Materiali Didattici - Parte I - Parte Teorica - A.a. 2014-2015

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Filozofická fakulta Univerzity Karlovy v Praze Ústav románských studií Zimní semestr 2014/2015 Stylistická cvičení Materiali didattici Parte I

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Filozofick fakulta Univerzity Karlovy v Praze

Filozofick fakulta Univerzity Karlovy v Prazestav romnskch studi

Zimn semestr 2014/2015Stylistick cvienMateriali didattici

Parte I

Gli appunti di questa dispensa si basano su argomenti contenuti nei seguenti testi:

P. Beltrami,Gli strumenti della poesia, Bologna, Il Mulino, 2002

G. Colella,Che cos la stilistica,Carocci, 2010

L. Galdi,Introduzione alla stilistica italiana, Bologna, Patron, 1971

C. Giunta, Retorica e stilistica, Icon Italian Culture on the net, 2007

P.V. Mengaldo,Prima lezione di stilistica, Laterza, 2001

P.V. Mengaldo,Attraverso la prosa italiana, Carocci, Roma, 2008

B. Mortara Garavelli,Manuale di retorica, Bompiani, 1997

B. Mortara Garavelli,Il parlar figurato, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010

C. Segre,Avviamento allanalisi del testo letterario, Einaudi, 1985

INDICE

1 La retorica in et classica

1.1- La retorica oggi

1.2- I sofisti e Platone

1.3- Aristotele

1.4- La retorica a Roma in et repubblicana

1.5- La retorica a Roma in et imperiale

2 La retorica in et medievale e moderna

2.1- La retorica nella prima et cristiana

2.2- La retorica delleartes2.3- La retorica e il volgare

2.4- LUmanesimo e il Rinascimento

2.5- Il ritorno della retorica aristotelica

3 La partizione del discorso

3.1-Pronuntiatioeactio3.2-Inventio3.3-Dispositio3.4Elocutio

4 I tropi

4.1- Una definizione dei tropi

4.2- Metafora

4.3- Metonimia e sineddoche

4.4- Figure di amplificazione: retorica, enfasi

4.5- Perifrasi, litote, antonomasia

5 Le figure di parola

5.1- Figure di ripetizione: epanalessi, anadiplosi, climax5.2- Figure di parallelismo: anafora, epifora, polisindeto, asindeto, epanadiplosi, chiasmo5.3- Giochi di parole: paronomasia, malapropismo, poliptoto, figura etimologica5.4- Figure di accumulazione: dittologia, endiadi, enumerazione5.5- Figure per soppressione: ellissi, zeugma5.6- Figure di permutazione e corrispondenza: anastrofe, iperbato, epifrasi, isocolo6 Le figure di pensiero

6.1- Figure di amplificazione: commoratio, interpretatio, definizione, dubitatio, correctio, antitesi6.2- Antitesi e similitudine: ossimoro, regressio, comparazione6.3- Figure di soppressione: brevit, preterizione, reticenza6.4- Figure per sostituzione: allegoria, personificazione7 Esempi di analisi retorico-stilistica

7.1- Una lettera di Guittone dArezzo

7.2- Un sonetto di Petrarca

7.3- Un sonetto del Marino

7.4- Linfinitodi Leopardi

7.5- Una lirica di Sereni

1. La retorica in et classicaDopo una breve introduzione sul significato attuale del termine "retorica", il capitolo illustra in sintesi levoluzione della teoria retorica in Grecia e a Roma, dai primi sofisti a Quintiliano.

1.1- La retorica oggi

1.2- I sofisti e Platone

1.3- Aristotele

1.4- La retorica a Roma in et repubblicana

1.5- La retorica a Roma in et imperiale1.1 La retorica, oggi

Nei primi anni dellOttocento escono in Europa gli ultimi trattati di retorica "normativi": trattati che hanno cio lo scopo di insegnare ai lettori le regole fondamentali per la composizione di un discorso. In Francia, nel 1821, Pierre Fontanier pubblica il Manuel classique pour ltude des tropes, che ebbe enorme successo e venne subito adottato come testo dinsegnamento allUniversit di Parigi. In Italia, lanno successivo, Luigi Cerretti pubblica leInstituzioni di eloquenza, unopera che sin dal titolo (ricalcato sulla Institutio oratoria di Quintiliano, dove institutiosignifica "educazione") chiarisce il suo intento didattico. Lautore non si limita infatti a osservazioni generiche sulla retorica e sullo stile, ma spiega nel dettaglio come debbano essere scritti i testi in prosa (lettere familiari, galanti, daffari, dispacci, orazioni ecc.) o in verso (dalla lirica allepica, dal dramma al poema didascalico). Scrive Cerretti: "Siccome perniciosa(dannosa),a mio credere, riescirebbe(sarebbe)ai giovani ingegni lintemperanza (inosservanza)delle leggi, cos sarebbe il non prescriverne veruna (alcuna)" (Cerretti,Istituzioni di eloquenza: 2). La retorica consiste dunque in uncorpusdi leggi che gli studenti debbono imparare.

Poco pi di mezzo secolo dopo, uno studioso francese Antelme douard Chaignet scriver: "Non si insegna pi la retorica nelle classi di retorica dei licei e dei collegi di Francia: come dire che non la si insegna pi da nessuna parte" (Chaignet,La rhtorique et son histoire: VII).

La situazione si dunque ribaltata. A partire dalla fine dellOttocento, le regole della retorica non vengono pi insegnate. Che cosa successo? successo che un doppio attacco a questa disciplina venuto dalle due tendenze culturali dominanti nel secolo. Da un lato il pensiero romantico ha valorizzato la libert e loriginalit dellespressione, insofferente di qualsiasi regola o tradizione; dallaltro il positivismo ha insegnato a guardare con sospetto quei campi di studio fondati sulla persuasione piuttosto che sulla dimostrazione, e insomma pi distanti dalla ragione scientifica. Il senso stesso della parola "retorica" ha assunto ed ha tuttora, in seguito a questo mutamento dindirizzo, un senso negativo: oggi definiamo "retorico" un discorso o uno scritto artificioso, pieno di luoghi comuni e perci, fondamentalmente, falso. Ma non dimentichiamo che, nel passato, la retorica ha avuto un significato e un ruolo molto diversi.

1.2 I sofisti e Platone

Sia fondata o no la notizia tramandata da Cicerone, che i primi retori furono Corace e Tisia (secolo V a.C.), assunti da alcuni cittadini di Siracusa per proteggere i loro interessi, senzaltro vero che la retorica nacque nelle aule dei tribunali. Linteresse era innanzitutto pratico: si studiavano, si perfezionavano le tecniche del discorso allo scopo di prevalere nelle cause giudiziarie.

Se, da una parte, questo legame con la prassi rappresentava il punto di forza di una retorica profondamente radicata nella vita civile, dallaltra, esso fu presto, per alcuni, motivo di allarme. Nei dialoghiFedroeGorgia, Platone (secoli V-IV a.C.) sostiene la superiorit dei filosofi sui retori e accusa questi ultimi di immoralit. Sofisti come Gorgia e Protagora avevano insegnato come larte della parola fosse in grado di "dare forza al discorso pi debole": con ci, essi mostravano di mirare non a quella verit cercata dai filosofi come Platone bens a unargomentazione capace di convincere lascoltatore. Le categorie di vero e di giusto passano cos in secondo piano e leloquenza - non importa al servizio di quale ideale - prende il sopravvento; alla domanda di Socrate su che cosa sia la retorica, Gorgia replica: "il potere di persuadere attraverso il discorso le assemblee". Si comprende come a questa "pratica" non fondata sullogos(la ragione oggettiva), incapace di migliorare gli individui, dannosa per la pace sociale, Platone potesse opporre le sicurezze e il rigore della dialettica. Si profila cos nellantichit quel dissidio tra retorica (come arte del linguaggio ed educazione umanistica) e dialettica (come disciplina del pensiero scientificamente fondata) che in forme diverse (retorica contro logica, discipline umanistiche contro scienza ecc.) si protrarr durante tutta la storia occidentale.

1.3 Aristotele

Ma non era questo lunico modo di impostare il rapporto tra retorica e filosofia, tra ricerca del probabile e studio del vero. Nella suaRetorica, il pi grande fra gli allievi di Platone, Aristotele (secolo IV a.C.) assume una posizione pi conciliante. vero - egli osserva, daccordo col maestro - che la retorica pu essere usata per fare il male e non il bene, ma ci si pu dire di qualsiasi virt: il torto, in altri termini, non della disciplina in s ma in chi ladopera. Si affaccia gi qui unesigenza che verr sentita, pi tardi, particolarmente a Roma, e cio la subordinazione della retorica alletica: quelli che occorre formare, scriver Catone, non sono semplici professionisti della parola ma uomini buoni capaci di ben parlare ("vir bonus dicendi peritus"). Contro Platone, si viene cos ad affermare il ruolo fondamentale che la retorica pu avere nelleducazione del cittadino e, in particolare, delluomo politico. Essa - come obiettava giustamente Platone - non insegna cose, non d un vantaggio immediato e visibile a chi la possiede; ma proprio qui sta la sua forza: perch essa la chiave che permette di apprendere tutte le altre discipline umane e di dominare su di esse. Prova ne il fatto che gli eroi del mito e i grandi personaggi della storia (come Ulisse o come Pericle) non eccelsero per competenze speciali: fu la conoscenza della retorica a consentire loro di imporsi sugli altri uomini.

LaRetorica soprattutto una teoria dellargomentazione. Aristotele definisce i tre tipi di discorso, a seconda delloccasione e dellargomento, e distingue tra genere "giudiziario" (quello pi importante, pertinenza degli avvocati), genere "deliberativo" (che riguarda cio la decisione o il rifiuto, pertinenza delle assemblee), e genere "epidittico" (cio il discorso di lode o di biasimo). Diversi, per ognuno dei tre generi, sono gli obiettivi, ma comuni le regole: poich si tratta sempre di persuadere un uditorio (o, nel terzo caso, di commuoverlo), si ricorrer soprattutto a due strumenti: l"entimema", ossia un sillogismo che poggia su premesse probabili, non certe; e l"esempio", ossia uno o pi casi simili i quali aiutino a dimostrare la tesi che si intende sostenere.

1.4 La retorica a Roma in et repubblicana

Maestri greci portano linsegnamento della retorica a Roma durante il III e il II secolo a.C. Ma i primi grandi trattati retorici latini vennero scritti solo intorno all80 a.C. IlDe inventione, di Cicerone, e laRetorica ad Herennium(dal nome del destinatario), di autore ignoto, furono, da allora in poi, i testi fondamentali per lo studio della retorica. Essi ebbero il merito di tradurre la terminologia greca in latino e di "ambientare" la retorica nella nuova realt della Roma repubblicana. Il rapporto fra eloquenza e oratoria nei tribunali ne risult potenziato.

Cicerone era, cos come lo sar pi tardi Quintiliano, un avvocato di fama. Nei suoi trattati retorici egli non brilla per originalit teorica: ha a cuore soprattutto la prassi. La sua retorica dunque soprattutto un manuale per il perfetto oratore: di qui linsistenza sui due requisiti della memoriae dellactio(la capacit di ricordare gli snodi del discorso e labilit di saperlo porgere nel modo conveniente; scrive Cicerone nelBrutus che niente pi dellactio"penetra nel cuore degli uomini, niente serve meglio a plasmarli, disporli, piegarli"); e di qui lo scrupolo con cui, sullesempio di Aristotele, egli distingue i "livelli" del discorso: loratore davvero capace adatta infatti il discorso al suo pubblico e al tema di cui sta trattando, e persegue in ogni occasione il "conveniente" (decorum). Posto che tre sono i possibili obiettivi -movere(commuovere),docere (insegnare) edelectare(piacere) - tre saranno anche gli stili che colui che parla sapr usare a tempo debito: il sublime, il mediocre, lumile.

