marsigli- scritti

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R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL’ISTITUTO DI BOLOGNA SCRITTI INEDITI DI LUIGI FERDINANDO MARSILI RACCOLTI E PUBBLICATI NEL II CENTENARIO DALLA MORTE A CURA DEL COMITATO MARSILIAN0 BOLOGNA NICOLA ZANICHELLI 1930 - IX

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Scritti di un famoso scienziato del XVII secolo, Marsigli

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R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE D E L L ’ISTITUTO

D I BOLOGNA

SCRITTI INEDITID I

LUIGI FERDINANDO MARSILI

RACCOLTI E PUBBLICATI NEL II CENTENARIO DALLA MORTE

A C U R A D E L COM ITATO M A R S IL IA N 0

BOLOGNA

N IC O LA Z A N IC H E L L I

1930 - IX

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R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL'ISTITUTO

DI BOLOGNA

SCRITTI INEDITID I

LUIGI FERDINANDO MARSILI

RACCOLTI E PUBBLICATI NEL II CENTENARIO DALLA MORTE

A C U R A D E L COM ITATO M A R S IL I ANO

BOLOGNA

N IC O LA Z A N IC H E L L I

1930 - IX

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Bologna - Società Tip. già Compositori - 193«-IX

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P R E F A Z I O N E

Per celebrare il secondo centenario dalla morte di Luigi Ferdinando Marsili, generale, scienziato, geo­grafo, e fondatore dell’Istituto, fu dalla R. Accademia delle scienze nominata una Commissione, che si tra­sformò poi in Comitato cittadino sotto la presidenza del Podestà di Bologna. La Commissione fu d ’avviso che il miglior modo per onorare l ’insigne Cittadino era quello di pubblicare alcuni dei numerosi e preziosi manoscritti che di lui son rimasti e di promuovere studi di persone competenti intorno alla vita e a ll’opera di tanto Uomo. E deliberò di raccogliere un volume di studi e memorie intorno al Marsili; di pubblicare integralmente la celebre Autobiografia, di cui si cono­scevano solo alcuni frammenti, pubblicazione che dai dotti era stata più volte augurata; di riprodurre, infine, scegliendo nella grande mole, alcuni dei suoi scritti più interessanti.

Il volume delle Memorie comprende scritti dei mag­giori e migliori studiosi italiani del Marsili, considerato nei suoi varii aspetti; l ’Autobiografia è stata affidata alle cure sapienti e premurose di Emilio Lovarini

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VI SCRITTI IN ED ITI DI L . F . MÀRSILI

che ha dato compimento al non facile lavoro; il vo­lume degli scritti inediti vede esso pure la luce per lo sforzo tenace di valenti studiosi.

Quest'ultimo presentava difficoltà di qualche peso, non già perchè mancasse la materia, piuttosto per la grande abbondanza di essa. È chiaro che se ci fosse stata libertà di scelta, senza limitazione alcuna, la cosa rendevasi assai più agevole, giacché di materiale importante e utile per gli studi, fra i manoscritti marsiliani, ce n ’è tanto da potere dar luogo, non a uno solo, ma a molti volumi.

La cura della scelta degli scritti da pubblicarsi fu da prima affidata al valoroso e compianto collega dottor Carlo Frati Bibliotecario dell’Universitaria, che opportunamente indicò come prima opera la Mono­grafia sul Lago di Garda, della quale egli stesso proponevasi di scrivere la introduzione: ma la mortelo colse appena iniziati gli studi.

Per la determinazione degli altri sci'itti da pubbli­carsi, fra gli inediti, si assunse la cura, in seguito, l ’avv. Paolo Silvani, delle cose bolognesi tutte cólto e amantissimo, in particolare poi di quel che si attiene all’ Università e al Morsili ; ma essendo stato chiamato ad un alto ufficio in Roma, non potè continuare l ’opera, e dovetti assumermi io il carico non lieve e certo su­periore alle forze mie di apprestare il volume. Ad assolvere il quale incarico non sarei certo riuscito senza il continuo consiglio ed aiuto del Presidente dell ’ Accademia e Vice Presidente del Comitato pro-

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PREFAZIONE vir

fessor Salvatore Pincherle, e di molti, devo dire di tutti, i componenti la Commissione esecutiva.

1 cì'iteri che ci condussero nella scelta dei lavori da pubblicarsi erano ovvii: far sì che tutti gli scritti avessero importanza e che dal loro insieme trasparisse quella versatilità di mente e di studi che del Morsili è propria. Anzitutto si pose la ricordata Monografìa sul Lago di Garda, una delle prime così compiute e così lungimiranti che intorno ad un lago fossero sino allora apparse; ed essa ha avuto la fortuna di avere per illustratori il prof. Mario Longhena, che da tanti anni dedica molta parte della sua attività scientifica al Marsili, e il prof. Achille Forti di Verona, valoroso botanico e storico della scienza, per il quale il Garda non ha segreti : essi arricchirono il testo Marsiliano di preziose note illustrative. La parte militare ha una espressione curiosa nella ristampa di una pubblica­zione rarissima e quasi introvabile contenente la Rela­zione dell’assedio di Vienna, di fonte turca, tradotta in parte e in tutto accomodata dal Marsili. Segue una Lettera-prefazione a quel Catalogo dei manoscritti di cui il Marsili auspicò invano la pubblicazione ; lettera nella quale egli narra non solo particolari della vita sua, ma ci svela il modo con quale riuscì a mettere insieme quel prezioso e portentoso materiale bibliogra­fico, sopratutto orientale, che costituisce anche ora la meraviglia dei dotti. Il lato geologico trova una degna espressione in uno scritto sopra la Storia naturale dei gessi e dei solfi delle miniere di Romagna, Uhi-

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"VII! SCRITTI INEDITI DI L . F . MARSILI

strato dalla sagace cura e dalla visione netta di un giovane quanto valente studioso, Tino Lipparini. Chiudeil volume uno dei trattati che, su discipline o storiche o artistiche o letterarie, egli compose: ho scelto il Compendio d ’una storia della tipografìa, perchè non solo si presenta con un aspetto garbato di compiutezza, ma perchè 'anche su questo campo, che sembrerebbe lon­tano dai suoi studi, egli potè recare nuove vedute e far giusti rilievi, a cominciare da quello di avere notato la importanza e i progressi che aveva raggiunta allora e avrebbe raggiunta in sèguito, quella divina fra le arti che è la stampa.

Giunti alla fine del volume, lo so, si sente vivo un rammarico : che troppo poche cose si siano potute dare del Grande. Ma poi mi consolo pensando che dal poco nasce il molto, e che dal vivo desiderio di conoscere più intimamente questo uomo enciclopedico e preveggente, può maturarsi in altri il proposito di ripigliare V argomento e condurlo a quella maggiore estensione e compiutezza che da noi e da tutti è desiderata.

E confido in quest'augurio.

A l b a n o S o r b e l l i

Segretario del Comitato Marsiliano.

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Carta del Lago di Garda

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OSSERVAZIONI FISICHE

INTORNO AL LAGO DI GARDA

DETTO ANTICAMENTE BENACO

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I N T R O D U Z I O N E

Non farò la storia della graduale conoscenza di questo lago, nè passerò in rassegna le numerose rappresentazioni di esso: mi parrebbero entrambe le cose quasi sproporzionate al lavoro inedito che qui si pubblica. È vero che questo è il primo sguardo, lungo e intero, rivolto al Benaco e che prima di esso, anche se gli uomini di studio lo hanno fatto oggetto della loro atten­zione, nessuno trattò 1’ argomento con la compostezza, con 1’ ar­monia, col sapiente ordine del M arsili; ma un lungo pream­bolo sarebbe evidentemente fuor d i luogo in un volume come questo. Onde m’ accontenterò di una breve introduzione, in cui quasi esclusivam ente si parlerà del metodo che il M. ha seguito in questa sua operetta, nata quando già la vecchiaia aveva co­m inciato a togliergli un po’ di forze, s ì che, dopo averla prepa­rata per le stampe, non ebbe nè la forza nè la voglia di licen­ziarla e di mandarla attorno fra la gente di studio.

Sarebbe assai seducente una trattazione che seguisse passo passo la sempre crescente conoscenza di questo lago, sul quale esiste una letteratura vastissim a, quale nessun lago italiano possiede; vedere via via le aggiunte, le correzioni nella rappre­sentazione, nelle cifre, nei dati; stabilire i progressi più rapidi e le soste più lunghe, grazie a lle quali le conquiste sono diven­tate pieno possesso.

Certo nessun lago italiano à avuto tanta folla di descrittori come il Garda, nè si possono contare i poeti che da Catullo e da V irgilio a D ante e da questo al Carducci lan n o cantato; e non solo i m aggiori, ma anche i minori, forse rapiti d a ll’incanto delle sue bellezze, o forse soltanto sedotti dall’esempio dei più grandi: Giorgio Jodoco Bergano à un poemetto in esametri la ­

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tin i che porta per titolo « Benacus », O sa re B etteioni à cantato pure il bel lago in versi e Cesare A rici à dei m elanconici versi scio lti su Sirmione. Ed anche in prosa il Garda à avuto dei bei descrittori, quali Jacopo Bonfadio, nel secolo XVI, e nell’otto­cento Serafino Volta, Ciro Pollini, Enrico Bignam i ecc. E che dire degli scienziati che hanno visto nel Garda un soggetto così interessante, pieno di problemi ¡ter l’origine e per le vicende, e degli storici che nelle terre intorno al lago hanno narrato due civiltà cercanti di superarsi a vicenda?

T utti i tra tta tisti di geografia — i m aggiori — ne parlano, tu tti i più fam osi viaggiatori si fermano davanti al nappo sme­raldino e sciolgono inni di lode ad esso; Leandro Alberti nella sua D escrittione dell’Ita lia è il più generoso di spazio dato al Garda, ma F lavio Biondo non lo scorda, nè il Cluverio, nè l'Or- telio lo scordano ed Andrea Scoto nel suo Itinerario più volte accenna ad esso.

Le raffigurazioni del pari sono m oltissim e ed alcune di esse assai interessanti e per i dati che ne ricaviamo e per la tecnica cartografica : da quella pubblicata da V. F ainelli e che è del ’300, attraverso alla carta del 1440 illustrata dall’Almagià, alle carte m arsiliane ricostrutte su dati del nostro, su misurazioni fatte da lui, quanta ricchezza e quanta materia di osservazioni, d’in­dole generale e particolare, sul territorio rappresentato e sul modo d i rappresentazione!

Ma ciò che ha fatto il M arsili s i scosta del tu tto da ogni pre­cedente : è l ’inizio di una nuova era per la letteratura del Garda. Non è più il bel « nappo » smeraldino che s i descrive, non sono più i ricordi classici che s i ripetono: il passato è scordato del tu tto e solo rimane dinanzi il fatto reale, l ’entità geografica nella sua grandiosità.

Il M arsili, che aveva visto tanta parte d’Europa, e non era nuovo alla trattazione di individui geografici notevoli, soggior­nando per qualche tempo sulle rive del Garda, si sente trasci­nato a descrivere questo superbo rappresentante della limnologia italica, e, presa la decisione di farlo oggetto del suo studio, non va a compulsare vecchie carte e libri antichi. Se cita Strabone e l’ itinerario di Girolamo da Capugnano e lo Schott, è solo

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perchè questi autori danno cifre sulle dimensioni del lago, ed egli vuole confrontarle con quelle che ricava dalle m isurazioni proprie.

D alla leggiadra riva bresciana egli comincia il suo lavoro e procede in esso con metodo, rigoroso e sicuro. Fra le carte ma­noscritte di lu i troviamo un fascicoletto di appunti e di anno­tazioni 1 per la descrizione del lago, ma sono solo una parte del materiale che egli ritenne opportuno raccogliere prima di porsi a stendere con ordine l’ampia materia. La quale è saggiam ente distribuita, poiché prima — la trattazione è divisa in due parti — il M. considera il lago come individuo geografico, indi­pendentemente da ogni vita che si possa svolgere iu esso, poi sottopone alla sua analisi la vita delle piante del Garda e dei pesci e di taluni invertebrati che si incontrano in esso. D istin ­zione questa necessaria e logica, che dà piena libertà a ll’autore e che lo esonera dal dovere di frequenti richiami.

Procedendo, il M arsili ha ritenuto prima opportuno localiz­zare il lago. Chi legge ha da conoscere la vera posizione sua, la forma e le sue dim ensioni. Ma in questa determinazione delle tre condizioni necessarie al lettore, il M arsili è originale: non ri­corre ad altri, non guarda altre carte (probabilmente non ebbe davanti che una carta del territorio veronese e del lago di Garda di Paolo Forlani, incisa a Venezia nel 1012), le cifre le prende dalle m isurazioni che egli stesso fa ; e se c’è, confrontate con le odierne, qualche difetto o qualche eccesso, dobbiamo perdonar­gli, chè egli ha voluto, pur con scarsi mezzi, essere il determi- natore delle distanze fra i vari luoghi e delle dim ensioni del lago.

Le sponde costituiscono poi la seconda conoscenza da offrire ; e nel descriverle i l M. si ferma non poco, perchè egli ne consi­dera la conoscenza come necessaria alla « dim ostrazione ed in ­telligenza dell’alveo ». Comincia da Nord e torna a Nord, g i­rando prima sulla riva veronese e poi sulla bresciana, ed in que­sto periplo non scorda i monti che s’elevano dietro, chè son essi, vicini o lontani, che determ inano la natura delle rive e dànno agli abitanti la possibilità di essere agricoltori o li spingono

1 Ms. 97 I. di carte 9.

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verso altre attività. Anche le isole non sono dim enticate e di tu tti i luoghi sedenti sulla riva è fatta menzione, non priva di particolari di qualche interesse: nè mancano, quando il mo­mento lo esiga, richiami a particolarità climatiche, di guisa che la vita sulle sponde è m eglio definita con tali aggiunte e spie­gata ne’ suoi atteggiam enti.

Il secondo capitolo è tutto dedicato a ciò che del lago non si vede, a ll’alveo, alla « cratera », che divide in due parti, quella visibile e quella nascosta dalle acque. Quest’ultim a egli ricostruisce da ciò che resta scoperto e che può esaminare e dai frammenti che le reti dei pescatori o g li scandagli portano alla luce. D al noto a ll’ignoto procede la sua ricostruzione, e quindi non può non essere sicura, benché egli, sempre timoroso di af­fermare troppo e di lasciarsi andare a conclusioni affrettate, circondi quello che afferma di parole guardinghe e si muova con cautele, che chi è consapevole delle difficoltà dell’ indagine non potrà mai chiamare eccessive. È in questo capitolo che appaiono le prime osservazioni stratigrafiche: sono vaghe ed in ­certe queste nozioni, ma pur tra esse è lecito scorgere una sot­tile luce, e forse il M arsili stesso non ha la coscienza intera dell’importanza sua futura e degli sviluppi che avrà. Le affer­m azioni stratigrafiche che egli fa — e sono parecchie —, se ancora elem entari e di scarsa capacità di induzioni, tuttavia indicano chiara la via per cui si dovranno mettere gli studi di geografìa e sono testim onio dell’affanno che lo tormenta per giungere a possedere il vero.

Se la conca « ossea » del lago deve precedere, immediata­mente deve seguire la m isurazione dello strato acqueo raccolto in essa : ecco il paragrafo che vien dopo, interessante, ricco di cifre e sorprendente per chi consideri che da solo, con gli scarsi mezzi di cui dispone e con g li insufficienti strum enti che s’è fabbricato, il M. è riuscito, dalle proprie misurazioni, a cavare 20 profili, 19 nel senso dei paralleli ed uno trasversalm ente al lago. Questa sua attività indubbiamente è nuova e determina un indirizzo nuovo nello studio dei mari e dei laghi: le m isura­zioni batim etriche sono inaugurate dal M arsili con risoluta in­tenzione e con la previsione che esse gioveranno non poco alla conoscenza di sì fa tti individui geografici.

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Il terzo capitolo trae completa, ragione dai precedenti; dopo la cratera e le acque che la riempiono, ecco i tributari, i mille tributari, palesi e nascosti. Tali tributari il M. cerca d’ indi­viduare in quanto alla provenienza, di tu tti traccia il profilo, misurandone così la larghezza come la profondità. Non può però determinarne la velocità, chè i poveri strum enti che ha sono del tutto disadatti alla bisogna. Anche del Mincio non riesce a mi­surare il lento corso.

Onde il problema che si pone « se le acque del lago si deb­bano tutte al tributo degli immissari od alle vene », malgrado che egli calcoli la quantità immessa, quella emessa e quella evaporata, non è risolto in modo sodisfacente, chè egli conclude genericamente esser le vene numerose e ricche e recar buon tri­buto di acque al lago. La qual conclusione non poteva che essere così; la determinazione in fatti della portata dei fiumi non era possibile con strum enti prim itivi e con mezzi inadeguati, e quindi mal sicuri erano i dati su cui si dovevano fondare i suoi ragionamenti.

L’analisi chimica delle acque non lo porta ad alcun risul­tato positivo, come non lo ha portato ad alcun risultato l’ana­lis i delle acque del mare; la chimica si basava allora del tutto sui caratteri esterni, e perciò tu tte le mescolanze che il Marsili tenta, tu tte le reazioni a cui procede non lo fanno avanzar di un passo. P iu ttosto qualche buona osservazione può fare, met­tendo in rapporto il peso dell’acqua con la temperatura e que­sta con la profondità.

L’ultim o capitolo, il quarto, tratta dei venti e poi dei moti delle acque. Tratta prima dei venti, perchè essi sono causa non ultim a dei movimenti delle acque; poscia di questi, che sono anche originati da altre cause. Bello è sopra tutto quanto, nella monografia m arsiliana, riguarda il vario incrociarsi dei venti sulla superficie del lago ed il loro battagliare, e poiché al testo segue una carta che registra i venti che in diverse direzioni sof­fiano sul lago, così quest’aspetto del clima gardense acquista un’evidenza grande.

Per i movimenti delle acque, che sono numerosi e di varie cause, il M arsili io credo che abbia raggiunto il grado maggiore di originalità : in questa parte egli è quasi del tutto nuovo. Le

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distinzioni che fa dei vari moti gli permettono di comprenderli tu tti, e di non trascurarne nessuno. F atta la distinzione d i venti costanti e di venti incostanti e stab ilite le cause più generali d i questi, il M arsili ne passa in rassegna non pochi, ed è mirabile come egli, descrivendoli e descrivendone gli effetti, s’incontri in quello che intorno a ta li moti dicono autori moderni. S i ca­pisce che sulle cause non ci può essere uguale accordo fra il M arsili ed i m oderni; così, ad esempio, il M arsili crede che il moto delle acque in senso contrario a quello da esse se­guito per causa del vento derivi dalla disposizione insita nelle acque a riprendere il luogo primitivo, mentre oggi non si può più assegnare a tale virtù innata delle acque la ragione dei feno­m eni che solo fisicamente hanno spiegazione.

Ma accanto a nobiltà di osservazioni, a profondità di con­clusioni ed a serie ipotesi, ecco il M arsili cadere in una grosso­lana credenza, cioè alla presenza, negli strati più profondi, di soffi producenti m oti: della quale credenza, quasi a scusarsi, chiama a testim onio Francesco Bacone.

È così: in questi autori, che precorrono col loro ingegno il futuro e che par che spalanchino con le loro visioni lucidissim e l’avvenire, si incontrano, vicino al limpido, al chiaro, al mo­derno, il vecchio, lo strano, l ’artificioso, il falso. Del resto ciò è inevitabile, perchè per quanti sforzi faccia l ’uomo, sempre gli resta attaccato qualcosa del passato.

G li effetti dei raggi solari sulle acque sono ben illustrati, e le affermazioni che il M. fa a questo proposito sono anche un po’ arrischiate, tanto che quasi pentito dichiara che non intende far illazioni, ma solo affermare ciò che ha osservato.

La seconda parte è la biogeografia del Garda : 1 vegetali prima ed anim ali poi. Le piante che l’Autore considera sono quelle che nascono nel lago o intorno ad esso, così numerose da costituire di per sè sufficiente occupazione per uno studioso, onde anche qui vale ciò che ha osservato per il mare: è necessario far sor­

1 II commento di questa sezione è opera del prof. Achille Forti di Verona.

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gere una botanica marina, è necessario creare una botanica lacustre.

Pesci, testacei e crostacei sono esam inati nella seconda parte, la quale ha anche un’appendice assai interessante sulla pesca del carpione e della trota e sui modi che seguono i pescatori. Le abitudini dei pesci, le vie che seguono, il tempo in cui la pesca è più abbondante, tu tto questo è contenuto in questa se­conda parte, che se oggi deve esser rinnovata in parte, ancora rimane fondalmente la stessa, quasi esatta e vicina al vero.

Monografia compiuta, questa del lago di Garda, in tutte le sue parti, che se avesse avuto l’opera diligente dello stampa­tore e del disegnatore avrebbe procurato un’ altra gloria al M arsili. Monografia completa e nobile modello d i metodo per quel tempo, quasi previsione del metodo che di poi g li studiosi seguiranno con costanza.

Vi si incontrano ancora — e ciò è naturale — idee vecchie e concezioni arretrate; pur tuttavia il metodo sperimentale che vi è seguito, il cumulo delle osservazioni fa tte con cura e ben disposte, le induzioni tratte dalle osservazioni, tutto questo de­nunzia la bontà e la novità della trattazione, per modo che non si può non provare meraviglia che duecento anni fa sia usciio dalla penna di un uomo un così completo quadro del lago di Garda, e che questo sia stato descritto così sapientem ente che le trattazioni posteriori si dovranno modellare su questo primo nobilissim o esemplare.

Prof. M a r io L o n g h e n a

B IB L IO G R A F IA

F. L e a n d r o A l b e r t i - Descrittione d i tu tta V Italia . Bologna, 1550, pag. 355-v. - 357-r.

L o d o y ic o B e t t o n i - La pesca sul Benaco. Milano, 1887.Pio B e t t o n i - I l Benaco. Contributo per una monografia limnologica.

Salò, Devoti, 1904.E. B i g n a m i - I l lago di Garda descritto e disegnato. Milano, Stabilim.

Ciretti, 1873.F l a v io B io n d o - Ita lia illustra ta tradotta in lingua volgare. Venezia,

1542, pag. 158-r.

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10 L U IG I FERDINANDO M A RSILI

I a c o p o B o n f a d io - Lettera a Messer Plinio Tomacello sul lago di Garda.In Opere - Brescia, Pianta 1758. Parte I, pag. 18.

M a t t i a B u t t u r i n i - La pesca nel lago di Garda. Salò, 1885.F i l i p p o C l u v e r i o - Ita lia antiqua. Lugduni Batavorum, 1624, pp. 213-5. A. C o z z a g l io - Le moderne teorie svila formazione dei laghi prealpini.

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gennaio 1927, pag. 7-12.Th. F i s c h e r - L’ anfiteatro morenico del lago di Garda. « Petermann’s

Mitteilungen », 1898 e « Riv. Geogr. Italiana », 1898.A d r ia n o G a r b i n i - Fauna Veronese in Monogr. Stat.-Ec. su Verona del Sen.

Conte Sormani Moretti (1900).G a e t a n o G a r g n a n i - Colpo d’occhio fisico, istorico e civile della R iviera

Benacense. Brescia, 1804.A g o s t i n o G o ir a n - Le Piante Fanerogame dell'Agro Veronese in Monogr.

Stat.-Econ. su Verona del Sen. Conte Sormani Moretti (1896-1900). Gio. A n t . M a g i n i - Italia. Data in luce da Fabio suo figlio. Bologna,

1620.F l o r e s t e M a l f e r - Il Benaco. Parte I e II. Oro-idrografia ed ittiologia.

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(V Italia. Vicenza, 1622, pag. 42-r - 43-v.G i u s e p p e S o l it r o - Beiuico. S a l ò , G io . Devoti Editore, 1897.— — Il Lago dì Garda. Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1912. A. S t o p p a n i - Sull’ origine dei laghi lombardi (Vera cenozoica). F. Vai-

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------- D i alcune questioni riguardanti il lago di Garda. Atti del X Con­gresso nazionale di Idrologia, Climatologia e Terapia fisica. Salò, 1910.

-------■ Sulla storia geologica del Garda. Sunto d'una conferenza. « LaGeografìa », aprile 1914. [Segue un’ampia e completa ¡biblio­grafia],

G ia n s e v e r o U b e r t i - Guida ai laghi. Milano, Guigoni.G i o . S e r a f i n o V o l t a - Descrizione del Lago di Garda e de’ suoi con­

torni. Mantova, Tipografia Virgiliana, 1828.

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Osservazioni fìsiche intorno al lago d i Garda de tto antica­m ente Benaco - scritte a ll’ Ill.m o Signor Marchese Giovanni P o le n i1 Pubblico Professore delle M attem atiche nell’ Uni versità di Padova dal Conte Luigi Ferdinando Marnili corre­la tive al Saggio fisico della S toria naturale del Mare dato in luce dal m edesim o autore ed al T entativo dell’ organica s tru ttu ra della Terra non ancora da to alle stam pe.

Ill.mo Signore

In questo altrettanto delizioso quanto ritirato soggiorno di Maderno, 2 luogo de’ primari di questa riviera di Salò, bagnata

1 Giovanni Poleni nacque il 23 agosto 1683 a Venezia e morì a Pa­dova il 14 novembre 1761.

Porse suo (padre Jacopo, che ebbe il titolo di marchese dall’impera­tore Leopoldo per i molti servigi a lui resi nella guerra contro i Turchi, non era sconosciuto al Marsili e forse dall'amicizia col padre, oltreché dalla bella fama scientifica del figlio, nacque la relazione.

Il Poleni è considerato come uomo di sapere poliedrico ; astronomo e matematico, fisico ed idraulico, filosofo e letterato, si occupò anche di antichità e d’architettura. Professore fin dal 1708 all’Università di Padova, Socio delle maggiori accademiche straniere, in rapporto epi­stolare col più dotti uomini del suo tempo, lasciò molte opere.

Si vedano : Memorie per la vita , gli studi et costumi di G. Poleni. Padova, 1762. - P ie t r o C o s s a l i - Elogio di G. Poleni. Padova, 1813. - F a b b o n i - Vitae Italorum , voi. X II. - Biografie degli Italiani illustri, voi. X. - F . D id o t - Nouvelle biographie, voi. 40, pp. 598-99. - G r a n d j e a n

d e F o u c h y - Eloges.In fine dell’ Elogio del Cossali trovasi un elenco delle pubblicazioni

del Poleni e dei manoscritti da lui lasciati.2 Sul lago di Garda, a Maderno ed altrove, il Marsili si trattiene

per un paio d’anni, dal 1724 al 1726. A quante cose egli attende in

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dal lago presentemente detto di Garda, mia principale istitu ­zione fu il terminare, siccome lode a D io m i è riuscito, certo trattato dello stato m ilitare d e ll’im perio ottomanno, le cui no­tizie son già m olt’anni che io aveva raccolte. Ma questa dirò così conversazione fra Turchi mi si rendea sì malagevole ed aspra che stim ai necessario per mio sollievo divertirmene di tanto in tanto con qualch’altro studio più dolce e più dilettevole. Laonde m i posi da prima a fare una dissertazione di alcune ti­siche osservazioni che raccolsi nella mia ultim a navigazione da Livorno pel tratto di Mediterraneo fra esso e lo stretto di Gi­bilterra, e dentro del medesimo e piccola parte dell’oceano fra questo e il canale cinto di piaggie di Francia, d’Inghilterra e d’Glanda 1 e scrissi la medesima a ll’erudito amico mio Sig. Er­

questo biennio ! Il Fantuzzi (Memorie, pp. 258-261) cita coloro con cui fu in relazione epistolare durante questo tempo ed a cui scrisse lettere dotte, il Boerhaave, il dott. G. Monti, studioso di anatomia, il Micheli.

Ma anche qui, nella lettera dedicatoria al Poleni, il Marsili accenna a due lavori, a cui attende nella tranquillità del soggiorno benacense, cioè all’ultima redazione del trattato « Dello stato militare dell’impero ottomano », ed a raccogliere le osservazioni fatte durante di suo viaggio per mare da Livorno all’Inghilterra (settembre-novembre 1722).

Il Marsili dice che da gran tempo s'occupava del primo dei due argomenti, tanto che sentiva un po’ di stanchezza ad occuparsene an­cora. E difatti fin dal 1679 — cioè dal suo primo viaggio a Costantino­poli — aveva cominciato a raccogliere materiale, che la permanenza nella capitale turca, più tardi, (1692), ed i frequentissimi contatti o durante la guerra o nelle trattative di pace avevano assai accresciuto. Nella tranquillità della vita di poi il Marsili potè dare una disposi­zione alla vasta materia, che riceveva gli ultimi ritocchi allora. Ma il Marsili non potè vedere l’opera sua pubblicata : essa in francese « l’État m ilitaire de l’Empire ottoman, ses progrès et sa deeadenee » apparve nel 1732 a ll’Aja e ad Amsterdam.

1 Al ms. 97 A. I. (Fondo Marsili), esiste la lettera che contiene le osservazioni a cui il Marsili accenna « Epistola continens observationes addendas Tentamini physico naturalis historiae maris, Regiae Societati Parisiorum scripto ab Aloysio Ferdinando Co. Marsilli habitas occasione novissimae suae naviga tionis a Liburni portu per Fretum Gaditanum ad plagas oceani respicientis Hispaniam, Lusitaniam, Galliam et canalem inter Galliam, Angliam et Hollandam, ab eodem scripta ad eruditissimum

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IL LAGO DI GARDA 13

manno B oeerliave,1 professore di medicina, di botanica e di chimica nell’Unversità di Leiden. Compiuta questa ed a lui man­data in Amsterdam, mi venne in pensiero di farne un’altra sul soggetto di questo lago, giachè mi dava egli nell’ occhio 2 al- l ’aprir che io faceva delle finestre, ed ogni dì passeggiava due ore lungo la di lu i riva. I l qual pensiero mandai ad esecuzione di buona voglia non tanto perchè il soggetto mi fosse così ovvio, com’egli fu, quanto perchè lo viddi proprio e confacevole a ll’in­tento mio di provare la struttura organica della terra, intorno a cu i da tanti anni ho intrapreso una raccolta d’osservazioni

virum Hermannum Boerhaave, professorem in Academia Lugduno - Ba­iava ».

Sono 30 carte e 4 tavole a penna. L’ ho pubblicata, riassumendola qua e la e traducendola, neU’Annuario del R. Liceo Scientifico A. Bighi 1929-1930.

1 Hermann Boerhaave, nato nel 1668 a Voorhout, presso Leida, morto a Leida nel 1738, fu medico, ma all’Università di Leida tenne corsi di botanica e di chimica.

Capolavori di metodo e di stile sono dette le sue opere.L’amicizia del Marsili col Boerhaave ha principio nel 1723 quando

di ritorno da Londra il Marsili fa una sosta a Leida.E per le insistenze del Boerhaave, a cui fece conoscere la sua storia

fisica del mare, il M. si dispose a darla alle stampe; anzi il Boerhaave vi .premise una dotta prefazione in latino che è tutta una lode al Mar- sili ed un’esaltazione del suo metodo di indagine e del suo ardore scien­tifico (L. F. Marsili - « Histoire physique de la mer» - Amsterdam, 1725, pp. I-XI).

2 La frase non è propria, ma è assai espressiva. I l Marsili non è certamente uno stilista : la forma è talvolta un po’ aspra, talvolta scor­retta. I suoi periodi ora corrono interminabili, ora zoppicano un po’. Non sempre aveva il tempo per dar forma nobile e dignitosa al pensiero, che frettolosamente doveva fermare sulla carta ; e forse in lui non era nemmeno l’arte di scriver bene. Del resto, quando l ’argomento lo attrae e il sentimento lo muove, sa esser forte ed efficace. E’ noto inoltre che tutte le volte che egli diede alle stampe qualcosa, si valse di correttori e di traduttori, i quali rivestirono il suo pensiero di elegante forma e di ben fatti periodi latini, al pari che disegnatori valenti tradussero in belle linee ed in ben combinati colori i suoi segni tratti dall’osserva­zione del terreno.

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14 LU IG I FERDINANDO M A RSILI

coll’esame di monti, d i pianure e di m a r i.1 Perloehè mi figurai questo lago a guisa di un piccolo mare che per tante ragioni probabili dovesse pur egli avere una solida struttura interna corrispondente a quelle de’ mari, giachè sì questo come g li altri laghi non sono accidentali, ma necessari al buon regolamento della mole aquea che scorre per la terra e scorrerà tuttavia fino alla distruzione della terra nella guisa stessa de’ mari; e con tale occasione esam inai tutte le parti soggette ad un esame fi­sico naturale del nostro lago. 2

Or questo che ho tentato senz’alcun comodo d’istrom enti e

1 La struttura organica della terra fu la meta ultima a cui guardò in tutti i suoi lavori. Se lo studio del mare sapeva a lui svelare i segreti di tanta parte del globo, e se lo studio dei fiumi, dei laghi, delle paludi e dei monti poteva metterlo a parte di tanti altri problemi e condurlo a risolverli, alla terra nel suo complesso egli mira, al come essa è costi­tuita, al come fu un tempo ed alle mutazioni via via intervenute: ab­bracciare il pianeta nella complessità di tutte le questioni sue, vedere il nesso fra tutti i fenomeni e condurli tutti alla risoluzione del maggior problema : qual' è la struttura della terra per cui essa appare come organismo.

Certo ancora un po’ nebbia è il problema così formulato ; ma non possiamo negare nel Marsili un desiderio nobilissimo di sintesi gran­diosa, alla quale non potè giungere, perchè i tempi non lo permettevano ; ad esso però sempre tese le forze del suo ingegno.

1 nis*. 90 A. l ( / 8, 12, 13, 14, 21 - 90 C. carte 29-30, 43, 114, 115 contengono appunti, pensieri, abbozzi, profili ; ma sopra tutto sono im­portanti il ms. 90 A. 1, dove è come una traccia dell’opera che il Marsili vagheggia, e quello 90 A. 21 che contiene il primo sbozzo dell’organica struttura della terra e che consta di 25 carte, tutte autografe. Oltre non è andato il Marsili : forse ha pift visto con gli occhi della mente e più pensato che scritto ; forse l’altezza del problema gli fece disperare di arrivarci e lasciò che altri tentasse e toccasse la soluzione di questo massimo problema.

2 Intorno ai bacini marini — ed anche intorno ai bacini lacuali — il Marsili ha — osiamo dire — una concezione statica : egli pensa che tali bacini siano originari, cioè così creati (la fede sicura del Marsili gli fa accogliere per intero la parola della Bibbia) dal principio del mondo, perchè destinati a contenere le acque pur esse create ed ora in tale mole come quando furono create e come quando sarà la terra di­strutta.

E il bacino del Garda il Marsili considera non come accidentale, cioè venutosi a poco a poco formando, ma come primitivo, cioè creato da

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IL LAGO DI GARDA 15

privo de’ miei medesimi m anoscritti avrà bisogno di emenda che non potrà esser fatta nè con più amore verso di me nè con mag­gior fondamento di sapere, che da V. S. Ill.m a, a cui perciò in­dirizzo essa dissertazione, che divido in due parti. La prima con­tiene l’immediata descrizione di tutte le parti che compongono questo lago. La seconda mostra i viventi e vegetabili dentro di esso, e sì l’una come l’altra è compartita ne’ suoi capitoli. Avanti a questa dissertazione pongo due mappe, che servono di guida e di fondamento della medesima. Una topografica delle sponde del lago con l ’aggiunta delle primarie città, che in qualche di­stanza lo cingono. U n’ altra idrografica continente i meri lid i del lago con le linee su le quali si son fatte le diverse settioni.o profili che mostrerò, ed in questa sono quelle dimostrazioni appunto che nella mappa topografica averebbero cagionato con­fusione.

Si degni pertanto V. 8 . Ill.m a di leggerla e di correggerla e mi creda D. V. S. Ill.m a.

Padova, 20 ott. 1725. i

Devot.mo e Obb.mo Ser.e

L u i g i F e r d in a n d o M a r s i l i

principio per il regolamento delle acque. B ad ammettere tale conce­zione lo conforta il fatto che il fondo del lago è costituito da strati non dissim ili e non diversamente disposti dagli strati fuori delle acque. Pare strano, eppure è così. Accanto ad un’indagine delle più scrupolose del­l’individuo geografico sorgono, quasi ad impedire la esatta visione del fenomeno, credenze vecchie e dottrine superate, le quali, malgrado la loro tenace l'esistenza, non riescono ad oscurare e ad annebbiare l’occhio acuto dello studioso. Forse questo è di tutti 1 tempi, se osservati un po’ a distanza ; ma certo non mai è stato tanto stridente il contrasto fra il vecchio che resiste ed il nuovo che si fa strada quanto in quel sette­cento dove le scienze — e specialmente quelle naturali — hanno fatto passi da gigante, e pur tuttavia continuavano sistem i generali destinati à sicura scomparsa. Il Marsili è un bell’esempio di quest’età ohe par contradditoria, e tanto più meraviglioso in quanto egli tenta tutti i campi «1 alcuni percorre mai toccati o quasi del tutFo nuovi.

1 II Fantuzzi (pp. 258-61) non fa cenno di questa gita fino a Padova, dalla qual città è datata la lettera. Forse fu una rapida corsa per consegnare in persona al Poleni il Manoscritto Benacense; dopo certa­mente, se dobbiamo credere al biografo bolognese, il Marsili ritornò al suo lago. Nel 1726 è posta la venuta a Bologna.

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P A R T E P R IM A

CAPITOLO PRIMO

Descrizione ^eos^raflca del nostro lago.

A ll’estrem ità delle falde più erte delle A lpi dividenti l ’Ita lia dall’Elvezia e dalla Rezia, con molta disposizione collocò la natura una serie d i laghi di grandezze diverse, con vari nomi di­stinti. Fra quelli che sono in Ita lia è in gran credito quello, che in oggi dicesi lago di Garda, chiamato dagli antichi scrittori Benaco e lago Lidio di Catullo, nativo di Sirmione, penisola del m edesim o.1

Esso ha il principio da greco-tramontana nella parte di Ti- rolo contermine a ll’Ita lia dentro del principato di Trento 2 e con apparenza, che la primaria di lu i origine sia il fiumicello Sarca, proveniente dalle alte A lpi pure del Tirolo, quando que­

1 II nome latino è Benaco. I l Marsili ha aggiunto l’aggettivo Lidio forse desumendolo direttamente, o piuttosto indirettamente dalle untine Lydìae di Catullo. (V. il carme su Sirmio).

Catullo poi è nativo di Verona, e sul Garda, nella famosa penisola, aveva solo una villa.

2 II principato ecclesiastico di Trento, istituito, pare, nel 1004 da Enrico II ed ampliato nel 1027 da Corrado II il Salico, comprendeva, quasi tutta la vallata dell’Adige ; ne erano escluse la parti di NE, cioè non poco della vallata dell’ Isarco e un po’ di quella dell’Avisio. Però il principato non coincideva del tutto con la diocesi. Nel 1803 il potere nominale dei principi-vescovi aveva fine. Esatto è quindi ciò che dice il Marsili e circa la dipendenza politica del breve arco sett. del lago di Garda, e circa la diocesi, di cui è parte.

2

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18 L U IG I FERDINANDO M ARSILI

sto 1 al pari degli altri proviene, come si mostrerà, più dall’ac- que sorgenti dal basso che defluenti dalla superficie della terra. 2

In quanto alla giurisdizione secolare soggiace a due Prin­cipi diversi, cioè all'impero germanico, perocché ubbidisce per un piccolo tratto di cinque miglia, nella mappa notato di color giallo, al principato di Trento, membro del Tirolo ; 3 ed alla repubblica veneta, confinando il Trentino co’ di lei stati fra le due valli della Pola e Cresta di Monte di Eocca, detta Vaim ar­cia. 4 Da questi due termini per tutto il rimanente dell’esten­sione del lago è diviso sotto due considerabili territori Bresciano e Veronese. I l principio di quello è dalla valle della Pola, il fine sotto Desenzano ad un luogo detto Castello de Martinenghi, per le linee di Pozzolengo e da qui il Veronese va fino alla detta Valmancia.

1 II pronome va riferito a lago nome un po’ distante si che la con­fusione di chi legge è giustificata.

2 Qui ripete il Marsili una sua ferma credenza « che le acque rac­colte in bacini, lacuali o marittimi, sia dovuta più che al tributo delle acque correnti, a quello delle acque scaturenti da vene subacquee ». Ohe il fenomeno abbia fondamento di verità, non vi è dubbio, ma che sia esatta la recisa affermazione del Marsili nessuno vorrebbe accingersi a dimostrare.

E d’ altra parte come lo si potrebbe? qual’ è il modo di misurazione? Le ragioni che il Marsili produrrà più oltre non sono sufficienti a dimo­strare il suo asserto.

3 Qui afferma il fatto che s’era già verificato, dalla seconda metà del trecento, della sovrapposizione dell’autorità laica a quella ecclesia­stica, mentre era stato 1’ opposto nei secoli precedenti. E non è solo sovrapposizione, ma èanche diminuzione : continue sono le usurpazioni dei conti di Tirolo, ed anche un po’ della regione intorno all’arco sett. del Garda è sottratta.

* L’ estremo confine verso il Bresciano, parte della repubblica di Ve­nezia, è segnato dalla valle di Pola, quello verso il Veronese, spettante pure alla repubblica, dalla Vaimarcia. I due nomi sono rimasti ed hanno solo un po’ mutato di forma. La vai Pola è l’attuale vai Palaer, la vai Marcia si conserva in Valmarsa.

Non si è conservato il nome Cresta di Monte di Rocca, nè vi è nome oggi che possa star- vicino.

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IL LAGO DI GARDA 19

L’acqua del lago è dentro del dominio veronese, lasciando la repubblica di Venezia la custodia di essa sino alle rive del Bre­sciano a ll’ordine patrizio nobile di Verona che arma bastim enti di custodia delle acque e tiene lontane le frodi delle D ogan e .1

In quanto alla giurisdizione spirituale governano le rive del nostro lago tre vescovi, di Trento, d i Verona e di Brescia.

La figura del lago è in foggia di liuto. La positura è natural­mente fra i punti in oggi cospicui per l’erezione delle città , Ve­rona, Brescia, Trento e Mantova, prendendo per punto lim i­táneo di ta li dimensioni Maderno, luogo del mio soggiorno, e lontano da Verona a levante m iglia 25, da Brescia in occidente 24, da Trento quasi a settentrione 42, da Mantova a mezzo­giorno 42 similm ente. 2 Circa la lunghezza e larghezza di que­sto lago, Strabone nel fine del 4 libro per 1’ edizione greco-la­tina di Amsterdam nell’ anno 1707, g li assegna la lunghezza di

1 A S. del lago la linea di confine fra Bresciano e Veronese descrive un arco con la convessità a mezzogiorno : il castello dei Martinenghi e Pozzolengo sono gli estremi. Pozzolengo è il piccolo centro del comune omonimo sulle alture moreniche che coronano il lago, presso 8. Martino della Battaglia : il castello de’ Martinenghi — oggi non più ricordato nelle carte e che certo ha tratto il nome dalla nobile fam iglia la quale non ebbe piccola parte nelle lotte del comune di Brescia — forse risponde a Castel Venzago, che è sulla stessa linea di Pozzolengo e che è al S. di Desenzano.

2 Siccome il Marsili non dice se le distanze indicate siano par strade ed attraverso il lago oppure in linea d’aria e sulla carta, così non ho potuto stabilire quanto si avvicinino al vero.

La prima cifra sembra determinata in parte sul lago e in parte per strade (Km. 46,2 quasi uguali alle 25 miglia del M.) ; la seconda pare pure determinata su strade e con qualche giro più lungo di quello che comportino le strade d’ora (Maderno-Rezzato-Brescia Km. 38,2, un po’ lontani dalle 24 miglia indicate dal Marsili). Infine la terza e quarta distanza sono del pari fissate sul lago e per vie terrestri, per il lago e per terra (Maderno-Trento Km. 79,2, quasi uguali a 42 migSia (Km. 77,7); e Maderno-Mantova, Km. 74,8, un po’ al di sotto delle 42 mi­glia marsiliane).

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20 L U IG I FERDINANDO RIARSILI

500 stadi che sono m iglia 62 % e la larghezza di 150, che sono m iglia 18 % .1 Per l’edizione latina del medesimo impressa in Venezia da Giovanni Vercellese l ’anno 1480 in foglio dice sim il­mente la lunghezza stadi 500 e la larghezza 30 che sono m iglia

3 % ed altri moderni autori varie lunghezze e larghezze varie gli danno come può vedersi nell’ Itinerario del Capugnano e dello Scotto. 2

Io per misurare questo lago mi sono servito di una navicella con tre remiganti, che s i è visto nello spazio di un’ora, essendo il lago in calma, fare il cammino di m iglia 3, e giusta queste osservazioni mie ho trovato la lunghezza non essere più che 33 m iglia, pigliando per questa i term ini da D isinzano a Torbole, punti che in tempo chiaro e tranquillo reciprocamente si veg­gono. 3

La larghezza nel suo principio fra Riva e Torbole non eccede le due m iglia d ’ Italia , estendendosi da mezzo giorno una quarta fra ostro e garbino fino al promontorio di San V ilio posto alla

1 E ’ esatto quasi del tutto nelle due citazioni.L’edizione che indica prima è la seguente:

« Strabonis rerum geographicarum libri XVI. Accedunt notae integrae Casauboni etc. Subiiciuntur Chrestomatliiae graecae et latinae. Amstelo- dami, apud Joannem Wolters, 1707 ».

L’altra ha solo un errore nella indicazione del luogo di stampa: « Geographiae libri XVI ». In fine : « Strabonis Amaslni scriptoris illu- stratae geographiae opus finit. Joannes Vercellenisis propria impensa imprimi curavit. Tarvisii, 1480 ». L’edizione di Venezia, citata dal Mar- sili, è del 1494.

2 Itinerarii Italiae rerumque romanarum libri III a Francisco Schotto Senatore Antverp. ex antiquis novisque scriptoribus editi, et ab Hiero- nymo Capugnano (Girolamo Giovannini da Capugnano) ordinis Patrum Praedieatorum aucti. Antverpiae, 1625.

A pagine 107-8 dà 35 m iglia da Peschiera a Riva e 14 da Salò a Garda.

3 La misurazione da me fatta sulla carta dà 52,2 Km., fra Riva e Desenzano : a 51,6 Km. si calcola dal Taramelli ( T o r q t ja t o T a r a m e l o -

Storia geologica del lago di Garda, Atti dell’I. K. Accademia degli Agiati di Rovereto, 1894, p. 79) ha lunghezza del lago, ma non dice entro quali estremi. Invece il Marsili dà 33 miglia, uguali a 61 Km.

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IL LAGO DI GARDA 21

riva veronese, con un corso tra le 22 e 23 m iglia con diverse larghezze, che fra le tre e le quattro m iglia reciprocamente vanno fino alla punta di San Giacomo, collocata nel Bresciano, termine delle aspre rive col principio della continuazione deli­ziosa della riviera di Salò coll’ameno e vago paese di tre comuni di Grignano, V illa e Bogliaco. Da questo termine alla dirittura della punta di Tusculano dov’ è posta 1’ abitazione de SS.m i D elai sino a Torri nel veronese vi è la larghezza di m iglia 5; fra la punta della Capra, estensione piana di Maderno nel Bre­sciano Ano alla dirittura dell’ultim a pendenza di San V ilio, di miglia 6 .1 II lago uscito da questi due ultim i termini si di­lata fra diverse larghezze formate di varie punte, ed estrem ità di golfi, che più o meno in fra terra si estendono con i nomi per l ’ordinario di valli, e la maggiore di ta li larghezze a mio cre­dere è quella da Maderno fino alla bocca del di lu i emissario che forma il Mincio a piè de muri della fortezza di Peschiera posta nella riva veronese, tra le 16 e 17 2 m iglia ; ma i pescatori hanno in uso di nominare per la maggior larghezza quello ch’è dal porto di San Felice posto alla riva bresciana e la Zisa nel ve­ronese ch’è di m iglia 14 ; e ta li larghezze può ognuno stabilire a suo piacimento su la mappa fatta con la possibile diligenza, pre­figgendo diversi term ini dall’estrem ità di golfo o valle a ll’altra oppostagli.

1 Non è certo molto trasparente qui la prosa del Marsili, perciò è necessario circondarla di qualche chiarimento. Fra Riva e Tortole cor­rono due miglia ( = 3,7 Km., quasi quanti realmente risultano dalla misura sulla carta, Km. 3,5) ; poi il lago muove fra austro e garbino, cioè libeccio, di una quarta di vento, cioè di 22°30’ ; ed in questo tratto, lungo 2 /3 della sua lunghezza fino alla punta di S. Vigilio — oltre 40 Km. — oscilla fra 3 e 4 miglia (Km. 5,5 e 7,4) fino alla punta di S. Giacomo, a N. di Gargnano, — fra 5 e 6 (Km. 9,2 ed 11,1) nel tratto Toscolano-Toirri e in quello Maderno - punta di S. Vigilio.

2 Qui però le cifre marsiliane si vanno allontanando assai dalla realtà. Anche non tenendo conto dei quasi 30 Km. che dice distare Maderno da Peschiera, mentre sono invece 23,5, la larghezza massima che è cal­colata dal Taramelli di Km. 17,2, nel Marsili diventa di quasi 26 Km. fra S. Felice, sulla riva bresciana e Lazise, sulla veronese. Fra i due luoghi le misurazioni mie dànno 17 Km.

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2 2 L U IG I FERDINANDO M A RSILI

Le sponde di questo lago esigono una chiara descrizione, perchè debbono servire molto alla dimostrazione ed intelligenza dell’alveo o vogliam dire cratera di l u i .1 Per procedere con or­dine cominceremo dalla parte superiore fra E iva e Torbole, giu­risdizione come d issi del Tirolo, dove sono due valli fatte dal piccolo fiume Yarone e m aggiore Sarca, cinto da a lti monti che n ell’ascendere verso il Tirolo si fanno vie più a lti, e qui la riva dal governo è resa im praticabile con barche, volendo che si sbarchi unicamente ne due luoghi d i Torbole e di Riva, e tro­vandosi forestieri, che con navi dieno fondo in esse sono arre­stati. Da Torbole la riva che occupa il veronese fino al cantone di Navene, ch’è una parte del monte Baldo, non ammette verun sentiero. 2 Da qui tutto che sempre più erto si faccia il monte Baldo, per ogni parte dell’intiera estensione del veronese vi è comodo di approdare, e di camminare a piedi e a cavallo sem­pre lungo la riva. I l monte Baldo sì famoso per l’altezza sua, che sempre si fa maggiore sino sopra Malselace, Cassone, 3 Mi n a ro lo 4 e Mugugnano, tiene alla sua sommità fonti ed erbe

1 II Marsili ha la chiara visione che a conoscere il fondo del lago giovi assai l’ esame delle coste : queste denunziano il fondo e sono tali quali il fondo le determina.

Per primo egli inizia l’importante capitolo della configurazione oriz­zontale, per primo egli esamina come son fatte le coste e non per darci una pura descrizione di esse, ma per riallacciare, conosciuta la loro costituzione esterna, la costa con la parte che la continua e che le acque ricoprono.

Non è descrizione pura la sua, ma indagine tratta dalla esatta de­scrizione degli individui geografici.

2 Da Torbole a Navene la costa è nuda, ripida ed ha assai più sel­vaggio aspetto della opposta riva di Limone. Nessuna strada allora cor­reva presso il lago : da poco soltanto è costrutta una strada rotabile, che spesso però si scosta dalle rive; del resto nessun centro di qualche importanza ha potuto formarsi. Da Navene invece parte la Gardesana, che quasi sempre prossima alle acque, segue la riva sino alla Punta S. Vigilio.

s Malcesine e Cassone.* Minarolo, non indicato nelle carte odierne, risponde all’antico Me-

naruolo, sorgente presso a poco dove oggi è Sommavilla.

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IL LAGO DI GARDA 2 3

tanto rinomate e struttura di strati di pietre, e con le sue falde s i estende per oriente fino a ll’A d ice .1

Da questi s iti descritti dove è più alto, sempre lungo il lago con la di lui falda si va diminuendo sino al promontorio di San V ilio, restando un poco interrotto dalla vai Caprina che vi ha fatto e dall’altra opposta de monti sopra Garda, Bardolino, Zi- zano e Zi za 2 dove tutto riducasi in suavissim i co lli che a Pe­schiera cominciano a slontanarsi dal lago, lasciando un inter­spazio piano, in parte paludoso, fertile a vigne, a larghezza di due o al più tre miglia, e che termina a Rivoltella, luogo già del bresciano poco d istante dal confine del Castello. 3 Questi colli da Rivoltella vanno unendosi con le loro falde alla riva del lago, e camminando verso Padengo, Moniga, Minerbo, San Felice sempre s’ inalzano, e venendo alle vicinanze di Salò, per la loro assai considerabile eminenza, guadagnano il nome di a lti monti

1 II Baldo, che non ha boschi, è ricco di una flora varia e numerosa ; perciò fu chiamato orto d’Italia.

Anche le fonti sono frequenti. Il Marsili dice che il Baldo con le sue falde giunge fino a ll’Adige ; ma non è la catena principale che scende nella Val Lagarina, bensì un’anticlinale parallela alla catena mag­giore.

2 Anche questo è un punto un po’ oscuro per la forma. Soggetto è il Monte Baldo, e di esso il Marsili dice che dopo i vari piccoli centri ricordati va diminuendo di altezza, sempre bagnando le sue falde nelle acque del lago, sino ail capo S. Vigilio. Aggiunge che lo interrompono due valli: la prima è la Val Caprina, dove scorre il torrente Tasso, l’altra è quella per cui corre la strada Caprino-Oostermano-Garda, in parte seguita dalla Val Tesina ; per ambe le valli separate sono le alture su cui sorgono Garda, Bardolino, Cisano e Lazise, alture che vanno abbassandosi in colli larghi.

A Peschiera le colline si allontanano dal lago e comincia una pia­nura, larga al più 5,5 Km. Questa pianura che ha qualche superficie di acqua stagnante (il così detto laghetto ad O-SO di Peschiera) è chia­mata la Lugana.

3 Dopo R ivoltella i colli s’avvicinano al lago e man mano che ci si accosta alla riva occidentale si elevano : Padenghe, Moniga, Manerba e S. Felice sono i 4 momenti del loro progredire ad alture sempre mag­giori. Monti di Brescia sono chiamati queste alture via via crescenti.

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24 L U IG I FERDINANDO M A RSILI

(li Brescia, che lasciano due valli, una che conduce a questa città, e l ’altra che ha il nome di Sabbia, che mena in altra chia­mata T rom pia.1 D all’altura di Salò, questa linea di a lti monti si slontana un poco dal lago fino a Toscolano, e poco più sopra maggiormente lascia una valle di tre communi m entovati e che poi va ad unirsi al lago nella punta di San G iacom o.2 Vorrà il lettore dare un’occhiata nella mappa a questa situazione sì ben difesa da tu tti l i venti di tramontana per ragione della linea de m onti che forma come un muro con una falda esposta a levante, a mezzo giorno, a ponente, e che all’opposta riva di Torri e di Garda fa godere anche di sim il clim a benefico alla coltura di agrumi, ohe a suo luogo dirò.

Da'lla punta d i San Giacomo al Prato della F a m e 3 non vi è che una scoscesa falda di rocca fatta de consueti strati che non

1 Ricorda due valli : una conduce a Brescia e l ’altra è la vai gabbia, che conduce — dice il Marsili — alla vai Trompia. In realtà da Salò una strada che sale oltre un centinaio di metri porta alla vai Sabbia, a Tormini ; di qui, scendendo la vallata del Chiese e allargandosi nel piano, si perviene a Brescia, ovvero girando per le coste di S. Eusebio si raggiunge la Trompia, indi Brescia. Questo probabilmente vuol dire il Marsili.

2 La linea dei monti s'allontana, dopo Salò dalle rive del lago : a Toscolano di nuovo s’avvicina (m. Lavino 807 m., m. Pizzócolo, 1582 tn., in. Castello, 866 m.) e alla punta di San Giacomo, a N. di Gargnano, dove termina l’ampia strada rivierasca, i monti alti (m. Denervo, 459 m.) s’elevano presiso le acque. Onde accade, perchè una barriera di cime discretamente alte si erge a sud e ad est, che sul lago non soffino i venti freddi di tramontana. Ed il beneficio non è solo risentito dalla riva occidentale, ma anche da quella d’oriente, sì che Garda e Torri possono allevare una vegetazione di agrumi e godere runa notevole mi­tezza di clima.

3 II Prato della Fame è un breve tratto piano che si distende sulla costa, ai piedi di una serie di dirupi scoscesi e grandiosi, che comin­ciano subito dopo Gargnano, ed al principio di altri dirupi che si pro­lungano assai verso Nord. Due torrenti solcano questo prato ed un piccolo porto si apre davanti.

La strada ha già lasciato la riva e s ’è cacciata verso l’interno ; torna a riapparire solo dopo Campione. Una nuova ampia strada rivierasca è però in costruzione.

La punta di Forbisicole si avanza nel mezzo fra i 2 porticciuoli, che rendono accessibile la costa per via d’acqua.

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permette nè sbarco di navicella nè modo di camminarvi col piè, fuori che in quell’angusto spazio di quel praticello chiamato della Fame. Da questo fino a Campione non vi è sim ilm ente co­modo nè di camminare nè di approdare. N ell’istesso sito di Campione si sbarca, essendovi un praticello, dove sono edifizi da ferro .1 Di qui fino a Tensel pure poco commercio è per terra .2 Quindi si forma un giro di queste rupi, «he va infra terra slontanandosi un miglio, anche due dal lago che in guisa di muro va di nuovo a terminare al lago alla punta di Riva­molle, formando un muro naturale anche meglio adattato de territori di Grignano, 3 di Tusculano, d i Maderno, di Fagiano 4 e di Salò per la difesa contro 1’ aspro vento di tramontana, ed esposizione al clima soave di tu tti g li altri venti, dove gli olivi e gli agrumi ànno la loro reggia per così dire, compen­sando il tetro e l ’orrido dove è collocato il sito di Limone. Della rupe descritta fra le punte di San Giacomo e R ivam olle,5 nella sommità sono villaggi e luoghi coltivati, non essendo questa che un precipizio che la natura fece coll’apertura che seguì nel farsi l ’alveo del lago. Da questa punta di Rivam olle sino a Ripa la sponda è aspra ed im praticabile lungo l ’acqua e per isbarcihi e per camminarvi, alla riserva dove il confluente del fiume Fonale lungo il quale i pedoni entrano nella valle di Ledro che ha nel mezzo il lago detto Ponale sul Trentino, lungo tre m iglia e largo nel più m iglia uno, che nella mappa si vede. 6

1 Campione non è più centro dell’industria del ferro, ma luogo dove si lavora il cotone. Un grande cotonificio sorge a S. di esso.

2 Tensel è probabilmente la riva chiamata di Nanzello a Nanzel, a S. di Limone.

Anche in questo tratto limitato da un costone alto oltre 300 m. sono scarsi i luoghi d’apiprodo e pochissimi i centri abitati : i jnaggiori stanno verso l’interno, e l’interno è pure solcato da una strada.

3 Gargnano.4 Fasano.5 L’attuale Reamol.6 II laghetto di Ledro dal Marsili è chiamato del Ponale ; suo emis­

sario è il Ponale.Non è largo 1 miglio, ma appena 1,2 Km., e la sua lunghezza è mi­

nore di quella data dal Marsili (Km. 2,8 e non 3 miglia = Km. 5,553).

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Queste descritte rive sono composte di terreni per se stessi magri, per non dire sterili, quando l’industria degli abitanti non supplisse coltivandoli per olivi, vigne ed agrumi, cominciando dall’orrido sito dov’è posto Limone, dove con l’arte hanno preso il vantaggio di quel piccolo seno sì ben coperto da tu tti li venti settentrionali ed esposto alle altre piaghe benefiche, ed hanno regolato le sorgenti tra quelle pietre con piccoli aquedotti di muro per la cultura di ogni sorta di agrumi, adattando m ira­bilm ente a’ siti l’universal modo della cultura di questi, che si pratica per tu tta la r iv iera .1 Questa cultura medesima dura dalla punta di San Giacomo Ano alle vicinanze di Salò, dove manca a causa dell’apertura della linea de m onti che portano venti freddi alla parte opposta d i questa riva. Nel villaggio di Torri come nel luogo di Garda è pure questa cultura ed in spe­cie de cedri, che crescono in maggiore grossezza che in altri luo­ghi della riviera.

I m onti sono ricchi di marmi ed in specie del bel giallo di Torri 2, di cui sarebbe desiderabile un commercio più comodo, non potendosi condurre a ll’Adice o al Mincio nel sito dove que­sto comincia ad essere navigabile se non a forza d i carri. L’isole del lago sono poco riguardevoli, perchè piccole o sterili. La prima che s’incontra venendo dalla riva Trentina è quella detta la Torretta sotto Malsecenie, l’altra la Torretta pur della v a lle ,3

1 II Marsili dice che il costone montuoso si ritrae di un miglio o due dal lago lasciando il posto alla riviera di Limone, ancor più delle altre protetta da venti del nord, onde i frequenti agrumeti.

Non è veramente una pianura, ma un dolce pendio.E’ pure notevole l ’osservazione che qui fa della dipendenza stretta

che c’è fra clima e vegetazione ; osserva anche che l’agricoltura inten­siva prospera in tutti i luoghi in cui la natura è stata piuttosto ma­trigna, pur che non sia sfavorevole l’elemento clima : ed anche là dove il clima non è del tutto dolce gli sforzi dell’uomo sanno superare tutti gli ostacoli ed adattare a suolo ed a clima le colture.

2 Sono antiche nei dintorni le cave di Torri che danno marmo rosso ammonitico e ammonitico giallo.

3 La prima ora è detta Isola deH'Oiivo e sorge a SO di Malcesine contro la villa Gruber ; l’altra, più a S., presso il capo Sogno e quasi continuazione di esso.

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e queste ànno alcune piante di olivi. La terza è la detta de> tre meloni, dov’era una fabbrica che fu dem olita nelPultim e gu erre.1 A dirittura di San V ilio vi è un piccolo scoglio lontano da terra un tiro da sch ioppo.2 Tutte queste per esser più vicine alla sponda veronese debbon essere attribuite a quel territorio.

Da iSan V ilio traversando il lago tra ponente e mezzogiorno s ’ incontra l’ isola prim a detta de F rati 3 per esservi sopra un convento di zoccolanti, che è poco più lunga di mezzo miglio, e larga assai meno che mezzo, posta fra due linee di scogli, una che va alla punta di San Firmione, fra quali passano leggiere barche, un’altra che va sino alla punta detta Rocca del Sasso, con interrompimenti di essi che spuntano di tratto in tratto sopra dell’acqua, nella forma che nella mappa e meglio ne pro­fili, e fra queste vi è uno scoglio, che ha la sembianza ed il nome di A ltare 4 e più accostandosi alla punta della Rocca del Sasso s ’incontra uno scoglietto detto la S tella 5 che fra lineie di altri

1 E’ l’is. Trimelone, fra Cassone ed Assenza.2 Lo scoglio della Stella.3 Is. di Garda. Poiché nel duecento vi fu costrutto un convento di

Minori osservanti, conservò per parecchio il nome di Isola dei Frati.Il convento fu rifatto nella prima metà del quattrocento e soppresso nel sec. XVIII. Vi fiorì anche una scuola di teologia.

Lunga 1100 m. ha una larghezza di pochi m. ; la maggiore toccai 150.

Numerosi scogli, dei quali alcuni nascosti dall’acqua tranquilla, ricongiungono l ’ is. di Garda alla punta di Belvedere, sporgente dalla terra di Manerba, che ha nell’arco esterno i Monti del Sasso — detta perciò dal M. Rocca del Sasso — e dall’altra parte dell’isola scogli rav­vicinano alla punta di S. Fermo.

La parte di lago racchiusa fra la terra ferma e gli scogli ha pro­fondità discrete — fino a 50 m. — e ad essa si accede per canali fra gli scogli, dei quali alcuni sufficientemente profondi —• 9, 10, 11 metri — ; solo fra l’ is. di Garda e la punta di S. Fermo (Punta Portese) c’ è un canale profondo appena 3 ni. adatto a « barche leggiere ».

4 Sorge a S. delll’ is. di Garda e porta anche adesso questo nome.5 Non è ricordato questo scoglio, benché sia rappresentato insieme con

altri, nelle tavolette al 25.000.

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piccoli scogli conduce a ll’isoletta di Belvedere 1 così chiamata per la bella v iste che è in lei spogliata d’alberi, essendovi una torre quadra ruinata : dalla parte della Rocca del Sasso traver­sando il golfo o valle d i D isinzano 2 s i arriva a Sirmione chia­mata da Catullo p en iso la8 perchè con un istm o si univa alla pianura descritta della Lugana fa tto al presente tagliare dal Principe di Venezia con un piccolo canale per cui passano le na­vicelle rendendo più sicuro il castello a ll’uso antico con torri. Questo sito è di pura rocca costrutto nella guisa che dirò par­lando della struttura dell’alveo del lago e che non s ’accorda punto con quella del paese di Lugana, onde può credersi che avanti di Catullo potesse essere una pura isola, siccome adesso. Questa è lunga più di mezzo miglio, e larga meno, piena tutta di olivi, sterilissim a d i terreno; nella punta che guarda tra po­nente e settentrione si vedono ruine d’antiche fabbriche romane, che romane appunto comprovansi per le m edaglie che vi si tro­vano da i lavoratori di quella terra. Ma non è mio assunto il qui ragionare di antichità.

Del rimanente appresso a questo lago non vi è alcuna città, bensì luoghi grossi che meritano qualche distinzione ed il nome

1 E’ certo l’ is. di S. Biagio, che continua la punta di Belvedere, is. rettangolare preceduta da altri scoglietti.

2 L/a parte a golfo che si apre a SO. del lago.3 Veramente Catullo la chiama oceTle peninsularum insularumque,

quindi penisola ed isola insieme la considera il poeta. Ed anche oggitale si può considerare : un ponte la unisce a mezzogiorno con l’istmoche separa i due golfi di Desenzano e di Peschiera.

Il Marsili di«! che il canale ohe corre fra le due parti del lago l’hafatto tagliare il governo veneto, e poi aggiunge che forse anche altempo di Catullo era isola, poiché non c’è nessuna concordanza frala costituzione geologica dell’estrema parte della penisola — quella che sta a nord del borgo di Sirmione — tutta di roccia, e l’istmo, che assomiglia per composizione alla Lugana, cioè alla terra, leggermente collinosa che scende alla riva meridionale del lago. Quindi supponeil Marsili che l ’ istmo sia opera formatasi di poi e che più tardi si sia saldato alla terra dell’isola.

La penisola o isola è lunga oltre 4 Km. ed ha una larghezza variabile,

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di terre considerabili per le loro fabbriche e giardini o di agrumi o di a ltri frutti specialmente nella riva bresciana. Tusculano pretende di essere l’antico Benaco, tutto che gli sia contro­verso. 1

Maderno ha la prerogativa della prima istanza civile fra Salò e Limane inclusive. 2 Salò gode il primato, essendovi un nobil veneto col titolo di provveditore ed una intiera curia ci­vile, criminale ed economica che governa tutta la piaggia del lago bresciano. 3

La riva veronese immediatamente dipende dalla reggenza della di lei metropoli Verona dove risiedono potestà e capitano dell’ordine patrizio nobile veneto ed è presidiata dalla fortezza di Peschiera dove comanda un nobil veneto, e al piè de di lei muri dà il lago l ’origine al Mincio. T utti li comuni infraposti a Peschiera Ano ai confini del Trentino una o più volte l’anno s i ragunano a Torri per le loro economiche disposizioni di pa­gare quello debbono al Principe e sotto del Presidio del capitano del lago scelto come dissi dall’ordine nobile Patricio di Verona,

1 Toscolano è l’antico Tusculanum che vanta avanzi etruschi e romani. Altri avvicinamenti non abbiamo trovato di questa città con altre più antiche. Si veda F b a n . B e t t o n i - Storia della R iviera di Salò.

2 Maderno aveva il privilegio di un vicario, che giudicava le cause civili di tutta la quadra, cioè del territorio dei comuni di Maderno, Toscolano e Gardone.

Contro la sentenza di prima istanza si poteva appellare al Provve­ditore di Salò.

3 Un patrizio veneto era il capo della riviera bresciana e dimorava a Salò. Il suo titolo era quello di Provveditore di Salò e capitano della Riviera. Nominato dal Consiglio della repubblica e durante in carica 16 mesi aveva anche il comando per terra e sul lago dei soldati messi a presidio.

Amministrava anche la giustizia nel ramo criminale e misto: le cause civ ili erano invece decise da un altro giudice che aveva il titolo di podestà, risiedeva in Salò ed era nominato dal Consiglio generale di Brescia.

L’appello, contro questi e contro i Vicari di Tignale e di Maderno, era riservato al Provveditore di Salò.

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che fa l ’ordinaria sua residenza a Malsecene, terra ultim a verso il T rentino .1

Il genio delle nazioni attorno di questo lago specialmente bresciano è pel traffico, procurandosi m anifatture col beneficio della terra e dell’acqua. Sono industriosissim i, come ho detto per la cultura del terreno a comodo delle viti, ulivi, agrumi e altri frutti. Anno fatto con industria mirabile m ulini per la carta, particolarm ente nella terra di Toscolano col benefìcio del fiume d’acque sorgenti di tal nome. Le carte riescono bian­che, com’è noto nell’Ita lia e nel levante, per ragione dell’acqua che m olto assiste alla poca buona qualità de stracci che ven­gono som m inistrati etiandìo da paesi rem oti.2 N elle parti supe­riori di esso Toscolano, come al confluente del fiume Campione nel lago, ànno introdotte fucine e m agli da ferro, poiché condu­cono il ferro di prima fusione dalla valle Trompia a schiena di cavalli a questi edifici per affinarlo e ridurlo in tanti capi

1 Press'a poco la riviera orientale era regolata come quella occiden­tale : solo più raccolto nei rettori di Verona era ogni potere.

La magistratura maggiore era il Capitano del Lago, ohe aveva la sua residenza in Malcesine : lo eleggeva il Consiglio generale di Ve­rona, e ne approvavano la elezione o il Senato Veneto o i Rettori di Verona.

Tale magistrato aveva anche l’incarico di sorvegliare il lago e di impedire ogni forma di contrabbando od assalti per tale via.

A Peschiera aveva la sua sede un nobile veneto col titolo di Prov­veditore, poi c’era un Podestà che aveva potere giudiziario — giu­dicava delle cause civili — e da ultimo comandava al presidio un Con­testabile.

Tutti i Comuni della riva orientale — 18, in tutto, — erano riu­niti in una Federazione — detta Gardesana — e nominavano i loro rap­presentanti che costituivano il Consiglio Generale, radunantesi in Torri, «n el palazzo che fu già della fam iglia Calderini». (Si veda G. »Sol i t r o -

Bcnaco. Salò 1897) pp. 561-68).2 Antica fu l’industria della carta nel comune di Toscolano : docu­

menti la fanno risalire alla seconda metà del Trecento. Per di più la carta che ivi si produceva aveva grande bontà ed era adatta sopra tutto per la stampa : in Germania e nel Levante essa era esportata.

Si conoscono i nomi dei proprietari di molte cartiere sulle rive del Toscolano del quattro e cinquecento.

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m ercan tili.1 Anno l’imbianchimento dei refi e delle tele essen­dovi il tratto di riviera fra Fagiano e Salò preparato con lastri­camenti di pietruzzuole votando dell’istesso lago unite a mo­saico, sopra cu i distendono gli uni e le altre. 2

Gran parte degli abitanti alim entasi con la pesca di più sorti di pesce di squisitissim a qualità cioè trote, carpioni, sarde, tinche, lucci, anguille, che per le nom inate non solo ma più remote città si trasportano.

Sicché questo popolo ed in specie il bresciano è occupato fra le dette arti, m anifatture e commercio, tanto che non vi è chi vada per così dire elemosinando.

In fine la vicinanza della Germania facilita l’esito alla pro­duzione della natura e manifattura di quella gente.

CAPITOLO SECONDO

Esame delle rive e struttura organica del lago.

L’alveo e cratera di questo lago è composto di due parti. Una è fatta dalle sponde e l ’altra dal fondo ad esse infraposto. Le sponde sono da considerarsi in due altre parti. U na è quella

1 II ferro era lavorato in pivi d’un comune del lago: ma Campione era sopra gli altri famoso. Ne parla anche Jodoco nel suo poemetto, e dice che di « Capno » questa era la « virtus et industria maior ». Cave di ematite sono ancora presso Schilpario e a Darfo l’industria era ben viva prima, che fosse distrutto.

Il torrente Campione sfociante nel lago attraverso il paese aveva resa più facile l’industria con la sua cascata solenne.

Venezia — signora del Benaco — favorì quest’ industria, agevolando, con l'esenzione dai dazi, il trasporto di minerale, e la distribuzione dei prodotti lavorati.

Forni e fucine erano in Val Sabbia ed altrove.( M a s s i m o B o n a r d i - Il ferro Bresciano. Brescia, 1 8 8 9 ) .

2 La Riviera di Salò aveva anche l’industria dei refi e delle tele.Il l i n o greggio si esportava dalle altre p r o v i n c i e d i L o m b a r d i a e si

filava e si imbiancava nelle varie località della Riviera : la spiaggia poi fra Salò e Gardone, tutta ghiaiosa, si prestava assai all’opera di imbianchimento.

Pure la tela si tesseva a Salò ed a Gardone, e molti erano gli operai e le operaie addette a quest’attività.

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che rimane sopra la linea orizontale dell’acqua, e l’altra dh’è coperta da queste. I l fondo è costantem ente sempre sotto del­l ’acqua. Tal divisione che faccio è per osservare un ordine nella notomia che sono per fare dell’alveo, non giachè effettivamente fra esse parti siavi alcuna divisione, non essendo che una con­tinuazione deH’istesse materie, che lo com pongono.1

Le parti che sono sopra dell’acque sono patenti e facili da esam inarsi da chi che sia. Quelle che sono sotto dell’acqua in poca profondità in più siti si m anifestano cosi nel nostro lago, come nel mare. Le parti che passano una certa profondità non sono visib ili, ma solo con lo scandaglio si van distinguendo e deducendone la loro indispensabile struttura correlativamente alla parte delle sponde sottoposte al chiaro esame della nostra vista, e con l ’uso continuo della pesca se ne ritirano quelle tante parti che o queste compongono o in esse vegetano.

Sopra questa generale mia divisione doveva vertire la mia anatom ia di questo alveo o cratera del lago, riflettendo sempre alla parità di quello osservai negli alvei di più mari da me esam inati per la deduzione a suo tempo della promessa mia or­ganica struttura della terra. 2

Le sponde dunque di questo lago sono state da me conside­rate nelle loro diverse positure o piana o di colli m iti o di alti m onti, che vicendevolmente costano o di falde più o meno obli­que, o di rive precipitose, quasi perpendicolari.

Attorno del nostro lago non abbiamo la maggior pianura,

1 Buona è la distinzione che il ila r s ili fa, per anatomizzare il lago : l ’alveo e le sponde ; e buona pure è l’altra distinzione fra le rive uscenti dalle acque e quelle coperte dalle acque — distinzione però — aggiunge — che uon esclude che l’una parte e l'altra si considerino un tutto.

8 Pare che il Marsili non si stanchi mai di dire al lettore che non è solo la morfologia del Benaco che lo interessa, ma un argomento assai più alto, « l’organica struttura della terra », a spiegare il quale questa monografia limnologica ed altri studi costantemente mirano.

