferma la sua idea tirannica del potere, si oppongono iconsigli di moderazione del filosofo, che appaiono ispirati alla dottrina politica del De clementia;come nella realtà, Seneca esce sconfitto dal confronto-scontro con l’imperatore fatto tiranno.L’anonimo autore mostra di aver assimilato in profondità la lezione del teatro senecano, sia sulpiano stilistico che su quello ideologico; e l’Octavia offre una preziosa testimonianza dellaricezione immediata dell’opera e del pensiero di Seneca, ma anche del modo in cui le vicende e ledispute ideologiche del tempo di Nerone fossero rilette dalla generazione successiva.

La letteratura stoica di opposizione: Persio e LucanoAbbiamo visto come lo stoicismo avesse fornito a Seneca le basi dottrinali per la sua azione politicae per la teorizzazione, nel De clementia, di una monarchia illuminata a guida filosofica. Ma nellastessa dottrina stoica vi erano le premesse per un atteggiamento ben diverso nei confronti delregime imperiale: la concezione dell’assoluta libertà interiore del saggio e la proposta del suicidiocome possibile mezzo di liberazione da ogni schiavitù terrena potevano facilmente assumere unaconnotazione politica; in questa direzione portava l’esempio di Catone Uticense, divenuto con ilsuo suicidio il simbolo del rifiuto di sottomettersi a un potere dispotico (in quel caso quello diCesare) e subito consacrato come una sorta di martire stoico della libertà. Non è dunque casualeche dalle file stoiche provenga la più importante corrente di opposizione e resistenza al principato

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226 2276. Statua di togato nelgesto della letturainterrotta, etàneroniana, marmolunense, alt. cm 160.Dal teatro/odeion diLuni. La Spezia, Museodel Castello di SanGiorgio, CollezioniArcheologiche “UbaldoFormentini”

neroniano: è il caso di figure come Trasea Peto, costretto al suicidio nel 66 d.C. dopo aver tra l’altropubblicato una biografia di Catone, ma anche come Anneo Cornuto, che fu invece condannatoall’esilio. Proprio Cornuto fu il comune maestro dei due poeti che incarnano al meglio il filonedella letteratura di opposizione: Persio e Lucano.Persio è autore di una raccolta di sei Satire, precedute da un breve componimento programmaticoin coliambi (un tipo di verso usato soprattutto nella poesia d’invettiva), che furono pubblicatepostume dopo essere state riviste da Cornuto (Persio morì a ventotto anni nel 62 d.C.). Il generesatirico, un’invenzione tutta latina secondo il noto giudizio di Quintiliano, era stato piegato daOrazio a strumento di critica dei vizi e delle debolezze umane; ma alla bonaria e pacata ironia checostituiva la cifra caratteristica della satira oraziana Persio, che pure si ispira a quel modello,sostituisce i toni dell’invettiva, della riprovazione indignata, della pressante esortazione morale. Lafilosofia stoica, con il suo rigorismo etico, impregna la poesia di Persio e gli fa apparire il mondocircostante in preda alla corruzione e al vizio, dominato dai falsi valori, dall’ambizione,dall’ipocrisia; tanto più urgente è dunque la necessità di smascherare tali comportamenti e quasiaggredire le coscienze per redimerle. A questa istanza etica corrisponde una precisa scelta estetica,dichiarata nella quinta satira (vv. 14 ss.): il crudo realismo del linguaggio, le audacie e icontorcimenti espressivi che spesso forzano la lingua fino all’oscurità, sono funzionali al propositodi radere mores, “raschiare i costumi”, e defigere culpam, “inchiodare la colpa”. Non sorprenderàallora che l’altro bersaglio ricorrente delle satire di Persio sia costituito dalla letteraturacontemporanea: nella prima satira egli si scaglia contro la fatua pratica delle recitationes e controla poesia epica e tragica alla moda, con i suoi insulsi soggetti mitologici e il suo manierato gustogrecizzante, rivendicando per contro la sua natura di poeta semipaganus (“semirozzo”), come sidefiniva nei Choliambi; è facile individuare l’obiettivo della polemica di Persio nella produzione deipoeti cortigiani gravitanti intorno a Nerone, e forse, come suggeriscono gli scolii antichi, anchenelle poesie dello stesso principe.La rivalità letteraria sarebbe stata, secondo alcune fonti, la causa della rottura tra Lucano eNerone; fatto sta che, dopo aver legato i suoi esordi alla corte neroniana, la poesia di Lucano sivolge in tutt’altra direzione con l’opera maggiore, il poema epico Bellum civile (noto anche con iltitolo di Pharsalia). Con quest’opera Lucano innova profondamente e quasi stravolge lo statutodel genere epico; la novità non sta tanto nella scelta di un soggetto storico come la guerra civiletra Cesare e Pompeo (per cui c’erano nella letteratura latina molti illustri precedenti), né in certicaratteri formali che incontrarono già le critiche degli antichi, come la rinuncia all’apparatodivino, quanto nelle modalità stesse in cui la materia epica è trattata. Con l’Eneide Virgilio avevadato vita a un’epica nazionale, che attraverso la narrazione delle gesta di Enea e della preistoriamitica di Roma intendeva magnificare anche la grandezza attuale dello stato romano, incarnatadal principato augusteo; e più in generale una finalità celebrativa ed encomiastica era iscritta nelcodice genetico del genere epico. In Lucano nulla di tutto ciò: il suo è un epos senza veri eroi, checome è detto nel proemio, canterà una scellerata guerra fratricida, la vicenda di un popolopotente che si è rivolto contro le sue stesse viscere fino all’autodistruzione. Rapportandosidirettamente al modello virgiliano con un procedimento che è stato definito “antifrastico”,Lucano smonta pezzo per pezzo la visione mitica e idealizzata della storia romana a cui l’Eneidedava voce, creando un vero e proprio “antimito” di Roma; se Virgilio seguiva nel suo racconto ildipanarsi di un disegno provvidenziale che aveva come fine ultimo l’avvento di Augusto, inLucano c’è spazio solo per una “provvidenza crudele”, che ha decretato la morte della civiltàromana. Rivestendo la narrazione di un colorito stoico, Lucano tende a dare al conflitto unadimensione di catastrofe cosmica e a trasformarlo in uno scontro tra due princìpi astratti,regnum e libertas: a impersonarli sono da un lato Cesare, caratterizzato come un despotasanguinario ossessionato dalla conquista del potere, dall’altro Catone, ancor più di Pompeo il veroantagonista di Cesare, esaltato come la perfetta incarnazione del saggio e come l’ultimo alfieredella libertà repubblicana, e tuttavia destinato alla sconfitta (è probabile che nei piani di Lucanoil poema, rimasto interrotto a metà del decimo libro, dovesse concludersi con il suicidio diCatone). Di fronte a tutto ciò il poeta non può restare indifferente, ma infrangendo latradizionale obiettività epica entra di prepotenza nel poema per commentare con la propria vocei fatti narrati, apostrofare i personaggi, levare invocazioni. È questo il segno più vistoso dellarottura delle convenzioni del genere operata da Lucano, che nasce dall’aver calato nella forma