Questa sensibilit nei confronti dello stile si spiega nel contesto in cui vivono Cicerone e lautore dellaAd Herennium. Limportanza della retorica forense era grande, ed normale che cominciassero a profilarsi indirizzi e tendenze diverse. Si fronteggiarono cos due diversi stili (distinti, non opposti, tant vero che lo stesso Cicerone pot essere considerato esponente delluno e dellaltro). Luno fu detto "asiano" (perch ispirato agli scrittori di Pergamo in Asia), laltro "attico" (perch ispirato al greco Lisia); il primo artificioso, elaborato, difficile, il secondo lineare, sobrio, facilmente comprensibile; il primo prevarr nel breve periodo, nelle esercitazioni scolastiche; il secondo verr raccomandato dai teorici pi autorevoli: "La prima virt delleloquenza- scriver Quintiliano - la chiarezza": lo stile magniloquente degli sciocchi, perch "quanto meno uno intelligente, tanto pi cerca di gonfiarsi e di innalzarsi".

1.5 La retorica a Roma in et imperiale

La fine della libert repubblicana e lavvento dellImpero, con Ottaviano Augusto, alla fine del secolo I a.C., segnano una svolta anche per la retorica classica. La pratica oratoria perde la sua antica centralit, sia nei tribunali sia nelle assemblee; il genere epidittico (la lode, il discorso commemorativo), un tempo secondario nelleducazione delloratore, acquista sempre pi importanza. Nelle scuole, gli studenti sono chiamati a confrontarsi sucausaefittizie, o a comporreelogiopanegirici, o discorsi persuasivi rivolti a personaggi celebri della storia o del mito (suasoriae); si fa pi evanescente il rapporto con la realt, si avvia un processo che andr sviluppandosi durante tutto il Medioevo: dacorpus di regole per loratoria, la retorica si trasforma in una disciplina per letterati che insegna come scrivere testi di vario genere destinati non ad essere ascoltati ma letti. Ma lepoca aurea delleloquenza latina si chiude con unopera che degnamente la sintetizza. LInstitutio oratoriadi Quintiliano (I secolo d.C.) da un lato conferma lalleanza tra letteratura e retorica: gran parte del decimo libro infatti occupata da un catalogo di poeti e prosatori greci e latini cui loratore dovr riferirsi come a modelli; ma, dallaltro, propugna un ritorno alla purezza delloratoria di Cicerone, prendendo posizione contro la corrotta eloquenza del suo tempo. Anche secondo Quintiliano, la retorica arte da avvocati, che consiste nel "parlare di problemi inerenti ai processi civili, in maniera da riuscire a persuadere"; ma questo scopo immediatamente pratico finisce per essere secondario rispetto a quello didattico. LInstitutio unapaideia (educazione) che mira a formare non solo loratore ma luomo: perci Quintiliano si rivolge, o simula di rivolgersi, a un unico allievo, e perci ai consigli tecnici se ne affiancano altri di pi ampio respiro sui modi di insegnare e di apprendere, sulla cultura di cui devessere in possesso loratore, sulle sue qualit umane, ecc. La retorica, dunque, come disciplina-cardine delleducazione: un programma che torner attuale, dopo pi di un millennio, con lUmanesimo.

2 La retorica in et medievale e moderna

Il capitolo illustra in sintesi levoluzione della teoria e della prassi retorica, in latino e in volgare, durante il Medioevo e let moderna.

2.1- La retorica nella prima et cristiana

2.2- La retorica delleartes2.3- La retorica e il volgare

2.4- LUmanesimo e il Rinascimento

2.5- Il ritorno della retorica aristotelica

2.1 La retorica nella prima et cristiana

Gran parte delle opere greche e latine sulla retorica rest sconosciuta agli uomini del Medioevo. LInstitutiodi Quintiliano, troppo lunga per rimanere compatta, circol in frammenti. LaRetoricadi Aristotele venne dimenticata, e simile fu la sorte di molti degli scritti ciceroniani che scomparvero prima di essere lentamente recuperati nel Basso Medioevo. Tramontata let delloratoria civile e politica, fu la grammatica ad appropriarsi di temi che un tempo venivano trattati dai retori, come la divisione del discorso, le figure, la metrica: un insegnamento pratico, fondato su poche semplici nozioni tecniche, si sostituisce allambizioso programma umanistico di Cicerone e Quintiliano.

Alla distanza temporale si aggiunge la distanza ideologica: possibile coniugare la cultura classica - in questo caso leloquenza - con la dottrina cristiana? Grandi intellettuali cristiani come Agostino e Girolamo si proposero appunto questa conciliazione. Ma, spentasi la tradizione oratoria, la retorica di cui si tratta sempre pi legata ai testi scritti. Nellepistolografia, a partire dalla raccolta delleVariaedi Cassiodoro (secolo VI), si riprende la teoria deitria genera dicendi("tre modi del discorso"), in base alla quale lo stile muta a seconda del mutare della materia trattata e del destinatario. La stessa teoria inizia a essere applicata alle opere letterarie; ispirata a Teofrasto e a Cicerone, laRota Vergiliipropone ai poeti lesempio del maggiore poeta latino per ognuno dei tre livelli stilistici: umile (leBucoliche), medio (leGeorgiche), alto (lEneide). Quanto agli scritti apologetici e alla predicazione, il ricorso allo stile umile era qui necessario perch si trattava di farsi comprendere da un pubblico spesso incolto. Ma la necessit venne interpretata come una risorsa. La retorica elementare della Bibbia (ilsermo humilis, ovvero il discorso semplice) fu contrapposta alle inutili complicazioni delleloquenza classica: in quanto veri, contenuti sublimi come la vita e la passione di Cristo non avevano bisogno, per essere espressi, dello stile dei retori.

2.2 La retorica delleartesLa perdita del legame con loratoria comporta, dopo il Mille, la riduzione della retorica a semplice tecnica. I trattatisti si disinteressano degli aspetti teorici o morali e si concentrano sulla pratica: nascono cos, tra i secoli XI e XIII, brevi manuali (artes) che mirano a dare soltanto i rudimenti retorici necessari alle varie categorie dei "professionisti della parola": leartes notariaeper i notai, leartes praedicandiper gli ecclesiastici, leartes arengandiper i pubblici oratori ecc.

In questo quadro cos frammentario occorre sottolineare due parziali novit rispetto allet antica. Da un lato, anche la poesia e la prosa dimmaginazione vengono riportate sotto lombrello della retorica. Nel Medioevo lunione fra retorica e linguaggio dellarte divenne sempre pi stretta: si scrisseropoetrie(manuali di poesia) nelle quali non venivano indicati i compiti del poeta e le regole generali della composizione, ma si scendeva nel dettaglio con precetti circa lesordio, lo sviluppo del testo, la fine, le parole e i tropi da usare. La poesia veniva, insomma, trattata alla stregua di un discorso in tribunale, qualcosa di realizzabile a tavolino purch si applicassero poche regole elementari.

Dallaltro lato, tra leartes"utilitaristiche", quella di gran lunga pi frequentata (dunque pi studiata e pi appresa) senzaltro lars dictandi, cio la trattatistica relativa alla scrittura delle lettere. Modelli epistolari erano presenti anche nellAlto Medioevo, non per veri e propri trattati su questo argomento; e, quanto ai classici, Cicerone aveva escluso che dai suoi scritti, pensati per laddestramento delloratore, potessero essere ricavati elementi per la pratica epistolare. Al contrario, nel Basso Medioevo, leartes dictandiabbondano di istruzioni pratiche riguardanti sia la struttura della lettera (per esempio la divisione in parti, o la tipologia dei saluti, che venivano calibrati a seconda del destinatario) sia il suo stile (prese piede per esempio, specie nella cancelleria pontificia, luso delcursus, cio di un sistema di clausole ritmiche fisse alla fine dei periodi). Tutti gli alfabetizzati scrivevano lettere, dai mercanti ai notai, dagli ecclesiastici ai pubblici amministratori: la retorica epistolare era lunica universalmente nota perch era lunica universalmente usata.

2.3 La retorica e il volgare

Le primeartes dictandifurono realizzate probabilmente a Montecassino verso la fine del secolo XI, ma trovarono pieno sviluppo soprattutto a Bologna, il maggiore centro italiano per gli studi giuridici. E tra Bologna e Firenze, nel Duecento, si incontrano i primi esempi diars dictandiin volgare.

A Bologna, nella prima met del secolo, insegna Guido Faba. Ad uso dei suoi studenti di retorica compone, tra laltro, laGemma purpurea, un trattato di epistolografia diviso in una sezione di precetti e in una di esempi (formule di poche righe da impiegare nelle scritture pubbliche o private, preghiere a un superiore, ingiunzioni a alleati o nemici, ma anche lettere damore o damicizia); compone pure iParlamenta et epistole, brevi modelli di orazioni che illustrano gli accorgimenti retorici utili per confezionare un discorso elegante (i modelli riguardano in genere lattivit podestarile). Allinterno deiParlamentaGuido raccoglie anche modelli di orazioni in volgare, mentre nellaGemma purpurea- dopo il prologo, la lista delle voci e delle locuzioni da usare nelle lettere, dopo laDoctrinache insegna analiticamente a comporle - gli esempi diexordiapresentati al lettore sono nelle due lingue, "litteraliter et vulgariter" ("in latino e in volgare"). dunque probabile che gi nella prima met del secolo lepistolografia e larte notarile dovessero venire incontro alle esigenze di un sempre pi ampio pubblico di utenti "non letterati".

A Firenze, nella seconda met del Duecento, opera uno dei maggiori intellettuali del secolo, Brunetto Latini. Poeta, erudito, uomo politico, egli va qui ricordato per un volgarizzamento delDe invenzione ciceroniano, accompagnato da un fitto commento che reinterpreta a beneficio del "reggitore" (il governante) le norme retoriche che nelloriginale latino erano prescritte alloratore: uscita dalle aule del tribunale, la retorica (eRettoricasintitola il trattato) viene spesa "in ambasciarie e in consigli de signori e delle comunanze e in sapere componere una lettera bene dittata" ("nelle ambascerie, nelle assemblee, e nella retta scrittura delle lettere"; Brunetto Latini,La rettorica). Da un lato, un corposo apparato didascalico traduce, svolge e chiarifica i termini tecnici (dai varigenerain cui si suddivide la retorica alla classificazione delle controversie, alle partizioni della lettera e del discorso forense); dallaltro, Brunetto riesce a rendere meno astratta larte retorica inserendola nel vivo della realt contemporanea. Non solo il libro mira esplicitamente a finalit pratiche, ossia alla formazione intellettuale di chi andr a ricoprire cariche pubbliche, ma gli stessi esempi introdotti nel commento a beneficio del lettore sono spesso tratti dalla cronaca comunale: "Verbigrazia, il comune di Firenze[...]" (a cui segue un episodio "locale" che illustra il precetto retorico appena discusso nel trattato).