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che la descritta della L u gan a ,1 che al parer mio non è che un recesso delle acque del lago riempiuto dalle terre condotte da vicini colli per mezzo delle acque piovane defluenti per i rivoli costanti o variabili per ragione delle impetuose acque delle piog- gie. Del rimanente di sotto ad una certa profondità non è da dubitare che vi sia quella consistente ossatura che forma la riva montuosa, 2 e che, come si mostrerà, compone la struttura solida del nostro alveo, che è quell’istesso m i occorse osservare alle sponde del Mediterraneo nella Linguadoca infraposto a ll’istesso mare e linea de monti detti delle Savene in ora, che congiun­gono la linea dell’Appennino con quella de Pirinei e ciò viddi chiaramente con ogni comodo dalle vicinanze di Frontignano dove allora il re d i Francia faceva escavare un canale per l’unio- ne fra il Rodano 3 e l ’altro fam oso canale della congiunzione di due mari, Oceano e Mediterraneo, senza esporre le navi leg­giere a quel tratto procelloso del mare Mediterraneo, ed entrare per le bocche così pericolose del Rodano. Questo piano leva­togli l ’arena non era che una disposizione de medesimi strati di pietra che formano la descritta linea de m onti delle S aven e4 e l’alveo d i mare, che sarà da me a suo luogo e tempo e con fl-

1 Si stende al S. del lago fra la pen. di Sirmione e Peschiera, fra le quote 75 e 100.

E, come ben deduce dalle sue osservazioni il Marsili, è precisamente una breve piana alluvionale, prodotta dalle deiezioni che hanno interrato il lago presso la sponda, facendo retrocedere le acque. (Gortani).

2 Anche qui la deduzione è esatta, per quanto l’ossatura rocciosa della sponda meridionale del Garda sia notevolmente più profonda di quanto non potesse immaginare il Marsili, dato lo spessore dei depositi glaciali che vi si sovrappongono. (Gortani).

3 Allude certo al Canal des Étangs che mette in comunicazione il ramo più occidentale del Rodano, le petit Rhône, con il canal du Midi— il canale che unisce il Mediterraneo con la Garonna e quindi con l’Oceano Atlantico __.

Tale canale nella carta che il Marsili dà del litorale della Provenza (nell’Histoire de la physique de la mer) è chiamato canal Royal.

Frontignan è appunto su questo canale, a NE di Cette.4 Le Cevenne.

3

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gure e con ogni maggiore circostanza m ostrato .1 Questo è ap­punto l'istesso metodo del nostro lago ne -siti p iani che sono il mentovato della Lugana dalla parte veronese, l ’altro della Ca­pra fra Toscolano e Ma d ern o2 nella sponda bresciana, come pure attorno di T orri3 nel veronese, ed in a ltri s it i che non sono che anguste pianure form ate dalle terre condotte dalle ac­que delle nevi che si liquefano e dalle pioggie, ed in fa tti a po­chissim a profondità si trova l’istess’acqua del lago che sotto di sè ha il suolo della pietra istessa, che forma le sponde sopra d ell’orizonte dell’acqua del Lago.

Le sponde formate da colli che term inano al lago con falde m iti sono coperte egualm ente dalla comune cute terrea, solo a loco a loco tagliata o da perenni rivoli o iìum icelli o da tor­renti che conducono acqua ne tempi di pioggia o di liquefazione di nevi, che ànno i loro fondi coperti di ghiaia, e di pietre tonde di grossa mole, e particolarm ente nella pendenza del monte Baldo infraposta al Promontorio di San Y ilio, ed il villaggio a lu i superiore detto Montagna, 4 si vedono lastricati dalla con­tinuazione di strati di marmi, correndo le acque massime pio­vane dentro di tanti alvei naturali di puri marmi bianchi m isti di rosso e di giallo di diversi gradi, aspetto assai curioso, par­ticolarm ente perchè non si ha l ’occhio assuefatto.

La cute terrea 5 per la grossezza sua è varia, avendola ritro­vata in vari siti di mezzo piede o di un piede, di due, di tre m isure d i Francia. 6

1 Pare fosse intenzione del M. anche su quest’argomento fermarsi, e non si può supporre che con quest’accenno egli voglia alludere alla sua H istoire physique de la mer, chè questa stava per uscire, mentre egli adopera il futuro, come cosa che deve cominciare ad essere.

2 Le carte indicano la pianura accennata dal Marsili, che va da 65 m. a 125, ma non adoperano il nome già usato.

3 La pianura che si estende intorno a Torri e che è tutta compresa fra la quota 65 e 100.

4 S. Zeno di Montagna?5 Così chiama lo strato di terra o terriccio o strato di alterazione che

ricopre la roccia viva.6 II piede parigino o piede del Re è = a m. 0,324.

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In luoghi dove la grossezza passava queste misure non era naturale, ma accidentale per terra condottavi, rasa e sdruccio­latavi dagli a lti monti vicini per ragione delle acque, e perchè mancandole sotto il piede, cade a gran pezzi, e talvolta fermasi al piè degli erti monti, da dove cadette formando colli che chiamo avventizi su quali i paesani fanno una m igliore cultura col piantamento di vigne, e oliveti, che meglio qui vegetano, perchè la terra ha una maggiore profondità che non si trova quando la medesima cute terrea è nella sua naturale grossezza e p ositu ra .1 Questa unione di terra e ghiara caduta ed ammas­satasi, come ho descritto, al piè degli erti monti, è passata nel fondo dell’istesso lago, elevandosi tanti colli e nel fondo e alle sponde sotto acqua, che servendo a meraviglia pel parto delle ova de Carpioni, i pescatori avidi di questi hanno tu tti rico­nosciuti, e dati loro i propri nomi. 2 Questi carpioni a lla pro­fondità di 150 e 200 passi sono, con bell’arte e disposizione di reti, pescati, come dimostrerò a suo luogo parlando de viventi in questo lago. Perchè possa il lettore comprendere meglio la disposizione di questi accidentali ammassi di terra rasa e m i­nata da m onti e ferm atasi ora nella sponda asciutta ora in quella sott’acqua, ed anche nel fondo istesso maggiore, pongo la figura prima, che rappresenta un profilo di questi acciden­tali, ma frequenti rovine di terra, ed in specie dove i monti sono più erti, per lo che ànno le loro sommità tutte nude, chiara ed apertamente mostrando la struttura loro lapidea. 3

Sotto della terrea descritta sostanza abbiamo in queste rive un materiale di pura pietra disposta in S : S : S : ora di piena ed

1 Accenna qui al vario accumularsi di materiale di disfacimento pro­dotto per degradazione meteorica e convogliato dalle acque correnti.

2 La necessità della pesca ha portato con sè la conoscenza della varietà dei fondi : però è sempre una conoscenza approssimativa, non sicura : di essa, come unica fonte, si vale il Marsili.

3 II Marsili osserva che dove sorgono monti ripidi e di nuda roccia, ivi, ai loro piedi, o nel fondo del lago debbono trovarsi più frequenti gli ammassi di materiale ; poiché giustamente ha notato che su di essi non si può formare Io strato di alterazione, facendo le acque e la gra­vità precipitare in basso i materiali di sfasciume. (Gortani).

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uguale e continuata durezza ora di rottam i della medesima pie­tra, fa tti più tosto di accidentali ammassi d i quelle pietre che dal tempo si sono rotte per g li accidenti, che a basso si diranno, e che altri attribuiranno, non senza verosimilitudine, in parte allo sconvolgimento che cagionò il diluvio particolarmente nelle parti superficiali de monti. A ltri sono unioni di ghiara e di pie­tre sciolte che dalli sdrucciolam enti ànno preso la forma quasi rotonda.

Gli strati che sono disposti in questi monti attorno del lago, di pietre di diverse durezze, ma fra loro di sostanza uguale, os­servano il corso di regolati strati d istin ti da linee di grossezza di tre dita al più, che, siccome un cemento, pare che leghino uno strato coll’altro, e che da fossori delle pietre sul monte Baldo si chiamano la d in .1 In questi strati a distanza diverse di 6, 15, 20 fino a 30 piedi sono vacui a dette vene, che con tortuose linee vanno verso al centro della terra, e che sono riem piuti per lo più di una finissima e molle terra e ne siti dov’è il marmo di miniera di ferro fino. Tali linee in m olti s iti non si profondono m olto, ma in altri vanno a profondità che i cavatori non arri­vano a conoscere. Tali divisioni quasi perpendicolari sono la causa che non possono tirar pietre e marmi di quella maggiore lunghezza che vorrebbono.

1 L’idea del Marsili, meglio precisata da vari suoi schizzi ed appunti, è la seguente :

Sotto la cute terrea (cioè sotto lo strato di alterazione e di ter­riccio) esiste sulle rive o un materiale roccioso unito, o un materiale roccioso frantumato per varie cause (e spiegherà poi che si tratta del­l ’azione del geli e del sole), e a frammenti angolosi o anche arrotondati durante il trasporto. Il materiale roccioso, che forma i monti attorno al lago, è regolarmente stratificato ; 1 giunti o interstrati (chiamati la­dini dai cavatori) posson essere larghi fino a tre dita e contenere anche materiale diverso. Normalmente ai piani di stratificazione, la roccia è rotta da vene (fratture) disposte a distanze irregolari, aventi decorso tortuoso ma dirette in complesso secondo la verticale; di varia pro­fondità e riempite di terra o di minerale di ferro (ocre).

Si noti la rigorosa esattezza di tali osservazioni, veramente mira­bili per il tempo In cui furono scritte, e impeccabili così per rigore di logica come per accuratezza di visione. (Gortani).

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Queste vene non sono universali, come sono le linee mento­vate ladin, che vanno quasi orizzontali e che distinguono fra loro li strati. Tutto quello che ho detto si vede nell’ annessa figura. 2a in cui sono descritte le parti de solidi strati, come quelli ammassi di rottam i predetti e di ghiare soliti unirsi dove sono fondi e s iti vacui, dove, levati che fossero questi m ateriali avventizi lapidei, si troverebbe la continuazione della pietra solida continuata eoll’istess’ordine delli strati descritti.

Questi strati appariscono nello stato loro naturale in ambe le rive del nostro lago quando non siano sta ti corrosi dagli accidenti delle pioggie, de ghiacci e tanti a ltri che la lunghezza del tempo cagiona se col corso loro regolato da ponente estivo nell’oriente estivo si vedono precisam ente.1

Nel monte Brione, 2 nella punta di Rivamolle, nella punta di San Giacomo, nel monte Agu 3 sopra Torri, nella rocca del S a s s o 4 vedonsi li strati naturali corrispondenti, come appa­risce n ell’ iatessa tavola dalle figure 3, 4, 5, 6, 7, 8. V i sono aspetti nella superficie degli strati, che coprono la vera causa della descritta struttura degli strati e questi sono quelli che ho detto di sopra provenire da accidenti di pioggie e di rotture di quelle parti che hanno cagionato un aspetto diverso dal na­turale sino ad una certa profondità. 5 Fra Limone e punta di

1 Ambo le rive mostrano la costituzione anzidetta tutte le volte che non sono intervenuti a mutarla accidenti vari — piogge e ghiacci —

Altra affermazione qui constatiamo: oltreché le acque correnti, i ghiacci sono alteratori della forma delle varie parti della terra.

2 Alto 376 m. fra Riva e Torbole, fatto a semicerchio, con la conves­sità verso or.

3 Da quello che dirà poi e dalle tavole che sono in fondo alla mono­grafia il m. Agù non è sopra Torri, ma sulla sponda opposta, ad occ. di Toscolano. In una tavola il m. Agù (oggi Gù o Pizzòcolo) è sepa­rato dalla vallata del Toscolano dal m. Castelletto, che finisce con la punta della Corna, vicina a Bogliaco. (V. fig. 6, alla tav. I).

4 Nella sporgenza di Manerba (riva bresciana).5 Gli strati possono non presentarsi come dovrebbero essere, se cause

varie ne hanno turbato l’aspetto. Diversamente essi appaiono perfetta­mente corrispondenti.

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Rivam olle per ta li accidenti si veggono i strati ridotti in globi, come nella tav. 2, ftg. 1, nel monte Agù si scorgono ridotti in seghe (fig. 2).

Nel più alto di monte Baldo paiono in certi siti perpendi­colari alla terra, e capaci di esser d ivisi in m oltissim i strati quasi a sim iglianza della pietra lavagna, e ciò dimostro con le figure 3, 4, 5 nella medesima tavola.

N el monte Castelletto vedonsi pure li strati rovinati dal- 1? acqua con la fig. (>. D alle quali figure chiaramente si racco­glie che tale alterazione di strati, quale in una quale in altra forma nasce da mentovati accidenti, mentre per altro ne luoghi dove questi medesimi strati non sono guasti per accidente ve­runo sono, siccome ho detto e dimostrato nelle prefate figure della tavola prima, in tutto e per tu tto corrispondenti.

Da notati accidenti si fa chiaro, che il superficiale aspetto degli strati non deve ingombrare la mente di chi l’osserva per dubitare, che la disposizione degli strati nella gran fabbrica del mondo non abbia avuto il suo sistem a regolato, e che piutosto sieno un effetto del caso, come io, quando ero nell’Elvezia, sta- vane in dubbio vedendo attorno de laghi così frequenti della medesima le sponde con i strati superficiali in quelle varie forme che feci delineare dal Mayer pittore di V intertur 1 in un libro che conservo appresso di me e che permisi al mio com­pare Saiser 2 di copiare che poi stampò nell’opere sue ; e ne po­steriori m iei a ltri viaggi per l ’Europa ne osservai anche in d i­verse altre figure, che ho conosciuto chiaramente accidentali per le tante addotte ragioni, e ciò avviene nella superficie; che se addentro, come in alcune miniere ho veduto, provengono da quelle inclinazioni diverse, che l’Eterno facitore dar volle al corpo de’ monti, come si mostrerà nel trattato della mentovata struttura organica della terra, perochè nel corso della terra vi è quell’istesso regolato sistem a che vediamo nell’altre gran fa t­ture di dio e quelle irregolarità che incontriamo di continuo nelle diverse parti di questo globo, non furono così fatte a prin­

1 Winterthur.8 Chi sia costui non in' è riuscito di stabilire.

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cipio, ma prodotte da tante cause morbose, che da lu i si per­mettono acciochè svenga ed illanguidisca per poi a suo tempo estinguersi a sim iglianza de corpi de v iv en ti.1

S i vedono alterate le corrispondenze esatte degli strati fra una riva e l’altra del nostro lago, per ragione delle diverse in ­clinazioni fra esse nelle loro falde, atteso che quelli de monti più alti, come del Monte Baldo, e respettivamente a ll’orizzonte dell’acqua del lago paiono prossimamente perpendicolari ad esso, laddove quei de monti men’erti dimostrano un angolo sul­l ’orizzonte medesimo più ottuso; e questo aspetto, che punto non altera 1’ interno ordine degli strati, 2 chiaramente in’ inse­gna, unitevi altre circostanze, la formazione de monti, che a Dio piacque fare per dividere dalla terra le acque, lo che mo­strerò nella prefata struttura organica della terra col fonda­mento non di sole specolazioni, ma dimostrazioni di fatto, al­cune delle quali pure in questo lago si riconosceranno.

N ella sponda del Monte Baldo fatta sopra Torri col comodo delle cave di quei marmi ho fatto più osservazioni circa le parti che lo compongono fra il descritto ordine degli strati, e queste sono state nella varietà de marmi per i colori e durezze, ma fra le cose più curiose notai, che la pietra di marmo in questo monte nella superfìcie doppo una piccola scorza comune è alle volte di colore più vivo, di durezza maggiore, ed altre volte in mag­giore profondità gode di questo m igliore stato, e nella parte superiore non così. N ell’inoltrarsi negli strati più profondi uni­

1 Le irregolarità esterne — rispetto agli strati — sono prodotte da cause esterne che più sopra ha dette e ripetute: quelle interne sono dovute a cause morbose sconosciute, permesse da Dio perchè il corpo terrestre, a somiglianza dei viventi, compia il suo ciclo vitale.

2 Questo passo riveste una speciale importanza, perchè è uno dei primi accenni a ll’originaria continuità degli strati costituenti monta­gne elevate e alla possibilità di dedurre dalle dislocazioni di essi il modo di formazione dei monti. Veramente ardito, per il suo tempo, è il tentativo abbozzato dal Marsili, di rintracciare la corrispondenza pri­mitiva degli strati così diversamente disposti sulle due sponde del lago. (Gortani).

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versalm ente si perde la durezza e il colore; ed alla fine arri­vando alla profondità di 12 o 14, fino a 15 piè cessa la sostanza marmorea 1 succedendo g li strati di pura e comune pietra, eh’ è per il resto del monte, come se questa sostanza marmorea fosse stata iv i posta dalla natura, in quella guisa che il giardiniero infrapone la terra fertile dentro un vaso, dov’è materia diversa e sempre coll’ordine descritto degli strati fra loro solamente differenti nell’essere di diverse altezze, e sempre con le solite infraposte linee chiamate dagli artefici ladin e le altre scissure dette vene, che vanno verso il centro della terra tortuosamente col nome e circostanze sopradescritte. In alcuna di queste cave trovai pavim enti interi fa tt i da una indicibil copia di cortina am m onis che sono nella superficie d i ogni nuovo strato che si leva da cavatori, di grandezze diverse, avendone io sino del dia­metro di un piede, con strutture diverse fattane una particolare raccolta per esam inarle (come feci del modo con che queste si erano introdotte) se non la loro naturale corteccia testacea pel tempo perduta al meno la forma rim astavi, ed in fa tti mi riuscì di scoprire quel molto che non è qui luogo di dire. N elle cave dove sono queste cornua ammonis in tanta copia, non si trova che un solo e ben di rado diverso testaceo. 2

In un’altra cava detta la Camilla fra quegli strati incontrai

1 II Marsili nota che in vicinanza di Torri, là dove sono le cave— cioè a S. del borgo — il marmo ora è migliore se superficiale, ora se profondo ; ed aggiunge che per lo più durezza e colore scemano e si fanno méno vivaci con la profondità : ad una certa distanza poi dalla superficie cessa il marmo e comincia la pietra solita.

E ’ una pura constatazione che il Marsili fa e perciò non si ferma a spiegarla. Anche qui nota fra strato e strato, come altrove, linee infrapposte, e nel senso perpendicolare vene, tortuosamente moventisi.

2 Prova delle accurate indagini del Marsili è anche questa osserva­zione che alle Ammoniti (o Corni d’Ammone), frequentissime in certi strati dei marmi di Torri (la celebre fauna giurassica del Capo S. Vi­gilio), ben di rado si accompagnano fossili di altro tipo. (Gortani).

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di quelle pietre che hanno il nome di occhi di serp en te,1 ma di grandezza e colori e pellucidità differenti da tu tti quelli che si sogliono avere nell’isola di Malta, come puhe altri corpi di fi­gure che non saprei a che assom igliarle, ma di una materia bensì eterogenea incastrata dentro della sostanza marmorea, fragm enti da me posti tu tti nella loro serie. D i sopra notai che nella cava del bel giallo si trova miniera di ferro di ottim a qua­lità , non con un corso di linea, come suol tenere questo mine­rale, ma a pezzi disposti dentro la sostanza del marmo o pure vacui delle vene descritte.

Questo marmo ha di particolare che posto nel foco di giallo diventa rosso, praticando gli artefici di marmi una particolare industria per fare un m isto di giallo e rosso per mezzo del me­desimo fuoco, effetto indubitatam ente della natura del ferro, eh’ è più abbondante dove il g ia llo è più denso e più scu ro .2 No­tizie che ho di leggieri toccato, perchè il lettore sappia d i qual natura di pietre oltre la comune siano com posti questi strati, che formano il corpo della montuosa sponda del nostro lago.

Passo a ll’altra ed ultim a specie di rive, ch’è quella di rupe che nel nostro lago com incia alla punta di San Giacomo nella parte bresciana, e che va sino a Riva, non ammettendo, come ho detto nell’antecedente capitolo, che pochi s iti d’approdarvi e da camminarvi. Questa è composta di strati che sono tuttavia in ­ta tti anche nella lor superficie nella stessa punta di San Gia­como dall’ ingiurie del tempo, come m ostra la fig. 5 della, ta ­vola prima, e che è un processo degli alti m onti bresciani. S i co­

1 Non certo quarzo nè agata sono questi « occhi di serpente », ma bensì fossili. Gli « occhi di serpente » dell’is. di Malta sono denti di pesci. Forse qui corrispondono alle belemniti o abrachiopodi del gruppo di Terebratula diphya. (Gortani - Forti).

2 II cambiamento di colore è dovuto a un fenomeno di disidrata­zione ; anche la limonite (ocra gialla) è un idrato e la ematite (ocra rossa) è un ossido (del ferro. (Forti).

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n o sce1 che questa rupe quasi perpendicolare a ll’orizzonte del­l ’acqua del lago è in tal guisa restata quando si aperse per bi­sogno dell’alveo la mole lapidea del globo nella forma, che mo­strerò nell’ enunciato trattato della struttura organica della terra, non solo per i laghi, ma per i mari ancora, mentre sopra la medesima veggonsi pianurette, e colline abitate, che vanno ad unirsi a diversi gradi di altezza ai maggiori de monti del Tirolo.

Qui sono frequenti quei colli accidentali, che ho descritto farsi a piè dell’erte rive sopra e sotto dell’orizzonte dell’acque per cagione delle pioggie, attesoché in ogni piccola distanza col comodo di questi sotto acqua vi sono le pesche de’ carpioni che sopra di essi si fanno in sì considerabile profondità. Pochi anni sono in faccia a M alsecene d i Per ei sito di Jensel 2 nel sito presso la punta di questa riva rovinò nel lago un gran pezzo di rupe, che ne luoghi circonvicini ed in specie in Malsecene recò un tale spavento che gli abitanti sentendo il rimbombo nel­l ’acqua e vedendo il di lei considerabile accrescimento che per una lunga estensione si fece nel lago, credevano di essere alla fine del mondo, finché non conobbero la causa di tal rimbombo e mozione nell’acqua. Si vede da lontano il vacuo che là lasciò la caduta parte di questa riva precipitosa. Questi accidenti non in così gran mole, ma in piccoli pezzi sogliono succedere non solo in questa riva, ma nel monte Baldo, quando cominciano a liquefarsi li ghiacci che si erano uniti nell’acque fermatesi in certi seni fra gli strati delle pietre perchè in quel tempo per la liquefazione di essi si sciolgono in pezzetti le pietre, che nel­

1 La sponda bresciana da S. Giacomo fino alla città di Riva è quasi verticale rispetto al piano delle acque del mare. Sulla sommità questi monti sono intatti, poiché minimamente su di essi hanno operato le forze esterne, ghiacci e piogge. Però da essi sono stati frequenti i scivola­menti di parti di rocce o di rocce intere.

T ali alture come si colleganó con quelle del Bresciano, cosi si uniscono ai monti del Tirolo : alla cima sono modellate a piccole pianure.

* P. di Corlor e Riva Nanzel rispondono alla p. Per ed al sito di Tensel, che il M. erroneamente chiama Tenzel.

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l ’istesso verno per causa del medemo ghiaccio si sentono crepi­tare facendosi aperture nell’istessa sostanza sassosa, che poi si scioglie e precipita. A tali infrantumi non meno contribuiscono certe pioggie di estate sopra le pietre che sono per così dire dal cocente sole infocate quando il medesimo fervido sole ritorni cessate le medesime pioggie, macchiandosi le pietre d’un colore fra il nero e cineríceo, e gli esperti di Monte Baldo me ne de­scrissero effetti ruinosi, doppo si può dire d’un così fatto fer­mento dell’acqua e pietra così in fu ocata .1

Le circostanze della struttura delle sponde piane e montuose a più gradi di altezza, che sono sopra dell’orizzonte dell’acqua ho descritto col fondamento dell’ispezione oculare. Sotto del- l ’acque ogni ragione vuole che la medesima struttura continui non solo fino al fondo, ma nel fondo istesso per una ordinata continuazione delle parti d escr itte .2 Oltre a questa ragionevole deduzione, in più siti di questo lago vi è stata pure l’ispezione oculare fino sotto acqua a quella profondità che è permesso e questi sono fra la torretta della valle e l’isola dei F rati veden­dosi la communicazione fra le due isole per i strati loro con­giunti. D alla punta della Corna si vedono strati sott’acqua. S i comunicano sott’acqua quelli della Bocca del Sasso partendosi in due linee, una chiamata traversagna, l ’altra de’ scoglietti come diffusamente sta espresso nella spiegazione annessa a quelle figure che per maggiore intelligenza ho creduto a propo­sito fare. 3 N ell’ isola di Sirm ione si m ostrano pure evidente­

1 Si noti la sintesi, notevolmente efficace e sostanzialmente giusta, che il M. fa qui sulle sue numerose osservazioni intorno all’opera di disgregamento prodotta dai ghiacci, dalle piogge e dal calore del sole : le pietre si frantumano per questi agenti e poi vengono, più facilmente, trascinate in basso.

2 Per deduzione logica, se le rive visibili sono cosi come furono de­scritte, quelle coperte dalle acque debbono presentare uguale ordina­mento ed identica conformazione.

3 Qui certo vuole il Marsili accennare alle due linee scogliose, per entro le quali ha potuto penetrare con I suoi occhi, quella che dall’is. di Garda o dei Frati va verso la punta di S. Fermo — non alla punta del Corno (non della Corna) come afferma — e l’altra che muove verso la punta di Belvedere, non alla rocca di Sasso. Questi sono gli insegna- menti che ci offre la carta idrografica della R. Marina.

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mente continuati sott’acqua gli strati, e finalmente alla d irit­tura della punta del Grò 1 da dove parte la linea delle pietre rotonde che facilitano la fusione del ferro, l ’istessa linea si vede insinuarsi dentro del lago.

D i tutte queste descritte particolarità vi sono i d isegni d i­p inti nella Tav. 3a fìg. 1 :2 :3 :4 :5 :6 ;, perchè ognuno comprenda in un’occhiata questa continuazione delle sponde sotto dell’ac­qua non solo in quello che ocularmente distinguesi, ma che col­l ’in telletto comprendesi pel rimanente anche con l ’aiuto de’ scan­dagli de’ diversi fondi sotto dell’acqua, come per esempio l ’unio­ne ch’è fra l’isola d i Sirmione e fra San Y ilio e Garda, che sono di pura pietra, o rocca continuata fra diverse profondità, come pure si m ostra nelle settioni. 2

Da tutte queste dimostrazioni oculari e per scandagli con­viene dedurre che la cassa o cratera del lago sia composta della sostanza delle descritte qualità, e disposta a S. S. S. con quel­l ’ordine che ho descritto e che la natura di tratto in tratto ab­bia lasciato legature di pietre come quella da Sirmione verso Garda, non visibile, ma percettibile con lo scandaglio.

A lla dim ostrazione d i questa organica struttura del lago contribuirà non poco la dim ostrazione delle tante larghezze e profondità che ho con le misure della navigazione della pre­detta barca e co’ scandagli pigliate. Le larghezze diverse re­stano individuate per la scala annessa alla mappa, le profon­

1 La punta di Grò è segnata dal Marsili ad E della pen. di Sir- mione, ed è la sporgenza che più si insinua nel lago in questo tratto, bassa, triangolare. Le carte non la segnano con alcun nome.

Da questo punto s’avanza una breve serie di scogli che non giunge all’altezza della punta di Sirmione: uno si avanza anche verso questa penisola. Tali scogli sono rotondeggianti.

2 In queste tavole il M. vuole dimostrare che fra la punta di Sir- mione ed il capo S. Vigilio e il vicino paese di Garda corre una linea di tenue profondità. E difatti, due aree di minor profondità si avan­zano da S. e da N. abbracciando buona parte del lago. Queste aree hanno poi qua e là brevi tratti a scogli o di assai minore profondità, così che s i pud supporre due coste non oltre i 35 m. protendentisi in senso opposto e separate da un breve solco più profondo.

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dità per i numeri. La m oltiplicità delle settion i o profili qui annessi daranno un idea generale della capacità che la natura ha prescritto a questo lago proporzionata a quella mole di acque che vuole conservi in s è .1

Da questi m ostrasi come le maggiori profondità in questo lago sono appunto, come de mari, sotto dei monti più a lti, lo che abbiamo osservato sotto monte Baldo, e le profondità loro si vanno vicendevolmente cambiando appunto con la proposizione dell’altezza della vicina sponda, e dove l ’acque del lago ànno una vicina pianura com’ è quella della Lugana sono anche minori. 2

Per esattam ente terminare la notomia di questa cratera ho trovato necessario di fare venti profili, cioè 19, pel traverso del lago espressi nelle tavole 4, 5, 6, 7, 8, ed uno che vada per lo lungo dal principio di Torbole sino al fine, m ostrato con la tav. 9. I primi undici si sono presi in a ltrettanti diversi siti dove il lago è più angusto, e g li altri 8 dove più ampio, ed il grande per lo lungo, che comprende l’intero corso di esso.

T utti li s iti sopra cui cadono sì fa tti profili si veggono se­gnati con diverse lettere tonde piccole con una linea viva nella mappa idrografica che serve per tutte queste dim ostrazioni fi­siche, come ho già detto.

Ognuna di queste settioni m ostra l’altezza prossima delle rive sopra l’orizzonte delle acque e la continuazione di esse pre­

1 II Marsili pensa che la natura abbia dato alla cratera del lago una determinata capacità e che in proporzione di essa siano le acque. Cosi enunciato il concetto marsiliano pare ovvio. Però egli dà alla sua idea un significato di tanta prestabilita fissità che vengono escluse logicamente tutte le cause vere che hanno determinato il lago e ne re­golano la vita mutevole.

2 Qui ripete ciò che ha già detto nell’H istoire physique de la mer, e che non possiamo non considerare come una conquista dovuta al Mar­sili e da lui tratta dall’esperienza.

Da più scandagli nel mare aveva potuto constatare che le profon­dità maggiori erano presso le rive più alte, e qui osserva che il fatto si ripete. Perciò considera come legge questa che gli risulta da tante constatazioni.

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rise sino a l fondo col mezzo di scandagli, non meno la lar­ghezza superiore m isurata col sopradetto moto di una na­vicella.

I numeri che sono scritti appresso di tutte le linee perpen­dicolari fatte co’ punti indicano quanti passi, ciascuno de’ quali calcolo sei piè di Francia, sia lungo, componendo ciascuna di esse una diversa profondità. In alcune di queste settion i ho notato i corsi de’ strati che è quello si dee supporre nell’altre che per brevità si tralasciano, che appunto corrispondono a quelle individuali figure, che sopra ho notate.

Le settioni che tagliano per traverso il lago, cominciano il primo dalla parte superiore del lago alla punta detta la Madon­nina opposta a ll’altra riva ad una rocca distante tre quarti di m iglio da T orbole,1 e successivam ente s i continuano l ’altre tutte.

II fondo di tu tte queste settioni ha una terza parte da me supposta della profondità, che di presente dee sussistere proba­bilmente d istinta con fragmenti di pietruzzuole, arena e loto eh’ è quell’ammasso di ta li m ateriali condotti dalle pioggie e fiumi e rivoli dentro del lago, che copre il fondo naturale, e che ragionevolm ente con invecchiarsi, che fa il mondo, debbe sempre crescere, im possibilitando maggiormente il penetrare con al­cuno stromento quel suo primo naturai fondo che dal creatore gli fu dato. 2

La settione per lo lungo, che ho detto cominciare dalla riva superiore, dove comincia il lago a Riva e Torbole sino al suo em issario sotto le mura della fortezza di Peschiera, dove co­m incia il Mincio, fa comprendere in un’occhiata, come imme­diatam ente sotto le m aggiori altezze de monti sia il lago più

1 Le carte moderne hanno La Madonnina sulla costa veronese, a S. di Torbole : invece il Marsili parte da una punta, a S. di Riva, chia­mata nelle sue carte P. della Madona, sino all’opposta sponda. Met­tiamo qui le misure del M. ridotte a metri e gli scandagli offertici dalla carta idrografica Mar. 124 m. 220 m. 303 m. ; Carta idr. 74 - 158 - 152 - 116 - 5.

2 Arbitraria è questa determinazione dello strato depositato di ma­teriale recato dalle acque o precipitato dai monti ; però il Marsili dice che è una sua supposizione.

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profondo, ch’è quello osserviamo precisamente sotto del sito, dove monte Baldo è più alto, che corrisponde al sito detto Ma- gugnano in faccia del Prato della Fame e così successivamente ta li profondità sono regolate a ll’altezze diverse de m onti a t­torno delle rive, e finalmente vediamo per quest’istesso profilo che l ’alveo del nostro lago nello slontanarsi che fa della mag­giore profondità verso il di lu i emissario, sempre si inalza.

Da queste dim ostrazioni di fa tti ne deduciamo che la pro­fondità maggiore che siasi ritrovata in questo lago fra Magu- gnano e Prato della Fame, e appunto sotto del più alto sito del monte Baldo che è di 340 passi, cioè piedi di Francia 2040: 1 che tanto è la linea de punti (*he dall’orizonte superficiale dell’ac­qua cade perpendicolarmente al fondo moderno occidentale; ma calcolato dim inuito d’un terzo per i prementovati ammassa­m enti di pietre, di arena, e di terra convertita in lo ti di diversi colori, bianco, cireniceo e scuro, viene ad essere la differenza fra quest’accidentale fondo, ed il naturale di 680 piedi di meno, la qual differenza aggiungendola alla moderna linea di profon­dità, sarebbe stata 2720 piedi che secondo la vista doverebbe prossimamente rispondere a ll’altra perpendicolare dell’altezza del Montebaldo rispettivam ente adl’orizonte dell’acqua del la g o .2

Potrebbesi per avventura opporre, che se è cresciuto in al­tezza il fondo del lago per la terra rovinata da monti, sarà ca­lata nel tempo medesimo l’altezza de m onti; ma può rispon­dersi, che l ’accrescimento dell’altezza al fondo del lago si è fatta per le coste laterali de’ monti non già delle cime loro, che saranno calate di .poco. 3

Il monte può essere qualche cosa più alto per l’aggregazione di m aterie vicine; e forse una volta col benefizio del barometro nelle due stattioni, una a ll’orizonte dell’acqua del lago, l ’altra alla sommità maggiore del Monte Baldo si potrà anche meglio dedurre il verosimile. Da questa gran profondità il piano del

1 Oltre 652 m., mentre la carta idrografica dà sedo 346 m.2 II m. Baldo elevato appena 870 m. !3 Anche questa è conclusione arbitraria : s’ abbassano anche i monti,

oltreché i loro fianchi perdono di continuo materia.

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lago sino al principio del suo em issario pel Mincio ascende alla sola profondità di 12 piedi organizzazione datali dalla natura perchè questa mole di acqua che risiede nel nostro lago rimanga a quel livello che l’economica disposizione ricerca per questo e per gli a ltri laghi, che ho avvertito essere disposti alle radici esteriori o ulteriori di queste A lpi dividenti l ’Ita lia dalla Rezia e d a ll’E lv ez ia .1

La necessaria conservazione di questo livello, che la natura vuole con un così leggiero scarico costante dell’acqua, si mostra nella maniera che individuerò, contro g l’impetuosi venti da qualunque parte che vengano.

Fra la punta dell’isola de F rati ed il Promontorio di San V ilio e fine della valle d i Salò, benché il lago iv i siasi molto dilatato, con tutto ciò è una profondità in esso, che occupa tale spazio che variasi promiscuamente e che al parere mio pro­viene dalla vicinanza degli a lti m onti che sono nella linea di Monte A gù nella parte B rescian a2 secondo i l preso sistem a che le profondità sieno regolate dall’altezza de m onti vicini, perchè approssim andosi verso Peschiera, tanto i profili che i numeri nella mappa puramente idrografica mostrano la dim i­nuzione de fondi sì per l ’ampiezza che piglia il lago come per esser cinto in tal plaga di m iti colli.

Da tu tti i profili si vede che il fondo dove il lago è più an­gusto fra le sponde bresciana e veronese pende verso la mede­

1 La poca profondità del lago a ll’uscita del Mincio — da 4 in. ad 1,20 m. secondo la carta idrografica, circa 3,80 m. secondo il Mar- sili — non è attribuita a cause naturali ben facilmente elencatili, ma all’intento della natura di trattenere entro la cratera del lago una determinata quantità d’acqua, quale vuole la sua capacità.

2 Fra l ’is. di Garda e la punta, di S. Vigilio il lago si allarga in parecchi ampi seni ; ed il Marsili osserva che malgrado il suo amplia­mento ha profondità notevoli — e difatti c’è una fossa fra 150 e 175 m. ampissima che ha intorno una regione fra 100 a 150 m. —, il che certo è spiegato dalle alte terre che s ’elevano sulla sponda bre­sciana, mentre verso Peschiera le profondità diminuiscono assai — e questo risponde pienamente al vero — e del pari scendono al lago terre assai basse.

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sima parte veronese, la quale dimostrazione non dee preterirsi a fine di intendere un certo metodo che osserva costantem ente la natura nelle correnti (?he si individueranno a suo luogo.1

Così parmi avere bastantemente posto in chiaro la continua­zione delle rive sopra dell’acqua sino al fondo, e che queste sieno composte di sostanza pietrosa a S : S : S : disposta e che fra va­rie distanze vi sieno legature pure di linee di pietre quasi desti­nate a tenere più forte, ed unita la cratera, e che l ’isole che so­vrastano al livello superficiale dell’acqua sieno una ramifica­zione delle rive pietrose, che in più e meno d i altezza sorgono sopra d ell’acqua, 2 e che le larghezze e profondità di essa sien varie e non a caso fatte per le diverse ispezioni di dovere dare ricetto a maggiore e minor quantità d’acqua secondo l’econo­mica disposizione della mole acquea, e per ricevere in sè tante parti eterogenee d i loto, d’arene, di pietre condotte dall’acqua per fiumi 3 e fa tte per acque piovane e liquefazioni d i nevi ch’essendo più facile a piè degli a lti monti, anche qui la na­tura ha costitu ito tanto maggiori profondità che pure sono un consecutivo delle formazioni de monti, come si vedrà nella detta dim ostrazione della struttura organica della terra.

Questo è quello che in tu tto quasi corrisponde con la cra­tera o alveo del mare, che sino dal principio delle mie osserva­

1 Ciò che qui afferma il Marcili non è esatto : la linea di maggiore profondità è nel mezzo, ma questo solco è più inclinato, in generale, verso la riva bresciana che non verso la riva veronese, cioè più ripido è il declino della sponda bresciana che quello della riva veronese, tranne in pochi tratti, ad es., a N., verso l’ antico confine^ italo-au- striaco.

2 Le Isole e gli scogli sono segni sicuri dell’andatura del fondo : uniscono le rive che continuano con quelle che sono distanti : sono le­gature come dice il Marsili.

3 Qui ancora una volta ripete che gli ampliamenti del lago in seni e le profondità diverse di esso sono determinate da un criterio della natura che vuole dar ricetto, in tal modo, a maggior o minor mole di acque, a quantità minore o maggiore di materiale di sfasciume. E poi — continua — le profondità sono la naturala conseguenza delle rive alte : se queste si drizzan solenni, è certo che il fondo di adima notevolmente.

i

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zioni in questo lago si mi fece conoscere, obbligandomi a tu tti quei tentativi che ho rappresentati con tante settioni, e profili fa tti co’ fondam enti de’ scandagli ed anche delle ispettioni ocu­lari fino a certe profondità sotto dell’acqua, pure espresse ne’ disegni, e tanto più ho dovuto praticare ta li diligenze per dare un esempio, anzi una chiara dimostrazione, che i fondi di que­ste crateri o di laghi o di mari nel loro sustanziale, e per la struttura e disposizione di varie altezze non sono effetti di quel rozzo accidente, che vien lo r o 1 attribuito da chi spaventato dalla difficoltà di riconoscerle ed esaminarle si è arrestato, a t­tribuendo tutto ciò al caso, anzi che alla salda organica dispo­sizione, facendo ingiuria alla somma provvidenza del creatore che costitu ì la terra nella sua creazione non più bella che re­golata; e comprovi ciò il profilo, che ho descritto di tutta la lunghezza di questo lago dal di lu i principio a Torbole sino al fine dell’em issario che forma il Mincio, mantenendosi costan­tem ente il di lu i canale in questo col deporre alla destra e si­nistra quell’immondezze e materie eterogenee che d issi cadere nel lago, come mostrano i due profili della punta delle F o rn a c i2 sino a Zirano 3 e dell’ iso la di Sirmione pel rio Gasparino : 4 e per certo doveva egli avere una sì fatta disposizione per man­tenere le acque in un così regolato equilibrio con quel tenuis­simo scarico continuo delle medesime acque che da questo [van­no a versarsi] nel Mincio perchè altrim enti le acque si sca-

1 La difficoltà di spiegare le differenze di profondità dei mari o dei laghi e la distribuzione delle varie profondità non deve favorire la conclusione di taluno, chè cioè il caso abbia determinato tutte queste differenze : questo è indice di neghittosità mentale e si fa ingiuria anche a chi tutte queste cose predispose: la terra non è più bella che obbediente ad un ordine assai rigido.

2 Oggi capo Racchetta, sporgente a NO di Peschiera.3 La linea che qui accenna va dalla punta delle Fornaci fino ad

uno scoglietto — che nelle carte moderne non è indicato — di contro a Cisano (qui la carta idrografica pone un bassofondo fangoso di 1,5 m.).

4 II rio Gasparino, che sfocia a S. di Pacengo, porta oggi il nome di rio Dugale.

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richerebbono con un impeto e quantità maggiore non corrispon­dente all’economia di tutta la mole acquea dentro della terra, come a suo luogo d ir ò .1

CAPITOLO TERZO

Delle aeque indigene del lago e confluenti e sorgenti In esso.

Sarebbe desiderabile doppo di avere dimostrato lo stato del­l ’alveo in quella guisa che fu possibile, che io potessi ugualmente con dim ostrazioni esporre la quantità della mole d i acqua desti­nata a riempire il detto alveo ; ma siccome tal desiderio non può per tante ragioni avere il suo effetto, converrà che ciascuno da se a ll’ingrosso lo giudichi su le misure assegnate per le prece­denti mappe e settioni. Potrà sim ilm ente esaminare l ’annessa tavola che contiene i profili di tu tti li rivi e fiumi confluenti nel lago e che m isurai in tempo di verno ed asciutto da pioggie e liquefazioni di nevi e che l ’istesso lago era nella sua maggiore bassezza per le acque, le quali sono precisamente espresse in ambe le mappe topografica ed idrografica, come notate in essa le misure di larghezza e profondità, avendole prese in poca d i­stanza dal lago. Una circostanza essenziale per potere fare una specie di scandaglio della quantità di queste acque confluenti nel lago respettivam ente a ll’ unico esito per l’em issario del Mincio sarebbe stato il potere misurare la velocità del corso di ognuno di questi confluenti nel lago, che trovai difficile per tante ragioni, e fra le altre per quello della varietà di ognuno di questi alvei, per ragione delle varietà in un alveo istesso, che eccelerano, e ritardano la velocità per potere da esse mi­sure formare uno scandaglio, che fosse stato corrispondente al­

1 II Marsili è in questa sua concezione statica della terra così for­temente persuaso, che non può ammettere modificazioni all’ ordina­mento primitivo, e non sa concepire che le condizioni attuali siano il frutto di perturbazioni, pur essendo soggette a leggi e cause di sicuri effetti. La rigidezza non è nelle cose, sempre mutevoli, ma nelle leggi a cui s’inchinano le variazioni continue.

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l ’impresa, e perciò mi risolvetti di abbandonarla per le accen­nate ragioni, e contentarmi delle misure della profondità e lar­ghezza di ognuna di e s s e .1 Circa la velocità con la quale il lago si scarica nel Mincio aspettai di esam inarla quando era in una somma calma, mettendo in esso galleggianti diversi che non davano minimo segno di moto, e se pure qualcheduno, erano tu tti contrari fra loro per ragione di qualche bocca di aria che spirava dalle vicine valli delle sponde, quando secondo il disca­rico al principio del Mincio averebbe dovuto forzar questi a tenere il loro moto costante al centro dell’em issario; di modo che non ho potuto distinguere alcuna cosa per questo corso della mole acquea del lago nel discaricarsi che fa per il Mincio, che a mio credere è un corso causato più tosto dalla pressione e peso dell’acqua che da un moto di corrente regolare, che sia in questo lago, dove la natura vuole osservare un equilibrio a quel grado, che porta il di lei bisogno per la sopradetta econo­mia a tutta la mole acquea, eh’ è dentro la terra, e causato anche dal ritrovarsi d a ll’acqua nel fondo del M incio un piano declive.2

Io ho unite in calcoli tu tte le misure di larghezza e profon­dità de’ rivoli confluenti che paragono con le altre del Mincio, che conduce fuori l’acqua, e per dimostrare che mole di acqua possa restare nel lago di quella che confluisce respetti va mente a ll’altra che esce pel medesimo Mincio, considerando ancora la quantità di acqua che dal sole viene attratta secondo le propor­

1 Vorrebbe dar la misura del contributo, ma dichiara che per molte ragioni non lo ha potuto fare. Però ha tentato di stabilire la velocità dei corsi d’ acqua, all’ unico scopo di mettere in rapporto tali velocità con quella dell’ acqua del lago uscente per l’ emissario, il Mincio ; ma anche quest’altro tentativo lo ha dovuto abbandonare : vari sono gli alvei di molti fiumi e varie nello stesso alveo le cause che acceleranoo ritardano la velocità.

1 soli dati che può offrire sono la larghezza di tali correnti e la pro­fondità delle medesime.

2 La misurazione delle velocità delle correnti tributarie del lago l’ha lim itata il Marsili al solo fiume emissario, il Mincio. Ma i galleg­gianti posti sulla corrente non si movevano se non con moti determinati dalle correnti d’aria soffianti sul fiume da varie parti. Nessun indizio di una forte corrente verso il fiume, ma solo movimento e per il suolo de­clive e per il peso delle acque del lago.

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zioni stabilite dall’Accademia d’Inghilterra sì per dedurre tutta la mole che riempie quest’alveo sia una unione dell’acque solo defluenti per la superficie della terra, <*he in esso cadono, o pure se sia un ammasso delle sorgenti, che nel fondo e lateralm ente escono dalle vene, che sono dentro de m o n ti.1

L’esistenza di queste vene non è da mettere in dubbio non solo per quelle osservazioni fatte in questo lago, ma anche in altri sim ili laghi, e dentro l’istesso mare, che mi è occorso ve­dere, e sino fiumi sotterranei che in esso si scaricano, come si vedrà nel mio saggio fisico.

Ne’ laghi dell’Elvezia da fondi scaturiscono sorgenti consi­derabilissime, come in quelli del lago d i Costanza e di Z u cco2 e nel piccolo lago d i Ponale 3 che mette foce nel nostro d i Garda vicino al villaggio detto la Piave, 4 vi sono m oite sorgenti, che mantengono questo lago nel suo orizonte della lunghezza e lar­ghezza che nella mappa si vede. Nel lago di Garda a mezzo miglio d istante da Sirm ione andando per tramontana s’incon­tra una sorgente chiamata da quelli del paese B olliva , 5 che alla larghezza di 100 piedi m ostra l ’ebullizione nella superficie del­l'acqua che ha del minerale, come a suo luogo mostrerò parlando delle diverse nature di queste che sono nel lago. Appresso di Cassone a un tiro e mezzo di moschetto lontano dal lago, alla radice totale del Monte Baldo scaturisce una gran sorgente di

1 Confrontata — e il confronto è stato possibile in parte misurando l’ampiezza e la profondità delle correnti fluviali ; bisognava però aggiun­gere la velocità — la quantità di acqua entrata nel lago per gli affluenti e quella uscita per il Mincio, sottratta la quantità d’acqua evaporata secondo la formula data dall’Accademia di Londra, risulta ciò che per­manentemente occupa « la cratera » del lago. Ora questa è data dalla differenza fra le due cifre confrontate o dalle vene acquee che qua e là portano tributo al lago? Questo è il problema che si pone e che risolve in favore della seconda possibilità.

2 L. di Zug.3 L. di Ledro.4 La Pieve di Ledro, a monte del lago. A N. della Pieve sono sor­

genti.5 Nelle carte il Marsili la chiama Buiota : ora si chiama Bototo.

E’ una sorgente solforata cloruro-sodica, a 65“, che ora intubata va allo stabilimento ivi eretto.

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più piccoli emissari che sono nella sostanza del monte, che in questo suo piccolo corso sino al lago fa macinare più m ulini, ed una tal sorgente che si vede sopra il pelo dell’orizonte del- l ’acque non è da dubitare che vada continuando anche so tto .1 Questa verità meglio la mostra l’esempio del verno, quando l ’acque sono basse, dove volendo, come fu tre anni sono in Tu- scolano, escavare il porto, non ostante che lo chiudessero con una diga di terra rinchiusa fra legnam i per levare la comma- nione del resto dell’acque del lago, appena cominciato a sca­vare il fondo di esso porto, cominciarono le sorgenti ad uscire con tanto impeto, che bisognò ricorrere alla moltiplicazione di trombe da acqua per potere a piè asciutto travagliare. D i que­ste sorgenti venivano altre dal centro della terra altre late­ralmente.

D alle predette osservazioni si vede che la mole acquea di questo lago, come d i tu tti gli altri, proviene nella minima parte daH’acque defluenti per la superficie della terra attorno di essa, ma a mio giudizio più dalle sorgenti che sono gli emissari di quell’acque, o dilatazione di acque che si fa dentro la terra, e di fatto senza di questi regolari conservatori di acqua al piè dei monti, forse sentiremmo più frequenti quelle rotture dei monti che portano improvisi sgorghi di acque con tanto danno de’ po­poli circonvicini, e perciò il sommo artefice g li dispose alle radici de’ monti perchè dassero un respiro fra un certo livello regolato a lla mole dell’ acque infraposte alla te r r a .2 Tutta la mole descritta è esam inata nella di lei natura pe’ colori, sapori,

1 Cassone è sulla sponda or., quasi contro all’is. Trimeluie. Per Cas­sone passa il rio dei ¡Violini, e fra Cassone ed Assenza c’è una grossa polla d’acqua che sgorga dalla roccia. Frequenti sono poi le sorgenti che si incontrano lungo il torrente dei Molini, così chiamato perchè muove molte macine.

2 Come fu detto, le preferenze del Marsili sono per la credenza che la mole acquea del lago sia più fatta di acque sorgive che di acque defluenti.

Osserva poi che la natura con opportuna preveggenza ha creato a piè dei monti questi grandi serbatoi, atti a raccogliere acque, e, se questi non esistessero, le acque interne cercando di uscire determinerebbero rotture di monti e danni non lievi.

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pesi, effetti dell’ immissione degli acidi ed alcali e gradi di freddo tanto alla superfìcie quanto nella profondità, e di tutto ciò si fa il paragone con le acque piovane de pozzi attorno al lago, e di quelle de’ fiumi confluenti; osservazioni che comin- cierò ad una ad una a mostrare, e che si trovano disposte in tre tavole segnate 10. 11. 1 2 .1

N ella prima è la situazione di ogni rivo e fiume respettiva- mente a territori, dove son posti, co’ loro nomi, la larghezza e profondità di ognuno, i colori e memorati gli sperim enti ten­ta ti per conoscere la natura di ta li acque per mezzo de colori, sapori, effetti dell’immissione di acidi ed alcali, pesi, come pure tu tti quei sperimenti rinovati ad una piccola distanza de con­flussi delle acque di questi fiumi e rivoli sono replicati, per chè in una occhiata possa vedersi che la natura delle acque del lago non resta punto alterata d all’im m issione d i q u este .2

N ella seconda sono indicati li siti, dove si sono fa tti nel mezo del lago i mentovati sperim enti per tentare la natura delle acque sì nella superfìcie come nel fondo.

N ella terza vedesi la maniera, con cui s i è conosciuta la d if­ferenza della temperie dell’aria nel fondo del lago respettiva- mente a ll’altra dell’ambiente sopra di esso.

Sopra tutte tre faccio le susseguenti riflessioni per dimo­strare, in tutto quello è possibile, la natura di quest’acqua col confronto, come ho detto, delle altre in essa confluenti delle sor­genti, de’ pozzi e delle piovane.

D alla prima deducesi che tu tte le larghezze 3 de fiumi con­fluenti nel lago riunite insiem e fanno una linea di piedi 302,

1 E’ l’analisi chimica delle acque. Di essa non discutiamo, che è fuori dal nostro compito.

2 Gli esperimenti dimostrano che fra le acque del lago e quelle de­fluenti in esso la differenza sono trascurabili.

3 Chiarisce il contenuto della .prima parte della tavola prima, cioè confronta la larghezza dei fiumi confluenti con quella del Mincio.

La differenza, ridotta in metri, è di 16,57, cioè i vari affluenti supe­rano di larghezza il Mincio di 16 m. e 57 cm.

La differenza poi, che non è grande, non è data come sicurissima, poiché possono essere avvenuti dei piccoli errori.

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palm i 10, che sono passi 50, piedi 2, palmi 10, che paragonata con 1’ altra della larghezza maggiore del Mincio, eh’ è piedi 251, palmi 8, che fanno passi 41, piedi 5, palm i 8, vi corre la diffe­renza di 8 passi, piedi 3, palmi 2 di minore estensione che ha l ’apertura superiore del Mincio alla Madonna del Faggio,dov’è il passo della Barca un piccolo m iglio sotto Peschiera, differenza di poco momento, e da non considerarsi nell’essenziale per i tanti accidenti che ponno essere accaduti nel pigliare le misure, e perchè li p iccoli alvei con le ripe loro trattengono il moto delle acque, onde sembra che la natura abbia compensata la difficoltà del corso con quella poca maggiore quantità di larghezza che ne confluenti presi insieme s’incontrano, ed ancora perchè si com­pensa così in parte la minore profondità de confluenti, di cui diremo in appresso.

Le tre profondità prese nella settione del Mincio, cioè nella sponda Veronese passi uno, oncie sette, e nel mezzo piedi 5, P. 3, ed alla riva bresciana piedi 4 P. 8: che tutte assieme fanno P. 198: onde prendendo la terza parte che è P. 66: cioè di piedi 5 P. 6, si ritrova la profondità media del Mincio stesso. Ora stando fermi alli tempi delle nostre osservazioni e parago­nando nella tavola le profondità de’ confluenti stessi, si arriva a questa media profondità del Mincio di piedi 5 P. 6, onde se ri­fletteremo al maggiore pendio, e per conseguenza a qualche mag­giore velocità che i confluenti ponno avere ed alla maggior lar­ghezza de’ confluenti stessi (di cui si è detto) potremo conclu­dere che presso a poco tan t’ acqua scarica il Mincio dal lago quanto è quella che nel lago istesso viene da questi piccoli con­fluenti introdotta. 1

N ell’alveo dell’istesso Mincio si vedono ad ambe le rive i segni, che l ’acqua difluente pel proprio alveo è alle volte cre­sciuta sino a quattro piedi, e come dirò a suo luogo parlando dei moti dell’acque di questo lago, queste nella maggior loro crescenza crescono sul lago sino a tre piedi e mezzo, tre piedi,

1 Circa la profondità degli immissàri e dell’emissario, il Marsili trova che le cifre coincidono : 5 piedi e 6 pollici, cioè m. 1,77, onde conclude che tant’acqua si scarica nel lago quanta ne esce.

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due e sei onde, due soli, com’è stato nel verno passato del 1724 e 2 5 ,1 dove fu sì gran siccità, prove tutte che a mio credere mostrano che l ’acqua, ch’esce dal lago pel Mincio non è <4he quella parte forastiera condotta nel lago pe’ descritti defluenti ftum icelli e rivi (toltane quella che il sole attrae); del rimanente la mole acquea indigena del lago forse non ha esito, avendola constitu ita l ’autore della natura a quella quantità, ch’era ne­cessaria a ll’economia acquea dentro la terra, e che a noi non è nota, ma bensì conosciamo che da questo livello non vuol retro­cedere anche ad onta dell’impeto de venti, come a suo luogo di­mostrerò, parlando delle correnti in questo lago; e non senza la probabilità forse che l’ istesso ancora succeda dentro de’ mari, cosa che non sapremo mai senza la magnanima benefi­cenza de’ sovrani m arittim i, che istituiscano a sue spese navi osservatorie, con una istruzione uguale, e comune a tutte, eh’ è quello ho esposto nel mio saggio fìsico, e nell’altra disertazione a ll’ amico mio Boerhaave. 2

In questa tavola 'ho pure aggiunte tutte le osservazioni che ponno indicare la natura delle acque superficiali del lago, lito­rali e de fiumi e ruscelli confluenti in essi, e le ho ritrovate fra loro in tutto uguali pel colore e sapore, alla riserva della con­fluente del rivo a Gans 3 eh’ era trobida e di sapore paludoso come proveniente da terreni palustri della Lugana, ed uguali

1 Anche c’è accordo fra il crescere delle acque del lago, in certi pe­riodi di decrescenza, ed il crescere delle acque del fiume di scarico, il Mincio.

2 Ecco qui ripetuta la sua proposta — è il concepimento della scienza, che non è opera deH’individuo, ma somma di sforzi collettivi, concepi­mento che non era tanto ovvio al tempo del Marsili, così che lo si trova espresso non di frequente e spesso con timidità — : la scienza potrà avanzare solo se troverà consenzienti gli sforzi dei singoli e solo se le esperienze, difficili per i privati, saranno favorite e protette dai sovrani.

3 TJn Rio Ganfo sbocca ad ovest della penis. di Sirmione ; ma non può esser questo che dà nome alla parte di SE del lago — valle di Ganz — ; quindi probabilmente è il rio Bragagna che scorre presso una località chiamata Ganfo.

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nel peso d i 23 V2 grani ch’è quello anno le acque del fondo del lago e che si trova per tu tta anche la superficie del medesimo nel rigore del verno.1

L’ immissione dell’acido di vetriolo nelle acque defluenti dalle terre Trentine ed alcune da monte Baldo ha fatto loro prendere il colore di am etisto alla riserva delle sorgenti di Ca­pone e Mulino di B ren ton e.2 N ella riva bresciana quelle del rivo di San Carlo, 3 del Prato della Fame, d i Campione si sono tinte ugualmente, e quelle del fiume Brara 4 invece d i tal colore ànno prodotto dense nubi, e lasciandole in un vaso per alcuni giorni ancora senza l’a iuto di acido e di alcali, ànno formato una gelatina tenace, grossa più di una costa di coltello, che unita si levò dal vaso, s i conservò in un piatto per tan ti giorni, e non avea verun sapore, e, sopra postivi i consueti acido ed al­cali, non fece minima mozione.

Il colore bellissim o di am etisto in alcune acque era più e men forte, com’è espresso nella tavola, ed a mio credere quest’acqua forse avrà preso della natura calibeata passando per terreni ferrei e tenterò più sperimenti in più acque nelle quali sarà stata lim atura di ferro e ferro calcinato e ferro infocato smor­zato in esse per sincerarmi di questo supposto mio, del che l’esito in certe altre mie fisiche e chimiche osservazioni riferirò.

D alla seconda tavola si vede principalmente che l’acqua del lago superficiale nel gran calore dell’estate è tanto più leggiera che nel verno e particolarm ente quella vicina alle sponde, come più percossa contro la ghiara, ch’è solamente di 21 grani, quan­do nel mezzo è di 22, dove manca tale ripercussione. Per lo con­trario nel verno è ugualmente pesante nella superficie che nel fondo, tanto in vicinanza delle rive che nel mezzo del lago. Que­st’acqua di tale peso di 23 grani e % portata nella stanza del fo­

1 Anche ugual peso hanno le acque dei tributari e dell’emissario.2 Certo Brenzone. Con tale nome si indica un vasto territorio che

sale fino a 1000 m., fra la valle Berton e quella dell’Aiuto, con frequenti sorgenti.

3 Torrentello fra Bogliaco e Gargnano.4 Oggi torr. Brasa, a N. di Tremosine.

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colare dove l’aria era tepida, e questa lasciata per un’ora di tempo in essa stanza dim inuì il peso a grani 21 % prove tutte confermanti che il calore diminuisce il peso dell’acqua, quando il freddo l’aumenta; ed in fa tti nel verno dove l ’acque moventi i molini da carta sono scarse almeno per la metà che l’estate, nulladim eno per testim onianza de m olinari con quella metà fanno tanto lavoro quanto nell’estate col doppio; ed essi lo at­tribuiscono al maggior peso che ha l’acqua in tale stagione. Nel fondo è costante che l’acqua sia più pesante della superficiale nell’estate due grani e mezzo e che nell’inverno, come ho detto, sieno uguali di peso le superficiali e le profonde.1

È pure immutabile che le acque del fondo sieno di colore tor- bidastro, quando quelle della superficie son chiare, che il sapore delle prime sia ingrato, partecipando del palustre ed amaro, quando delle seconde è grato particolarm ente nell’estate nei siti che son percosse contro le pietre.

L’acque de pozzi benché sieno ristesse del lago, essendo que­sti profondi quanto importa 1’ orizzonte superiore delle abita­zioni sino al fondo dell’acqua del lago, sono più pesanti della superficiale estiva del lago, avendo trovato questa 22 grani e % nel giorno istesso che trovai l ’altra del lago vicino a Maderno grani 21; e ta l peso ancora in parte può essere attribuito al considerabile fresco che tiene in sè. L’acqua piovana raccolta in tempo di una gran pioggia di 6 giorni pesava pure grani 22 % eguagliandosi in questa parte a quella de’ pozzi, ed era chiara, e del sapor comune solito dell’acque piovane.

1 II Marsili osserva che l’acqua fredda è più pesante della calda, che d’estate l’acqua presso le rive è più calda dell’acqua nel mezzo del lago, che l’acqua superficiale è meno pesante dell’acqua profonda e che d’in­verno il peso è lo stesso al fondo e superficialmente.

Dà, come prova della sua affermazione, il fatto che i molini, d’inverno, macinano assai di più e meglio, pur essendo l’acqua in minore quan­tità. perchè è più pesante che d’estate, in cui l ’acqua abbonda di più, ma è più leggera.

Non sempre dà del fenomeno la esatta causa, ma il fenomeno è vero. Non sappiamo se egli sia stato il primo ad osservarlo — ed ab­biamo dubbi —, ma fu il primo a considerarlo nella sua compiutezza e nella sua estensione.

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La sorgente a pelo dell’orizonte dell’acqua del lago nel vil­laggio di Cassone alle radici di un de siti più a lti del monte Baldo era d i sapore ingrato, di peso di 22 grani e % approssi­m andosi alla natura di quella del fondo del lago, potendo es­sere che questa sopra l ’orizonte sia parte di una d i quelle molte che formano la gran mole aquea del lago. Si è m anifestato che la sorgente a mezzo miglio distante da Sirmione per tramon­tana, chiamata Bolliva, perchè nel giro di 100 passi si vedono continue ebullizioni e che i pescatori dicono abbia odore di zolfo, che io non potei discernere, pesa i so liti 23 grani % se­condo l ’universale acqua superficiale del rimanente del lago, ed ha un sapore a principio che non distinguesi d a ll’altre acque, che poi tenendola in bocca causa un amaretto accompagnato da molta m ordacità .1 Tale acqua evaporata lasciò un sedimento in poca quantità di colore cenerino col gusto amaro mordace del­l ’acqua e che postovi l ’acido e l’alcali non fece veruna muta­zione. L’origine di tal acqua viene dal fondo che trovai di 14 passi abitato da gamberi e tinche e coperto delle so lite erbe del lago che i pescatori con la fiocina 2 mi tirorono dentro la barca trovando i viventi di ottim o gusto a m angiarli e le erbe di un sapore indistinguibile d all’altre nascenti nel lago intero.

L’im m issione dell’acido ed alcali non fa una minima mozione in quell’acque del lago superficiali, profonde e sorgenti a pelo dell’acque del lago, e dal fondo e de pozzi e delle piovane.

D alla terza tavola si raccoglie che non potè farsi l ’esperi­mento de gradi del freddo n ell’acqua del lago col termometro perchè stante il gran freddo ch’è nell’acqua ad una certa pro­fondità, tutto lo spirito di vino di cui era pieno il termometro si ritirò alla metà della palla ; onde in tal vece fu fatto lo spe­rim ento con sugheri nella maniera che in essa tavola esprimesi e quelli andarono restringendosi più fino alla profondità di cen­toventi passi dove il rigoroso freddo si vede, ch’era nel suo mag­

1 S’è detto più sopra di quali minerali sia ricca.2 II m. nel testo à froscina.

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giore grado, in cui conservasi alla profondità d i centosettanta, come più distintam ente nella medesima ta v o la .1

Che lo scorciamento di cinque linee alla profondità di 15 passi sia quel grado ultim o di freddo che può permettere la ve­getazione alle piante dentro del lago, giacché i pescatori stessi assicurano che fra i 15 e 17 passi sia la maggiore profondità a cui possono vegetare, alla riserva di quella sponda sotto acqua detta Sraron e la Meson nel sito ove comincia il canale che va a ll’emissario, dove sino a trenta passi trovano l ’erbe. 2

Da queste osservazioni deducesi ancora che il freddo sia maggiore nel lago che nel mare, donde io sino a 130 passi alla riva degli abissi ho tirato coralli e pseudocoralli ed altre piante molli, ma più aspre di quelle si estraevano a minore profondità, come diffusamente sta espresso nel saggio fisico della storia naturale del mare. 3

CAPITOLO QUARTO

De’ venti che soffiano in questo lago.

iSono forzato interrompere l ’ordinata continuazione del sog­getto dell’acqua del mare coll’interposizione del racconto de venti che sopra di esso soffiano, a fine di potere poi essere me­glio inteso nella dimostrazione de moti diversi di questa,

1 Non ha potuto far esperienze col termometro, perchè lo strumento non funzionava più ad una certa profondità ; però con sugheri ha po­tuto constatare che a 120 passi (133 m.) si raggiungeva il più intenso freddo e che questo rimaneva costante fino a 170 passi (220 m.).

2 La vegetazione non scende al di sotto dei 15-17 passi (29-33 m.) :lo attestano i pescatori ; solo queste cifre sono superate in quella parte del lago che è ai due lati dello sfocio del Mincio, indicata con nomi che le carte moderne non offrono.

3 Altra constatazione è questa che più mite è la temperatura del mare di quella del Garda, tanto che a 130 passi (152 m.) si trova la ve­getazione. Vedi più innanzi nelle note della parte seconda alcuni accenni agli studi su ll’animalità del Corallo e delle sue origini. Del resto le Flo- ridee specialmente si spingono anche nel nostro Mediterraneo ben oltrei 150 m. e deve averlo visto anche il Marsili forse parlando di piante molli.

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il quale esame succederà im m ediatamente con tutte le necessarie circostanze, giacché da questi forse dedurremo qualche metodo anche per alcuni di quelli del mare.

Nel nostro lago i venti trovano l ’ostacolo di una trincera di a lti monti, che da tre parti lo difendono alla riserva di poche aperture che sono in essa per poterlo da tutte le parti agitare con le loro forze moventi. Questa disposizione della natura pro­ficua alla minore inquietudine di queste acque produce l’altro vantaggio di coprire la vegetazione della terra dagli insu lti de venti contrari a quella che anche di più assistita dall’esalazione del lago produce frutti che per altro non sarebbero proporzio­nati al clima, dov’è posto l’istesso lago. 1 Ad ogni modo anche fra sim ili ostacoli li venti, chi più e chi meno, non lasciano di esercitare li loro gradi di forza con quel metodo, che ho procu­rato di andare alla meglio indagando, col fine sempre di andare applicando ta li mie osservazioni a quei moti, che danno alla fluidità delle acque nel nostro lago. 2

Per potermi intendere co’ pescatori e co’ naviganti per que­sto lago, ho prima dovuto imparare la loro bussola tanto per le divisioni quanto per le denominazioni de’ venti. Per quelle si vagliono di punti circostanti al lago, senza considerare la com- mune via delle plaghe del mondo, e senza praticare le altre sud- divisioni consuete, ma collocandole solo secondo certe valli fra monti e quei fiumi e rivoli, che ho descritti. Le denominazioni tutte sono particolari a ll’uso di questa ristretta navigazione. Per tanto ho fatto la bussola qui annessa, che m ostri ta li di­

1 Constatazione assai interessante : il clima non è solo modificato dal coefficiente latitudine, ma anche dal coefficiente esposizione. Il Garda è protetto a N. — quasi del tutto —, a NO ed a NE., quindi può per­mettere il crescere di una vegetazione più meridionale.

2 Considera i venti in quanto possono originare correnti, o favorirle, sul lago; quindi non per sè li studia ma come cause di più interessanti movimenti.

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visioni e denominazioni che sono poi da me spiegate co’ veri nomi secondo l’arte del navigare pei m ari.1

I venti che spirano nel lago, secondo la divisione di questa bussola, sono da dividersi in quei che da rim oti paesi ànno le loro prime fonti, ed in altri che g li ànno a vista del medesimo lago.

Quelli che vengono da rimote parti sono più forti, ed opposti fra loro e con la differenza fra essi che uno è, come lo chiame­rebbe Bacone assecta, che è più abituato di tu tti questi venti, ch’è il Suvero 2 o Grecate, che con pieno corso dalla valle della Sarca entra a Torbole dentro del lago rinforzato dal vicino che avendo l ’origine dal monte Balun dentro del Tirolo porta anche tal nome scorrendo per la valle del fìumicello V aron e8 con­fluente del lago vicino a Riva, e dentro del rombo prossima­mente a Greco Tramontana, e questi a mio credere rinforzati dalla vicina tram ontana che 4 per ragione di avere avanti d i sè il muro de monti che gli impedisce di condursi direttam ente pel proprio rombo del lago deve ricorrere alle prementovate due valli o pure a ll’altra per maestro-tramontana per la valle del fiume Ponale che gli dà comodo di entrare nel nostro lago, rin­forzandosi di quel vento che somministra il laghetto di Ponale e valle ed acqua di questo nome ; unione indispensabile fatta da questa circonvallazione di a lti m onti infraposti al lago, e fonti

1 E’ naturale che i nomi di venti, pur rispondendo a quelli indicati nella bussola, derivino dai luoghi da cui spirano : questo si verifica non solo su i laghi, ma in tutti i luoghi dove c’è una popolazione che osserva questi fenomeni dell’atmosfera.

2 l i Sover o Suer o vént de sora spira da N. a S. (vedi F l o b e s t e

M a l f e r - l i Benaco. Verona, 1927, pp. 73-4).3 Qui fa confusione il Marsili ; il vento del Tirolo che ha origine dal

m. Baldo e scorre per la vallatetta del Varone? Il Baldo è ad est del lago ed il Varone è a N. di Riva.

4 Ma tutti questi, compreso il Suver o Suvero, sono venti di tra­montana.

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de nom inati venti, che ha in esso quelle aperture che dando ad ogni vento, che soffia per esse, il nome abituato di Suver.1

Gli a ltri venti opposti al descritto Suvero sono quelli che vengono nel paese d istin ti con due nomi, Andro 2 et Ora. 3 II primo occupa i rombi di ponente-garbino puro ed ostro-gar- bino, attribuendoli i pescatori l ’origine nel tratto di Appennino fra Cremona e fra Brescia. L’altro comincia da mezzogiorno ad ostro fino allo scirocco levante abbracciando con questo nome i rombi di ostro, ostro-scirocco, scirocco, a quali danno l’origine in quel tratto di Appennino ch’è fra Reggio e fra Parma, ed io stim o che si estenda a buona parte del Polesine per che se questa ora\ non è troppo violenta e l’opposto Suver non è forte dentro del lago, vediamo in esso nebbia rara ed alle volte ancor d en sa .4

I venti di Vinero a Levante 5 opposto a ll’altro di Buar ch’è il ponente 6 non sono così nè fam igliaci nè forti come i descritti scorrendo il primo per la valle dell’Adige e l’altro per la detta Valsabbia ed ambi rotti dalle linee de’ monti infraposti al loro corso e lago, il primo di monte Baldo, e l'altro de monti del Bre­sciano che hanno la loro apertura sopra di Salò.

1 Qui il Marsili torna ad essere, come sempre, esatto, poiché dice che la tramontana impedita dalla cerchia dei monti che circonda il lago, dove trova un varco soffia e quindi i suoi effetti scorrono lungo le vallate del Sarca, del Varone e del Ponale, rafforzati da venti lo­cali. A tutta questa varietà di correnti che l ’alveo del lago, chiuso dai monti, incanala si dà poi il nome di Suver.

2 Andre o Ander (da andare) è uguale al Libeccio. Spira da SO per un periodo di cinque o sei ore a cominciare dal mezzogiorno e si ripete per due o tre giorni, fra il marzo e l’ottobre. (V. M a l f e r , op. cit., p. 74).

3 L’ óra od ostro spira dal S. in direzione opposta al Sover.4 Le frequenti nebbie che s’elevano sul lago quando soffia 1’ ora, non

forte, e non forte è il Suvero, fanno supporre al Marsili che talvolta l’óra venga dal Polesine, cioè fanno supporre al Marsili che talvolta sia perciò un vento molto umido.

5 Forse è il vento che il Malfer dice Vinessa (op. cit., p. 75) che spira da scirocco e spira forte talvolta. Prende nomi diversi a seconda che spira da E o da SSE.

6 E’ il Boarno o Boarnass o Buaren che soffia da Vobarno dalla Val Sabbia.

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A questi venti di origine rimota succedono propriamente gli indigeni che sono quelli che anno le loro origini e debole corso dalle valli d’ambe le rive del lago, e parte delle descritte per ragione del Suver. Quando il lago non è turbato dai venti predo­m inanti da me descritti, quest’indigeni si distinguono meglio, e particolarm ente nell’estate, perchè tramontato che sia il sole cominciano a farsi leggermente sentire ed avanzandosi nella notte son freddi e più vicini a ll’alba, ma cominciando il sole ad alzarsi un poco gli an n ien ta .1 D alla sommità del monte Baldo tu tta la notte spira un venticello assai freddo che va a cadere in certi piccoli piani della riva bresciana a lu i opposta, e che dura fino che il sole abbia sormontato la di lui cima ed asciu­gato la notturna rugiada. P iù m attine mi portai nella pianura del confluente del fiume Tusculano alla riva del lago per sen­tire ambi li venti freddi che oppostamente fra loro spirano, uno per la Bocca Fredda o valle del fiume Tusculano 2 proveniente da maestro-ponente, e l’altro Yinero o Levante dalla sommità del Monte Baldo, che a misura che il sole si alzava anche decli­nava sino ad una sollecita estinzione di se stesso, quando, pel contrario, l ’altro di Bocca Fredda o maestro-ponente, non ostan­te il sole alzato fra tenue diminuzione sussisteva nella continua­zione del di lu i alim ento dell’acqua del fiume Toscolano, che incessantem ente corre dagli a lti monti del Bresciano, ma del­l ’opposto Yinero, o Levante, asciuttate che erano le rugiade del monte Baldo dal sole, non rimaneva pur la memoria.

N e’ tempi di primavera o d’estate insorgono venti momenta­nei, ma im petuosi che a pescatori e naviganti annunziano il loro arrivo per una piccola nube che per ordinario da m onti bre­sciani fra il Buer e ponente ed Andro ed ostro-garbino 3 suol comparire con un negro fosco tinto di un verde scuro variegato

1 Sono brezze di terra, chiamate anche da qualcuno óre e spirano da mezzanotte al mattino avanzato.

2 II nome di Bocca Fredda, appunto per i soffi freddi che spirano dalla vallata del Toscolano, non appare nelle carte.

3 Fra ponente e sud.

5

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di ceruleo sopra del lago, aspetto che caccia in terra i pescatori per la via più breve e le navi di merci se possono in qualche luogo sicuro coll’aiuto del terribile vento che non tarda a sof­fiare anco con turbini spaventosi e dura sin che la nube si sciolga in una pioggia ben grande e talora in una terribile gran­dine, e questa è più che certa quando in sè tiene m olti del colore verde scuro. Nel tempo che la nube così sfogasi, il vento va sminuendosi in guisa tale che col fine o della pioggia o della grandine termina egli ancora.

In fine i venti del lago predominanti e che la maggior parte del tempo si fanno sentire, o sono il Suver proveniente da monti del Tirolo per le descritte valli, che unitam ente sboccano nel principio del lago, o l ’ ora che daH’Appennino d iscende.1 Questi alle volte sono tu tti unitam ente nel lago facendo fra loro il fiero contrasto alla dirittura del promontorio di San V ilio, sito nel quale mi sono trovato più volte fra una somma agitazione della nave; e chi è il più forte supera l ’a ltro; ed il Suver tutto raccolto fra il tratto più angusto del lago ancorché più debole si m antiene contro de venti dell’Appennino e delle pianure del Po­lesine, avendo questo fatto la sua sede fra Torbole e San V ilio ; quando poi di essi uno solo regna, corre da un capo a ll’altro di tutto il lago. Uno di questi venti m aestri è bastante ad abbat­tere tu tti g li a ltri venti, e maggiormente se ambi sono nel lago, mai g li a ltri si lasciano sentire.