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229alle pagine seguentiHenryk H. Siemiradzki,Dirce cristiana, 1897.Varsavia, Museo Nazionale

culturali, ora gli pseudo-intellettuali nutriti di pedante cultura scolastica come Encolpio, con laloro “nostalgia del sublime”.Come tutto ciò debba essere inquadrato nel contesto della cultura e della società neroniana restadifficile da afferrare fino in fondo. Certo, nel romanzo non mancano allusioni (o presunte tali) afigure di spicco della vita letteraria dell’epoca, come Seneca e Lucano: così nella lunga inserzionepoetica del Bellum civile, pronunciata dal poeta Eumolpo, sembra di cogliere un chiaro intentopolemico contro la nuova epica lucanea; ma allo stesso tempo Eumolpo è presentato come unpoetastro da strapazzo, e i suoi versi, in cui lo scoppio della guerra civile è narrato con il ricorso atutto il tradizionale apparato divino, appaiono quanto di più banale e convenzionale (lo stesso sipuò dire dell’altro inserto poetico maggiore del romanzo, in cui Eumolpo declama un soggettoneroniano per eccellenza come la presa di Troia): cosicché la satira pare rivolgersi anche controquella poesia di maniera che doveva andare per la maggiore nella cerchia di Nerone. Osservando larealtà che lo circonda con un atteggiamento di aristocratica superiorità, Petronio sembra volerdenunciare la volgarità e la mancanza di gusto diffuse a tutti i livelli, non esclusa la corte imperiale(e sarebbe interessante capire se il Satyricon abbia qualcosa a che fare con i codicilli di cui parlaTacito nel ritratto di Petronio – sempre ammesso che si tratti della stessa persona); anche se dellereali intenzioni dell’autore molto è destinato inevitabilmente a sfuggirci. Questo non ci impedisceperò di apprezzare l’altissimo valore letterario dell’opera, che fa del Satyricon uno dei capolavoriassoluti della letteratura latina.

La morte ravvicinata di Seneca, Lucano e Petronio, tutti e tre caduti vittima tra il 65 e il 66 d.C.della repressione seguita alla scoperta della congiura dei Pisoni, segna la drammatica conclusionedi una stagione letteraria che si era aperta sotto ben altri auspici. Nerone vivrà ancora per circa dueanni, prima di trovare la morte in una congiura di palazzo nel 68 d.C.: sono gli anni più oscuri delsuo principato, in cui egli dà libero sfogo ai suoi istinti peggiori e alle sue manie di grandezzaanche in campo artistico; sono gli anni in cui, abbandonato ogni ritegno, il principe si dà semprepiù spesso a calcare le scene, gli anni del viaggio in Grecia, che lo porta a esibirsi a ogni tappa inperformances poetiche e musicali, ottenendo una serie di successi tanto trionfali quanto effimeri efasulli. Qualis artifex pereo!, “quale artista muore con me!”: le parole che secondo Svetonio Neroneavrebbe ripetuto prima di morire suonano come l’estrema rivendicazione del suo preteso talento diartista: i posteri giudicheranno molto diversamente.