2.4 LUmanesimo e il Rinascimento

La riscoperta dei testi latini e greci nel Quattrocento favorisce anche un nuovo approccio alla retorica. Ridotta a pura tecnica dai maestri medievali, essa ritrova la sua antica centralit. Umanisti come Coluccio Salutati e Lorenzo Valla tornano a valorizzarla come fondamento delleducazione dei giovani e come arte sociale spendibile nella vita attiva.

Ma questo nuovo legame con la prassi interessa soltanto le prime generazioni degli umanisti. Allinizio del Trecento, nelDe vulgari eloquentia, Dante aveva proposto una sorta di retorica della poesia, costruita alternando osservazioni storiche, precetti ed esempi. I letterati rinascimentali proseguono lungo questa strada: lapplicazione delle categorie retoriche alla letteratura. "La retorica- scrive Francesco Sansovino nel 1564, ripetendo la classificazione tradizionale - adunque in tre capi divisa, in deliberativo, in dimostrativo e in giudicial genere" (F. Sansovino,La retorica). Gli esempi provengono, tuttavia, non dalloratoria ma dalla poesia: in tutti e tre i casi - persino per il genere giudiziario - si citano canzoni di Petrarca. Questo orientamento sulla poesia e sulla prosa dinvenzione da un lato muta gli obiettivi. Dei tre scopi che soleva avere leloquenza antica - commuovere, insegnare, dilettare - solo il terzo occupa la scena. Dallaltro, muta la materia in discussione: i trattati non sono pi organismi di norme sulla struttura, sul contenuto e sulle tecniche del discorso, ma raccolte di esempi e precetti relativi alla "forma" e alla lingua dei testi.

2.5 Il ritorno della retorica aristotelica

La crescente importanza della letteratura negli studi retorici orient le ricerche sullelocutio, cio sulla dottrina delle "figure" e sullo "stile". In et moderna, essa fu cos soggetta a critiche provenienti da varie direzioni. Alcuni la liquidarono come una teoria dellornato dedita a distinzioni irrilevanti. Altri - i razionalisti come Cartesio, e gli scienziati in generale - le anteposero le dimostrazioni chiare e distinte della fisica e della matematica: la ricerca del vero, non la disputa sul verosimile. Col Romanticismo, gli artisti stessi rifiutarono le teorie normative che intendevano organizzare, e quindi in certo modo limitare, la creazione individuale. Non pi strumento di educazione allespressione, la retorica si ridusse a materia scolastica: un altro nome dello studio dei classici.

La lezione di Aristotele, a lungo dimenticata, tornata attuale nella seconda met del Novecento in due modi. Da un lato, nella loroTeoria dellargomentazione, Perelman e Olbrechts-Tyteca (Perelman e Olbrechts-Tyteca, 1966) hanno recuperato dallaRetoricaaristotelica il progetto di una teoria del discorso persuasivo applicata non solo alla letteratura, ma anche alla sfera sociale: di qui si fa iniziare la corrente di studi definita "neoretorica". Dallaltro lato, in una serie di studi raccolti in tre volumi dal titoloFigure, Grard Genette ha rielaborato le categorie introdotte da Aristotele nellaPoetica, delineando una "macroretorica" del discorso letterario e riformulando in maniera originale problemi narratologici tradizionali come la questione del punto di vista, il rapporto fra autore e personaggio, quello fra tempo e narrazione ecc.

3 La partizione del discorso

Il capitolo illustra le cinque fasi della composizione di un discorso secondo la retorica classica.

3.1-Pronuntiatioeactio3.2-Inventio3.3-Dispositio3.4Elocutio

3.1 PronuntiatioeactioGli antichi trattati di retorica distinguevano cinque fasi nella composizione di un discorso:inventio,dispositio,elocutio,memoriae pronuntiatiooactio. Ovvero: la ricerca degli argomenti, la loro armonica disposizione, lo stile con cui vengono presentati, il chiaro ricordo dei concetti che si vogliono esporre, la declamazione.

Le prime tre fasi sono comuni tanto al discorso scritto quanto a quello orale; le ultime due sono proprie soltanto di questultimo, e confermano il saldo legame esistente, nel mondo classico, tra retorica e oratoria. La Retorica ad Herenniumdistingue tra una memoria naturale e una memoria artificiale; se la prima innata, la seconda pu invece essere potenziata con lo studio, e dai retori greci in poi, sino allet barocca, i retori cercarono appunto di sviluppare una "arte della memoria", o "mnemotecnica", che permettesse di impadronirsi di questa facolt attraverso una serie di semplici regole. Il procedimento consisteva di solito nellassociare determinati suoni, parole e concetti, a determinati oggetti ("immagini") collocati allinterno di luoghi immaginari (una stanza, un teatro, e simili): il ricordo dellimmagine, facilitato dalla memoria visiva, faceva emergere il ricordo della parola o del concetto.

Lapronuntiatio, piuttosto che la pronuncia, la recitazione del discorso; e lactio, come osservava Cicerone, "una sorta di eloquenza del corpo". I precetti retorici non si limitano, cos, alla forma del discorso ma si estendono anche ai modi in cui esso devessere declamato. La voce devessere chiara, sicura, senza impedimenti. Le fonti antiche tramandano, a proposito del retore Demostene (384-322), un aneddoto significativo: per eliminare i suoi difetti di pronuncia (la voce fioca, la balbuzie) egli era solito esercitarsi a parlare con dei sassolini in bocca, declamando in riva al mare. Quanto allactio, Quintiliano dedica ad essa un intero libro della sua Institutio: la tecnica retorica si accosta a quella teatrale, e ogni gesto studiato per suscitare lintera gamma delle passioni: commozione, ira, dubbio, angoscia. La valorizzazione dellactiosi spiega in un contesto come quello romano, nel quale aveva grande importanza loratoria forense. Con la decadenza di questultima, i princpi dellactio continuarono a ispirare coloro che dovevano parlare in pubblico: e una vera e propria "teoria del gesto" viene formandosi, nel Medioevo, non pi a beneficio degli avvocati ma dei mimi, dei giullari e dei predicatori.

3.2 InventioLinventio la prima fase dellelaborazione del discorso: la ricerca degli argomenti adatti alla materia che si sta trattando. Le risorse alle quali pu attingere loratore sono di due tipi: esistono"topoi(loci, luoghi) comuni", fondati cio sullesperienza di ognuno e validi in assoluto e "topoipropri", caratteristici cio di ogni disciplina particolare. Gli uni e gli altri entrano in gioco a seconda delle esigenze dellargomentazione, ma i primi vengono adoperati solitamente in quelle che il retore Ermagora (secolo II a.C.) aveva definito "tesi" o "questioni infinite" (discorsi relativi a princpi generali: se, per esempio, sia giusto uccidere un omicida), i secondi nelle "ipotesi" o "questioni finite" (discorsi relativi a casi particolari: se sia giusto uccidere "questo" omicida in questa particolare circostanza).

La teoria retorica sinteressa soprattutto deitopoicomuni, e distingue, in prima approssimazione, sette quesiti fondamentali, sintetizzati nellesametro

"quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando?"

Il che significa che loratore potr anzitutto ricorrere a queste domande per orientarsi nella discussione della causa: chi, cosa, dove, con quali aiuti, perch, come, quando? (analoga , oggi, la regola base dellinventiogiornalistica: rispondere sempre alle "cinque W":who,what, where,when,why- chi, cosa, dove, quando, perch).

Linventionon libera ma ricalca alcune partizioni fisse del discorso. Vale a dire che la materia - nelle orazioni cos come nelle epistole, e persino, talvolta, nei testi letterari - deve distribuirsi secondo un ordine prefissato. Nell"esordio", loratore introduce largomento cercando di accattivarsi la simpatia del pubblico (captatio benevolentiae): per fare ci, si dichiara inadeguato alla difficolt del compito, loda la competenza degli uditori, oppure tradisce le loro attese con una frase ad effetto; analogamente, i poeti classici e i loro imitatori aprono le loro opere con un "prologo" o una "protasi" che definisce in breve il tema o chiede la protezione degli dei o delle Muse. Dopo lesordio, la "narrazione" svolge compiutamente il tema: i trattati si limitano a consigliare, per questa parte, brevit, chiarezza e verosimiglianza. Presentata la tesi che si intende sostenere, si tratta di rafforzarla con argomenti, indebolendo frattanto quella degli avversari: il compito, rispettivamente, della confirmatio("conferma" attraverso prove tratte dallesperienza o dai libri:exempla, citazioni da fonti autorevoli, ecc.) e dellaconfutatio. L"epilogo" il luogo della perorazione: loratore tira le somme del discorso ricapitolando gli argomenti e tenta unultima volta, stavolta attraverso il coinvolgimento emotivo di guadagnarsi il favore del pubblico.

3.3 DispositioIn ogni testo composto secondo le leggi della retorica vi sono parti "fisse" e parti "libere". Nei documenti medievali, per esempio, il "protocollo" e l"escatocollo" (linizio e la fine del testo) ripetevano formule codificate, mentre la parte centrale mutava a seconda dellargomento e dei propositi dello scrivente. Ladispositio precisamente quella fase della composizione del discorso nella quale viene deciso quale ordine dare agli argomenti.

Ladispositio importante perch la forza degli argomenti varia a seconda di come e soprattutto di dove, allinterno del discorso, essi vengono presentati. I retori distinguono tra un ordine "naturale", che riproduce il concatenarsi degli eventi secondo logica o cronologia, e un ordine "artificiale" ricreato "ai fini dellefficacia argomentativa o artistica". Lordine artificiale si apre a sua volta a tre possibilit. Il retore potr cominciare con gli argomenti pi deboli, lasciando i pi forti per il finale (ordine crescente); o potr fare il contrario (ordine decrescente); oppure potr disporre allinizio e alla fine gli argomenti pi forti lasciando i pi deboli in mezzo.

norma che loratore anticipi, in un prologo, ladispositioadottata, cio il lordine degli argomenti che andr a trattare. Ci accade anche nei moderni saggi scientifici (dove il prologo spesso sostituito da un abstract), nonch, talvolta, nella poesia medievale. Si considerino per esempio questi versi della pi famosa canzone di Cavalcanti:

... non ho talento di voler provare

l dove [Amore] posa, e chi lo fa creare,

e qual sia sua vertute e sua potenza,

lessenza poi e ciascun suo movimento,

e l piacimento che l fa dire amare,

e somo per veder lo p mostrare.

(G. Cavalcanti,Donna me prega, in Rime, vv. 9-14)

("non intendo dimostrare agli incolti dove ha sede lAmore, chi lo genera, quali siano la sua virt e il suo potere, la sua essenza e il suo effetto, il piacere che fa s che venga definito "amore" e se lo si pu rappresentare visibilmente")

Qui, nella prima stanza diDonna me prega(versi 9-14), Cavalcanti anticipa la disposizione dei temi: dir dunque, nellordine, dove risiede Amore, chi lo genera, quale virt e quale potenza possegga, quale sia la sua essenza e da dove proceda, a quale particolare piacere si colleghi, se sia possibile vederlo.

3.4 ElocutioNellet moderna, la retorica si messa per lo pi al servizio della letteratura, non delloratoria. Ci ha fatto s che, tra le varie fasi della preparazione del discorso (o del testo), lattenzione dei trattatisti si sia concentrata sul momento dellelocutio, cio sullo stile, e che sempre pi si sia inteso, per "retorica", non la ricca e complessa disciplina codificata dagli autori classici ma la semplice dottrina delle figure retoriche.