I l Suvero osserva un metodo quasi regolato che particolar­mente ho osservato nel verno, quando i m onti del Tirolo e Baldo eran coperti di nevi, che, essendo il cielo sereno, alle due ore d i notte cominciava a farsi sentire, e doppo la mezza notte cre­sceva e più ancora nascendo il sole ed approssim andosi il mez­

1 Fra il maggio ed il luglio si ha più frequenza di suver e di óra. Nel maggio del 1923 — dice il Malfer — si ebbero 20 suver ed óra e nel luglio 25. Più forti sono i venti di S. e s’incontrano con il loro contrario presso il capo S. Vigilio, vero punto d’incontro. Però il Suver riesce a conservare il predominio nella parte di lago più stretta.

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zoili andava in tal decadenza che fra la 20* e 21“ ora era quasi una calma p erfetta .1

N ell’estate non nasce e non dura con tal ordine sì perchè le calme sono più frequenti, come ancora perchè le nevi su monti di Tirolo mancano. 2 TI Su ver tutto che di natura rigida non reca effetti cattivi alle delicate piante degli agrumi ed olivi per­chè di leggieri tocca ambe le rive del lago, quando 1’ óra nel verno, e particolarmente essendo le pianure di Lombardia co­perte di nevi, per altro di natura non così aspra come il Suver, fa alla riviera bresciana gran pregiudizio perchè di angolo retto la percuote, cosa che non si può fare da g li altri venti, da quali è affatto coperta, o se attaccata, sempre leggiermente, di modo che un sì bel paese posto in clima per se stesso freddo, e sepolto fra l ’A lpi coperte di nevi per tanti mesi dell’anno, e confinante per tutte le parti con altri per così dire gelati, nel cuore del verno gode aria amena, a cui aggiungendo l ’arte d i coprire le loro cedrare, coll’aiuto delle ben poste linee de monti e degli a liti del lago que’ popoli non ostante la natura sterile del ter­reno vivono in una (patria beata. 3

Quando le osservazioni de venti fussero state il mio primario soggetto in questo lago averei molto di più potuto tentare; ma contento d i avere conosciuto questi per quanto esiger potea il mio bisogno su m oti che causano nell’acqua del lago; non mi sono più inoltrato, anche per mancanza d i tempo e strumenti, ma sempre più mi sono confermato per le addotte succinte os­servazioni che l’umido è gran pascolo de’ venti e come l’aridità un annientam ento di essi; e per questo la forza del sole distrut­

1 Quando il Suver (dice il Malfer a p. 73) è prodotto da forte nevi­cata, diventa temibile e dura fino alla sera : allora si chiama vent da fioca.

2 Come s’è visto il Malfer dà una cifra alta per il luglio : bassa però è quella del giugno.

3 Più nuoce l’ ora alle limonaie del Suver, perchè questo le tocca leggermente, mentre l’altro vento, che scorre dalle piane del sud, pxire coperte di neve, le colpisce in pieno.

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trice dell’umido, quando ha vigore superiore a quello dell’umido, estingue ancora li venti che attorno del nostro lago regnereb­bero meglio, specialmente quelli che d’esso sono indigeni, quan­do non fossero annientati da’ forti stranieri e dal so le .1

CAPITOLO QUINTO

De’ moti diversi deli’ aequa di questo lago.

A ssai è noto che qualunque piccola unione d’acqua sia sotto­posta a tanti diversi moti che 1« vengono dati in diverse maniere per la di lei fluida natura, e tanto più le m aggiori dei laghi e dei mari. 2 Questi m oti nascono da quelle diverse cause, che anderò esaminando, nella presente mia unione di acqua assai conside­rabile di questo lago, per la lunghezza, larghezza e profondità della sua mole acquea, la quale sottom etto a questo esame col tito lo dei m oti di essa, che divido in modo costante naturale ed incostanti accidentali.

I l costante naturale lo suddivido in quattro. Uno è quello, tu tto che leggierissim o, che viene causato d all’esito di quella piccola porzione d’acqua per l’emissario del lago a Peschiera che fa l’origine del Mincio. I l secondo è quello delle sorgenti dell’acqua in diverse profondità per linee laterali, che cadono nel lago, o che dal fondo verticalm ente ascendono alla di lui superficie. Il terzo è il causato dalle crescenze e decrescenze

1 L’umido è — dice il Riarsili — il pascolo dei venti ; il secco è il loro distruttore. E perciò il sole dissipando l ’umidità, annienta anche 1 venti.

Sarebbero più frequenti i venti indigeni se non soffiassero i forestieri e se non agisse col suo calore il sole.

Ma, conclude il Marsili, io non ho voluto parlare dei venti, se non per incidenza, in quanto essi possono favorire od ostacolare le correnti ; perciò dopo queste osservazioni, faccio punto.

2 Le moli acquee, appunto perchè adatte a ricevere più facilmente1 movimenti, hanno spinte in tutti i sensi, e quanto maggiore è la mole, maggiori sono le spinte e maggiori i movimenti.

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delle di lu i acque facendo i due moti uno per alzarsi e l’altro per isbassarsi in diverse stagioni. Il quarto è prodotto da fiumio rivoli laterali, che confluiscono nel la g o .1

I moti incostanti ed accidentali sono quelli fa tti da venti che nel nostro ambiente di tempo in tempo soffiano con quella diversità, che appunto di continuo vediamo, ed anche alle volte conosciamo darsi sotto acqua, pure per Pistessa cagione de venti che noi sentiamo nel nostro am biente.2 A ltri m oti sono quelli che i Pescatori attribuiscono ai cocenti raggi del sole nel forte dell’estate, e l ’ultim o che ha la sua origine da quel livello in cui la natura vuole conservare la mole acquea nella terra ad onta del disordine che a questo livello causano i venti, o altre cause dei moti instituendo un moto sotto acqua che principia dove fi­nisce d i giungere la forza de venti, od altro non ammettendo la natura intervallo di tempo a far restituire le acque nello stato di equilibrio, cosa, che così chiaramente si m ostra nel nostro lago come anderò descrivendo anche per riflessioni a que’ tanti moti che vediamo dentro de’ mari e che più attribuisconsi ad ogni altra causa che a questa dell’ubbidienza che l’acque deb­bono avere alle leggi im posti loro dalla natura per il loro in­dispensabile equilibrio. 3

Pongo per primo moto quello della corrente costante natu rale fatta dal Mincio, che anche nel tempo di somma calma è insensibile, specialm ente dov’è nella sua maggiore larghezza, come più volte sperim entai con leggierissim e canne e pezzi di legno, ma poi, avvicinandosi il restringim ento del lago verso Peschiera, apparisce qualche leggierissim o moto, che appunto è proporzionato a quella piccola mole di acqua che ho dimo­

1 La prima distinzione dei moti che si osservano nel lago è quella di costanti ed incostanti, o naturali ed accidentali.

2 E’ oscuro qui il Marsili e non si sa a che cosa accenni ; forse a venti non percorrenti l’atmosfera, ma soffianti entro la terra. Sono ri­torni, che talvolta si notano, di quel complesso di false cognizioni che il Marsili non ha abbandonate.

3 Quattro sono i moti costanti e sono assai chiari nell’esposizione marsiliana ; tre sono le cause dei moti accidentali, e l’ultimo è il suo solito pregiudizio che qui ripete.

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strato possa uscire dal lago, che al parer mio non è che quella piccola quantità che viene portata da fiumi e rivi descritti, e perchè ciò possa seguire con un ordine costante, anche la natura ha fatto un alveo che si vada inalzando sulla maggiore pro­fondità di 340 passi o piedi 2040 sino a quella dell’ emissario ch’è d i passi 2 e piedi 12, come più chiaramente si vede nel profilo della, lunghezza del lago descritto nel capitolo della struttura organica del medesimo. Questo moto è tanto leggiero che per ogni minimo vento se ne perde affatto la cognizione ben­ché a ll’em issario suo, che è il principio del Mincio più volte men­tovato, sempre si veda più e meno il corso dell’acqua causato, secondo me, in quel caso dal peso della mole superiore del la g o .1

La seconda specie di questi moti costanti naturali è quella che viene causata dalle sorgenti naturali sopra e sotto dell’o­rizzonte delle acque. Appresso del villaggio di Cassone un tiro di fucile dal lago al piè della quasi maggiore altezza d i monte Baldo abbiamo quella sorgente che parlando dell’acque con­fluenti nel lago enunciai, la quale ci mostra come sotto dell’oriz­zonte dell’acqua del lago anche sortiscano, ch’è quello anche ve­diamo in tanti s iti dell’Appennino, quando fra il mare e radici di essi m onti vi sieno interposizioni di continenti che dalla parte del Mediterraneo vengono chiamate maremme pel rista­gno che vien fatto per ta li acque senza libero scolo nel mare im pedito da venti, come le altre dell’A driatico si chiama valli e p a lu d i.2

1 La natura ha provveduto il lago di un fondo che va innalzandosi verso l’emissario suo, il Mincio, cosi solo piccola quantità esce e con un movimento quasi insensibile. Non è casuale tutto ciò, ma provvidenzial­mente disposto dalla natura.

2 Paragona — ed il paragone non è esatto, perchè fra fenomeni non vicini se non per condizioni esterne — le fonti di acque fra la linea spartiacque del Baldo è la sponda del lago, e le maremme tirreniche e le valli adriatiche. Nelle une e nelle altre elemento comune è l’acqua, ma mentre nella prima l’acqua trova una via per uscire dall’interno all’esterno, nelle altre le acque superficiali si arrestano per ostacoli frap­posti al loro deflusso.

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Abbiamo sorgenti che dal centro ascendono con moto verti­cale alla superfìcie del lago, ed una di queste è costante, anzi perenne, a mezzo miglio per tramontana, come dissi, d istante da Sirmione, col nome di Bolliva. 1

Ambe queste specie di m oti delle sorgenti laterali e verti­cali meglio si conoscono, quando alle volte sono necessitati g li abitanti di pulire e scavare i loro piccioli porti, come abbiam detto, opera che riservano il verno dove l ’acque del lago sogliono esser più basse, e benché con una diga m anofatta traversino l ’imboccatura de loro porti per separare l’acqua di questi dalle acque del lago, nulladimeno devono avere una quantità di trom­be con le quali possono tirare maggior copia di acqua di quella che viene condotta da quelle sorgenti che vedono venire da lati, e dal fondo d e ll’istesso porto, e con l’osservazione particolare che quando è di maggiore durata l’operazione di escavare anco le sorgenti si fanno ivi e maggiori e di più forza, e perciò anche

.sono solleciti nelle loro escavazioni.I fiumi confluenti nel lago che nel capitolo di sopra dimo­

strasi che sono di poco conto, ed anche d i minore i rivoli a mi­sura della lor mole di acqua, si estendono con m oti e correnti dentro del lago al p iù alla distanza di 60 o 80 passi. 2

L’ultim a specie di questi naturali moti è quella che viene fatta quando l ’acqua si alza e si abbassa. Questi due moti uno contrario a ll’altro anno le loro proprie stagioni. I l principio del crescimento suol essere alla fine di marzo o al più tardi a primi di aprile continuando a crescere non solo in questo ma anche nel mese di maggio e qualche porzione de primi di giugno, se la liquefazione delle nevi non fosse term inata; e per tutto luglio e primi di agosto tanto il moto di crescere che di decrescere fa pausa; ma alla metà di questo comincia il moto di decrescere che non cessa sino alla fine del futuro marzo o primi di aprile,

1 D i questa si è detto più sopra.2 Le correnti determinate dai fiumi e dai ruscelli che si scaricano

nel lago hanno degli effetti brevi : al più giungono a 1T5 od a 153 m.

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sino a ll’ altezza vid’ io di due piedi e mezzo di Francia nella lunga aridità dell’anno 1 7 2 4 .1

Quando poi le stagioni del crescere sono state piovose, suole arrivare a piedi tre e tre e mezzo, e per conseguenza essere que­sto moto di decrescenza al più di tre piedi e mezzo. N el mio sog­giorno in Maderno alli 18 di dicembre del predetto anno fu una continua pioggia ed il lago non crebbe che il traverso di quat­tro dita, ma poco dopo il tempo riprese la serenità, dove solle­citam ente il moto della bassezza delle acque tornò al suo stato primiero. Sono m olti che attribuiscono questo moto dell’innal­zamento alla vegetazione dell’erbe, che con vigore comincia ap­punto agli u ltim i di marzo, e primi di aprile, e che successiva­mente cresce per tutto il descritto tem po; ma siccome queste sono di natura tanto molle che con la loro vegetazione non ec­cedono la profondità di 18 passi, è una vana reflessione, come lo provò l ’aumento che fece il lago nel gran cuore del verno che sopra ho detto, dove l ’erbe erano vecchie, e quasi putrefatte, ben sì a ll’angustia dell’emissario del lago, dove comincia il Min- eoi, potrebbe darsi qualche leggiero ristagno, che però non può essere di tal forza da far risentire per tutto il lago li m oti di crescenza e di decrescenza per causa dell’erbe sino alla somma di tre piedi e mezzo, ch’è quello unicamente succede per le acque confluenti in esso o per le pioggie o per liquefazioni d i nevi che appunto in m aggior copia succedono in quei mesi. 2

I moti incostanti son quelli che si fanno da venti che ho de­scritti nel capitolo precedente perchè con la notizia di essi

1 II crescere è dovuto al liquefarsi delle nevi, che continua fino al giugno : nel luglio e nell’agosto c’è una sosta nell’aumento ; poi c’è de­crescenza fino alla primavera di poi.

La cifra di differenza per il 1724, fu di circa 80 cm. Negli anni più piovosi si giunge ad 1 m. e 10 cm. Oggi si dà come lim ite massimo, rispetto all’idrometro di Peschiera, 1,92, come minimo cm. 40 al di sotto dello zero di tale idrometro.

2 La ragione da alcuni addotta, ma respinta dallo stesso Marsili, ci esonera da ogni commento. E’ però notata anche oggi l’ostruzione che le erbe determinano là dove l ’ emissario comincia (v. M a l f e r . op. cit., p. 66) : minimo invece è l’effetto della flora sommersa.

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ognuno possa comprendere quale impressione diano nell’ acque del nostro lago ; e siccome non è da dubitare che anche di questi ne soffino sotto dell’acqua, come nota l’eruditissim o Bacone nel « de origine locali ventorum » con quelle parole « inveniuntur quaedam loca in mari ac etiam lacubus quae nullis flatibus venti maiorem in modum tumescunt, ut hoc subterraneo flatu Aeri appareat », che sono que’ moti appunto che accadono nel lago e che si ponno distinguere, mi pare, i moti per causa del vento, che soffia nel nostro ambiente, ed altri per quelli che possono darsi sotto dell’acqua anche con la predetta approvazione di B acon e.1

Tutti questi che sono nella superficie d ell’ acqua g li vediamo a seconda della forza d i tu tti que’ venti che ho descritti e che da pescatori si osservano, senza lim itazione di stagioni nè causa di venti nè a ltri accidenti che sogliono causare, come dirò, cor­renti o moti sott’acqua o che son segni dicono di mutazione di tempo e che può essere siano causati da vento sotterraneo come ho detto che accenna Bacone. 2

I raggi cocenti del sole dell’estate, che sogliono cominciare ad essere nella forza loro considerabile verso il so lstitio estivo, al dire de’ pescatori causano un moto o vero corrente a ll’altezza di un piede, che ora va verso Peschiera ora verso Torbole, pi­gliando i l d i lei principio dalla parte bresciana, precipitandosi verso la veronese, effetto fam igliare in tu tte le altre correnti di sotto che si diranno, per essere da quella riva il declivio a que­sta, per la maggiore profondità del lago eh’ è a quella parte, come ho dim ostrato nel capitolo della struttura organica del lago mediante ta li p ro fili.3

1 Anche qui ogni commento sarebbe inutile: solo resta a chiedersi come mai il Marsili accolga su un argomento come questo la credenza e la spiegazione baconiana.

2 Qui la grammatica è dolorosamente bistrattata. Il Marsili pare vo­glia dire che questi moti o hanno origine dai venti descritti o sono cau­sati da quei venti sotterranei di cui fa cenno Bacone nel passo riportato.

3 L’errore del Marsili che il lago declini col suo fondo dalla costa

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Chi direbbe mai che qualunque moto superficiale nell’acqua del nostro lago, che col più fiero vento non è più profondo di due passi in circa, causasse sempre un moto a questo contrario e si estendesse fino a venti o trenta passi e più ancora, quando il moto superiore fosse maggiore per ragione di una forza anche più gagliarda del vento che soffia nell’ambiente. E pure per dim ostrare come questi due m oti contrari vadano, col mezzo dì una piccola carta, ne darò un’idea pigliando l ’effetto del più co­mune moto superficiale proveniente dal vento d i suver o greco dove saranno linee distinte con treccie che hanno la loro punta verso la parte dove le acque corrono, e quelle che indicano il moto superiore saranno traversate da un S. e le altre che indi­cano i corsi profondi opposti saranno traversate dalla let­tera P . 1 Qualunque moto che al sito del di lu i principio possa dim inuire la mole dell’acqua del lago ed augumentarla alla parte opposta inferiore non è rilevante per il riparo, che se li fa dalla corrente o moto inferiore, atteso che senza di questo si vedrebbe di sopra dalla parte da dove soffia il vento gran diminuzione d’acqua è pel contrario nell’opposta di sotto aum enti conside­rabilissim i. 2

In questa carta per chiaramente intendere la disposizione di questi fra loro contrari moti, superiore ed inferiore, che anno

bresciana alla costa veronese fa attribuire la causa di questo movi­mento delle acque a tale declivio.

I venti, il dislivello e la densità varia sono le cause onde traggono origine tutte le correnti, ed anche le due a cui qui si fa cenno, forse quelle oggidì note col nome di Valanchera (da Sud per l’ansa di Gambis verso sud-ovet) e di Foss, che è la più importante e viene per lo più da nord.

1 « Ad ogni vento segue in direzione apposta una corrente di pari grado », cosi il Malfer (op. cit., pag. 68).

2 Anche qui il Marsili appare un po’ oscuro. Il suo pensiero par questo : « Ogni movimento sposta acqua dal luogo dove comincia al luogo dove finisce ; però se subito non ci fosse un moto subacqueo che resti­tuisce l’acqua al luogo donde il moto s’è iniziato, da una parte — il punto di partenza — avremmo una diminuzione notevole, dall’altra — il punto d’arrivo — un accrescimento considerevolissimo ».

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per prima origine il vento di Suver o d i Greco, si mostra che i m oti superiori anno sempre alla loro sinistra le linee de moti inferiori che pigliano il loro principio dove quelli finiscono ch’ò alle sponde quasi opposte al sito di dove comincia il moto supe­riore e questa regola è inalterabile per causa della pendenza del fondo del lago verso il monte Baldo, come ho dim ostrato ne profili. In questi siti opposti a ll’origine causata dal vento non si osserva mai un augmento d’ acqua maggiore di un piede, come nella parte superiore un uguale diminuzione, perchè col suo retrogrado moto d i sotto distinto con le treccie si discarica ed impedisce quell’augmento di acqua, che qui si farebbe con un’uguale diminuzione alla parte opposta da dove comincia il moto superiore.1

Per ultim o è osservabile che il moto o corrente di sotto non va con uguale velocità del superiore, essendo assai più debole giacché il corpo di acqua della corrente causata dal vento per l ’ordinario non è più alto di due passi, quando l’altro della con­tro-corrente di sotto giunge alla profondità di 20 passi, e per ciò anche dovrà essere di forza reciproca a ll’altezza, cioè l ’alta due a ll’alta 20 sarà una velocità come 20 a 2. Per mancanza de’ comodi non potei esperimentare per prenderne una prossima differenza che potrà essere fra loro, ma però con le reti, come dirò parlando delle pesche, s i conosce a bastanza. 2

D alle narrate mie osservazioni ed uniformi esposizioni de’ pescatori intorno de descritti m oti nel lago, tento di formare, però sempre col forse, le susseguenti deduzioni.

Il naturale e costante moto ch’è sempre nel lago, oltre al­l’attrazione del sole è quello dello scarico dell’acque confluenti in esso per quei descritti fiumi e ruscelli, e sorgente laterale al

1 Qui pone come prima causa di questi moti i venti, e nota che i moti superficiali hanno alla lor sinistra i moti subacquei. Ripete da ultimo la sua persuasione della declinazione del fondo del lago da ovest ad est.

2 O’è rapporto inverso tra velocità e profondità : la superficiale ha la profondità di quasi 4 m., la subacquea di circa 40 m., quindi si ha v s (velocità della corrente superficiale): 4 = 40: v p (velocità della corrente profonda). Si veda intorno a questa affermazione ciò che dice il Malfer nell’op. cit., a pag. 69.

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pelo dell’acqua, ch’essendo di pochissimo conto respettivamente alla mole intera dell’acqua del lago, la natura à constituito un em issario anche proporzionato ad essa e fatto l ’alveo con un fondo che dalla sua m aggiore profondità vada sempre salendo, in modo tale che l’acqua vera naturale non possa da esso uscire, ma stare in quel livello che la natura le ha costitu ito per l’eco­nom ia dell’intera mole dell’acqua dentro della terra .1

I m oti causati per le sorgenti laterali e dal fondo del lago salendo credo che non sieno continuati, ma che solo seguano quando coll’arte in qualche luogo debbono rim ettere l ’acqua le­vata, come nelle escavazioni descritte dei porti, a fine di rimet­tersi a quel prescritto livello, e che quando questo non sia di­m inuito, stieno le sorgenti oziose fra la terra, come destinate a tenere ripiena la cratera del lago, che riconosce questa pel proprio costante alim ento rinchiuso in quell’organica struttura che ho descritta e fatta in guisa ta le che unicamente può uscire quella tenue quantità che viene portata da descritti piccoli fiumi e rivoli e che può quasi dirsi un acqua forastiera venuta per ragione dello scolo dell’acque piovane o nevi liquefatte, che ba­gnano le terre circonvicine e pendenti verso il lago; poiché la propria di lu i è quella che vien condotta dentro dal moto delle sorgenti laterali e che dal fondo ascendono alla cima sempre sotto del pelo dell’acqua indigena del lago. La sorgente che ho descritto sotto nome di Bolliva nella vicinanza di Sirmione e che con le sue bolle m inerali m ostra di provenire da un moto verticale ha più di rarefazione, causa di quelle gallozzette di acqua, non vedendosi ivi considerabile aum ento di acqua.2

Con la dim ostrata m ediocrità de’ fiumi e piccolezza de rivoli confluenti può bene ognuno conoscere che i m oti che fanno col

1 Prima deduzione (il Marsili l ’accompagna però dei suoi dubbi).Il primo moto è dovuto alle acque che si scaricano nel lago, ma poiché

la quantità che si versa è modesta, così la natura ha dato al lago un fondo che permette il deflusso della parte solo scaricata, mantenendo dentro la cratera il più della mole acquea.

2 Le sorgenti, secondo il Marsili, hanno questo compito, mantenere le acque del lago a quell’altezza a cui lo ha destinato la natura. Rag­giunto questo, esse diventano oziose.

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corso delle loro acque in quelle del lago sono di poca estensione e quasi di nissun conto ed incapaci di resistere ad ogni mediocre contrasto de’ venti.

I m oti di crescimento e decrescimento e stato delle acque nel lago hanno la loro direzione, come dissi, dalle pioggie e li­quefazioni delle nevi che si scolano da quelle terre pendenti verso del lago, fra la m oltiplicità o scarsezza di quelle acque, che hanno le già descritte stagioni, per l’ augmento, stato e dimi­nuzione della più volte mentovata poca quantità di acqua, ch’è quella unicamente sottoposta a ta li varietà, mentre la propria e vera del lago, fatta dalle sorgenti laterali e verticali, non esce dal suo sodo e naturale livello prescrittole dalla n a tu ra .1

T utti l i m oti causati da venti sono incostanti e variabili se­condo l’incostanza e varietà di essi fra loro, causando con le loro im pressioni tanti diversi m oti; vero è che uno è più abi­tuato dell’ altro in certe stagioni, come di sopra ho notato. Quando questi manchino si fa una somma calma, che tiene im­mobile l ’acqua, detrattone quel tenuissim o moto suo verso di Peschiera, e quello che alle volte1 nasce per i l gran caldo. 2 S i può pur presupporre che certi improvvisi moti a m olti piedi sotto della superficie dell’acqua provengono da sotterranei venti che sbocchino nel lago senza che nell’ambiente spiri un minimo vento, se pur non fossero m oti causati da sbocchi improvvisi dell’acque sorgenti sotterranee dentro del lago, che però al dire de pescatori non alzano punto il livello dell’acqua del lago, ma solo predicono m utazioni gagliarde dei tempi. 3

1 Anche il moto di accrescimento e di diminuzione delle acque del lago, per le piogge, il liquefarsi delle nevi ecc., poiché il rapporto fra queste acque e la mole acquea del lago è tenue, è di poco momento.

2 Venti e caldo sono le cause prime di ogni moto.3 Forse qui nelle parole vaghe del Marsili qualcuno potrebbe vedere

un accenno a quei moti, presenti anche nel Benaco, di carattere perma­nente e ritmico, che si chiamano sesse. E questo sospettiamo, perchè il Marsili, che attribuisce tali moti a soffi d’aria sotterranei, dice che essi predicono mutazioni di tempo e sono improvvise, il che è proprio dello sesse.

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I raggi del sole cocenti, ho dimostrato, che pur essi cagio­nano moto in poca profondità dell’acqua superiore, che da quelli rarefatta si alleggerisce di peso, come ho detto nell’esame della natura di essa, e questa istessa rarefazione per mezzo del sole causa il moto che piglia un corso di corrente verso di quella parte, che ritrova nella parte superiore dell’acqua qualche spe­cie di d ec liv io .1

Se la mia dimora fosse stata più longa alle rive di questo lago, per certo avrei sopra di questo fatto m oltissim e osserva­zioni per potere forse prendere qualche lume da spiegare la corrente del mare, che in m olta profondità attorno dello sco­glio di Casidagno 2 in faccia di Cassi», territorio d i Marsilia, si gira secondo il moto del sole, dove i raggi del medesimo non possono penetrare a quell’acque profonde che con ugual giro del sole corrono, come siegue nelle superficiali del lago. In que­sto sito dentro del mare ta li correnti si distinguono pescando il corallo che vegeta in esso scoglio, che si può appunto fare nei mesi di luglio e d’agosto.

Tali osservazioni, che non hanno la corrispondenza d’altre in siti diversi, e nelle stesse stagioni, non lasciano altro luogo che di riferire l ’osservato. Abbiansi i posteri il ratiocinio col fondamento delle considerabili corrispondenti osservazioni.

I m oti superiori nel lago causati da descritti diversi venti metodicamente obbligano a diverse profondità a ltri contramoti, che con più celerità in esso si osservano per la di lui piccola estensione in lunghezza e larghezza. Un ta le inalterabile sistema unito a ll’a ltra osservazione che quando vi è calma perfetta nel

1 II sole, per l’evaporazione, determina movimenti : le acque evapo­rate, lasciando un vuoto, determinano movimenti verso il punto di mag­giore evaporazione.

2 Sorge proprio a S. di Cassis, il tranquillo rifugio della Provenza dove tanto imparò il Marsili dei segreti del mare.

Se si fosse trattenuto pift sul Garda, forse avrebbe trovato argo­menti per spiegare un fenomeno notato a Cassis di una corrente che si muoveva nel senso del sole, profonda e quindi tale da non accogliere gli effetti del calore solare. Invece nel Benaco il movimento secondo il sole è di acque superficiali, quindi meglio spiegabile.

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lago, egualmente anche tutte quelle correnti solite contro del moto de venti non vi sono, perchè cessati li venti, causa de’ moti superficiali, anche gli airi di sotto in 24 o 30 ore cessano, e tutta la mole dell’acqua del lago si mette in perfetta quiete, e tranquillità, alla riserva di una di quelle descritte estraordinarie e rare e brevi correnti di sotto, che predicono m utazioni d i tem­po ; 1 c’ insegna che l ’acqua di questo lago ha il suo stabile e naturale livello corrispondente alla mole acquea conservata nelle viscere de monti e terre circonvicine, come l ’intero mare re- spettivam ente a tutta la mole terrea del mondo. N el mare con maggior forza e per lunghissim e estensioni soffiano come nel lago i venti, che cacciano alla parte opposta le acque e senza la resti­tuzione a siti da dove partirono, si farebbono sommersioni e non vi sarebbe mai l ’indispensabile livello rimesso da questo contra­moto. 2 L’osservazione mia della contracorrente inferiore alla su­periore del Bosforo Tracio sarebbe forse con questa osservazione del lago spiegata meglio che con quella che in tenera età stampai e che rende probabile forse che dentro dello stretto di Gibil­terra sia un egual contramoto di sotto a ll’oceano, che ivi tenga il necessario livello con la restituzione di quelle acque, che per di sopra vanno al Mediterraneo. 8

Qui non sarà soverchio accennare che questi moti causati da venti nelle parti superiori de’ mari e la dim ostrata necessità

1 Se i venti non determinano moti superficiali, le parti profonde, ces­sati gli effetti dei moti superficiali (e gli effetti durano poche ore), si tranquillano, ed il lago diventa placido specchio. Solo persistono brevi e rare e straordinarie correnti subacquee che denunziano mutamenti di tempo. (Si veda il Malfer nei paragrafi «Variazioni di livello e Correnti», op. c., pp. 66-71).

2 Se nel mare — il che deve verificarsi anche nei laghi __ non avve­nissero i contramoti che restituiscono ad una parte le acque portate dai venti altrove, allora avverrebbero sommersioni e si turberebbe il natu­rale livello.

3 E’ osservato il fenomeno, ma non è data la causa esatta. Sul Bo­sforo Tracio è l’opera stampata fin dal 1681; sullo stretto di Gibilterrasi veda la mia pubblicazione Intorno alla lettera al Boerhaave in buonaparte pubblicata (Annuario del R. Liceo Scientifico A. Righi - Bolo­gna, 1929-30).

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de moti sotto acqua contrari a quelli, incontrandosi assieme, forse contribuiscano la loro parte a flussi e riflussi di tanti mari, e dove questi sono; e perciò sarebbe giusto il non attri­buir solam ente questi flussi e riflussi alla luna, ma riflettere anco agli effetti del sole per la continua attrazione che fa del- l ’acque; e se bene con le particolari mie osservazioni confron­tate con quelle di altri, potessi dire non poco, vedendo che ve ne mancano tante altre riservate a posteri eruditi ed a sovrani am anti delle scienze, conviene a quelli rimettere quanto noi non siamo capaci con tali capitali di d ir e .1

1 Non solo all'attrazione lunare, ma anche alla solare si devono i moti di flusso e di riflusso (si veda il cenno storico di G. B. Darwin premesso a « La Marca », pp. 62-73, in cui non c’è un cenno al Marsili.

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PARTE SECONDA1

Passo alle notizie che compongono la seconda parte di que­sta nostra dissertazione; queste riguardano a dar conto della vegetazione delle piante che si trovano dentro del lago ed at­torno di esso in certi s iti paludosi. D i quelle che sono già chia­ramente state espresse non pongo le figure ma solamente di quelle che non paiono secondo l’opinione de Botanici descritte. Accenno in essa i viventi che sono in questo lago medesimo e siccome sono quasi tu tti stati descritti da a ltri mi basterà di ac­cennarli co nomi dati loro dagli autori senza impegno di figure fuorché un processo della sarda, fuori del carpione maschio e femmina che si pretende un pesce particolare di questo lago e vi è pure unita la di lu i notom ia con più esatte figure. Mi esten­do sopra de moti di questi che nella non tanto grande ampiezza del lago sono diversi, nelle diverse stagioni per cagione de pa­scoli e di collocare in s iti propri le ova per la loro m oltiplica­zione su cui sono stato diligente, per vedere se in questo lago sia la corrispondenza coll’ordine che i Pesci osservano dentro del mare. La pesca del carpione come della trota ch’è assai in ­dustriosa nel lago, mi ha pure obbligato a far figure.

CAPITOLO PRIMO

Delle piante che si trovano In questo la^o.2

N ell’alveo di questo lago, siccome in quello di tu tti li mari si osserva, sono alcune piante ma di una molle sostanza là dove

1 Le note riguardanti questa seconda parte sono state redatte dall’il­lustre prof. Achille «Forti di Verona, al quale il Comitato Marsiliano vuole esprimere tutta la sua riconoscenza.

8 1 dati sistem atici che riguardano le piante fanerogame s o n o per la

fi

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quelle del mare sono di sostanza più aspra e pietrosa. Con di­ligenza e fatica de’ pescatori, per mezzo di reti e d’altre ma­niere procurai far estrar le medesime giacché sono a diversi gradi di profondità radicate sott’acqua, non comparendone so­pra che in certi s iti alle rive, dove le acque per ragione di certe sinuosità fatte dalle sponde, divengono a guisa di piccole pa­ludi, producendo ancora piante comuni a queste, cioè a dire la sagittaria, la persicaria, la piantaggine acquatica, moltissim e canne 1 ne siti piani alle sponde del lago notati appunto nella mappa di lui. D i queste non fui sollecito, come di quelle dentro del vivo del lago, le quali più esattam ente osservai per rintrac­ciare o la diversità o la corrispondenza con quelle dentro del mare, atteso l ’eccessivo freddo descritto nel tempo appunto proprio per la vegetazione delle piante nel lago. D i fatto per tutto il lago la vegetazione delle piante, che da basso dirò non passa la profondità di 18 passi, a riserva di una certa specie di spongia detta d a pescatori panata 2 che cresce fino a 45, 50 e 55

massima parte basati sull’opera : « Le Piante Fanerogame dell’Agro Ve­ronese » (1896-1900) - Censimento del Dott. A. Goiran - Estratto della Monografia Statistico Economica su Verona del Sen. C.te Sormani Moretti.

1 Rispettivamente : Sagittaria sagittaejolic, L. (Goir. I p. 102).Polygonum Persicaria L. (Goir. I pag. 235) sebbene sarà probabil­

mente piuttosto Polyg. lapathifolium o P. H ydropiper L. erbe di sponda assai più frequenti.

Alterna Plantago L. - Per quest’ultima il nome del Marsilii corrisponde meglio al volgare « Piantazeno d’acqua » che non al nome italiano « Me­stola, Mestolacoia » (Goir. I p. 101).

Meno agevole stabilire se queste « canne » siano da attribuirsi tutte a Phragm-ites communis Trin. pure essendo la relativa formazione este­sissima specialmente sulla sponda meridionale assai poco declive perchè può intendersi per « Canna » anche il giunco di stuoje « Juncolo » Scirpus lacustris L. già noto al Segujer, delle sponde del Garda con la relativa formazione esterna alla precedente della Phragm ites e chiamata appunto Scirpetum ; (Goir. I pag. 79).

2 Non è agevole indicare con un nome specifico questa « spongia » espressivamente chiamata « panata » dai pescatori anche al tempo del Nostro. Certo si è che tale denominazione di « Spongia » può aver avuto ragione dalle forme di molti spongiari d’acqua dolce soliti a trovarsi sulle canne litorali del Benaco fino ad oltre la zona di vegetazione e che di

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passi. D alla profondità minore a cui cresce una specie di erba fino alla maggiore ch’è quella della predetta spongia ciascuna di quest’erbe tiene quasi inalterabilm ente quella profondità più congrua alla natura di l e i 1 a causa de diversi gradi (punto noi

primo acchito possono non agevolmente distinguersi da quello che Adriano Garbini (Primi Materiali per una Monogr. limnologica del L. di G. : Atti Acc. Agr. Ver. 1893 p. 12 dell’estr.) disse « Feltro organico» da «fefltre or- ganique » appellativo usato dai naturalisti ginevrini. Egli soggiunge che tale strato spugnoso-melmoso viscido ricopre tutti i corpi sommersi, non escluse le piante stesse, anche se oltre una certa profondità quest’ultime non vi saranno che in frammenti trasportati dall’onda.

I l fatto s i è che tale feltro come il Garbini dice costituito di Diatomee, Desmidiee e Palmellace, cui si potrebbe soggiungere di Missoficee, Bat- teridi fra cui si annidano un cumulo di animali microscopici o appena visibili risale a rivestire anche tutti gli oggetti sommersi negli strati su­periori fino alla riva quasi al cui limite, forma una zona bistro-giallastra trasparente nei punti ove manca la vegetazione maggiore. Del resto ancor al presente il Malfer trovò l’espressione «panè» per dire spongille. Vedi perciò le note successive.

1 Questo della distribuzione della vegetazione delle rive secondo zone ben delimitate dalla profondità specie per specie o in piccole associa­zioni è un fenomeno ben accertato da quando gli studi limnobiologici eb­bero uno sviluppo razionale. Uno dei primi studi in proposito venne dato da Ani. Magniti (« La végétation des Lacs du Jura », Paris, Klincksieck 1904), opera che reca in fondo delle considerazioni generali sulla vege­tazione lacustre. Da noi, vari bacini vennero presi in considerazione sotto questo criterio da vari autori, tra i primi da Olinto Marinelli, da Arrigo Lorenzi, da Forti e Trotter e da altri molti, ma per il Benaeo in particolare manca ancora una carta o meglio la carta di quei tratti di lago in cui sarebbe stato utile il tracciamento delle associazioni bota­niche partitamente sia considerando le zone sommerse sia considerando quelle che lo sono temporaneamente o le immediatamente limitrofe che dal lago ritraggono un particolare carattere. Il Garbini nei suoi saggi di parecchi anni prima, che a suo tempo ebbero valore di pri­mizia, tuttora utilissimi, non fece mai della cartografia : il Malfer pur avendone fatta di preziosa sopratutto dal lato ittiologico anche per lo studio dei vernacoli non curò minutamente la carta geografico-bota- nica nei suoi particolari. Mirabile l’intuito del Marsilii della distribu­zione zonale della vegetazione neritica che occorre venire fino ai tempi recenti per vederla riprendere in considerazione razionalmente ossia ele­mento per elemento.

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dabito) d i maggiore o di minor freddo, siccome anderò d istin ­guendo sotto i nomi praticati nelle medesime da pescatori e da botanici, giachè di queste mandai scheletri a ll’eruditissim o pro­fessore nella U niversità di Padova G iulio Pontederà che sopra delle medesime mi scrisse una elegantissim a lettera latina, ed al professore sim ilm ente Botanico nell’Università di Bologna Giuseppe Monti, da cui n’ebbi una copiosa contezza, e sì del- l ’una come dell’altra informazione mi prevarrò per la denomi­nazione delle medesime piante e riflessioni a ll’istesse.

L’erbe dunque dentro del lago, che a pescatori è riuscito farm i vedere coll’asserto di non averne trovate mai altre in esso in tutto il corso dell’ età loro son undici. Il primo luogo ànno quelle le cui vegetazioni sono più vicine alla superficie e succes­sivam ente seguono quelle altre che a poco a poco si van da que­sta scostando.

La prima cresce nel lago all’ altezza di passi uno ed ha il nome di H yppuris aquatica fe tida p o ly spanna, g iusta la de­finizione del Pontedera che chiamolla in tal forma, così r i­chiedendo i fiori e fru tti di essa, laddove da Casp. Bacchili è chiamata Equisetum fetidum sui) aqua repens. I l V aillant la ripone fra le sue erbe dette Chare e l’in tito la Chara vulgaris fe­tid a ex A ctis Reg. Ac. Par. anni 1719 sed editis anno 1721 .1

1 Non è possibile dare indicazione esatta di quanto possono ritenersi certe piante che possono tuttora venir attribuite alle Caraeee.

Siamo nell’epoca in cui taluni autori, come nel caso presente lo Zan- nichelli o il Pontedera, seguivano ancora la denominazione polinomia, altri invece, come il Vaillant, la binomia. Come si sa spesso litigioso è il riconoscimento specifico di queste crittogame e non poche volte non si potrà esporne una identificazione se non in base alla uguaglianza degli epiteti specifici se conservati nella specie come oggi è intesa : Qui dunque 1’« Hyppuris aquatica» fetida, polysperma, cosidetta dallo Zannichelli con probabilità corrisponderà a Chara foetida A. Br. oggi unificata con Chara vulgaris Linn. Gli addotti sinonimi di C. Bauhin e del Vaillant sono tenuti tuttora per tali.

Ch. vulgaris venne già notata per il Benaco dal Garbini (op. cit. p. 11) per la spiaggia sommersa, certo è compresa in quella formazione che il

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La seconda cresce alla profondità di passi uno e mezzo da pescatori è detta Oazol, da Botanici P otam ogeton ro tu n d i fo- lium alterim i Fior. Prus. 2 0 5 .1

La terza cresce alla profondità similmente di un passo e mezzo ed ha nome da pescatori Gazol G entile, da B otanici Mi- riophillum aquaticum pennatum e t spicatum secondo l’opinione

Malfer (op. cit. p. 48-49) dice « Erba setila » come la chiamano i pe­scatori.

Col nome di Hyppuris Aquatica fetida polysperma potrebbe peraltro sorgere il dubbio che non si trattasse deW'Hyppuri» vulvaria L. cui se­condo il Pollini che la raffigura (FI. Ver. I (1882) tab. II) spetterebbe il sinonimo « comunissima da Malcesine a Peschiera, nei piccoli porti » come la trovò il Goiran (II p. 448). La polispermia è per altro più della Chara. Ogni dubbio peraltro può cadere confrontando la figura del Bauhin (Prodr. I p. 25) che rappresenta senza dubbio all’evidenza una Cliara in piena fruttificazione. Anche il Segujer (PI. Ver. I (1745) p. 102) ne fa menzione seguendo passo passo quanto dice il Pontedera e cosi si arriva a ritener questo vegetale a preferenza una Chara piuttosto che un 'Hippuris.

I II nome di « Gazòl » è usato normalmente per tutti i Potamoge- toni. Il Potamogeton rotundifolium alterum è quasi senza dubbio da ri­tenersi il P. perf oliata L. ; la specie più lacustre e pure la più comune nel Lago di Garda, nota fino dal tempo del Segujer (Cfr. Goir. Cens. 1 p. 95) indicata pure dal Garbini (Op. cit. p. 11) come trovato su la spiag- già sommersa e dal Malfer (Op. Cit. p. 51 con fig.) che anche lo dice « Ga­zol » o « Gazoi ».

II riferimento che fa il citato C. Bauhin (Pinax, V, sect. VI, pag. 193) alla sola figura di questo genere che ne dà il Mattioli (TTisc. Diose. (Valgr. 1581) libro IV, p. 719) ove le foglie sono lungamente picciolate ed evidentissime le lunghe brattee lanceolate all’ascella delle spighe, in­dicherebbe palesemente invece che si tratta del Potamogeton natans L. pure assai frequente nel Benaco e variabilissimo. Tal pianta sarebbe po' polarmente chiamata « Lengue, Cresse», «Leto dei roschi» (vedi Goir. oip. cit., p. 94).

Del resto la poca sicurezza che si ha nello identificare questo P. ro- tundifolium con P. perfoliatum L. dai riferimenti Marsiliani convalidati dal Pontedera traspare da quanto dice il Segujer (PI. Ver., I, p. 405): «D e « Potamogitone rotundifoUo altero Loesel. FI. Pruss. 205 num. 65. Quod « olim Marsilius in Lacu Benacensi legit et cuius meminit Jul. Pontedera « e in epistola ad eumdem, vix habeo quid dicam, cum mihi nequaquam « occurrerit ».

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del Pontedera che l’ha riposta in un nuovo gen ere .1 II Turnefort la colloca fra i Potam ogeti descrivendola Potam ogeton folus pin n atis Inst. Re. Herb. I l V aillant è dell’ istessa opinione del Pontedera.

La quarta cresce alla profondità di due passi volgarmente appellasi cartellina appresso il Turnefort. S i chiama alga flu vìmUs gram inea longissim o folio. Inst. Re. herb. 569. I l Monti mi scrive che il Micheli ha veduto i fiori ed i semi di questa che mostrerà nella Tav. dove ha figurato due piante sim ili col nome di vallisneria e vallisneroide e la descrive Vallisneroides vul- gare italicum . -

La quinta cresce alla profondità di due passi ed è una gaaola dì altra specie, che i B otanici nominano M yriophyllum Mwra- tr iph yllu m palu stre alterum . Lob. Icon. 790. Ma il Pontedera ha dubbio se questa sia di tal sorte, non avendo veduto i fiori ed i frutti della medesima. I l Monti cita in quest’erba l’istesso autore e dice inoltre che di ta l pianta conosciuta dagli antichi

1 Anche il Segujer (PI. veron., I, p. 403, vedi Goìr. II, pag. 448) chiama questa pianta come il Tournefort « Potam ogiton folus pinnatis » sinonimo di M yriophyllum spicatum L. nome adottato dal Pontedera e dal Vaillant. Non si tratta dunque di un Potamogetone ma bensì di un ge­nere di piante affatto diverso appartenente alla fam iglia delle Halorra- gidacee. E’ comunissimo lungo tutta la riviera del lago come è riportato attualmente dal Goiran stesso e dal Malfer (op. cit., p. 52). Il Garbini (op. cit., p. 11) parla di M. pettinatura, una varietà del congenere, assai affine : Myr. verticillatum che vive promiscuo e spesso non è facile a di­stinguersi ; lo dice abitare sulla spiaggia sommersa. Il nome vernacolo di « Gazòl » sembra abbandonato quantunque venga usato per le piante di piìl differente natura (p. es. per le piante di Iris, Xìph ion, Hermodactylus etc. in causa delle foglie gladiate). Oggi Myrioph, spicatum vien detto « Erba grata » confuso probabilmente con certe piante di « Najas » che sono orticanti. Strano che non accenni, o per lui il Pontedera, alla, se non bella, dimostrativa figura data da C. Bauliin a pag. 73 Lib. IV del Prodromus sotto il uome di M illefolium aquaticum pennatum spicatum.

2 Si tratta certamente di Vallisneria spiralis L., ancor oggi detta «Alega, Erba cortelina» (Goir. I, p. 103; Malfer, p. 51). Il Garbini la dice vegetare su quella che chiama «spiaggia sommersa» (p. 11).

E’ nota fin dal tempo del Segujer (PI. Ver., voi. I, pag. 250) che scrive: « ....d e Alga fluviatili quam Vallisneroidem Michelius vocat.... ».

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scrittori il prefato Micheli ha costituito un genere nuovo col nome di Buccaferrea . 1

La sesta cresce all’altezza di passi sei. Chiamasi Clutra m m or subcinericea, frqgilis, dal V aillant Act, Reg. Par. Ac. 1719. Il Morison la chiama E quisetum fragile m aius subcm ericeum aquis im m erm m . Questa pianta cresce ancora alla profondità di passi quattordici e mezzo.

La settim a cresce alla profondità di passi 17 V? chiamata scola. 2 Sopra questa il Pontedera mi scrive così : de illa quam

1 II gen. Buccaferrea stabilito dal Micheli nel 1729 (Vedi Pfeiffer, Nomencl. Botan., I, 1, pag. 486; Bertol, FI. Italica, II, p. 239) è sinonimo di Ruppìa che non si conosce per il Benaco ed è pianta del tuto alicola.

Questo Myriophyllum è difficile a interpretarsi ; forse per la presunta somiglianza con la Ruppia potrà essere la Zannìehellia palustri& più fre­quente nelle acque correnti ma che Invade anche quelle del lago. Ma non è che una presunzione questa, presunzione però avvalorata dal fatto che anche il Garbini la dice nota del Benaco (op. cit., p. 11) e trovata sulla spiaggia sommergibile. La circonlocuzione « Myriophyllum marathriphyl- lon palustre alterum ubi flores omittuntur nec capitula recte expri- muntur » del Lobel può benissimo essere approipriata a descrivere Zanni- cliellia palustris quando si consideri che, a pag. 141 (Lib. IV, sect. III) del Pinax, C. Bauhin, sotto il capoverso : « VII. Millefolium aquat. foljis foeniculi ranunculi flore et capitulo» elenca la descrizione di Lobelio erroneamente, non concordando la forma del fiore. Grossolanamente può ritenersi confermata la somiglianza nella forma delle foglie con le sot­tili lacinie nell’un caso e nell’altro.

2 E’ presumibile che questo nome vada pronunziato scó-ola (veron. « scovola », piccola scopa). E’ assolutamente impossibile identificare la pianta perchè la sua fragilità farebbe supporre che in verità ci trovas­simo di fronte a una Caracea come ce ne sono molte nel lago (Chara tomentosa L., la «G rossa») ed altre più sottili per lo più sterili (la « Setila ») come vide il Malfer appunto a questa profondità da sei a diciotto passi. Oggi ancora, secondo lo stesso, con tali nomi popolari si indicano i componenti della zona dell’« Erba », pasto dei pesci erbivori e spesso luogo di frega.

Ma la presenza di radici lungo il fusto che induce il Marsili alla de­nominazione di « repens » lascia in dubbio che non si tratti di una fa ­nerogama, forse di un’Hippuris che col disseccamento talvolta diviene brano da verde. Anche le Oliare per altro sogliono cambiar colore e il

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ab iucolis scola appellari mones duodeviginti saepe pedes a natali sede protensam, scribam, cuius piane mentionem, ut mea est memoria, apud probatos scriptores nullam legisse fateor, ideoque cu i generi s it adiicienda, hand facile comper- tum habeo. Quod enim in tabulato caule semen invenisti; s i fi ores aut quid item eodem ordine ferait, non dubito, quin ea in novum genus sit recipienda. H uic, generis cognatione illa, quae apud Joannem Rayum dicitur « alga marina gra- minea angustifolia, sem inifera marosior, quam proxima vi- detur. Locum porro qui apud hunc auctorem, cui supplemen- tum titu lus apponitur, extat 16, totum subiciam. U lnas duas longitudine aequat vel etiam superai, cauliculo tenui compresso, geniculato et ad genicula fo liis cincto, ramoso ram ulis a folio- rum sinibus exeuntibus. F olia angusta sunt vix semunciam lata,

paragone con altri vegetali scoperti nel Baltico dal Boerhave, forse dalla Chara baltica Bruzel., starebbe a dimostrarlo.

Nessun criterio può ottenersi dall’aver osservato la pianta con o senza fruttificazioni avvenendo tutto questo sia nelle Citare quanto nelle Hip­puris.

Un fortissimo criterio per appigliarsi a l’ ultimo partito che non possa cioè trattarsi di una Chara rimarrebbe considerando la figura che ne diede il Segujer (PI. Veron., t. I, p. 103, t. II) che certamente va rife­rita a H ippuris vulgaris L. sterile sia per il portamento della pianta, sia per la presenza delle radici ad ogni articolo del rizoma prova evi­dente del suo carattere di Fanerogama. A questo proposito anzi il Goiran che dice H. vulgaris frequentissima nel lago e in tutto il Veronese vi avrebbe attribuito a questa specie del Vaillant ambedue le Hippuris de­scritte dal Segujer.

Ma per l’altra va fatta riserva come s’è detto nella nota che tratta della prima delle specie del Marsili. Non basta : vi dovette attribuire la pianta descritta sotto il genere Limnopeuce dal Segujer medesimo (suppl. Tom. I l i , pag. 64) « Humilis quaedam pianta in fundo lacus Benacensis proveniens », nome che questo autore sostituisce a quello imposto alla figura AeWHipp. subcinerea. Bimane ehe il Segujer però non fa men­zione del nome di scola.

Non è da escludersi infine che al Marsili sia potuto sembrare una sola pianta un groviglio di Caraeee e di H ippuris che sono concrescenti; a questo farebbe pensare l’eccessiva fragilità quando siffatte piante erano disseccate.

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longitudine interdum semipedali plerumque breviore. Quae ver­sus summos caules sunt velut pediculo cuidam insident, ima parte a pediculo ad duas tresve uncias, intus cava sen fistulosa supina superficie quousque cavitas extenditur in angulum as surgente. Cavitas haec velut theca quaedam foliorum alterum e pediculo nascens et facile exem ptile intus continet, cui adna- scuntur brevissimis pediculis duplici ordine fo llicu li deorsum dependentes, quorum unusquisque semen intus continet unicum, teres, oblongum, ceruleo vivide. Cum semen m aturuit cavitas seu theca modo dieta secundum angulum per longum dehiscit singulique folliculi sponte aperiuntur et semen effundunt. Hanc plantam accuratius describere placuit, quoniam a nemine ante hac quantum noverim hic semina producendi modus vel in hac vel in alia quavis specie pianta e marinae vel descriptus vel ob- servatus fuit. Cuius inventi laus Dalgo nostro debetur ». Il Monti scrive anch’egli stare in dubbio di questa pianta e non poterne dire cosa sicura e la ragione essere, perchè vedendo questa sec­cata non ha potuto distinguere qual forma abbia quando è fresca ; poiché quando volle dividerla tu tta si stritolò ; con tutto ciò aver cercato ed essergli riuscito separare alcuni rami che pare abbiano foglie verticillate, come gli equiseti, lo che se fosse non potrebbe dirsi nè muscus, nè conferva, nè fucus come potrebbe, se fosse tu tta piana e portasse i semi nella so­stanza della foglia. Cosi egli. E certamente questa seola è sog­getta, come le altre nominate piante, a pena fuori dell’acqua a cambiare il color verde in un chiaro cenerino, ed a ridursi friabile, come polvere a differenza delle piante marine, che svelte dal mare rimangono consistenti, anzi quasi polpose, per­chè g li utricoli loro son riem piuti di un nutrimento salino bituminoso, che tiene le loro parti ben conservate ed unite là dove queste del lago sono composte d i utricoli più dilatati ripieni d ’acqua di sostanza leggiera e fluida che arrivando nel­l’ambiente resta dall’aria e dal sole subito attratta e gli utri­coli noti ad un minimo tratto si riducono in polvere. Io per me stim o bene il chiamare questa seola Fucus lacustris repens colore v ir id i obscuro. E lla pare una sorta nuova di pianta, come ognun vedrà dalla tavola dov’è posta la sua figura, che ha un

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piede dal quale nasce il fusto primario sottile come seta che con a ltri filam enti diram asi senza una minima foglia, i quali nei tubi hanno grani di semi uno appresso dell’altro nella forma non dissim ile dal B altheum m aris ba lth ici e si come a quella pianta danno i B otanici nome di fuco, pensasi che fosse bene il chiamare fuco anche questa.

A lid i del mare batavo, ed in specie nell’isole di Tessei, trovai fra le m olte specie di fuchi quella del mentovato B ai theum ma/ris òaltM ci, come ho detto nell’ ultim a dissertazione a Boerhaave, ed ebbi m olti indizi Che ne siti de semi fossero fiori visib ili, quando di fresco il mare gli gettava. Ho com­messo nel medesimo lago più diligenza per osservare quei fiori che non ho veduti fin ora. Questi semi, come sono nella figura rappresentati, g li trovai ne mesi d’agosto e di settembre, ma inoltrandosi la stagione a ll’autunno vidi le seole senza alcuno di questi, perchè gli avevano probabilmente gettati nella so­stanza lotosa. H o chiamata questa p ianta repens, perchè per tutto il tratto dell’estensione d’essa, ho ritrovate piccole radici che g li danno, dal lato dove sono, l’alim ento serpeggiando per esso.

L’ottava fu ritrovata sopr’aequa fiorita in un seno di isola il dì 19 settembre 1724. Questa chiam asi R am m culoides foeni- cu li fo lio longiore. Vaili, nov. gen. in Act. Reg. Acc. Paris, anni 1719, edit. B at. 49. Ranunculus aquaticus a ltu s flu itans Peucedani folii. H. L. B. 514 Tav. 291 M illefolium aqmtticum fol. fen icu li Ranunculi flore e t cfppitulo C. B. Pin. 1 4 1 .1

1 Trattasi quasi senza dubbio del Ranunculus trichophyllus Chaix, il più comune dei congeneri anfibii appartenenti alla Sezione Batrachìum lungo tutta la sponda del Lago di Garda (Goir., II, p. 14).

Ora è ritenuto una semplice varietà del R. aquatilis L. di cui non presenta giammai l’eterofillia specificata per la stazione terrestre e ac­quatica come il tipo. Il Garbini infatti (op. cit., p. 10-11) cita ambedue le forme e anche quella di R. D rouetti (F. Sch.) Rouy, ora ritenuta varietà di R. trichophyllus non ancor segnata nella flora italiana e neppur vero­nese ove sarà da riconfermarsi (Cfr. Rouy Consp. FI. de France, Paris 1927, p. 5). Un’ultima prova che si tratti di Ranunculus trichophyllus Chaix si è il riferimento che il Marsilii fa di questa pianta a Millefo-

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La n o n a 1 chiam asi Gramen aquatìcum flu itans irw ltip lirì spica, siccome scrive Casp. Banh. nel libro in tito lato Finax.

La decima è Potam ogeton fo liis crisp is sive lactuca ranarum C. B. P in. 1 9 3 .2

L’undecima è una spongia 3 detta da pescatori Panata che a

Unni aquatìcum, fot. feniculi RanuncuU flore et capitulo del Pinax a pag. 141 quando lo stesso Bauhin nel Prodr., L. IV, p. 141, raffigura mi­rabilmente il M illefolium aquatìcum cornutum che per la lunghezza del picciuolo non può essere che l’affine R. foeniculaceus Gilib. pur noto nel Benaco (Goir., II, p. 14).

1 L’incertezza nella citazione del Bauhin concorda con la poco esatta trascrizione del nome e con la mancata indicazione della figura o, come nelle presenti osservazioni suol fare il Marsili, della pagina del Pinax. Si trova dunque un Gramen aquatìcum sótto un paragrafo intitolato Gramen junceum et spicatum posto come sinonimo di G. junceuni folio articolato aquatìcum (cfr. Bauh. Pinax (Basileae, Regis, 1671) Lib. I, sect. 1, p. 5 et Prodr. Life. I, p. 12 c. ic). Fuori di dubbio dunque che deve trattarsi di un Juncus e, per la disposizione dei rami dell’infiorescenza, dello </. articulatus L. che a detta del Goiran, che non ne cita che la forma J. lamprooarpus Ehrh, è la specie più comune sulle rive del Be­naco (op. cit., I, p. I l i ) di tutte queste piante.

2 Questa specie esattamente riferita dal Marsili al Pinax, p. 193 (Lib. V, Sez. VI) trovasi pure descritta dal Segujer (PI. Ver., Tomo I, pag. 405) conservandovi lo strambo epiteto di « Lactuca ranarum » che non risponde a verità non essendo le rane che insettivore. Malgrado che l'attribuzione di crispus faccia poi venir in mente il Potamogeton cri- spus L., il Pollini ritiene che invece si tratti del P. densa L. dalle foglie opposte (FI. Ver., I, p. 188). Secondo il Goiran (I, p. 96) sarebbe stato segnalato fino dal tempo di Francesco Fontana. Certo che pur essendo nel lago qua e là frequente, non lo diviene come nei fossati, nelle paludi e nelle resorgive di pianura.

3 II Garbini (Fauna Veronese, in Monogr. Stat. Ec. etc. (II) p. 292, col. II) pur nominando i manoscritti del Marsili « conservati alla B i­blioteca dell’istituto di Bologna » non deve averli dovuti consultare per­chè non ne fa poi ulteriore cenno nel pregevolissimo suo studio premen­zionato e neanche a proposito dei Carpioni dove il nostro Marsili, come sarà detto più oltre, già al suo tempo aveva attinto notizie certe sulla biologia di quel pesce. Tutte notizie degne di trovarsi tra gli studi più recenti e che in gran parte aveva desunto dalla testimonianza dei pesca­tori. Ma il Garbini non dice del Marsili neppure nei lavori precedenti alla Fauna veronese (vedi: Primi Mater. (1893) pag. 26, 52, 59 etc. Con- trib. allo studio delle Spongille italiane, Voi. LXX ser. I l i delle Mem.

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differenza di tu tte le altre erbe non sola vegeta in maggior pro­fondità senza distinzione di radiche, come le sponge appunto marine, ma cresce sopra diversi corpi come ossa, conche, legni ed anche nel puro loto, e ciò meglio vedasi nella tav. 15. La communicai col signor Pontedera e n’ebbi questa risposta. « Re­s ta i spongia quam recte inter spongias nomen sedemque obti- nere censeo, nani quod fragilis sit et fragile inter digitos fria- bilis, ea fortasse est fluviatilium plantarum natura. Quave et

Acc. d’Agric. A. e Comm. di Verona (1894); Appunti per una limnobiotica italiana, I, Protozoa Porifera e Coelenterata nel Veronese, Zoologischer Anzeiger (n. 454, 1894).

Nello studio pili esteso (Contrib., p. 3) fa la letteratura relativa ai ritrovamenti nel veronese; nomina la Spongia fluviatilis trovata dal Lan- fossi nei laghi di Mantova fino dal 1825 che evidentemente va ritenuta la specie fluviale. Se per altro il M'arsili sotto codesto appellativo di « spongia » aveva potuto alludere al « feltro organico » o, come sarà ripetuto più innanzi, ad un complesso di viventi della più eterogenea na­tura, secondo il luogo dove veniva raccolto, per « l’undecima pianta e col nome di spongia lacustris subrubra friabilis » sottoponeva al Pontedera indubbiamente delle Spugne d’acqua dolce e probabilmente più d’una specie, la fragilità essendo bensì un carattere comune a parecchi di tali organismi ma non cosi l’aspetto ramificato della spugna « ramosissima » come la vide il Plukenett citato dal Pontedera. Questa forma ramificata è ancora al presente considerata come carattere distintivo della Spon- gilla lacustris (L.) Lieb. (Cfr. Weltner in Brauer Die Suesswasserfauna Deutschlands, Hft. 19 (1909) p. 181). - Sp. lacustris fino al 1893 era rite­nuto unico ospite del Benaco : dal 1881 vi era stata notata da Pietro Pavesi, non altrimenti che nel Verbano, e si poteva supporre che le specie fluviatili non penetrassero nel lago. Ma la Sp. lacustris fu scoperta esi­stere anche nel Tartaro e non soltanto allora il Garbini potè giungere all’affermazione non esservi vera limitazione nelle aree geografiche invase da l’una o da l’altra specie ma scopèrte — soprattutto presso l’imbocco del Mincio — Ephidatia fluviatilis anche nel Garda, e questo senza con­tare altre specie più rare di Poriferi (Zoolog. Anzeig. 1897, n. 547, Fauna, pàg. 291) ed Epliidatia Muclleri Liebk. propria del Tartaro. Tutto questo per dimostrare come non fosse stato difficile che anche il Marsilii non avesse avuto presenti nella panata più serie di Spongille in una volta.

A proposito di denominazione vernacola il Garbini intercettò il nome di « Pan bagnà, pan de pésse » per VE. fluviatilis del Tartaro ed anche il Malfer (Benaco, pag. 104 e 303) chiama le spongille coi pescatori di oggi « pane » e le dice pasto abituale del Carpione e del Vairone.

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quae ut Britanni loquuntur, fluviis innascatur, spongia appel- latur fluviatilis, anfractuosa, perfragilis, ramosissima Pluk. Phy- tol. Componitur haec fibrillarnm fasciculis inter se denso or­dine congestis atque com plicatis inter quos anfractus relin- quuntur quos utricolis aqua plenis in viva stirpe referios ex i­stim o ideoque fllamenta non nulla quibus utriculi contexe- bantur soluta cernere licet. Coloratam hanc esse spongiam ex- picta imagine apparet, qui color ab aqua fit coloratis particulis feta, hinc ea quam compressam m isisti, in pallorem languescit effluxerant si qnidem cum aqua subrubra corpuscula. Hoc ta- men coloris discrimine apposito, ipsam definiendo complectare ». Così avendo io riguardo anche al colore la definisco sponcjia la­custri# subrubra friabili*.

Essendom i questa arrivata nuova nel lago, non avendola ve­duta fuori che nel mare, fui curioso di fare quelli sperimenti che potei nell’angustia dei mezzi. Spremetti da questa spun- gia la sostanza fluida ch’era in essa, Svelta che fu dal lago, che aveva il colore di caffè chiaro con un odore soave di marea, che accostavasi a quel di menta. In due vasi a parte posi que­st’acqua spremuta. In uno m ischiai dello spirito di vetriolo, nell’altro dell’olio di tartaro. Nel primo parve un insensibile ebullizione, nel secondo l ’olio tutto unito precipitò a basso, te­nendo sopra di sè l’acqua spremuta, che poi con un lungo dibat­tim ento feci assiem e incorporare, e l ’olio venne a galla. La­sciati per ore 24 questi ne loro vasi, quell’acqua ch’era collo spirito di vetriolo prese colore come di vino nuovo bianco tor­bido e dava un odore erbaceo gentile. L’altra coll’olio di tar­taro prese un colore terreo scuro e dava odore d i marea forte come di gambari p u tre fa tti.1

1 E’ ancora possibile seguire questa rozza operazione chimica. Il li­quido così spremuto sarà stato carico di sostanze proteiche provenienti dalla parte vivente del porifero. Trattato con l’acido solforico e sotto­posto perciò a violenta ossidazione le sostanze suddette subirono una scom­posizione con svolgimento di un gas probabilmente di anidride carbonica e di vapor acqueo. Ciò che rimase, spicole silicee, membrane cellulari meno facili ad essere scomposte non subirono quel processo degenerativo

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Questa Panata è il più gradito alim ento alla sardella e al carpione, così che per trovarlo doppo partorito le ova corrono a quelle parti dove n’è più abbondanza ne siti tra Peschiera, Zisa, Bardolino, D isinzano e rocca del Sasso, dove non essendoil lago così esposto a venti grecali ed essendo più dilatato, ed in conseguenza meno profondo mirabilmente ella cresce.

Tali piante 1 crescono dentro del loto che copre il fondo na­turale del lago, fatto, come dissi, da strati di pietra, essendo ora di colore cenerico chiaro, particolarm ente verso monte Baldo ed oscuro verso la parte bresciana. Tutte hanno fra loro diverse nature chi aspra chi m olle; e d i tal differenza ha vo­luto la provvida natura valersi pel discarico delle ova de pesci ; alcuni dei quali am anti d i prole fra le erbe, cercano maggiore, alcuni m inore mollezza, dove conficcano il ventre e spandono le ove medesime.

A ll’ulteriore profondità di 18 passi non si da (toltone la spongia predetta) per tutto il lago minimo segno di erba la dove nel mare (siccome ho detto trattando di gradi del freddo in questo lago) a più di 100 passi del luogo detto gli abissi, i pescatori anno svelto pseudocoralli ed ancora erbe m olli pol­pose, come pregne di acqua salsa bitum inosa poiché l’aria iv i non è si aspra e sì rigida come questa del lago. 2

da renderle fetide come avvenne nell’altro caso in cui l’acido tartarico, o un suo sale che fosse, non bruciando la sostanza organica permise si svolgessero i gas della putrefazione.

1 Niuna meraviglia che in quegli anni le spugne potessero ritenersi piante ; basti dire che Ferd. Marsilii avendo sorpresi estroflessi i polipi del Corallo li interpretò per fiori e però soggiunse di non essersene fatto un concetto adeguato e fu leggendo la sua storia e le sue esperienze che nel 1717 il Cestoni ritenne trattarsi di un animale, così precedendo il Peyssonel che, contrario il Reaumour, non lo affermava se non nel 1723. Vedi : Origine e svolgimento dei prim i studi biologici sul mare in Italia . Discorso di Achille Forti - Venezia 1922 - Atti R. Istit. Ven. t. LXXXI, p. I, pag. 79-167 : a pag. 73 dell’estratto.

2 Queste regioni spoglie di vegetazione che stanno oltre la zona ca­ratterizzata dalle Caracee sono dal Malfer denominate con gli appella­tivi dei pescatori : il « Trep », la più estesa, va dall’apice settentrionale a la riva di Desenzano e di Rivoltella, a sinistra della dorsale subacquea

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Solamente nel tempo autunnale potei sapere elle nel forte dell’estate, ed in specie in poca profondità nello spazio del lago più ampio 1 s’incontrino palle di una sostanza di glutine

che intercede fra la penisola di Sermione e la Punta di S. Vigilio. A de­stra della dorsale stessa si distinguono tre regioni coi nomi di Morlongo, Bariica e Sininghela andando da Garda verso Peschiera. Questi nomi non figurano nella carta disegnata al tempo del Marsili. Sembra che allora quella regione a oriente della linea Sermione - S. Vigilio fosse chiamata «G anz». Il « Trep » comprende il bacino principale con le sue maggiori profondità, la parte S. E. ha per massima profondità 79 m. nella Barùca. (Benaco, tav. II, pag. 54 bis).

1 A tav. XXX dell’opera fondamentale di Ch. G. Ehrenberg (Die Infu- sionthierchen, Leipzig, Voss, 1838) sono rappresentate queste masse ge­latinose sferoidali di color verde bottiglia chiaro trasparente e sono date a conoscere col nome ancora vigente di Ophridium versatile (O. F. Müll.) Ehr., un caratteristico infusorio del gruppo dei Vorticellarii come subito cosi l’aveva inteso il Müller, il primo a descriverlo schierandolo fra le Vorticelle (1776). Sebbene l’Ehrenberg continuasse a ritenerlo per un tale protozoo, non lo interpretava più esattamente quando, fidandosi di questo aspetto sferoidale gelatinoso esteriore delle colonie e sovrattutto del loro colore, lo ritenne, sia pure con dubbio, uguale ad Ulva e Tre- mella pruniform is L., a Fucws subglobosus Gled., Conferva globosa Hall., Linchia pruniform is Wigg., Coccochloris stagnino, Spreng, e ad altri or­ganismi ancora, tutte specie che furono riconosciute per vegetali, anche alghe, ma per lo più missoficee.

Questa apparenza esterna che trasse in inganno anche il grande na­turalista è logico dovesse indurre in errore anche il popolo dei pesca­tori che non può essere esercitato alle speculazioni che ammettono l’uso del microscopio od altro simile accorgimento che esiga un’indole o una pratica tecnica più approfondita. Ecco l ’origine del nome di « merda de luna » o di « s-puaci de luna » dato oggigiorno dai pescatori anche al- VOphridium versatile che prospera in mezzo alle Caracee nelle « pa­store » della « Sininghela » e della « Baruca » ; pasto dei Cavedani e preferito letto per le loro battute di fregolo (Vedi Malier, Benaco, p. 272). Lo strano appellativo dei nostri pescatori benacensi non avrebbe troppo significato non sapendosi trovare relazione fra la luna e un orga­nismo che cresca nel fondo di un lago se lo stesso nome del popolo non venisse assegnato al Nostoc, quella missoficea che cresce in terra, i cui talli gelatinosi, sferici o più o meno lobosi, foliacei, d’un tratto non comparissero dopo la pioggia, con pari rapidità dileguandosi quando col cessare del turgore dovuto alla forte umidità che contengono diven­gono delle piccole croste secche invisibili contro la terra contro cui si

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alla maggiore grossezza di tre libbre di palla di ferro da can­none dette da pescatori acqua pregna, trasparenti come cristallo e trem anti come gelatina che nella parte inferiore eh’è quella con cui posano sul loto, ànno un foro. Tale relazione mi è stata fa tta da pescatori, e non ho risparm iato diligenza per averne nell’estate corrente, ma non mi è riuscito. Solamente mi è stato mandato il disegno che la rappresenta della grossezza e del co­lore che si vede nella tav. 15. Non è però stato fatto quello spe­rimento che desideravo cioè che fosse riconosciuto come questa scioglievasi in acqua, ed in quanto tempo in una stanza senza sole e fosse poi provata con im m issione di acido ed alcali per aver quindi un barlume da congetturare ciò che sia tal vegeta­zione fam iliare nel lago in tempi di gran calore e che poco re­gnino i venti. Convengono che questa sempre abbia costante una

polverizzano, restandone fino a nuova pioggia intatti gli organi ripro­duttori. Forse l’appellativo non veniva riferito al Marsilii dalle persone che l’avevano informato del fenomeno che egli semplicemente riferisce come sentito descrivere e dà regole ad altri per vederlo con pili agio e meglio ridescriverlo, incontrandolo. Il nome popolare di « acque pregne », al giorno d’oggi (avverte il Malfer per cortese lettera) più non viene usato da pescatori ; il nome della formazione è sempre quello di « merda de luna » per la sua esteriore apparenza, e una frase come la seguente « acqua come el fango tuta pregna de merda de luna », è un’argomenta­zione in proposito aH’appellativo invalso e non ha a che fare con « acqua pregna » come riferisce il Morsili. Il Malfer continua avvertendo che sulla riviera bresciana si usa dire che l’acqua « l’è tuta brogne » (pru­gne) ; siccome la residenza del grande bolognese fu Maderno, non è im ­possibile da parte sua una falsa trascrizione di brogne in pregne.

Il Garbini (Fauna etc., ipag. 301, III col.’)) lo dice raro nel Benaco e vivente promiscuo alle Characee, ai cui rami sovente aderisce ; non parla di appellativi popolari. Osservazioni personali conducono ad affer­mare che nella prima metà del Settembre del 1928 le colonie di Ophri- dium staccate galleggiavano sulle acque all’estremità della penisola di Sermione così frequenti da servire di trastullo a tutti i convenuti sulla riva e a bagnarsi ; dovevano essere nella seconda fase di esistenza stac­cate da ogni supporto ; non si trovano lontani i canneti per compren­dere donde poterono originarsi. Da quanto è predetto risulta però chiaro come l ’ informazione data dai pescatori al Marsili coincida con quella d'oggi circa al sito preferito dalVOphridium per vegetare, ossia il bacino S. E. meno profondo, « nel forte dell'estate, et in specie in poca profon­dità nello spazio del lago più ampio ».

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tale struttura, nella parte verticale convessa, nell’opposta che posa sul loto è concava, come si vede nella figura medesima.

Con tali dimostrazioni, con la notizia che tengo di molti pro­dotti anche dentro del mare, e con la lettura de’ libri non mi è riuscito rintracciarne alcuna contezza. N egli sperimenti che ho descritto dell’acqua del fiume Brara defluente nel lago ho detto di aver veduto farsi dentro di un vaso un coagulo glutinoso naturalmente nella medesim’acqua di forma piana, di color puro bianco, senza sapore e di una struttura cuticosa consistente che si levava tutto intero dal vaso dell’acqua e si portava sopra un altro piatto dove sussistè alcuni giorni prima di sciogliersi, e se la poca ampiezza del fiume, che ha un acqua capace di tale produzione abbia forza di comunicare una tal sua natura al- l ’acque di sì gran mole, non saprei asserir lo .1 La natura grave di quest’acqua che con l’immissione de’ noti liquori formava una nube dentro la sua sostanza aquosa mi diè ansa a ta li par­ticolari sperimenti. Le altre che non facevano tal effetto non mi sollecitarono a far ta li prove, e forse chi le facesse potria

1 Vedi quanto dice il Marsili circa il « fiume Brava » nel capitolo i l i delia parte prima, dove ripete la descrizione del fenomeno dello intor­bidamento che dà origine a queste masse di una « gelatina tenace grossa più di una costa di coltello, che unita si levò dal vaso, si conservò in un piatto per tanti giorni e non avea verun sapore, e sopra postivi i con­sueti acido ed alcali non fece nessuna mozione». Impossibile identificare la natura di questa sostanza gelatinosa che tanto può essersi sviluppata trovandosene il germe nell’acqua originariamente quanto no, potendo aversene introdotto il germe successivamente. Questo fenomeno ha tutta l’apparenza di una vasta proliferazione di uno schizomicete, ma il dato macroscopico anche qui è in tutto insufficente per una migliore con­gettura.

Troppi sono i casi che si riscontrano di simili formazioni gelatinose e immerse nel liquido e vegetanti nei luoghi umidi e che sovente si svi­luppano da un momento all’altro. Acutissimo il criterio del Conte Fer­dinando nello escludere il giudizio dei pescatori che potesse trattarsi di residui di sperma dei pesci.

S'inganna invece a partito quando ritiene che le formazioni gelati­nose siano in relazione con l’intorbidamento indotto dai reattivi nel­l’acqua del Brava. L’acido solforico a freddo lascia precipitare i cristal­lini di gesso nelle acque dure per carbonati (durezza transitoria) e il Brava scorre per lo più fra le roccie calcaree e dolomitiche.

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ritrovarvi l’effetto istesso. Sarebbe però difficile che si produ­cesse un corpo così costantem ente regolato. B asti questo cenno, e ne faccia esame chi avrà comodo di esser sopra loco. Molti pe­scatori del lago credono che sia un coagulo delle sostanze sper­m atiche de pesci sopravanzata nell’opera della loro m oltipli­cazione, ma una struttura così costante non può essere unione di avanzi casuali, onde tale opinione non merita credito.