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epica un soggetto eminentemente tragico; se ne colgono i riflessi anche sullo stile, che, come lodefinirà Quintiliano, si fa ardens e concitatus, fa del pathos la sua cifra dominante.Nel Bellum civile si manifestano dunque sentimenti palesemente anti-imperiali; non può alloranon destare sorpresa la presenza nel primo libro, subito dopo il proemio, di un elogio di Nerone (1, 33-66), la cui interpretazione rappresenta da sempre uno dei problemi cruciali della criticalucanea. Poiché le biografie antiche del poeta danno la notizia che i primi tre libri del poemafurono pubblicati a parte, è stato pensato che essi potessero essere stati composti in un periodo incui Lucano era ancora in buoni rapporti con il principe e non si era ancora attestato su posizionicosì critiche verso il potere imperiale: ma in realtà non si notano nel corso dell’opera traccesignificative di una tale evoluzione nelle idee di Lucano. Altri hanno supposto che l’elogio debbaessere inteso in senso ironico, ma gli indizi in tal senso sono piuttosto deboli. È invece probabileche esso vada letto come un pezzo di maniera, inserito per motivi di convenienza, ma che proprionella sua trita convenzionalità rivela la sostanziale insincerità. È in ogni caso indubbio che con ilBellum civile Lucano rompe con il passato e si allontana del tutto da Nerone; e non è da escludereche la pubblicazione del poema abbia avuto un ruolo nella sua caduta in disgrazia e nellasuccessiva condanna a morte.

Il caso PetronioPetronio è una delle figure più affascinanti, ma anche più sfuggenti ed enigmatiche dellaletteratura latina. Tutto ruota intorno alla domanda se si debba identificare l’autore del Satyriconcon il Petronio del celebre ritratto di Tacito, il cortigiano di Nerone arbiter elegantiarum delprincipe: raffigurato come un gaudente eccentrico e sofisticato, dedito a una vita di piaceri edissolutezze (e perciò favorito da Nerone), Petronio cadde infine in disgrazia e scelse di darsi lamorte inscenando il proprio suicidio come una rappresentazione teatrale; Tacito aggiunge chemorendo egli lasciò dei codicilli in cui si denunciavano i flagitia principis, gli scandali della corteneroniana (Annali, 16, 18-19). Le consonanze di questo ritratto con l’atmosfera che si respira nelSatyricon sono indubbiamente suggestive, anche se l’immagine potente del Petronio di Tacitorischia, sovrapponendosi all’opera, di sviarne in qualche modo l’interpretazione; ma a prescindereda questo, gli indizi interni che depongono per una datazione del Satyricon in età neroniana sonopiuttosto forti e rendono tale ipotesi cronologica a tutt’oggi la più verosimile.A sciogliere il mistero non contribuisce lo stato di conservazione dell’opera: ciò che possediamo delSatyricon è infatti solo un lungo frammento (in realtà formato a sua volta da una sequenza diestratti cuciti insieme da un compilatore medievale, quindi piuttosto lacunoso al suo interno), checopre forse due libri di un’opera che doveva contarne almeno sedici, ed era dunque di molte voltepiù estesa. La definizione di romanzo, con cui si è soliti designare il Satyricon, deriva dal fatto chenon esiste nessun altro termine più appropriato per classificare un’opera unica nel suo genere, chesi pone al di fuori del sistema dei generi letterari codificato nell’antichità. Se alcuni caratteriformali, su tutti l’uso del prosimetro, avvicinano il Satyricon alla satira menippea, esso si presentanel complesso come una sorta di raffinato pastiche aperto all’influenza dei generi più disparati, dalpoema epico alla narrativa greca di consumo; ma il tratto davvero caratterizzante dell’opera è ilgioco parodico che l’autore mette in atto nei confronti di tutti questi modelli letterari.Nel frammento superstite sono narrate attraverso la voce di uno dei protagonisti, Encolpio, leperipezie non proprio eroiche di un gruppo di avventurieri, che si muovono in un mondo dibassifondi, fatto di personaggi falliti e screditati, incontri erotici degradanti, espedienti e inganniper sbarcare il lunario. Uno degli aspetti più ammirati del Satyricon è il realismo dellarappresentazione, che tocca l’apice nel celeberrimo episodio della cena Trimalchionis, il banchettoofferto dal liberto arricchito Trimalcione; ma – è questa la grande novità del realismo petroniano –ciò non è funzionale a esprimere alcun giudizio morale: come i grandi esponenti del realismomoderno, Petronio si limita a rappresentare, senza giudicare. La strategia seguita dall’autore, un“autore nascosto”, proprio perché almeno in apparenza assente dal romanzo, è diversa, e si fondasu quei procedimenti di parodia letteraria cui si accennava sopra: giocando sullo scarto tra lameschina realtà rappresentata e i sublimi modelli letterari che i protagonisti dell’opera, primo fratutti Encolpio, vero e proprio “narratore mitomane”, evocano di continuo come termine diconfronto per le loro avventure, Petronio esercita ai danni dei suoi personaggi una costanteintenzione satirica, che va a colpire ora i nuovi ricchi alla Trimalcione e le loro vane ambizioni

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