I requisiti fondamentali per lorazione sono la "purezza" linguistica (cio la conformit alle norme della lingua: il che vorr dire, nellItalia del Cinquecento, la rinuncia alle forme dialettali a vantaggio delluso toscano), la "chiarezza" (ovvero il rifiuto delloscurit), e l"ornato" (gli abbellimenti non strettamente funzionali allespressione del pensiero). Lornato, in nome della dottrina deldecorum (conveniente), dovr variare in conformit con il livello dellargomento e dello stile prescelti (data sempre la tripartizione in umile, medio e sublime).

Ma poich la retorica legifera anche sulla letteratura, le norme dellelocutioinfluenzano anche la prosa dinvenzione e la poesia. Ora, nellantichit e nel Medioevo questi due "generi del discorso" non vengono distinti in maniera troppo netta. Scrive Cicerone nelDe oratore(I xvi 70): "il poeta parente stretto delloratore: un po pi condizionato dal metro, ma pi libero e ardito nella scelta lessicale, gli compagno e quasi parente per ricchezza di ornamenti".

E analogo sar, pi di un millennio dopo, il giudizio di Brunetto Latini nel Tresor: "La grande ripartizione di tutti i parlari in due maniere: una in prosa e una in rima. Ma gli insegnamenti della retorica sono comuni a entrambe, salvo il fatto che la via della prosa pi larga [...], il sentiero della rima pi stretto e arduo" ("I generi del discorso si distinguono in due gruppi: testi in prosa e testi in verso. Ma gli uni e gli altri condividono le stesse norme retoriche, salvo il fatto che la prosa ha pi libert, la poesia ne ha meno". B. Latini,Li livres dou Trsor: III 10).

Secondo questa concezione non c, tra prosa e poesia, alcuna differenza sostanziale a parte luso o il non uso del metro. La vera differenza riguarda non la "qualit" ma la "quantit" degli ornamenti, perch il poeta ha, rispetto al prosatore, una maggiore licenza, cio il diritto di intervenire con pi libert sulla lingua della comunicazione quotidiana. Infatti, ribadisce Cicerone nellOrator(LX 202): "Prosa e poesia non sono troppo diverse, ed hanno dei punti in comune [...]. Ma i poeti usano pi spesso le metafore e con pi audacia, e si servono pi volentieri degli arcaismi e pi liberamente dei neologismi."

Le risorse dellelocutio(cio lo stile) sono comuni agli oratori, ai narratori in prosa e ai poeti: ma sono i poeti - Omero e Virgilio, poi Dante e Petrarca - le vere autorit in questo ambito della retorica.

4 I tropi

Il capitolo descrive, con lausilio di esempi, la prima delle tre classi di figure che presiedono allornatus: i tropi.

4.1- Una definizione dei tropi

4.2- Metafora

4.3- Metonimia e sineddoche

4.4- Figure di amplificazione: iperbole, enfasi

4.5- Perifrasi, litote, antonomasia

4.1 Una definizione dei tropi

Lornatus, cio labbellimento dello stile, si realizza attraverso le figure retoriche. Nei trattati, queste ultime vengono suddivise in varie famiglie, a seconda delle componenti del discorso sulle quali agiscono: i suoni delle parole, il loro significato, il loro ordine nella frase ecc. Qui adotteremo la tripartizione pi consueta in "tropi", "figure di parola" e "figure di pensiero".

Si ha un tropo quando ad un singolo termine o una singola espressione usati in senso proprio si sostituiscono un singolo termine o una singola espressione usati in senso figurato. Si tratta di un procedimento frequentissimo, e per lo pi spontaneo, anche nel linguaggio quotidiano (quando il negoziante dice che la sua merce "regalata", al posto di "molto conveniente", si sta appunto servendo di un tropo, per la precisione di una "iperbole"); ma nel discorso formalizzato e nei testi letterari, in prosa o in verso, che la gamma dei tropi raggiunge la massima estensione e la massima variet. Le opere di grandi autori come Dante sono, sotto questo profilo, esemplari; ma lo stesso si pu dire di determinate epoche: loscurit di molta lirica barocca o simbolista infatti dovuta precisamente al larghissimo uso di tropi cui i poeti del Seicento e del tardo Ottocento ricorrono.

4.2 Metafora

La "metafora", vera regina dei tropi, consiste nella sostituzione del termine proprio con un termine il cui significato in relazione con il significato del termine sostituito. Quando, per esempio, si osserva che un dato luogo " un paradiso" o che la data persona " una volpe", sintende dire, rispettivamente, che si tratta di un luogo molto bello e di una persona molto astuta. La metafora si basa dunque su una "selezione" dei possibili significati del termine usato in luogo del termine proprio. Nel primo dei casi citati, non conta che il paradiso sia anche un luogo in cui si pu giungere solo dopo morti, o che sia anche un luogo la cui esistenza non sicura: conta la qualit "bellezza" che tradizionalmente gli si attribuisce. Nel secondo caso, non conta che la volpe sia "anche" un predatore: conta la qualit "astuzia" che tradizionalmente le si attribuisce.

Non sempre la metafora nasce da un preciso intento stilistico. Sono molte, per esempio, le metafore "assopite", che cio a causa delluso quotidiano non percepiamo pi come tali. Quando diciamo "le gambe del tavolo", "i denti della sega", "il collo della bottiglia", riferiamo a degli oggetti termini che, in senso proprio, definiscono parti del corpo umano. Ma il traslato qui necessario perch non esiste un termine proprio per definire quella parte del tavolo, della sega, della bottiglia. In questo caso la metafora prende il nome di "catacresi".

Mentre nella metafora il rapporto tra il termine proprio e il termine sostituito di somiglianza e condivisione (sia luomo di cui si tratta sia la volpe sono astuti), nel tropo della "ironia", il rapporto tra i due termini di opposizione: si dice una cosa ma sintende la cosa contraria, e si rende manifesta questa intenzione attraverso una particolare intonazione. Cos, per esempio, la frase "Ma che bel libro!" potr, a seconda del modo in cui pronunciata, essere intesa alla lettera (il libro effettivamente bello), o ironicamente (il libro brutto).

Esempi:

a) Metafore duso > catacresi o metafore di denominazione:Il dente/il dorso/il fianco/la cresta della montagna

Il collo della bottiglia

Locchio del ciclone

La testa di ponte

Il letto del fiume

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi [A. Manzoni, I Promessi Sposi, 1840, cap. 1)

b) Metafore di invenzione > possono essere nominali e verbali:

Quel ragazzo un leone/un orso/una volpe ( forte come un leone; )

Dal Ministro solo briciole: le Regioni restano in trincea (titolo tratto da La Repubblica, 7 novembre 2003)

Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora n dopo: la notte li inghiott, puramente e semplicemente. [P. Levi, Se questo un uomo, Einaudi, 1958, p. 20]

La portiera fu aperta con fragore, il buio echeggi di ordini stranieri, e di quei barbarici latrati dei tedeschi quando comandano. [ibid.]

Ripenso il tuo sorriso, ed per me unacqua limpida / scorta per avventura tra le petraie dun greto [E. Montale, Ripenso il tuo sorriso , in: Lopera in versi, Einaudi, 1980, vv. 1-2]

4.3 Metonimia e sineddoche

"Metonimia" e "sineddoche" sono figure affini: entrambe consistono nella sostituzione del termine proprio con un altro che sia in relazione di contiguit con questultimo. Ma la contiguit pu darsi entro i confini del contenuto concettuale del termine, e in tal caso vi , tra luna e laltra parola, un rapporto di quantit o grandezza (sineddoche); o al di fuori di esso, e in tal caso vi , tra luna e laltra parola, un rapporto qualitativo (metonimia).

Sineddoche

Chiariamo meglio. Quando leggiamo, in Dante: "[I marinai] sargomentin di campar lor legno" (Dante,Inferno, XXII, v. 21) oppure, in Manzoni, "sollevi il povero/al ciel, ch suo, le ciglia" (Manzoni, La pentecoste, versi 121-122), quelle che abbiamo di fronte sono delle sineddochi, perch il legno e le ciglia sono in relazione di dipendenza concettuale con, rispettivamente, la barca (di cui il legno il materiale) e gli occhi (di cui le ciglia sono una parte). Al di l degli esempi poetici, la figura di largo uso nel linguaggio quotidiano. Nei versi citati, la sineddoche consisteva nel sostituire la materia delloggetto alloggetto stesso e una parte delloggetto allintero. Ma sono sineddochi anche quelle in cui si usa:

- il tutto al posto della parte: es. stata una annata fredda (bench freddo sia stato solo linverno); America per Stati Uniti; Ieri mio figlio ha voluto che gli leggessi Pinocchio (al posto di qualche pagina di )

- la parte per il tutto: es. nel suo povero tetto educ un lauro (U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1807, v. 55); Cos cominci anche il mio silenzio. Con quelle orribili facce io non scambiavo parola mai; e non avevo bisogno di nulla, A Merini, Laltra verit. Diario di una diversa, Scheiwiller, Milano, 1986, p. 17)

- il plurale al posto del singolare: es. "la pittura italiana ha dato i Michelangelo, i Raffaello, i Caravaggio...";

- il singolare al posto del plurale: es. nella pubblicit di un famoso deodorante si diceva che il prodotto era per luomo che non deve chiedere mai (quindi: gli uomini che sono sicuri del proprio fascino, reso infallibile dalla suddetta lozione); e ancora Seguendo la moda la donna e anche luomo si mettono nella condizione dei fachiri, cio respingono il dolore (E. Flaiano, Diario degli errori, Bompiani, Milano, 1988). Ma anche frasi come: "il tedesco autoritario", litaliano non beve caff, "non passa lo straniero" ecc.;

- il genere al posto della specie: es. "i mortali" al posto di "gli uomini" (bench non solo gli uomini siano mortali);

- la specie per il genere: pane per cibo, es. Il morbo infuria, / il pan ci manca (A. Fusinato, A Venezia, 1849, vv. 21-22); come pure nel Padre Nostro Dacci oggi il nostro pane quotidiano;

- la materia per il prodotto: Quando Giason dal Pelio / spinse nel mar gli abeti (V. Monti, Al signor di Montgolfier, 1784, vv. 1-2; la nave fatta di legno dabete); ma anche il ferro per la spada.

Metonimia

Se i due termini coinvolti nella figura non hanno tra loro una relazione di quantit, ma piuttosto di causalit o di prossimit nello spazio, quella che si determina unametonimia. Si designer allora, per esempio:

- lautore al posto dellopera: es. "comprare un Guttuso" (al posto di "unopera del pittore Guttuso"); leggere Pascoli (ovvero: le poesie di Pascoli); ascoltare Mozart;

- il produttore per il prodotto: es. un Armani (un vestito creato dallomonimo stilista);

- il santo per la chiesa che gli dedicata: es. San Pietro a Roma; San Marco a Venezia;

- la divinit mitologica per il suo ambito: es. Venere per amore; Marte per guerra;

- il contenente per il contenuto: es. bere un bicchiere;

- lo strumento al posto della persona che lo adopera: es. "una buona forchetta", "una penna velenosa", un buon pennello, il primo violino;

- una parte del corpo per lelemento morale di cui simbolo: es. cuore per sentimento, cervello per intelligenza, fegato per coraggio;

- lastratto per il concreto: es. vecchiaia per i vecchi; amicizie per gli amici;

- il luogo per gli abitanti: es. Bologna per i bolognesi; lItalia per gli italiani;

- la marca per il prodotto: es. comprare una Fiat (al posto di unauto Fiat)

- il simbolo per il fenomeno simboleggiato: es. "addio alle armi" (dove le armi simboleggiano la guerra); alloro sta per gloria; le camicie rosse (i garibaldini); le camicie nere (i fascisti); i bianconeri (i giocatori della Juventus); anche i partiti sono spesso indicati con il loro simbolo: falce e martello per il PCI; come pure lUlivo, la Quercia, la Margherita; le istituzioni con le loro sedi: Montecitorio sta per Camera dei Deputati; Palazzo Madama per Camera dei Senatori; Quirinale per Presidenza della Repubblica;

I procedimenti metonimici sono largamente presenti in enunciati metaforici. Ad es. nel seguente titolo tratto dal LEspresso (16 luglio 2009, p. 78): Valzer delle poltrone a Strasburgo (sottotitolo: Le grandi manovre fra i gruppi politici per occupare i posti chiave nel Parlamento.