CAPITOLO SECONDO

De’ pesci di questo lago.

Sono nel nostro lago più sorte d i viventi tutto per uso del­l’uomo che distinguo in pesci, in crostacei e testacei.

I pesci che sono in tutto al numero di 19 differenti generi ho stim ato bene suddividerli in due classi. Una contiene i pesci di piccola corporatura, l ’altra di maggiore. Queste diverse corpo­rature le misuro col peso. Tutti li pesci che per loro naturale constituzione sono sotto la libbra li pongo sotto la classe de’ minori. Gli a ltri dalla libbra in su sino al peso delle cinquanta ch’è il maggior pesce di questo lago, sotto quella de’ maggiori.

I crostacei formano il loro genere composto di sole due specie.

I testacei sono pure scarsi, consistenti in due sole specie.N ell’annessa tavola sinóptica 16 sta espressa chiaramente

una ta l divisione co’ nomi d’ognuno de’ viventi, e col numero de’ piccoli che vanno a compire con essi il peso d’una libbra di12 once, e nei grandi di ogni specie il numero maggiore delle libbre a cui sono arrivati.

Giacché nel lago non ho trovato fra la classe de’ piccoli che uno che mi è parso non descritto, la di lui figura pongo a suo luogo, come dell’intiero processo della sarda per farmi strada alla dimostrazione che probabilmente l’agone sia una sarda nella sua maggior grandezza ; 1 oltre che la delicatezza di questo squi­

1 II fatto è accertato e la « sarda », o « sardella di lago » come yien detta oggi, è specificamente tutt’uno con 1’« agone », il quale è solo da ritenersene una varietà differente per dimensioni assai maggiori. Ambidue

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sito pesce merita che si mostrino le di lu i diverse grandezze processive alla maggiore, cli’è quella dell’agone.

N ella classe de’ maggiori pongo pure la figura del carpione di cui con tanti rimarcabili segni si distingue un sesso dall’al­tro, ed il mio primario fine fu quello di fare l’anatom ia per quelle fole che si contavano di esso.

I pescatori che cercano di mantenere la vita loro bene sten­tata con la pesca di questi sfortunati viventi anno inventato tan ti inganni per di sotto l ’acqua tirarli in loro potere, e benché nella m oltiplicità di essi vi sieno ritrovamenti curiosi e meri­tevoli di esser dim ostrati, con tutto ciò per isfuggire la copia delle figure mi ristringo a due che dimostrano la pesca del car­pione e della truta.

Or prima di favellare di ciaschedun pesce, conviene che io parli della maniera con la quale segue la m oltiplicazione di cia­scuna specie e che dia alcune generali notizie, che servano per l ’intelligenza delle particolari.

Nel lago la m oltiplicazione de viventi si fa senza congiun­zione de sessi, alla riserva de gamberi.

I pescatori vogliono che il pesce non sia atto alla m oltipli­cazione che compiuta l’età di due anni, che l ’ova nelle femmine e ne maschi il latte (ch’è il loro sperma) ricomincino in quelle che ànno partorito le ova ed in quelli che le ànno col loro sperma inaffiate poco dopo, e che le giovani e i giovani dopo dell’anno comincino a dare prim i segni di ova e di latte, quasi dodici mesi richiedendosi a fine che siano ambi due questi pesci abili alla

questi pesci vengono ora riuniti sotto il nome di Aiosa finta (Jenyns) Cuv., un pesce anadromo ma che, naturalizzato nei laghi, venne dal Fatio ritenuto costituirne la var. lacustris. Oltre le classiche ricerche del Pa­vesi, si potrà trovare una sintesi sulla biologia di questo pesce nella Fauna del Garbini (pag. 36S, 13) e una descrizione completa, anche dal lato geografico pescatorio, nel già tanto citato libro del Malfer (Il Be- naco, a pag. 131).

Quest’ultimo autore attesta che il giudizio popolare non ammette que­sta identità d’indole sistematica.

Per il pescatore la « sardena » pesa meno di 3-5 hg., e 1’« agon » in­vece di più e raggiunge il chilogrammo.

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generazione. Questa regola paté eccezione nel carpione e nella truta che (siccome dicono i pescatori) fregano due volte l’anno, nei quali il nascimento e la m aturità dello sperma e dell’ova si rifanno di sei in sei mesi.

L’ova fanno un grande accrescimento, come il latte due mesi prima del tempo delle freghe.

L ’ova dei pesci più piccoli sono in maggior quantità, e nel lago fra questi pare che il Varone ne sia più fertile, avendo la natura provvisto che di queste ne sieno molte in sì fatti pesci giacché queste ova sem plici sono sottoposte alle rapine de pesci maggiori, e molto più i pesci medesimi già formati, e tante per la confusione dell’inaffìamento rimangono sterili.

L’ova de carpioni e delle trute sono di mole maggiore di tutte quelle degli altri pesci, ma anche fra esse ova vi corrono interspazi, e sono facili a numerarsi il che non potrebbe farsi in tu tti g li altri pesci, e per questo sono anche in minor numero, a che la natura supplisce col fare che queste specie di pesci fre­ghino due volte l’anno.

La mole più grande e più piccola dell’ova non contribuisce punto alla maggiore o minore mole del pesce che ne nasce. Del carpione che ha le ova più grandi di tu tti i pesci il maggiore non passa le 4 libbre d i peso. La truta le cui ova sono un poco minori, cresce a 40 e 45 libbre di peso. La reina o cipro o Bub- baro ha le ova piccolissim e e pure di queste se ne trovano fino a 50 libbre. Osservazioni tu tte che insegnano che la mole mag­giore o minore delle ova non è certo segno che debba essere ad esse proporzionato il pesce, quando è giunto alla maggiore sua mole.

T utti li colori dell’ova o sono bianco o giallastro o rossigno ; il più vago è il colore aurato e di una purissim a diafanità che campeggia nella distanza, ch’è fra esse, e considerabil mole, ed è quello del carpione che posto nello spirito di vino cangia il suo colore in bianco e la diafanità in opacità, ristringendosi nella sua mole, ed in una parte m anifesta un punto nero, che forse potrebb’esser quello, dov’era il feto, perchè quell’ova erano appunto alla m aturità da essere espulse dalla madre.

I s iti che da’ pesci si scelgono, non sono scelti da pesci vi­

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venti, ma da quei che già furono, perchè in essi è la congruità delle circostanze alla fecondità della loro specie, giacché ognuna di esse ha per proprio instinto que’ certi siti chiamati da pe­scatori freghe, qual della sarda, qual della truta, qual del car­pione, qnal dell’avola, e così discorriamo degli altri pesci.

Questi stabili siti (che per la fecondità dei pesci si sono fa tti utili giurisdizioni delle communità che le ànno ne’ loro distretti, appaltandosi a pescatori ed altri ancora sono del principe che gli affitta) constano di composizioni diverse, cioè di arena mera e ghiara, d i sassi fluviatili, o di m ine di m onti o di erbe o di loto solo. Sono ancora in diverse profondità che narrerò nella descrizione di ciascun p esce .1

L’appetito particolare che ogni specie di pesci ha per le varie costituzioni di queste freghe nasce probabilmente da due cause. La prima è che quelli siano di una consistenza più e meno molle da potervi la femmina sopra comprimere il ventre in aiuto del­l ’espulsione dell’ova, e l’altra che la temperatura dell’aria sia di un grado più e meno caldo pel moto che più forte e più leg­giero contribuisce lo sperma del maschio con l ’aiuto del caldo

1 Anche in queste osservazioni si risente della costante collaborazione avuta dal Marsilii coi pescatori ; notevole per l ’esattezza quindi l’apprez­zamento, che il Marsilii dice inizialmente fatto in base ai suo studi sul mare, che ogni qualità di pesce preferisca un determinato letto per la frega : o la ghiaia o la rena o la roccia o il limo. Ed ancora che tale consuetudine si trovi perpetuata dal sèguito delle generazioni e non soffra eccezione d’individui.

Per molte delle specie più redditizie così le stazioni dì frega anche sul Benaco divengono dei luoghi fissi e ben noti sovrattutto ai pescatori di mestiere. Essi già fin da quel tempo pagavano un contributo per l’ap­palto della pesca o alle loro communità o al principe secondo anche quanto risultava al Nostro ; ma fin dall’epoca medioevale esisteva un diritto di pesca, anzi il Malfer (La Corporazione degli Antichi orignarf di Garda - Atti Acc. di Verona (1924), pagg. 9-46) ne tesse la storia di quello esclusivo che i pescatori fino dal 1452 cercarono di stabilire, accompagnando lo studio di preziose notizie toponomastiche delle regioni lacustri antiche e recenti e specialmente della riva prospettante Garda. Ciò lo induce anche a descrivere i metodi e gli strumenti come oggi sono usati.

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e del freddo, che variamente sono nelle diverse altezze dell’ac­qua, e che sopra m ostrai col barometro ed a ltri sperimenti col sughero.

Or veniamo precisamente alla maniera con cui segue questa operazione detta Prega.

In circa un mese avanti che la femmina di ogni sorte di pe­sce faccia l’espulsione delle ova, è solito che segua un accompa­gnamento col maschio, pel qual tempo cadono in una somma ma­grezza e perdono le carni il loro gusto non meno che i loro vivi interni colori, come accade nei carpioni e nelle trute che a suo luogo dirò.

La femmina in questo tempo desiderava di trovar in quei siti delle Freghe un sito a le i più congruo, ciecamente conduce il maschio che la siegue desideroso di accostarsele, guizzandole attorno con carezze e con una specie anco di baci che partico­larm ente nei cavazini o cavedini si veggono più che in altri, perchè dentro delle fiumare confluenti nel lago fanno in poca profondità tu tto questo raggiro che probabilmente in tu tti g li altri è l ’ is te s so .1

Quando la femmina abbia trovato un sito più aggradevole per deporre il parto delle ova 2 comincia a preparare quello anche con l’aiuto del maschio, servendosi del grugno particolarmente su la durezza delle pietre spogliandole di quella tartarosa cor­teccia e rendendole quasi albeggianti ed al tatto liscie come io medesimo vidi nella frega iemale delle trute fra Peschiera e Sirm ione. Se la femmina è una di quelle specie appetente l’arena sottile, la pesta per premervi sopra il ventre da espellere le ova e per collocarvele, componendosi una certa foggia di nido.

In questi preparati siti e dalla femmina ed anche dall’opera del maschio con lei accompagnatosi si prepara a scaricar le ova,

1 Anche il Garbini (Fauna, pag. 36816) nota che per questa specie ci­salpina Squalius cavedanus Bonap. la frega avviene poco lontano dalla sponda e il Malfer ancor più dice che vi convengono anche quegli indi­vidui che sono i più che solitamente stanno al largo e che tal funzione avviene a S. Marco verso la fine d’Aprile (Il Benaco, p. 274).

2 A dire del Garbini ogni femmina di Cavedano porta circa cinquan­tamila uova che si schiudono in 8-10 giorni (vedi : Fauna, pag. 368le).

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come dissi, comprimendo il ventre, operazione che non fa se prima non abbia fatto un gran movimento di guizzare attorno di quel sito (e da pescatori s i pone in dubbio se tale operazione sia effetto o di sommo diletto o di dolore sommo), ed in quel tempo istesso il maschio si affatica con carezze attorno la fem­mina e tanto più quando la vede nell’operazione di scaricarsi dell’ova sopra le quali egli pure doppo avere accarezzata la femmina va con sommo fervore a gettare il suo sperma, ch’è una porzione di quella sostanza che nei maschi pesci si chiama latte, e questa non getta già egli tutta in una volta, perche anco la femmina tutte in una volta non dà fuori le ova, e resta il maschio costante nella concomitanza con la femmina fino a tanto ch’essa abbia term inato l’intiero scarico dell’ova sue.

Non è da dubitare secondo l’asserto ed osservazioni de pe­scatori che lo scarico delle ova dei pesci in questo lago duri per 3, 4 e 5 settimane, e con una somma confusione fra la medesima specie, perchè m oltissim e volte una femmina getta le ova, dove un’altra le ha poste in modo tale che l’inaffiamento del maschio si confonde con quello di un altro e col pregiudizio che il mede­simo non può penetrare ugualmente sopra tutte le ova, che do- vrebbono esser rese fertili da questo inaffiamento; ma la na­tura non lascia nè più nè meno di ritrarne qualche utile, perchè queste sterili servono di cibo alla specie istessa, ed anche di­versa di pesci.

Ed in fa tti se fosse possibile che tutte le ova de pesci fos­sero ugualm ente rese fertili dall’irrigazione de’ m aschi mi sia permesso dire che vi saria la metà della mole dell’acqua occu­pata per lo meno da essi. Inoltre osservando la gran mole del­l ’ova medesime, e così ben serrate assieme dentro dell’ovaio de pesci che in si breve tempo la natura le vuole espulse, convien credere che non sarebbe mai possibile inaffiarle coll’ effettivo coito, perchè in quelle sorte di pesci, dove le ova son rese fertili per l’effettiva congiunzione del maschio, sempre sono pochis­sime, come nella terza parte del saggio fisico della storia natu­rale del mare dimostro.

Procurai da questi pescatori del lago, come dagli altri del mare, di essere informato quanto tempo l’ova dei pesci dopo di

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esser state inaffiate dallo sperma del maschio stieno ad aprirsi per dar esito al feto, ma in specie i pescatori del lago mi lascia­rono confuso e con più chiarezza sarei stato assistito da gli esperti ne mari di Provenza e di Linguadoca quando avessi po­tuto fra essi stare più a lungo, giacché questa è una parte che per tante ragioni meriterebbe di essere bene esaminata per quanto è possibile.

Nel lago dove regna un aria si fredda, come ho descritto, mi conviene quasi credere che quelle ova che hanno quel guscio di cartilagine più consistente abbian bisogno di essere collocate nella profondità di pochissima acqua, perchè il sole possa con­tribuire a quel sollecito moto dello sperma del maschio che è necessario a dare la vita a que’ feti, e pel contrario le ova più m olli come sono quelle del carpione esigono le descritte pro­fondità dove è tanto freddo, perchè in un tratto non s ’inaridi­sca e la delicata membrana che le forma e la sostanza che in­tesse il feto; ma di tutto questo volendo dire m’informerò me­glio in qualche mare, bastando il detto fin qui pel nostro lago sul fondamento del veduto in esso, e dell’inteso da pescatori p ro v etti.1

Poste queste generali notizie facciamo la descrizione di cia­scuna specie di questi pesci, e cominciamo dalla classe de mi­nori per ascendere a m aggiori di grado in grado. S ia la prima la sarda che pongo nella classe de minori, se bene io credo che l ’agone la cui maggiore grandezza giunge a due libbre anche

1 Inutile il soggiungere come il non esser soddisfatto di quanto po­teva raccogliere dai pescatori sul perchè le varie specie di pesci prefe­riscono un modo di fecondazione delle uova piuttosto che un altro e come ogni specie abbia un luogo preferito facesse prorompere il Marsili in questa lamentela che può aver anche una base nostalgica dei suoi studi sui mare.

Però egli suol sempre mantenersi fedele al suo punto di vista, già tante volte qui espresso, della corrispondenza che dev’esserci intera trai fenomeni del lago e quelli del mare. Anzi non se ne diparte neppur quando invoca i fenomeni di caldo e di freddo a giustificare tali feno­meni di predilezione biologica, giustificazione non sempre da ritenersi sufficiente almeno da sola.

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egli sia una sarda della maggiore grandezza ; onde tal pesce ra­gionevolmente non dovrebbe porsi in tal classe. Pure ciò può essere controverso dalli scrittori, che quantunque per la som i­glianza della sarda con l’agone sospettassero che fossero una cosa medesima, però non l’assicurano. I l Gesnero dice: « Sardel- lae ex Benaco admodum laudantur a Platina, qui hos pisciculos ab agonis diversos assim iles tamen facit. Quaerendum sardellae et Agones seuagoni aetate tantum differant » ; ed in altro luogo « Agonos Romae mutare nomen postquam salsi sunt et vocari sardenas ».

Io pertanto ho pensato di porre qui il processo della sarda sino a ll’agone inclusivo.

La Sarda più piccola ha il nome di scarabina. N ell’annessa tavola 17a la figura prima m ostra la di lei grandezza e colore sul dosso verde misto di un aurato iride che nell’accostarsi al ventre cede in un bianco pellucido argenteo bellissim o, colori costanti fino che passi allo stato di agone. Questa scarabina 1 nacque nel mese di maggio e nell’ottobre venne a tal cresci- mento. 36 di queste formano una libbra.

La figura seconda ne dimostra una più avanzata della pre­cedente quasi tre mesi e ve ne vogliono 12 a fare una libbra; questa siccome la prima è senza macchia nera.

La 3a rappresenta la sarda chiamata n erella ,2 perchè comin-

1 Circa alla Sarda e a \VAgone è da rifarsi a quanto più sopra è stato annotato. Inutile poi rilevare quanto artifìcio vi sia nel suddividere i pesci secondo le dimensioni. Il nome di « Scarabina » per indicare le Aiose piccole è tuttora usato (Vedasi Garbini, Fauna, pag. 364’1, col. XI ; Malfer, Benaco, p. 132 in nota).

2 Di queste macchie parla anche il Malfer (Il Benaco, pag. 163) : « Le macchie, caratteristica esterna dei nostri clupeidi, sono in ciascuno di colore azzurro cupo ; una è frontale e le altre si trovano ai lati del corpo e degradano tanto in ampiezza quanto in intensità dal capo alla coda. L’esame condotto in proposito sopra migliaja d’esemplari ci permette di poter affermare che esse macchie sono indice dell’età del pesce....

« La prima delle macchie laterali si rende visibile alla base superiore dell’opercolo allorché il clupeide arriva all’età di un mese circa ; in se­guito ne compajono altre e sul terzo anno sono già tre-quattro e anche

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eia a mostrare la prima macchia nera, la quale mostra appunto nel mese di settembre, che viene ad essere il XV mese dopo la sua nascita essendo nata di maggio dell’anno antecedente, ed al compir i 2 anni, cioè il maggio dell’anno susseguente, comincia a m oltiplicare, e di queste ne anderanno alla libbra 7 o 8.

N ella fig. 4 si vede una sardella perfettam ente macchiata di macchie tonde al numero di 6 ad ambi li la ti inferiori della schiena, e 3 di queste fanno una libbra ed avendo partorito due volte questa è di età di 3 anni, ed avvicinandosi all’età di 4 i pescatori danno a lei il nome di agone, col quale cresce fino al peso di 2 libbre, come mostra.

La figura 5a dell’agone, che in circa sarà stato 2 libbre e che a differenza del giovinile suo stato, quando aveva il nome di sardina, ha sm inuito quel color verdeggiante che hanno quelle che son sardelle e che i pescatori replico vogliono che sieno 1 gli agoni giovani, poiché anno le macchie come quelle, e vanno in amore al tempo medesimo, si cibano del cibo istesso e sì degli uni come delle altre le viscere e gli in testin i sono uniformi, ed il sapore sim igliante, salva quella differenza, ch’è fra tu tti i viventi, che nell’età giovinetta sono più delicati che nell’età consistente.

Gli agoni certamente non si prendono in quel gran numero, che delle sardine si fa, delle quali alle volte con una certa gran rete prenderanno più di cento pesi in un getto, essendovi pochio nessuni agoni, ed alla domanda da me fatta a pescatori perchè g li agoni fossero così pochi, fu risposto che le reti non davano tempo alle sardelle d i crescere e divenire agoni.

I m oti loro sono regolati dalle due indispensabili passioni. U na è per trovare nelle diverse stagioni i loro confacevoli cibi

sei-sette per lato. Nell’adone e nella cepa arrivano a 10-12 pure per lato presentando fino a cm. 1,5 per 1,3 di diametro».

Con piccole differenze, dovute a diversità di descrizione, troviamo esposti analoghi i fatti che riguardano la pigmentazione dei ClupeìTli.

1 Qui esiste una più apparente che sostanziale contraddizione con quanto si è esposto prima. Si tratta di distinzioni evanescenti di forma e, più che tutto, di dimensione dove ci può essere impressione individuale.

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ora nelle parti più profonde del lago ora nelle superficiali e l ’altra s ì è quella della moltiplicazione della loro specie, avendo nel lago i loro costanti e fissi luoghi che hanno il mentovato nome di freghe, d istinte col nome d i territori dentro delli quali son posti.

Doppo che le sarde hanno terminato di porre le ove ne propri laghi dalla sommità delle acque in cui partoriscono movonsi per la profondità di 50 e 60 passi per trovare il tanto loro grato cibo della panata 1 descritta, e fra questa s’impinguano e poi a primi di settembre ascendono alla superfice del lago abbon­dante in quel tempo di certi anim alucci ed altre m inuzie che sono forse de semi caduti dall’erbe descritte, delle quali s i pa­scono, e divengono più gustose davanti li mesi di ottobre e di novembre, ne quali vivendo a tal poca altezza di sopra sono più facili ad esser presi da pescatori.

N el dicembre si movono verso i fondi dove vivono tutto il verno col solito cibo della panata descritta e nel fine della luna d i marzo o primi di quella di aprile rimontano in poca profondità sott’acqua accompagnandosi maschi e femmine per prepararsi ad andare a trovare i loro so liti s iti da deporre le ova che per qualunque sorte di pesce hanno il nome come ho detto d i Frega.

L’Avola è quel pesce che il Rondel. p. 205 definisce Pisci- culus varius o pure quello che il Gesn. 283 chiama Phoxinus levi# e l ’Aldrov. 582 Phoxinus Bellonis. Questo pesce si prende in tanta copia nel lago che serve di grande aiuto alla povertà; senza l ’arte di metterle in concia non tornerebbe conto pescarle ne mesi caldi, quando vanno in amore, nei quali ne prendono

1 A dir vero non risulta che l 'Aiosa, il cui cibo ordinario consiste di crostacei limnetici, come qui sembra dire anche il Marsili in certe occa­sioni, secondo il Malfer (Benaco, p. 139) ne distruggerebbe fino a cin­quantamila al giorno (1-2% g.), si nutra anche di Spongille (vedi quanto a proposito di questa « Panata » vien detto nel capitolo pre­cedente) pasto forse poco utile a un pesce eminentemente migratore e che per lo più vive nel gran lago.

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tante nei s iti delle lor freghe che non sarebbe possibile il con­sumarle sì fresch e.1

Il naturale di questo pesce li conduce a deporre le ova in quei soliti s iti pieni di pietruzzole su la riva del lago, a segno che non hanno sopra di loro un mezzo dito di acqua, dove a truppe vanno a far la loro frega, restando in gran numero di essi depredati da pescatori.

In quei siti si veggono le pietruzzole coperte di ova o nateo da nascere, ponendovele sopra promiscuamente. Il loro cibo dicon che siano l ’erbe o quella m ucillaggine che sopra di esse si forma. Il loro gusto è un poco amaretto. N ell’autunno discen­dono al basso del lago in siti cavernosi camminando, e vivendo a schiere numerose, ed i pescatori anche nel verno le insidiano con gran reti per averne da mettere negli ami da pescare i carpioni, uso da pochi anni in qua introdotto, come a suo luogo dirò.

1 Qui v’è confusione, almeno di nome, fra l’Alborella (Avola, Aola), Alburnus Alborella de Filippi e la Sanguinerola (Sanguanì Temal, dei rivieraschi) che a colpo d'occhio se ne distingue, non foss’altro per la lunga linea sui fianchi longitudinali scura e marcatissima e che pur es­sendo un Oiprinide ne è genericamente distinto, il Phoxinus laevis Agass. Pure quest’ultimo è ottimo pesce da friggere ma, a differenza delle sapo­ritissim e « àole », la cui pesca rasenta le due tonnellate annue e sempre vive in branchi enormi, si pesca di rado col bertovello pochi chilogrammi alla volta, per lo più di notte (Vedi : Malfer, Benaco, pag. 363). Questa Sanguinerola è ben distinta dal Vairone che pure è suo congenere almeno per quanto pensava anche il M'arsili su la scorta del Rondelet e del Gesner. Il Garbini (Fauna, pag. 36816) mette sotto il gen. Aspius l’Albo­rella e sotto Leuciscus, il Vairone e la Sanguinerola.

Più difficile riesce a comprendersi invece perchè il Phoxinus Bellonij dell’Aldrovandi possa essere stato attribuito dal Marsili come sinonimo all'Alborella, col muso mozzo che presenta la figura originale qui citata dell'opera « De piscibus et cetis ». Non vi ha dubbio che si tratta invece del Vairone.

Considerando invece il sinonimo di Phoxinus M arsili, specie dello Heckel, oggi relegato nella sinonimia della Sanguinerola (Canestrini, Pesci, nella Fauna d’Italia, pag. 17) si è confortati dalla precedente opi­nione che il Marsili confondesse come sinonimi la Sanguinerola con l’Al­borella e non il Vairone.

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La maggiore piccolezza di ta l pesce che sia capace di restare nelle m aglie delle reti, come la maggiore sua grandezza si de­duce con la solita norma di quante avole vadano alla libbra, che si vede nella tavola.

Il Roncone è pisciculus aculeatus prim us Rondel. 206, Gesn. 284, P u gitivu s (sic, invece d i Pungitius) piscis, Alberti, Aldrov. 628. Questo frega di marzo e sta a basso ventre mentre frega, ritirandosi poi in a lt’acqua. S i nodrisce di alga attaccata alle pietre ed ha dentro di sè 2 o 3 vermi della figura della san­guisuga di color giallastro. 1

La Lampreda è lam petra parva fluvia tilis Rondel. 203 lam- petra Gesù. 325 Lam petra fluvia tilis Aldrov. 581. Questa frega

I Lo Spinarello (Gasterosteus aculeatus Linn.) non può venire meglio definito che da questa breve frase e si rcionoscerebbe anche se non ci fosse il nome di « Roncone » tuttora usato nei vernacoli rivieraschi (roncò ver., roncù bresc. ; vedi Malfer, Benaco, pag. 321) o il riferimento a ll’oera dell’Aldrovandi « De Piscibus et Cetis » ornata di una silografia così evidente nella sua semplicità da non lasciar dubbio sul riconosci­mento di codesta specie.

II Garbini (Fauna, pag. 36817) dopo aver fatto l’abituale e cauta di­scussione sistematica della specie, elencandola fra le poco redditizie del Benaco, ed avvertito come per la sua piccolezza venga pescato con par­ticolari reti (la striara, l’orarolo) mal prestandosi per la sua povertà di grasis per cibo, elenca varii parassiti animali ma non il più caratteri- tsico che non resta dubbio fosse già noto fino dal tempo del Marsili quando osservava che il pesce « ha dentro di sè 2 o 3 vermi della figura delle sanguisughe di color giallastro ».

Si tratta di un cestode, lo Schistoceplialus Oasterostei (Fabr.) Liihe, riconosciuto e la prima volta fatto conoscere dal Forti nell’opera del Malfer (Il Benaco, pagg 48 e 330 e seguenti), verme che sembra in certi anni decimare con infezioni formidabili i branchi degli Spinarelli spe­cialmente durante l'emigrazione alle sponde, l’inverno, epoca coincidente con la pesca più attiva. A dire del Malfer (op. cit., pagg. 354 e 357) lo Schistocephalus attacca anche qualche altro pesciolino di sponda, segna­tamente il Cagnetto, ossia il Blennius vulgaris Poli, e il Ghiozzo, ossia il Gobines fluviatilis Bonap.

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siccome il magnarone abita dietro alle paludi. Tali pesci son difficili ad esser presi, onde se ne prendono p o ch i.1

La Bozza è di due sorti, una chiamato gentile pelosa l ’altra che appunto dalla prima distinguesi per i peli. 2 Quante di quella e di questa vadano alla libbra nella tav. si vede. E perchè di tal sorta di pesce non fanno menzione gli autori, pongo il d i­segno di ambe due nella tav. 17 affinchè il lettore da se stesso le veggia e le definisca come a lu i piace.

I La figura dell’Aldrovandi, sebbene inesatta per essere ornata di troppo numerose aperture branchiali, va riferita a Petrom yzon fluviati­lis L., forma migratrice di passaggio che il Malfer (Benaco, pag. 367) dice di non aver mai sorpreso nel Lago di Garda dove il Pavesi l ’avrebbe segnalata presente. Trovò invece la forma minore, il P. Pianeri Bloch che in scarsi individui vive nel fango del lago.

II Garbini (Fauna, pag. 368, 6) ritiene che si tratti di un pesce ana- dromo, P. fluviatilis, una forma adulta di P. Pianeri, mentre gli altri ciclostomi affini con gli occhi sottocutanei chiamati Ammocoetidi, ora ritenuti forme larvali delle Lamprede, nel Benaco secondo il Malfer non si sarebbero mai riscontrati.

* Il nome di Boxa, cosi come è scritto, è conservato in un piccolo di­zionario bresciano (Brescia - Andrea Valentini - 1872 - 16° di pagg. 23, a pag. 7) con l’indicazione: «ghiòzzo, pesce comune». Nei dialetti ve­neti non viene ricordato un simile appellativo. Qui corrisponde senz’altro al Gobio fluviatilis Cuv. Val. (da non confondersi con il Gobio fluvia­tilis del Rondelet che è il Gobins del Bonaparte, il vero Ghiozzo). A que­sta specie soltanto sarà da attribuirsi la prima delle due qualità quella «chiam ata gentile». Di quelle figurate alla tav. 17 la seconda (fig. 7) soltanto sarebbe da attribuirsi al « péssbotér », in ital. « Gobione » come10 ‘.'lice anche il Malfer (Benaco, p. 360) appunto la Bozza gentile del Marsili ottima a mangiarsi ma di nessun valore economico, spesso con­fusa col Phoxinus laevis Agass., la Sanguineròla. Col nome di Bozza pelosa, certo per le lunghe pinne dorsale e anale scorrenti lungo tutto11 corpo, il Marsili, come anche esprime il disegno (fig. 6) sebbene un po’ sommario nei particolari, è fuor di dubbio si debba intendere il Cagnetto, il Blennius vulgaris Pollini, quasi endemico solo comune ai laghi di Mantova scarsamente pescato (Garbini - Fauna - p. 368", Malfer, Benaco, p. 353 e seg.).

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Il Magnarone è il Cobes fluviatilis Rondel. 203 1 Cottos flu- viatilis Gesn. Gobus fluviatilis capitatus Aldrov. 612. Questo frega nel mese di marzo sotto di sassi o di rupi ed anco attacco alla riva e si pasce di ciò che l’avola.

I l V aran e2 è il Phoxinus Rondel. P. 2. 204. Gesn. p. 283. Phoxinus prim us Aldrov. 619. Frega nelle paludi e fondi del lago. Questa frega è la più fertile di tutte perseverando copio­sissim a per mesi 3. Tal pesce vive di erbe, pescetti e sue ova.I l verno si ritira in 20 o 30 passi d’acqua ne’ siti.

Il Temolo o Gobbo fluviatilis, Rondel. p. 206. Gesn. 285 A l­drov. 612, frega per lo più nelle acque correnti e si pasce di quel che Favolai. 3

1 Evidentemente con l’epiteto di capitatus l’Aldrovandi intese di allu­dere al Cottus gobio L., ossia allo Scazzone, cui non è dubbio qui alluda il Nostro. E’ un pesciolino dalla grossa testa, maldestro nuotatore che vive adagiato sul fondo, di vario colore, dall’ambraceo al bruno secondo il sesso, l’età e il periodo dello sviluppo. Anche il Malfer (Benaco, pag. 311) avrebbe trovato che questo frega da due metri al limite del­l'onda.

Il Garbini (Fauna, p. 36817) pur dicendolo comune nel Benaco, ritienelo sia sovrattutto nelle resorgive del Fibbio e in molte delle acque vallive.

2 II nome di Varone corrisponde al Vairone di oggi che in vernacolo è tuttora «varò» , fatto che giustifica perchè cosi lo chiamasse*il Marsilii.

Si tratta dello Squalius mutìcellus Bp. dal muso tozzo, dalla lunga e tumultuaria frega (Malfer, Benaco, pag. 298), distruttore di pesci e di avannotti, persino di quelli di trota. E’ una pesca abbastanza rimunera­tiva. Circa l’equivoco fatto dal Marsilii confondendo questo pesce con la Sanguinerola sarà da vedersi la nota più addietro ove si discute la sinonimia dell'« avola » o « alborella ».

3 Si tratta del Ghiozzo (Gobius fluviatilis - Bonelli - Cuv. Val.) dai grandi occhi, dal colore verde chiaro cangiante in giallo listato di nero0 punteggiato, colore accentuato durante gli amori ; così sono giustificati gli appellativi popolari di « ociòni » e di « magnaron bianco » che secondo1 luoghi vengono dati a questo pesce. Esatta l’osservazione che prediliga per la frega il fondo ghiajoso. Sebbene sia buonissimo da mangiare, quasi non vien pescato nel lago (Vedi : Garbini, Fauna, pag. 308'7 ; Malfer, Benaco, pag. 357).

E’ anche questo un pesce attaccato dallo Schistocephalus Gasterostei, la « sangueta » dello Spinarello.

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I descritti fin qui sono della classe de minori. Veniamo a maggiori.

L’Agone già è descritto nel processo che ho posto della sar­della.

L’ Orata del lago non 1’ ho mai vista, ma per relazione de’ pescatori è l ’istessa di quella che si trova nelle paludi sal­mastre, delle quali parlano g li autori, che sono le medesime con quelle delle acque dolci. Aldrov. « Unii e nobis Bononiensibus Co- machium aurata« subm inistrat, imo vero dulces quoque aquas ». Si deve però notare che tanto il Gesn. quanto l’Aldrov. fanno menzione di una specia particolare di aurata che da loro viene detta aurata Padi. Così può darsi che queste del lago sieno di quelle che nel piccolo stato loro pel Mincio fuggono dentro di esso. Questo pesce frega vicino a Peschiera su ll’erbe ed abita per lo più verso le bocche dell’istessa Peschiera. Si ciba di erbe ed altre cose, che trova in acq u a.1

La Scardeva frega nelle paludi e fondi del lago e tutta 1’ estate sta vicino a questi siti paludosi. Quando principia ad irrigid irsi 1’ aria ed acqua ritirasi nell’ altura di acq u a.2 II verno non se ne prende veruna, si ciba di ciò che l ’orata.

1 Questa Orata '.lei lago probabilmente è il Leuciscus pigus (Lacep.) de Filippi. Non esiste nel Benaco, laonde non vien preso in considerazione dal Malfer. A detta del Garbini è invece frequente nei laghi Maggiore, di Como e di Mantova (Fauna, pag. 36816) e ci sarebbe anche nell’Adige e nel Mincio donde il suo nome dialettale veronese di « Orada de Adese », dove vien pescata quantunque di sapore insipido. Questa è la ragione per cui al Marsili non venne fatto di vederne alcuna e come al solito riferisce che deve trovarsi « a Peschiera sull’erbe » risalita dal Mincio.

Impossibile intendere che cosa voglia dire l’Aldrovandi citato dal Nostro per le Orate di Comacchio che vengono mandate a Bologna. Nel solito Libro (De pisc. et cetis, pag. 171, fig. II) le riferite parole stanno sotto il capoverso « Aurata vulgaris primo loco ponenda » che è la vera figura della ChrySophris aurata Lin. una specie essenzialmente marina.

2 E’ lo Scardinius erythrophtalm us Linn. dalle pinne, gli occhi e la coda pii! o meno rosseggianti soprattutto nei giovani, la grossa squama, il lato ventrale prominente malgrado il corpo schiacciato, e le carni poco

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Mappa idrografica del Lago di Garda

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Il Carpione è il pesce che rende famoso questo la g o .1 sopra tu tt’altri, pretendendosi che negli altri non siavi. V i sono però alcuni che vogliono che nel lago di Ocrida nell’Albania ve ne siano, come io nel lago di Zug nell’ Elvezia ho trovato pesci molto som iglianti al cai-pione, specialmente nelle carni ros­se g g ia c i, e di un sapore anco più grato del carpione, che non

pregiate per aver troppe spine. Oggi vien detta « Scàrdova » ma in dia­letto ancora « Scàrdeva, Scardoa ».

E’ esatto che predilige per la frega la palude e il fondo del lago per­chè attacca le uova alle canne.

Vìve a branchi di migliaja, è assai sensibile al cambiamento di tempo ed è esattissim a l ’osservazione che durante l’inverno le Scardove vanno nelle acque profonde donde risalendo alla superficie spesso muoiono la ­sciando traccia del loro passaggio. (Vedi: Garbini, Fauna, pag. 36518, sub Leucisco ; Malfer, Benaco, pag. 282 e seguenti).

1 Già al tempo del Marsili si riteneva che il Carpione fosse una forma propria del Benaco. Quantunque Linneo ne avesse fatto dopo una specie indipendente Salmo Carpio come pur attualmente ritengono i pe­scatori, cui sarebbe impossibile dar a credere che due pesci che hanno abitudini ed anche aspetto così diversi come questo e la Trota avessero ad avere un cespite comune. Si propende oggi col Marsili a credere che si tratti di un endemismo caratteristico per adattamento della Trota, Salmo lacustri» Linn. e ristretto al solo bacino del lago idi Garda. A differenza della Trota che è migratrice, cacclatrice, anzi predatrice audace di tutti i pesci che appena presentino dimensioni minori fino al più efferato canniba­lismo, il Carpione si nutre di piccoli crostacei limnetici e di Spongille. Patto quest’ultimo che notò anche il Marsili che giammai ebbe a trovare un pesce nel tubo gastro-enterico di quegli esemplari di Carpione che ebbe a sezionare. Ma oltre il fenomeno della diversità del cibo abituale vi è che la Trota raggiunge dimensioni assai superiori (nel Benaco 15-18 Kg.) laddove sono eccezionali i carpioni che superano il chilogramma di peso. La frega della Trota avviene sulle ghiaje di fiumi influenti ed emissariio poco lungi dalle rive ad acqua bassa ; quella del Carpione avviene nella parte profonda del lago in posti ben determinati e ben noti fino dal tempo del Marsilii che li segna anche sulla mappa idrografica premessa allo studio.

Non è certo agevole controllare se veramente ci sia il Carpione nel lago d’Ochrida in Albania che a tutt’oggi è assai poco noto per quanto riguarda la pesca. Ma quelli che il nostro Autore »diceva di aver trovato

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saria sì presto, ma per ordinario sono di mezza libbra e pochi giungono all’intiera, e dal fondo del lago ascendono nel set­tembre et ottobre, dove per mangiarsi sono della maggiore squisitezza, e si chiamano rutili e di questi in tu tti g li altri tan ti laghi dell’Elvezia non si trovano. Sia come esser si vuole, qui dobbiam parlare del carpione del nostro lago. E gli nel tem­po della frega non si nodrisce di alcuna cosa, dopo che ha fregato, va a pascersi della mentovata panata. I l mese di di­

nel lago di Zug e che per squisitezza delle carni afferma non cedere al Carpione, forse non sono stati altro che individui di « Trota argentina », una varietà quasi sempre sterile della cosiddetta Trota di montagna (vedi: Plehn-iScotti, I pesci del mare e delle acque interne (1909), pag. 334, Tav. 18, fig. 3) dal ventre bianco lucente che può essere confuso con quello bianchiccio che è proprio del Carpione. Ne differisce per i piccoli punti neri che son sul dorso, ma trattandosi di caratteri accessori è facile che al Marsilii non siano rimasti nella memoria per il confronto. Coinci­derebbe anche il fatto delle dimensioni ridotte comune all’una e all’altra forma. E questo e il fenomeno della minore vivacità in confronto della Trota tipica dei laghi lasciano supporre che in un caso e nell’altro si sia in presenza di specie di adattamento ; questa del Carpione di natura pret­tamente locale con modificazione persino delle abitudini riproduttive di­venute più frequenti ; quella della Trota argentina di indole involutiva, interessante l’attività riproduttrice che fu riconosciuta in questo ultimo tempo non manifestarsi che di tratto in tratto al risalire che fanho coi branchi dei congeneri per gli influenti dei laghi. Unico ostacolo a rico­noscere una certa affinità esteriore fra Carpione e Trota argentina si avrebbe nell’affermazione del Marsilii che tal pesce non si trovava che nel lago di Zug, laddove la Trota argentina oggi è presente in tutti i laghi della Svizzera ; ma può essere stato tanto uno sbaglio di informa­zione quanto un essersi quel pesce propagato da un lago all’altro soltanto negli ultimi tempi.

Il nome di Rutilo ora è conferito a Lauciscus rutilus L. delle acque dolci dell’Europa centrale e salmastre del Baltico. Non si sa con quale fondamento il Pollini (Viag. al L. di G. etc. (1816) pag. 21) cita un Cy- prinus ru ttilu s per il Benaco. Nessun pesce del suo genere si può ritenere propriamente del lago. E’ un pesce assai diverso dalle Trote, dalle pinne rosse, è un ciprinide come il Pigo e come quello ha carni insipide ; non è dunque da confondersi con questo salmonide del lago di Zug saporitissimo cui allude il Marsili.

Che il Carpione sia possibile che riduca la sua voracità al tempo della

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cembre e gennaio frega, di febbraio e marzo va alla detta pa­stura. Lascia poi tale alimento, ed ascende su la superficie dell’acqua per nodrirsi d i piccole cose, e particolarmente di anim alucci. Torna poi a fregare ne mesi di luglio e di agosto e così persevera tutto l ’anno. Tra la femmina e il maschio vi corre la differenza che il primo ha il colore esterno nigricante in specie su la schiena, con una pezza continuata bianca fra la nera della schiena e meno nera del ventre, ed in questa mag­gior nerezza è in tempo della frega. La femmina è nel tempo pure della frega un poco più scura su la schiena del solito, ma scura meno del maschio. E lla ha il capo oblongo, eg li più rotondetto. Nella tav. 18 si veggono le due figure, una del ma­schio, l ’altra della femmina. I l maschio era due libbre. Le carni interne quando non sono indebolite pel tempo della frega son rosse, ma in tal tempo sono sbiancate. La favola che que-

frega ma che smetta di nutrirsi del tutto è dubbio. Certo è invece che oltre alla «panata» (Spongille) risale subito dopo a nutrirsi di micror­ganismi limnetici degli strati superiori del lago e frega due volte. La prima accade di Dicembre e Gennaio, l’altra di Luglio e Agosto. Qui dal Marsilii è poi esattamente riconosciuta l’accentuazione dei colori tanto nella femmina quanto nel maschio del Carpione durante il periodo degli amori molto meglio che all’epoca del Pollini (Viag. al L. di G. (1816), pag. 81), tempo in cui si ebbe il coraggio di descrivere due specie 8. Car­pio per il maschio e 8. unibla per la femmina (Vedi : Garbini, Fauna, pag. 368M) dello stesso Carpione. Il Malfer (Benaco, pag. 100) ampia­mente con la sua pratica del lago di Garda da provetto pescatore qui accennerebbe a voler mantenere il carattere specifico al Carpione (Carpiò ver. riv., C-arpiù bresc.) basandosi sull’incerto lim ite del concetto di specie e sul valore di taluni caratteri anatomici differenziali ; si troverebbe cosi per questo particolare in contrasto col Marsili che a sua volta si accor­derebbe col punto di vista del Fatio, del Pavesi e del Garbini (vedi Fauna, pag. 36814) che non ne fanno che una varietà acclimatata : Salmo lacustris L. var. Carpio (L.) v. Sieb. secondo anche il parere di Heekel e Kner.

Il Canestrini erroneamente riporta (Fauna d’Italia, Pesci, pag. 23-24) che il Carpione abbia a trovarsi in vari bacini lacustri del Veneto e della Lombardia e che di 11 soglia discendere al mare. Deve esser successa una confusione con quella forma di Trota che veniva detta Salmo Fario L. giovanile e fluviatile, pur essa nota per le carni saporite e rosee.

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sto pesce si pasca di oro mi obbligò a fare la notomia del mede­simo, 1 la quale mandai dal lago a ll’amico mio celebratissimo professore anatomico in Padova sig. Morgagni, affinchè egli la correggesse con la sua somma perizia, siccome fece, e si vede nella tav. 19 con le sue spiegazioni. Quantunque io non tro­vassi già mai nel carpione pesci, ma solo il ventricolo e gl’in ­testin i ciechi in tanto numero ripieni tu tti di vermi, pure l ’or­ditura de denti che si veggono nella figura B della Tav. 18 m’insegnò che questo è un pesce rapace, come bene lo comprova la maniera di pescarlo coll’amo, alla cui sommità pongonsi avole, le quali volendo il carpione ingordamente mangiare, vi resta ap p eso .2 Nelle profondità di 80, 100, 120 passi dove fre­gano hanno imparato i pescatori precisamente a profondar le reti, attraverso delle correnti sopraddette contrarie, nella forma che mostra la tav. 20 fig. 1, con le sue spiegazioni. Già i siti

1 Tale leggenda destituita naturalmente di qualsivoglia senso di ve­rità, anzi di raziocinio, sarebbe di origine classica. Trovandosi nei poemi di un Pierio Valeriano quando finge fosse stata narrata a Catullo navi­gante sul lago, l’Aldrovandi (De Pise., lib. V, p. 655) scherza dicendo chei Carpioni mangian l’oro dei buongustai e termina riferendo l’altra frot­tola riportata dal Rondelet che il nome primitivo del pesce, Pione, fosse poi modificato in Carpione per questa prerogativa di carpere aurum. Non valeva certo la pena che due colossi del pensiero come Marsilii e Morgagni si affannassero dietro queste ubbie.

Certo che ne risultò che il primo scoperse che il Carpione non si ciba abitualmente di pesce e il secondo commentò la tavola anatomica spedi­tagli dall’amico.

2 Oltre che provare il fatto che anche il Carpione non rifuggirebbe dallo abboccare a qualche piccolo pesce riconfermando l’acutezza dell’os­servazione Marsileana che ne induceva la possibilità dalla dentatura di pesce rapace si comprende come già in quel tempo gli ami venissero usati per la pesca del Carpione. In antico (vedi Malfer, Benaco, pag. 105) i Carpioni assai più numerosi venivano presi soltanto con le reti cui ac­cenna anche il Marsili. Fu solo per la minor fatica occorrente con lo scarseggiare del pesce e con l’introduzione della tirlindana (1850) che venne soppiantato l’uso delle reti con l’uso degli ami. Ora grazie ai mo­tori che rendono più agili i movimenti delle imbarcazioni, alla scoperta di nuove freghe e al moltiplicarsi delle reti si va riabbandonando la tir­lindana (dindana) anche per pescare il Carpione.

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delle freghe di questo pesce sono notati nella mappa idrogra­fica, come quei delle sardelle e della truta.

La Musella 1 frega siccome l’orata, si pasce ne luoghi mede­simi, se ne prende in qualunque stagione.

I l Cavaizzino 2 frega in tu tte 'le rive, si pasce di erba e d’ogni piccolo pesce. Per tutta l’estate e porzione del verno posa in ­torno le rive.

D ell’ A nguilla non si è potuto sinora scoprire la frega in venni luogo, 3 non che in queste acque. N elle rotture d i tempo vedesene qualched’una sopra la superficie delle acque. S i pasce di materie palustri, di pescetti e di gamberi. Si prende coll’amo e con ogni rete. E lla ha un certo odore ingrato participante di marea e palustre, che la rende di un sapore a mio gusto non grato, e per la sua pinguedine sazia molto.

1 Detta anche Sa vetta (Chondrostoma soetta Bonap.), il Malfer la dice provenire dai laghetti di Mantova, perciò la relega fra le specie av­ventizie (Benaco, pag. 372) ; ha abitudini intermedie fra il Cavedano e la Scàrdova e vive frammista col primo. Le informazioni del Garbini coin­cidono dicendola specie poco rimuneratrice rara nel lago, più comune nelle acque fluviali (Fauna, pag. 368le).

2 fiqva lim cavedanus Bp. il Marsili usa il nome del vernacolo più frequente « cavassin » sebbene questo pesce sia detto anche sul lago cavéden e squào. Sta presso le rive e presso l’abitato dove avvengono nei punti palustri anche le nozze spesso assai tumultuose a grossi branchi e quivi depone le uova (Malfer, Benaco, pag. 265 e seg.).

Si trova in tutte le acque anche vallive (Garbini, Fauna, pag. 36818 sub Leucisco).

3 L’autore nota il mistero regnante intorno alla riproduzione di que­sto pesce serpentiforme (Anguilla vulgaris Jen.) ma non si associa a nes­suna delle superstizioni invalse, non soltanto nel popolo, che si accoppi coi serpenti o che nasca dal fango.

Esatte le osservazioni sul modo di cattura (Malfer, Benaco, pag. 339). E’ frequente anche nelle acque dei fiumi. Per la sua biologia e i primi studi sulla sua riproduzione solo al presente nota in tutto il suo ciclo, veggasi quanto dicono Garbini (Fauna,, pag. 36812) e il precitato Malfer (ibid., p. 334 e segg.). E’ il meno digeribile dei pesci delle nostre acque interne e sovente di non grato sapore quando il grasso sa da fango come disse il Marsili.

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I l Barbio 1 frega in tu tte le rive e s i ciba di ogni sorta di pescetti e di erba. Per tutta l ’estate guizza tra l’erbe e poi nel verno si perde. Se ne vedon rarissim i allora e questi p igliasi in alto tra caverne del lago.

La Tinca 2 frega a ll’ altezza d i 3 o 4 passi, e pon sempre nell’alga suo nutrimento, e vive in acque di 10 e 15 passi in circa.

I l Luccio 3 frega di marzo e finisce in due mesi, poi va a nodrirsi, dove l’erbe sono più grosse, e cibarsi di ogni pesce.

1 Barbus plebejus Val. dal quattro cirri carnosi intorno alla bocca per giustificarne il nome è secondo il Garbini (Fauna, pag. 368w) la forma meridionale di montagna del B. barbus (L.) Agass. Secondo il Malfer (Benaco, pag. 249) invece 'deporrebbe le sue uova dal maggio al luglio all’argine o sui pianori a fondo ghiajoso-sabbioso alla profondità da 2 a 5 metri. Ogni femmina depone da 8 a 25 mila uova che mangiate dànno fenomeni di avvelenamento, fatto infrequente per gli altri pesci in cui le uova sovente costituiscono la parte più delicata.

2 Tinca vulgaris Cuv., il più caratteristico dei pesci erbivori ; anzi il Malfer (Benaco, p. 225) descrive una sorta di mimetismo del colore, più chiaro d’estate con maggior luce, più scuro l’altro tempo e nei giovani che stanno più nel profondo. La fregola di giugno o luglio avviene fra due e 15 m. segnatamente sulla sponda meridionale ed anche fra i can­neti e le giuneaje ; ogni femmina porta da 250 a 300 mila uova, ma se ne trovarono portare fino ad oltre un milione e mezzo. Il limite di 15 passi esposto dal Marsilii come optimum di esistenza suol ritenersi anche il più frequentato all’epoca della riproduzione, ma Tesservi un posto adatto per la frega della tinca sul lago dipende soprattutto dallo stato della vegetazione. E’ molto frequente anche nelle acque vallive come attesta 11 Garbini (Fauna, pag. 368le).

3 Esox Xucius Linn., il più terribile predatore delle nostre acque dolci di cui è detto il pesce-cane; giustissimo perciò l'apprezzamento sul suo appostarsi « dove l’erbe sono più grosse e cibarsi d’ogni pesce ». Esatto anche il termine di Marzo-Maggio esposto dal Marsilii per l'epoca nu­ziale in tutto conforme a quanto espone il Malfer (Benaco, p. 185) e cosi che le uova vengano disseminate «dove l’erbe sono più grosse» (Malfer, op. cit., pag. 186; circa la descrizione della «G rossa» (Chara tomen­tosa L.) vedi lo stesso libro a pagg. 48-49).

La sodezza delle carni del Luccio fa dire al Marsili di preferirne il gusto persino a quello dei salmonidi. E’ però questo un giudizio assai discutibile ; non foss’altro per la quantità di lische sottili che le inva-

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Questo è di corporatura differente, perchè di due di ugual peso uno si trova d i corporatura più lungo dell’altro ed il più corto ha ordinariamente due linee laterali fra il ventre e dorso mac­chiato d i colore di cannella chiaro e questo è di perfettissim a qualità, e m igliore a mio gusto del carpio e della truta.

La Truta 1 frega due volte l ’anno, l ’estate circa a Torbole,

dono fino a renderle pericolose; siffatte carni non hanno poi neppure lon­tanamente la fragranza di quelle della Trota e del Carpione.

Strana e acuta poi la distinzione di due sorta di lucci che variano per il rapporto tra lunghezza e larghezza, il più corto macchiato da due linee laterali, distinzione che sembra sfuggita agli ittiologi più moderni.

I Si è già detto che la Trota del lago di Garda è da ritenersi appar­tenere alla tipica specie abitante i laghi d’Europa, il vero Salmo lacu­stri» Linn., forma migratrice, risale e discende i fiumi per la frega, ad­dentrandosi talvolta per i più impervii ruscelli tra dirupi e cascate, vin­cendo inattese difficoltà con i più poderosi e violenti slanci fuori del­l ’acqua (vedi Garbini, Fauna, pag. 36814). La « regina del lago » (Malfer, Benaco, pag. 85), la cui pesca e la cui conservazione è divenuta una delle principali ragioni di industria del pescatore delle acque interne, che viene preoccupato per la grossezza, che è una delle massime, dell’uovo, dimensione che è in ragione inversa del numero per ogni femmina ge­stante. E’ ovvio che ogni accorgimento per la riproduzione artificiale ebbe primitiva origine per codesto prezioso salmonide, certamente il più diffuso in tutto il mondo e che con le dimensioni più che cospicue ha raggiunto anche per produrre cibi conservati una produzione appena contesa dal Salmone del Reno. Sono però da escludersi dal confronto i pesci da salare o da disseccare sempre multipari marini e che presen­tano opere e industrie speciali per la loro preparazione.

II Marsili parla di ¡due epoche di frega, l’estate vicino a Torbole, l ’inverno tra Desenzano e Peschiera. Secondo il Malfer (pag. 867), la Trota entrerebbe nel periodo di maturità sessuale il secondo anno di vita deponendo le sue uova, che possono costituire un sesto del peso del corpo, alla profondità di m. 1 a 3 in acque correnti. Rimonta il Sarca per oltre 15 Km. e discende il Mincio per oltre 5. Tutto questo dall’Ottobre al Gen­naio col massimo nel Dicembre.

« Si pasce di ogni sorta di pesce », ma non parrebbe della « panata », forse invece dei crostacei limnetici quando non ha avannotti o piccolo pesce o quando non è in periodo d’amore, perchè sembra non volere al­lora cibarsi per nna o due settimane. La frega contribuisce a far perdere del loro adipe e della sodezza e colorito delle loro carni anche alle trote, un fenomeno che il Marsili ebbe ad osservare a proposito del Carpione.

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il verno a Desenzano, Sirm ione e Peschiera. Si pasce di ogni sorta di pesce e della panata quando però non frega. D i estate quando non frega dimora su la superfìcie dell’acqua. Terminata la frega del verno fino alla primavera ritornano alla detta pa­stura, poi vengono ad abitare circa terra per entro il lago, dove sono erbe. I l colore rosseggiante di questo pesce in tempo di frega è perduto; dopo la frega le carni sono rosseggianti, non però così come quelle del carpione. N ell’istessa tav. 20 fig. 2 e 3 si vede la di lu i pesca con le sue spiegazioni.

Il Bulbaro 1 non l’ho visto ma per le relazioni fattem i da

1 Cypriniis carpio Limi., è il pili grosso pesce del lago chiamato in italiano la Carpa, detto anche Carpio ma ben diverso dal Carpione, il noto salmonide endemico suddescritto : E’ un pesce che arriva a rag­giungere i trenta chilogrammi di peso ed è esattissim a la notizia data dal Marsilii di luoghi dove vien pescato quando il Malfer (Benaco, pag. 262) può scrivere : « Il suo habitat normale corre dalla Rocca di Manerba all'incile del Mincio ma più propriamente dalla punta Spinada al casello di Grò. Si potrebbe dire che è il pesce specifico di Sirmione non comparendo che raramente 'dall’alto di Lazise e solo in via affatto eccezionalissima in Valle di Garda. Per i pescatori del braccio nord la carpa è una specie di mito. Essi ritengono che esista ed anche che si peschi, ma non fu loro mai dato di vederne nelle loro acque un solo esemplare ».

In queste ultime parole del Malfer sta la giustificazione del perchè il conte al suo tempo non potè vedere la Carpa trovandosi di sede a Ma- derno dove non viene pescata. I nomi vernacoli desunti dall’Aldrovandi che cita inesatto (De piscib., Lib. V, pag. 635 : De Cyprino) sono sovente quelli che tutt’oggi sono usati.

E’ poi vero che il tempo della frega è quello che conduce la Carpa ad approssimarsi alle rive e che i pescatori ne approfittano per catturarla, ma sembra anticipare sulla data del luglio esposta come la più favorevole dal Marsili, risultando avvenire dagli ultimi di maggio al principio del giugno. Anche l’allontanarsi dalle sponde dopo deposte le uova è fatto provato. Dice il Malfer : « terminata la deposizione la Carpa ritorna al largo e lentamente riducesi al covo invernale e cade in quel semile­targo.... ». Così si spiega anche perchè non ne vengono più prese durante parecchi mesi. Il Garbini (36817) dice questo pesce molto comune nel Tartaro e pescato in maggior quantità che non nel lago. E’ notorio che la maggiore squisitezza delle carni delle Carpe che ci provengono dal lago è dovuta alla qualità del cibo che vi trovano. Molto spesso a Sir­mione si trovano delle Carpe del Tartaro « in purga » in sacchi di reteo nei vivai prima di essere ammannite come pesci del lago.

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pescatori è l ’istesso del pesce ciprino o sia la reina di cui così scrive il Gesn. e Aldrov. « P iacentin i carpanum vocant, Ferra- rienses ut et m ulti accolae P adi Carpenam, V eneti Reinam, Romani barbarum, circa Larium lacum Barbaro alibi bui- baro ». Questo è il pesce della maggior mole di quei del lago. Questo frega nel mese di luglio e poi ritirasi nelPalture del lago e per nove mesi non se ne vede veruno. Se ne prendono per 2 mesi parte avanti parte dopo la frega. S i nodrisce di pescetti, gamberi e materie palustri e frega su le rive. Questo pesce si prende fra Sirmione, Disinzano e Peschiera con grosse reti.

Yeniamo adesso a testacei e crostacei.I Crostacei sono in questo lago di due sorte, una di crosta

consistente, ch’è il gambaro, l ’altra molle, ch’è il gambarinoo squilla piccola.

II Gambero 1 non cresce molto, volendovene 20, 30 e 35 a fare una libbra. La loro corteccia è pallida, anzi che il gambaro del lago, bollito, non prende che un leggierissim o color rosso che a pena distinguesi in paragone di quello de fiumi, come ne feci più volte l ’esperimento. I l sapore di questi non è grato, parte­

1 II Gambero (Astacus astacus (L.) oppure Potamobius astacus (L.) Keilh. ; vedi Garbini, Fauna, pag. 320) si trova anche attualmente nel Be- naco; ma preferisce le sorgenti limpide e fresche anche ad una certa al­tezza sul mare dove si riproduce ancor attualmente pervenutovi in modo che ancor oggi non si giustifica. Non è esatto che questi crostacei depon­gano le uova ; mantenendole le femmine aderenti ai pleopodi anche dopo fecondazione, anzi per tutto il primo tempo della vita delle larve; come non è esatto che esista vera congiunzione fra i sessi avvenendo la fe­condazione allo esterno. Esatte invece sono le osservazioni circa la rico­struzione degli arti mutilati sovente in dimensione ridotta, come avviene nei crostacei di mare. Unico difetto in tutta questa argomentazione sulla mutilazione dei gamberi si ha nella causa del fatto cercata dal Marsili nella rapacità dei pesci, sovrattutto del Luccio, laddove non occorre nulla di tutto questo essendo provato che nelle mute del tegumento, che avvengono frequenti sovrattutto durante l’accrescimento, gli arti si di­staccano alle giunture restando accluse al loro posto nella vecchia tegu- mentazione smessa. C’è chi asserisce perfino che il Gambero pratichi una autoamputazione (Vedi : M. Lessona, Storia Naturale Illustrata, IV, In­vertebrati (1892), p. 599).

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cipando di quell’odore ingrato erbaceo, che danno l’erbe svelte, che siano del lago; anzi li pescatori tirando erbe nelle reti le trovan m iste di gamberi che vivon fra esse e vi depongono le ova, quando pel contrario in poca profondità di acqua fra le pietre ed i sassi vanno a fare la congiunzione di sessi. In questi gamberi è fam igliare la vegetazione nuova delle lor gambe di tu tti i diversi gradi per vantaggio dato loro dalla natura, giacché i pesci rapaci, come il luccio nel nostro lago ne vanno in traccia continua e non potendoli bene afferrare troncan loro le gambe che ripullulano, come ho detto, ma con la differenza che non più tornano in quella grandezza e con­sistenza che ho notato nei crostacei del mare.

I Gamberelli sono di sapore squisito 1 e gli abitanti non gli mangiano perchè i pescatori non s i vogliono dare la briga di tirarli fuori delle reti, che rovesciano in acqua, cavatone il pesce più grosso.

I Testacei sono turbinati e bivalvi, come vedesi nelle 2 figure che sono nella tav. 1 5 .2 Ambi vivono nelle sponde del lago che

1 Qui si tratta del piccolo antìpode Gammarus pulex (L.) Fabricius (vedi Garbini, Fauna, pag. 319) comune in tutte le acque dolci di Eu­ropa ; secondo studii recenti dello Stebbing, derivato per adattamento da G. Locusta L. frequentissimo su tutte le rive del mare. La riluttanza dei pescatori a raccoglierlo può esser data dalla piccolezza di questo crostaceo che non è rimuneratrice per loro e non lo poteva essere nem­meno al tempo del Marsili. Può darsi che sotto il nome di « gamberello » il Marsili abbia potuto confondere anche altre specie in questi anni tro­vate non di rado nel Benaco : Orchestia bottae (Milne Edw.) Brandt e Palaemonetes varians (Leach) Zeli., quest’ultima un decapodo, general­mente non elencato fra le specie di acqua dolce perchè forse anche nel Garda sono anadrome dal mare e di adattamento recente. Certo si è che anche al Palaemonetes viene dato il nome di Saltarèl e Gambarusolo, come al Gammarus pulex dai pescatori e quello di Salterota all’Orche- stia e che le dimensioni non sono certamente tali da impedire la confu­sione in un esame affrettato sebbene diversissima ne sia la forma.

2 I testacei turbinati, ossia a chiocciola sono di molte qualità ed è esatta l’informazione che si trovano più che altro fra i canneti.

Le specie più frequenti sono il Limnaeus stagnalis (L.) Lamk., la Pa- ludina vivipara (L.) Moq. T., Planorbis corneus (L.) Poir. ed altre molte.

Dei bivalvi, il Marsili sembra non occuparsi che dei maggiori : Ano-

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sono palustri, e specialmente fra le canne che in ta li s iti sono frequenti.

I B ivalvi hanno il loro moto lasciando le traccie per l ’arena e fango, e la parte più larga è piantata dentro l ’arena mede­sima. Avendo questi la parte superiore più angusta aperta e che vedevasi stando in poca profondità meno d i un piede di acqua, io introduceva in quell’apertura una cannuccia, la quale, chiudendo ambi li gusci, essi bivalvi tenacemente stringevano così che dall’arena mi riusciva trasportarli nella barchetta.

L’ interno di questi gusci è d’ un vivissimo m argaritifero, mischio d’iride verdeggiante ed un poco rosseggiante e con grande abbondanza di perlifere vescichette, che mi diedero ansa di cercare in gran numero di essi se vi fosse stata veruna perla, che non trovai e ciò attribuii forse al non essere questo ani­male testaceo così fertile dell’umore osseo, per potere formare perle sciolte dalla corteccia, essendo queste sottilissim e. L’ in­contro di tal testaceo con sembiante perlifero mi invogliò di ordinare le mie osservazioni fatte in diversi fiumi e mari per la generazione delle perle, e term inata la presente dissertazione por mano a quest’altra, che scrivo al mentovato amico mio carissimo, anatomico signor Morgagni.

donta cygnea (L.) Lamie. e Vnio irictorum (L.) Rossm. di cui descrive il modo di cattura oggi ancora usato dai ragazzi e le traccie che lasciano trascinandosi per il fango immergendo la cerniera.

Il Marsili vanamente cercò jn questi lamellibranchi del Benaco le perlé, nè sembra neppure vi siano più state trovate. Ma è certo che al­trove il fatto di rinvenirle è stato accertato; di recente i giornali ne par­larono come avvenuto nei Canali del Gombo nei dintorni di Pisa, presso la tenuta reale tìi S. Rossore. Sono sempre perle di scadente qualità.

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N O T A *

Corrispondenza delle piante citate dal Marsili nella nomenclatura moderna.

Pag. 84 - Hyppuris aquatica fetida polysperma (Pontedera). Equise- tum fetidum sub aqua repens (Casp. Bauhin), Chara vulgaris fetida (Vaillant) sono tre nomi nella nomenclatura polinomica che Linneo (cfr. : Codex botanicus Linnaeanus, p. 918, n. 7031) riferì alla sua Chara vul­garis. Ma questa è un complesso di specie e forme e non c’è dubbio chei tre sinonimi vadano riferiti a Ch. foetida A. Br. Il Migula (Die Ca- raceen, p. 554) vi riporta quello del Bauhin e la Ch. vulgaris L. ex p. e, cioè, una parte di ciò che il botanico svedese chiamò con questo nome og­gidì, appunto perchè complessivo, abbandonato.

Pag. 86 - Potamogeton rotundi folium alterimi Fior Prus. 205. E’ rife­rito da Linneo (Cod. bot. Linn., p. 140, n. 1035) al suo P. perfoliatns L. che è specie molto comune nel Ciarda come io stesso posso testificare. Dal­l’opera del Malfer (Il Benaco, p. 53) rilevo che anche attualmente è de­signato in dialetto « gazól, gazói ». Il polinomio sopra citato fu «desunto dal Marsili dalla « Flora prussica » di Giovanni Loeselius che vide la luce nel 1703.

Pag. 86 - Miriophillum aquaticum pennatum et spicatum (Pontedera), Potamogeton foliis pinnatis (Tourn.) sono riportati da Linneo (Cod. bot. Linn., p. 940, n. 719S) fra i sinonimi del suo Al. spiratimi che, assieme al M. verticUlatum, è comune nelle acque del Garda.

Pag. 86 - Alga fluvialis graminea longissimo folio (Tourn.) è riferita da Linneo (Cod. bot. p. 963, n. 7355) alla sua VaUisneria spirali». Il gen. Vallisneria era stato fondato dal Micheli (Nov. plant. gen. p. 12, n. 1729) sulla pianta di sesso femminile e lo stesso, equivocando, aveva chiamato VaUisnerioides, un genere quindi diverso, la pianta di sesso maschile. Co­munque fu questi il primo a svelarne la vera natura come riconobbe lo stesso Linneo. « Pianta sat vulgaris in Europa, prò graminis, algae vel alius plantae foliis habita fuit, usque dum miraculum hoc naturae lyn- ceus detexit Michel ». Il « miracolo » cui accenna L. si riferisce al pro­cesso di fecondazione che si attua con l’intervento dell’acqua.

* Queste annotazioni dell’ illustre prof. Béguinot, al quale il Comitato marginano desidera esprimere tu tta la sua riconoscenza, son giunte quando il lavoro era già impaginato: si pongono qui in fine a pregevole corredo dell’opera marsiliana. N. d. R.

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IL LAGO DI GARDA 125

Pag. 86 - Myriophyllum Maratriphyllum palustre alterum Lob. Xeon. 790. Questo sinonimo non io trovo riportato da Linneo nè, ch’io sappia, da altri: la figura (fittizia?) cui si accenna e che io ho vista mostrerebbe il Phellandrium aquaticum, ma è troppo schematica e perciò dubbiosa. E’ un’ Ombrellifera che non avrebbe da vedere con la « Buccaferrea » del Micheli cui si accenna nel testo che corrisponde al genere Ruppia mai r i­scontrato nel Garda.

Pag. 87 - Chara major subcinerea fragilis (Vaillant) ; Equisetum fra­gile maius subcinereum aquis immersum (Morison). Questi due sinonimi sono riferiti da Linneo (Cod. bot. p. 918, n. 7030) alla sua Chara tomen­tosa specie valida che il Miglila (Characeen, p. 386) per un eccesso di critica, che volentieri chiamerei ipercritica, (preferisce chiamare Ch. cera- tophylla Wallr. Il nome vernacolo secondo Malfer (op. cit. p. 48) è la « grossa » ed è abbondantissima nei bassifondi dove forma un denso tap­peto specialmente dove l’acqua ha una profondità di 2-5 m.

Pag. 88 - Scola. Con questo nome assunto dal luogo il Marsili desi­gna certamente un’altra Caracea che, ai tempi in cui scriveva, con tutta probabilità non era stata ancora descritta ed alla quale egli, con un con­fronto non molto felice, finisce per imporle il nome di « Fucus lacustris repens color viridi obscuro». Con tutta probabilità, per non dire certezza, corrisponde a quel complesso che i pescatori, secondo il Malfer (op. cit. p. 49), chiamano « setila » e nel quale il Dott. A. Forti di Verona rico­nobbe individui sterili non determinabili di Caracee ed individui di Nilel- lopsis obtusa (Desv.) Grov. La constatazione del Marsili che la scola o fuco vegeta in acque più profonde che la sopra citata Chara tomentosa è confermata da quanto ebbe a rilevare il Malfer nella sua monografia e la sola cosa a desiderarsi è di precisare bene le varie forme che entrano a comporre la così detta « setila ».

Pag. 90 - Ranunculoides feniculi folio longiore (Vaili.) ; Ranunculus aquaticus albus fiuitans Peucedani (?) folio (Hermann); Millefolium aquaticum fol. feniculi Ranunculi flore et capitaulo (Caspar Bauhin) de­signano forme o razze del Ranunculus aquatilis L.

Pag. 91 - Gramen aquaticum fluitans multiplici spica (Caspar Bauhin) fu riferito da Linneo (Cod. bot. 87, n. 628) alla sua Olyceria fluitans, ma potrebbe darsi che il Marsili abbia inteso riferirsi a quella specie che in seguito fu chiamata Glyceria aquatica Wahlb.

Pag. 91 - Potamogeton foliis crispis sive lactuca ranarum (Caspar Bauhin). Corrisponde a P. ciHspus L. comunissimo nel lago.

Pag. 91 - Panata. Pare sia proprio una spugna, quindi un animale sul quale sarebbe opportuno interpellare qualche zoologo.

Pag. 92 - Acquapregna. Corrisponde a quello che i pescatori, secondo il Malfer (op. cit. p. 50), chiamano « merda de luna » ammassi gelatinosi di forma ovale o sferoidale dovuti allo straordinario sviluppo di un in­fusorio, YOphridium versatile (O. F. Müller) Ehrh.

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1 26 LUIGI FERDINANDO MARSILI

Per quanto concerne il Pontedera ed il Monti ai quali il M. inviava le sue piante e provocava giudizi gioverà al lettore un breve ricordo.

Pontedera Giulio (1688-1757) nato a Vicenza, da fam iglia originaria di Pisa, fu prefetto dell’Orto botanico di Padova dal 1719 alla morte e vi tenne la lettura dei semplici, come a quei tempi si chiamava la cat­tedra di botanica, innestando al culto per questa scienza, lo studio del­l ’antichità classica. Scopri e descrisse molte specie nuove o da lui rite­nute tali, diede una abbastanza felice sistemazione alla vasta famiglia delle Composte, ma ebbe il torto di non riconoscere ed anzi negare la ses­sualità delle piante già da altri ammessa e si trovò quindi a contrasto con Linneo che aveva chiamato « sessuale » il suo sistema di classifica­zione. Sulla vita e sulle opere botaniche del P. si veda quanto ne scrisse Béguinot nel voi. I, fase. 1° de « Gli Scienziati Italiani » di A. Mieli, pp. 90-94.

M onti Giuseppe di Bologna (1682-1760), prefetto dell’Orto botanico di quell’Università dal 1722 alla morte.

Prof. A. B é g u i n o t

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T A V O L E

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Spiegazione delle Figure della Tavola Prima.

Fio. 1. - Profilo sopra Malsecene nella riva veronese, che mostra la continuazione di una delle falde del Monte Baldo, che nella parte supe­riore a.a. è scarna di terra, che ha formato al piè una linea di colli avventizi b.b. dove praticano la cultura di viti e olivi.

Fio. 2. - Dimostrazione di un pezzo di monte formato da strati, e come questi sieno disposti fra gl’interposti Ladini. Li strati sono a. I La­dini sono le linee nere ; le vene sono b : quelle e :c :c : sono le concavità, che riempionsi di rottami di pietre, che cadono dalle parti superiori ; d :d : è un ammasso di terra, che ha riempiuta una parte del Lago vicina al continente, formando una pianuretta com’è quella di Torri e della Capra fra Tusculano e Maderno, che alla profondità di uno, due, e tre piedi hanno l’acqua del Lago Sorgente, e sotto la continuzione eie' me­desimi strati.

Fio. 3 . - 11 monte Brione infra posto al fiume Varone, e Sarca co' strati con angolo obliquo all'orizzonte del lago, che di la dal fiume Sarca ha un altro monte segnato a.a. pure composto de’ medesimi strati, parendo, che sia un monte solo rotto in due parti per fare strada al fiume.

Fig. 4. - Strati sopra la punta di Rivamolle Bresciana corrispon­denti agli opposti della punta del Cantone delle Navene, somigliando a un Arco di Ponte.

Fio. 5. - Punta di S. Giacomo corrispondente all’opposta di San Zeno, che mostra li strati, da’ quali sino al descritto termine comincia la linea della riva scoscesa, che va come a.a.

F i g . 6 . - Monte Agù nel suo aspetto naturale col corso de' suoi strati che vanno poi coperti da terra per la valle del fiume Tusculano e monte del Castelletto fino alla punta della Corna, sopra la riva del lago da dove poi s’insinuano in esso.

Fio. 7. - Profilo fra la Casa Delai, e Torri. Fra Torri e il monte si vede una delle solite pianurette fatta di terra avventizia, che alla profon­dità di tre o quattro piedi ha il solito fondo <li rocca, e mostra quella porzione de' strati del monte, ch’è di puro marmo di colori e grandezze diverse, segnata a.a.a.

F i g . 8. - Aspetto del promontorio della Rocca del Sasso co’ suoi soliti strati.

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Spiegazione della Tavola Seconda.

Fig. 1. - Strati, che dal loro stato naturale a.a. sono ridotti po’ de­scritti accidenti ne’ globi b :b :b che si vede fra Limone e punta di Rivamolle.

Fio. 2. - Strati, che dallo stato lor naturale a.a.a. furon ridotti in forma di seghe b :b :b che si vede nel monte Agii.

F ig. 3. - Prospetto della parte più alta di monte. Baldo, ch’è scarna, e nella superficie ha m inati li strati naturali, avendosene l’acqua fatti de’ nuovi a.a.a. che unisconsi in 1) :b :b : a formare un solo rivolo rin­forzato da due altri perpendicolari c :c :.

F i g . 4 .- Veduta in grande de’ strati a.a.a. fatti in forma circolare attorno all'area b:b:b: di rocca liscia. I c :c : sono i rivoletti, che dalla parte superiore cadendo formano i detti strati in tempo di pioggia, e liquefazioni di nevi.

Fio. 5. - Parte superiore del monte Baldo scarna di terra, e minata ne' di lei strati, che mostra in profilo li scoli a.a., che l’acqua ha fatti nell’istessa pietra.

F i g . 6 . - Si vede la parte a.a. del monte Castelletto scarna, e con li strati m inati dall’acque, e la parte li : con le sue cute di terra.

Fig. 7. - Profilo de' colli avventizi mentovati sopra a. e sotto b: del lago ad ambe le rive.

F ig. 8. - Sito dove cadette sotto Tremogene in faccia della punta della Madonna della Fontana un gran pezzo della sponda erta del lago, a.a.

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Spiegazione della Tavola Terza.

Fio. 1. - Communicazione fra le due isole per li strati loro congiunti e continuati sott’acqua, che alle rive d’ambi le isole si vedono a qualche profondità, essendo il lago in calma.