4.4 Figure di amplificazioneSpesso i tropi vengono usati al posto del termine proprio per amplificare e potenziare il significato dellespressione.

L"iperbole" appunto unesagerazione, per eccesso o per difetto, che rende pi drammatica e icastica (cio efficace) la formulazione del pensiero. La si impiega spesso nel linguaggio quotidiano, in genere in relazione a misure di tempo o di spazio: "aspettare per secoli il proprio turno" (cio molto a lungo), "urla che arrivavano fino alle stelle" (cio urla potenti, udibili a grande distanza), scrivere due righe/due parole di risposta. E altrettanto spesso la si trova congiunta ad altre figure retoriche: "avere il cuore dacciaio" (cio essere cattivo) insieme una metafora e uniperbole, e cos pure "non avere un briciolo di testa" (cio essere sventato), toccare il cielo con un dito, annegare in un bicchier dacqua. Interessanti sono gli esempi dalla letteratura:

O frati, dissi, che per cento milia / perigli siete giunti a loccidente (Dante, Inferno, XXVI, vv. 112-113)

Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sullanimo del poveretto, quello che s raccontato (A. Manzoni, I Promessi Sposi, 1840, cap. I)

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale []. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio [] (E. Montale, Ho sceso dandoti il braccio , in: Satura, 1971, vv. 1 e 8)

Sta ssopra un canap, povera vecchia / Impresciuttita l, peggio dun osso; /E ha pi carne sto gatto in dunorecchia / Che tutta quella che lei porta addosso. (G. G. Belli, Madama Letizzia, in Sonetti, Mondadori, Milano, 1978)

Le canzoni di musica leggera sono ricchissime di esempi di iperbole

Unanaloga funzione di sottolineatura tonale ha la "enfasi", ma i mezzi stilistici impiegati sono di segno opposto. Se nelliperbole il termine proprio sostituito da un altro che esprime lo stesso concetto, ma esagerandolo, lenfasi consiste nel servirsi di un termine o di unespressione neutra, o addirittura banale, ma alla quale chi parla o chi scrive attribuisce un significato pi ampio di quello manifesto. La messa in rilievo di una parola o di una parte dellenunciato pu essere effettuata nelloralit con il gesto e lintonazione della voce, nella scrittura anche con mezzi di interpunzione e grafici: punti esclamativi, sottolineature, diversi corpi tipografici. Se per esempio leggiamo: "quello era un uomo", la tautologia (cio ripetizione) ci fa comprendere che luomo di cui si parla possedeva, al massimo grado, le virt che definiscono luomo; al contrario (ma sempre di enfasi si tratta), se leggiamo, "anche lui un uomo", comprendiamo che luomo di cui si parla ha i difetti e le debolezze che contraddistinguono ogni essere umano. O, ancora, stata una BELLISSIMA giornata. Ho fatto una gita (a Venezia!) con Paolo e Marco. Vediamo alcuni esempi tratti dalla letteratura:

Il sangue non acqua infine! Non possiamo lasciare quel povero vecchio solo in mezzo al colra (G. Verga, Mastro don Gesualdo, 1889, parte III, cap. I); il proverbio qui ricordato d rilievo a un aspetto particolare di un enunciato di per s ovvio e banale, sottolineando la forza e il valore dei legami di consanguineit.

Un giorno trovai nella mia saccoccia una cartolina, su cui ne era scritta una lunga fila in questo modo infernale, cos: UUUUUUUU Divenni furente! La vista di tutti quegli U disposti in questa guisa, collocati con questa gradazione tremenda, mi trasse di senno. (I. U. Tarchetti, La lettera, da Racconti fantastici, 1869); nel racconto il protagonista ossessionato da questa lettera.

4.5 Perifrasi, litote, antonomasia

Non sempre, nei tropi, il termine proprio viene sostituito con un unico altro termine. La "perifrasi" consiste precisamente nelluso di una sequenza di parole al posto di un unico termine. Essa pu essere adoperata al solo scopo di evitare una ripetizione (ed luso prevalente nel linguaggio burocratico o in "generi" con pretese di eleganza come la cronaca sportiva: "la compagine bergamasca", al posto de "lAtalanta", se questultimo termine stato gi usato pi volte nel discorso). Ma in genere ha un preciso effetto stilistico, o meglio una pluralit di effetti: solennit (il dantesco "Colui che tutto move", cio Dio), lenizione ("mancare allaffetto dei propri cari" o passare a miglior vita, cio morire; dissesto finanziario per bancarotta). Ci sono diversi esempi tratti dalla letteratura:

Linclito verso di colui che lacque / cant fatali, ed il diverso esiglio (U. Foscolo, A Zacinto, vv. 8-9) in cui lautore si riferisce a Omero

vuolsi cos col dove si puote / ci che si vuole [] (Dante, Inferno, III, v. 95) ovvero il cielo

La gloria di colui che tutto move (Dante, Paradiso, I, v. 1) ovvero Dio

lamor che move il sole e laltre stelle. (Dante, Paradiso, XXXIII, v. 145) ovvero Dio.

Molto ricco di perifrasi il linguaggio burocratico, di cui offre un esilarante esempio Italo Calvino in un articolo apparso sul Giorno del 3 febbraio 1965, intitolato Lantilingua e scritto nellambito di un dibattito sulla nuova lingua italiana aperto da P.P Pasolini:

Il brigadiere davanti alla macchina da scrivere. L'interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po' balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo pi preciso e senza una parola di troppo: Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata. Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l'avviamento dell'impianto termico, dichiara d'essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l'asportazione di uno dei detti articoli nell'intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell'avvenuta effrazione dell'esercizio soprastante. [] Ogni giorno, soprattutto da cent'anni a questa parte, per un processo ormai automatico, centinaia di migliaia di nostri concittadini traducono mentalmente con la velocit di macchine elettroniche la lingua italiana in un'antilingua inesistente. Avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d'amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono parlano pensano nell'antilingua. Caratteristica principale dell'antilingua quello che definirei il "terrore semantico", cio la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato []. Nell'antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente [] Chi parla l'antilingua ha sempre paura di mostrare familiarit e interesse per le cose di cui parla, crede di dover sottintendere: "io parlo di queste cose per caso, ma la mia funzione ben pi in alto delle cose che dico e che faccio, la mia funzione pi in alto di tutto, anche di me stesso". La motivazione psicologica dell'antilingua la mancanza d'un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l'odio per se stessi. La lingua invece vive solo d'un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d'una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perci dove trionfa l'antilingua - l'italiano di chi non sa dire "ho fatto" ma deve dire "ho effettuato" - la lingua viene uccisa. (I. Calvino, Lantilingua, in: Il Giorno, 3 febbraio 1965)E vediamo come Gadda parla di perifrasi in un suo divertente racconto San Giorgio in casa Brocchi (tratto da I racconti, Garzanti, Milano, 1963):

Alla contessa la cosa fu raccontata con infiniti riguardi [], e a quelle doloranti circonlocuzioni la contessa interrompeva il ricamo di una meravigliosa tovaglia daltare: e guardava con disdegno muto la bocca dellinformatrice, tutta rugiadosa dallo sciroppo delle perifrasi. Nella penombra della gran sala, il racconto pareva un cavallo in un pantano. E le dabben perifrasi, come sospirose comari, si presentavano compunte agli orecchi della contessa, chiedendo perdono anticipato per le cattive notizie che contro lor volont si vedevano costrette a recarle, e solo a fin di bene: perch sapesse, perch fosse informata.

Si consideri invece la frase "non essere uno stinco di santo". In questo caso vi s una perifrasi (il termine proprio sarebbe "essere un cattivo soggetto"), ma essa realizzata in maniera particolare, cio attraverso la negazione del contrario del concetto che si vuole esprimere: "non essere buono". Questo genere di perifrasi si definisce "litote", ed anchessa largamente impiegata nella comunicazione quotidiana (, di solito, la perifrasi della buona educazione e delleufemismo: si dice "non bello" per non dire "brutto", "non proprio simpatico" per non dire "antipatico" ecc.); leffetto stilistico che consegue nel discorso letterario spesso lironia come nel manzoniano: "Don Abbondio non era nato con un cuor di leone" (cio "era un pavido"; A. Manzoni, I Promessi Sposi, 1840, Cap. I) .

Al genere della perifrasi si collega anche l"antonomasia", ovvero luso di un nome comune o di una perifrasi al posto di un nome proprio e, viceversa, uso di un nome proprio al posto di un nome comune. Nel primo caso si pu avere, come detto, la sostituzione di un nome proprio con una formula che, per tradizione culturale o per consuetudine, lo definisce; ad es.: "Il padre degli dei e degli uomini" (cio Zeus), "il maestro di color che sanno" (cio Aristotele; Dante,Inferno, IV, vv. 65-66), come pure Disse l cantor de buccolici carmi (cio Virgilio; Dante, Purgatorio, XXII, v. 57). Esempi tratti dalla quotidianit possono essere i seguenti: lAvvocato (Gianni Agnelli), il Campionissimo (Fausto Coppi), Il Papa buono (Giovanni XXIII), the Boss (Bruce Springsteen). Talvolta il nome proprio diventa nome comune: un dongiovanni (un seduttore), un einstein (una persona geniale), un fantozzi (un uomo impacciato, vessato dalla sfortuna), un mecenate (una persona che sostiene economicamente le arti e gli artisti, da Mecenate, protettore di Virgilio, Orazio e altri poeti); un adone(un uomo molto bello), un don Abbondio (un uomo codardo), un carneade (uno sconosciuto, dal nome del filosofo greco ignoto a Don Abbondio, che si chiedeva: Carneade, chi era costui? (A. Manzoni, I Promessi Sposi, 1840, cap. VIII).5 Le figure di parola

Il capitolo descrive, con lausilio di esempi, la seconda delle tre classi di figure che presiedono allornatus: le figure di parola.

5.1- Figure di ripetizione: epanalessi, anadiplosi, climax

5.2- Figure di parallelismo: anafora, epifora, polisindeto, asindeto, epanadiplosi, chiasmo

5.3- Giochi di parole: paronomasia, malapropismo, poliptoto, figura etimologica

5.4- Figure di accumulazione: dittologia, endiadi, enumerazione

5.5- Figure per soppressione: ellissi, zeugma

5.6- Figure di permutazione e corrispondenza: anastrofe, iperbato, epifrasi, isocolo

5.1 Figure di ripetizione

Le "figure di parola" agiscono al livello della dispositio, cio della collocazione delle parole nella frase.

Le figure di parola possono realizzarsi attraverso la ripetizione, la soppressione o il mutamento dordine di un termine o gruppi di termini. La ripetizione pu avvenire "a contatto" oppure "a distanza", e mira sempre a dare risalto, a enfatizzare, anche attraverso la pronuncia, lespressione ripetuta. La norma scolastica che suggerisce di non ripetere nello spazio di uno stesso periodo la medesima parola (la norma dellavariatio) perde dunque validit quando la ripetizione sia intenzionale e quando consegua particolari effetti stilistici.

Nella sua forma pi elementare, la ripetizione si definisce epanalessi (o geminatio). una struttura diffusissima in ogni genere di discorso, sia in espressioni solenni come: In verit, in verit vi dico , sia in modi correnti quali: Attenzione, attenzione!; zitti zitti, piano piano, cammina cammina . Si ha epanalessi quando un sintagma viene ripetuto per due o pi volte in successione allinizio (1), al centro (2) o alla fine di un periodo (3):

(1) "Non son colui, non son colui che credi" (Dante, Inferno, XIX, v. 63)

Pape Satn, Pape Satn, aleppe! (Dante, Inferno, VII, v. 1)

Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. (Dante, Purgatorio, XXX, v. 73)

(2) "Quelli chusurpa in terra il luogo mio, / il luogo mio, il luogo mio che vaca" (Dante, Paradiso, XXII, vv. 22-23)

[] e vidile guardar per meraviglia / pur me, pur me, e l lume chera rotto. (Dante, Purgatorio, V, vv. 8-9)

La ratio, il logos, non hanno buona stampa, lo so, lo so, nel nostro mondo patetico, strimpellante, teatrale: e gratuitamente astratto, o distratto. (Gadda, Il tempo e le opere, Adelphi, Milano, 1982, p. 60)

Era il segnale: Renzo lo sent, fece coraggio a Lucia, con una stretta di braccio; e tutte due, in punta di piedi, vennero avanti, rasentando il muro, zitti zitti; arrivarono alluscio, lo spinsero adagino adagino; cheti e chinati, entraron nellandito, doverano i due fratelli, ad aspettarli. Renzo accost di nuovo luscio pian piano; e tutte quattro su per le scale, non facendo rumore neppur per uno. (A. Manzoni, I Promessi Sposi, 1840, cap. VIII)

(3) "[] ma la figlia / del limo lontana, / la rana, / canta nellombra pi fonda, / chi sa dove, chi sa dove! (G. DAnnunzio, La pioggia nel pineto, vv. 90-94)

Lepanalessi ammette, tra la prima occorrenza del termine e le seguenti, una pausa, purch breve, riempita con altro membro sintattico: es. "non ci vedremo pi,maipi"; "umano,troppoumano".

Il termine pu essere ripetuto in una particolare posizione sintattica: nellultima parte di una frase e allinizio della successiva, come se la parola venisse estratta da ci che gi stato detto e isolato per essere meglio spiegato. Si ha allora lanadiplosi, uno dei modi di ripetere pi frequenti nel parlare di ogni giorno e in ogni tipo di testo. Baster fare attenzione ai discorsi altrui e anche ai nostri per renderci conto della sua onnipresenza: es. hanno giocato una partita spettacolare, una partita che meritava un risultato migliore; mi sembravano proprio felici, felici come non erano mai stati. Nel parlato spontaneo le anadiplosi servono a chi ascolta per collegare pi facilmente ci che stato detto prima a ci che verr detto dopo. Si potrebbe affermare che nellanadiplosi il rema della prima frase diventa tema nella frase successiva. Ecco alcuni esempi:

"[] ma passavam laselva tuttavia, / laselva, dico, di spiriti spessi" (Dante,Inferno, IV, vv. 65-66).

Questi, e mostr col dito, Bonagiunta, / Bonagiunta da Lucca; e quella faccia (Dante, Purgatorio, XXIV, vv. 19-20)

l con Matilde. Matilde le d sui nervi. [] Vengono a cena Osvaldo e leditore Colarosa. Leditore Colarosa lha invitato Matilde (N. Ginzburg, Caro Michele, 1973, cap. 9 e cap. 24)

Ho risposto nel sonno: - il vento, / il vento che fa musiche bizzarre. (V. Sereni, Non sa pi nulla, in: Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1986)

Allora nella nostra Costituzione c un articolo ch il pi importante, il pi importante di tutta la Costituzione, il pi impegnativo, impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi, giovani, che avete lavvenire davanti a voi. (P. Calamandrei, Discorso sulla Costituzione)

Se le anadiplosi vengono disposte in sequenza si ha laclimaxo gradatio. Ciascuna frase o segmento ripete e svolge il termine con cui si chiudeva la frase o segmento precedente. Esempi:

"[] Noi siamo usciti fore / del maggior corpo al ciel ch puraluce: /luce intellettual, piena damore/amordi vero ben, pien diletizia, /letizia che trascende ogni dolzore" (siamo al cielo fatto di luce pura: luce dellintelletto colma damore, amore di bene colmo di letizia, letizia superiore a ogni dolcezza) (Dante,Paradiso, XXX, vv. 38-42).

Dubitiamo che i poeti etichettati per sublimi riescono a riuscir tali ogni volta, nellintento e nel prodotto: nel prodotto, vale a dire nel verso. Di versi ne buttan gi: buone intenzioni non gli difettano. Di buone intenzioni, dice, lastricata la via dellinferno. (C. E. Gadda, Il tempo e le opere, Adelphi, Milano, 1982, p. 64)

Se questa la climaxin senso stretto, bisogna aggiungere che il termine passato a indicare, nelluso corrente, qualsiasi sequenza di parole che abbiano significato progressivamente pi intenso (climax ascendente) o meno intenso (climax discendente oanticlimax). Per esempio, rispettivamente:

a) "Italia suta corsa da Carlo, predata da Luigi, sforzata da Fernando e vituperata da Svizzeri" (Machiavelli); ("LItalia stata vittima delle scorrerie di Carlo VIII, stata messa a sacco da Luigi XII, violentata da Ferdinando il Cattolico e offesa dagli Svizzeri". (Machiavelli, De principatibus, cap. XII);

b) "basterebbe aver coscienza: non molto, un poco, un briciolo, un niente".

Altri esempi:

Benedetto sia l giorno, e l mese, et lanno, / et la stagione, e l tempo, et lora, e l punto, / e l bel paese, e l loco ovio fui giunto / da duo begli occhi che legato mnno (F. Petrarca, Canzoniere - Rerum vulgarium fragmenta, LXI, vv. 1-4)

[] il tuono rimbomb di schianto: / rimbomb, rimbalz, rotol cupo, / e tacque, e poi rimareggi rinfranto / e poi van. (G. Pascoli, Il tuono, in Myricae, 1900, vv. 3-6)

Come questa pietra / del S. Michele / cos fredda / cos dura / cos prosciugata /cos refrattaria /cos totalmente / disanimata (G. Ungaretti, Sono una creatura, in Lallegria, 1931, vv. 1-8)

5.2 Figure di parallelismo

Per scandire il discorso con forza e per far s che le parole-chiave si imprimano nella mente di chi legge o ascolta, si adoperano con maggiore frequenza le "ripetizioni a distanza": chi parla o scrive dispone suoni, parole, formule in maniera tale da determinare effetti di "parallelismo" (cio di ritorno dellidentico o del simile) tra i membri del discorso. Anche in questo caso si distinguono alcune sottoclassi.

Nell"anafora", il medesimo termine o sintagma ripetuto allinizio di successivi gruppi di parole. un procedimento usuale nella poesia di ogni epoca allinizio di ciascun verso. Es.:

"Per me si va nella citt dolente, / per me si va nelletterno dolore, / per me si va tra la perduta gente" (Dante, Inferno, III, vv. 1-3)

Si ha anafora anche nel caso di ripetizioni allinizio di strofe. Si pensi alla formula ora conosce, che si ripete per sei volte a inizio di terzina nel Canto XX del Paradiso di Dante. Es.:

[] ora conosce il merto del suo canto, / [] ora conosce quanto caro costa / [] ora conosce che l giudicio etterno / [] ora conosce come il mal dedutto / [] ora conosce come sinnamora / [] Ora conosce assai di quel che l mondo (Dante, Paradiso, XX vv. 40-70)

[] Amor, chal cor gentil ratto sapprende, / prese costui della bella persona / che mi fu tolta; e il modo ancor moffende. / Amor, cha nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer s forte, / che, come vedi, ancor non mabbandona. / Amor condusse noi ad una morte: (Dante, Inferno, V, vv. 100-106)

"Ascolta. Piove / dalle nuvole sparse. / Piove su le tamerici / salmastre ed arse, / piove su i pini" (G. DAnnunzio, La pioggia nel pineto, vv. 8-12)

Si possono considerare come varianti dellanafora (1) l"epifora" (o epistrofe), che si ottiene ripetendo il medesimo termine o sintagma non allinizio, ma alla fine di ciascun membro sintattico (alla fine di versi o enunciati successivi). Ricorre molto spesso nelle preghiere (es. Oh Santa Vergine prega per noi; o lespressione amen che spesso ritorna alla fine di singole parti. Vediamo alcuni esempi tratti dalla letteratura. Nella poesia La mia sera di Pascoli (Canti di Castelvecchio, 1903), ogni strofa si conclude con la parola sera:

[] Che pace, la sera! / [] / nellumida sera. / [] / nellultima sera. / [] / mia limpida sera! / [] / sul far della sera.

Nellultima strofa, limperativo Dormi! ripetuto alla fine di quattro segmenti sintattici uguali e consecutivi:

Don Don E mi dicono, Dormi! / mi cantano, Dormi! sussurrano, / Dormi! bisbigliano, Dormi! / l, voci di tenebra azzurra /

- La tua perucchina, comare Coletta, / ne perde il capecchio! / - E il bel mazzolino, comare Coletta / di fiori assai freschi! / - Ancora non hanno lasciato cadere / il vivo scarlatto! / - Ricordan quei fiori, comare Coletta, / gli antichi spendori? (A. Palazzeschi Comare Coletta,, in Lanterna, 1907, vv. 15-22)

Lepifora presente anche in molte canzoni. Es.:

Io lavoro, e penso a te. / Torno a casa, e penso a te. / Le telefono, e intanto penso a te. / Come stai? E penso a te. / Dove andiamo?, e penso a te. / Le sorrido, abbasso gli occhi e penso a te. (Mogol-Battisti, E penso a te, 1972)

Unaltra variante dellanafora (2) il "polisindeto", che si ha quando a essere ripetuto non un sostantivo o un sintagma bens la congiunzione che li coordina. Es.:

"[] e pianto, ed inni, e delle Parche il canto." (Foscolo,DeiSepolcri, 1807, v. 212)

E ripens le mobili / tende, e i percossi valli, / e il lampo de manipoli, / e londa dei cavalli, / e il concitato imperio, / e il celere ubbidir. ( A. Manzoni, Il cinque maggio, 1821, vv. 79-84)

[] e mi sovvien leterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei [...] (G. Leopardi, Linfinito, in Canti, 1819, vv. 11-13)

[] le sue membra delicate / son monti e valli e selve e fiumi e fonti, (G. DAnnunzio, Loleandro, in Alcyone, 1903, vv.379-380)