F i o . 2 . - Strati che dalla punta della Corna s’insinuano dentro del lago, che appariscano in tempo di calma, andando declivi sino alla pro­fondità di 4"> : passi, e poi perpendicolari.

Fio. 3. - Aspetto del promontorio della Rocca del Sasso, che ha i sotiti strati, che si comunicano sott’acqua, partendosi in due linee, una intitolata Traversagna, che va nel largo dentro del lago, piegando verso Maderno, l'altra de’ Scoglietti, che va ad attaccarsi con l’isola de’ Frati, la quale è pur composta de' strati corrispondenti a.a.a. che camminano per l'isola, e sott’acqua. Nel sito b : vano ad unire l'isola in poca profon­dità con la punta del continente di San Firmione, lasciando un piccolo passo per le navi, cosi, che quando il lago è basso appena vi passano le piccolissime.

F i g . 4. - Taglio più esatto, che mostra l’unione fra la Rocca del Sasso e l'isola de' Frati, e questa col continente di S. Firmione, vedendosi non solo i strati, ma l’isolette ancora, e Scoglietti che da essi risaltano, cin­gendo la valle intitolata dell’isola.

F i o . 5 . - Taglio dell’isola di Sirmione, che ha due linee, una perpen­dicolare, l'altra orizontale, che va attorno di buona parte di quest'isola atteso, che per la fabbriche Romane furono ivi tagliate le pietre. Nella linea perpendicolare si vedono i soliti strati quasi affatto orizontali senza segno tdi vena, che si distinguono nella parte orizontale, dove quelli sono notati, e gli scavi a.a. dentro della pietra furono vene ordinarie, che dal moto dell'acqua del lago restarono slargate irregolarmente, come si vede, e che servono di ricovero alle navicelle pescareccie. Questi strati del piano, che va, come dissi, attorno dell'isola, si vedono continuare sot­t'acqua in qualche profondità, essendo o il principio, o il fine della linea montuosa dentro del lago senza fango, e senza erbe, che unisce il pro­montorio di San Vilio, e quest’isola, come nel profilo segnato R.

Fio. 6. - Rappresenta uno di quei colli che cingono la pianura della Lugana alla dirittura della punta del Grò, da dove parte la linea di pietre rotonde, che servono a facilitare la fusione del ferro crudo, che purgano, la (piale s’insinua dentro del lago, vedendosi chiaramente dove le acque sono basse.

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Spiegazione delle Tavole Quarta, Quinta, Sesta. Settima e Ottava.

I n q u e s t a T a v o l a 4 , f i n o a l l ’o t t a v a inclusive, s o n o l e m e n t o v a t e s e t ­t i i m i ]>er t r a v e r s o d e l l a g o c o n l e r i v e l a t e r a l i , n e l l e q u a l i s o n o s e g n a t e a l l e m o l t e a l c u n e p a r t i c o l a r i t à d i e s s e , d e l l e q u a l i s i f a m e n z i o n e n e ’ s u o i l u o g h i .

Le parti inferiori di ognuna di queste sono distinte con segui indi­canti arena, ghiara, terra, ch’è la somma in circa della terza parte della profondità naturale, che nel progresso del tempo a tale altezza ha co­perto il fondo dalle rovine de’ monti laterali congregatesi in alcuni mila anni, da che il Mondo è creato.

In ogni profilo le profondità dell'acqua sono notate con punti corri­spondenti a siti dove con funi e scandaglio di piombo furon misurate e appresso son posti i numeri, che indicano i passi essendovi una scala particolare per questa profondità diversa dall’altra, che misura le lar­ghezze, che sono miglia, etl ambe poste nella mappa idrografica, come ognuno da sè potrà confrontare essendovi stato bisogno per rendere v is i­bili le differenze di queste profondità, di valersi di una scala di passi a parte dell’altra di miglia.

Ogni passo contiene sei piedi di Francia.Le miglia sono italiane di mille passi correnti, tre delle (piali in tempo

di calma con navicella da tre remi si faceano in un ora.

Da queste varie misure resta dedotta anche l’irregolarità de’ fondi, che in ogni settione s’incontrarono ; e si distingueva ancora se questo scandaglio in tali dimensioni o sul loto, o sull'arena, o sull’erba, o su la pura rocca.

Nelle parti inferiori di questi profili l'arena, ghiara, e terra, che fa la terza parte della profondità naturale già supposta, e mostrata ne’ pre­cedenti, deve supporsi, tutto che non sia in questi mostrata : poiché in questa tavola non era luogo a tale dimostrazione, che averebbe occupato troppo spazio.

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T a v o l a IV.

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Descrizione della Tavola Nona

Profilo della lunghezza del lago dimostrata con dite linee, che alla vista di S. Vilio formano 1111 angolo retto cominciando la maggiore da Torbole, fino alla dirittura del medesimo San Vilio, e la seconda da quel sito sino all’emissario di Peschiera.

Questo taglio per tali linee rette in si fatte lunghezze mostra in faccia le rive Bresciane, e particolarmente il tratto fra Torbole, e S. Vilio. l'altezza maggiore, e configurazione del sito più alto di monte Baldo col suo declive ad ambe le sponde per Torbole e San Vilio.

Un tal tratto per lo lungo del lago mostra i siti, che corrispondono a quelli, da dove furono prese le maggiori profondità del lago, ed espresse ik;’ prefati profili pel traverso.

Le altre tre diverse, che si formano d’ambe le falde del monte Baldo, si sono poste secondo le profondità maggiori de’ profili trasversali, con le quali è fatto questo, e con tal proporzione sopra luogo appariscono quasi come le medesime falde le mostrano tanto per la linea da Torbole a San Vilio, quanto per l'altra sino a Peschiera, dove i colli appunto si mostrano all’occhio, come in questo profilo.

Il fondo naturale supposto coperto dal terzo di arena, terre, e pietre è distinto da linee di strati di pietra A :B che ragionevolmente devono corrispondere a quelle de’ mostrati strati alle sponde del lago. -Nel sito G. è distinto l ' alzamento dell’alveo del principio dell' emissario del lago, che va pel canale, espresso nella mappa idrografica, diminuendo l’ al­tezza dell’acqua sino al principio del Mincio a Peschiera, dove l'acqua non è profonda più, che due passi.

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T a v o l a IX.

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D elle misure di larghezza e profondità dell’acque confluenti nel lago di Garda dalle tre chino ili esso lago e delle misure del fiume Mincio emissario delle medesime, presa alla 111 quelle del lago fatti alla distanza di 100 pertiche in circa da tali confluenti, per i sapori dell’acido dello spi rito di vitriolo, e dell’alcali dell’olio di tartaro.

Tali esperimenti furono fatti nel mese di Dicembre, 28-29-30, l’anno 1724: ed a’ 4 e s

Nomi dell’acque confluentiL arg h ezza dell’ acque con flu en ti

P iedi - once

P ro fo n d ità dell’ acq u e con flu en ti

P ied i - once

Colori dell’ acque co n flu en ti

S apori de lle acque con fluen ti

P esi dell’ acque confluen ti

G rani - ro tti

Gola con termine al Bresciano 4.0 0.7 chiaro insipido •23 i/2Fonale F iu m e............................. 13.0 3.0 » grave »S p iro n e ......................................... 3.0 0.4 » » » .

0 Varone F ium e............................ 8.0 0.9 » non tanto grave »5?; 1 Sarca f. ultimo verso il Veron. 90.0 4.0 » quasi naturale »

' Campagnolo di sopra . . 4.0 0.5 » grave poco »25 Campagnolo di s o t t o ............. 3.0 0.4 » quasi insipido »

1 w Madona della Fontana . . . . 2.0 0.3 » insipido »£h Li C a sso n i................................... 80.0 2.0 grave »

Molino di B r e n to n e ................ 3.0 0.7 » insipido »Tossa del M olino...................... 3.0 0.7 » quasi insipido »G ard a ............................................. 4.0 0.9 » insipido »B ardolino...................................... 0.0 0.0 0 0 0C is a ................................................ 4.0 0.3 chiaro insipido 28 V*Testa a l t a ................................... 2 0 0 2 » » *G a sp e r in a ................................... 5.0 0.6 » » »,G a n z ............................................. 3.0 0.11 torbido paludoso »

w R iv o lt e l la ................................... 3 0 0.7 chiaro insipido »CO D is in z a n o ................................... 3.« 0.7 » » »

Sotto Palengo .......................... 5.0 0.6 » » »o P a le n g o ...................................... 0.0 0.0 0 0 0w D u sa n ............................................ (',.0 0.1 ) chiaro insipido 23 V*

Fiume delle rive di Minerbo 7.0 0.8 » » »Acqua di S. Felice di sotto . 0.0 0.7 » » »Acqua di S. Felice di sopra 3.0 0 2 » » »Porto P o r te se ............................. 2.0 0.2 » » ».P o r te se l i...................................... 1.0 0.2 » » »Molin di S a lò ............................ 4.0 0.4 » » »B arbarano................................... 0.0 010 » » »C a se tta .......................................... 2.0 0.2 » » »B urnigo......................................... 4.0 1.4 » »Toscolan F iu m e ...................... 10 10 0.9Zufan ............................................. 7.0 0.6

< San C a r lo ................................... 4.0 0.13 » p o c o g r a v e »o Gambarara................................... 3.0 0.3 » i n s i p i d o »n Prato della fa m e ...................... 6.0 0.5 » »

2 Sopra del Prato della fame . 3.0 2.4 » poco grave »

-Cangimi intiero fium e............. 17.0 0.0Prato dell’A s i n o ................... 2.0 0.3Boza F iu m e ................................ 12.0 011 » g r a v e a s s a iL im oli............................................. 4.0 0.9 » p o c o g r a v e »L ova ................................................ 2.0 0 3 » a »

MISURE C

La profondità minore dell acque, d ie si trovò nel tempo, che si presero le misure de’ et» piedi 6 e oncie 3 = alla riva che guarda il Bresciano piedi 4 e oncie 8 e linee 8 = Sopr tempo della m aggiore escrescenza del lago .[.a larghezza nella parte superiore piedi 251 e

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LA X.

rive che lo cingono - Trentina, Bresciana e Genovese - poco innanzi che le medesime sboc- ilonna del F aggio ini m iglio sotto a Peschiera, e degli esperimenti tanto in esse, quanto in pesi di ciascheduno, e permanenza ed alterazione, di fermenti e colori a causa dell’emissione

Gennaio l ’anno 1725:

E ffe tti dell’em istio n i d e ll’ac ido in q u es te a c q u e confi.

E ffe tti dcll’im is tio n i de ll’alcali con l’o lio di ta r ta ro

in q u e s t’ a c q u e con flu en ti

C olori de ll’ acque

del lago alla

d iri ttu ra d i tali

con flen ti

S ap o ri d e ll’ acque

del lago alla d iri ttu ra

di ta li con flu en ti

P eso dell’ acque

del lago a lla d ir i ttu ra di ta li con flen ti

G ran i - ro tti

E ffe tti d e ll’ im iss.

d e ll’ac ido di v itrio lo nelle acq u e del

lago alla dir. d i ta li confi.

E ffe tti d e ll’ im iss. dell’ alcale

d ’olio di ta r ­ta ro a lla d i­ri tu ra d e ’ co n fluen ti

<T ametisto rosso niente chiaro insipido 2 3 V* niente nienteametisto scuro colore d’ olio oliva » » » » »

d’ ametisto come sopra » » » » »» l’olio d’oliva lo stesso » » » »

d’ametisto languido d’olio d’oliva insensibile chiaro » » » »» d’olio d’oliva languido » » » » »

d’amet. insensibile olio languidissim o » » » » »» » » » » » »

niente niente » » » » »» » » » » » »

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ametisto languido intorbidisce » » » » »niente niente » » » » »

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niente gran nubi » » » » »ametisto niente » » » » »

ametisto carico » » » » » »

EL IVI I rsj C I O

fluenti nel lago alla riva che guarda il veronese, è piedi 6 e oncie 7 = Nel mezzo del fiume- questo livello dell’acque di minor Molle si vede crescere piedi 4 = nel mese di Maggio in

oncie 5: si osserva, che queste rive non hanno molta scarpa.

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T av

D egli sperimenti fatti nel mezzo del Lago, tanto per la parte superficiale della di Lui o idrometro per indagare. La diversità de’ pesi, come della diversità de’ colori, sapori, odi t esplorare la di lei natura, si sono egualm ente sperimentate le acque sorgenti al pelo della s

T em po degli e sp erim en ti

L uoghi deg li e sp erim en ti C oloresi s ian o fa tti gli e sp erim en ti

A nno M ese G iorno

Acqua superficiale In faccia di Maderno un m iglio dentro del Lag'o 1724 Agosto 24 limpido

Acqua superficiale nel mezzo del Lag-o

Fra l’abitazione dei S. P. D elai e Torri 1724 settembre 17 »

Acqua del fondo del Lag-o

Fra l’abitazione dei S. P. Delai e Torri 1724 settembre 17 un poco torbido

Acqua superficiale del Lag-o nel gran freddo

In faccia di Maderno tre m iglia fuori del Lago 1725 gennaio 22 limpido

Sorgente d'acqua al Pelo di quella del

Lago

Nel villaggio di Cassini alla radia della maggiore altezza di monte Baldo

1724 settembre 17 limpido non cosi brillante

Acqua de’ PozziIn Maderno che hanno le loro acque al livello

di quelle del luogo1724 agosto 24 limpido

Acqua PiovanaIn Maderno doppo la

gran siccità che piovette sei giorni continui

1724 dicembre 18chiaro come al so­

lito dell’ acque piovane

Acqua del fondo del Lag-o dove ebolisce

vma sortina con g al uzze

In faccia dell'isola di Sirmione per Tramon­tana di un m iglio è la sortina dal fondo alla superficie del Lago di­stinta per gallo Troie sopra di essa detta

Bulea

1724 dicembre 28 limpido

In questo sito il Lago ha un fondo di quattordici passi, guarnito delle solite erbe seni presenza viddi prendere, come di questi involti nelle mentovate erbe. Evaporai quest’ acqua et alcali., si mantenne quasi affatto immobile.

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equa, quanto profonda in diversi tempi, cioè estivi, autunnali ed invernali mediante la bilancia ed unione di acido, cioè di spirito di vetriolo, od alcali, cioè olio di tartaro, o per meglio

perfìcìe del Lago, come altre dal fondo del Lago, e de’ Pozzi, e di più ancora le piovane.

O dore

veruno

nessuno

palustre mite

nessuno

nessuno

nessuno quando è in pozzo ben fatto perchè per altro vi è del Ferreo

sapore niente

Non distinsi col mio odorato che fosse tanto sul­furee come la voce

decanta

Im istione

S ap o re P eso

A cido di ve trio lo A lcali d i olio di ta r ta ro

G ran i - Rotti

grato 2 1 . 0 nessun movim. nessun movim.

g’rato , ma non tanto come l ’altra 2 2 . 0 » »

sopra

gostoso con un poco di amaro 23 :‘/a » »

grato 111 a n on tanto come nel-

1’ agosto23: V2

q u e s ta p o rta ta al m io cam m ino in d is ta n za d al fuoco in u n ’ o ra p re sa la te m p era tu ra di quella di a g o s to 2t l/2

» ' »

grave e non grato affatto 28:»/« >/ »

grato, e non tanto secondo la fab­brica e sito del 22: V* » »

Pozzo

come al solito di questa 22: Vi » »

Al principio, che l ’acqua è in bocca, non è ingrato ma di poi si manife­sta di un costante amaro mordace

23 :*/, » »

L i

nessun fetore sulfureo decantato, dove abitano Tinche, e Gamberi, che con la Frocina ili mia che nel fondo lasciò 1111 poco di polvere terrea di color cinericcio, che neU’im istione d’acido

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T a v o l a XII.

D egli esperimenti, che si sono tentati per riconoscere qual proporzione rii gradi sia fra il temperamento dell'aria sottacq ua, e quello sopra mediante un Termometro pieno del consueto spirito.

A 17 : settembre 1724: indicano lo stato del calore a gradi 80:In faccia dell’ isola de’ P’rati, mezzo m iglio distante da essa si calò nel fondo di 118: passi.In esso lasciossi fermo minuti cinque.Fra discendendo dalla Nave, e ritirando in essa passorno 10 minuti.Da ciò si vede, che il tubo stette 15 minuti dentro dell’acqua.Questo venuto n ell’ambiente si trovò che tutto lo spirito era ristretto alla metà della palla.Dopo che lo spirito stando n ell’ambiente era tornato a ll’altezza di 80: gradi si rifece lo sperimento, e ne avvenne ristesso che

prima, ed un altro di pure si replicò coll’evento medesimo.I)a ciò vidi, che non era da sperarsi alcuno aiuto. Per lo che tentai più esperimenti mediante il sughero, che conobbi che

ristrigneasi stando dentro del lag'o nel freddo.D egli sperimenti fatti con dei pezzi di sughero di ugual lunghezza e larghezza, tavola e grossezza appesi in diverse distanze

ad una fune, che alla lunghezza di 170: passi andò a toccare il fondo. Questa tavola è divisa nel luogo dello sperimento, e tempo di esso, e precise misure de’ sei pezzi di sughero, e nelle sei differenti profondità, con le annotazioni a quanti passi ognuno sia stato posto, ed a qual ristringimento siasi ridotto.

L uogo de ll’ e sp e rim en to T em po L un g h ezza d e ’ su g h e ri L a rg h ezza d e ’ su g h e ri G ro ssezza d e ’ su g h e ri D im ora d e ’ su g h e ri nel lago

Fra GriglianoA nno M ese il ¡orno O ncie L inee O ncie L inee O ncie L inee

B1724 Ottobrè 7 9 0 3 5 0 6

Le sei diverse profondità dove furono appesi i sugheri, ed i loro accorciamenti per lo lungo e restringim enti pel traverso.

Prima profondità di passi 15

11 sughero per il lun­go si scortò oncie 0 linee 5

Il sughero per tra­verso si strinse on­cie 0: linee 0.

Seconda profondità di passi 85

Il sughero per il lun­go si scortò oncie 0 lin ee 3.

Il sughero per il tra­verso si strinse on­cie 0 : - linee 0.

Terza profondità di passi 80

Il sughero per il lun­go si scortò oncie 0 linee 9.

Per il traverso il su­ghero si strinse on­cie 0: linee 0.

Quarta profondità di passi 100

11 sughero per il lun­go si scortò oncie 1 e linee 3.

Il sughero per il tra­verso si strinse on­cie 0: linee 7.

Quinta profondità di passi 120

Il sughero per il lun­go si scortò oncie 1 e linee 4.

Il sughero si strinse per il traverso on­cie 1: e linee 5.

Sesta profondità di passi 170

Il sughero perii lun­go si scortò oncie 1 e linee 4.

Il sughero si strinse per il traverso on­cie 1 : e linee 5.

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T a v o l a X I LI.

Jb u s t i * c i t V e n t i clxe s c i a m o in. a u z s to Socio ¿ ¡v is i nella iuifa. chi, 0/aticc.n.i l \ nciviga.ii.ti PO'

i n o i r iico n tr iir i ce Kami i\a.utic.i ■ '

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Spiegazione della Tavola Quattordicesima.

Fio. 1. - Piccola mappa idrografica per dimostrare la corrente causata dal vento >di Suaro, che viene dalla valle di Torbole, che poi all’opposte rive di Salò, di San Fermo, de’ Frati, della Rocca del Sasso, di Minerba, di Disinzano, di Rivoltella, ed anche di Sirmione alla profondità di ‘due passi in circa rimonta per rimettere nelle parti superiori le acque di­scese; e questo è quello istesso, che segue per tutti gli altri venti, che gagliardamente soffiano in questo lago specialmente per l'ora contro le sponde di Toscolano, Maderno, Salò, isola de' Frati e Rocca del Sasso.

Le linee segnate S. indicano il moto delle acque nelle parti supe­riori, le segnate 1’. mostrano il corso opposto al superficiale, rimettendo l'acque verso Torbole subito doppo le profondità del superiore, che suol essere di due passi, in circa secondo la forza del vento. Il corso interiore retrogrado va più profondo ma anche più lento, ed in tale proporzione da poter rimettere nella parte superiore le acque levate a quel livello, che la natura le vuole, 24 o 30 ore doppo sedato il vento. E’ da osser­vare, che si mostrano le linee retrograde dal punto della percussione nelle descritte rive, sempre verso la riva veronese a causa di quel declivio, che co’ profili si è mostrato inclinare al fondo del lago.

Fio. 2. - Profilo che mostra per chiarezza maggiore per tutto il tratto del lago da Torbole a San Vilio, dalla superficie sino alla profondità come il corso dell’acqua è in tempo dell’agitazione de' venti distinto nelle parti di moto e di quiete. La parte di moto ho due moti contrari, l'altra di quiete ò sino al fondo eh'è maggior di tutto il cilindro.

I moti contrari si distinguono per le freccie che son volte secondo quello.

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AIX v'ioAvx

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S p ie g a z io n e d e lla T a v o la Q u in d ic es im a .

Fio. 1. - Scola che ha le radichette con tutti li punti, che indicano le semenze piccole nere dentro del vacuo del fusto.

Fio. 2. - Panata stabilitasi sopra un virgulto secco.Fio. 3. - Panata sola, che immediatamente posava sul loto del fondo.Fio. 4. - Panata attaccata ad un bivalvo senz'animale dentro.Fio. 5. - Panata attaccata ad un osso di castrato.Fio. «. - Panata attaccata ad un turbinato.F i g . 7 . - Panata ad un bivalvo.F i g . S . - Turbinato nel suo stato naturale col suo vivente.

F i o . ì). - Bivalvo, da cui si è tolto l’animale per vedere le vescighette perlifere descritte, notate a.a. nella pariete interna de' gusci.

Fio. 10. - Acqua pregna, che nella parte superiore è di un convesso perfetto a., e nell’inferiore concava con un foro b:

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T a v o l a X V .

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T a v o l a XVI.

Maggiori

Minori

Testacei i

Crostacei

Bulbaro al più n. 45, 0, 50

Truta al più il. 43 da ine veduta, e 95

Luccio da me visto n. 31 ed anche 45

Tinca veduta da me u. 11 e dicono 16

A nguilla al più n. 16

Barbio n. 14

Canazzino n. 8

Musella al più 7,20

Trota al più n. 3

Carpione al più n. 9

Agone al più n. 3

I Sardina nuova

! Sardina grande

Aola delle maggiori per una n. 50, 60, 70

Roneone per unii n. 60, 70, 90

Lampreda per una n. 50

Boza gentile per una n. 35, 45

Boza pelosa per una n. ¿0. '25

Magnarone per una n. 20, 25, 30

Varone per una n. 6

Temolo per una n. 5, 6

Bivalvo di colore glifero, e inde verde turbinato

Gambari per una n. 25, 30

Squille

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’IIAX v'ioAVX

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Spiegazione «Iella Tavola Diciottesima.

L a F i o . 1. - R a p p r e s e n t a i l c a r p i o n e m a s c h i o i l i l i b b r e i lu e .

L a F i o . 2 . - I l c a r p i o n e f e m m i n a ( li m i n o r p e s o .

L a F i o . 3 . - L a t e s t a d e l c a r p i o n e p e r m o s t r a r e i l s i t o d e ’ d e n t i .

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Spiegazione della Tavola Diciannovesima.

Fio. 1. - Carpione aperto acciochè le viscere si possino vedere nel sito loro.

a) II cuore - h) L’orecchietta del cuore - c) L’arteria grande - d) 11 diafragma - e) Il fegato - f.F ) Il ventricolo - g.g. Gl’intestini ciechi - h.h.h. Intestino, che va verso l’ano co’ vasi sanguiferi che l'accompa­gnano. - i : La milza alquanto rivolta verso la parte sinistra acciochè meglio si possa vedere il ventricolo, e il (letto intestino. - k.k.k. 1e.Tc.Tc. : Le cuoie. - l : La parte inferiore della viscica natatoria. - m.n. : Per tutto questo tratto nella faccia interna del ventre si accennano si i luo­ghi, delle spine, come alcuni vasi sanguigni.

Fio. 2. - Il cuore con la sua orecchietta, e con l’arteria grande.a) Il cuore. - 6) L’orecchietta. - c) L'arteria grande.

Fio. 3. - Quella parte delle viscere del ventre, la quale nella tig. l a : era coperta dal fegato, e dagli intestini ciechi, quasi nel sito loro na­turale.

.4: Le ultime fauci, che si ristringono nell'esofago. - l ì : L’esofago. C.C.: Il ventricolo, il quale in d : si rivolge a ll’ in su. - e:e:) La prima parte degl’intestini, la quale in /) s’incurva all’in giù. - g :g :g :) Prin­cipi degli intestini ciechi tagliati, acciocché si veda tutta questa parte degl'intestini. - h.h.h.) La parte rimanente degl'intestini, che va verso l’ano, ma qui si è tagliata in i. - K :) La milza qui pure alquanto rimossa dal suo sito.

Fro. 4. - Quasi tutte le viscere del ventre fuor de] sito loro, e segna­tamente tutto il canale degli alimenti aperto per longo da le fauci sino all’ ano.

.4 :) Le ultime fauci. - li :) L'esofago col quale per lo c) forame eom- inunica con la vesciga natatoria, la quale in /) :) è stretta con un tilo, e perciò è floscia, ma in tutta la parte rimanente e:e:e:) è gonfiata. - F :F :) Il ventricolo co' le sue rughe, e con la grossezza delle sue pareti, il quale verso: g:) si rivoltava all’in su ed aveva annessa II :) la milza. - / :/ :) La prima parte degl’intestini grossa medioeramente e con mol­tissim i forami, che sono le bocche degli intestini ciechi. - K.K.K. Gl’in­testini ciechi, i primi de' quali verso K sono più lunghi, gli ultimi verso K. più corti. - ì : Il luogo per dove la bile vien portata dentro la detta parte degli intestini per mezzo del ni : condotto bilario. - n : Il fegato. - o : La vescighetta del fiele annessa al fegato. - P.P.P. La parte rimanente degli intestini, che va verso l’ano composta di pareti molto men grosse. - q:q: Tutto quel tratto della detta parte degl’intestini, che dentro ha una valvola a guisa di chiocciola.

Fio. 5. - Uno de' più lunghi intestini ciechi chiuso.a) Quella parte di esso intestino, cli'è annessa agl'intestini. - b) La

parte opposta.

Fio. 6 - 1 1 medesimo intestino cieco aperto per lungo.Fio. 7. - La milza distesa.Fio. 8. - L'occhio.

a) Il bulbo dell’occhio. - b) La cornea per la quale traspariscano l’iride, e la pupilla. - c) il nervo ottico. - d) L’umor cristallino perfetta­mente sferico.

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T a v o l a XIX.

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S p ie g a z io n e d e lla T a v o la V e n te s im a .

Fio. 1. - Un taglio del lago, ohe ha ad una riva di esso un colle av­ventizio segnato B : sopra cui vanno i carpioni a far la loro frega depo­nendo le ova, che i pescatori cercano per gettarvi le reti con le piega­ture, che si vedono. L’arte che praticano i pescatori fra l’opposizione delle correnti segnato A. mostrate dal corso delle treccie, è questa. Pi­gliano una corda longa passi 70, o 80 in circa, nel fondo attaccano un sasso, l’estremità superiore si aggruppa alla punta di un remo, così s i vede la corrente dove va. perchè superando quello del fondo, il remo tende verso quella banda, e superando quel di sopra, cede ancor quello del fondo, benché sia ad esso attaccato quel grave sasso. Questo fanno, perchè le reti cadano sicuramente nel sito della frega, perchè se la cor­rente va in su. le reti si stendono in giù, se all'ingiù, si depongono in su alquanto, a misura di tal moto.

Pio. 2. - l ’esca delle trute quando fregano il verno fra la Zisa Pe­schiera e Sirmione.

La rete poco meno alta di un uomo si attacca alla sponda del lago nel sito A. e questa per linea retta un tiro di fucile si pianta perpen­dicolarmente sino in B. nel qual sito si divide in due braccia C:C: che fanno una figura spirale. Le trute vedendosi attraversate con la rete A : B: per il loro passaggio della frega, secondo quelle vanno camminando lungo la medesima rete, che le conduce in un piccolissimo spazio del centro della spirale, da dove il pescatore con una piccola cucchiara di rete le cava. Se questa è troppo grande, e che ve ne sieno più d'una in quell'angusto sito, in cui potrebbono alzare la rete dal fondo del lago, e fuggirsene, i pescatori cingono subito la spirale con una contrarete I>.1>.

Pio. 3. - Altra maniera di pescare le trute. Ne’ siti, dove la pesca è abbondante pongono una rete nella maniera sopradescritta, e poi con un gran giro di una rete uguale alla descritta nell’altezza, e meglio fanno un quadrato A.A.A. : cioè tre lati di esso di rete, ed il 4° è la terra della sponda. Nel sito B. piantano un antenna da nave, con travicelli, come il disegno mostra pe’ quali come per scala va il pescatore al sito C. fa ­cendo guardia alle trute, ch'entrano in tale spazio circondato dalle reti, che stanno immerse a tale profondità, che non impediscono alle trute l’entrare in quel recinto per gettar le ova ne’ siti comodi, ed in tal caso il pescatore vedendone una, o due, o più tra funicelle attaccate alle reti ne' siti I>.1 >.!>.. che inalza con somma facilità, rinchiudendo tutte le trute, che son viste nuotare dentro tale spazio, fuggendo allora per lo più dentro le due descritte spirali, e i pescatori come sopra le levano dall’acqua.

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T a v o l a XX.

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RELAZIONE DELL’ASSEDIO DI VIENNA

FE D E L M E N T E D A L L ’ ID IO M A TURCO T R A D O T T A

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Lo storico ungherese Andrea Veress, ben noto anche agli Ita lian i per i suoi volumi dei « Fontes rerum hungaricarum » e per i preziosi contributi sopra 'la vita e l’opera del generale L uigi Ferdinando M arsili, parlando di una rarissim a stampa del M arsili riproducendo, tradotta dal Turco, la narrazione del- T assedio di Vienna del 1683, e mettendo in rilievo Y impor­tanza che essa pubblicazione ha anche per l’Ungheria, osserva: « Curioso è inoltre che, quantunque questo libretto fosse stam ­pato a Bologna nel 1709, non s i trovi in nessuna Biblioteca, e 1’ unico esemplare sia posseduto dal Museo N azionale unghe­rese » . 1 E invero nessuno dei biografi dell M arsili lo menziona, e g li stessi (scrittori ita lian i che del M arsili s i sono occupati non lo conoscono. Solo ne parla, a quel che so, il conte A les­sandro Apponyi, ricordato dallo stesso Veress. 2

La narrazione d ell’Asisedio di Vienna del 1688 fatta da un Turco ha un singolare interesse, giacché pochissime sono le fonti storiche di quella parte, mentre numerosissime, per così memo­rando avvenimento, sono quelle europee. Il M arsili, venuto in possesso del m anoscritto, lo fece tradurre in parte da altri, in parte lo rivide egli stesso, e infine ne curò la pubblicazione in Bologna, pochi anni dopo il suo ritorno dalle guerre contro i Turchi.

1 A n d r e a V e r e s s , II conte Luigi Ferdinando Marsili e gli Ungheresi, in « Studi e memorie per la storia della Università di Bologna », voi. X, a pag. 97.

2 A l e s s a n d r o A p p o n y i , Hungarica, voi. IX (Budapest, 1902), n. 1501.

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1 3 0 LUIGI FERDINANDO MARSILI

Scorrendo i m anoscritti che in copiosa quantità si conser­vano /presso la B iblioteca universitaria di Bologna, potei facil­mente riscontrare che, 'con ogni probabilità la « Brieve Storia » stampata, nel 1709, altro non era «e non la « Relazione dell’A s­sedio di V ienna fedelmente daM’idiom a Turco tradotta » che con­servasi nel ms. 57 dei M arsiliani, a c. 4 0 7 .1 Per assicurarmi della cosa, pregai il Veress d i fare gli opportuni riscontri, ed egli si prestò al mio desiderio con squisita cortesia. Fece d i più, mi indicò le d iversità dal manoscritto che io avevagli spedito in copia e mi fornì anelhe la corrispondenza dei nomi ungheresi usati nello scritto pubblicato dal M arsili con i nomi attuali, identificazione che io non sarei riuscito sempre ad accertare.

Se peraltro le narrazioni del m anoscritto e della stampa presso a poco corrispondono, diversità, sopratutto di espressione, qua e là si riscontrano; e devesi anzi rilevare che non sempre il dettato della stampa supera quello del m anoscritto. Fu perciò che deliberai d i attenerm i per la nuova edizione al m anoscritto bolognese, tan to più che esso fu con ogni cura (certo con mag­giore di quella che il M arsili avesse per la stampa, che nella collezione sua universitaria non si conserva) raccolto e traman­datoci in una magnifica scrittura, con i tito li dei paragrafi e capitoletti in m aiuscole e con bei m argini. I l m anoscritto in­fa tti (pur non essendo la narrazione m olto estesa), consta di 40 carte (da 407 a 446), è contemporaneo al M arsili (principio del secolo X V III) e reca prove non dubbie d i molta, diligenza.

Il confronto fra la stampa e il m anoscritto mi è stato reso più facile e più comodo per un fortuito caso che mi ha fatto rintracciare, con mia molta soddisfazione, in un certo fondo della B iblioteca comunale dell’Archiginnasio, una copia del raro li­bretto, in ottim e condizioni e con legatura del tempo. Misura

1 Mi mise sulla via il prof. Mario Longhena, il quale nella Bibliografia marsiliana posta in fondo al volume delle « Memorie » pubblicate in occa­sione del secondo centenario marsiliano, indica la copia di Budapest, traendo la notizia appunto dal citato scritto del Veress, non essendo egli stesso riuscito a trovarne altro esemplare.

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RELAZIONE DELL’ ASSEDIO DI VIENNA 1 31

cm. 15X11, è di bei caratteri rotondi con iniziali fiorite ad ogni capitolo. Il titolo è precisamente questo: 1

B R IE V E STORIA, | in cui s i narrano le cagioni della | passata Guerra | fra lo | IM PERADORE, | e la Casa | OTTO­MANA, | e ciocche nell’assedio d i Vienna, | e per alcun tempo tlapoi a Turchi auuenne, | C O M P O S T A | DA UNO STORICO TURCO, | e nella nostra volgare favella ridutta.

A l l’illu s tr is sim o & Eccellentissim o Signore

I L S I G . P I E T R O | SENATOR GARZONI |In Bologna per Costantino P isarri sotto le Scuole, a ll’ | In­segna di S. Michele 1709. Con lic. de’ Superiori.

La ¡pag. 2 è del tu tto bianca. La pag. 3 ha in alto un fregio e sotto com incia la lettera d i dedica del M arsili al Senatore Garzoni, con una magnifica e grande lettera iniziale, in data del 3 dicembre 1709: il che ci fa sospettare che il libro venisse in luce nell’anno seguente. Ecco la dedica:

Illustrissim o, & Eccellentissim o S I G N O R E ,

Io porto ferm issim a opinione, Eccellentissim o Signor mio, che a moliti parrà in utile cosa, che mi sia preso il carico di pubbli­care per via delle Stam pe questa ipicciola, e brieve Storia, in cui si narrano le cagioni della passata Guerra fra lo Imperadore, e la. Casa Ottomana, e ciocche nell’assedio di Vienna, e per alcun tempo da poi a Turchi avvenne; conciosia cosa che sembri, che ella da m olti valenti Uom ini sia già stata maestrevolmente scritta. Per la qual opinione sono stato buona pezza sospeso; ma a d ì ¡passati avendo avuto assai agio di rivedere nella m ia pa­terna Casa i libri, che con esso meco in Ita lia recai, quando l’ob- bligazione di ubbidire il mio Principe N aturale mi c i condusse;

1 La segnatura è 5. u. I l i , 22, vecchia C. VI, 3.

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1 3 2 LUIGI FERDINANDO MARSILI

BRIEVE STORIA-In cui fi narrano le cagioni della,

pattata Guerra

F R A * L O

I M P E R A D O R E ,E L A C A S A

O T T O M A N A ,e ciocche nell’ aifedio di Vienna,

c per alcun tempo dapoi a Turchi auucnne,

C O M V O S T A

D A U N O S T O R I C O T U R C O ,e nella noftra volgare favella ridutta .

^irillujìrijpmo, & EccellenriJJimo Signore

I L S I G. P I E T R OS E ’N A T O R G A R Z O N I .

I n B o lo g n a pe r C o i ì a n t in o Pi fa rr i f o t t o le; S c u o le , all" i l l f e g n a d i S- M ichele 1709, Con Ite. de’ Superiori.

Frontespizio della rara edizione della Brieve Storia curata dal Marsili.

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RELAZIONE DELL’ ASSEDIO DI VIENNA 1 3 3

ed in essi veggendo nuovamente quest’Opera, incontanente mi occorse nell’animo i l pensiero (che dtoe ne fosseno per dire le persone) di stam parla ; perciocché io non so, che insino ad ora alcuno abbia pubblicata di detta Guerra la Storia, la quale sia stata composta, da uno Storico Turco, appieno informato di tu tto ciò, che appo loro succedette, siccome è questa.

Già è buon tempo passato, òhe io la diedi al Sig. Miehiel Talman al presente Residente di Cesare alla Porta, m entre si trovava Interprete dello stesso nel Congresso d i Carlovitz, & a mia instanza, fu quivi da lu i insiem e mente col signor Conegliani Medico dell’Eccellentissim o Sig. Cavaliere, e Procuratore Ron­zini nella nostra volgare favella ridutta; & io poscia non senza gran piacere, e d iletto holla più fiate letta, avendola scorta ve­ridica, siccom e ne posso per pruova essere verissim a testim o­nianza; perchè mi trovai Schiavo nel Campo de Turchi durante l ’assedio di Vienna, e nella memorevole rotta de medesimi. Or mentre, che io andava meco stesso pensando con qual nome la dovessi onorare, mi si parò innanzi il vostro, Eccellentissim o Si­gnore, giudicando, che questo dono propiamemte, e particolar­mente vi si convenisse, siccom e vi si conviene; essendo V oi a tempi nostri così raro, e purgato Storico, che non so qual altro vi si possa meritamente agguagliare. Per là qual cosa io ve la indirizzo, e presento, supplicem ente pregandovi di gradirla a m isura del grande affetto, con cui vi vien porta.; e facendovi di­vota riverenza, vi disidero da D io altrettanta felicità , quanto comporta il vostro merito infinito.

Di Bologna a 3 di Dicembre 1709.

Di V. E.D ivotiss. & Obbligatiss. Servidore

L u ig i F erdinando Ma r sill i

La dedica prende le pp. 3-8 ed è in grandi e vistosi caratteri tondi. Segue la prefazione dello stesso M arsili, destinata evi­dentemente al lettore, in caratteri corsivi, che dà ragione del lavoro e ne nota l ’importanza. Eccola (pp. 9-12):

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13 4 LUIGI FERDINANDO M ARS ILI

BENIGNO LETTORE

Eccoti, umanissimo Lettore, questa brieve Storia, intorno alla quale io potrei di molte cose avvertirti, le quali come soverchie mi passerò in silenzio.

Vengo ora a d irti quello, chie io reputo necessaria cosa di sapersi. Prim ieram ente lo Storico Turco, secondo l’usanza di Sua Nazione, dice, che l’assedio d i Vienna succedette l’anno 1093 del- l ’H agira d i Maometto. Per dichiarazione della qual cosa, fa me­stieri di sapene, che Maometto, venuto nell’ età di 40 anni, co­minciò a pubblicare il suo falso Alcorano tra li Saracini, per eagion del quale nascendo fra loro m olte briglie, e a quistion venendo, convenne, ch’egli fuggisse dalla Meca, e che da quivi si portasse a Medina. Or d a ll’Anno d i questa fuga, la quale da gli Arabi H agira viene nella lor lingua chiam ata, i Turchi prin­cipiano ad annoverare gli anni loro. E perché questa fuga suc­cedette nel tempo, in cui secondo l’Era, o Epoca nostra volgare, erano g li anni della fruttifera Incarnazione del F igliuol d’iddio al numero pervenuti di 622 ; ed essendo g li anni de’ Turchi di dodici Lune ciascheduno, ne avviene, che l’anno 1093 dell’ Ha- girà di Maometto fu l’anno di Cristo 1683.

In secondo luogo, mi è paruto ben fatto, d i non mutare in questa Storia una benché menoma parola per renderla più to­scana, ne hò solam ente cambiate alcune, nelle quali tracorse l ’Autore, che non ha un d iritto conoscimento della vera legge di Dio ; lasciandone per altro cori-ere alcune, in cui appropia alcuni grandissim i tito li al di lu i Principe, e commenda d i soverchio la sua Nazione

In terzo luogo dicoti, che se più agio avessi avuto non avrei lasciato di fare alcune aggiunte a quest’Opera, intorno a quello che vidi essendo io rimasto Schiavo de Turchi nell’assedio di Vienna, ed eziandio alcun tempo dopo ; ma aiutantem i la Divina G-razia, se staimperassi la gloriosa V ita di Carlo Duca d i Lorena, dal d i lu i Serenissim o Figliuolo, io t’ impromietto d i dare alla luce un libro d i annotazioni sopra dessa, le quali per avventura non saranno note agli Storici; e nello stesso tempo narrerò tutto

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RELAZIONE DELL’ ASSEDIO DI VIENNA

quello che ora tralascio. In tanto ta le quale ella è io la ti pre­sento; assicurandoti, che per quello, che io estim i, non fie altro, che u tile l’averla letta : e vivi felice.

La stampa finisce a pag. 99. A pag. 100 trovasi l ’Im prim atur concesso da fr. Antonio Leoni inquisitore generale di Bologna, sul l'esame fattone da D. Serafino Rotari penitenziere della Me­tropolitana.

Dobbiamo alla cortesia del Veress se possiamo, come sopra diceva, dare l ’indicazione delle corrispondenze dei nomi proprii e luoghi ungheresi, che è la seguente:

1. - Nom i propri.

Budiani - Batthyàny, fam iglia d i nobili.G iovanni prencipe di Transiivania - Zàpolya, morto nel 1540,

marito della regina Isabella, figlia di Buona Sforza.Sdrin, conte - Zrinyi, il più importante della fam iglia era il

conte Nicolao Zrinyi, poeta morto nel 1664.Tekly - Capo o Re de’ Coruzi, Emerico Thòkòly, capo dei m al­

contenti ungheresi che lottavano contra il governo austriaco.

2. - N om i di luoghi.

A gria - Eger.Alba Reale - Székesfehérvàr, nella cui cattedrale si faceva la

coronazione dei Re d’Ungheria; nelle mani dei Turchi dal 1543 fino al 1688.

Barkan - Párkány, vicino al Danubio.Buda, su lla riva destra del Danubio.Casso via - Kassa, città dell’Ungheria Superiore.Giavarino - Gvòr, presso i l Danubio.Gomorra - Komárom, dirimpetto a Giavarino.Kan issa - Nagykanizsa, fortezza.Lévenz - Lèva, fortezza.Moatz - Mohács, rinom ata per la battaglia del 1526.Neheesel (Neihesel) - Ersekujvàr.N itria - Nyitra.

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Papa - Pàpa, c ittà , prima fortificata.Oesaek - Eszék.Pest, dirim petto a Buda.Possonio - Pozsony, sul Danubio.Rab - Ràba, affluente del Danubio.Strigonia - Esztergom, sede dell’Arcivescovado d’Ungheria, ri-

cuprata dai Turchi nell’ottobre 1683.Tata, vicino a Budapest.Vesprino - Veszprém, con vescovado.

Palanca (parola ungherese) significa una piazza o città for­tificata con dei pali di legna.

In calce alle pagine del testo abbiamo indicato, nei pochi casi che abbisognava, le differenze fra il m anoscritto e la stampa. Debbo avvertire che mi sono lim itato alle cose più sostanziali, tralasciando le differenze minime, sopratutto quelle ortografiche che non avrebbero portato alcun contributo o variazione alla contenenza storica del volumetto.

A lbano S orbelli

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Relazione dell’ Assedio di Vienna

fedelmente dall’idioma turco tradotta.

Dopo la presa della fortezza di Neihsel, successa nel 1064 dell’H agira del Fon oratiss imo de’ Profeti, e del più scelto Amico di D io; e dopo conchiusa la pace per vent’anni con i Todeschi, ed Ungari, per mezzo della Grande Ambasciata, spedita alla Fulgida Porta ; il Supremo Vesir, Ahmet Pascià, creato Genera­lissim o per l ’acquisto del'l’Isola di Candia nell’anno 1077, e tro­vandosi nell’anno 1079 nell’attuale assedio della medesima, l’Im- peradore dell’Universo, il Sultano Mahemet Cham, per dare soc­corso al suddetto V esir di danaio, d i gente, e di munizione, e per dar anim o a’ suoi vittoriosi combattenti, portatosi alfla volta di Ivanissa, ivi soggiornò.

Avendo frattanto Cesare fatto tagliar la testa a m olti Ma­gnati Ungari, come al Conte Sdrin, Budiani, Tekly, e ad altri principali, con sottom ettersi le d i loro m ilizie; ed avendo mala­mente trapiazzate1 le d i loro mogli, e figliuoli, questi per non aver avute forze da resistere, si mostraron bensì obbedienti, ’n quanto a ll’esteriore, a ’ Todeschi ; ma nell’interiore covavano2 infinita avversione, ed inim icizia. Cresciuti poi, che furono i no- b ili F ig liu o li de’ sopradetti uccisi Magnati, ragunarono i prin­cipali della loro Nazione, ed in una consulta, che tennero, in questa forma perorarono.

Insino a quando soffriremo Noi, o Magnati, e Nobili di que- st’inclito Regno, i strapazzi, e g l’indegni trattam enti dei Tode-

1 « strapazzate » nella stampa.2 La stampa aggiunge « verso 11 medesimi ».

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schi, che ci opprimono? Insino a quando, a guisa di maiavven­turati prigionieri, languiremo sotto la di loro tirannica potenza, privi di riputazione, e colmi di dissonore? Sia lodato Dio, che l ’Imperadore Ottomano è stato sempre protettore e benefattore degli Ungari; avendo per ciò il Prencipe di Transilvania, Gio­vanni, cercato ricovero alla Porta del Sultan Solimano, il Go­verno di quel Paese nelle mani de’ suoi gloriosi Descendenti si perpetua. La ragione dunque, e la politica vuole, che seguendo l ’esempio de’ nostri Antenati, ci ricoveriamo dietro a quel forte argine, per prendere giusta vendetta de’ nostri Nemici, e per salvare dalla loro perfidia le Fam iglie nostre, ed i nostri beni sotto l’ombra della protezione Ottomana. Su questo punto una­nimi accordiamoci, e spediamo alcuni huomini con memoriali alla fulgida Porta, per offrirle la nostra devozione, ed obbe­dienza; dichiarandoci amici degli am ici del 'Sultano, e nemici de’ suoi nemici. Notifichiamole la nostra sincera rassegnazione; implorando la sua Im periale assistenza ; mettiam o la scim itarra alla gola de’ perfidi Todesclii, nostri antichi nemici; ed espo­niamo, per il servizio del Sultano, le teste e l ’anime nostre ; con incorporare il paese, che si trova in nostra possessione, con i S tati Ottomanici.

A sì fa tta esortazione avendo tu tti aderito, mandaron lettere a Carà M ustafà Pascià, allora Kaimekano dell’ecelsa Porta ; e lo supplicarono, che dopo d’aver bene esam inati i loro Messi e co­nosciuta la verità della loro esposizione, si fosse compiacciuto di riferire alla fulgida Porta le loro preghiere.

Benché il Kaimekano appoggiasse la ’ntenzione degli Ungari del suo credito ; con tutto ciò il Supremo Yesir, Ahmet Pascià, non v’assentì, per la considerazione che non era eonfacevole allo ’nteresse della Monarchia il m ettersi a nuova guerra, e grande; essendosi poco prima conchiusa la pace ; e non essen­dosi ancor fatta la presa di Candia.

I M agnati Ungari, per si fatta ripulsa, non rallentarono le istanze ; ma ricorsero d i nuovo alla Porta dopo, che viddero tor­nar vittorioso in Adrianopoli per l ’acquisto di Candia il Su­premo V esir; il quale però, pieno di prudenza, non volle esau­dire i loro voti.

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La morte (lei Supremo Vesir, Ahmet Pascià, ed il Vesirato di Cara Mustafà Pascià.

Morto poi ’1 Vesir, Ahmet Pascià, la notte del mercordi, 7 del miese Sciaban, l’anno 1087 ; e successoli il Kaimekano, Carà M ustafà Pascià, il Tekly, capo de’ Coruzi, reiterò le sue istanze per il consaputo negozio; dando calore a’ trattati coll’esibizione di ricchi donativi; con ciò sia cosa che la naturalezza del Su­premo Vesir, im pastata di cupidigia, e d’avarizia, s’inducesse a far un R efera tur a l Sultano, il quarte sotto la condizione d ’un tributo d i 30000 ungari, da pagarsi ogn’ anno, e di mandare all’esercito Ottomano, dovunque guerreggiasse, un corpo di 30000 huomini di m ilizia Ungara, condescendendo alla supplica, fece al suddetto Tekly la grazia del Caftan, e della Mazza in segno del comando. In oltre, stabilitosi, ch’i paesi, ed i villagi, posseduti da lui, fossero incorporati coll’im perio Ottomano; e che non solo i loro sta ti, ma anche essi stessi non fossero in conto alcuno m olestati, e dannificati, fu indotto ancora il S u l­tano a dim andar la restituzione del'le piazze, e palanche, le quali avean loro tolte i Todeschi.

Per effettuare questo, creato iSeraskier il Vesir di Buda, Ibrahim Pascià, ed aggiuntili i Beglierbeghi di Rumelia, Sili- stria, e Bosnia con tu tti i Spahy, e Faim i della detta Rumelia, e comandato d all’eccelsa Porta il Iagangy Basci con 18 compa­gnie d i Giannizzeri marciarono alla volta di Cassovia, Residenza del Tekly, la quale con alcune altre palanche d i quei contorni, uscitine a patto i Todeschi, fu espugnata.

Fu poi ordinato al Seraskier, Ihrahim Pascià, di prendere il quartiere d ’inverno, coll’accennato esercito; a Buda; dove non soilo, ma ancora in a ltr i paesi dell’im perio Ottomano s i fe­cero m oltissim e provvisioni, e s’accumularono infinite vettova­glie, con ordine a tu tti i vittoriosi eserciti d’incam m inarsi sotto i Stendardi Reali.

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La meggione d’una lettera a Vienna, e la venuta di là dell’ Internunzio Todesco, per rinovare la pace.

Stantino in questo stato le cose, fu per uno de’ Chiaus del- l ’Eccelsa Porta mandata una lettera a Cesare, il quale allora coll’im perio Ottomano si ritrovava in pace, e concordia. Fu la lettera di questo tenore.

Ritraerete la mano dal Sig. Tekly, e dalla d i lu i gente; e non lo molesterete, nè dannificherete punto.

Se poi machinerete cosa contra di lu i, violerete i patti de’ nostri tra tta ti: essendo indubitato, ch ’i S ta ti del Principe, vio­latore della pace, sogliono m ettersi a ferro, ed a fuoco.

In seguito di ciò, Cesare, per appigliarsi alla pace; inviò il Conte Caprara con la presente lettera.

La Messiva, della vostra eccelsa parte venuta, conteneva ch'avendovi resa obbedienza il Popolo Coruzo, ed incorporati i Stati, che possiede, col vostro Imperio, noi ritiriam o le mani dalla suddetta Gente. Ma sappiate, ch’il medesimo è nostro sud­dito, ed il suo Stato, è stato nostro. Or è lecito nellla vostra legge, ch’una mano d’insolenti, ribellatisi da noi, vi mettano in possesso del nostro paese? Noi dalla menzionata Gente non ri- traeremo la mano, e colla parola medesima, a nessuno daremo il nostro paese; nè perciò contra verremo a’ patti della pace, e concordia stabilita : perché Noi manterremo, ed osserveremo in ­violabilm ente la medesima, accordata, secondo l ’uso de’ Re­gnanti, l ’anno 1075 col mezzo del vostro Supremo Vesir, Ahmet Pascià. 'Se poi spirata questa Pace, per il riposo de’ poveri Sud­diti, e per non perdere invano gli eserciti d’ambedue le Parti, consentirete a rinovarla, ci consentiremo ancora Noi. A ltri­menti, se sulla pretensione di quei Ribelli ci moverete la guerra, a’ stab iliti trattati di pace Voi contraverrete; ma abbiate per certo, che Dio Eccelso soccorra l ’oppresso, e castigh i l’oppres­sore.

In questo mentre mandarono l’Internunzio, ora alla presenza del Supremo Vesir, ora all’ Agà de’ Giannizzeri, Mustafà Agà, per iscoprire le ’ntenzioni sulle sue proposizioni; ma non avendo

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dato assenso ad altro, ch’a quanto nella lettera era stato scritto, m ossasi l ’arteria del Zelo Imperadorio, secondo la naturai esig- genza della riputazione Ottomanica, fu d’uopo a ll’obbligo del Sultano prender vendetta, e comandar la guerra contra g l’infe­deli Todeschi; perciò i Gran M inistri stando sopra istancabil- mente agli apparecchi di guerra, si tennero pronti alla marcia.

Il viaggio del Gran Signore alla volta d’Adrianopoli.

In conseguenza di ciò, l ’Imperador degl’imperadori, il S u l­tano Mehemed Chan, spiegato lo stendardo vittorioso del Pro­feta, li 5 del mese Gerral, dell’anno 1093 si portò di C ostanti­nopoli alla volta d’Adrianopoli ; e pose il primo campo a Cripigi Ciari. Il giorno seguente, ch’era venerdì, per le folte pioggie gonfiandosi l i ruscelli, cagionarono gravi danni; di sorte, ch’al­lagarono i padiglioni del Sultano, Yesir, Muftì, M inistri, e molti Signori, e portaron via m olte tende d i Giannizzeri con alquanta gente. Dopo cinque giorni, levatosi ’1 campo d i là, fu posto a Siliuria, ove gonfiandosi d i nuovo Tacque, mancò poco, che non rumassero l’esercito.

In somma fin ad Adrianopoli non mancarono un giorno le pioggie, e i diluvj. Il Popolo, vedendo questi segni, gl’interpretò per cattivi auguri. Frattanto, lasciato indietro a Costantino­poli l’Internunzio, la Porta soggiornò quell’inverno ad Adria­nopoli, ove s’attese indefessam ente a gli apprestamenti m ilitari.

Il viaggio del Sultano. Mehemed Chan. alla volta di Belgrado.

A ’ 22 del mese Rebiulevvel, 1’ anno 1094 montato i l Poten­tissim o Imperadore con magnificenza, e felicità a cavallo, insino a Belgrado marciò con l’esercito suo Imperiale, e giunse a’ 6 del mese Gemaziolevel, dell’ anno medesimo, a Belgrado. Ragu- nativ isi poi li Beglierbeghi del Cairo, di Damasco, d’Aleppo, di Mesopotamia, d i 'Sivas, d i Meras, d i Caramania, d i Castimonia, della N atòlia, d’Aidin, e di Sarogan con gli eserciti de’ loro Governi rese il Potentissim o Imperadore al Supremo Yesir il nobile stendardo del Profeta. Dopo Tessersi a’ 18 del detto mese passato il ponte di Belgrado, si fece ancora diece giorni alto

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dall’altra parte del ponte. Il Sultano avendo spedito il supremo Vesir alla volta d’Allemagna, si fermò personalmente a Bel­grado.

L’arrivo del Supremo Vesir coll’ esercito al Ponte d’ Oessek.

Essendo il Supremo V esir giunto coll’esercito Imperiale al Ponte d ’Oessek a’ 6 del mese d i Gemasiulholciré; e ferm atosi colà 15 giorni, nel mentre, ch’alle m ilizie distribuiva i so liti s t i­pendi, venne al Ponte il Re de’ Coruzi, Tekly, con 300 huomini, e m olti regali.

I l Supremo Vesir avendo mandata ad incontrarlo alquanta gente, dopo d’esser 1 venuto al Padiglione Imperiale, l ’onorò con una beretta, foderata di zibellini, e con scimitarra ingioiellata. E gli montato un cavallo adorno d’una briglia, e sella, tempe­stata di gioie, fu alloggiato in un superbo Padiglione, il quale per lu i era colà precisamente eretto.

Essendosi risoluto per il passato di marciare per il paese della Carniolia, e Croazia, e per i Beni del F ig lio del Drin, 2 il Re de’ Coruzi pregò, che non s i saccheggiassero i S tati di quello, con assicurar, ch’essendo uno de’ suoi parenti, sarebbe stato fedel Servidore del Potentissim o Sultano; e che non avrebbe mancato di portare soccorsi di vettovaglia, e di gente.

Venuto poi l’avviso, che l ’Esercito Todesco aveva assediato Nekeesel, il Supremo Vesir comandò, ch’il giorno seguente si passasse il Ponte d’Oessek; ed avendo fatto condurre il Re de’ Coruzi al Belvedere, ch’Ismael Bassà avea fatto fabricare nel mezzo del ponte, li mostrò tutte le schiere dell’Esercito Otto­mano; ed il giorno appresso, in cui s i passò la palancha dal- l ’a'ltra parte del Ponte, detta Dirava, onorò il Re Tekly d’una pelliccia, tutta foderata di zibellini, e lo mandò verso Neheesel, con assicurarlo, che quante palanche, e villagj ne’ contorni di Neheesel medesimo avesse preso, sarebbero stati tu tti ’ncorporati al suo Paese.

Dopo d’aver mandato l ’Internunzio Todesco a Buda, il Su­

1 Nella stampa si aggiunge « il Tekly».2 « Idrin » nella stampa.

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premo Vesir coll’ esercito Ottomano s’ incamminò alla volta d’Alba Reale.

N el mentre, che si marciava per la Pianura di Moatz, venne avviso, che il Chior Osein B assà avea una parte dell’esercito degli infedeli, ch’avevano assediato Neheesel, abbattuta; e che l ’altra parte, ritiratasi, aveva messo il suo campo nell’altro lato del fiume, che passa avanti alla fortezza di Giavarino.

L’arrivo del Supremo Yesir ad Alba Reale, e la venuta di Murati (iliirai Chain.

Il Gran Cham de’ Tartari, dopo d’essere giunto il Supremo Vesir a’ 30 del prefato mese ad Alba Reale, arrivò, ed entrò nel campo Ottomano. Il giorno dopo, ch’era il Venerdì, ed il primo del mese d’Egeb, fu il medesimo Gran Oharn invitato; ed aven­dolo incontrato alcuni Beglierbeghi, ed a ltri Signori; cammi­nando questi avanti di lui, fu condotto al Padiglione del Su­premo V esir; e dopo esservi restato a tavola, li fu data la su­perba Reai veste, m andatali dal Potentissim o Imperadore, colla scim itarra ingioiellata, e con una preziosa faretra; e montato un cavallo, adorno di sella , e briglia, di gemme fornite, ritornò al suo campo.

I l giorno dopo, levando il Gran Vesir il campo d’Alba Reale, si mosse verso Giavarino, ed arrivò a 6 del mese d’Egeb al fiume Rab: luogo lontano tre ore da Giavarino.

In quel giorno arrivò il comandante di Buda Vesir Ibrahim Bassà, ed entrò nel campo Ottomano.

L’altro giorno con tutto l’esercito Im periale generalmente m arciossi sotto la fortezza di Giavarino.

N el giorno della marcia, avanti 'la detta fortezza, non fu spa­rato alcun cannone; ma solamente dal campo Todesco, il quale trovavasi a ll’altra parte del fiume, furon tirati alcuni colpi al campo dell’Agà de’ Giannizzeri; onde da 40 in 50 huomini del­l ’esercito Ottomano restaron uccisi. A ll’incontro, tagliate 30 teste a’ Todeschi, e presi 10 schiavi, così da’ Tartari, come dagli altri soldati Ottomani, furono condotti al Supremo Vesir.

In quella Notte, l ’Agà suddetto postò i cannoni contra il

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Campo Cesareo; e comandò a’ Giannizzeri, che si fossero trin- cierati.

La fuga del campo Todesco alla volta di Vienna.

La m attina i Todeschi, ch’erano accampati a ll’altra parte del fiume, fuggirono verso Vienna. Essendosi l ’esercito Ottomano accorto della fuga de’ medesimi, D ieci m ila Tartari passarono il fiume; e perseguitando il nemico, alquanti n’uccisero, altri ne fecero prigioni, e ’1 resto ritirossi direttam ente a Vienna.

I Prigionieri, condotti al campo Ottomano, furono ivi ven­duti. Il Gran Vesir, ferm atosi cinque giorni dirimpetto alla for­tezza d i Giavarino, dopo d’aver fa tt i fabricare quattro ponti sul fiume Rab, che passa davanti a detta fortezza, e sovra il fiume Segè, fece d all’esercito Ottomano, agli 8 del prefato mese, attac­car fuoco al borgo di Giavarino. Essendo poi stato ordinato il Chior Osein Bassà, e Casiogli Oussin Bassà con un picciolo d i­staccam ento d’esercito, fu comandato, che s’impadronissero delle fortezze d i Papa, Tata, « Vesprino.

Queste tre fortezze, dopo essersi rese, i loro comandanti, con 200 prigionieri Ottomani, che vi si trovarono dentro, furono con­dotti al Supremo Vesir ; il quale avendo poi comandata alquanta m ilizia a starvi di guarnigione, sotto due Beghi, ordinò, che Chior Osein Bassà s’unisse col nuovo Re, ch’aveva avuto in co- mandamento l’osservare le parti d i Neheesel; e che si eommu- nicassero i consigli, toccanti nuove conquiste ; e che dirigesse le m ilizie Ottomane che si trovavan con esso, in qualità di Supremo Comandante.

Consulta de' principali dell’esercito, circa l’impresa da farsi.

II Gran Vesir, passato a ll’altra parte agli 11 del suddetto mese, vi tenne consiglio d i guerra, per dibattere il luogo, con­tra cui dovean muoversi.

Il Comandante di Buda, Ibrahim Bassà, ed il Cham de’ Tar­tari, ed Ahm et Bassà, il quale per il passato era stato Presi­dente di Camera, o Tefteldor, ed alquanti a ltri sperimentati, trovarono a proposito, che ’1 Supremo Vesir colle Milizie Gian­nizzero, e con altre truppe necessarie ad un assedio, attaccasse la fortezza di Giavarino con la speranza, che questa cadendo,

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sarébbe ancor caduta Gomorra ; e che ’1 resto dell’esercito Otto­mano, e Tartaro fosse comandato ad abbruciare, saccheggiare, e desolare i Paesi Alem ani: Supponendo, ch’in questa forma ar­ricchendosi l ’esercito, anche il campo sotto Giavarino sarebbe stato empito di viveri, e notabilmente debilitato il nemico.

Venuto poi l’inverno, fatte svernar sulle frontiere le M ilizie, e rinfrescati così g li li turni ini, come i cavalli, nell’aprirsi a pri­mavera la campagna, movendosi con fresca gente l ’esercito, me­diante la grazia di Dio, si sarebbero sperate vittorie, e con­quiste.

Ma il Vesir, imprudentissimo, mosso dàlia sua estrema su­perbia, ed ambizione, rispose: Io mi sono già consigliato col nuovo Re : il suo parere, ed avviso è questo : Ohe Cesare, colla sua fam iglia, e Corte, fuggito da 5 in 6 giornate più dentro, nella città di Linz, e ch’avendo solamente lasciato nella fortezza di Vienna un de’ suoi principali Generali, e postavi bastante guar­nigione, se venisse attaccata, piacendo a Dio, si potrebbe con gran .facilità espugnar Vienna, la quale senza [dubbio] 1 tire­rebbe seco in conseguenza la caduta di Giavarino, e di Gomorra.

I Consiglieri, avendo intesa la resoluzione del Vesir, rispo­sero per necessità: Signore, a lei tocca il comandare.

Scioltosi ’n questa maniera il consiglio, il Supremo Vesir, onorò il Comandante di Buda, Ibrahim Bassà, d’una pelliccia; ed assegnandoli un distaccamento di truppe, gli ordinò, ch’asse­diasse la fortezza di Giavarino, ed accodisse alla custodia de’ ponti.

Il saccheggio dell’Austria, fatto dal Cham de’ Tartari, e dall’ Esercito Ottomano.

II Vesir, dopo d’aver creato Carà Mahamet Bassà coman­dante della Vanguardia, diede licenza al detto Cham de’ Tartari, ed ad altri volontari, e scorridori dell’esercito, di guastare, e saccheggiare il Paese del Nemico. Durante la marcia, presero m olte palanche e villagi, e ne riportarono con lor lode un gran bottino: strascinando si g li Ottomani, come i Tartari gran ricchezze.

1 Questa parola figura solo nella stampa.

io

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L’ impresa dello Vesir, dell’ assedio ed abbruciamento de’ Borghi di Vienna.

Mossosi il Supremo Vesir con l ’esercito Ottomano diretta- mente contra Vienna, vi giunse a’ 21 del mese Regeb, ed abbru­ciò i suoi Borghi. A 22 poi del mese medesimo tutte le m ilizie Ottomane, così a piede, come a cavallo, col Supremo Vesir s’ac­camparono ne’ contorni, dirimpetto alla fortezza, con tu tti i loro padiglioni, e tende. Il giorno appresso, essendo stato comandato l ’aprir le trincee, i Giannizzeri le cominciarono ancor in quella notte da tre parti. Essendo poi arrivato il cannone di batteria, fu allora battuta la fortezza col cannone di campagna; e per­chè essa è bagnata in una parte dal Danubio, il Nemico con­chiuse di difendere il ponte con un esercito di 30000 fanti, e ca­valli, e di portarle in questa forma soccorso.

Essendo fuggito dalla fortezza un prigioniero Ottomano, diede al Prim o Vesir m olte notizie, toccanti lo stato della piazza; con riferire, che nelle tre Isole, che sono nel Danubio, bagnata ciascuna da un ramo di detto fiume, erano altrettanti ponti; e che il ramo, che passa sotto i bastioni della fortezza era tanto picciolo, che potea passarsi appiede ; e che non sarebbe stato molto difficile l ’impadronirsi dell’iso la , dirim petto alla fortezza; circondandola così da tutte le parti, che nessuno di fuori potesse entrar dentro, e nessuno d i dentro uscir di quella.

In conformità di ciò furono com andati alcuni Beglierbeghi a’ 4 del mese Saban a passar appiede il suddetto ramo ; con che s’impadronirono dell’ Isola, vicina alla Fortezza. Una parte del ponte, il quale si trova fra le due Isole, fu da Todeschi conser­vata ; e l’altra parte dagli Ottomani, trincierandovisi gli ultim i. Avendo presa l’iso la con alcuni cannoni, e poca truppa d i Gian­nizzeri, Isir, B assà di Bosnia, passò co ll’ esercito del suo Go­verno a ll’Isole; e chiusa così da tutte le parti la Fortezza, si diede principio ad angustiarla col cannone grosso, e con i mor- tari. Ma questa Piazza è così perfettam ente fortificata, che il volerla descrivere è cosa diffìcilissima.

La profondità delle sue fosse è così grande, eh’ i più esperti ’ngegnieri ne restano stupiti.

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Le operazioni del Tekly e di Chior Osein Bassa.

Il nuovo Re, ed Chior Osein Bassa, già tempo fà destinati ad operare ne’ contorni di Neheesel, vi presero le due fortezze: Le- venz, e N itria.

Portatisi poi di là a’ 13 del mese Saban a Possonia, già anti­camente città di Residenza degli Ungari, l ’assediarono, e vi suc­cessero molte zuffe, e scaramuccie. Nel mentre, che la stavano prendendo, venne Carlo, Duca di Lorena, Generalissimo del- l’Esercito Todesco con una numerosa armata al soccorso di detta città; perciò abbandonato l ’assedio, attaccossi co’ Nemici una fiera battaglia, nella quale un Gentiluomo Ungaro, Segre­tario del Re de’ Coruzi, fu fatto prigione ; ma poco dopo passò, per le sue ferite, a ll’altro mondo; e molta m ilizia, sì Ungara, come Todesca, aderente al nuovo Re, dal medesimo scampata, sottoposesi a ll’esercito Alemano.

Non essendosi perciò restato in forze da resistere, levato l ’as­sedio, si ritirarono. Questo avviso, portato al Gran Vesir, co­mandò, che marciassero contra l’esercito Todesco, il quale si trovava di là da Vienna. Perciò, levato il campo, contra ’1 me­desimo marciarono.

Venuto il Re de’ Coruzi a luogo, discosto dal campo Todesco 4 ore, vi s’accampò, e tenne con Osein Bassà consiglio di guerra. Il Re disse: L’ Esercito Alemano è grande: riconosciamolo avanti bene: potrebbe essere, ch’avessimo anche bisogno di più m ilizia e cannoni; perciò facciamo prima le necessarie disposi­zioni ; e poi portiamoci a combattere. Questo suo consiglio, ben­ché sostenesse ■costantemente, con tutto ciò Osein Bassà, non approvandolo punto , lasciato addietro, appresso i Coruzi il suo bagaglio, si messe in fretta alla marcia con soli 600 in 700 huomini.

La rotta di Chior Osein Bassà, ed il suo annegamento.

Arrivato al luogo, dov’era il campo Nemico, lo trovò vuoto; perchè essendo caduta alcuni giorni prima malta pioggia, e di­venute tutte le ripe del Danubio piene di paludi, i Todeschi

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posero il loro campo alla falda d’un monte, due ore lontano dal Danubio medesimo. Dopo, il giorno, ch’Osein Bassa venne al loro ponte, i Todeschi, per paura che gli Ottomani potessero impadronirsene, levato il campo, marciarono contea il Bassà, il quale, insuperbitosi de’ vantaggi riportati, avanti, ne’ contorni di Neiheesel, con essersi reso padrone d i Levenz, e N itria, e con aver d issipati i nemici, con sì numeroso esercito contrario at­taccò una fiera zuffa; ma, finalmente lui stesso ferito; scam­pando verso il ponte, già dal Nemico prima tagliato; e vedendosi disperata la salvezza, buttossi nel Danubio, e con lui l’esercito, ch’avea seco. A llora g l’ infedeli martirizzarono tu tti i fedeli col moschetto. Successe questo caso a’ 3 del mese Ramazan ; e fu la prima rotta degli Ottomani.

Continuazione dello stato d’assedio.

Dopo d’aver l’Esercito Ottomano circondate tutte le parti di Vienna, indefessam ente accodi a tormentarla col cannone grosso, colle bombe, e colle mine. Frattanto il Comandante della For­tezza, Staremberg, avendo riparati i luoghi deboli, e fatte riem­pir d i terra le più alte case, fece condurvi cannoni per danneg­giare il campo Ottomano, ed imboccare il di lui cannone. Ve­dendo poi g li Ottomani, che coll’artiglieria facean poco profitto, approntarono due mine, alle quali dato fuoco, mentre fecero al­quanta breccia, l ’esercito fece un assalto, ed impadronitosi del fosso, lo mantenne. Ma avendo già prima il Comandante della Fortezza fa tti apparecchiare sotto il fosso diversi fornelli, col consiglio d’un esperto ingegniere, subito, che gli Ottomani si impadronirono di quel luogo, dato il fuoco a’ fornelli suddetti, molti ne volarono in aria; ed essendosi m olti Ottomani assai avanzati nel fosso, facendo gran guerra, sortirono i Todeschi, e dopo lungo combattimento ributtando i Fedeli, si rimpadroni­rono de’ luoghi, prima perduti. Avendo g li eroi Ottomani la notte delli 18 del mese Saban fatto un fiero assalto alla contro- scarpa, posta fra la Porta di Corte, e del S eh io tten ,1 s’attacca­

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1 Schottenthor (Porta degli Scozzesi), ora nel centro di Vienna.

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rono così forte a’ luoghi, a ’ quali si poteano avvicinare, che guer­reggiando gagliardamente dalla m attina insino alla sera, e ca­la ti nel fosso, s’ impadronirono del Rivellino. Avendo poi g li Nem ici dato fuoco ad una mina, fecero andar in aria infino a m ille Ottom ani: Dando poi fuoco nuovamente ad un’altra mina, fecero una gran sortita, e rioccuparono i luoghi, dagli Ottomani prima occupati.

In queste due pugne 5000 Fedeli furono parte uccisi, e parte feriti. A ll’incontro, 700 incirca di quei di dentro, famosi, ed a questi com battim enti destinati Uitìziali, e m olti ’ngegnieri re­starono morti. Anzi lo stesso Generale, e Comandante Supremo, fu in faccia d’una freccia ferito. Avendo poi gli Ottomani rino- vato l ’assalto, e con Nemici una fiera zuffa attaccata, riusciti fi­nalmente vincitori, s’ impadronirono del Rivellino. Per essere questo Rivellino fra due Baluardi, si fecero a’ medesimi due mine, ed un’altra grande alla cortina, difesa dal Rivellino.

Vedendosi finalmente i Nem ici mancar d i forze, per resistere a così gran potenza, e coraggio; ed abbattuti dalla loro debo­lezza, e confusione mandarono una supplica a Cesare, con rimo­strarli, che se non venivano soccorsi, Vienna senza dubbio sa­rebbe caduta.

Consiglio appropriato alla condotta de’ Supremi Comandanti dell’ Esercito.

S’un Supremo Vesir, o altro Seraskier avrà per suo puro fine la sola dilatazione della Fede, e la propagazione degl’ is ti­tu ti del Prencipe de’ Profeti ; non avendo per unico scopo il sog­giogar paesi, ed il conquistare sta ti; e non insuperbendosi del dominio, e della potenza; ma confidandosi ’n tutte I’operazioni nel Signor Iddio; da lui sperando le conquiste, e la gloria: Se nel condurre g li eserciti contra g l’ infedeli, tutto pieno di pietà, osserverà i divini precetti; e s’asterrà di commettere ogni tra­sgressione; non facendo profession d’ostentare la sua grandezza al volgo; non facendo ingiustizia, o torto a chi si sia: Se sco­prendo la Fede, e la rassegnazione del suo Esercito, ch’esponendo le sue teste, e le sue vite, è pronto a sagrificare il suo sangue per lui, ancor lu i li corrisponderà con altrettanto affetto; di­

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spensandoli tu tti g li effetti della sua benevolenza con molte grazie, onori, e doni; raccogliendo tanto più da esso, convinto dalla sua bontà, il fedele ossequio: Se apertamente avrà in ve­nerazione quella sentenza Coranica, che comanda: consigliati con loro in tu t t i g li a ffari; implorando l’assistenza d’idd io con i voti di tu tti i Buoni, allora li succederà tutto bene, e lu i sarà quello, ch’avrà felicità in tutte le sue imprese.

Dunque la cagione della precipitosa ruina di quella impor­tante impresa è stata la mancanza del consiglio, e della dire­zione; niente di timore verso Dio, e di religione; una superba confidenza nelle proprie forze; un stolido brio dell’immaginata preda di molte ricchezze; un dispreggio de’ Nemici della Fede, come di tante mosche im potenti; un orgoglioso concetto di se stessi, come se fossero stati altrettanti ’nvincibili leoni.

Era inoltre d’uopo al Gran Vesir d’accodire indefessamente in persona ad ogni cosa; o vero di determinare almeno un fe­dele, e prudente sostituto, il quale con istancabile applicazione avesse procurato di non lasciar mancar a ll’esercito la provvi­sione, e vettovaglia. Doveva ancora proibire, che non fosse dato il guasto al paese, ed alle ville, vicine alla Fortezza destinata a ll’assedio; ed ordinare rigorosamente a’ foraggieri, e scorri­dori di non oltraggiare i sudditi; e conciliarsi gli anim i de’ più riguardevoli ; perchè anch’esisi, benché con ripugnanza, avreb­bero prestato sagrifizio. Così cadendo la Fortezza, avrebbe avuti li suoi necessari sudditi, ed avrebbe fatto di meno, che la Mili­zia destinata a ll’operazioni m ilitari, arricchita di bottino, non si sbandasse. Se poi non fosse caduta la Fortezza, allora si po- tea ruinar il paese. Non dovea, durante l ’assedio, stare spensie­rato, e riputarsi sicuro, senza trincierare bene il suo campo ; ma dovea spiar continuam ente gli andamenti del Nemico; serven­dosi d’esploratori di buona fede, per iscoprire tu tti i loro d i­segni; e per poter rimediare ad ogni gran disgrazia, prima, che fosse succeduta; perchè succeduta, ch’è, diffìcilissimo è il rime­dio. In caso, che g li assediati, vedendosi ristretti, dimandas­sero un termine per rendere la fortezza, non deve per questo prendere confidenza : ma con gran circospezione osservare, che ciò non sia, o per introdurre provvisione, o per attendere soc­

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corso; o per riparare la piazza. Ma il Supremo Vesir, Coman­dante di questa guerra, di poca direzione, e di molto avidità, dovendo praticare tu tti i suddetti canoni, s’accinse a far d ia­metralmente tutto il contrario.