Il buio [] faceva come una barriera oscura che escludeva laggi il mondo dove continuavano a vorticare geroglifici gialli e verdi e rossi e ammiccanti occhi di semafori, e il luminoso navigare dei tram vuoti, e le auto invisibili che spingono davanti a s il cono di luce dei fanali. (I. Calvino, Marcovaldo, ovvero le stagioni in citt, Einaudi, Torino, 1966, p. 95)

Il contrario del polisindeto lasindeto, cio la coordinazione senza congiunzioni. Ad es.:

Le donne, i cavalier, larme, gli amori, / le cortesie, laudaci imprese io canto. (L. Ariosto, Orlando furioso, cap. I, vv. 1-2)

[] non canto non grido / non suono pe l vasto silenzio va. (G. DAnnunzio, O falce di luna calante, vv. 7-8)

Altra variante dellanafora (3) l"epanadiplosi", che si ha quando lo stesso termine o gruppo di termini si ripete sia allinizio sia alla fine dello stesso periodo. Ad es. "luomo lupo alluomo" (Plauto, Hobbes); Nel blu dipinto di blu (D. Modugno, 1958); Y 10: piace alla gente che piace (pubblicit di una nota autovettura). Un paio di esempi dalla letteratura:

Vede perfettamente ogni salute / chi la mia donna tra le donne vede (Dante, Vita Nuova, cap. XXVI, vv. 1-2)

Allora in un tempo assai lunge / felice fui molto; non ora: / ma quanta dolcezza mi giunge / da tanta dolcezza dallora! // Quellanno! Per anni che poi / fuggirono, che fuggiranno, / non puoi, mio pensiero, non puoi, / portare con te, che quellanno! (G. Pascoli, Allora, in Myricae, vv. 1-8)

Anche parti di enunciati possono essere strutturati in questa forma; per esempio bugie su bugie. Non c accordo fra gli studiosi nello stabilire quale procedimento discorsivo si debba etichettare come epanadiplosi. Da alcuni questa denominazione viene attribuita alla figura che i pi chiamano epanalessi.

Quando, infine, termini concettualmente o sintatticamente paralleli sono disposti secondo la formula A-B-B-A, la ripetizione prende il nome di "chiasmo" (dal nome della lettera dellalfabeto greco , che si pronuncia chi e visualizza graficamente questa figura). Si tratta di una figura usata specialmente in poesia: "LItalia cercate e andrete in Italia" (Virgilio), dove "Italia" il termine A, agli estremi del segmento di discorso, e i due verbi (non identici ma aventi la stessa funzione sintattica) sono il termine B, al centro. Ma non mancano esempi nel linguaggio di ogni giorno: "chi ha pane non ha i denti e chi ha i denti non ha pane". Esempi:

Siena mi fe; disfecemi Maremma: (Dante, Purgatorio, canto V, v. 134)

Pace non trovo, et non ho da far guerra;(F. Petrarca, Canzoniere - Rerum vulgarium fragmenta), CXXXIV, v. 1)

Odi greggi belar, muggire armenti (G. Leopardi, Il passero solitario, in Canti, v. 8)

5.3 Giochi di parole

Si annoverano tra le figure di ripetizione anche quelli che comunemente definiamo come "giochi di parole".

Il gioco pu consistere nelluso, a breve distanza, di termini dal suono affine ma dal diverso significato (talvolta addirittura opposto, per conseguire un effetto di straniamento maggiore: si pensi per esempio alla formula, diffusissima nella poesia antica, "amore amaro"). La figura ottenuta la "paronomsia", uno degli espedienti espressivi pi diffusi a ogni livello della comunicazione. Molti proverbi sfruttano effetti paronomastici: "chi non risica non rosica", "chi dice donna dice danno"; "finire dalle stelle alle stalle". In genere si distingue la paronomasia apofonica da quella isofonica. La prima basata sullapofonia, cio sullalternanza vocalica nella radice delle parole (es. risica / rosica; stella /stalla). La seconda sullisofonia, cio sulluguaglianza dei suoni su cui cade laccento di parola (es. traduttore / traditore; vista /svista). Nella letteratura la paronomasia ha una ricca tradizione:

[] chi fui per ritornar pi volte vlto. (Dante, Inferno, I, v. 36)

"Laura che l verde lauro et laureo crine" (Petrarca,Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta), 246, v. 1).

[] e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; /et volo sopra l cielo, et giaccio in terra. (F. Petrarca, Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta), CXXXIV, vv. 2-3)

La luce si fa avara amara lanima. (E. Montale, I limoni, in Ossi di seppia, 1925, v. 42)

I linguisti parlano di attrazione paronimica quando si riferiscono a un fenomeno di etimologia popolare per cui si d lo stesso senso o un senso equivalente a parole che si rassomigliano solo per la forma. Spesso tali errori si stabilizzano ed entrano a far parte del lessico di una lingua. Malinconia unalterazione di melanconia, per attrazione di male, mentre melanconia la bile nera (melas nero e chol la bile, in greco). Cos lacqua di vita diventata acquavite per essere stata collegata a vite. Questa e molte altre voci di uso comune sono nate come vere e proprie malformazioni, esattamente come quel tipo di errori a cui si d il nome di malapropismi. Molte paronomasie sono frutto di invenzioni estemporanee individuali. Spesso diventano veicoli di comicit, di satira, di umorismo paradossale. Ad es.:

saluti dalle pernici del Monte Bianco; / si sono tutti alcolizzati contro di me; / le zucchine mi piacciono trafelate; / ma questo lo discuteremo in separata sedia; / ha un completo di inferiorit (E. Flaiano, Opere, Bompiani, Milano, 1990, pp. 885 sg.)

Il "poliptto" (o polittoto) un caso della paronomasia ma ha, in s, un procedimento anaforico: uno stesso termine viene ripetuto due o pi volte a breve distanza. Il suo inserimento tra i giochi di parole dovuto al fatto che il termine ha ogni volta una funzione sintattica diversa. Sono poliptoti certe frasi fatte del linguaggio quotidiano ("stare con le mani in mano", gli occhi negli occhi), certe locuzioni della liturgia ("per Cristo, in Cristo, con Cristo"); molti esempi ci provengono dalla letteratura:

Sono ambo stretti al palo stesso; e vlto / il tergo al tergo e l volto ascoso al volto. (T. Tasso, Gerusalemme liberata, II, 32, vv. 7-8)

[] ridicolo / ipotecare il tempo / e lo altrettanto / immaginare un tempo / suddiviso in pi tempi. (E. Montale, ridicolo credere, Satura II, in Lopera in versi, Einaudi, Torino, 1980, vv. 8-12)

La "figura etimologica", infine, si ottiene ripetendo a breve distanza termini che hanno la stessa radice, cio che appartengono alla stessa famiglia di parole. "Vivere" e "vita" hanno, per esempio, la stessa radice e la stessa origine: ne consegue che il sintagma "vivere una vita di stenti" realizza una figura etimologica; come pure morire di morte (naturale/violenta ecc.). Lo stesso vale per la coppia "amare - amore" nellesempio letterario che segue: "[] o sola che forse - potrei amare, amare damore?" (Gozzano,L'amica di nonna Speranza, v. 109). Altri esempi:

Amor, cha nullo amato amar perdona, [] (Dante, Inferno, canto V, v. 103; parla Francesca)

Lanimo mio, per disdegnoso gusto, / credendo col morir fuggir disdegno, / ingiusto fece me contra me giusto. (Dante, Inferno, canto XIII, vv. 70-72; parla Pier delle Vigne)

la morte / del buon selvaggio / delle opinioni / delle incerte certezze (E. Montale, Fanfara, in Satura, 1971, vv. 44-47; anche un ossimoro)

5.4 Figure di accumulazione

"Uningiustizia bella e buona". "Un delinquente fatto e finito". "Libert, eguaglianza, fraternit". Non sempre ad essere ripetuta la stessa parola: spesso si tratta invece dellaggiunta di una diversa parola che ha per la medesima funzione sintattica. Si parla allora di "figure di accumulazione".

Consideriamo la frase seguente: "gli devogratitudine e riconoscenza". I due sostantivi esprimono lidentico concetto, sicch uno dei due non sarebbe necessario. Ma nella comunicazione quotidiana e nel linguaggio burocratico ("lautoritdecreta e ordinache...") sono frequenti ripetizioni come queste, il cui valore informativo ed espressivo quasi nullo. Si tratta di "dittologie" (il cui indugio sullo stesso concetto determina - si dice - una comunicazione "ridondante").

Si ha invece una "dittologia sinonimica" quando i termini coordinati esprimono s, in sostanza, lo stesso concetto, ma con sfumature differenti, come in questo famoso passo manzoniano tratto da I Promessi Sposi: "Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire" (sinonimia qui impreziosita dal chiasmo). In genere nella dittologia sinonimica si ha una coppia di termini, uniti da una congiunzione, che hanno significato simile e sono complementari (cio i due significati sono simili, ma non identici). Ad es,:

Movesi il vecchierel canuto e bianco [] (F. Petrarca, Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta), XVI, v. 1)Solo et pensoso i pi deserti campi / vo mesurando a passi tardi e lenti [] (F. Petrarca, Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta), XXXV, v. 1-2)

[] tamerici / salmastre ed arse / piove sui pini / scagliosi ed irti [] (G. DAnnunzio, La pioggia nel pineto, in Alcyone, 1903, vv. 10-13)

Esistono molte dittologie nella lingua italiana: a immagine e somiglianza, vispo e arzillo, felice e contento. In taluni casi i due termini possono attirarsi per allitterazione o per il fatto di essere in gradazione o di essere luno variante metaforica dellaltro: il perch e il percome, grande e grosso, vivo e vegeto; come mi pare e piace.

Pi raffinato, sempre in tema di coppie aggettivali o sostantivali, il procedimento dell"endiadi", che consiste nellusare come "due espressioni coordinate (generalmente due nomi) al posto di unespressione composta da due membri di cui luno sia subordinato allaltro (aggettivo + nome, oppure nome + specificazione complementare subordinata"; ad. es. "nella polvere e nel vento" (cio "nella polvere sollevata dal vento"); nella strada e nella polvere (ovvero nella strada polverosa). Alcuni esempi tratti dalla letteratura:

O de li altri poeti onore e lume [] (Dante, Inferno, canto I, v. 82; Dante si rivolge a Virgilio, che con la sua gloria poetica onora gli altri poeti, e li illumina con la luce della sua poesia).