Il principio dell'avarizia, e del mal governo del Supremo Vesir.

Al Ponte d’Oessek, d i due paghe, ch’era debitore all’Esercito, ne contò una sola; e ciò fece con fine di rapacità, ed avidità; perche prevedendo, Che dovessero morir m olti nelle trincee, re­stassero a lu i le paghe, a loro dovute.

In secondo luogo, avendo data licenza a ll’esercito Turco, a ’ Tartari, ed altri volontarj di saccheggiar il paese de’ C ristiani; ed avendo fa tt i questi assai schiavi, e molta preda ; perche, ri­tornati al campo, resero la maggior parte de’ schiavi a quei dell’esercito, che non erano andati a scorrere, pretese di fare il Pongik, >cioè. d’esiggere il dazio della vendita, de’ schiavi, che importò 80 m ila r e a li ,1 i quali ’ncassò per il suo tesoro. Dopo al­quanti giorni, con pretesto di non voler confusione, e pericolo nel campo, fece un decreto, che tu tti i schiavi maschi fossero condotti avanti del suo padiglione, dove li fece tu tti decapitare ; e portati i loro cadaveri su i carri, li fece buttar nel Danubio.

La carestia dell’ Esercito.

Essendo intanto sopravvenuta una gran carestia a ll’Esercito, a segno ta le che la porzione di biada, so lita a darsi in una volta al cavallo, costava un tallero: l’oka di butiro un tallero: l ’oka del caffè un ungaro: il k ile di riso tre ta lleri: il kile d i fru­mento pilato due talleri, e mezzo: l’oka di farina un quarto di tallero: il pane comune di 20 dramme tre aspri, e tu tte l’altre cose a proporzione, fece patir estremamente la m ilizia; e non essendosi più trovata provvisione, nè un grano d’orgio nelle ten­de, languirono i cavalli. In oltre, avendo essa consumato tutto, infino all’ultim o quattrino, morì la maggior parte degli anim ali del campo. Fu peggio, ch’essendosi ’nfettata Paria per g li odori

1 Nella stampa leggeri « 8000 Beali ».

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puzzolenti, e per la putredine di tanti cadaveri, colla sopravve- gnenza dell’um idità con fanghi per le gran pioggie, molte mi­gliaia di persone, già dalla fame estenuate, morirono.

Mancamento di retto consiglio nel Supremo Vesir.

Benche i contorni di Vienna, secondo il detto Coranico: Il Mondo è il paradiso degl' in fedeli : siano un paese, abbondante di foraggio; ricco d’acque; pieno di vigne; adorno di giardini; e colmo di popolazioni; con tutto ciò l ’imprudenza del Supremo Vesir fu sì grande, che facendo dar il guasto universalm ente a tu tti i villaggi, vicini alla suddetta Fortezza con ruinare, ed in ­cendiare tu tti i prati, privò gli anim ali di foraggio, e g li huo- rnini d’alimento. Avendo perciò la necessità richiesto d’allonta­nare per sei ’n dieci ore dal campo i cammelli, ed i bufoli, che tiravano il cannone; i muli, ed altri anim ali, per trovare sossi- stenza ; e di mandar parim ente li cammelli, necessarj al campo, otto in dieci ore lontani per il foraggio, l ’Esercito Ottomano fu costretto a soffrir molti patim enti, e disastri.

Norme da osservare, se venisse, durante la campagna, un inviato nemico.

In caso, eh’ in tal occasione venisse da parte del Nemico un Inviato, si dovrebbe, secondo l’antico istitu to , osservare con lui ’1 metodo di m ostrarli così artifiziosamente l ’esercito, che sem­brandoli numeroso, e formidabile, li causi ’ndubitatamente ter­rore, e spavento; acciocché tornando al suo principale, con il suo racconto lo sbigottisca, e spaventi. Ma questo imprudente Vesir, conducendo l ’Internunzio, venuto, tempo fu, a Costanti­nopoli, insiem e a Buda, dopo d’averli dato campo d’osservare la debolezza dell’esercito, e la carestia de’ viveri, lo rimandò al suo principale; mortificandolo con quest’orgoglioso rimprovero: Tu, essendo ancora in Costantinopoli, avevi detto, che ’1 tuo Re non ci avrebbe permesso d’abbeverare i nostri cavalli nel fiume Rab ; e pur Noi, dopo d ’aver passato detto fiume, e lasciato addietro Giavarino, e Gomorra, troviamoci adesso nell’assedio di Vienna,

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sua ordinaria Residenza ; e la spugneremo tra pochi momenti ; ora perche non ci l ’ha impedito?

V a’ dunque al tno Re, e dalli rapporto di quanChai vista.Perciò, partito dal campo l’ Internunzio, andò al suo princi­

pale, ed esponendoli l ’orgoglio del V esir; la debolezza dell’eser­c ito ; e la penuria de’ viveri, in conformità di ciò, Cesare di­mandando soccorso di gente a tu tti li Prencipi dell’im perio, ragunò un esercito di 150000 soldati, bravi, ben armati, e co­perti di corazze; oltre al soccorso, che li portò il Re di Polonia di 80000 combattenti.

In questa parte, benché i bravi soldati Ottomani non man­cassero punto di fare il loro obbligo; stando pronti giorno, e notte su’ tutte le parti dell’assediata Fortezza, con segnalarsi ’n diversi combattimenti, con tutto ciò non diede i so liti sti­pendi, ed accrescimenti di salario a quelli, che si distinguevano con eroiche azioni ; tagliando le teste a’ Nemici, e portandole al campo; anzi negava pur a’ Giannizzeri ed altri guerrieri la vet­tovaglia, e le provvisioni, solite a darsi, secondo l’uso antico Ottomano ; senza contarli nè anche le paghe scorse. Per ciò tutto l ’Esercito, resosi m alaffetto verso di lui, e non essendoli poi riu­scita l’espugnazione della piazza, le Milizie tanto più sconvolte si trovarono.

Intanto, benche da tutte le parti venissero nuove di poco gusto; con tutto ciò il Vesir era così gonfio di superbia, e pieno di trascuraggine, che non prestando fede in conto alcuno alle lingue, prese da tu tti i luoghi, nè anche degnavasi di prender le informazioni. E benché ricevesse l ’unanime racconto di tutte le lingue, fatto dal Cham de’ Tartari, che ’il Nemico fossie nume­rosissim o; e ch’infallibilm ente in termine di tre giorni sarebbe giunto il Re di Polonia, e le M ilizie Ungare, e Croatte, unite con tutto l ’esercito Alem ano; e che arrivate, che fossero, sareb­bero senz’altro entrate nella Piazza, e avrebbero rovesciato il campo Ottomano; con tutto ciò non vi fece la minima rifles­sione; ma ebbe per costume di far tagliare la testa alle lingue portate, affinché 1’ esercito non arrivasse a sapere quant’ aveano riferito.

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La presa d'alcune spie.

Il Cham de’ Tartari avendo prese tre spie, mandate da Ce­sare con lettere, le quali erano travestite a ll’usanza de’ Dervisj,o R eligiosi Ottomani, con aversi fatta radere la testa, le mandò al V esir; e tradotte le lettere, furono trovate del seguente te­nore: Tu, che sei Comandante della Fortezza, non mancherai punto nell’aecodire a difenderla vigorosamente: perché in quat­tro, o cinque giorni verrà al tuo soccorso il Re di Polonia con 20000 soldati, e speriamo, che ti libererà dalle mani del Ne­mico. Non dubitar d i niente.

Avendo il Supremo Vesir veduta questa lettera, ordinò, che ’1 Comandante di Buda, Ibrahim Bassà, il quale trovavasi alla bloccata di Giavarino coll’Esercito del suo comando, si levasse di là, e si portasse al campo; in conformità di quest’ordine con gran diligenza marciando, si congiunse a ll’Esercito Ottomano sotto Vienna a’ 18 del mese di Ramasan.

Essendo poi sortito il Supremo Vesir a mezza notte da gli approcci, dove s i lavorava e rendendosi al campo, mandò il Be- glierbeghi di Mesopotamia, Carà Muhamed Pascià, con un corpo a riconoscere il Nemico, il quale venuto a vista del medesimo considerò, che per la gran m oltitudine dell’armata o s t ic a ,1 non era il contrastarle possibile, nè disputarle il passaggio; tornato dunque indietro, del tutto diede parte al Vesir.

Consiglio di guerra, se si debbia o no, andar contro il Nemico.

Allora il Vesir fece ragunar Ibrahim Bassà, l ’Agà de’ Gian­nizzeri, M ustafà Pascià, il Carà Muhamed Pascià, ed altri Capi sperim entati, per dibbattere con essi, come si potesse far testa al Nemico vicino. Ibrahim Pascià cominciò a parlare, e disse al V esir: 'Signore, il consiglio, che vi detta la vostra prudenza è senza dubbio degno d’ esser preferito al mio parere. Dico però, eli’ il più fattib ile è, che caviamo i Giannizzeri dagli approcci, e

1 Nella stampa leggesi « Alemana ».

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che tiriam o un buon trincieramento fuori del campo, verso la parte, dove i Nem ici s’avvicinano; mettendovi sopra tutto il cannone, si grande, come picciolo, con ordinare in luoghi co­modi anche i mortari da bombe ; riempiendo detto trincieramento di tu tti i Giannizzeri, ed altri, provvisti d i schioppi; e schie­rando dietro questi, con bell’ordine, la cavalleria, pronta a sor­tire al primo cenno. Quando poi avvicinerassi ’1 Nemico infino al tiro del moschetto, s i dia fuoco in un tempo a tutti i cannoni e si facci una salva di tu tti gli archibusi: Dopo scatenisi tutta la cavalleria, la quale, con una intiera rassegnazione nel signor Iddio, esca di campo, e si mischi colla scim itarra in mano con gl’infedeli. Spero, ch’in questa forma, coll’aiuto di Dio potente, l ’Esercito Ottomano otterrà una sicura vittoria, con un total sconvolgimento, e rotta universale del Nemico infedele.

A questo prudente consiglio aderì l ’Agà de’ Giannizzeri, e gli a ltri C onsiglieri; ma il Supremo Yesir replicò scioccamente in questa forma : Noi, già è gran tempo, stiamo assediando que­sta Piazza : adesso, che con gran fondamento possiamo in brieve sperarne l’acquisto, sarebbe un’azione im prudentissim a, voler tirar i Giannizzeri fuora dagli approcci. Mi farete ben voi ple- giaria, che battuto il Nemico, di nuovo rientreranno? I Consi­glieri replicarono: Potentissim o Signore, dopo, ch’avremo riso­spinto e battuto questo grave Nemico, se la M ilizia sarà ben trattata, ed accarezzata con doni, e liberalità; con farle con­tare le scorse paghe, ci è da sperare, che non vorrà perdere tanti patim enti, e travagli, nell’assedio di questa Fortezza sofferti, con sbandarsi vilmente, senza l’ordine de’ capi. In oltre, dopo, che g li A ssediati vedranno disperato ogni soccorso potrà essere, che coll’aiuto di Dio, loro stessi si renderanno la Piazza.

L’im prudentissim o Vesir replicò di nuovo: Se Voi non m’as­sicurerete della rientrata de’ Giannizzeri negli approcci, non voglio tirargli fuora. A llora tu tti li Consiglieri risposero: Noi siam o servi del vostro comando : qualunque cosa vi piaccia d’accennarci, non mancheremo d ’eseguirla puntualmente. Così detto, ch’ebbero, fu sciolto il Consiglio.

In q u e la notte fu dato ordine a ll’Eisercito di tenersi pronto, e di mettere in ordine per il giorno seguente le armi. Nel men­

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tre, che si stava occupato di postar 150 cannoni di campagna, venne l'avviso, che ’1 Nemico era in piena marcia in tre colonne verso il nostro campo.

La disposizione delle schiere per la battaglia.

Il Supremo Vesir distribuì l’Esercito in tre parti. In una parte v’ era il V esir Carà Muhamed Pascià, ed il Begtlierbeghi d’Aleppo, Bekic Pascià, con alcuni a ltri Beglierbeghi. N ell’al­tra parte si trovava il Comandante di Buda, Ibrahim Pascià con tutte le truppe confiniarie, e con sette, od otto Beglierbeghi. In quella del mezzo stava il Supremo Vesir con li Spahy, Se- licdari, e l ’Agà de’ Giannizzeri con cinque pezzi di cannone grosso; ed il resto dell’Esercito era parimente, secondo la so­pradetta forma disposto; ma a che giovamento? Essendo restato il maggior nervo delle truppe negli approcci; a ltri nella bloc­cata di G iavarino; alcuni appresso il Re de’ Coruzi ne’ con­torni di Neheesel; chi nella scorta delle vettovaglie; chi nel foraggiare; chi appresso g li anim ali, a llontanati dal campo, per m iglior sussistenza ; e chi nelle tende ferito ; o vero ammalato.

L’arrivo del nemico contra il campo Ottomano.

A lli li) del mese Ramazan, essendo il Nemico salito su i monti, coperti di fo lti boschi, dirim petto al campo Ottomano, vi si fermò in quella notte. Il giorno dopo, ch’era Domenica, ed il sessantesim o terzo dell’assedio, tutto l ’Esercito Nemico, ve­stito di corazze, e moschetto sulla spalla; tu tti soldati freschi, con cavalli robusti, dopo d’aver fatto avanzare la cavalleria, e fanteria, gli Ottomani andarono ben contra loro; ma vedendo i perfidi Nemici, che l’Esercito, che stava contra di loro, era poca cosa, attaccaron la battaglia, e combatterono per due ore senza interm essione con gran ferocia. Nel mentre, che verso la sera i Nemici aveano attorniato il campo della battaglia, gli huo- m ini della Corte, l ’Agà de’ Giannizzeri, e l ’Agà de’ Spahy, li quali si trovarono appresso il Supremo Vesir, prendendo il nobil stendardo del Profeta dalla piazza di battaglia, lo salva­rono, trasportandolo nel campo Ottomano. Il Supremo Vesir,

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appena entrato nel suo superbo padiglione, i Polacchi, persegui­tandolo bravamente, penetrarono nel campo, e circondarono li di lu i padiglioni, e s ’impadronirono di tutto il Regio tesoro.

A llora il Supremo Vesir, impugnando lo stendardo del Pro­feta, lo salvò, e abbandonò intieram ente tutto il campo Otto­mano. Le truppe degli approcci, essendosi avvedute due ore dopo di questo sin istro fatto , il Chiaià Beg, o quello, che l i coman­dava, tirandole fuora con g li altri guerrieri, che vi s i trovavano, e lasciando in abbandono cinque mine pronte, nelle tre delle quali già era posta la polvere; incam m inandosi verso la cam­pagna di Solimano, ivi s i congiunse con g li altri fuggitivi del- l ’Esercito. A llora universalmente tu tta l’Armata Ottomana, d i­spersa, battuta, e rotta, e quella notte tutta confusa, a guisa del Popolo Israelitico nel deserto, non ebbe la possibilità di starvi, nè la forza d’andarsene; ed essendo da Vienna infino a Giava- rino una strada di 15 ore; e con m ille stenti, e guai facendola in un giorno, ed una notte, dopo essersi congiunta con quelli, chie guardavano i ponti, posti sul fiume Rab, e Sabeè, riautasi dallo stordimento, credea d’esser al mondo rinata.

Il bottino fatto dal Nemico nel campo Ottomano.

D all’altra parte, i Nem ici s’ impadronirono totalm ente del campo Ottomano; ma essendo sopravvenuta la notte, non mes- sero la mano al bottino, e stiedero tutta quella notte in arme; acciocché gli Ottomani non facessero un’improvisa irruzione.

Spuntato poi il giorno; vedendo, che ’1 campo de’ Nostri era vuoto ; e buttandosi ne’ padiglioni, diedero un saccomano, che da m olto tempo non s’era veduto. Cesare s’ impossessò universal­mente di tu tto il cannone, delle munizioni, vettovaglie, e di tutto ili grosso. I l Re di Polonia s’ impadronì de’ padiglioni magnifici del Supremo V esir; facendo il medesimo g li a ltri Principali dell’Esercito Nemico con i padiglioni degli a ltri V esiri e Pascià.Il resto dell’altre cose, e ricchezze poi fu lasciato in bottino allo Esercito. I feriti, ed ammalati, che si trovavano nelle tende, fu ­rono trucidati, ed i sani fa tti schiavi. Tante m igliaia di cam­m elli, cavalli, muli, e bufoli, che tiravano il cannone, con tanti giovani di stalla, e poveri cammellieri, che s i trovavano quin­

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dici ore lontani dal campo, furono lo spoglio de’ soldati del- l ’Esercito. Se li suddetti anim ali fossero stati in un luogo, vi­cino al campo non sarebbe restata tanta munizione, e bagaglio al Nemico.

L’ istituto del Sultan Solimano di gloriosissima memoria.

Il Sultan Solimano, essendosi ritirato dall’assedio, non riu­scitoli di Vienna, passato ch’ebbe il fiume Rab, in vicinanza di Giavarino, nel primo posto, dove s’accampò, oltre che a’ Gian­nizzeri iacea contar la douta paga, diede ad ogni uno m ille aspri ’n doni ; praticando il medesimo con i Spahy, e Timariotti, con accrescerli i so liti stipendj, e li guadagnò con la munifi­cenza in maniera, che gli anim i loro restarono in una perfetta disciplina, con intiera obbedienza verso i loro capi. A ll’incontro questo maligno, e perfido Vesir, venuto sotto Giavarino, e fer- m andovisi tre giorni, chiamò alla sua presenza il Comandante di Buda, Ibrahim Pascià, e g li addossò d’essere stato in causa di questa gran rotta, per aver il primo col suo esempio precipi­tato l ’Esercito alla fuga, il quale sentendo questo ingiusto rim­provero, li rispose arditam ente: Signore, Voi non aggradendoi salutari consigli, e prudenti pareri de’ principali Vesiri, e Pascià dell’im perio, con una cieca compiacenza nelle vostre fan­tasie, siete stato la cagione di così grave perdita, e ruina ; per­che ila superbia, ed il capriccio non può altro produrre, che simil disgrazia, e sconvolgimento. Voi gonfiatovi della vostra pru­denza, senza la confidenza in Dio, avete in un batter d’occhio fatto cangiar faccia alle cose, con porle in sì strano precipizio. Lo sleale Vesir, avendo sentito sì fatto discorso del prudente Pascià, fece subito senza causa ammazzarlo, con sostituire in suo luogo al comando di Buda il Carà Muhamed Pascià, come s ’avesse potuto colla sua morte coprire la propria reità, e ver­gogna.

Poscia i Comandanti cristiani di Vespri no, e di Papa, i quali avanti dell’andata dell’esercito sotto Vienna, venuti da se stessi ad esibir obbedienza, con rendere le loro fortezze, lascia ti dal Vesir al comando delle medesime, con aggiungere a ciascun d i

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loro un Beg con 100 in 200 huomini, avendo inteso la rotta del­l ’esercito, scacciarono dalle dette fortezze i due Beghi, li quali venuti al campo sotto Giavarino, fece ambedue privar d i vita, con pretesto, ch’aveano abbandonato le fortezze. Intanto essen­dosi sparso tra certe truppe timide, e nude dell’Esercito un falso rumore, la m attina del secondo giorno, che ’1 Nemico veniva per attaccare il campo, e perciò nata qualche confusione, il perfido Vesir comandò a’ suoi Segbani, o Gente a cavallo, coll’espressio­ne, che le teste de’ fuggitiv i fossero sue, e le robe le loro, questi infam i trucidarono miseramente tre, in quattro cento Gianniz­zeri, Spahy, ed altra gente fuggita dal campo, con saccheggiar le loro robe, ed averi. Levato dopo il campo sotto Giavarino, e portato sotto la fortezza di Tata; minate le mura della mede­sima, la fece saltar in aria, e totalm ente ruinare.

L’arrivo del Vesir a Buda.

Levato sim ilm ente di là il campo, si pervenne infine, con m ille miserie, e patim enti a ’ 28 del mese Camafar di ritorno a Buda ; dove giunto cbe fu il Vesir, scrisse con belle espressioni alla Fulgida Porta la qualità della rotta dell’Esercito; con darle parte del suo ritorno colà. Il Potentissim o Imperadore, dopo d’esserli giunta questa relazione, mandò al Vesir per il Se- licdar Agà una lettera Imperiale, accompagnata d’una scim i­tarra, ed una preziosa veste; il contenuto della quale era con questi term ini: Consolati. I l disfare, e l’essere disfatto sta nelle potenti mani del Signore de’ Signori, e dell’Imperadore degli Imperadori. Si spera, eh’ Iddio potentissim o concederà ancora in questa guerra, a riguardo dell’ Onoratissimo de’ Profeti, a questa m anifesta E eligione trionfi, e vittorie, con disfacim enti, e rotte degl’ Im puri Infedeli. Accodirai con ogni applicazione al provvedere i nostri confini perfettamente di m ilizie di mu­nizioni, e di vettovaglie con tu tt’altro, che vi possa mancare. G uardati di negligenza, ed incuria; ed acciocché da parte de’ perfidi Infedeli non vengano i nostri Paesi ’n conto alcuno m olestati, e dannificati, non mancherai punto nel difenderli, e proteggerli, con aver l’occhio per tutto, dove occorrerà. Non

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mancherai finalmente d’avvisare alPEccelsa Porta esattam ente tutto quello, che passerà in cotesta parte.

Dopo l ’arrivo di questa lettera Imperiale, ragunò il Vesir il Divano, e v’invitò anche il Chan de’ Tartari, Murad Ghirai Chan, con farli sapere, che v’era per lu i una scimitarra, ed una veste preziosa da parte del Sultano. Il Chan fece rispon­dere: Che vittorie abbiam riportate in questa guerra, che me­ritiam o la grazia della scimitarra, e l’ onore della veste? Il Vesir lo fece di nuovo invitare; con dir ch’avea da conferire con Sua Altezza cose di gran rilievo. Ma il Chan essendo già prima stato avvisato da buona mano, che la causa di quest’in­vito fosse la ’ntenzione, ch’avea di spossessarlo del Regno, per salvar la propria persona, montato nell’istesso giorno a cavallo, con pochi Tartari diligentem ente incam m inossi alla volta di Ianboli. I l Vesir avendo intesa la sua fuga, elesse in di lui luogo H agi Ghirai Chan, il quale allora ivi trovavasi, e lo vestì del Caftan in segno dell’elezione; con darne avviso al Potentissim o Imperadore per la ratificazione.

La mossa del nemico per assediare Strigonia.

Frattanto fu avvisato, che l’Esercito del Nemico era giunto sotto Gomorra, e ch’attualm ente stava passando il ponte sul Danubio alla parte d i Neheesel. Perciò da questo luogo fu con diligenza rinforzato il presidio della detta Piazza con gente provvisioni, ed altri requisiti. Fu anche ordinato il Beglierbeghi di Rumelia coll’ esercito del suo Governo a presidiar la Pa- lancha di Barkan dirimpetto a Strigonia. Del resto furono prese molte lingue al Nemico, le quali tutte unanimamente asserivano, che ’1 medesimo avea già passato il ponte di Go­morra; e che fra due giorni sarebbe arrivato sotto Barkan e iStrigonia, con intenzione di battere, e d’ impadronirsi di questi due posti. Perciò a quella parte, per coprire i detti luoghi, furon m andati col Beglierbeghi di Buda il Comandante di S ilistria , M ustafà Pascià, il Beglierbeghi della Bosnia, Chizci Pascià, e 15000 huomini d’altri Beglierbeghi, sopra i quali Muhamed Pascià fu creato Seraskier. La m attina, che quest’eser-

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cito Ottomano giunse a Strigonia, v’arrivò ancora con l ’eser­cito suo il Re di Polonia; e mentre questo s ’accingeva ad impa­dronirsi a ll’ improviso del ponte, ed a tagliar la m ilizia, co­m andata per difenderlo, Muhamed Pascià, essendosene stato a tempo avvisato, dopo d’aver passato subito il ponte, e schierato l ’ Esercito sottopostoli, stiede pronto a ricevere il Nem ico; il quale avendo assalito l’Esercito Ottomano, alzando questi im ­provvisamente la voce al cielo, si mischiò così bravamente con i Polacchi, che con l’aiuto di Dio, subito li confuse, e ruppe; perseguitandoli poi con la scim itarra in mano infino al loro campo, ne fece sì gran macello, che diecimila, e più ne furon stesi sulla campagna. Dopo questa gran vittoria era d’uopo il ritirarsi, e dando la Palancha di Barkan alle fiamme, conveniva ripassar il ponte. Ma il contrario, per il cattivo consiglio di Carà Muhamed Pascià, tagliato il ponte sul Danubio, e schie­rato l’Esercito, si principiò a venir col Nemico alle mani, a cui non avendo i nostri potuto lungamente resistere; e rinculando verso il ponte del Danubio, il quale poco prima era stato le­vato, la maggior parte dell’Ottomane Schiere, affogossi nel D a­nubio, e ’1 resto fu trafitto dal ferro Nemico. I l Pascià della Bosnia, di Sivas, di Caramania, e m oit’ altri principali Capi perirono nella battaglia, o nell’acqua. Il solo Comandante di Silistria , Vesir M ustafà Pascià, fu fatto prigione dal Re di Polonia. I l Nemico poi diede alle fiamme la Palancha di Barkan, sparso il sangue di tu tti quelli, che vi s i ritrovavano dentro. Dopo questa gran perdita furono mandati al presidio di S tr i­gonia Bekir, Pascià d’Aleppo, ed Arslan, Pascià di Tiro, e fra g li Agà de’ Giannizzeri il Iagargi Basci, ed il Iemberizù Basci con alquante milizie.

La presa di Strigonia.

Il Nemico, in proseguimento delle meditate operazioni, dopo d’avere steso un fermo ponte da Barkan sul Danubio, lo passò, e si pose ad assediare Strigonia. Dopo una resistenza fatta di tre giorni, e tre notti, g li Assediati resero a patti la fortezza, ed uscitine tu tti li Muhamedani, si salvarono altrove.

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Il resto degli accidenti delle frontiere.

Quando il Comandante di Buda, Muhamed Pascià, notificò al Supremo Vesir, il quale già da tempo fà, partito da Buda coll’Esercito, s’era incamminato alla volta di Belgrado, la per­dita di Strigonia, l ’esercito Ottomano si ritrovava al ponte d’Oessek. Il Vesir ordinò al Muhamed Pascià d’uccidere il Bekci Pascià, fu Comandante di Strigonia, ed Arslan Pascià, con m andarli le loro teste. Comandò anche, che fossero messi ’n una barca il Iagargi Basci, il Sam sungi Basci, ed il Iemberekgi Basci, e m andati a Belgrado.

Muhamed Pascià, in conformità dell’ ordine ricevuto, li spedì; ma essendo per comando del medesimo Vesir, venuto un Ohiaùs con ordine, ch’ovunque s’ incontrassero, fossero sta ti condotti alla fortezza di P est; e di renderli alla custodia del Kul Chiaiasi, per esser arrestati colà; ed avendoli per strada incontrati nella Palancha di Giancurtaran, li ricondusse indie­tro e li rese, secondo il comando, al Kul Chiaiasi, il quale, coll’arrivo d’un nuovo ordine, li fece tu tti tre nella città privar di vita.

Avendo dall’a ltra parte il Nemico presa in possesso la piazza di Strigonia, con mettervi una guarnigione d’ottom ila Todeschi, pose la fanteria in Giavarino, Gomorra, Posonia, Levenz, e N itria; e mandò la cavalleria a ’ quartieri d’inverno ne’ paesi di là da Vienna. E Cesare stesso, ritornato alla sua Resi­denza, s ’accinse a far riparare i luoghi, nell’assedio m inati. Il Re di Polonia, avendo disegnato di far invernar le sue truppe ne’ contorni di Cassovia nel paese del Tekli, s’ incamminò a quella volta; perciò il Re de’ Coruzi da Cassovia ritiratosi, ebbe per ricovero della sua persona, moglie, e fam iglia la for­tezza d’Agria.

Il ritorno del Sultano alla volta d’Adrianopoli.

Da questa parte il Potentissim o Imperadore, mossosi da Belgrado, giunse alla solita sua Residenza d’Adrianopoli, dove con felic ità passò l’inverno. Per le gran nevi, e pioggie, ch’ivi

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caderono, si gonfiarono in modo i fiumi Tungia, e Meritz, che da’ loro torrenti furono 3000 case m inate.

11 Vesir mossosi parimente dal ponte d’Oessek, arrivò a B el­grado. Essendosi continuam ente accresciuti li malanni, e sin istri avvenimenti, causati dalla superbia, e cattivo consiglio del sud­detto Vesir ; ed avendo i Capi più sperim entati portato un giusto, e fedel ragguaglio delle cose successe alla Maestà del Sultano, oltre che il deposto Chan de’ Tartari, Murad Ghirai pervenuto, che fu a Iamboli, espose tutto lo sta to della guerra m inutissi­mamente a lle Staffe im periali, s’unirono ancora tu tti i Grandi e M inistri della Porta, e diedero un distin to racconto degli avvenimenti accaduti; e stendendo in presenza della Maestà del Sultano tu tti i capi dell’accusa, dissero: Lo smacco causato quest’anno da questo im prudentissim o Vesir alla Religione, ed a ll’im perio, con ingombramento della riputazione della Monar­chia, è sì grande, ch’insiem e ragunati m ille nemici non sareb­bero stati capaci a farglielo. Prim ieram ente, nell’ assedio di Vienna, allora, che l’E sercito Ottomano ne’ vantaggi di guerra era superiore, e vincitore, ed i vili Nem ici confusi, ed abbat­tuti, per l ’estrema sua balordaggine, ingordigia, e superbia, non fece avanzare un passo le m ilizie contra la Piazza: Ed ogni volta, ch’il defunto Ibrahim B assà facea istanza per assaltar la fortezza, fu sempre la sciocca risposta del goffo Vesir, non essere ancora tempo; la quale tardanza tirò poi ’n conseguenza quella perniciosa rotta, in cui s i perderono tante ricchezze, e provvisioni, tanta artiglieria, e m unizioni; tante armi, e ba­gagli; tu tti i superbi padiglioni di tanti Vesiri, e B assà; e generalm ente tutto il campo Ottom ano con tutte le tende sì degli Uffìziali, come del commune con tutte le robe, che dentro si ritrovavano; andando ogni cosa in mano del Nemico. Oltr’a ciò, la di lui imprudenza causò la perdita di considerabili for­tezze della Monarchia ; cioè di Barkan, e di Strigonia. Disgrazia, e disastro sim ile non è giam ai, ed in alcun secolo avvenuto a ll’im perio Ottomano; perciò alterandosi la complessione della Monarchia; e scuotendosi la fabrica dell’im perio, stanno per nascere diversi sin istri avvenim enti nella N atòlia, e Rumelia. La breccia di tanti mancamenti non può ripararsi con indui-

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genza, e longanim ità; essendo indubitato, che la dimora, e la dilazione in questo particolare ecciterà una pericolosissima tem­pesta, che scoccherà fulm ini di gravi sterminj, e malanni.

Questa si fatta relazione de’ M inistri della Porta, accese in maniera l ’ira , e lo Sdegno Im periale c h e 1

Cangiamenti di ministri ed esecuzioni di morte.

Fanno 1094, a’ 26 del mese Zilkigy, il Vesir Mustafrà Pascià fu privato della carica; ed il sigillo del Vesirato fu graziosa­mente conferito a Carà Ibrahim Pascià, il quale allora era Kaimekano della Fulgida Porta ; M ustafà Pascià, il quale tempo fa era Agà de’ Giannizzeri, colla qualità di Vesir, fu creato Seraskiere, e conferita la carica d’Agà de’ Giannizzeri al Zul- ftcal Agà, deposto dalla carica di Seghan Basici, con invito di portarsi ad Adrianopoli. Carà Hassan Agà Zade, M ustafà Agà, deposto dalla carica d ’ Agà de’ Giannizzeri, fu eletto Vesir Kaimekano di Costantinopoli. I l Selicdar Agà sortì di Serraglio al posto di cavallerizzo maggiore; ed il Favorito, e Genero del Sultano, Vesir M ustafà Pascià, Ammiraglio del mare. Speditoil Ghiaia de’ Capigi, Cazzaz Ogli Ahmed Agà, a Belgrado, prese il uobil stendardo del Profeta, ed il Bollo Imperiale, per portarli ad Adrianopoli. D atosi poi un comandamento Reale di proprio pugno del Sultano al Chiaus B asei Agà, per far mo­rire il Vesir, andò egli, e giunto, che fu a Belgrado a mezzo­dì del Sabato, li 6 del mese Muharem, l ’anno 1095 ; fece la testa del detto V esir separare dal busto colla scim itarra dello Sdegno Imperiale, e la mandò ad Adrianopoli; avendo aggiunte al F isco le di lu i ricchezze, che colà si trovavano; il che si fece ancora in Costantinopoli, dove aveva in diversi luoghi 600.000 zecchini sepolti, che con altri averi furono incorporati al pubblico tesoro.

1 Così nella stampa come nel manoscritto sembra che qui ci sia una lacuna ; ma non è, perché il periodo segue colle prime parole del capitolo che segue, e il senso torna benissimo. La bizzarria dello scrit­tore o del compositore sta nel mettere il titolo -del capitoletto in mezzo a un periodo.

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Avendo presa fiamma questo fuoco dell’ir a Imperiale, passò ancora a diversi servidori, ed uffiziali del sopradetto D isgra­ziato; perciò il Resis Effendi, nativo di Trabisonda, M ustafà Effendi, condotti ne’ ferri ad Adrianopoli, ivi appresso la Mo­schea, Utz Schierifelù detta, fu appiccato; e m olti altri de’ prin­cipali suoi servidori furono, parte carcerati, e parte con rigo­rosi tormenti puniti. Hassan Effendi, fu Defterdar, il quale, per certi m isfatti commessi sotto Vienna, fu deposto, e di là mandato a Temisvar, nel mentre, che con i ferri a’ piedi era condotto alla Porta, e si trovava nel Borgo di Nissa arrivatovi un comandamento Reale, ebbe colà la testa tagliata, la quale, mandata che fu ad Adrianopoli, restarono confiscati tu tti i suoi beni ed averi.

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LETTERA - PREFAZIONE AL CATALOGO

DEI MANOSCRITTI ORIENTALI

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L’interesse d i questa Lettera, la quale doveva servire di pre­fazione al catalogo dei m anoscritti e stam pati particolarmente orientali raccolti dal Marsi'li e da lu i donati a ll’istitu to di Bo­logna, 1 destinato per la stampa, è di grande interesse, così per la conoscenza della vita e dei costum i turchi, come per la storia della loro cultura e sopratutto perchè ci illum ina sopra i modi che il Marsilli tenne per venire in possesso d i un materiale sto- rico-filologico-letterario di tanta importanza.

Ciò vide anche il Rosen, il quale, nell’agosto del 1883, essen­dosi recato in Ita lia per studiare i m anoscritti orientali, in gran­dissim a copia dalla nostra nazione posseduti, s i fermò qualche settim ana a Bologna, ne trasse i tito li dei m anoscritti marsi- liani e, dandone poi conto negli A tt i della R eale Accadem ia dei Lincei, 2 melila introduzione al suo studio 3 volle pubblicare la redazione latina di questa lettera « dans laquelle il raconta (Mar- sili), pour ainsi dire, 1’ histoire de la collection ». 4

Senonché la pubblicazione fatta dal Rosen non ci dispensa dal m etter fuori la redazione originale, che è in italiano e che

1 I documenti relativi furono pubblicati negli A tti legali per la fonda­zione dell’In8tituto delle Scienze ed a rti liberali ecc. Bologna, Stamperia di S. Tomaso d’Aquino, 1725.

2 Serie III, Scienze morali, vol. XII.3 Ha per titolo: Remarques sur les manuscrits orientaux de la Colle­

ction M arsigli de Bologne suivies de la liste complète des manuscrits arabes de la même Collection par le Baron V ic t o r B o s e n . Rome, Impri­merie de l’Acadêmie Boyale des Lyncèi, 1885, in 4, di pp. 135.

4 A pag. 5.

il '

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è quella veramente dettata dal M arsili; senza contare che qua e là il traduttore si prese qualche libertà, staccandosi dall’origi­nale.

D i questa redazione volgare pubblicò una piccola parte il col­lega dottor Lodovico F rati nella « R ivista delle Biblioteche » ,1 quella parte cioè che si riferisce a lle reliquie della celebre B i­blioteca Corviniana d i Buda, dal M arsili amorosamente e fra il cannone e l ’incendio raccolte, come egli stesso efficacemente dice; ma molta parte rimase inedita, sopratutto quella autografa del Marsili, e gli stessi passi pubblicati, non avendo potuto l ’autore farne esatta collazione, presentano diversità di qualche impor­tanza.

Era dunque indispensabile che d i questa Prefazione a un libro di tanta im portanza (la cu i stampa purtroppo si aspetta ancora) s i desse una esatta e com piuta edizione nella sua forma genuina ed originale ; e questo ho fatto, corrispondendo alla pre­ghiera rivoltam i dal Comitato per le onoranze al Marsili nel se­condo centenario della morte.

Ho detto dhe trattasi di una lettera-prefazione e che era desti­nata alla stam pa, ma la stam pa non potè aver luogo. Spe­rava m olto il M arsili di poter dare fuori il catalogo nella Stam ­peria da lu i stesso fondata in Bologna e affidata ai Padri Dome­nicani co ll’intento appunto che da essa uscissero, colle pure spese d i stampa, i lavori dei professori dello Studio e dell’i s t i ­tuto; e a tal fine aveva anche negli u ltim i anni della sua vita provveduti e donati alla Stam peria bolognese d i S. Tommaso d’Aquino, come egli volle si intitolasse, caratteri ebraici e orien­ta li vari, sopratutto arabi ; 2 ma la morte lo colse proprio quando stavasi pensando alla grande impresa, per la quale quasi tutto era ormai pronto. Ben è vero che sino dal 1702 ne aveva iniziata

1 Anno IV, n. 37-8, pp. 7-16. In esso lavoro il Frati pubblica anche il « Catalogus librorum in Arce Budensi repertorum anno 1686 ».

2 Sulla Stamperia Marsili, e su questi particolari, vedasi il mio la­voro nel volume delle Memorie che usciranno, contemporaneamente a questo volume, in celebrazione del Marsili1 nel secondo centenario dalla morte.

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PR E FA Z IO N E AL CATALOGO M A N O S C R IT T I O R IEN T A L I 171

la .pubblicazione Michele Talman (per incarico e col gradimento del generale Mar sili) col titolo: B ìbliothcca orien talis sive Elen- chus librorum orientalium m anuscriptorum ; v idelicet graecorum , arabicorum , persicorum , turcicorum e t deinde hebraicorum et an­tiquorum latinorum tum m anuscriptorum , tum im pressorum , quos partirli in bello turcico et partim in itinere Constantinopolim suscepto ipse (il Conte Marsili) collegit, coemìtque-1 : ma l’opera rimase incompiuta, avendo dovuto il Talman assumere a ltri im­portanti e gravi uffici. S i aggiunse poi il fatto che dal 1702 in poi i l m ateriale dei m anoscritti orientali s i accrebbe e di molto per le continue ricerche e diligenze del Marsili ; cosicché egli fu indotto a ¡pensare ad una nuova opera, diversamente im piantata e condotta, che doveva essere compiuta e pubblicata per le cure del dotto padre Assemani.

La traduzione in latino della prefazione è fatta appunto a cura dell’Assemani, il quale aveva anche compiuto il Catalogo dei detti m anoscritti « esotici », 2 per modo che tutto era pronto per essere stam pato; ma non fu per le ragioni sopra dette. L’opera doveva essere dedicata al celebre Cardinal Passionei, come risulta dal titolo stesso della redazione originale italiana. 3

L’abbozzo originale di cui c i siam o serviti per la pubblica­zione, conservasi nella Biblioteca Universitaria di Bologna, al num. 85 dei codici m arsiliani 4 : il fascio si compone di 17 carte

1 Vienna, 1702. Ora assai raro, per le ragioni che la lettera stessa che qui pubblichiamo espone.

2 I I titolo del manoscritto dell’Assemani è il seguente : Index librorum, Bibliothecae marsilianae Graecorum, Latinorum, Hebraicorum, Arabico­rum, Turcicorum et Persicorum ; nec non Ruthenico e Illyrico sermone, tum manuscriptorum, tum impressorum ; quos Eccellentissimus dominiti Comes A loysius FeAdinandus Marsilius Bibliothecae In stitu ti Scientiarum addixit. In Septem partes divisus. Opera I o s e p h i S i m o n i i A s s e m a n i .

Cf. R o s s e n , op. cit., p. 5 e L o d . F r a t i , Catalogo dei M anoscritti di Luigi Ferdinando M arsili conservati nella Biblioteca Universitaria di Bologna. Firenze, Olschki, 1928, a p. 7.

3 Che l’opera fosse dedicata al card. Passionei non si trae dalla pub­blicazione del Rosen nella quale, invece del nome del dotto cardinale, sono dei puntini, come eran nel manoscritto di cui esso si servì.

* Ms. 85, E.

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delle quali le prime tre sono interam ente di mano del M arsili, le altre (a ll’infuori della quarta che è bianca) di altra mano, ma con frequenti correzioni autografe del Marsili, mentre que­sta seconda mano corregge o modifica di tanto in tanto anche la parte autografa del generale. La lettura non è certo agevole, date le m olte correzioni, i pentim enti, le aggiunte, le cancella­ture, ma ci abbiam messo tu tto l ’impegno e ci pare di essere riu­sc iti a risolvere tutte o quasi tu tte le difficoltà. A lla 17 seguono altre quattro carte scritte da una terza mano con proposte di modificazioni al testo m arsiliano, che non sempre vennero ac­colte; avvertasi inoltre che le modificazioni si riferiscono ad una redazione diversa da quella originale, a cui ci siamo affidati.1

Singolarissim o questo scritto, nel quale il M arsili, pur sem­pre così modesto, sente tutto l ’orgoglio dell’opera compiuta rac­cogliendo e illustrando un m ateriale storico-letterario-etnogra­fi co che sino a lu i nessuno aveva conosciuto e che egli per il primo godeva d i poter offrire al « mondo letterario ». 2

A l b a n o S o r b e l l i

1 La data della lettera si trae dalla redazione latina : « Datum Bo- noniae VI Nonas Maij JIDCCXXI ».

2 Ecco le precise parole del Generale : « Per fine questa mia informa­zione... persuaderà il mondo letterario che... fui io il primo che comin­ciassi a tentare il dissotterramento di tante cose erudite, che stavano se­polte in gran parte appresso di Nazioni incolte ».

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L ettera di Prefazione a Mons. Ill.m o Passio nei, che dovrà poi passare alle m ani délVIll.mo Signor abitate A ssem am per tra­durla in latino da stam parsi alla te s ta dell’Elenco de i libri esotici, che sono nell’ In stitu to .

Prima di lasciare questa mia Patria e l’Ita lia debbo soddi­sfare a due debiti, che tengo con V. S.

Il primo si è quello d’abbracciarla teneramente a mezzo di questi fogli con la supplica di continuarmi col suo bell’animo la sua am icizia da me tanto pregiata. Il secondo è quello della spedizione promessale partendo nell’anno scorso da Roma del­l’elenco imperfetto stampato in Vienna nell’anno 1702 de’ ma­noscritti esotici raccolti da me, nelle congiunture, che a suo luogo leggerà. Questo 'Suo eruditissim o Autore Michele Taiman non fu lasciato già im perfetto per sua volontà, ma per il suo molto talento, che Leopoldo Cesare volle impiegarlo in auel tempo nell’importante Residenza alla Porta Ottomana dove fa­cendo spiccare sempre più la propria fede, e abilità in impieghi di Stato il moderno Cesare Carlo lo prescielse per secondo P le­nipotenziario nella moderna Pace di Posarovia fra ambi gli Imperi, e in fa tti felici quei Potentati, che potranno trattare coi Turchi per M inistri, egualm ente nelle lingue orientali esperti, che nè politici maneggi e senza dependere dalla soggezione d’in ­terpreti per lo pià solo ornati d’una mediocre notizia d’interpre­tare le sole parole.

Il nostro comune erudito amico Pad : Ma : Zuccarelli B i­bliotecario nella famosa libreria Casanatense sarà quegli, che in mio nome pagherà questo debito con V. >S. dell’Elenco a cui fra altre cose l ’ho spedito, e col vantaggio di sempre mantenere il mio credito di puntuale con g li Amici.

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Benché questo elenco fosse così inpenfetto come vedrà ad ogni modo le più celebri librerie lo desiderarono a segno che di esso non mi sono avanzati che pochissim i esemplari, uno de’ quali anni sono venendo alle mani del Sig. Abbate Assemano e appunto che nel tempo che era occupato all’unione dell’erudita Opera della Biblioteca Orientale Clementina, trovò in esso la no­tizia, che fra’ miei Codici esotici vi fossero tre tom i che forma­vano un indice da più secoli di tu tti g li scrittori Arabi, Persiani e Turchi sopra tutte le materie, che potendo essere d i non poco aiuto al suo assunto ebbe ricorso a N. S. : perchè ordinasse d’essi tomi la spedizione alla Biblioteca V aticana per farli tra­scrivere; ma mancando soggetto in ta li lingue versato, e per le tante mie agitazioni e nel Mondo, essendo essi volumi in disor­dine, dentro nell’Instituto in cui li posi nel mentre, che lo fondai fui obbligato a mostrare per ta li ragioni la mia im possibilità d’obbedire, e per ciò IS. B. risolse la spedizione del detto Abb. A ssem ani a questo Intsituto , che non solo volle scegliere li m entovati tre tom i dell’in d ice; ma anche vedendone un numero maggiore dell’ ideatosi risolse farne di tutti, un ristretto in lingua Latina che potesse servire per un generale elenco a comodo prima del Bel Genio di così gran Pontefice, e poi di tu tti g li E ruditi; e più mesi sono, avendolo terminato volle quella Sa. Mem. -che a questo Institu to fosse mandato, affinchè, la P a­tria conoscer potesse, che monumento possedeva nelle lingue Ebraica, Araba, Turca, Persiana, Greca, Illirica, non avendo mancato il dotto autore di praticare un ordine ammirabile nel portare in lingua latina d’ ogni m anoscritto e lingua li tito li e necessari ristretti scritti nelle loro lingue, e con una perfetta eleganza per potere ad ogni momento questo voluminoso tomo in foglio reale esser posto sotto il Torchio.

La lettura, che subito feci d i così erudita opera, m’insegnò, che stam pandosi non sarebbe stato fuori di proposito l’ infor­mare il lettore in quali congiunture furono raccolti questi co­dici, e di varie altre notizie dell’avanzo della Biblioteca Cor­vina di Buda, come anche d’altre illiriche nella Servia e B ul­garia e W alachia. E per eseguire ciò con maggior credito, ho risoluto nell’indirizzarle questa lettera di valermi della ami-

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ehevole libertà che m’accorda la nostra amicizia e molto più la somma gentilezza di V. S. che fra tutte le nazioni del Mondo ha il concetto di distinto letterato, di prudente M inistro, qua­lità che nella chiesa Romana porteranno ulteriori u tili, e alla Sua persona tu tti li m eritati onori.

Non tosto cominciai a discernere il bene dal male, che ebbi per naturale impulso una somma curiosità di comprendere che cosa fosse l ’im pero Ottomano, e d’onde mai poteva nascere quel decantato valore della Nazione Turca contro della Cristiana, quale anche fra qualche V ittoria che alle volte riportava con­tro d’essa, le pareva un gran premio d’essa, l’acquistar la Pace anche con perdita. Tutti g l’Istorici concordemente mi persua­devano un sommo valore ne’ Turchi magnificando le loro m ilitari azioni ed imprimendo di più nell’animo de’ Lettori orore, spa­vento, e per fine im possibilità di mai vincerli e se pure si senti­vano esortazioni per leghe contro dell’im pero Ottomano, in vece d’accalorire il zelo, ed il valore Cristiano, non servivano che ad eccitare il riso, ed a compatir gli autori per trasporto troppo zelante, che proponevano chimere per imprudentemente stuzzicare la gran forza Ottomana, e in fine tu tta la Politica de’ più raffinati Gabinetti del Cristianesmo, era ristretta a contentarsi della quiete, che la Potenza Ottomana voleva la­sciarli o per loro convenienza, o per li regali e Tributi, che pom­posamente s’esibivano al Trono di Costantinopoli.

Una sì giusta m ia considerazione fondata su la serie delle Storie, che anche in quei teneri anni spogliai combinando come, e nell’ Asia, e nell’ Affrica, e nell’ Europa li Turchi mai ebbero una valida resistenza, ma sempre fra divisioni, tradim enti, anzi inv iti de’ Prencipi, o delle Nazioni, che conquistar voleano s’era fatta grande la forza Ottomana, fin nell’ età di diecinove anni acceso d’ un ardente brama di portarmi a Costantinopoli a riconoscere di vista il governo de’ Turchi e di persuadere il mio Genitore contro il voto di tu tti i parenti a lasciarm i in ­traprendere questo viaggio in compagnia del Bailo Veneto, che allora fu destinato dalla Serenissim a Repubblica di Venezia il Ven. Pietro Ciurani soggetto pieno di prudenza e di costanza, virtù eguali a quelle del suo predecessore Cav. Procuratore

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Gioanni Morosini, che dal suo arrivo attendeva d’esser cambiato per ripassare a godere il premio, ed il riposo della sua Patria, dopo tante ambascerie in servizio di lei sostenute nelle prime Corti d’Europa.

Giunsi adunque in Costantinopoli con sim ile comodità nel fine del m illeseicentosettantanove appunto in tempo che l’or­goglio Ottomano era pervenuto al sommo grado per non avere mai sino a quel tempo fatte paci con tutte le potenze confinanti se non con conquiste e vantaggi e Che preparava con tutta l’arte e con tu tte le forze la strepitosa guerra di Vienna, nella quale poi trovò quell’ostacolo e principio della decadenza sua, e fra le tante propsperità mai creduta possibile alla Cristianità.

G li Am. de’ Principi che erano alla Porta Ottomana, doveano soffrire strapazzi contro il diritto delle genti, ed esser contenti di comprarsi la quiete con p attu iti regali, anzi tributi.

Ogn’uno di loro si doleva senza però mai pensare al rimedio, chi per timore di perire ne’ Stati del proprio Principe e chi go­deva sulla speranza di riportar vantaggi nelle possibili risolu­zioni temerarie del Gabinetto Ottomano. Ogni cristiano tremava al suono del nome Turco. L’avvilimento de’ negozianti, benché di nazioni straniere, e potentissim e era giunto a ll’ultimo grado, quindi ogn’uno mi dissuadeva non solo dall’intraprendere le mie tante osservazioni fisiche sul canale di Costantinopoli per che esiggevano operazioni pubbliche e di possibile gelosia, m as­sime in faccia di così gran Popolo Barbaro, ma della stessa r i­cerca della notizia che mi poteva erudire del vero Stato del­l’impero.

Mi gettai pertanto nel commercio di tutte le Nazioni Cri­stiane d ’Europa e poi in quello delli stessi Turchi Eruditi, e di credito nel Governo, stipendiando al mio servizio un Ebreo di nome Abram Gabai che trovai di tu tta fede, ed abilità per ser­virmi d ’interprete, e questo mio libero modo di vivere, e trattar coi C ristiani, e Turchi non fu ne meno disutile ad ambi li B aili, che per ragione dell’orgoglio del Gran Visir, Cara Mustafà, poi conduttore dell’ esercito sotto Vienna, Che credeva alla sola sua com parsa d’averne le chiavi sostennero con petto, valore e costanza i d ir itti del proprio Principe il decoro de’ suoi sten-

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dardi inarborati sopra di due navi da Guerra, che sotto la pubblica fede, erano ancorati nel Porto di Costantinopoli e mi sia permesso di dire che tu tta quell’ardita e decorosa condotta m eritava d’esser con tutte le circostanze meglio descritta alla memoria de’ posteri, e forse anche con meno passione rappre­sentata alla G iustizia d’un così prudente Senato, come è il Veneto.

Dopo d’aver fra’ Turchi cercato un amico, che fosse ricco d i notizie erudite per potermi instruire massime su ’ capi, che mi poteano far comprendere il vero stato di questo Impero Ot­tomano, come dissi, descritto da tu tti g l’Istorici per il terrore del mondo, ed in fine per l ’invincibile, mi fermai nella continuata pratica d’un certo Usseim Effendi — per sopra nome di mille virtù. Questo era uomo vicino a settanta anni d’età, pieno di buona legge d ’am icizia, ricco d’una sceltissim a biblioteca, pa- cientissim o alle continuate mie domande per l ’interprete, e senza un minimo interesse e che mi prestava qualunque libro avessi richiesto, per farlo leggere dal mio interprete, ed anche tra­scriverlo.

In questa continuata pratica di più mesi nella quale avevaio con l’aiuto del medesimo interprete tradotto il libro da lui datom i detto Canon A m et, dove vi erano tutte le leggi M ilitari, le divisioni e numero di qualunque genere di M ilizia di terra e d i mare, le rendite, e spese dell’ Erario Imperiale, e per la M ilizia stessa, come per il gran lusso del Seraglio e per con­senso tante altre notizie historiche, cose tutte, che mi comin­ciarono a persuadere quanto mai fosse fa lso il concetto, che correva fra noi nella cristianità che li Turchi, e per educazione e per divieto della loro falsa legge non potessero studiare. Da questo principio di cognizione presi potivo di sollecitare l ’af­fettuoso Effendi di darmi più notizie della letteratura, e studio de’ Turchi; questo cominciò a mostrarmi che non vi era in C ostantinopoli Moschea Imperiale, o altre fondate da persone ricche, che non avessero scuole pubbliche con alunni e m aestri stipendiati con le rendite delle stesse Moschee, il che anche nelle c ittà più principali di tutto l ’im perio si praticava e particolar­

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mente nella Meca ov’era un’Università di m igliaia e m igliaia di scolari.

Che in esse scuole si insegnavano li principi dell’Eloquenza più scielta mescolata con l ’Arabo e Persiano, la Filosofia A ri­stotelica la loro Legge Civile e Canonica quali sono anche sul- l ’Alcorano, l ’Aritm etica, nella quale vi sono Uom ini d’esperienza incredibile, P Astronomia, la Medicina, l ’ Alchim ia in sommo grado, la Poesia la Musica, ed infine la Storia che se in veruna parte è d ifettosa è quella d’ essere troppo suddivisa, passando alla noia. D ’ogni Imperadore Ottomano hanno la storia in forma di D iario, essendovi nel Seraglio chi scrive di giorno in giorno tu tto ciò che fa il Sultano. V i sono libri di tu tte le Arti, anche Meccaniche, non mancano P ittori seguaci del gusto secco, ma però vago de’ Persiani, ed a Costantinopoli vi sono tanti, che vivono a fare figure ne’ loro libri a dipingere fiori, bastim enti navali. L’arte dello scrivere in diverse forme è allo stato di somma perfezione, ed interrogando 1’ Effendi in questo articolo dello scrivere, lo pregai di dirm i se era vero che la stampa non si fosse introdotta nell’im pero Ottomano, perchè potesse in qualche parte essere opposta ag li articoli dell’Alcorano, fran­camente mi rispose che un ta l divieto proveniva da riflessi po­litic i del governo, che aveva preveduto che per la stampa si sarebbe tolto il pane a cosi gran numero di uomini che vivono con lo scrivere e che anche una così bell’arte dello scrivere si sarebbe perduta e su questo discorso mi disse tante altre belle ragioni, che non narro per più presto venire al primario punto del modo della raccolta di questi codici.

Ne’ miei m anoscritti del primo viaggio a Costantinopoli vi è la raccolta d’un m ateriale sufficiente a formare un assai ab­bondante abbozzo della letteratura e delle arti eccellenti de’ Turchi. V i è pure lo stato M ilitare ed Economico dell’im pero Ottomano, che per compiacere a Cristina Regina di Svezia in Roma, io posi in netto l’anno 1681 per darlo alle stampe e mostrare come feci alla Santa memoria di Innocenzo undecimo l’inganno, nel quale era la cristianità d’un sì gran concetto dell’im pero Ottomano, del quale in questo mio primo soggiorno presi quel disprezzo, che di lu i sempre ebbi sin dall’ora, e che

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confermai dal 1682, cominciando a guerreggiare contro d’esso e sino al 1699, dove finì così gran Guerra con quell’esito, che era conveniente alla forza, valore, ed ordine de’ Principi Chri- stian i in confronto del disordine Ottomano e mediocrità di forze che abbiano il sembiante di buona e valorosa m ilizia.

Quando il Ministero di Vienna non mi avesse im pedito la stampa d’un altro tomo, che aveva io composto per unirlo al primo dello stato m ilitare de’ Turchi, avrei m ostrata e pubbli­cata al Mondo la debolezza m ilitare Ottomana coi fondamenti dell’esperienza presa guerreggiando contro d’essi gemendo sotto le catene nel famoso Assedio di Vienna, dove dal principio sino al fine fuggendo con l’esercito Ottomano fu i, e schiavo e gua­statore nelle trinciere, e altre volte M inistro di Pace vivendo ne’ loro campi in guisa ta le che potei col fatto di convivere fra loro, e m ilitando contro, conoscere il loro debole nelle mar- chie nella castram etazione nella ordinanza di battaglia nella maniera d’assediare, e difendere le piazze comprobándolo con casi seguiti e dim ostrati con le loro figure : quella form idabile forza, che si preparò per l’assedio di Vienna fu la pietra del para­gone di quello che valeva l ’impero Ottomano, pur che fosse ben stata ponderala, con la separazione del sostanziale d all’ appa­renza. I l m eglio degli Officiali d’allora era l ’avanzo di quelli medesimi che rimasero dalla Guerra di Candia, nella quale pure la C ristianità poteva e doveva comprendere che le forze del­l ’im pero Ottomano non erano quelle che si decantavano, e per mare e per terra paragonandole con quelle della República di Venezia, che nel perdere quel Regno acquistò fama, e gloria.

Proseguendo la guerra in Ungheria e rimesso in libertà l ’anno susseguente della mia schiavitù, ripresi l i m iei impieghi m ilitari e nel 1686 succedendo il famoso secondo assedio di Buda con la caduta d’essa piazza a lli 2 di Settembre afflitto ed esausto di forze, per le mie m olte ferite in esso riportate, dal mio supremo Generale e gran benefattore Carlo Duca di Lorena, e stato il terrore e il primo tracollo dell’ impero Ottomano, ottenni nel giorno seguente la permissione d’andare in Buda, dove tutto era ancora in fiamme, e che le strade erano coperte de’ cadaveri di Turchi non per rintracciare prede d’oro e d’ar­

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gento ma per raccogliere libri Turchi, ed anche procurar il modo se più a tempo si fosse stato di salvare la tanto decantata B iblio­teca Budense. Mi gettai dentro della Moschea primaria di Buda esente dalle fiamme, e che al tempo Cristiano era la Metropoli dedicata a S. Stefano Re d ’Ungheria, ed a questa m’insinuai in due piccole stanze, in una delle quali attorniato da libri trovai il supremo A ntistite decapitato dalli soldati nostri, e con l ’opera d’alcuni d i questi feci la raccolta di tu tti que’ libri, come in a l­tra Moschea pure ne ritrassi altri, che compongono il maggior numero dei legali, e degli a ltri di R eligione espressi in questo elenco, come pure li tan ti lessici, e gramatiche. Passai al quar- tiero degli Ebrei, che tutta via era in fiamme, per che anche le nostre truppe impresse che quei negozianti avessero dati tan ti aiuti, e col denaro, e con l’opera per una così lunga d i­fesa, ivi ancora praticarono maggior fierezza, e dispersi trovai quelli libri Ebraici che son pure nello stesso nostro Elenco.

D alle fiamme, benché stanco, e senza forze mi liberai en­trando nel Castello, dove era l ’aulico Reggio Palazzo dei Re d’Ungheria, che resosi a discrezione fu esente dalle fiamme, e figurandomi che se in alcun luogo doveva esser la famosa B iblio­teca Corvina che probabilmente avrebbe dovuto conservarsi in qualche sito di questo Palazzo dal canone e Bombe diroccato, e appunto entrando sotto d i certi volti d i pietra che servivano di magazzino, per zappe, e badili, e manaie, trovai con essi ordegni m escolata una quantità di casse, che li nostri solrati poco prima col comodo di quelle manaie aveano sfasciate, lusingandosi, dal peso d’esse, di trovare oro ed argento lacerando, e gettando fra que’ ferri li medemi libri, che con l ’opera di alcuni soldati e la mia assistenza feci riunire spedendo l ’avviso al Conte Rabata General Commissario dell’Esercito, per che mandasse un Com­missario, che m ettesse in sicuro una ta l preda di qualità dovuta al supremo Principe, e nello stesso tempo senza scelta, presi per me quei pochi m anoscritti Latini espressi pure nell’Elenco. Tutto il numero, insieme, senza considerare la qualità de libri, mi parve quella poca cosa, che poi fu trovata nella costruzione dell’indice de’ medemi libri, che fu fatta , dal B ibliotecario Ce­sareo in Vienna, che è quello, che unisco qui dopo d ell’ind ice de’

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Codici dell’Elenco, perchè ognuno da sè rifletta, come le cose più grandi ed illustri nel mondo terminano. Essendo io in Tran- silvania uno di casa Betlem molto erudito, e che avea intrapreso di scrivere la storia de’ Principi di Transilvania, dopo che la Porta s’era fatta tributaria a sè così bella, fertile e ricca e ben situata Provincia sino al vivente allora Principe Michele Abaffì, mi disse che una gran parte della libraria di Buda era stata trasportata nella sua Patria, quando Solimano con la nota arte si rese Signore di Buda, da dove levò gli Ungari di qualunque ordine, relegandoli in Transilvania, nella qual congiuntura tra­sportarono anche m oltissim i libri e stampati, e m anoscritti. La Nazione Sassona, che è una di quelle molte che compongono la popolazione di Transilvania, e che ebbe sempre in costume di mandare li propri figlioli a studiare nelle più famose Università di Germania conservò sempre una particolare attenzione per qualche parte del buon gusto nelle scienze e quelli particolar­mente della città di Corona, che sono nell’estrem ità più avan­zata della Transilvania verso la Grecia, refugiarono molti, ca­pitali, e particolarm ente anche di libri nella occupazione d i Co­stantinopoli fatta da’ Turchi, e che successivamente dal pub­blico di quella C ittà si tennero in qualche conto, come ancora di tanti altri posteriormente da Buda trasportati, ma tre o quat­tro anni avanti che le armi gloriose di Cesare rimettessero que­sta Provincia a ll’antico vassalaggio della Corona d ’Ungheria in così bella città seguì un terribile incendio, che fra g li a ltri capi­ta li che d istrusse vi fu questo di libri, e m anoscritti trasportati da Costantinopoli, e da Buda.

Alcuni pochi a ltri libri Turchi, che scrivono la storia dell’as­sedio di N aisel e della pace di S. Gottardo, ebbi dalla tenda del gran V isir Soliman Passà nella sconfitta dell’esercito Otto­mano appresso d’Arsan, per la quale il Gran Capitano Carlo Duca di Lorena diede 1’ ultim o tracollo a ll’ Impero Ottomano ed a Cesare tutta l ’ Ungheria, perchè poco dopo caddero, le tante piazze che stavano dalle Truppe Alemane bloccate, e levò ai Turchi la Transilvania, stata sempre fomento di tutte le r i­bellioni in Ungheria con il vantaggio del proprio sito e inquie­tudine naturale di quella Nazione. Una tale vittoria cagionò la

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deposizione del sultano Maometto quarto, l’ ammutinamento delle truppe Turche, e li tan ti sconcerti, che già sono noti, e sino al non trovar più Capo da comandar l’esercito, che bisognò confidare ad un de’ più fam osi assassini di strada, che depopo­lava l’ A natolia, e di nome Jeghino, successi tu tti, che compro­vavano il mio poco concetto, che della forza Ottomana aveva for­mato nel tempo della sua maggiore prosperità. N ell’anno sussu- guente, che fu il 1688 alcuni pochi a ltri libri Turchi raccolsi dopo l’assalto d i Belgrado, ma come che questo assedio attende­vano i Turchi da molto tempo col comodo del Danubio, prece­dentemente li avevano salvati.

V olle Leopoldo Cesare che nell’anno 1691, sotto pretesto d’es­sere licenziato dal suo im periai servizio e passato a quello di Guglielmo Ee della Gran Brettagna col carattere di suo segre­tario dell’Ambasciata alla Porta passassi con il suo Ambascia­tore Cavaliere U ssie destinato con l ’altro d’Olanda Conte Cu- liers mediatore della Pace fra ambi g li Im perii ove che ebbi motivo di aumentare non più per mezzo de’ .Sacelli, ma del de­naro la mia raccolta de’ Libri Orientali, e massime quando tutti li tra tta ti furono già rotti e che passai d’ Andrinopoli a Co­stantinopoli a riposar dalle tante fatiche fatte ne’ miei viaggi per le poste da Vienna a Costantinopoli, ed a ll’uno e l ’altro Eser­cito, e poi a consolidarmi dalle m ortali ferite, che ebbi nella strada.

Benché in questo soggiorno avessi atroci nemici al mio Im­piego, ad ogni modo non lascia i di rinovare ed aumentare le mie antiche osservazioni nel Canale di Costantinopoli per farne una seconda edizione che sta appunto pronta, e crescendomi il desi­derio di far una raccolta di libri, che comprovassero falsa la men­tovata opinione d i noi Cristiani, che li Turchi fossero senza let­teratura.

F eci la provista di alcuni libri di Medicina, di Chimica, d’A- stronomia, di Geografia e d ’ alcuni pezzi d i Storia col mezzo del m io m entovato vecchio interprete Ebreo m’introdussi alla conoscenza d’un Livornese divenuto perfido rinegato col nome di M ustafà, e che era stato nella somma grazia di K iuperli V isire con cui nella precedente campagna aveva io trattato per la pace,

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e che poco dopo nella famosa battaglia di Nancamene fu ucciso. Questo rinegato aveva tuttavia il posto di Zecchiero dell’Impe- rio Ottomano, nel quale esercizio aveva inventata l ’alterazione d'elle monete in sollievo dell’ Erario allora esausto, che pagava con queste nuove monete le milizie, e da’ sudditi non le tirava, che per il loro valore intrinseco : e maggior danno alla cristianità fu la proposizione ed assistenza, che costui diede alla nuova fab­brica di vere navi da Guerra, facendo venire artefici dalla Cri­stian ità pagati senza risparmio, ed io doloroso spettatore di questa nuova fabbrica mai pui praticata per avanti da’ Turchi ricchi di legnam i som inistrati dalle selve del mar Negro, e di ferro dalle loro famose miniere di Samachò, e d i Telami dal­l ’Egitto, e di a ltri luoghi dell’impero Ottomano previdi quello che purtroppo è arrivato perchè con ta li insegnamenti, di cui il rinegato ne fu l’autore, provvedendosi di buon numero d’ottim e poderose navi da Guerra, con le quali cominciarono ad uscire dalla loro relegazione de’ Dardanelli navigarono con ardire a fronte dell’esercitata Arm ata navale Veneta. Costui fu quello che per obbligarmi con l’opera de’ suoi amici, mi tirò dal Sera- gl'io tu tti l i volumi m anoscritti greci, e riferiti nell’Elenco, e mi procurò la traduzione, e mappe de gli atlanti di Blao, che fu fatta fare dal Sultano Meemeto quarto, con tanta gelosia de’ Mi­n istri de’ Principi Cristiani con l’opera di tu tti li m igliori inter­preti che si trovassero a Costantinopoli e de’ Turchi intendenti di Geografia, e pratici massime nelle parti dell’Asia e dell’Affri­ca, le mappe delle quali pretesero di migliorare. Questo libro anche mi fu carissimo, perchè li Turchi si presero la cura di scrivere li nomi dei luoghi del loro Imperio, come appunto in ora si praticano quando le nostre mappe stam pate hanno le de­nom inazioni tutte diverse, o tante corotte, che a nulla servono quando, per la Turchia si viaggia, come anche succede in altre parti, ed io conoscendo questa necessità, cominciai un Lessico geografico dei soli nomi Turchi, Valacchi ed Ungari. U ltim o mi procurò la famosa Genealogia tutta ripiena di bellissim i ritratti dipinti, che cominciava d’Adamo e veniva sino al Sultano Mee­meto quarto con molta erudizione, ben che in più luoghi mesco­lata di favole e la reminiscenza di questo rarissimo e bellissimo

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codice mi cagiona dolore, perchè mandato in Patria, mi fu tolto, e per questo anche nell’Elenco non se ne fa la dovuta menzione. D i questo furto fatto al pubblico uso, poca felic ità si avrà, cer­tam ente in questo mondo e m olto meno nell’altro.

In Andrin opali decapitato il rinegato, passai alla notizia d’un certo Ism ael Effendi uomo dottissim o, che aveva comin­ciata la pratica per unirmi alcuni volumi della storia Sacra no­stra Cristiana dal Greco tradotta in Arabo per ordine com’egli disse de’ primi fondatori della falsa legge maomettana e tra gli altri tom i che mi prometteva vi era quello, che narrava l’esatta maniera e denominazione di tanti anacoreti, cristiani che vive­vano nell’E gitto, e che servirono di norma a ll’istituzione dei Der- vissi, o loro Santoni e del numero d’essi, e loro instituzioni, e vestiti fra m iei m anoscritti tradotti n’ho una distinta e suc­cinta relazione. Mi disse che, se tempo g li avessi lasciato che m’avrebbe provvisto d’un tesoro di queste traduzioni de’ nostri codici antichi cristiani, che egli sapeva che noi non avevamo più e benché io m’im m aginassi che vi potessero essere di tempo in tempo qualche alterazione favolosa, ad ogni modo per esperienza ho veduto che vi sono ancora sode e recondite notizie, che con­viene di sapere distinguere, e prego che chi passerà in avvenire nelle parti Orientali a valersi di questo raccordo a benefizio della nostra letteratura, già che la m ia improvvisa partenza con le poste per Vienna mi tolse il comodo di veder l’esecuzione delle diligenze del mentovato Effendi.

Le conquiste d i Belgrado e di N issa negli anni 1688 e 89 se­guite m’apersero la strada per cercare libri stam pati, e mano­scritti in lingua Illirica , che io sapevo esser conservati ne’ tanti M onasteri dell’Ordine Basiliano edificati da Principi, e Regoli delle provincie e d istretti d ell'illir ico in siti alpestri, e fra selve appunto secondo l’Instituto Basiliano, e di più instrutto che era stato costume di quei fondatori il collocar nell’archivio del Monastero da lu i fondato la storia del suo tempo, e vita di se stessi, e che per tal mezzo avrei potuto unire una Biblioteca de i Fragm enti della storia Illir ica dopo la decadenza massime del­l’im pero Greco, e che non è sin ad ora nella sua ordinata serie, effetto della deficienza de’ studi in quei tempi, e poi della bar­

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bara oppressione da’ Turchi fatta a quei Regoli, e popoli che gli ubbidivano. Queste mie diligenze presto terminarono per la brevità del dominio allora dell’Armi Cesaree. Il carattere illirico è pure usato nella V allachia in lingua propria del Paese detto Zara romagnesca, o Patria romana, perchè effettivamente tutta qiiella popolazione, non essendo oriunda che dalle romane an­tiche colonie introdottevi e popolare le Dacie non parla che un Italiano corrotto, come anche succede per l ’ intiera Moldavia. E benché non radunassi per l’angustia del tempo, che piccoli fragm enti im perfetti ad ogni modo molto mi hanno servito per unire con m iglior ordine le genealogie di quei Prencipi e notizie della Beratia e Tartari in essa abitanti in ora che do­vrebbero essere stam pate unitamente alle mappe geografiche già term inate e m igliorate nell’ imposizion dei lim iti fra ambi g li Im perii stab iliti secondo la norma della pace di Carlowitz. Il Padre Mabilion d i chiarissim a memoria sopra di ta li m iei nar­rati fragm enti fece una particolar instanza, avendo notizia che nelle mie mani fossero più diplom i degl’antiehi Re di Bosna, ma la sua morte mi tolse il merito di servire a così grand’eru­dito soggetto.

N ell’occasione m entoata de i m iei viaggi lim itanei m’occorse d’imparare che era possibile d’unire una storia dell’illir ico da più secoli, unendo una raccolta delle canzoni o cantilene illi­riche antiche che da’ Ciechi s’imparano, ed altre nuove che si compongono da loro, e di questa facilità naturale di tal Nazione ne restai persuaso per che di settim ana in settim ana li Ciechi circonvicini ai lim iti, inform andosi de i contrasti, e successi fra Turchi, e me facevano col loro metro composizioni in illirico, che venivano di poi a cantare avanti le mie Tende e de’ Turchi accompagnando tutto con suono, ed anche alle volte con danze.

I l cav. R iter poeta latino, ed illirico mi confermò questa ve­rità possibile, mostrandomi in un libro una numerosissima rac­colta di ta li cantilene, che davano tante notizie istoriche, che per mancanza di scrittori, o della conservazione de’ scritti anti­chi s’erano perse, e solo conservate per questo mezzo de* Ciechi che le lasciarono ai successori privi della vista. In ora che l ’armi di Cesare hanno occupata una gran parte della Servia e Valla-

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chia potrà essere ridotto a perfezione questo mio abbozzo in van­taggio della nostra moderna letteratura tu tta intenta a racco­gliere, e pubblicare si fa tti fragmenti, e massime che ci danno notizie di paesi, che da più secoli sono sta ti senza commerzio con le nostre Nazioni colte, ma per il decantato tenore impresso loro da’ Turchi, veruno ardì ne meno pensarci.

Per fine questa mia informazione a V. S. Ill.m a persuaderà il mondo letterario, che col vantaggio dell’armi gloriose di Ce­sare fu i io il primo che com inciassi a tentare il disotterramento di tante cose erudite, che stavano sepolte in gran parte appres­so di nazioni incolte, e che con gli u lteriori progressi di questa ultim a nuova guerra, potranno essere m eglio delucidate da al­tri. Spero che la pubblicazione della mia opera del Danubio l’au­tenticherà meglio, e per la geografia, astronom ia e storia natu­rale ed antica erudizione Romana, che non risparm iai ne fa­tiche, ne spese, ne le congiunture, che mi furono additate da’ m iei impieghi m ilitari in quel Cesareo esercito. Quest’opera è sola­mente difettosa dei rami idrografici del corso del Danubio, e di qualche geografica mappa ; per li quali vi sono gli esattissim i di­segni, per il rimanente a centinaia vi sono g li esquisiti rami ter­m inati, come le necessarie descrizioni latine e tu tto depositato in questo Bolognese Institu to sotto la fede della mia Patria, come tanti a ltr i m anoscritti miei, de’ quali Dio ne farà fare quegli usi che a ltri forse m eglio di me sapranno: e ne V. S. Ill.m a, ne qualunque altro erudito mi faccia reo d i così lunga dilazione a m etterli in pubblico, avendomelo impedito le mie tante assai note vessazioni sofferte nel Mondo per le m ani di chi cercai di servire, e col sangue, fede, e amore, che appunto sono le qualità im m utabili dell’animo mio, verso di chi professerò li gradi di servitù, e d’amicizia, che sono quelli che E lla in me troverà co­stan ti al riguardo della sua erudita, e da me riverita persona, in ogni luogo, e poco tempo che mi resta d i vita, la quale sempre terminerà con la distinzione d’essere con pienezza di' cuore.

D i Y. S. Ill.m a

[ L u i g i F e r d in a n d o M a r s i l i ]

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STORIA NATURALE DE’ GESSI E SOLFI

DELLE MINIERE D I ROMAGNA

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Tra i m olti m anoscritti inediti di Luigi Ferdinando conte M arsili, è bello riesumare questo x contenente osservazioni che l ’Autore non pubblicò mai, sui Gessi e Solfi di Romagna. Non è possibile stabilire l ’anno in cui fu scritto, perchè non porta data : ma in esso cita una pubblicazione, quella del « fosforo m inerale » — la Baritina —, stam pata nel 1698 2 a quaranta anni d’età. E certo anche questa doveva aver sorpassata da qualche tempo, se in izia il ms. con una sfum atura di compia­cenza e un velo di rim pianto:

« Quando, nella mia tenerissim a età di 18 anni intrapresi d i scriuere la già stam pata dissertazione sopra la pietra lucida, o fosforo Bolognese... ».

Ed è con venerazione che noi ci accostiamo a questo lavoro, frutto di osservazioni del M arsili diciassettenne.

« N egl’ A nni diecisette e dieciotto trouandomi a Forlì a seruire l ’Em.mo Sig.r Cardinale Paolucci per certe di Lui fa- briche... » trovò che i Gessi di Romagna, calcinati, invece di mo­strarsi candidi come quelli del Bolognese, presentavano un color rossiccio o grigiastro, e odoravan forte di solfo.

« Tutte queste circostanze m’ inuitarono a non perder tempo, e rendermi a quella Polenta, patria di quei Polentani, che tirran- neggiarono per qualche tempo l ’Esarcato di Ravenna, e che douette essere ancora una colonia de Romani, essendo famigliare

1 Mss. Marsiliani, voi. 88 - E - fase. 2. R. Bibl. Uni ver. Bologna.a h . F . M a r s i l i - De Phosphoro Minerali, seu lapide illuminabili bono-

niensi. Lispia 1698.

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in i la raccolta d’antiche Medaglie, di M osaici e d’altre A nti­chità ».

Cavalca dunque fino a Bertinoro, dove vede le cave di Gesso, tanto dissim ili da quelle Bolognesi a Lui note, perchè il gesso di Romagna non g li si presenta formato dall’aggregato di grandi crista lli, ma sim ile ad una « terra tenera », ad « un tuffo », (m icrocristallino diremmo noi). Ed è questa la qualità che si lavora. Però non manca quella cristallina « come la nostra del Bolognese, ma che da Cauatori non si trauagliaua perchè da loro non si credeua così buona, ma in fa tt i io credo che la loro durezza da superarsi solo con la forza della Poluere rinchiusa in Mine, come su 1 Bolognese si prattica, che (sic) fosse la Causa della loro creduta poco buona qualità », osservazione già fatta in altro lu o g o 1 con una punta di indulgente umo­rismo.

« Mi fu m ostrata fra la terra comune una linea di Chame 2 petrificate le quali mi diedero ansia d i cercare da Cauatori se dentro delle Caue del Gesso si trouassero di questi Corpi D i­luviani ».

Solo un naturalista può comprendere il significato di questa Sua ansia. Chi d i noi non ricorda la gioia nervosa procurataci dalle prime raccolte d i fossili?

V iene di fa tti accompagnato in una cava, (non dice quale), dove « trauagliando li Lauoratori me’ presente, con la Zappa mi tirorono alcuni d i quelli lam inari fragm enti a lla profondità di piedi . . . . con le im pressioni accennate ».

Commette allora che glie ne procurino quanti più possono, e la Sua raccolta la porta « dentro dell’is titu to » così che gli esem plari « da Professori della Storia N aturale potranno es­sere pubblicati ».

P assa poi a visitare i forni dove si calcina il Gesso, e nota

1 « Della Miniera del Gesso che si cava nel Territorio di Bologna » (in appendice a quella « De Phosphoro... »).

2 Oggi, Chama è un genere di Lamellibranchi Eterodonti, ma pel Mar- sili, stà in logo di «conchiglie».

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che sul principio di ogni infornata la fiamma si fa cerulea « essendo quel solfo, che contengono, il primo ad ardersi ».

N elle Sue escursioni tra cava e cava ritrova sempre fram­m enti di solfo, e avendo saputo dalle genti del luogo che a Casalbuono sono cave di questo minerale « mi risolsi di trat­tenerm i un giorno iu i per formare una piccol carta del Paese, per indagare la linea con la quale questa questa miniera di Gesso progrediua uerso ta l Miniera di purissim o Zolfo », (Fig. I), tanto più stim olato alla ricerca e confermato nella sua opinione da quanto gli dicono: «che non ui fosse mai stato l’esempio d i trouare solfo doue non fosse Gesso. Dunque conobbi necessario di formare una Mappa che comprenda il Parm igiano Modenese Bolognese Imolese Faentino Forlivese Bertinoro Cesena Rimini Pesaro Senigaglia e Ancona » per di­mostrare la linea dei Gessi e dei Solfi. Compose la M appa, ma non la pubblicò mai, e nemmeno la rifinì. Ma la disposizione geografica dei depositi gessosi, la loro struttura tettonica, la loro coesistenza coi Solfi erano fenomeni troppo regolari e gran­diosi per essere casualm ente vicini. E il M arsili ne induce un rapporto genetico, mostrando così una mente e un habitus di naturalista che stupiscono in un ragazzo — quale E g li era ancora — ed in quel tempo.

N ella successiva parte del ms. descrive la costituzione, 1’« or­ganica struttura » dice Lui, delle cave e dei pozzi, fornendo così delle vere e complete sezioni geologiche che precorrono di una cinquantina d’anni quelle pubblicate dall’Arduino (1758), le più antiche finora note nella Storia della Geologia. (F ig. II e F ig . III).

« È in uso a questi Cauatori di chiamare li strati che co­minciano doppo della Terra comune, e che sono partecipanti di Gesso, col nome di Sega, e g l’a ltri strati di sostanza men dura, e più glutinosa e som igliante alla Terra, eoll’altro di Giul ».

La m inuta descrizione degli strati che si incontrano nei poz­zi si può leggere nel m anoscritto, inedito, che riportiamo per intero, e nella M appa, molto chiara e completa, sul valore della

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quale, come primissim o esempio di sezione geologica provvista di una nomenclatura, insistiam o in modo speciale (Fig. II).

N otevole è il rapporto che il M arsili giovinetto istitu isce tra la natura del terreno e la flora:

« Lo strato di terra lauoratiua, che copre la prima Sega è per il meno largo un braccio, ed il maggiore è quello di tré. Questa produce Arbori Quercinij, Mori, Vigne esquisite.... ». « From ento e Orzo in pochissima quantità ui cresce ».

Esaminando la posizione della « Vena del solfo » trova che essa poggia su uno strato di « Terreo Tuffo nero » « impresso della figura di Pesci P ia tti », e subito m ette in relazione questa fauna a pesci con quella a molluschi, delle miniere di Gesso.

Ma dove più l ’osservazione comparata lo conduce a rasentare il m otivo che doveva poi fornire la spiegazione sulla natura e l ’origine dei depositi gessosi è in questo passo :

« Tutti questi strati di Pietra, quando arriuano nella pen­denza d’ una collina si restringono, anzi quasi s’ uniscono in una linea » « e questo ristringim ento ha pure ad ogni modo l ’ istessa diuisione in piccolissim a larghezza [potenza diremmo noi] che è ne’ grandi strati » « Osservazione che pure tanto vale per spiegare la s tru ttu ra organica della Terra ».

E poco oltre nota come il rapporto tra le potenze dei vari strati m uti da luogo a luogo : « si trouano con altra proportione tra loro ».

Non è forse questo il germe di un buon capitolo di strati- grafia?

* * #

« Queste sono le notizie che ho raccolte » « a fine a suo tempo di combinare quanto sia diuersa la vegetazione di questi solfi d a ll’altra di quella di Nettuno su 1 Mediterraneo, e poi con la Carta Geografica uedere come corrispondi questa linea delle m iniere del Solfo, dell’Oglio di Sasso, e fuoghi nel Modenese con il Vesuvio e Monte Etna, che si comprenderà doppo subito com posta la mappa per questo uso, e per l’altra della linea de Gessi, che da Parma comincia e termina in Ancona ».

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Termina poi, proponendosi di porre « in netto » gli schizzi e le carte; di figurare gli solfi e i fossili da Lui raccolti, per « non restare io col debito di non auere per tale inspettione term inato [quello] che era da dirsi correlativamente alle mie Osservazioni sopra di ciò ».

Come si vede dalle carte abbozzate, il M arsili aveva già sin da quel tempo intuita la relazione genetica tra solfi e gessi, quantunque poi esagerasse attribuendo ad una causa unica non solo queste, ma anche tutte le m anifestazioni di idrocarburi appenninici, e persino i vulcani della Penisola. Ma quelli sono g li errori del tempo, e forse il M arsili giovinetto era ancora sotto l’impressione dell’opera, allora pubblicata, da Antonio F ra sso n il, dove, con bella sicurezza è detto, per citarne una, che il monte so ttoposto a lla Salsa di Sassuolo, nel Modenese, è « totus cavernosus, bitum inisque ac sulphuris plenus ».

S i doveva giungere al Breislak, al Volta, allo Spallanzani, prima di assegnare alle lor diversissim e cause questi fenomeni tanto variati, che avevano il torto di ricondursi a ll’elemento « fuoco ». E le scienze naturali, come scienze di pure osserva­zione obbiettiva, risentivano a quei tempi ancora troppo l ’in­flusso della scienza simbolica del Medioevo, fondata su tut- t ’a ltri principi.

I l M arsili lascia intendere spesso come, inducendo dall’al- l ’allineam ento e dalla coesistenza dei depositi solfiferi e gessosi, si possa risalire alla causa o alle cause che li generarono. Re­stava a scoprire il nesso genetico, e il modo, che Egli, sforzando oltre le vaghe idee del Suo tempo la propria scienza, forse intra­vide, e che, (lo vediamo del Suo continuo ricondursi a questa idea dominante) intuì con chiara certezza. Ma gli mancò quella che potremmo chiamare la m ateria prima a tale costruzione teorica : il sussidio dei dati chimici e i chiarim enti della Geolo­gia attualistica. Così non costruì nessuna teoria. Ma in questo appunto lo riconosciamo tanto più nobile a grande: perchè quel­la Sua rinuncia, che non potè essere se non dolorosa, lo portò a

1 De Thermarum M. Zibii 'Natura, 1660.

13

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superare la scienza del ¡Suo tempo, e Sè Stesso. I l M arsili chinò il capo davanti ai fa tti nudi che vide e descrisse, ma nel ricono­scere la propria impotenza a spiegarli, e a cooordinarli in una teoria che fosse l’eco almeno dell’ordinamento naturale delle cose, aprì la strada e additò la rotta a quelli che verranno dopo. In questo intim o dramma dell’orgoglio scientifico, il M arsili è tutto, perfettam ente moderno.

Moderno, perchè anche la nostra scienza è costruita di innu­merevoli fatti, raccolti da una m iriade di osservatori pazienti e oscuri, e da poche teorie cardinali, sempre incerte, sempre m utevoli, ed oscillanti intorno ad un nucleo di verità che arri­viamo solo ad intuire, direi, con parola forse un poco spirituale, a presentire.

M arsili è tra i primi di coloro che, abbandonato il porto della scienza medioevale, simbolica e deduttiva, si gettarono per il burrascoso mare di quella moderna, che ha per faro l ’osserva­zione, e l ’induzione per guida.

D al Museo Geologico della R. Università di Bologna, luglio 1930, V i l i .

T in o L i p p a r i n i

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Storia naturale de Gessi e Solfi delle miniere che sono nella Romagna fra Forlì, Meldola,

Polenta, Cesena, e Sarsina

[Mas. Marsiliant 88-E fase. 2 R. Bibl. Univer. Bologna ]

D e G e s s i 1

Quando nella mia tenerissima E tà di 18 Anni intrapresi di scriuere la già stampata Dissertazione sopra la Pietra Lucida ó fosforo Bolognese, che hà apparenza di sostanza Gypsea, m’estesi in un succinto racconto delle diuerse specie de Gessi che in tanta abbondanza crescono di così esquisita qualità nel nostro Territorio d i Bologna ed exiandio uicino a siti, da doue si raccolgono le m entoate Pietre Lucide. La diuersità fra’ essi consiste nella m inore e maggiore grandezza di quelle scaglie, che le compongono, e colori men chiari, anzi cenericei, e tutte egualmente pelucide, come nella medesima D issertazione ue ne sono le figure, che bastantem ente esprimono il tutto.

Negl’Anni diecisette, e dieciotto trouandomi a Forlì a seruire l ’Em.mo Sig.r Cardinale Paolucci di N.ro Signore Secretarlo di Stato, e particolarm ente per certe di Lui fabriche trouai che que Gessi ancor che calcinati nella forma solita per ridurli nella Loro attiu ità di consistente coagulazione erano Cenericej, ì-ossigni, ed a ltri quasi neri, quando questi di Bologna così pre­parati sono quasi sempre d’un colore bianchissim i. Tale diuer­sità da questi del Bolognese mi sollecitò a comettere in Polenta i l trasporto d’alcuni pezzi delle Miniere de’ quei Gessi, e questi da me ueduti mi paruero pezzi appunto di Terra Cretacea, e Tuffo Laminale, senza punto auere una menoma somiglianza

1 La forma del manoscritto è sciatta e, specie nelle note aggiunte, pessima. Esso doveva essere tutto riveduto dall’Autore.

Noi lo riportiamo integralmente e fedelmente, anche per l’ortografia.

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ne’ per ragione delle Scaglie, nè di pelucidità con li nostri di Bologna, e quel che più mi sorprese fù L’Odore d i purissimo Solfo, che rendéano. Tutte queste circostanze m’inuitorono a non perder tempo per rendermi a quella Polenta Patria di quei Polentani, che tiraneggiarono per qualche tempo l’Esarcato di Ravenna, e che douette essere ancora una Colognia di Romani, essendo fam igliare iu i La Raccolta d ’Antiche Medaglie di Mo­saici e d ’altre Antichità.

lu i giunto mi conobbi uicino a Bertinoro, e tutto cinto dalle Caue di questi Gessi che ritrouai appunto sim ili alle Mostre 1 mandatemi a Forlì, e per li Colori estratti Lam inali di Sostanza friabile, ed opachi, e d’ una delle Caue ne feci un sbozzo di Disegno, che è la F igura prima. 2 Passai a ll’ altre, e le trouai sempre saluo ne’ Colori d’ una stessa sostanza, e con il mag­giore, e minore prementoato fettore Sulfureo.

Caualcai attorno Bona parte di questo territorio Polentano, che trouai fertile di Vini, F rutti, come Olivi,, Fichi, Pom i Gra­nati, e d i tempo in tempo incontrai pezr5 di Gesso a Scaglia pelucida, come la nostra del Bolognese, ma che da Cauatori non si trauagliaua perchè da Loro non si credeua così buona, ma in fa tti io credo che la Loro durezza dà superarsi solo con la forza della Polvere rinchiusa in Mine, come su 1 Bolognese si prattica, che fosse la Causa della Loro Creduta poca buona qualità. Incontrai pure in più siti Vene di Scagliola eguale alla nostra del Bolognese da P. Lineo nominata Lapis specularis. Mi fù m ostrata fra La Terra Comune una Linea di Chame petreficate, le quale mi diedero ansia di cercare da Cauatori se dentro delle Caue del Gesso si trouassero d i questi Corpi Di- luuiani, ma mi negorono d’auerne maj incontrati, ma bensì in una particolarm ente essere fam igliarissim o di trouarsi foglie, Erbe, Legni im pressi fra quelle Lamine, anzi le Stesse Sostanze ‘i Foglia e d i Legno. Mi portai alla V isita d'essa Caua e traua-

1 « Mostre », in luogo di « campioni », « esemplari » o altro. Spagno­lismo.

2 Sitione d’una Caua da Gesso di Polenta profonda 36 braccia, in :Mss. Marsiliani 88 - E - 3 : Note e Frammenti di Mappe Geografiche. Cheserveno alla Storia Naturale de’ S^fi. (Fig. III).

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gliando li Lauoratori me’ presente con la Zappa mi tirorono alcuni di quelli Laminari fragm enti alla profondità di piedi . . . . una piccol Carta del Paese, per indagare la Linea, con la quale questa Miniera di Gesso progrediua verso ta l Miniera di finis- con le im pressioni accennate. Ne Cornisi l ’ unione di conside­rabile numero per la quale se n ’ é formata una serie di Perni diuersi appunto con Legni, foglie d’Arbori, ed anche Erbe la quale è stata posta dentro dell’Instituto con tu tte le diuerse sorti di questi Gessi Lam inari Opacchi Sulfurei e che nelle Loro F igure da Professori della Storia N aturale potranno essere pubblicati.

V isita i li Forni, doue questo Gesso si calcina, e li trouai tu tti cauati in Terra rozzamente ed in parte fabricati con le Lamine dello stesso descritto Gesso, e massim e il Coperto dalle Pioggie, come sono anco le Case. In essi mantengono il Fuoco hore . . . . , che già sul principio la Fiamma partecipante del ceruleo, essendo quel Solfo, che contengono il primo ad ar­dersi ed il segno che la Calcinatura sia perfetta è quello.

Mi mostrarono in a ltri s iti dello stesso Territorio più altri Corpi D iluuiani di diuerse specie pure m andati nell’Instituto ; V iddi pure una Caua di Pietra p iù dura di Gesso di Color Plumbeo, che pigliando la pulitura come una specie di Marmo, se ne seruono a far gradini da Scala, P ietre da Finestre, che è quello stesso che ne Contorni di Melddla si caua ora bianco puro, ora bianco m isto di rossigno, faccendone g l’O rnati nelle Fabbriche, e p igliando il Lustro a lla Sembianza di Marmo e che ne più ne meno è di durata quando siano Liberi dagl’ insuilti delle P ioggie, e Ghiaccij, ed una Serie di questi è pure collocata nell’Institu to con pezzi di una Specie d i Marmo Lumachella che è Composto di quantità di Chame, e che a pezzi sciolti si trouano ne Torrenti, e che in Forlì più ne feci segare per ten­tarne con l ’union di più fragm enti la Costruttione d’una Tauola, ma benche pigliasse una bella pulitura ad ogni modo non era ne’ consistente, ne di Durata.

F rà queste Caue di tempo in tempo, come per li Campi trouaj Fragm enti di Solfo leale m isto con Terra e da Caua- tori auendo informazione che in un V illaggio di Nome Casal­

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buono poche miglia distante ui fossero bellissim e miniere di Solfo puro, m i risolsi di trattenerm i un giorno iu i per formare simo Zolfo, e combinare come s’unisca con l’altra di Brisighella sopra Faenza, e di Tossignano sopra Imola, e Castel S. Pietro, Varignana, Castel de Beretti, S. Rafaelle, Gaibola e Gessi — ed altri luoghi del Modonese e Parm igiano Stato, in cui cessa questa m iniera da doue cominciarà la Mappa, e finirà sin in An­cona doue è l’ultimo sito che s ia a notizia questa Linea Gipsea lungo la falda dell’Apenino che corre Parallela a ll’A d riatico .1

Questa si slarga lungo il Fium e Sauio verso Sarsina per quel tratto di Paese che è occupato dalle miniere di solfo, at­teso che li Cauatori prattici concordemente asseriscono, m’assi- curorono che in tu tte le Miniere che indiuidarò nella Mappa Sulfurea sempre m’è un numero Considerabile di strati delle descritte specie, anzi che non ui fosse mai stato l ’esempio di trouare Solfo doue non fosse Gesso. Dunque conobbi neces­sario di formare una Mappa che comprenda il Parm igiano Mo­denese Bolognese Im olese Faentino Forlivese Bertinoro Cesena Rim ini Pesaro Senigaglia e Ancona, per giustam ente dislocare il sito delle Miniere così fertili di Gesso e Zolfo, che è sino a tSareina lungo il Sauio, e il tratto della falda dell’apennino che guarda l’Adriatico, in cui è noto esserui la Miniera di Gesso, e ne siti, che indiuidarò mista anche col Solfo. In detta Mappa pure per PerudM one si uedrà espresso il sito della famosa Sar­sina, così ricca d’antichità, che ho unite per poterne faxe una Dissertazione, ma più di tutto è curioso l’Origine del Sauio, che Cadde con Una sua Valle frà Monti sino a Cesena ed indi per pianure in parte palludosi al Mare A driatico vicino a Fonti del Teuere, che per un’ altra V alle da me pure caualcata A nni sono conduce a Roma, ed al Mediterraneo. Chi uede questa situa­zione comprende di quanta importanza fosse a Romani d’espu­gnare li feroci Popoli Sarsin iti per aprirsi una comoda, e più brieue Comunicazione con le Gallie, e per il di più sopra di tal soggetto a suo tempo se ne aurà discorso, douendo per ora stare nel mio assunto de Gessi, e Solfi.

1 Mss. Marsiliani 88 - E - : Mappa non perfettionata etc.

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STO RIA N A TU R A LE D E’ G E S S I E S O L F I 199

Comincia] il mio esame oculare sopra della struttura de Pozzi per cauare la miniera di Solfo, anatomizzando quelli di Casalbuono nella superfìcie del Terreno fertili sino al filare del puro Solfo, distinguendo li diuersi strati, e di Terre, e di Pietre sourapostosi ed infrapostosi.

In una particolare Mappa del D istretto d i questo Villaggio, che è la figura 2® 1 si uedrano due diuersi siti, uno detto de Pozzi nuoui, l’altra de Veechij, ed ambi esposti a Leuante, e mezzogiorno, condizione, che al dir de P eriti non poco contri­buisce alla fertilità di questa miniera, ed in fa tti le altre parti comandate da Settentrione e Ponente ne sono priue, ma anche quel Terreno lo trouai arenoso e senza quella struttura Organica, che dimostrarò nell’esame del profilo d ’uno de Pozzi, e che nelle sue parti in disegno sarà distinto.

Prim a di dar mano a ll’ esame particolare delle miniere di solfo, trouo a proposito di mostrare in una particolar Mappa come queste miniere così abbondanti di Solfo siano disposte frà Sarsina e Cesena, e Bertinoro e Meldola, e che seruirà a maggior chiarezza che l ’altra più uniuersale frà il Parmigiano et Anconetano. La N atura ha fatto questo suo Maggior sforzo di così rari solfi s i può dire, ò alle Ripe, ò alla V ista del Fiume Sauio. Li luoghi che sino ad bora anno miniere note sono M agliano a Leuante di Sarsina, Ciaia di là dal Sauio quasi a V ista di Mercato Saraceno, Casa d i Guido pure di là dal Sauio, Monte aguccio Monte uecchio egualm ente di là dal medesimo Fium e di quà l ’altre sono Monte Fottone, Burattello, Falcimo, e Casalbuono luoghi tu tti d islocati nell’istessa mappa. Non sa­rebbe impossibile, anzi probabilissim o in questo Territorio di trouarne a ltri quando ui fosse chi uolesse azardare le spese a ll’e- scauazione di nuovi Pozzi, che sono escauati con somma briga per la durezza delle P ietre Terre e Miniere di Gesso in cui si deuono escauare.

La Miniera di solfo in queste parti camina con la di Lei Linea, o F ilone continuato Paralella all’Orizonte, a P iaia, alla Cà d i Guido, Mont’Aguccio, a Monte Fottone, a B urattello, a

1 F ig . i .

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Falcino, a Casalbuono. Perpendicolarm ente all’Orizonte è in Magliano, e per tale disposizione è anche detta da Cauatori a Muraglia e col uantagio di m anifestarsi nella superfìcie della terra, dalla quale cominciano senza azardo l’escauazione se­condo d’essa sulfurea muraglia. Attiguo camino nelle Miniere di Formignano, e Monte Vechio doue è in uso a questi Cauatori di chiamare li strati, che cominciano doppo della Terra, e che siano partecipanti di Gesso col Nome di Sega, e gli a ltri strati di sostanza men dura, e piue gluttinosa, e som igliante alla Terra coll’altro di Giul, come la stessa Miniera è intitolata Pedra di Solfo \

Coi Pozzi di diuersa profondità si ua a sorte a cercare la Vena della Miniera quando non si fosse m anifestata alla super­fìcie della terra, che accade solamente in quella di Migliano chiamata Aboraglia, perchè come si è detto della superfìcie della Terra perpendicularmente procede a ll’ingiù. Questi Pozzi sono di Larghezza piedi . . . . sufficiente a potere con un Molinello descender g l’ Huom ini per trauagliare, come ad estraere tutto, che si caua. da medesimj. Le loro profondità sono diuerse, se­condo che le descritte Seghe sono più, e meno larghe, atteso che ne Pozzi di Casalbuono tanto della miniera nechia, che nuoua, che ho particolarm ente essam inate queste Seghe [illeggibile] osservano sempre lo stesso numero nell’ordine e materie, che li compongono, che intraprendo di descriuere con la susseguente Figura . . . . che è d’un Pozzo profondo braccia . . . . tagliato nel suo profilo, e diuiso tanto ne Strati di Pietra la maggior parte di Gesso col nome di Sega, come negl’altri d i Terra conglutti- nata ed indurita prossimamente alla natura di Pietra, e deno­m inata Giul. Le Seghe hanno diuersi nomi scritti nel dissegno ne loro interspazij dissegnati con le loro Misure m isurate con l ’annessa Scala, che è lo stesso p ra tica to s i con il Giul o con linee sotto ta l Nome per che ogn’ uno col Compasso alla mano si possa soddisfare.

Io strato di Terra Lavoratiua, che copre la prima sega è per il1 meno largo un braccio, ed il maggiore è quello di tré.

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1 F ig . l i .

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Questa produce Arbori Quercinij, Mori, V igne esquisite, e che m eglio crescono, doue g li gettano il Capo morto, o P ietra, che col fuoco è stata spogliata del solfo, essendo quasi una specie di Calce, che bagnata dalle pioggie fiorisce d’un Colore Ceruleo. Questi Vinj sono dolci, forti di un colore denso Ambrino difí­cilm ente passano in Orina, auendoli io stesso esperimentato. L’Erbe non sono fertilissim e, ma in lontananza de Pozzi li Ar­m enti le pascolano, che non è in uicinanza atteso g l’ aliti, che prouengono da Pozzi, e da Fornj, doue collano il Solfo, che insteriliscono il prossimo contorno di Terra e causano un sa­pore nelle medesime auerso agl’Armenti. Fromento, e Orzo in pochissim a quantità ui cresce.

Li strati di P ietra sono più, e meno ricchi di Gesso d i qual­che diuerso colore, ed alle uolte m escolati di pezzi di Legno im petriti di foglie d ’Arbore, come ho descritto trouarsi nelle Miniere di Gessi di Polenta. I l Strato su cui passa la Vena del Solfo che è tutto di Sostanza d’un terreo Tuffo nero, che ha un Lustro Untuoso, e che m olte uolte è impresso della figura di Pesci P ia tti e che subito portati a ll’Aria s disciolgono in Poluere.

T utti questi strati di Pietra, quando arriuano nella pen­denza d’una Collina si ristringono, anzi quasi s ’uniscono in una Linea, come si uede nel profilo, e questo ristringim ento hà pure ad ogni modo l’istessa diuisione in piccolissim a larghezza, che è ne grandi strati, e si chiama da Cauatori Risegone, chè taglia l ’istessa Vena del Solfo. Osservazione che pure tanto uale per spiegare la struttura Organica della Mole della Terra.

Come ho detto queste Larghezze de m entoati strati negl’altri D istretti, e miniere diuerse da quelle di Casalbuono uechia, e nuova si trouano con altra proportione fra’ loro.

N ella M iniera ueechia col comodo d’un piccol Vallone, per cui corre un piccolissim o Torrente si è formata in quella Costa un’Escauazione non a Pozzo, ma a G a ller ia ,1 per la quale si ar-

1 Credo che questo sia il primo accenno scientifico a quei fenomeni Carsici i quali, oltre che sui Calcari e le Dolomie — dove sono parti­colarmente grandiosi — si verificano, in iscala più ridotta, nei nostri Gessi.

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riua alla Vena del Solfo quasi allo stesso Liuello del Piano del Vallone. In questi Pozzi l ’acqua li molesta, molte uolte, e causa infettione agl’Operarij, che alle uolte sono sta ti obbli­gati d’abandonare li medesimi per quel fermento, che li cagio- naua 1’ istess’ acqua ; bensì è fam igliarissim o l ’ Accidente, che l ’Aria manchi a danno degl’ Huomini, e senza possibilità di mantenere il Lume di Candella, e ne meno il fuoco de carboni accesi, essendoui li Pozzi della Miniera d i Falcino doue per un insopportabile freddo nell’E state, come caldo poi temperato nell’ [Inverno] bisogna abbandonare per tu tta l ’E state, e sino a primi d’Ottobre doppo seguita qualche pioggia si ripiglia la solita escauazione trauandosi allora un caldo temperato. Nel- l ’ E state il Lume di Candella benche’ non estinguasi a fatto in qualche miniera ad ogni modo è debolissimo per quando il contrario nell’ Inverno è tutto viuace. Nelle Vene del Solfo detto P ietra di Solfo si trouano differenze de Colori, e qualità interne. Li Colori sono comunemente d’un berettino giallastro, e Terreo, altre sono d’ un giallo ambrino alle uolte mescolato d ’un Rossigno ad apparenza Oleaginosa, e questi non sono così comuni, per chè s’osservano solamente ne pezzi d i solfo detto Vergine alle uolte disposto in piccoli granj ed alle uolte in glebe grosse come un Pugno, ed alle uolte in una Crosta, che inueste pezzi di Miniera, come nelPInstituto d’essi ue n’ è una bellis­sima serie, e quando ciò in abbondanza s’incontra è segno che la miniera corre del Solfo è vicina al fine, e che è quello, che anche accade nelle Miniere de M ettalli, che quando hanno le Loro Vene così ricche di pezzi puri del proprio Minerale s’os­servano uicine al fine.

Questo solfo chiamato Vergine si raccoglie con premura per uenderlo ad uso di Medicina, ed in fa tti acendendolo si con­suma con una bellissim a fiamma senza lasciare un minimo segno di Terra, ne’ d’altra materia, che fosse stata con essa mesco­lata, come s’osserua nella miniera corrente, che lascia, come a suo luogo si dirà una considerabil parte di se’ stessa in Capo morto, che è [<Zi] diversissim o uso.

La Proporzione della ricchezza, o Pouertà della Miniera de in . esim i solfi si m isurano con la quantità di solfo fluido che

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STO RIA N A TU R A LE D E’ G E S S I E S O L F I 203

per il fuoco se ne ritira dalla misura comune da quei Cauatori, che è d’un staro di grandezza tale che riempito di questa mi­niera lo possino maneggiare, e di questi Stari ne fanno poi un’unione di due, che è la quantità, che compartiscono in due Olle di Terra cotta, dalla quale contano l’E stratto del solfo, per che se ne cauiano (sic) da esso duecentocinquanta Libre di puro solfo liquefatto, che verrà a corrispondere a cinquanta Libre per cento di P ietra ricca, e se è magra ne verranno solo uinti Libre, essendo degno d’Osservazione che è d’un grandis­sim o aggravio la spesa del Legname da far fuoco, che in consi- derabil distanza deuono condurre a schena d’A nim ali da Re­m ote selue, e dolendo questo a ll’altro degl’Huominj, e del molto costo de Pozzi, e m anifattura di collarlo, e uettura di condurlo alle Spiaggie del Mare e Cuota (sic) da pagarsi a SS.ri del Fondo, conuiene che la miniera almeno non sia molto meno della mediocre bontà, per poterne riccauare qualche utile. Per dim ostrare l’Arte di separare il solfo dalla m iniera rozza conuiene d i formare questa figura d’un forno, che contiene quat­tro Olle di Terra cotta della forma, che si uede, e chapacità d’un staio di P ietra di Miniera, e che unicam ente si fabricano a Monte Sasso su la ripa del fiume Sauio a tré M iglia da Sar- sin a doue ui è una terra rossa proporzionata a tal uso, e com­paginata d a ll’im istione d’un certo Marmo bianco poluerizato che la rende più forte alla resistenza del Fuoco. Le due Olle, doue si pone la Pietra di m iniera sono collocate più basse dell’altre due, che riceuono per li Canali d’unione fra loro i l solfo quando dal fuoco uiene a ta l’altezza sublimato, e che da questi per li loro Canaletti cade in una Buca sotto d’essi cauata dentro della Terra semplice, doue si coagula in certi Cubi quadrati di quel peso, che si rende maneggiabile.

Questa liquefazione dentro delle due Olle Inferiori a pena che la miniera si riscalda comincia con un sudore, che per una hora di continuo unendosi assieme più tosto precipita sotto del Capo morto, ma poi ripigliando un feruido bollore si sublima, e uà per il descritto Canale nell’Olla più eleuata, che è uota per riceverlo atteso che in poco più di tré altre Ore la m iniera ■si riduce in un Capo Morto spogliato di tu tto il Solfo, auer-

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tendosi che se la miniera è magra che (sic) ta le separazione succede anche un'ora prima, di modo che in tré, e quattro Ore al più è terminata una di quelle Cotte, che in un giorno hanno in uso di farne tré. Queste sono le notizie che ho raccolte tanto per la situazione delle Miniere rispettivam ente a ll’una ed al­l’altra, che ¡’Organica Struttura, e m atteriali d’E stratti, che compongono questi Monti, e diuersi eterogenei Corpi, che in essi si ritrouano, e diuerse specie di miniere di Solfo e Natura della comune Superficial Terra, e diuersi accidenti massime per l’Aria dentro de detti Pozzi, e per le diuerse Linee delle Miniere a fine a suo tempo di di combinare quanto sia diuersa la uegetazione di questi solfi dall’altra di quelli di Nettuno su 1 Mediterraneo, e poi con la Carta Geografica uedere come corrispondi questa Linea delle Miniere del Solfo, dell’Oglio di Sasso, e fuoghi nel Modenese con il Vesuvio, e Monte Etna, che si comprenderà doppo subito composta la Mappa per questo uso, e per altro della Linea de Gessi, che da Parm a comincia e termina in Ancona.

Questa mappa particolare de Contorni del Sauio deue es­sere posta in netto, come composta l’altra delle parti d’Ita lia compresa la. S icilia. Posto chiaro una figura della miniera di gesso di Polenta, doue sono tante belle curiosità di P ietre figu­rate, una particolar Carta del Territorio di Casalbuono. La F i­gura d’uno de Pozzi d’esso Luogo. L’altra d’una Fornace con quatt’Olle per collare il Solfo.

A questa Relazione sarebbe pur U tile l ’unire alcune figure de pezzi di gesso di Polenta con l ’altre de’ Corpi D iluuiani, come quelli de più bei pezzi de Solfi descritti, che si potrà fare dalla diligenza di chi regge le stanze Naturali col comodo degl’Ori- ginali, che hanno nelle mani, essendoui egualmente g l’altri di Nettuno bene circonstanziati, e m’affrettarò di mettere in chiaro le predette figure, che io solo posso terminare a comodo di chi uorrà una uolta seruirsene, e non restare io col debito di non auere per ta le nspettione terminato [quello] che era da dirsi correlativam ente alle mie Osservazioni sopra di ciò.

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F I G U R E

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Fig. I. - Come le Figg. II e III rappresentano le prime sezioni geo­logiche, questa è la prima carta geologica nota. Poiché il Marsili non usò (nè l’arte tipografica di Suo tempo lo permetteva) i colori, segnato il corso dei fiumi, e il luogo dei paesi come punti di riferimento, rilevò solo i monti costituiti di gesso, lasciando bianco lo spazio di tutti i cir­costanti, geologicamente diversi.

Del resto, ancora al Marsili và rivendicato il principio dell’uso dei colori nella costruzione delle carte geologiche, come si vede in profili di miniere di ferro tedesche, profili che pure giacciono tra i Suoi mss. inediti.

La carta è orientata inversamente alle nostre, e questo per il comodo dell’osservatore, che comunemente sale dalla pianura sù verso i crinali.

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Fig. II. - Per questa figura valgono le osservazioni fatte alla seguente.Si noti come il Marsili, nel Suo rilievo, seguì i banchi del Gesso sino

alla fine, dove, assottigliandosi, terminano, fornendo così la figura di una « lente », termine che usiamo noi ora.

Interessante poi l’uso della parola «Orizzonte», che troviamo qui per la prima volta applicata in Geologia, con un significato molto chiaro, e di uso generale. Questo vocabolo comparirà assai più tardi, e sempre ser­virà ad indicare un accidente, paleontologico, litologico, o mineralogico, che, caratteristico in una data regione, serva come punto di riferimento al geologo per orizzontarsi rispetto ai terreni sotto- e soprastanti.

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Fig. III. - E’ una sezione perfetta, munita della sua nomenclatura, che, per non essere ufficiale, non è men chiara ed esatta.

Fra strato e strato il Marsili ha persino segnato quei sottili stra- terelli marnosi (i più fertili in fossili, nelle Gessaie) che effettivamente separano sempre l’uno dall’altro I banchi di selenite, e li ha battezzati col nome di « interspatlo ».

Se pensiamo che questa è forse la prima■ sezione geologica fatta a quei tempi, non possiamo non ammirare la diligenza e l’obbiettività con la quale è stata condotta. E non è che un abbozzo.

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STORIA N A T U R A LE DE’ G E S S I E S O L F I 211

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COMPENDIO

DI UNA STORIA DELLA TIPOGRAFIA

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La versatilità, e possiam o dire l’aspetto dell’universalità del­l’ingegno del M arsili, oltre e più che dalle opere, è provata dalla congerie ricca e preziosa dei suoi m anoscritti, che conservansi nella Biblioteca Universitaria d i Bologna. Tutto lo scibile, spe­cialm ente quello applicato a qualche arte o svoltosi in forma di u tilità per il genere umano, trova là una qualche rappresentanza o espressione : non escluse le arti belle, non le manuali. S i com­prende perciò come fra i m anoscritti m arsiliani non manchino quelli che si riferiscono alla tipografia e ai libri in generale. 1

Tanto meno può pensare che manchi questa branca chi sa quale amore egli portasse ai libri, come nel grandioso disegno che egli fece dell’istitu to , che poi fondò nel 1712 affidandolo al Senato bolognese,2 a cui fece contemporaneamente dono d i tutte le doviziosissim e sue raccolte, occupasse un posto cospicuo la Libreria o B iblioteca che doveva accompagnarsi, come dotazione indispensabile, ai gabinetti delle varie scienze e delle arti, come infine lo stesso M arsili raccogliesse caratteri e m ateriale im-

1 Per persuadersene basta scorrere il Catalogo dei n u im scritti di Luigi Ferdinando M arsili conservati nella Biblioteca Universitaria, di Bologna (Firenze, Olschki, 1&28) compilato a cura di L o d o v ic o F r a t i .

2 Instrumentum- donationis illustrissim i et excellentissim i v ir i Domini C'omitis A loysii Ferdinandi de M arsilns favore illustrissim i et Bxcelsi Senatus et c iv ta tis Bononiae in gratiam novae in eadem Scientiarum Insti- tutionis. Bononiae, ex typ. Bononiensi S. Thomae Aquinatis, 1727, L’ 4- Strumento di donazione ha la data dell’l l gennaio 1712.

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pressorio 1 e fondasse una vera e propria tipografia che poi «la lui venne donata ai Padri Domenicani, affinchè servisse allo Studio, a ll’ Istitu to e alla religione. 2

D ella tipografia ho già parlato altrove, 3 facendone notare le saggie disposizioni e indicando come la « Stam peria » sua avesse poi lunga e florida vita, Ma per quanto riguarda la libre­ria, non possiamo non notare che nelle stesse Costituzioni del­l ’is t itu to delle scienze redatte da lui alla fine del 1711 facevasi menzione di « una Biblioteca di libri delle m igliori edizioni », di « un gran numero di m anoscritti arabi, persiani, turcheschi e greci » e di un « sortim ento d i scelti caratteri per le stampe », e che fra i professori e direttori dei singoli reparti era previsto il « Biblotecario ». E poiché si procedeva dal Senato con una certa lentezza, scrivendo nel 1720 al card. Origo sulle deficienze che ancora restavano nell’ Istituto, non trascurava di attirare l’at­tenzione sopra la Biblioteca :

« Il Faso della L ibraria che si occuparà, per tutta la loggia che riguarda 1’ orto dei semplici, non ha bisogno d’ altre fab­briche che di quelle che riguardano a fare la volta e chiudere l i grandissim i finestroni, improporzionati ; ordinarie finestre per aumentare lo spacio da tenere le scanzie. Queste si dovranno fare con buon intendimento, come io stesso individuaré, alla sim ilitudine di quelle della Minerva; e valersi di legname ben custoditi, che per tempo devono essere cercati, non essendo sì facile in questa città ritrovare abete e noce di vena, che siano ben tenuti.

« Quest’ opera deve essere unicamente fatta dall’ ottim o fale­gname [che] stà nella Salicata, di faccia al Convento S. Fran­

1 Questo m ateriale è ricordato negli inventari che furono annessi agli strumenti di donazione.

2 La donazione della Stamperia del Marsili ai PP. Domenicani fu fatta11 7 maggio del 1721 : nei patti specifici si diceva che essa tipografia do­veva stampare le opere dei professori universitari o dell’istituto col solo rimborso delle spese.

3 Nel voi. Memorie intorno a L. F. Marsili, Bologna, Zanichelli. 1930, a pag. 479 e sg.

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cesco ; e che esso pure fece le scanzie, non essendoci altro nella città, che sia capace d i tal lavoro; che, replico, deve esser fatto, e con buon gusto e m olta sem plicità, andante, con le proporzio­nate scorniciature, e senza niun intaglio, e con due scale lu­mache, da collocarsi dentro delle p ilastrate di legno, che saranno alla porta dell’ ingresso, come appunto si è praticato in quelle della Minerva di Roma.

« E perchè è indispensabile che il bibliotecario abbi il suo alloggio dentro dell’ Instituto, propongo che allo stesso pia.no della libraria se li accomodino le due stante che sono dentro la Specola allo stesso piano, come ho già deto di sopra 1 ».

Qualche anno più tardi, non essendosi provveduto come con- venivasi al compimento e definitivo assetto d ell'istitu to , egli do- levasi ripetutam ente e con il Senato e con le autorità governa­tive delle pessim e condizioni in cui trovavansi i libri e la biblio­teca, insisteva su ll’interesse di tale suppellettile e sopratutto so­pra la scelta di un valente bibliotecario, ed esponeva le ragioni perchè a tale scelta dolorosamente non si era provveduto, dando anche lumi, notevolissim i ai suoi tempi, sulle qualità che il bi­bliotecario dovrebbe possedere, contro il concetto di faciloneria che della sua mansione avevasi dai più.

Val la ¡pena, nonostante sia un poco diffuso, d i riprodurre il tratto delle doglianze del Marsili che riguardano appunto questo argomento.

« Fra li Capitali uno de’ maggiori è quello de’ Libri stam ­pati, m anoscritti di lingue esotiche e nostrane, cioè latina, ita ­liana e francese, che si trovano nella Biblioteca, così disordinata e meno coltivata da studiosi con discredito non solo dell’istitu to , ma di tu tta la città, perchè di questa gli stranieri sino nelle stampe ne hanno parlato, quasi con deriso e compassione, e come che l’importanza ne vuole una particolare classe, da tu tti gli altri Capitali qui sotto la stabilisco per dim ostrare le cause e quelle rimediarle.

1 Cf. lo scritto del prof. E. B o iì t o l o t t i , La fondazione dell’is titu to e la riform a dello « Studio » di Bologna, in Memorie intorno a L. F. M orsili, ìBologna, Zanichelli, 1930, a p. 442.

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« Il primario disordine è provenuto «he in 14 anni mai questa base de 1’ Instituto è stata provvista d’ un B ibliotecario che sia stato capace di studii fa tti precedentemente nelle parti neces­sarie per un cosifatto im piego; e poi perchè in questo tempo hanno cam biati tre B ib lio tecarij senza che niuno d i loro sia morto, ma per accomodare unicam ente li favoriti dei, senatori, che in loro vita mai avevano pensato ad un sim ile impiego; ma solo trovando questa occasione d’aver quel piccolo stipendio ricorrevaovo con im portu n ità .lino alle donne per ottenerlo, e poi, dopo ottenuto l ’impiego, ricusare la dimora giornaliera alla Li­breria, per comodo di chi volesse studiare, e loro nel medesmo tempo almeno abilitarsi a quello che non sapevano, e tenere filo di commercio con tutte le biblioteche di Europa e con i più fam osi librari, e sollecitare o l’esito o la permuta dei duplicati libri, di mettere in ordine la bella officina d i legatore di L ibri per legare li ta n ti libri sc io lti, che sono in essa; e che per questa ragione di Germania con tanto dispendio m andai a Bologna.

« Se si faceva da me querela di ciò, si rispondeva che il salario era troppo poco, affidati da Protettori che gli avreb­bero sostenuti senza che si affaticassero. Se io abbia fatti sopra di ciò lam enti con 1’ assunteria, D io me ne farà la giustizia ; ed appunto perchè io lo sollecitavo, bastava perchè non fosse fa tto nulla, e che si pensasse al contrario che dicevo, e che è la pratica che quei signori hanno per 14 anni avuta verso di me, che se dicevo bianco ero sicuro che pensavano al nero; e senza veruna cognizione di queste materie, nelle quali io m’ero im pratichito a costo del mio denaro, delle mie fatiche e d’una pratica presa in tutte le Accademie d’Europa ; e sino essere arri­vati a volere spendere più a far male che meno a far bene, perchè questi raccordi provenivan da me, che fu i obbligato ad un silenzio, per non impedirli che se mal Dio g li avesse spirato bene di farlo, col motivo che l’avessi detto io.

« Vacò il posto d i Bibliotecario, che il Senato promosse al posto di Segretario, che si doleva di tale impiego per il poco salario, perchè nella Biblioteca l ’inverno vi era troppo freddo e 1’ estate troppo caldo, cose a me dette. Con una lettera la

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più umile, la più rispettosa pregai l’Assunteria di avere riflesso al dottore Bianconi, sacerdote benestante stato per tanti anni nel seminario di Padova a studiare le lingue greca et ebraica con quel profitto che qui attesta il di lui maestro Signor Dot­tore Fagiolata celebre in tu tta Europa, e che ha reso la lingua greca massime tanto fam igliare fra li preti di questa D iocesi che la latina, per la fondazione del venerabile Cardinale Bar- berigo e cura del defunto posteriore Cardinale Cornar© e poi peril Consiglio che lasciò l’ abbate Bacchini benedettino avanti della di lu i morte, nel tempo che il Senato g li diede una let­tura per l’ erudizione; e di più ta le di lu i abilità confermata dal Padre maestro G otti; giacché io non mi dò per intendente di queste lingue. Ebbi riflessione a proporre questo anche a ll’in ­combenza che tiene di custodire la contigua stanza detta del- 1’ A ntichità, per quando mai il Signor Marc’ Antonio Sabatini avesse voluto eseguire la sua prima idea di m ettere in quella stanza la sua bellissim a serie di medaglie, della qual materia non vi è neppure uno in Bologna che sappia leggere le lettere più chiare attorno di queste, nè infine che abbi una minima, ben minima, notizia della erudizione antica, perchè chi ne sapeva è morto, e chi vive non ne ha fatto un minimo studio: e pure se venisse il caso che si volesse fare un professore dell’erudizione antica, si sentirebbero ta n ti concorrenti, chi p ro te tt i da Dame, chi da senatori, chi dal segretario m aggiore, causa della d istru ­zione m oderna dell’ università , e ohe senza riparo sarà del- V In stitu to .

« Fu proposto di fare un esame dei concorrenti, che erano al numero di tre, e quello proposto da me, oltre alla latina, era, come ho detto, pratico della lingua greca et ebraica. Un altro niente di più che la latina, e conoscitore delle buone e cattive edizioni; il terzo, che è quello che ha ottenuto il posto, sempre studente delle matematiche, disse di sapere l’inglese edil tedesco. D i queste lingue mai avanti di me si parlò, che l ’avrei possuto giudicare, oltre che queste lingue a poco servano per un Bibliotecario.

« S’approvò da tutti il ripiego dell’esame, chè materie o lingue

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che sono veramente necessarie ad nn Bibliotecario : ma qnando si sentì che l ’ esaminatore doveva essere il M artelli, chi si strinse nelle spalle, chi si mise a ridere, concordando tu tti che per le mani d i questo doveva essere rovinato l ’Instituto, ed il Bianconi, per il savio consiglio di tu tti li di lui amici e in P atria e fuori d i Patria, si ritirò da un concorso, sentendo un esam inatore che appena sa fare un sonetto italiano, che volesse essere giudice delle lingue esotiche, che fece fare la S. Memoria di Clemente XI, per l’erudito Abbate Assemani, ma perchè riuscisse quello che è si fece che l ’altro si ritirasse dal concorso, di modo che restò solo quello che si voleva e che anche resta provvisto del posto, esibendosi tutto solo che era pronto agli esami ma sapendo di non esservi chi lo sapesse esaminare in quelle lingue che lu i diceva di essere esperto; si venne alla di lu i elezione derogando dal proposito dell’esame, e che, nella perfezione che egli è, ne sa tanto ed è tanto capace quanto sarei io nel con­sig lio del Papa ; e se con questo modo mai l’I ustitufo nonché la parte della libreria possa essere in istato di durata e di rendere que servigi a Dio, a l nostro principe, alla Patria, il Signor Car­d inale Paolucci e Monsignor Lambertini lo riferiranno a Nostro Signore, e se di buona coscienza posso dare questo nuovo rinforzo guadagnato con le mie fatiche, quando non vi sia più rimediolo do e stabile 1 ».

E devesi proprio alle tenaci insistenze del M arsili se la B i­blioteca prese una stabile e definitiva consistenza, e se, seguita dal generoso e provvido interessamento di Benedetto XIV, potè assurgere a quel decoro che era necessario e dare i fru tti che il M arsili s i aspettava.

* * *

Se il Marsili amava tanto i libri, se (come sappiamo) ne aveva da vivo fa tto il catalogo e se aveva disposto perchè esso cata­logo fosse dato alle stampe, se aveva acquistato da lunghi anni

1 B o b t o l o t t i , op. ci't., pp. 449-452. — Questa vivace esposizione ci fa ricordare che in tutti i tempi molti concorsi sono fatti così !

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del m ateriale tipografico e negli ultim i della sua vita trovò, e donò con tutto il resto, al Convento di San Domenico, un bellis­simo fondo di caratteri ebraici e orientali, specialmente arabi e p ersia n i,1 possiamo ben comprendere che di stampa e d i tipo­grafìa egli doveva intendersi, e anche essersene occupato. Ne ab­biamo una magnifica prova in questo lavoro, che, rim asto sino ad ora poco conosciuto e del tutto inedito, parmi degno che vegga la luce, e per l’uomo da cui deriva, e perchè nei tempi in cui fu pensato e scritto, e cioè tra la fine del sec. X V II e il principio del X V III, rappresenta una informazione degna di sim patia e di rispetto.

Trattasi di un compendio, sia pure schematico, della storia della tipografia dalla origine sino ai tempi dell’autore, ossia fino ailla fine del sec. XVII. I l M arsili chiama il suo lavoro modesta­mente « Lista de’ stam patori di libri più fam osi in tutte le re­gioni d’Europa dall’origine della stamparia sino al presente», ma in realtà non trattasi solo di un elenco, sibbene di una espo­sizione assai diffusa dei maggiori rappresentanti della stampa nei vari paesi, con osservazioni spesso di caratere generale, non di rado mosse da uno spirito acuto di osservazione. In vero nes­suna parte è trascurata, e se qua e là incontransi ripetizioni (di piccolo conto, veramente), e se l’ordine non è sempre rigorosa­m ente seguito e se più che altro il Marsili si occupa degli stam ­patori francesi, verso i quali ha una particolare ammirazione, ciò dipende dal fatto che sopra tutte le altre egli conosceva la letteratura scientifica francese, e perciò quei libri g li erano e più fam igliar! e continuam ente sotto gli occhi, e inoltre perchè di fonti e opere francesi di storia del libro e della stampa egli più specialm ente si servì per la compilazione dei! suo lavoro. 2

E gli stesso in fatti indica le opere che più gli han giovato, e son le seguenti:

1 A. S o b b e i x i , La stamperia di L. F. Marsili, in Memorie ecc. pp. 500-501.2 Dobbiamo anche notare che alla fine del sec. XVII le maggiori opere

sulla storia della tipografia erano francesi, di guisa che non era possi­bile una scelta molto diversa.

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I . A d r ie n B a i l i .e t , Jugem ens des Sçavans sur les princi­paux ouvrages des Auteurs. Paris, A ntoine Dezalier, 1685 .1 Poi­ché di quest’opera si fecero parecchie edizioni, potrebbe nascere dubbio di quale egli siasi servito; ma dalla natura delle cita­zioni del M arsili e sopratutto perchè in una di esse è indicato il volume II , 2 mentre l ’argomento, nella seconda edizione uscita nel 1722, è contenuto nel volume I, non abbiamo alcuna incertezza nell’affermare che il Marsali si servì proprio di questa edizione, che è la prima.

II. J e a n d e La C a i l l e , H isto ire de l’im prim erie et de la librairie où Von vo it son origine et son progrès ju sq’en 1689. Paris, La Caille, 1689. L’opera fu stam pata da Pierre Le Mer­cier, mentre il La Caille ne sostenne le spese, e fu autore e edi­tore a un tempo.

III . A n d r é C h e v i l l i e r , L'origine de l’im prim erie de P aris. D isserta tion historique et critique divisée en quatre parties. Pa­ris, Jean de Laulne, 1694.

Accanto a queste tre opere, in certa guisa specifiche, che co­stituiscono il fondamento del suo lavoro, a ltri libri il M arsili consultò per un particolare o per l’altro, come il Volaterrano (Raffaele Maffei da Volterra), Giovanni Cocceio, Sabellico, Era­smo, l ’ab. Tritemio, Polidoro Virgilio, Gabriele Naudé, Antonio Wood ed a ltr i; ben è vero che di parecchie di queste ultim e opereil M arsili si giovò di seconda mano.

Quando fu composto il lavoro del M arsili? Veramente, a primo aspetto, verrebbe in testa di pensare che esso fosse una derivazione, più o meno diretta da una notevole opera sulla sto­ria della stampa che uscì, proprio in Bologna, nel 1722, a cura di frate Pellegrino Antonio Orlandi carmelitano, che già da pa­recchio tempo andava facendo ricerche sulla storia della stampa.

1 II nome dell'autore non figura nel frontispizio di questa prima edi­zione.

2 In fine al manoscritto il Marsili reca un elenco di marche e insegne tipografiche <li stampatori e librai, e dice appunto di trarlo da « M.r Baillet au Tome second ». Ora questo elenco nella seconda edizione dell’opera del Baillet (1722) trovasi nel tomo primo, in fine.

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E con tale volume, del resto, qualche somiglianza o contatto qua e là si trova. Ma a un più attento esame risulta che i contatti derivano dal fatto che tu tti e due g li scrittori, il M arsili e l ’Or- landi, attinsero a una stessa fonte; e nello stesso tempo che il M arsili scrisse il suo lavoro prima che fosse apparsa l ’opera del- l ’Orlandi, giacché i modi, la economia, i giudizi talvolta, le con­clusioni sono spesso diverse, senza contare che il M arsili non ri­corda mai l ’Orlandi, laddove, se se ne fosse servito, o se l’opera dell’Orlandi fosse stata già edita quando il Marsili scriveva, l’avrebbe ricordata certamente. Il titolo dell’Opera dell’Orlandi è questo : Origine e progressi delia S tam pa o sia dell’a rte impres- soria e no tizie dell’opere stam pate da ll’anno M CCCCLVII sino all’anno MD. 1

Del resto abbiamo per altre vie la prova che il Marsili com­pose il suo scritto prima della stampa dell’Orlandi. Infatti egli, citando il B aillet, si riferisce, come sopra accennammo, alla prima edizione apparsa nel 1685; mentre la seconda edizione di quest’opera, assai più compiuta, venne fuori nel 1722. È chiaro che se questa seconda edizione fosse già stata posta in luce, la citazione del M arsili si sarebbe riferita a quest’ultim a ; ed è ovvio perciò conchiudere che lo scritto del Marsili fu composto prima del 1722 e dopo l’uscita dell’opera dello Chevillier del 1694.

Se poi pensiam o che sino dal 1719 il Marsili, a testim onianza di un m anoscritto dell’Orlandi conservato nella Biblioteca del- l ’A rch iginnasio ,2 aveva già im piantata una stam peria in una sua casa di via Centotrecento, e che sino dal 1711, redigendo l ’atto di donazione al Senato bolognese delle sue raccolte per il futuro Istituto, aveva fatto cenno e a lla libreria e agli strum enti

1 L’opera, che è assai più importante di quel che è di solito ritenuta, fu stampata da Costantino Pisarri « impressor et bibliopola in porticu unici Archigymnasii, ad signum sancti Michiaelis Archangeii », in « Bo- noniae studiorum » ila vigilia di S. Petronio del 1722. — Son grato al cav. Romeo Monari della Biblioteca Universitaria di Bologna per i cor­tesi aiuti in varia guisa prestatimi.

2 Ms. B. 252. Cf. il mio lavoro eit. sulla Stamperia del Marsili, a p. 481.

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224 LUIGI FERDINANDO MARSILI

ini presso rii, come sopra si è v is to ,1 appar chiaro che la reda­zione del lavoro marsiliano la dobbiamo collocare fra il 1711 e il 1719.

* * *

Prima di chiudere è opportuno che descriva il manoscritto di cui mi sono servito, e indichi i modi che ho tenuto per la edizione.

Il m anoscritto appartiene a i m arsiliaui della Biblioteca U niversitaria: N. 85, lett, B. I l volumetto, legato in cartone, misura cm. 22 X 15 e ha 96 carte. D i queste le prime 86 non sono ■numerate, le a ltre hanno la numerazione per pagine da 1 a 20. La storia della stampa è dal M arsili contenuta nelle prime 85 cc. ; le altre contengono le « Marques ou Enseignes des prin- cipaux Imprimeurs et Libra ires qui se sont distingués dans leur profession jusq’à present » ; ma poiché il M arsili fa immediata­mente seguire queste parole: « Tiré de M. B aillet au tome second des Jugem ens des Sgavans », e perchè in fa tti tale elenco corri­sponde in tutto a quello del B aillet, ho creduto inutile di ripro­durlo nella nostra edizione.

Il m anoscritto non è autografo del M arsili, forse lo dettò o10 fece copiare dal suo originale o dai suoi brogliacci. Il copista, nonostante usi di una bella forma di lettere e sia chiarissimo, non ha compreso bene la voce o lo scritto del Marsili, cosicché gli errori che l'amanuense commette sono numerosi. Parecchi ho cercato di correggere, quando proprio trattavasi di cose evi­denti; altri lasciai, non essendo certo se provenivano d a ll’ama­nuense o dal M arsili o dalla fonte a cui il M arsili attinse. Nei casi più notevoli e singolari ho notato in calce le differenze fra11 m anoscritto e la lezione da me adottata. N oto infine che una mano diversa da quella che scrisse il codice, e forse la mano stessa del Marsili, notò in margine, in ogni pagina, i nomi dei tipografi de’ quali nel testo si parla, e non di rado anche le stam­perie e g li argomenti.

1 Vedi il ricordato lavoro del Bortolotti, loc. cit.

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L’operetta, del M arsili è assai notevole per il tempo suo, e pur non recando per la storia gran che di nuovo, è degna d i nota per talune osservazioni sui tipografi, sulle edizioni e su i carat­teri, che sono non di rado non solo giuste, ma acute e saggie. D appertutto spira poi il suo buon senso artistico e pratico, e la sua preveggenza. Il M arsili riconosce fra i p iù grandi tipografi Aldo, i Giunti, g li Etiennes, il P lantin , il B laeuw ; ammira le edizioni in bella carta e con largo margine; nota l ’importanza del carattere corsivo, ma giustam ente osserva che è più adatto per i libri di piccolo formato che non per i grandi; predilige i caratteri di largo occhio e tondi ossia romani, e odia i caratteri gotici, simboli, egli dice, d i « barbarie» ; sente i l nitore della bella pagina e gusta le lettere ornate: ha in somma m olte di quelle qualità che distinguono, e starei per dire definiscono, il buongusto in fatto di libri e di stampa.

A l b a n o S o r b b l l i

15

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Lista de’ stam patori d i libri più famosi in tutte le Regioni d’Europa, dall’ origine della stam paria sino al presente.

L’utilissim a A rte della stam paria fu inventata, secondo l ’opi­nione la più riceuta, in Magonza avanti l ’anno di gratia 1460 da Giovanni Guttemberga, Gio. Fust, o Fausta, e Pietro Scoep- fer, overo Opiì io ,1 secondo il Testim onio dell’Abbate Trithemio di Joan. Cocceio, Sabellico, Desiderio Erasmo, e Polidoro Ver- gilio, già che vi stamparono un Salterio latino in quarto l’anno 1457.

Rationale Divinorum Officiorum G uillelm i Durandi, in folio 1459.

Catholicon, Seu Vocabularium universale latinum , folio1460.

Biblia Sacra, secunda editio fol. M oguntiae 1462.Ciceroni« Officia fol. M oguntiae 1465. 2

La Biblia stampata per la prima volta a Magonza senza millesim o ha preceduta la stampa de’ libri di sopra accennati ; se ne trova un bel esemplare a Parigi nella B iblioteca publica del- 1’ Abbadia di San V ittore impresso sopra la carta pecora da una banda solamente.

U lrico Gering, Martino Krantz di Colmar, o Columbaria, e Michel Friburger suoi associati portarono la nuova arte della stam paria a P arigi circa l ’anno 1470, ad istanza d i Guglielmo Fichet e Giovan de La Pierre Professori nell’Università di l ’a-

1 Cosi ClIEVILLIER. op. OÌt., 2.2 Nel ms. per errore «1665 ».

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rigi, e ristamparono in una sala di Sorbona m olti libri, de’ quali eccone la lista pubblicata dal Sig. Chevilier 1 Dottore, e Biblio­tecario di Sorbona nel suo libro dell’Origine deH’Ixnpremeria di P arigi :

Gasparirli Pergam ensis 2 Epistolarum Liber 4°.Eiusdem Ortographiae pars prima, et secunda in quarto.Lucij Annei F iori de tota H ystoria T iti Livìj epitome in

quatuor libros divisa 4°.Caij Crispi Sallustij liber de B ello Iugurtliae.Guillelm i Fichet A lnetani Rhetoricorum libri tres 4°.Eiusdem E pisto lae 4°.Epistolae Cinicae Phalaridis Marci Bruti ecc. 4°.Roderici Za moren sis Episcopi Speculum humanae Vitae,

in duas partes divisae, Sm folio.Bessarionis Cardinali» Epistolae, folio.Laurentii V allae Elegantiarum lingua« latinae libri sex,

folio.Jacobi Magni ordinis Ilerem itarum sancti Augustini So-

phologium, folio.T utti quei libri sono stam pati con le medeme lettere gettate

nelle medeme m atrici in grosso carattere tondo, e perchè l’Arte dell’ impressione appena nasceva vi mancano molte cose. Non vi sono lettere Maiuscole, le lettere in itia li de’ libri, e de’ capi­toli vi sono omesse, ma vi sta un luogo da poterle miniare, come si soleva fare in oro, o in azzurro. Vi sono molte abbreviature, sì come in tutte le prime impressioni. T utti quei libri sono senza titolo, senza numeri, e senza segnatura; e tutte queste circostanze necessarie alla stampa cominciarono solamente Pan­no 1477 ,:! a ll’impressione del libro del P latea De Usuris. S i co­minciò a mettere i titoli, et i numeri delle pagine Panno 1478 4 a lli Serm oni di Leonardo da Udine. In quelle prime editioni non vi era manco il recapito, o richiamo d’una pagina a ll’altra ;

1 Pag. 26 sg., 36 sg.* Nel ms. « Parmenaia ».9 C h e v i l l i e k , p . 38 « 1476 ».* C h e v i i x i e r , p . 38 « 1477 ».

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i stam patori d i Parigi non l’hanno im piegati che molto tardi verso l’anno 1520 .1

Il R egistrim i Ca-rtarum manca pure in quelle prime editioni. F u inventato in Italia , e si faceva in questa maniera : s i radu­navano al fine del tomo le lettere alfabetiche, le quali servono di segnatura, e le prime parole de’ quattro primi fogli compresi sotto ciascuna lettera, ma perché questa fatica occupava una facciata intiera, 1’ abbreviarono. Gering se ne servì al fine in quest’ultim a sorte, e lo faceva capere in due o tre linee, espri­mendo solamente tutte le lettere dell’alfabeto adoprate in cia­scuna piegatura de’ fogli, dichiarando di quanti fogli erano: V. G. 0m ne8 sunt duerniones, terniones, q w tern io n es , vel quin- ferm anes, cioè ciascun piego è di due fogli, tre, quattro, o cin­que. Ora il R egistrim i vien suppresso in tu tte le stampe, es­sendo stato per altro provvisto alla facilità della legatura con la radunanza di tre circonstanze; della segnatura di ciascuna lettera dell’alfabeto a piè di ciascuna facciata, de’ numeri in cima a ciascuna pagina, e de’ richiami, o parole poste al fine di ciascuna facciata replicate nella seguente, per servire di regola alli legatori e registratori.

Tre anni doppo Gering trasportò i suoi torchi dalle sue stanze in 'Sorbona nella strada di San Giacomo dentro la casa che aveva per insegna il Sole d’ Oro presso la Chiesa di San Benedetto, dove stampò m olti libri con i suoi soci, e tra g li a ltr i la prima Bibbia stam pata in Francia in latino in folio 1’ anno 1475 ; un Corpus J u ris C ivilis in folio in lettere gotiche, perchè la stampa che sul principio era tonda e schietta degenerò ben presto in quella Barbarie, e questo fu un tor­rente, che allagò 1’ Europa nel corso d’un secolo intiero. Ma si stamparono più libri in lettere gotiche a Lione, et a Venetia, che in qualunque altro luoco d’Europa, massime tutte le let­ture, e t a ltri libri legali, i scolastici, et altri libri di teologia, et anche i Corpi grossi, come i T rattati magni in fol. 15 volumi

i C h e v i l l i e r , p . 3 8 .

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a Lione, i Commenti di Tostato abulense in folio ventuno tomi a V enetia 1530.

Le abbreviature che s’ introdussero allora nella stam pa fini­rono d i guastarla ; si m oltiplicarono a segno, che i libri stam pati divennero così difficili da leggere, quanto le C itationi de’ Cur­sori. Onde convenne, <per rimediarvi, d i stampare un libro inti- tulato Modus legendi al)brematura>s praesertim in utroque jure in 8° P arisiis 1598.

Conrad Svuenheim et Arnaldo Pannartz 1 Thedesclii porta­rono la stampa, o l ’arte delPimprimeria, a Roma verso l ’anno 1467, sotto il Pontificato d i Papa Paolo I I ; e vi stamparono m olti lib ri nel Palazzo de’ Signori P ietro e Francesco Massimi avanti a lla Chiesa di S . Pantaleone. I l primo libro che vi stam ­parono fu 'Sanctus Augustinus de Civitate Dei libri viginti, in fo­lio; il carattere, del quale si servirono fu da questo chiamato Agostino. Stamparono poi, il medesimo anno 1467, Ciceronis Epi- stolae in folio , con carattere p iù minuto, che ritenne il nome di Cicerone. Stamparono poi Speculimi Vitae humanae Roderici Zamorensis, Ovidij Elegkte, Lucani Pharsalia, Cicero de Offici)*, Svetonius, 'Saneti Leonis Magni Sermones, Catena Aurea Sane ti Thomae, in fo lio due tom i carta magna, tu tti in folio, e verso l ’anno 1471, N icolai de Lyra Glossa in Biblkt, in fol. 3 tomi, e m olti altri.

N el medemo tempo Udalrico Gallo nato a Vienna in Au­stria venne pure a Roma a fare lo stampatore, e vi stampò m olti libri secondo Raffaele Volaterano, cioè Sanctus Augustinus de Civitate Dei, Lactantius fol. 1468. Titus Livius, Quintilianus, Ciceronis Quaestiones Tusculanae, eiusdem Philippicae oratio- nes, e circa l ’anno 1470 Roderici Sanctii H ispani H istoria uni- versalis, al fine della quale stampò questo D istico: 2

Bgo Udalricus Gallus sine Calamo, aut Pennis eundein Librum Impressi.

1 II ms. ha « Parmarts », forma tratta da La Calile, p. 16, che legge anche « Suvenheia ».

2 Cosi il Marsili traduce il « Dictum » del tia Calile.

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Gdo. A ntonio Campano, che fu poi vescovo d i Teramo, era suo correttore di stampa ; fece quest’ epigramma alla lode d i U dalrico Gallo, secondo Faernus, quello si trova stampato al fine del suo libro delle Filippiche d i Cicerone: 1

Anser Tarpeii custos Jovis: uiule quod alis Obstreperes, Gailus cecidit: ultor adest.

Uldaricus Gallus ne quem poscantur in usum Edocuit pennis nil opus esse tuis.

Imprimit ille die quantum vix scribitur anno.Ingenio haud noceas : omnia vineit homo.

Lorenzo V alla fece allora pure un distico, quasi sim ile, in­torno a questo proposito.

Quod vix in toto quisquam praescriberet Anno Munere germano eonflcit una dies.

S i vedono a ltri concetti sim ili al fine degli Offlcii d i Cice­rone, et a ltr i libri stam pati da Gio. Faust, inventore della stampa a Magonza.

Praesens Marei Tullii Clarissimum opus Johannes Faust Moguntinus Civis non atramento plumali canna neque aerea, sed arte quadam perpulchra manu Petri de Gernsheim pueri mei felioiter effeci, finitimi Anno MCCCCLXVI, die IV Februarii. *

Quest’arte, ch’era stata nascosta sul principio con tanta cura, essendosi poi divulgata da quei che aiutavano gl’inventori all’im pressione; questi volendo anch’esisi cavare i loro vantaggi d’ una così bella scuoperta, andarono a stabilirsi in differenti luoghi dell’Europa, dove portarono l ’arte della stamparia.

I stam patori più corretti e t esa tti in quei principii furono: Benedetto Locatello Prete, che i l primo stampò a V enetia; Si­sto Russinger Prete di Argentina, che portò il primo la stampa a Napoli, dove ricusò de’ vescovati; Pietro Jacobi Prete stam-

1 Nel ms. « quella si trova stampata ».2 Or. La Caille, p. 12.

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patere (lei Duca di Lorena; Nicolò Jenson Francese fu uno de’ primi stam patori a Venetia, quanto che i due F ratelli Gio­vanni e V endelini di Spira. Stampavano con gran accuratezza, massime Nicolò Jenson, ma diedero poi nel Gotico.

Spiccarono ancora tra i più fam osi stam patori Aldo il vec­chio a V enetia; Giovanni Amerbacchio, e Giovanni Froben a Basileia ; a Parigi, Jodoco Badio, Roberto Stefano il Vecchio, Michel Vascosano, Claudio Chevalon, Simon de Colines, e m olti altri, de’ quali si parlarà doppo d’aver osservato l’Origine della stampa de’ libri Greci et Ebrei.

Aldo P io Manucci Romano fu il primo che stampò in Greco a Venetia, dove cominciò l’anno 1494 per un A ristotile in quat­tro tomi in folio, e continuò a stampare tu tti gli autori Greci, Classici, o più famosi. Ve ne sono alcuni, dove il Greco sta da una banda, et il latino d all’altra, Conrardo Gesner fu il primo, che fece mettere il Greco sopra una colonna, et il Latino del­l ’altra.

Francesco Tissa.ru d’Amboese Professore nell’ Università di Parigi vi introdusse l’im pressioni greche l’anno 1507. Il primo libro, che uscì dalle stam pe fu le Sentenze de’ Sette Savii della Grecia, Carmina Aurea Pitagorea, Phocilides Sententiae, Si- billae Erytreae V aticin ia; il secondo fu Homero; il terzo He- siodo, tu tti tre furono stam pati in Greco da E gidio Gourmont, che fece a lliev i Geronimo Aloandro del Friu li, che fu poi Car­dinale, essendo attirato nell’Università di Parigi dalle libera­lità del Re Ludovico X I vi fomentò lo studio della lingua Greca, e l’im pressione de’ libri com posti in quella lingua.

Doppo Egidio Gourmont, Jodoco Badio, Simon di Colines, Michele Vascosan, Claudio Chevalon, Giovan Luigi F iletan, Conrardo Neobazio e finalmente Roberto, e Henrico Stefano stamparono un gran numero de libri greci, e superarono l’altre nationi nella bellezza de’ loro caratteri.

Le prime im pressioni Hebraiche si fecero a Soncino Terra del Cremonese nel Ducato d i Milano da Giosua, e Moisè figlioli del Rabino Israele Nathan originario di Spira in A lsatia, quella

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fam iglia si multiplicó, e portò la stamparia de’ libri ebrei a Bologna, Rimini, Fano, Pesaro, Venetia.

Quindi i Giudei, et i Christiani stamparono libri ebrei in molte città d ’Europa, cioè a Venetia, Cremona, Mantova, Ve­rona, Ferrara, Napoli, Colonia, Basilea ecc. Riabbi Gerson portò la stam paria ebraica a Constantinopoli, e vi lavorò con successo sino a ll’anno 1530.

Daniele Bomberga Fiammengo d’Anversa fu il primo tra i Christiani, che messe sotto il torchio i libri ebrei, e che nel­l’anno 1511 stampò la Bibblia Ebraica in quarto, e poi un’altra in folio dedicata a Papa Leone X, mai i Giudei non ne fecero alcun conto, ma il Rabbino Iacobo Nour ne fece stampare un’al­tra in quattro tomi in folio con i Commentarli de’ Rabbini l’anno 1525 dal medesimo Bomberga, ch’egli ristampò più volte da poi.

L’ opera magiore che sia uscita dalle stampe ebraiche, è il Talmud col Commento de’ principali Rabbini, com inciato dal Bomberga nel 1525, e compito alcuni anni dappoi, e doppo la sua m orte è sta to ancora ristam pato a Venetia, a Cracovia, et ad Amsterdam ecc. S i legge nella seconda Scaligerana, che Da­niele Bomberga spendesse tre m ilioni di scudi a stampare cor­rettam ente m olti libri ebrei, e che tra l’a ltr i stam passe il Tal- muld sino a tre volte, e che ciascuna impressione g li era costata cento mila scudi.

Doppo il Bomberga i più fam osi stam patori in lettere ebrai­che furono i G iustiniani, Zanetti, De Gara, Bragadini ecc. S i sono più stam pati libri ebrei a Venetia, che in nessuna altra città, et i Giudei vi hanno meglio riuscito, che i Christiani mercè che sono più priaittici delle m utationi de’ punti, et altre m inutie della lingua, che intendono meglio.

Non vi sono che i Christiani, e g li Ebrei, che usino la stam pa; quest’arte è stata inventata in Europa, et è poco in uso altrove; l’impressione è proibita a i Turchi per le loro leggi, ma permettono a ’ loro sudditi Christiani, et Ebrei di stam­pare libri spettanti alle loro religioni.

I l Cardinale Carlo de Medici istitu ì a Roma nella sua vigna sul Monte P incio una fonderia, e stamperia de' libri Arabici, e

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vi fece stampare l ’Opere Mediche d’Avicena, ¡’Alcorano di Maho- m etto, et a ltri libri, che furono poco ricercati da’ Levantini.

I libri arabici spettanti alla religione Christiana stam pati dappoi a Roma nel collegio di Propaganda F ide hanno avuto un m iglior esito. Parim ente sono sta ti stim ati quelli, che sono stam pati in Olanda da Tomasso Erpenio e Jacopo Gollio, et a Oxford in Inghilterra da Eduardo Pocokio ecc.

Le stamperie, che si trovano in Asia, e t Sin America sono condotte da Christiani e la maniera di stampare, che s i prat- tica a lla China da m olti secoli, è differente di quella in Europa, e consiste in tavole scolpite, e non in caratteri mobili, e di­staccati.

Egidio Gourmont fece a P arigi nel 1508, i primi saggi della stam paria ebraica sotto la scorta di Francesco T issard ,a, che aveva im parata la lingua ebraica da un ebreo di Ferrara, e stampò una Grammatica ebrea l ’anno 1509.

A gostino Justin ian i Domenicano vescovo di Nebbie venne a Parigi per inisegniarvi la lingula ebraica, e vi fece stampare la Grammatica di Rabbi Kimchi, e t un Psalterium quintuplex,o in cinque lingue.