O eletti di Dio, li cui soffriri / e giustizia e speranza fa men duri, / drizzate noi verso li alti saliri [] (Dante, Purgatorio, canto XIX, vv. 76-78; si riferisce alla speranza di giustizia)

Dalle quali cose e da assai altre [] nacquero diverse paure e immaginazioni [] (G. Boccaccio, Decameron, Introduzione; si riferisce alle paure suggerite dallimmaginazione)

Se le parole sintatticamente equivalenti sono pi di due si hanno le comuni figure dell"enumerazione" e dell"elenco", di largo uso nella comunicazione quotidiana. Pi in generale si tratta di serie di parole o di sintagmi accostati per asindeto o per polisindeto. Es.:

Pane, amore e fantasia (film di L. Comencini, 1953)

Lingua, stile e societ (C. Segre, 1963)

Piccole teste a zampa duccello, animali con mani umane sulle terga, teste chiomate dalle quali spuntavano piedi, dragoni zebrati, quadrupedi dal collo serpentino che si allacciava in mille nodi inestricabili, scimmie dalle corna cervine, sirene a forma di volatile [] (U. Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 1980, pp. 84-85)

Se laccumulazione lega insieme termini sintatticamente equivalenti ma eterogenei quanto alla loro natura, si ha la cosiddetta "accumulazione caotica", definizione coniata da Leo Spitzer. Il legame fra i vari elementi dellenumerazione caotica non dunque contenutistico, ma di semplice associazione di idee. Ad es. la poesia Le cose che fanno la domenica di Corrado Govoni:

Lodore caldo del pane che si cuoce dentro il forno. / Il canto del gallo nel pollaio. / Il gorgheggio dei canarini alle finestre. / [] / La tovaglia nuova nella tavola. / Gli specchi nelle camere. / I fiori nei bicchieri. / Il girovago che fa piangere la sua armonica. / Il grido dello spazzacamino. / Lelemosina. / La neve. / Il canale gelato. / Il suono delle campane. / [] I mandorli fioriti nel convento. / Gli oleandri rosei nei vestiboli. / Le tendine bianche che si muovono al vento. (C. Govoni, Le cose che fanno la domenica, in Gli aborti, 1907)

Un elenco caotico di tutto ci che due anonimi personaggi vedono durante una passeggiata (insegne, cartelli, titoli di giornali, numeri civici ) costituito dai 143 versi di La passeggiata di Aldo Palazzeschi (Lincendiario, 1910), con leccezione di primi due versi (- Andiamo? / Andiamo pure.) e degli ultimi due (- Torniamo indietro? / - Torniamo pure.)

Sullenumerazione caotica sono costruite oggigiorno molte canzoni del genere rap, ma non solo.

5.5 Figure per soppressione

Laccumulazione aggiunge qualcosa (talvolta qualcosa di superfluo) al concetto espresso. Le "figure per soppressione" realizzano, al contrario, un effetto retorico omettendo un elemento dellenunciato che, in astratto, dovrebbe invece essere presente.

Alla "ellissi" si ricorre spesso anche nel linguaggio ordinario per brevit; ma una brevit che ha spesso un effetto espressivo, consapevole o no: es. "Un disastro. Un forte scoppio, poi fumo, poi nulla". La mancanza di verbi (" stato un disastro. Si sentito...") mima la rapidit e la drammaticit dellesplosione. Il procedimento ampiamente sfruttato in poesia per evocare, attraverso una sola parola, eventi o sensazioni: "Un murmure, un rombo... / son solo: []" (G. Pascoli,Il Nunzio, in Myricae,versi 1-2). Ma anche negli slogan: "Potere a chi lavora" (cio: "Date il potere..."); "A ciascuno secondo le sue necessit, da ciascuno secondo i suoi mezzi" (dove cadono sotto ellissi i verbi "dare" e "prendere"). Lellissi tipica soprattutto del cosiddetto "stile nominale", ma anche possibile che, viceversa, i verbi siano espressi e i sostantivi taciuti. La frase "finalmente ha smesso di bere" equivoca; ma, pronunciata in riferimento a un noto amante dellalcool, verr compresa senzaltro come frase ellittica: "finalmente ha smesso di bere alcoolici".

Se lellissi riguarda congiunzioni coordinanti o subordinanti si ha l"asindeto": "Venni, vidi, vinsi" (Cesare); "Ardon gli sguardi, fuma / la bocca, agita lardua / testa, vola la spuma" ("Gli sguardi ardono, la bocca del cavallo fuma, lalta testa si agita, vola la saliva". Foscolo, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, versi 49-51); "detto fatto" (invece di "detto e fatto").

I proverbi offrono molti esempi: Dopo di noi il diluvio (sottinteso verr); lontan dagli occhi, lontan dal cuore (chi lontano fisicamente lontano anche dagli affetti).

Caso particolare dellellissi lo "zeugma" (o sillepsi). Questa figura retorica indica il collegamento di un solo predicato a due o pi sintagmi che richiederebbero ciascuno un predicato diverso. Ad es.: Avevo ventanni, uno zaino e molti sogni (avere nella prima occorrenza significa avere let di, nella seconda possedere, nella terza avere interiormente). Un particolare valore espressivo si ottiene quando il verbo espresso una sola volta si accorda veramente soltanto con uno degli elementi coordinati: "parlar e lagrimar vedrai insieme" (Dante,Inferno, canto XXXIII, v. 9; dove in realt si "vede" lacrimare, si "ascolta" parlare). Nellesempio dantesco si ha unevidente incongruenza semantica. Si possono anche avere sfasature sintattiche come nella frase: Tu sarai contento e i tuoi amici soddisfatti.

5.6 Figure di permutazione e corrispondenza

Definito per convenzione un ordine "normale" o "regolare" dei membri del discorso, le "figure per permutazione" sovvertono in vario modo quellordine.

La categoria pi ampia e articolata quella dell"anastrofe" (qualsiasi inversione dellordine di due parole o sintagma). una costruzione che rivela la dipendenza da moduli latini, e infatti la troviamo in tutte le lingue neolatine. Si tratta di un procedimento diffusissimo nella lingua poetica dalle origini allOttocento, e si trova anche nella poesia del Novecento. Nella lingua italiana contemporanea troviamo inversioni stabilizzate in modi di dire fissi come strada facendo, fermo restando, a Dio piacendo .

Ben provide la Natura al nostro stato / quando de lAlpi schermo / pose fra noi e la tedesca rabbia; [] (F. Petrarca, Canzoniere, CXXVIII, vv. 33-35)

[] allor che allopre femminili intenta / sedevi [] (G. Leopardi, A Silvia, in Canti, vv. 10-11)

[] tu de linutil vita / estremo unico fior [] (G. Carducci, Pianto antico, in Rime nuove, 1887, vv. 11-12)

Bene non seppi, fuori del prodigio / che schiude la divina Indifferenza. (E. Montale, Spesso il male di vivere, in Ossi di Seppia, 1925)

Unaltra poesia ricca di anastrofi A mia moglie di Umberto Saba. Eccone alcuni versi:

Tu sei come una giovane, / una bianca pollastra. / Le si arruffano al vento / le piume, il collo china / per bere, e in terra raspa; / ma, nellandare, ha il lento tuo / passo di regina [] / Tu sei come una gravida / giovenca; [] / che, se la lisci, il collo / volge, ove tinge una rosa / tenero la sua carne. / Se lincontri e muggire / lodi, tanto quel suono / lamentoso, che lerba / strappi, per farle un dono. / cos che il mio dono / toffro quando sei triste. [] (U. Saba, A mia moglie, in Canzoniere, Einaudi, Torino, 1961, vv. 1-7; 25-26; 29-37)

L"iperbato" un caso particolare dellanastrofe, e si ottiene interponendo un membro della frase tra due termini che logicamente dovrebbero stare vicini: "Oh, belle agli occhi miei tende latine" (Tasso, invece di "Oh, belle tende latine..."). Come iperbati possono essere considerati anche alcuni di quelli che comunemente si definiscono incisi: "ledi solitolegittime obiezioni dellavvocato", "il suosi sperabreve intervento". Un esempio dalla letteratura:

lora soave che il sol morituro saluta / le torri el tempio, divo Petronio, tuo [] (G. Carducci, Nella piazza di San Petronio, in Odi barbare, 1893) vv. 3-4)

Se liperbato coinvolge un membro sintattico che viene aggiunto in coda allenunciato, esso prende il nome di "epifrasi":

"Dolce e chiara la notte,e senza vento" (G. Leopardi, La sera del d di festa, in Canti, 1820, v. 1)

Io gli studi leggiadri / talor lasciando e le sudate carte (G. Leopardi, A Silvia, in Canti, vv. 15-16)

[] questa / bella derbe famiglia e danimali. (U. Foscolo, Dei Sepolcri, 1807, vv. 4-5)

Le "figure della corrispondenza" riguardano anchesse la disposizione dei membri dellenunciato; ma in questa classe si registrano tutti quei casi in cui tale disposizione realizza un parallelismo. Questa figura detta "isocolia" (equivalenza di frasi che si corrispondono per ampiezza, struttura sintattica, ritmo) pu dare luogo aldicolon("Chi siamo, dove andiamo?"), altricolon("Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo") o ad ancora pi estese corrispondenze. Usuale nel linguaggio quotidiano, tipicissima della poesia e di quei particolari generi che spesso venivano declamati: parallelistico per esempio lo stile deiSalmio quello dellepica antica o dei canti popolari. Esempi di isocolo sono presenti nella pubblicit: Compri tre, paghi due; Pi lo mandi gi, pi ti tira su (spot di una nota marca di caff in Italia). In campo letterario si riportano a titolo di esempio i seguenti esempi tratti dalle Faville del maglio di Gabriele DAnnunzio:

Era calcina grossa, / e poi era terra cotta, / e poi pareva bronzo; e ora cos viva, / []

Non odo il tuo respiro, / non il canto del gallo, / non il nitrito del puledro, / non il fiotto del bimbo.6 Le figure di pensiero

Il capitolo descrive, con lausilio di esempi, la terza delle tre classi di figure che presiedono allornatus: le figure di pensiero.

6.1- Figure di amplificazione: commoratio, interpretatio, definizione, dubitatio, correctio, antitesi

6.2- Antitesi e similitudine: ossimoro, regressio, comparazione

6.3- Figure di soppressione: brevit, preterizione, reticenza

6.4- Figure per sostituzione: allegoria, personificazione

6.1 Figure di amplificazione

Le "figure di pensiero" riguardano non le parole, prese da sole o collocate nellenunciato, ma lorganizzazione del pensiero. Il confine tra i due ambiti , spesso, difficile da definire, e spesso quelle che incontriamo sono figure "di confine" che, attraverso la manipolazione delle parole o il loro spostamento nella frase mutano anche il senso del discorso.

Cos come vi era, tra le figure di parola, la ripetizione, allo stesso modo in questa famiglia si danno vari tipi di figure di amplificazione che specificano, precisano, ribadiscono il concetto espresso. La "commoratio", per esempio, lindugio, con lievi ritocchi, su di una stessa idea. Leffetto, come nel famoso avvio della prima catilinaria di Cicerone, pu essere minaccioso: Quosque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Quamdiu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? ("Fino a quando, Catilina, continuerai ad abusare della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora il tuo folle comportamento si far beffe di noi? Fino a che punto si scatener questa tua temerit che non conosce freno?").

Altra forma di indugio la interpretatio o parafrasi interpretativa, che consiste nellaccostare a un enunciato un altro equivalente, col risultato di chiarire e arricchire il pensiero gi espresso. Si tratta di un procedimento comunissimo, come lo luso di sinonimi: ad es.

Mi resta da chiarire la parte che in questo golfo fantastico ha limmaginario indiretto, ossia le immagini che ci vengono fornite dalla cultura, sia essa cultura di massa o altra forma di tradizione. (I. Calvino, Lezioni americane, Garzanti, Milano, 1988, p. 91)

Facciamo una parafrasi di una data espressione quando diciamo la stessa cosa con altre parole. Perci la parafrasi rientra fra i procedimenti dellamplificazione e fra le manifestazioni della sinonimia.

Il concetto pu, invece che essere ripetuto, essere spiegato. Si tratta allora, come nei lemmi del dizionario, di una "definizione": "fede sustanza di cose sperate / e argomento de le non parventi" ("La fede il principio fondamentale di quello che speriamo e prova di quanto non cade sotto i nostri sensi"; Dante,Paradiso, cap. XXIV, vv. 64-65).

Il concetto pu essere oggetto di domanda che lo scrivente pone a se stesso e/o al proprio pu