Ritornando alli più fam osi stam patori di caratteri greci, e latin i, dirò, che Giovanni d’Amerbachio, Maestro negl’Orti nel- PUniversità d i Parigi, eresse una famosa stam paria d i belli ca­ratteri tondi a Basilea, e perché aveva un gran fondo d i pietà, e di religione, questo l ’impegnò a stampare tu tte l ’opere de’ Santi Padri, e cominciò da Sant’Ambrogio, che uscì dalli suoi torchi in tre tomi in foglio l’anno 1492. E ra huomo dotto, et emendava da petr se le 'sue prove, ma non potendo far tutto, fece venire a B asilea Giovanni Frobenio per aiutarlo, et ad esso seco associato, stam parono insiem e m olti libri d i conseguenza, il principale de’ quali fu Saint’A ngostino in dieci tom i in folio.

Giovanni Frobenio fu dunque uno de’ primi, che con G io vanni Amerbachio ricercò la delicatezza nella stampa facendo

1 Nel ms. « F issard ».

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un’ottim a »celta de’ m igliori autori; eg li ebbe per correttori di stam pa i l famoso Erasmo di Roterdaimo,1 Giovanni Reuchlin detto Capii,ione o fumo, Sigismondo Cislenio, et altri.

I principali associati, e successori di Giovanni Frobenio fu­rono Nicolò Episcopo suo genero Francese nato in Foresto, Giovanni Oporino di B asilea figlio di Giovanni H erpst i l cui nome significa Autunno in tedesco, onde prese il nome d’Oppo- rino, che significa il medesimo in greco, Htìrvagio et Henrico P etri si distinsero pure a Basilea, m ediante le loro belle im ­pressioni.

Geronimo Commelino Francese stampatore, e libraro si sta­bilì a Heidelberga nel Palatinato, dove stampò m olti santi padri, et a ltri buoni autori classici in greco, et in latino, e ne cavava g li originali dalla famosa Biblioteca Palatina, che fu poi tra­sportata nella Vaticana, sotto il Ponteficato di Urbano V i l i ; e tra gl’a ltr i l ’Opere di San Giovanni Crisostomo, e di San- l ’A thanasio, era corretto nelle sue stampe, che emendava da per se, e vi fu anche aiutato da un insigne letterato chiamato Fran­cesco Silburgio versatissim o nella lingua greca, et anch’ egli autore d i m olti libri.

II Re Luigi X I per favorire l’arte della stampa, che ebbe il suo principio sotto il suo Regno a Parigi fece trasportare da Fontana B leavia a P arigi tu tti i m anuscritti, che il Re Cario V, e Carlo V I, vi avevano raccolti con gran cura, anzi fondò una bella Biblioteca a l Castello del Louvre, e ne diede la cura al Padre Roberto G aguino2 Generale de’ Trinitari, amplificandola con rari m anoscritti, e libri a ll’ hora stam pati, e tra i prim i spic­cava un bel m anoscritto dell’ opere d i latino d i Rhasis Medico Arabo copiato sopra un altro m anoscritto più antico conservato nelle Scuole della F acoltà di Medicina in Parigi, osservando Gabbriele Naudé nelle sue additioni alla vita del Re Luigi XI, che il medesimo Re diede in pegno alla detta facoltà di Medi­cina parte della sua argentarla quando g li fu da le i imprestato per farlo copiare.

* Nel ms. « Roterdano ». ! Nel ms. « Gagiuno ».

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Giovan P etit fu il Libraro del suo tempo, che fece il più stampare, perché manteneva quindici torchi; ma perché i suoi caratteri erano gotici, e benché la sua stam pa molto corretta non d i meno i suoi libri sono stati ricercati, e sono quasi tu tti perduti, la sua impresa era P e tit à P e tit, idest Paulatim .

Josse, o Jodocus Badius soprannominato Ascensus, perchè era n'ato in A sc h 1 Castello nel territorio d i Brussella, studiò a G an d ,2 et a Ferrara, e sii rese m olto dotto nelle lettere greche, e latine, e l ’insegnò a Lione, dove fu correttore della stam paria di Giovanni Treschel fam oso stampatore, del quale sposò la figlia, e ne ebbe m olti figli.

I l Padre Caguin lo fece venire a P arigi circa l ’anno 1500 per insegnarvi la lingua greca, e per restaurare la stampa, che era caduta in una Barbarie, et in un Gotico, che m etteva spa­vento, ma stampò m olti libri con quei caratteri prima di potere rimettere la stampa, e non fu, che alfin della sua vita, che stampò in belli caratteri tondi i l Provinciale d i Lindwood, l ’opere del Cardinale Nicolò di Cusa, m olti Santi Padri, e Theo- logi, scolastici, et altri, che gPacquistarono molta fama, e gran ricchezze. Conrado B adio suo figlio seguitò la sua professione sino a ll’anno 1561, che se ne fuggì a Genova, 3 essendosi fatto Eretico; le sue due sorelle sposarono due librari più fam osi di lu i, che portarono la stampa fino alla perfettione, cioè Michele Vascosan, e Roberto Stefano.

Fu dunque doppo l ’anno 1500, che i caratteri della stam pa diventati gotici furono rim essi nella loro perfettione da quelli eccellenti maestri, e da Goffredo Tori Librairo a Parigi, che com­pose a quest’effetto un Trattato della proportione d’ogni sorte di caratteri intitolato il Campo fiorito le Champ fleuri : Claudio Garamont ne scolpì et intagliò l i Polzoni (poinsons), e le m atrici per i grotssd caratteri romani, e P ietro H uttino per le lettiere piccole, Roberto Granion gettò le lettere italiche, e corsive inven-

1 Nel ms. « Asc ».2 Nel ms. « Gante ».3 Qui per « Genova » deve intendersi Ginevra, come in molti altri

luoghi pivi innanzi.

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tate a Venetia da Aldo Manucci, ma Guglielmo Lebé superò tu tti gli a ltr i nella bellezza de’ caratteri, che gettava, e in ta­gliava.

Inainto che l’awte della istampa faceva tanti progressi a Pa­rigi, quella si m oltiplicava a proportione nell’altre città più famose dell’Europa. Enrico, e P ietro Quontel si resero famosi a Colonia con la stampa, che fecero dell’opere di D ionisio Car- tusiano in dodici tom i in folio, che ristamparono più volte, e m olti altri libri buoni; Antonio H ierat vi ristampò la magior parte de’ Santi Padri le di cui prime editioni 'cominciavano a farsi rare. Vien m olto lodato per questo da Mal in k r a t 1 nel suo libro D e origine A r tis Typographicae, sicome Giovanni Gim- nico Codefredo H yttorp, Arnaldo di Myle, Cholin, Kinche, Guai- ter, Hemingue erano tu tti molto riguardi-voli, dice Monsignore B aillet, non solo per la D ignità di Consiglieri, e delle prime msi- gistrature della loro città, ma ancor più per la loro pietà, non avendo stampato, se non Santi Padri, et a ltri libri fa tti per l’u ti­lità della Chiesa, e la difesa della R eligione Cattolica, e de’ buoni costumi.

Ma tu tte quelle belle stampe di Bibblie, Messali, Breviarii, et a ltri libri ecclesiastici, rossi, e neri stam pati sotto il nome di Colonia non vi sono sta ti stam pati; ma in Amsterdam, come si dirà in appresso. Come ancora quelli piccoli libri di politica con l’impresso d’una sfera, e il nome d i Pierre Morteau sono tu tti stam pati in Amsterdam, e non a Colonia.

Giacomo Treschel, e Jodoco Badio suo genero messero la stam pa a Dione sul buon piede, ma Sebastiano Grifo, li F is ­sioni, De Tourmes, Valgrise, e Guglielm o Rouilio vi s i resero dappoi a ssa i più fam osi per la bellezza de’ loro ’caratteri tondi, e corsivi, la bontà della carta, e l ’accuratezza delle loro corret- tioni. Ma poi i librari di Lione del secolo passato non si sono tanto curati di ben stampare, quanto d i stampare molto ; quindi è che sono usciti d a lli torcoli di Lione più libri, che da quelli di tutto il resto del Regno di Francia.

* Nel ms. « Amalinkot ».

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2 3 8 LUIGI FERDINANDO MARSILI

Sino d all’ anno 1482 si stamparono a Fiorenza l ’Opere di M arsilio Fftcimo, et un Homero Greco l ’amno 1488. Lorenzo Tor- rentini, e li G ionti vi si sono im m ortalati per l ’eccellenza delle loro stampe. N iente si può vedere di più bello, nè d i più cor­retto del Decamerone del Boccaccio stam pato in quarto da’ Gtioniti nel 1527, che s’ è venduto lino a cento scudi ; le Pandette Fiorentine stampate dal Torrentino in tre tomi in folio nel 1554 non sono meno stim ate, come anco l’istoria d’Ita lia di Francesco Guicciardini in folio.

I l Cardinale Ximenes installò la stam paria in Spagna, e fece stampare a Toledo da Pietro Hagenbach il Breviarium, et Mis- sale Mozarabum in folio, e poi in A lealà la Bibbia in lingua Ebraica, Caldea, Greca, Latina dal 1515 al 1517 in quattro tom i in folio da Paolo Brocario, che mescolò i caratteri tondo, e gotico nella Bibbia latina, e nelle Prefationi. La Spagna per altro è stata infelice nella stampa per causa della carta, che non può aver buona. S i vedono però delle buone editioni di libri stam pati nelle stam perie reggie di Madrid, e di Lisbona.

Il Re Henrico Settim o d’Inghilterra per introdurre la stampa in quell’isola somministrò una somma de denari riguardevole a Tomaso Bourchier Arcivescovo d i Cantorberi, e Cancelliere del- rUmiversità di Oxford per sviare uno de’ giovani degl’inventori dèlia stampa, e condurlo in Inghilterra, quello si chiamava F e­derico Cor sello, gli fu data la guardia per timore, che non scappasse, il primo libro, che stampò fu a Oxfort l’anno 1468 in tito lato Santi Hjeronimi explicatio simboli Apostolorum in quarto, ita a it A ntonius Wood H istoria U n iversita tis Oxoniensis.

Si deve non di meno riconoscere, dice Monsieur B aillet, che i buoni stam patori sono stati assai rari in Inghilterra infino al Regno d i Carlo Secondo, però la diligenza, e l’accuratezza de­g li autori pareva supplire a quella degli stampatori, come ap­parisce in specie per le Opere corrette da Henrico Savill mas­sime nell’ editione greca del suo San Giovanni Crisostomo in folio tom i otto fatto in Etona l ’anno 1610. Tutte le opere di Giovanni Seldeno, Henrico Spelman, e t a ltri dotti inglesi sono stam pate correttam ente perchè rivedevano le prove. S i può

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tutta volta osservare, che nel fine del Regno d i Giacomo Primo, e t al principio di quello di Carlo primo Guillelmo Turner ac­quistò gran fama, e la cedeva a ipochi a ltri stam patori del suo tempo per la bellezza, e schiettezza de’ suoi caratteri.

Ma le scienze, e l’arti avendo ricevuto in quell’isola un ac­crescimento, et un splendore maraviglioso da mezzo secolo in qua, m assime doppo, che Carlo 'Secondo messe, e trattenne l ’emu- latione tra tanti letterati aggregati in varie accademie; si può dire pure, che la stamparia vi ha fatto ancora grandi progressi, e che il solo Theatro d i Sheldon a Oxford ne darà delle prove segnalate alla posterità sino che dureranno. I belli libri che sono usciti dalli torchi di quella isquisita officina, dove si sono ristam pati tu tti gli autori classici in varie forme tutte stam ­pate in belli caratteri la Poliglotta in Londra di Briano W al- ton in sei tom i in folio, le Gran Critiche della Sacra Scrittura in dieci tomi in folio, e la Sinopsis Criticonim di M attia Polo pure in dieci tomi in folio hanno molto decorato la stampa in Inghilterra, quanto il nuovo Testamento greco cum variantibus Lectionibus d i Maestro Giovanni M ill e il suo Sant’ Ireneo, e la Bibbia greca del Signore Grabbe in folio tre volumi. Mi mancará il tempo se vorrò accennare il San Cipriano, e lo Sui­das Lexicon del Vescovo Pearson, i l Thuccidide, Anacreonte del Signore Hudson, e Papere d’Ussenio, Baronio, Gregori, Newton, W allis, et a ltri dotti M atematici di Roberto Boile, Thomas W il- lis, Richard Mortlon, et a ltri fam osi Medici.

Cbristoforo P iantino Francese nato a Tours si stabilì in An­versa, dove stampò libri in quantità d’una bellezza de’ caratteri, e d’una correttione ammirabile, che gli acquistarono una fama im m ortale; stampò Itra g li a ltri quella bella Bibbia in lingue orientali in dieci volumi in folio finita Panno 1569 sotto la cura, e direttione di Benedetto Aria Montano dedicata a Filippo Se­condo Re di Spagna, che somministrò le spese con magnificenza regia, i cui caratteri latin i, greci, ebraici, arabici furono gettati a P arigi da Guglielmo Lebé.

P iantino morì in Anversa Panno 1589, e non ebbe che figlie femmine; lasciò il suo fondaco d’Anversa al suo nepote Balta-

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sarre 1 Moretto, la sua insegna era il Compasso. Oh ri staf oro Ra- phalenigo suo correttore, e suo gemerò si stabilì a Leida in Olanda, dove stampò molti libri greci, e nelle lingue orientali, che possiedeva perfettamente, anzi professò le lingue ebraica, et araba in Leida, dove prese la stamparla, che vi manteneva Cristoforo P iantino. Una altra figliuola del medemo Piantino fu m aritata ad Adriano Peniero libraro in Parigi, et ebbe per dote la bottega, e magazzeno, che quel arcistam patore teneva in quella gran città.

Huberto Goltzio di Venloo nel paese di Gheldria, dotto anti- quone, 2 s i stabilì a Brugges al tempo del Piantino, vi scolpì le sue m edaglie in rame, e stampò i suoi libri per dichiararli in cin­que tom i in fo lio ; la sua editione si preferisce a quelle che si fecero doppo in Anversa, appresso Piantino, e Moretto.

Benché gli Olandesi non siano stati i primi a stampare, hanno superato quasi tutte le altre nationi nella bellezza, e m oltiplicatioue de’ loro libri anzi nel secolo passato non dubi­tarono d’ arrogarsi F inventione della stampa. Marco Zuerio Boxhornio ne assegna la scuoperta a Lorenzo Coster Custode del Palazzo pubblico della c ittà di Harleem, il quale trovandosi in campagna circa Fanno 1420 s’avvisò di far lettere d i legno con le quali stampò alcune lettere sopra il cartone, e poi in ­ventò un certo glutine negro, come l ’inchiostro della china proprio d ’essere attaccato sulla canta, o papiro; uno de’ primi libri che stampò e che si trova ancora in alcune Biblioteche aveva per titolo Speculim i nostrae sa lu tis, le cui lettere e figure paiono scolpite in tavole di legno, non di meno Amalincort, 3 che ha riconosciuto la falsità della data, o m illesimo, certifica che vi sono sta ti aggionti alcuni fogli per farlo comparire così an­tico. Cornelio a Beughen Olandese nella lista , che ha fatto stampare nel suo libro in tito lato Incunabulo, Typographiae in dodici Am stelodam i delle antiche im pressioni d i libri fatte

1 Nel ms. « Baldassano ».1 Per « antiquario ».1 In luogo di « Mallinkrot ».

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,

avanti l ’anno 1500, parla d’un D onati G ram m atica la tina stam ­pata in Olanda l’anno 1440.

Ma il testim onio dell’Abbate Trithemio, che dall’inventione della stampa alla natione germanica si deve preferire, essendo egli autore contemporaneo senza passione, e senza rim prof' vero a tutto quello, che gli Olandesi pubblicano in favore della loro imprimerla di Harleem, della quale producono un libro solo, perché il loro Donato è senza data, e non vien stim ato tanto antico dagl’intendenti. I libri pili antichi con una data certa sono 1 lo Psalterium in quarto stampato a Magonza 1’ anno 1457, e gli a ltri libri di sopra accennati.

Questo sia detto senza disprezzare le stampe d’Olanda, che prevalgliono a tutte le altre per la bellezza de’ tipi, e caratteri, la qualità, e bianchezza della carta, e la negrezza, e lustro del­l ’inchiostro, oltre l’accuratezza nella correttione, e la buona scielta della materia : la H ollanda sola ha som m inistrato a l pub­blico un magior numero di stam patori, che alcun altro stato d ell’Europa, e la stamperia vi si è accresciuta, secondo che quella Republica s’ è ingrandita. Cristoforo P iantino deve es­sere rim irato come fondatore della sampa nelle Provincie unite, avendo un magazzeno a Leida diretto dal Rafelengo suo genero. Ma non impremeva libri, se non nelle lingue orientali; a poco a poco vi si stantiarono m olti stampatori, e librari, et anche in Amsterdam, e nelle altre c ittà principali d’Olanda, che vi stamparono libri volgari, e latin i in buona forma, che furono trasportati in tutte le principali parti del mondo. Li Blaeu, e l i Jansonij si resero famosi dappoi principalm ente per i loro A tlanti, e carte geografiche, e pure Guglielmo Blaeu era stato discepolo del famoso astronom o Tico Brache Non v’è stam ­parla in Olanda donde siano usciti tanti belli libri né in tanto gran numero quanto dalle officine degli E lzeviri: Bonaventura, Abrahamo, Luigi, e Daniele. Giovanni Le Maire, che stampò li opuscoli 2 d ’Erasmo, le republichette, l ’opere d i Renato Des Car-

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* Nel ms. « è ».2 Nel ms. « le opuscule».

16

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tes 1 ecc. è «tato lodato e preconizzato da Ugone G-rotio, Giovanni Gerardo Vossio, e Claudio Salm asio critici severi, che non prodi­gavano i l loro incenso, Hacquius della IIava s’è distinto per la bellezza, e la. correttione de suoi autori variorum . Andrea Frisio ha speso molto denaro a fare scolpire molte figure per arricchire i suoi libri eruditi ma li fratelli Vander Aà di Leida l ’hanno su­perato nelli venticinque tomi d’antichità greche, e romane rac­colte dalli signori Grevio, e Gronovio, e d i vaghe figure ador­nate scolpite in rame in gran numero. Non si può arrivare più avanti per la stampa maestosa, la bontà della carta, la delica­tezza delle figure a ll’opere di Lilio di Gregorio Giraldi, che hanno alle stampe, nè quelle del Diogene Laertio ecc. Che dirò di Reinier Leirs di Roterdamo, e della stampa doppia del suo Dittionaitio Critico di Pietro B aile in tre tomi in folio, l ’Istoire d’Angleiterre du sieur Deterrei tom i sei in folio adornate di ri­tratti naturali egregiamente scolpiti, e il suo libro di Franci- scus Jundus de pictura veterum , che non Io cede per la bellezza delle lettere a lla stam paria de Parigi? Abrahamo Vuolfgons, Pietro Mortder d ’ Amsterdam, Adrdano Moetiens della. Haya, Henri 'Scheite V uelten senza parlare de’ Commelini Van Soanme- ren e tanti a ltri con le loro stampe di libri francesi hanno reso l’eruditione commune per l’habilità, che procuravano nel prezzo de’ libri aslsai minore di quello de’ librari di Francia. Non v’è che l’impressione di tanti Libelli, Critiche, e Satire, che si fanno in Olanda, che abbiano offuscato la riputazione de’ librari d i quel paese, senza parlare d i quelli che vi hanno stam pato contro la Religione Cattolica, e t a ltr i per fomentare il libertinaggio, per­chè di là sono usciti i libri scelerati di T om aso2 Hobbes, Bene­detto, anzi m aledetto Spinosa, B iblioteca fra tru m Polonorum, seti Sociniatw runi in folio otto volumi, et a ltr i libri libertin i; ma in contracambio vi hanno ristam pato da poco in qua i più famosi autori divenuti rari, come Giovanni Gersone, Dionisio Petavio, Desiderio Erasmo ecc. tu tti in più tom i in folio.

1 Nel ms. « Cortes ».2 Nel ms. « Tomasso

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Ritorniamo a Venetia, dove tu tti i buoni autori greci, e la­tin i erano stati stampati, avanti che uno solo lo fosse stato in Olanda.

Aldo Man ucci, il Padre, Romano di nascita, messe iu Ve­netia al fine del secolo decimo quinto una stamparia di carat­teri greci, e stampò in questa lingua, quasi tu tti g li autori classici, emendando da per se le sue prove con tutta esattezza stupenda, e vi sono anche alcuni libri della sua compositione.

I l vecchio Aldo era così laborioso, che egli medemo scrive nella prefatione del suo Euripide greco da lui stampato in ot­tavo nell’anno 1503, che pUblicava ogni mese un buon autore, del quale cavava .più di m ille 1 esemplari. E pure Erasmo ha messo ne’ suoi adagii « A ldus Bibliotecham molitur, cuius non alia septa sunt, quam ipsius Orbis confimia », Chiliade 2a, Cen­turia l a, proverbio 1°.

Il medemo Aldo verso l ’anno 1500 inventò il carattere in­clinato, o Italico detto ancora corsivo, e lettera Aldina. Im ­presse tu tti g li autori latin i, e poi l ’Ita lian i con quel carattere, e le sue editioni sono ricercate. Stampò anche alcuni libri in folio con quel carattere, come la Cornucopia Nicolai Perotti. Quel carattere su l principio fu molto ben ricevuto, perchè oc­cupa poco luogo, e s’assom iglia alla lettera scritta a mano, « ut calamo conscripta esse videntur » dice il Breve di G iulio Se­condo, perchè ottenne da tre Papi Alessandro V I, G iulio II, e Leone X, il privilegio di stampare solo in quel carattere, ma questo non impedì i Grifi, e Rouilij di Lione, V algrisi, e G ioliti di Venetia, e m olti a ltri di servirsene con successo.

Non di meno quel carattere non è buono per l ’opere grosse di stampa : il vantaggio che l ’ im pressione cava dal carattere Italico è di usarlo ne’ tito li de’ capitoli, le citationi, e passi de- gl’autori allegati, d ie vanno m essi in lettere differenti dal te­sto, ma in alcune editioni non se ne servono, e l i passi allegati, che si vogliono distinguere dal testo dell’ autore, sono con due

‘ N e l m s . « m i l a ».

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virgole iin m argine fatte, come due « roversciati », i quali so­gliono i stam patori chiamare guellem etti.

Paolo Manucci Aglio del vecchio Aldo avendo fatto un buon corso d i istudi acquistò molta scienza, e divenne ancora più dotto d i suo padre. I l Papa P io IV lo fece venire a Roma per dargli la direttione della stamparia A postolica con intentione di fargli1 stampare tu tti i Saniti Padri; ma benché quel Papa havesse fatto gettare quantità de caratteri belli di tu tta perfet- tkme, però non s i stampò niente di riguardevole nella biblio­teca Vaticana sino al tempo di S isto V.

In tanto Paolo Manutio hebbe la direttione della stamparia del Campidoglio « in Aedibus Populi Romani » donde uscirono moliti carpi di buoni libri ben stam pati, perchè adoprava i carat­teri della Vaticana. Sotto Gregorio X III stampò Corpus Juris Canonici una cum Glossis in folio tre volumi, D. Thomae Aqui- natis Opera folio 17 volumi, Summa D. Thomae 8°, 6 volumi ecc.

Aldo il giovane Aglio di Paolo stam pò con successo sin tanto che restò a Venetia, ma si rilassò poi per il disordine de’ suoi interesse domestici, vivendo senza economia, e cade in una gran miseria per essersi trattenuto a regentare le belle lettere a Bologna, e a Roma, et avendo passata la sua più bella parte della sua vita nella Polvere delle C la ss i,l , non solo si vidde schernito, e strapazzato da’ suoi proprii scolari per la sua mala condotta, ma ancora impoverito, abbandonato, et ag­gravato di debiti per le gran spese, che aveva fatto nel fare tra­sportare i suoi libri e la sua stam paria da Venetia a Roma. Ca­pitò in quella città sotto il PontiAcaito di S isto V, restauratore anzi fondatore dell’ illustre stam paria Vaticana, della quiale il Papa Clemente V i l i diede Analmente la direttione al nostro Manucci più tosto in risguardo del suo padre, et avolo, che per suo proprio merto, essendo per altro molto letterato, ma infe­riore a l padre; lasciò non d i meno ottanta mila volumi per te­stamento alla Biblioteca di Pisa.

Bisogna congiongere Domenico di Basa Venetiano a lli Ma-

1 Nel ms. « C lasse ».

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nucci, che gli avevano imparata l’arte loro. Essendo venuto a Roma con loro iSisto V g li diede la direttione della stam paria V aticana per il suo sapere, e grand’esperienza in quell’arte.

Ma benché Sisto V avesse fondato la stam paria Vaticana per stamparvi la Sacra 'Scrittura in molte lingue, i Concili] Ge­nerali, gran numero di Statuti, et ordini Ecclesiastici, tu tte le opere de’ Santi Padri, le Liturgie, Riiti et usi diversi per varie Chiese, non di meno sotto il suo pontificato non vi s i stampò «e non alcune Bibbie latine, il vecchio testam ento greco con le Scholie di F lam inio Nobilio, l ’Opere di San Gregorio il Gran Papa iin quattro tomi in folio, quelle di San Bonaventura in folio volumi sette, e pochi a ltri libri. Clemente V i l i fece sola­mente stampare i Consegli giuridici dell’avvocato Silvestro A l­dobrandino suo padre, e le sue Bibbie in varie forme in folio 4°, et in 8°; finalmente Urbano V III soppresse la stamparia V ati­cana e vendè i caratteri alla stamparia della Cammera Aposto­lica, che si appalta a chi ne proferisce magior denaro, onde non è cosa da stupirsi, se non è uscito da quella niun buon li­bro fuor qualche corpo di decisioni, l ’ingordigia del guadagno facendoli preferire le scritture de’ Curiali, i Bandi, Lunarij, et altre m inutie a ll’autori classici.

La stam paria di Propaganda Fide successe a quella del Va­ticano per l ’ impressione de’ libri in lingue orientali, ma oltre le professioni di Fede, D ottrina Christiana, et altri libri ec­clesiastici; inoltre vi si sono stam pate varie grammatiche e dit- tionarij, et anche alcuni corpi di libri come la Biblioteca Rab­binica di Padre Don G iulio Bartolucci in folio cinque volumi, l’opera di Leone A llatio , P ietro Arcudio in greco, e latino.

La stam paria del signor Cardinale Francesco Barberini per il greco ebbe un m iglior successo di quelle del Cardinale Me­dici per la lingua arabica. Havendo il cardinale Barberini rac­colta una numerosa Biblioteca di libri scielti, e di m anoscritti con l ’aiuto di quattro dotti prelati, che ne hebbero la direttione l’uno doppo l ’altro, Felice Contilori, Luca Colssernio, Leone Aiacci, e Joseffo Maria Suaresio vescovo d i Vaison. Fra il gran numero de’ m anoscritti greci, che vi si conservano si sono

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stam pati l ’istoria degl’im peratori Pateologi scritta in greco da Giorgio Pachimeres con la traduttione latina, e le note, del padre P ossines dotto G iesuito di Tolosa, Sancii N ili Opera graeco- latina in folio due tom i interprete A llatio, Catena graecorum Pa- trum in Marcum tradotta in parte da Monsignore Gio. Francesco Albani hora Papa Clemente XI, in folio, Contilorus de Praefecto Urbis 4°, Sua:resii Praeneste antiquum cum figuris in 4°, Hol- stenij Codex Regularum Ordinis 'Sancii Benedicti in 4° due tomi ecc.

Benché la stam pa sia molto decaduta in questo secolo a Roma, dove aveva fiorito con gran decoro nel secolo decimo se­sto per il greco, quanto per il latino, come ne fa fede il bello Eustachij Commentarium in Homerum greee fol. 4 volumi Romae 1540, Annales ecd esiastie i Caesaris Cardinalis Baronij folio vo­lumi dodici stam pati in più volte avanti, e doppo Fanno 1600 ; non di imeno nel secolo 17.mo vi sono stam pati molti corpi di libri m olto riguardevoli con la cura, e spesa di Zenobio Ma­rotti Romano, e di Biagio Duversin Francese suo associato, al quale successe Felice Cesaretti Romano. Quelli fecero stampare Ita lia Sacra Ferdinandi U gelli in folio nove volumi, Annales Ordinis Minorimi Lucae W adiughi, Roma Subterranea Pauli Ar­ringhi in folio due tomi, M issale Romanum in folio cum figuris, Istoria del Concilio di Trento del Cardinale Pallavicino in folio due tomi, et in quarto tre tomi. Bartolomeo Lupardi, e Gioseppe Corno stamparono le D ecisioni di Rota in folio ventisei tomi, F elice Cesaretti fece stampare altri buoni legali, come Prosper Fagnanus in Decretales fol. 5 volumi, Passerinus de Statibus Hominum folio tre volumi, Joannis B aptistae de Luca S. B. E. Cardinalis Theatrum Justitiae et V eritatis folio dicidotto vo­lumi, e m olti altri libri del medemo, come il Dottor volgare in 4° o tto tomi ecc. I Rossi stamparono A lphoasi Ciacconi Yitae et res gestae summorum Pontificum et S. R. E. Cardinalium cum additionibus Andreae Victorelli, et notis Augustini Oldoini Soc. Jesu.

S i stampa maggiormente a Yenetia, che a Roma, et ancora con magior negligenza ; la sordidezza de’ librari essendo tale,

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che non mantengono correttori per emendare g li errori di stampa. Non era così il secolo passato, dove i stam patori, e librari non sparagnavano niente per rendere le loro im pressioni cor­rette. Doppo gli A ldi i stampatori più esatti, e corretti, le cui stam pe sono ricercate furono i V alagrisi, G ioliti, Gigli, Gionti, a ’ quali successero li Baiba, et a questi Bagliori, Oombi, e la stam paria 1 Hertz ecc.

I libri più famosi usciti dalle stampe di Bologna sono Caroli Sigonii Opera Omnia folio quattro volumi, U lysis Aldrovandi H istoria Animalium et Museum metallicum folio tredici volumi, e m olti tomi libri legali, perché Bononia docet.

A Milano si stampano libri legali, e morali, come Martino Bonacina, e m olti libercoli in lingua volgare.

A Parma il Monti s ’è segnalato con l’impressione di Bordoni Opera Regularía folio 5 volumi, Opere del padre Pavotto Stegneri folio tre volumi ecc.

II signor Muratori Bibliotecario del signore Duca di Modena ha fatto stampare un bel Petrarca in quarto con le sue note, et il dotto padre don Benedetto Bacchini l ’istoria del Monasterio di San Benedetto di Paìirone in 4° ecc. IL medemo padre B ac­chino ha. fatto, lo spatio di sei anni, i Giornali de’ Letterati, che il padre Gaudentio Roberti Carmelitano della Congregatione di Mantova faceva stam pare a Parm a in 4° circa l’anno 1690.

I l padre Gaudentio Roberti si sarebbe immortalato, se havesse havuto più vita, e m iglior borsa per sodisfare al genio, che aveva di ristam pare i libri rairi d’eruditione, de’ quali diede un saggio nella sua m iscellanea eruditione antiquitatis in 4° 5 tom i Parmae 1691, et M iscellanea mathematica 4°.

Fiorenza ha prodotto delle buone im pressioni dell’opere ma­tem atiche del Galileo, ed Evangelista Torricelli, e loro succes­sori, Vincenzo Viviani, e l ’abbate Grandi lettore a Pisa, I saggi dell’Accademia del Cimento, il vocabulario d ell’Accademia della Crusca fol. 3 volumi ecc. Ma tutto questo è molto inferiore alle stam pe delli Gionti, e Torrentini di Firenze.

1 Nel manoscritto v-’è una parola non facilmente leggibile.

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Sul principio dell’inventione della stampa furono impresse a Napoli l ’Opere di Giovanni Gioviano Pontano, et altre in bel carattere tondo; ma la stamparia non si sostenne gran tempo nel suo lustro, e dappoi non vi s’è stampato, se non libri ordinarij di legge, e di teologia, benché quella popolata città abbondi in persone dotte, e letterate p iù d i nessun’altira, essendo avidi di libri forastieri più di nessun altri, ma da al­cuni anni in qua procurano d i rim ettervi su la stampa, e [se] seguitaranno, conforme i saggi che ne hanno dati, acquista ranno molta fama.

S i è rim essa la stampa ancora con più felice successo a Pa­dova da alcuni anni in qua sotto il patrocinio del signor Cardi­nale Barbarigo, et a spesa del suo Seminario ecclesiastico: vi hanno ristam pati tu tti i libri più necessarij per le scuole e per la lingua latina, e m olti per la lingua greca, e le m issioni del Arcipelago, et anche un Alcorano in lingua arabica con la refu- tatione del padre Maracci in due tomi in folio, il tutto sotto la scorta di Giovanni Manfré Libraro di Venetia.

Tra i disertori della vera religione, che abbracciarono le novità dell’eresia nel secolo decimo sesto H enrico Stefano stampa­tore regio a Parigi, et i de Tournes di Lione portarono le loro stamparne, e caratteri a G enova,1 dove sul principio atamparooio assai bene, ma per mancanza di buona carta le loro stampe anda­vano alla peggio, quando la miseria, dove si trovò ridotto Henrico Stefano l ’obbligò a vendere i suoi caratteri in parte a lli Wec- chelij, et in parte a Giacomo Chouet: questo quanto Eustachio Vigmor .pretendeva di potere stabilire la stampa al pari di quella de’ Stepbani, ina non poterono ne’ meno esprimerne l ’ombra.

Giovanni Crispino avvocato francese eresse una stampa a Genova intorno a ll’anno 1550 e le sue prime editioni vengono lodate da Gioseffo 'Scaligero; ma non pervenero a stampare bene, avvenga che fosse per altro dotto in greco e latino, e che abbia composto e stampato un Lexicon greco latino in greco.

1 Nel margine del manoscritto, più giustamente, leggesi « Geneva ».

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La stampa s’è molto m oltiplicata in Germania, Danimarca, e Svezia, quantoehè negl’altri paesi Settentrionali, ma non ha prodotto durante il secolo passato «he libri di stampa assai com- mune sopra carta suga, e straccia, non havendo ancora l’industria di dargli la colla, come si deve.

Non v’è che una stam paria Cattolica in Polonia, al Mona­sterio d’Oliva dell’Ordine Cisterciense nella Prussia presso a Dantzic, ma vi sono state più due famose stamparie Sociniane erette per suggettione Diabolica ad effetto di distruggere la reli­gione Cattolica, secondo Monsignor B aìllet nel libro de Giu- ditij de’ letterati : l ’uma stava nella piccola Polonia, e l ’a ltra in Lithuania, la prima fu trasferita da Cracovia a Racovia da A lessio Rodecki, che stampò m olti libri Sociniani, e perniciosi sotto il regno di (Stefano Battori, sino che passasse a Racovia nel 1577, dove sarebbe sotto la protettione del Palatino di Po- dolia, che s’era fatto Sociniano; Rodek rimesse questa stampa al suo genero Sebastiano Sternac, che la mantenne sino al- 1’ anno 1638.

L ’altra stamparia sociniana più antica della prima fu stabi­lita a Zessau nella Lituania da M attia Kauréczinski, il cui stampatore era Daniele Dileczisca, e poi fu trasportata a Loxko città d i H isca C astellano di V ilna sociniano. Poi fu messa a V ilna sotto la direttione dello stampatore Carcaic, d i là fu portata a Lubec sopra il Niemen, dove hebbe per stampatore Pietro B lasse Kmit genero di Carcaic, Giovanni Kmit figlio di Blasse, e doppo lu i Giovanni Langio Luterano. Quella stam- pajria [finì] nel 1656 per la peste, o l ’istruttione de’ M oscoviti; e doppo i Sociniani hanno trasportato i loro scritti in Olanda, come dentro la C loaca ,1 dove sgorgano tu tte l’ eresie le più infette.

Dopo aver percorso tutta l’Europa è tempo d i ritornare a Parigi, dove la stam paria andava perfettionandosi alla gior­nata in modo che ha superato tu tte le altre stampe, imperoché,

1 Nel ms. « Cloca ».

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se i Thedeschi hanno l’ onore d ’ aver inventata un’ arte tanto utile quan't’è quella dell’impressione, i Francesi hanno la gloria d’averla portata sino al colmo della perfettione. Cristoforo P ian­tino, che stampò in Anversa nel 1571 la Bibbia reggia di Filippo Secondo era francese della D iocesi di Tours, et i suoi caratteri furono gettati a Parigi da Guglielmo Lebè, come s’ è detto di sopra. La Bibbia reggia di Pairigi dell Presidente Leturs stam ­pata a Parigi da Antonio V itré supera la Bibbia Poliglotta d ’Inghilterra per la bellezza di tipi, o lettere, e per la bontà della carta. I Concili] stam pati in Louvre in 37 tomi in folio, e l’istoria Bizzantina stam pata nel medemo luogo eccedono di gran lunga tutto quello che hanno stampata l’altre nationi, vi è niente d i così bello quanto il Corpus Juris C ivilis, rosso e nero in cinque tomi in folio stampato a Parigi nell’anno 1576 da Sebastiano di N ivella nell’anno 1652. A ntonio Vitré stampò per ordine del d'ero di Francia uno de’ più esquisiti lavori del- Pimpressione, dove Parte s’ è esausta, come lo d ice egli medemo n e ll’E pistola lim inare : « vobis offero artem exhaustam consum- ptam ». Sotto il Regno di Cai’lo V III Antonio Verard si rese uno de’ più riguardevoli stampatori, e librari di Parigi. Impresse le Politiche, et Etiche d’A ristotile tradottte, e commentate da N i­colò Oresme sino dal tempo di Carlo V Re d i Francia, stampò parim ente POrologio d i Sapienza, le gran Croniche di Francia in tre tom i l ’Ordinario de’ Christia.ni, il Gran Boetio della Con- solatione della filosofia, la Bibbia Istoriata tomi due, Laucellot del lago Cavaliero della tavola Rotonda tomi tre tu tti in folio, e la magior parte stampato sopra il V ellino, o carta pecora soprafìna dell’anno 1191 a tutto il 1500 le lettere in itia li ornate di belMe m iniature ; in somma oltre i libri d’eruditione egli stampò per i corteggiani, e gente otiosa più di cento volumi in folio di Romanzi, o libri di Cavalleria, e tra gli altri il Romanzo della Rosa.

Claudio Chevallon stampò in casa di Bartolomeo Rembolt, del quale aveva sposato la vedova Carlotta Guillard, Corpus Juris Canonici in folio volumi tre nell’anno 1513, Corpus Juris Civilis folio tre volumi 1520, e quasi tu tti i Santi Padri. Quelle sono le prime eruditioni di Francia, che vengono ricercate, es-

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sendo stim ate per la loro correttione, e lettere schiette, essendo egli peritissim o nell’arte.

Carlotta Guillard, vedova di Rembold, e poi di Chevalon, su­però tutte quelle del suo sesso nella pratica di quella grand’arte essendosi segnalata per un gran numero di buone im pressioni: si legge in una sua E pistola dedicatoria dell’anno 1552, che ella sosteneva le fatighe dell’impressione da cinquanta anni a ll’edi- tione del Lexicon graecum del Tussano, onde g li si può applicare il passo della Scrittura « panem 1 otiosa non comedit » . 2 S i loda in sipecie la sua diligenza nella stam pa del Commentario di San Chrisostomo sopra l’otto primi Capitoli d’Isaia, ch’ella stampò in latino 1555, et essendo vedova per la seconda volta stampò a suo nome la magior parte de’ Santi Padri, come Sant’Agostino, San Geronimo, Origene, San Gregorio Magno, San Chrisostomo, Sant’ Ilario, San B asilio, Bibbia Sacra cuna notis Benedirti Li- pomanni, Commentarius, seu Catena Patrum in Genesim, et Exo- dum folio due volumi ecc.

G alliot Du Pré Parigino libraro giurato nell’Università di P arigi compose molte opere, prefazioni, avvisi, epistole dedica­torie, che si vedono a l principio de’ libri d ’a ltr i stam pati Y. G. Le Gran Coutumier de France fol. Paris 1514, B iblia Sacra fol. Paris 1541, Concilia Generalia ex editione Iacobi Merlini fol.2 vollum i Paris 1524, e t a ltr i in gran mi minerò : la sua impresa era una Galera, alludendo al suo nome, con questo m otto: Yogue la Galera.

I l Re Francesco primo padre e restauratela- delle scienze, confermò i privilegi de’ librari, accrebbe la sua Biblioteca, e la diede in custodia a Guglielmo Bude, inviò a sue spese in Levante Guglielmo Passello, Giovanni Belon, et altri uomini dotti a cercare m anoscritti, fondò a Parigi molte catedre per insegnare le lettere, e Ite Scienze. I più fam osi stam patori, e librari sotto il suo Regno furono Simone di Collines, che sposò la vedova di Henrico Stefano padre di Roberto I. Fu uno de’ primi, che si messe a fabricare polzoni et a incavar m atrici per gettarvi i tip i, o caratteri; era uno de’ primi stam patori del suo tempo

1 Nel ms. « panis ».2 I’roY.. 35, d. 27.

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per il greco, e latino, e le sue im pressioni vengono ricercate, perchè erano maestose, e corrette.

Christofano Weechel stampatore perito, le cui impressioni sono m olto ricercate per le loro eleganze, hebbe un figlio, chia­mato Andrea Wecchel, il quale andò a stabilirsi a Francoforte, doppo <F haver abbandoniate la religione de’ suoi padri.

I prim i stam patori si spacciavano per accurati nell’emendare gli errori di stampa, anzi alcuni si vantavano che le loro impres­sioni erano senza falli, il che è quasi impossibile, benché Aldo Manucci, e Roberto Stefano doppo la correttione di molte prove offerissero uno scudo d’oro a chiunque vi trovasse ancora qual­che errore, il che gli E lzeviri d’Amsterdam rinovarono da poi.

Roberto 'Stefano figlio di Henrioo e genero d i Jodoco Badio acquistò una fama immortale sopra tu tti gli a ltr i della sua pro­fessione, essendo peritissim o nelle lingue greca, et ebraica, et intelligentissim o nella sua professione. Conrado Gesmer g li dedicò il quinto libro delle sue pandette, ove dice, che egli è fra gli a ltri stampatori, ciò che il sole è fra le stelle. I l Pre­sidente di Thovassi narra 1 nella sua Istoria, che la Francia è obbligata a lli Stefani, quanto alli maggiori capitani d'eserciti. Fu uno de’ primi, che stampò in perfettiome libri ebrei, in che superò tu tti quelli, che l’avevano preceduto, come si può vedere nelle sue Bibbie ebraiche degl’anni 1540, e 1543. Stampò in oltre m olte Bibbie latine d a ll’anno 1528 fino a ll’anno 1546. Concor- dantiae Bibliorum fol. 1555, Psalterium cum notis Yatabdi 8° 1546-1556. L’opera sua più stim ata è il Thesaurus Linguae la­tina« fol. due volumi stampato più volte, Novum testamelitum grecum 16. T utti i suoi libri sono riem piti di bellissim e note della sua compositione, ma se ne trovò alcune erronee, che furono con­dannate per censura della Facoltà di Theologia d i Parigi del- 1’ 11 Xbre 1548, confermata da Arrest del parlamento, ma in cambio di ritrattarsi, e sottoporvisi come laico, e non Theologo volle rispondervi, e mantenere i suoi errori, il che lo fece per­secutore, e questo Fobligò d’uscire d i Parigi, e ritirarsi a Genova

1 N e l ra s . « c u r a ».

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dove seguitò a stampare molte opere sino a ll’anno 1559, che il misero vi m orì a dì 7 settembre nell’età sua di 56 anni, doppo aver privati della sua eredità i suoi figli, che erano restati a Parigi per non abbandonare l’antica e vera religione.

Goffredo Thouri di Bourges stampatore e libraro giurato era stato Regente nel Collegio di Borgogna, compose un libro in ti­to lato il Campo fiorito, che contiene l’arte, e scienza della pro­p o r ten e delle lettere antiche o Romane nel 1 1529.

Tradusse dal greco, e dal latino m olti buoni autori in fran­cese, che stampò con m olte altre trad u zion i di Claudio Seyssel Arcivescovo di Torino, come Eusebio, Thueidide, Senofonte, Giu­ntino, Diodoro, 2, Appiano ecc. che sono 'poi cadute per la m ula­tto ne della lingua, benché per altro i traduttori fossero uomini dotti ; Thouri compose altre opere piene d’eruditione, che stampò egli medemo.

Nicolò Prevost era perito a stampare gli usi ecclesiastici, come M essali Breviarij D ivini Offizioli per diversi Ordini Reli­giosi, se ne vedono alcuni stam pati sopra il velino nelle buone Biblioteche di Parigi.

Michele Vascosan genero di Badio, e cognato di Roberto Stefano maritò la sua figlia a Federico Morel, fu libraro giu­rato dell’Università di Parigi, e stampatore ordinario del Re C ristianissim o; divenne uno de’ più bravi, e celebri stam patori dlel suo tempo, tanto per il suo sapere, quanto per la scielta, che faceva de’ libri buoni, che imprimeva di tu tta perfettione, e tra gli a ltr i Diodoro Siculo, Quintiliano, Plutarco, Palili Em ilij H i­storia Francorum tu tti in folio, e t altri. V isse fino a(l tempo di H enrico I I I ; e morendo lasciò due figli Pietro, e Michele, che seguitarono la professione.

Egidio Corozet parigino era dotto nelle lingue, compose molti libri, e li stampò, tra l’a ltr i ¡’A ntichità di Parigi, e poi quelle dell’altre città di Francia in più tom i in folio, stampò in oltre l ’anno 1555 il libro di Giovanni Belloni della Natura degli ucelli in folio con figure, et altri, e morì l’anno seguente.

1 Nel ms. « en ».2 Nel ms. « Didoro ».

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In tanto che Roberto Stefano era stampatore del Re per i caratteri ebraici, e latin i, .Conrado Neobario haveva la guardia de’ caratteri greci della stam paria regia, e doppo lu i Adriano Tumebò, e poi Federico Morello. Erano tu tti tre dottissim i nei!'la lingua greca, et intendevano perfettam ente l’imprimeria, compo­sero, e stamparono m olti libri eruditi.

iStefano Dolet poeta latino, e francese, oratore, grammatico, e librano, composte Commenitaria Linguae la-tinaie folio due vo- In,mi, d ie fece stampare a Lione da Sebastiano Gripliio nel 1536, fece, e tradusse m olti altri libri, e tra gli a ltr i il vero metodo di bene e cattolicam ente confessarsi in 16° l ’anno 1542: usava quest’im presa intorno al suo marco: « scabra, et ini polita ada- mussim dolo, atque perpolio », e più sotto Doletus ; stampò pari­mente alcuni libri a Lione, dove rim ase qualche tempo. Molti tra quellli, che haveva composti furono censurati dalla Sacra Facoltà di Tlieologia di Parigi del 1544 contro la quale non potè im pedirsi di scrivere, essendo prigione al Castelletto di Parigi, il Secondo inferno d i Stefano Doletto stampato a Troia in Ciampagna il medemo anno 1544. Quel infelice stampatore fu impiccato, et abbrugiato a Parigi li tre agosto dell’anno 1545 per la sua ostinatione, et em pietà nell’eresia di Calvino. S’osserva, che per­venuto il disgratiato al luogo del supplicio, vedendo il popolo conturbato d’un ta le spettacolo esclam ò:

Non dolet ipse D olet; sed P ia turba dolet.Gli fu risposto subito dal luogotenente crim inale Morino,

che assisteva a cavallo a l l’ eseeutione (Ita V arillas, Rivolutione dell’ Eresie) :

Non pia turba dolet; sed dolet ipse Dolet.Roberto Stefano haveva due fratelli della medema professione

di lu i : Francesco Stefano suo primogenito, che stampò solamente alcuni libri a nome suo, perche dirigeva la stam paria di sua madre vedova in seconde nozze di Simone di Collines.

Il terzo fratello era Carlo Stefano stampatore del Re, D ot­tore di M edicina della Facoltà di Parigi. Quella fam iglia era felice a produrre uomini dotti, e massime Carlo Stefano, che com­pose un D ittionario Istorico, e Poetico in 4°, e m olti libri di medicine, e tra gli altri un Trattato d’Agricoltura in Francese

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in tito lato la Maison rustique J, iu 4°, che fu poi accresciuto da Giovanni Liebault dottore di medicina a Parigi, che liaveva spo­sato la sua figliola unica Nicola Stefano, donna letterata, che compose m olte poesie francesi, et. un’ Apologia a difesa per le donne contro quelli che le sprezzano.

Theobaldo Charrom fece più figlioli, che non stampò libri; d ella sua prima m oglie ne hebbe quattro, e tra gli a ltri lino chiamato Giovanni, che abbracciò la sua professione, e dalla sua seconda moglie ebbe ventuno figlioli, e tra gl’altri Pietro Gharron prete autore di quel libro stampato tante volte in ti­tolato la Saviezza di Charron.

Guglielmo Morel nato a Tailleul in Normandia fu scielto per riempire il posto d ’Adriano Turnebo che lo nominò egli stesso e gli cedé la sua stamparia, quando fu ricevuto professore reg- gio della lingua greca nel 1548 sotto il Regno d i Henrico Secondo. Gugliemo Morel ebbe la qualità di stampatore reale per il greco, e stampò una mano di libri buoni in quella 'lingua, et in latino, alcuni de’ qualli erano sta ti composti da lui.

Martin Le Jeum acquistò la stam paria di Roberto Stefano, quando si ritirò a Genova, e stampò molti libri nelle lingue orientali.

Claudio Chaudière parigino stampatore del cardinale d i Lo­rena era dotto, e vi sono de’ libri da lu i com posti; s i conobbe la sua perritia nell’ arte per il gran numero de’ libri, che usci­rono da’ suoi torchi. Guglielmo Chaudière suo figlio successe alla sua stampa e libraria.

Adriano Le Roy stampatore prattichissim o, gran musico, e il primo huomo del suo tempo per sonare il liuto, fece un istrut- tione per il liuto, e la ghitarra, e messe im ta.blatura i salmi di Davide in più parti, et altre opere di musica. Era cognato et associato d i Roberto Balard solo stampatore del Re per la mu­sica, privilegio, che la sua fam iglia ha conservato da padre in figlio.

1 Nel ms. « magior rustiq ». Il titolo tuttavia della prima edizione era in latino: Praedium rusticum.

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Sebastiano Ni velia tenne il principato tra i stampatori, e librari del ¡suo tempo, e la sua riputazione sarà immortale per causa della spesa, che faceva per adornare le sue impressioni. Ristampò quasi tu tti i Santi Padri. I l suo iSan Geronimo in folio tom i quattro d ell’anno 1579 è uno de’ principali. Cuijacio in folio quattro tom i nel 1577 ; 1’ opera sua più riguardevole è Corpus Juris C ivilis una cum Glossis rubro nigrum in folio tomi cinque Parisijs 1576 stampato a sue spese, e sotto la sua cura da Hen- rico Thierry et Oliviero de’ Marsi. E gli m orì l i dicianove novem­bre 1603, essendo stato honorato delle m agistrature della città di Parigi. I suoi figli Nicolò, e Roberto seguitarono il suo com­mercio, che passò poi a Sebastiano Cramoisi, pure Conservatore di Parigi, o Echevin, e poi a Sebastien Mabre Cramoisi.

Henrico Stefano signore d i Griere secondo figlio di Roberto primo era dottissim o e passava per essere il più intelligente del suo tempo nella lingua greca, che suo padre gli fece imparare sino dall’infantia ; superò il vecchio Aldo in stampare libri greci avendo m igliori caratteri, e più talento per fare spiccare il suo sapere.

Il bel P latone greco latino cum Notis Joannis Serrani in folio tre tom i è una delle sue più belle opere, ma la magiore è il Thesaurus Linguae Graecae in folio cinque volumi, che im­presse ad im itatione del Thesaurus Linguae latinae di Roberto suo padre, questo è di una fatigha immensa, dove ha messo tu tti i passi de’ buoni autori greci, che haveva letti, e che possiedeva maravigliosamente.

I l Re Henrico Terzo lo mandò mel paese de’ Svizzeri a cercare m anoscritti, e libri rari con gratificarlo d’una somma di tre mila lire, e d’una. pensione ; gli concesse privilegi,!- am plissim i per la stam pa de’ suoi libri, ina tu tti questi favori e grazie regie non impedirono, che non fosse abbrugiato in effigie a Parigi per causa della sua Apologia d’Herodoto, dove haveva inserito molte empietà, e parole di disprezzo contro la religione. I l fine della sua vita non fu meno deplorevole, essendo morto nell’ospedale di Lione l’anno 1598 nell’età d i settant’anni doppo m olti viaggi, avendo perduto tu tti i suoi beni, et anche il giudizio. Lasciò

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un tìglio chiamato Paolo Stefano dotto nell« 1 che andòa stabilirsi a Genova, et una figlia Fiorenza m aritata a Isaac Casaubono suo correttore di stampa.

Nicolò Chesneau Angiovino si fece distinguere per il gran numero di libri che stampò di tu tta perfettione accompagnati di dotte prefa tien i epistolae, discorsi dotti e t intelligib ili.

Fréderic Morel di Sciampagna stampatore del Re e suo inter­prete nelle lingue e genero di Vascosan, e suo erede huomo dotto in greco, et in latino stampò tanti libri greci, e latin i, che riu­scirebbe tedioso il farne il catalogo ; morì nell'anno 1583 nell’età di sessant’ anni, e lasciò tra g li a ltr i figli, Michel Fréderic, e Claudio Morel suoi eredi, et im itatori nella sua professione. Fri- derico secondo stampò m olti libri greci, e latin i, e tra g l’a ltri Libanius gr.-lat. da lu i tradotto dal greco in due torni in folio, e Dion Crisostomo; visse sino all’ anno 1030. Egidio Morel suo nepote doppo haver stampato Magna Biblioteca Patrum folio di- cidotto volumi Parigi 1644, fu consegliero al gran Conseglio del Re; Claudio Morel suo fratello stampò molti Padri greci e latin i.

Roberto Stefano, secondo del nome, fratello d’Henrico stampò la Bibbia dei V atable e Pagnini in folio due volumi, e m olti a ltr i; fu d iseredato2 dal suo padre Roberto Primo, perchè nonlo haveva seguito a Genova, ma fu foni pensato della Guardia de’ caratteri, e polzoni del Re, e della commissione d’andare in Ita ­lia et altri luoghi a cercare m anoscritti. Morì a Parigi nell’anno 1588, e lasciò m olti figli, e tra g li a ltri Roberto Terzo suo suc­cessore nel suo fondaco.

Michel Sonius lasciò m olti avvisi, e prefationi per l’in te lli­genza de’ libri, che stampò in numero grandissimo, e tra gli a ltri Bibliotecha Patrum in folio tom i dieci.

Mamimert P atisson d’ Orléans sposò la vedova di Roberto Stefano Primo l’anno 1580, e stampò con gran diligenza, et ac­curatezza in casa de’ Stefani molti libri, e tra g li altri H istoria Thuana in folio tom i quattro, la quale è la buona editione non

1 Nel manoscritto manca una parola. Sono invece ripetute le parole « Paolo Stefano dotto ».

2 Nel ms. « eseredato ».

17

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castrata. Patisson intendeva le lingue, e stampava correttamente, come appare da libri, che ha stam pati con belli caratteri sopra buona carta con belli m argini; lasciò la sua bottegha a suo figlio.

Abel Langelier figlio d i libraro stampò m olti libri che si sono fa tti rarissim i, come lia Bibliotèque de la Croia Du Maine fol. Bibliotheca H istoriale di Vigner folio tre volumi, e m olti libri le­gali ecc. Sua moglie vedova stampò l’immagini di F ilostrato tra­dotto dal greco in francese da Biagio Vigenario con dotti com­m entari], e quantità di figure delicatam ente scolpite in rame in folio l’anno 1014; c h e la buona editione.

Mi man'carebbe il tempo se volessi (parlare de’ più famosi l i ­brari di Parigi, che si segnalarono al secolo passato per la loro diligenza, e correttione a stampare libri, che andavano del pari con i precedenti, e tra gli a ltri li Marnes, Couteau, Regnault, Augereau, Iverver, M auritio et Ambrosio della Porta, i Langelier, i Macé, Maturino Du Puis, e suoi figli, Oudin P etit, Giovanni Luigi Tiletano, Giovanni lineile, Benedetto e Maturino Prevost, Stefano Grouleau, Gabriel Buon, Giovanni Le Blanc, Giovanni Roeher, e suoi figli, Carlo Rogìero, Daniele e Maturino Guiìle- molt, P ietro et Ambrosio Drovart, Rolin Thierrì, e m olti altri accennati nell’istoria deill’Im.primeria, e libraria d i Giovanni de La Caille in quarto Parigi 1689, d’ onde ho cavato in parte, quanto ho detto, e dirò de’ librari e stampatori.

Non potendo i librari più famosi, et accreditati sovvenire soli alte spese per stampare opere grosse, fecero società radunandosi m olti di compagnia per stamparle in commune, e participare al guadagno, et alla perdita in proportione del denaro, ch’ogniuno vi metteva. La più famosa Compagnia verso il fine del secolo deci- m osesto era composta di Giacomo e P ietro Du Puis, Sebastiano Nivello, e Michel Sonius, aveva per insegna la gran nave per l ’ impressione de’ Santi Padri, m olti de’ quali furano finiti di stam pare l'anno 1586 e vengono molto stim ati; stamparono an­cora la Bibliotecha Patrum folio undeci volum i Paris 1589 ch’è la seconda editione di Parigi. V i sono stati poi dell’altre famose compagnie per g li usi ecclesiastici, per la Bibbia massima folio

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dicinnove volumi, e per la collettione de Coneilij del Padre Labbé in fo lio dieidotto tomi, finiti di stampare Tanno 1672.

Doppo il Regno d’Henrico il Grande sino al presente i l nu­mero de’ stam patori e librari è andato tuttavia crescendo, ma i buoni stam patori sono calati circa il numero, pure se ne sono trovati di quando in quando alcuni, che hanno superati i com­pagni nella peritia, e diligenza nella professione.

La stamparia di Parigi è stata sempre la più riguardevole non solo del Regno, ma pure di tutta l’Europa, e benché vi siano an­cor delle stamparie nelle principali città del Regno, non v’è, che Lione, che si sia distinto per la quantità delli suoi torcoli e le grosse im pressioni che vi hanno fatte in numero prodigioso; non d i meno Simone Milamge stam patore a Bordeaux s i rese molto riguardevole nella sua professione, dove andava del pari con i primi librari del Regno. Era stato Rettore del Collegio d i Bor­deaux, che fu obbligato di cedere per ordine del Re adii Padri G iesuiti, stampò Stephani Davys Index Ju ris Pontifici! folio due volumi, Commentaires de B laise de Monluc Marechal de France folio, E ssais 1 de Montagne.

Roberto Stefano terzo del nome, figlio di Roberto Secondo, era Poeta, et interprete del Re per le lingue greca e latina, tradusse dal greco in francese i due primi libri della Rettorica d ’Aristo- tile, che il suo nepote Roberto Stefano Quarto del nome finì di tradurre l ’anno 1630. E gli ristampò H istoria Thuana in M io , Mercerus in Genesim folio, et altri.

Il Re Luigi X III di gloriosa memoria confermò i privilegi de’ librari, et honorò quell’arte dandogli ricetto nel suo Castello del Louvre, dove eresse una stamperia reggia l ’anno 1640 alla per­suasione del cardinale di Richelieu. Ne diede la d irettione a S e­bastiano Cramoisi, sotto la cura del quale, et alle spese di sua Maestà C ristianissim a si sono stam pate opere stupende per la loro mole, e per la bellezza de’ caratteri, quali sono Concilia Genera!lia et Provincia Ha foLio trentas'étte volumi, B iblia S'aJcra folio otto volumi, T ipis maioribus, più altre Bibbie in quarto

1 N el ms. « Essai ».

1 7 *

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Typis- m inoribus, 'Saneti Bernardi Opera folio otto volumi, Ca­roli He Cointe, Annales ecclesiastici Francorum folio otto vo­lumi, Corpus H istoriae Bizantinae folio venticinque volumi, Vir- gilius, Terentius, H oratius, Juvenalis et Pensius tu tti in folio con lettere da scatola, e m olti altri, il cui catalogo è stampato et, il cui num ero accresce ogni giorno più secondo g li ordini di Luigi il Grande, che ha fatto venire da Lione il signore An­tonio A nisson famoso libraro per confidargli la direttione di quella incomparabile stamparia doppo la morte di Mabre Cra- m oisi l ’ultim o della sua fam iglia. I l figlio d’Anisson essendosi fatto Con sigillerò a i Parlamento, quel nome non comparisce più, ma quello di R igault suo socio.

A ntonio Stefano figlio d i Paolo nato a Genova cominciò i suoi studi a Lione, e li finì a Parigi. V i ottenne lettere d i naturalità a dì venti settembre 1612 ; e per ha ver fatto abiuratione dell’ere­sia Calviniana nelle m ani del cardinale Du Perron ebbe dal clero di Francia una pensione di cinquecento lire, fu ricevuto stampa­tore, e libraro l’anno 1618 e fu honorato della carica di stampa­tore del Re nel mese di Decembre dell’anno 1613 con seicento lire, d i stipendio annue. Stampò l’opere del cardinale Du Perron in fo lio quattro volumi. Vetus, e t novum testam entum gr. lat. cum scholijs Joannis Morini, Xenophon, Strabon, A ristotile tu tti in greco, e latino parte a sue spese, et alcune volte in compagnia d’a ltr i famosi librari. Hebbe m olti figli, ma con un maschio solo chiamato Henrico ^Stefano ricevuto stampatore, e libraro nel 1641, morto a dì sei Ottobre 1661 ; avanti suo padre non havendo lasciato che figlie femine. Antonio Stefano visse sino a ll’età di ottant’anni, et essendo divenuto cieco e molto infermo, andò a morire a ll’ospedale nell’ultim a miseria ad onta delle letterate, dice Adriano B aillet. Tale fu il fine dell’i l ­lustre fam iglia de’ Stefani, che non hanno mai hauto i loro si­m ili nell’arte della stamparia.

A ntonio V itré figlio di P ietro stampatore del Re per le lingue orientali, e del clero d i Francia. Non v’è nessuno, d ice Monsieur B aillet, che sia andato sin bora così lontano, e poco manca che non habbia portato la stampa al colmo della perfettione. La sola Bibbia P olig lotta del Presidente Lesay in dieci tom i in folio

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ha m esso il pubblico in quella persuasione, e non ostante la cen­sura de’ suoi inviduosi e la disgrazia, dove questa D ivina opei*a è caduta in questi u ltim i anni, non lascia però di passare per il capo d’opera, e quasi per l’ultimo sforzo di quell’arte non solo per la novità e maestà de’ caratteri, ma ancora per l ’industria particolare del Vitré, e per l’esattitudine particolare, che ne ha portata; le sue altre editioni delle Bibbie latine in folio in 4° et in 8° sostengono pure perfettam ente bene la fama da lu i meri­tam ente acquista del primo stampatore di Francia, non ostanteil gran numero di bravi stampatori, che brillavano al suo tempo. E gli li scancellò tu tti per lo splendore del suo nome sino a Ro­berto Stefano, al quale non fu inferiore, che in eruditione. E benché allora gli Ollandesi paressero ottenere il principato in m ateria di stamparia, si pretende, che il V itré poteva essergli opposto solo se si fosse avvisato d’osservare, come s’è fatto dap­poi, la d istin tione tra la consonante, e la vocale nelle llettere I et V, e di stringere un poco più il suo piccolo carattere. I l clero di Francia ha fatto il suo elogio in m olti luoghi delli loro atti, e memorie da lu i stam pate in t re tom i in folio, anzi Mons. Col- bert l ’haveva scielto per dirigere la stam paria Regia, se la morte non l’havesse rapito troppo presto per il bene della Repubblica letteraria.

Giovanni Camusat fu ricevuto libraro, e stampatore, nel­l ’anno 1621; fu scielto nell’anno 1634 per essere libraro e stam­patore dell’Accademia Francese, che ne’ suoi principi] s i radu­nava a casa sua, passava per huomo di buon senso, et in telligente nella professione; bastava per stim ar un libro, che Camusat lo avesse stam pato, dice Mons. Pelisson nella sua Istoria d ell’Ac­cademia Francese, e pure non ne stampava, che delli buoni. Hebbe de m olti figli, e tra g li a ltri Giacomo ricevuto libraro nel 1648; et una figliola chiam ata D ionigia m aritata a P ietro Le P etit, che fece società con sua suocera vedova del Camusat, e lo superò per la quantità di libri, che stampò senza veruno spa­ragno. I principali sono Les oeuvres de Monsieur Arnaud d’An- d illi in folio otto volumi, Item in 4°, e t in 8° in più tomi, Les Oeuvres du Pere Senault de l’Oratoire in più tomi de Monsieur Girard che tradusse Grenade en François in 8° 10 tomi, Cotelery

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Opera Sanctorum Patrum saeculi A postolici in folio due volumi. Eusebii, Socratis, Theodorìsti, Sozomenii Evagrii, Philostorgij H istoria E cclesiastica greco latina, cum notis H enrici Yalesij folio tre volumi ecc. Coprì la carica di Segretario del Re, che gli diede la nobiltà.

Pietro Roccoles, A gostino Courbé, P ietro PAmi, Tomaso Joli, Pietro Barbino, e quantità d’altri havevano grandi fondi di libra­ria nelle loro botteghe al Palazzo, dove si rende la G iustitia, ma perchè in quel luogo non si vendono, se non libri legali, romanzi, poesie, e t a ltr i libri d i galanteria, non se ne parlarà magiormente, e s i ritom arà nella strada di San Giacomo, come al domicilio de’ librari, che hanno stam pati tu tti i libri d’eruditione.

Giacomo Quesnel figlio di Francesco gentilhuom o scozzese, «he fu prima pittore del Re Henrico Terzo, s i rese uno de più pnattici librari del suo tempo, e t Irebbe un figlio ancora più erudito di lui, e quello è il famoso padre Paschasio Quesnel dell’ Oratorio.

Sebastiano Huré figlio di Sebastiano fu stampatore del Re, et im presse quantità di libri d i divotione, e tra l ’a ltri l ’opera di San Francesco di Sales, e m olti altri in che si sarebbe arricchito «e non si fosse associato con Federico Leonardo Fiammengo, chelo spiantò in tanto ch’egli s’arricchì ha vendo fatto gran fortuna a Parigi, e vi morì decrepito di vecchiaia ricco di più di 100 mila scudi, lasciando un figlio unico, che seguitò la professione; ma però morì giovine, e ’1 suo fondaco fu venduto havendo lasciato m olti figli minori, et incapaci di sostenerlo. Leonardo fu stam ­patore del clero, e stampò les Actes, Titres, et memoires du Clergé de France dressez par l’abbé le Gentil in folio sei volum i Paris 1673. Léonard stampò secondo gli usi ecclesiastici Messali, Bre- viarij ecc. per gli Ordini Cisterciensi, Preimostratense, e de’ Do­m enicani con privilegi). Stam pò in oltre più di trenta tomi d’au­tori ad uisum serenissim i IM pliini.

Giovanni P ilé ricevuto libraro non acquistò altra fama, che d’aver dato in matrimonio la sua figlia a Francesco Muguet di Lione stam patore ordinario del Re, il quale stampò l’opere di due illu str i prelati; cioè Antonio Godeau vescovo d i Vence au­tore dell’istoria ecclesiastica in cinque tomi in folio, e molti

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altri libri in forma minore tu tti in francese, e quelle di P ietro di Marca arcivescovo di Parigi autore del libro de Concordia Saicerdotij, et Imperij, folio, Marca H ispanica folio, e m olti altri. Muguet stampò ancora l ’opera del Baluzio in folio cinque tomi, cioè C apitula Regum Francorum folio due volumi Innocentii Tertii Pontifici« Maximi E pistolae «Decretale» folio due volumi, nova Collectio Conciliorum folio, V itae Paparum avenionensium 4° due volumi ecc., l ’opere de’ Padri Liugendes et Novet G iesuiti, Arnelot, e Tomassino d d l’Oratorio. Havendo questo ultim o stam ­pato più volte la sua disciplina circa i beneficii, in francese, e poi in latino in folio tre tomi, e la Theologia dogmatica in folio tre tomi, oltre una ventina di tom i in ottavo circa varii punti im portanti, e Theologia il Sant’A gostino de’ Padri Benedittini in fo lio undeci tomi, P lin ius ad usurn serenissim i Delphini cum notis H arduini 4° cinque volumi, e molti a ltri libri buoni, che rilaverebbero reso il lìbraro il più opulente della Francia, se non havesse havuto tanti figli, che hanno preso differenti partiti nella Chiesa, e nell’Armi, et ha un altro figlio, che è direttore della stam paria Reale di Versaglia.

Guglielmo Le Bé il giovane, R ollet Boutonne, Giacomo San- leque, et a ltri eccellenti fonditori di caratteri, meritano, che i loro nomi siano trasm essi alla posterità per memoria perpetua; e vaglia il vero, se quelli, che hanno som m inistrati i scribi, e la carta pecora ad Origenes e San Geronimo, secondo il pensiero d’Erasmo, hanno m eritato molte lodi, di quanti encom ii saranno degni i gettitori, stam patori e librari, che somministrano gior­nalm ente a vile prezzo l’opere degli uomini più dotti antichi, e m oderni nelle scienze, e t arti?

Giovanni B ilia in e solo stam patore per gli u si ecclesiastici di tu tto il vastissim o ordine di San Benedetto, haveva un fratello, chiamato Pietro, che era buon libraro, e ristampò le Controversie del Cardinale Bellarm ino in quattro tomi in folio. Giovanni stampò M aldonatus in Evangelia folio, et altri, et hebbe un figlio chiamato L uigi B iliaine, che fece bene studiare a ll’Abbadia di Tironio, e poi nell’U niversità di Parigi, dove prese il grado di m aestro nelle arti. Luigi B ilia ine si fece stim are come uno de’ più dotti librari del suo tempo : intendeva le lingue greca, latina.

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spaglinola, italiana, todesca, e fiammenga, e se ne era reso capace nelli diversi viaggi, che haveva fatto in quelle regioni; emendava molto bene le prove delle sue impressioni, quando ne prendeva la briga, e le arricchiva con ep isto le lim inarie, prefationi, avvisi, indice della sua compositione. Sotto la sua direttione fu stam ­pata la Bibliotecha Juris Canonici Veteris cum notis Christo- phori Ju stelli in folio due volumi, Aeta Sa ne toni m Ordini» Sancii Benedicti in fo lio in più tomi, eccetto Seculum Secundum stam pato da Saureva 1 Du Cange Glossarium ad Scriptores me- diae et Infima« la tin ita tis fottio tre volumi, e t Eiusdem Byzan- tina illustrata in folio cum figuris, Mabililon de re diplomatica in fo lio con figuris stampato poco tempo avanti la sua morte successali alli venticinque agosto dell’ anno 1681. Havendo la­sciato per suo testam ento olografo tu tti i suoi effetti a luoghi pii, et a suoi amici, e servitori, non havendo havuto figli dalla ve­dova d i Pietro l’Ami, che aveva sposato, e vendette per venti­cinque mila lire di Francia il suo fondaco, che haveva a Roma a Giovanni Crozier di Lione suo fattore, che l ’haveva am m inistrato m olti anni per lui. In somma Monsieuir B aillet nel suo libro de’ G iuditii de’ 'letterati, [dice] che Luigi B ilia ine è stato, rispetto a lli professori della sua arte in Parigi, ciò che un autore antico diceva, che erano stati Bruto e Cassio appresso i veri Romani Republichisti, u ltim i Romanorum !

Giovanni Tom pere, uno de più esperti stampatori, e librari di Parigi, hebbe due figli: Egidio, e Giovanni Tompere pure librari, et una figlia m aritata a Carlo Coignard ricevuto libraro li otto giugno 1644; il quale si rese uno de più d iligenti stampatori, e librari di Parigi, massime per gli usi ecclesiastici, e libri rossi, e neri. Lasciò m olti figli, e tra g l’ a ltr i Giovanni B attista e Carlo Coignard ambedue librari. Giovanni B attista successe a Damiano Foucault alla carica di stam patore ordinario del re, et a Pietro le P etit in quella di stampatore dell’Accademia fran­cese, della quale stampò il bel D ittionario in folio quattro vo­lumi in folio, il Sant’Ambrosio de’ Padri Benedettini in folio

1 Così nel ms. : forse Charles Chauvreux.

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due tomi, l ’A rchitettura d i V itruvio tradotti in francese Con note, e figure da Carlo Perault in folio, les Anciens editi ce s de Rome dessignez sur les lieux et gravez par des Godet folio, San­ati Leonis Magni opera emù notis Paschasii Quesnel quarto, due volumi, Breviarii, e t altri usi dell’ordine di Sant’A gostino ecc., con una delicatezza isquisita emendando da per se le sue prove, et havendo in casa una fonderia per gettare i suoi caratteri.

Mathuron Dupuis era ancora buou stampatore, e libraro quanto Giovanni Dupuis suo figlio morto nell’anno 1675, la cui vedova sposò Antonio Dezallier, il quale s’ è segnalato per la doppia reimpressione deli’opere del Padre N atale Alessandro in più tomi in folio, e t 8°, Boni Merbesii Summa Christiana, seu Ortodoxa morum disciplina folio due volumi Paris 1683, Con- ferences ecclesiastiques du Diocese du Lucon num. 17 volumi, Geogr&phiae de Robbe avec les cartes n. due volumi, Traitez di- vers de M.° Thiers in più tomi ecc.

Georgio Josse stampatore, e libraro ricevuto a dì due set­tembre 1627, stampò nel 1641 Jacobi ¡Saliani Annate» ecclesiastici veteris testam enti folio sei volumi e m olte altre opere riguar- devoli. Fu associato alla gran compagnia scelta dal Re defunto per l’impressione degli usi ecclesiastici riform ati per decreto del Concilio di Trento. 11 suo merito l’elevò alle cariche della pro­fessione, e ne fu sindaco, eh’ è la dignità suprema, V anno 1651, morì l ’anno 1678 e lasciò due figli Giorgio, e Luigi, i quali traf­ficano insieme, e sono stam patori, e librari dell’arcivescovo di P arig i; la loro sorella M argarita sposò Carlo A ngot libraro, che stampò l’opere di Renato Des Cartes in francese in più tomi in folio, e fu parimente sindico de’ librari, e servì bene la sua com- m unità presso le potenze, che governavano lo stato per la con- servatione de’ suoi privilegii.

Matteo Guillemont fu stim ato uno de più valenti huomini della sua professione il che lo fece eleggere per sindico della sua communità l’anno 1649. Esercitò quella carica con molta intre- pidità, et integrità, essendo intelligente nelle liti, e contrasti, che sostenne anche con pericolo della sua vita. Stampò la gran­d’istoria di Francia di Mezeray in folio tre tomi, et a ltri libri

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buoni. Ebbe un figlio chiamato Pietro, che successe al suo fon­daco.

D ionigi Thierry figlio di Rolino stampò Digestum Sapientiae Yyonis Capucini fo lio tre volumi, Tournaldes Audiences du 1*9- lay 4’ undeci volumi. Lasciò un figlio chiamato pure Dionigi Thierry, che tenne una fiorentissim a stam paria d’onde uscirono libri «squisiti, e correttissim i, come Corpus Juris Canonici cum notis Pitheorum folio due volumi, Ciceronis Orationes e t Epi- stdlae cum notis ad usum Serenissim i D elphini in quarto, quat­tro volumi, ristampò il gran Mezerai in folio tre volumi, là Be- scription de l ’Univers, e t les Travaux de Mars du sieur Mallet 8° otto volumi riem piti di figure, la Coutume de Paris eommentée par M. D e Ferreries, Journal du Palais 4° 10 vollumes, le Supple- inent au Grand D ictionnaire de Morevi folio due volumi ecc. Era solo stam patore degli usi ecclesiastici delli tre Ordini di San Francesco, il cui privilegio passò ad Edmundo Couterot, che haveva stampato la Theologia Scotica del Padre Frassen folio quattro volumi ecc. Dipnisio Thierry passò per tutte le cariche della città , e della sua professione, e li esercitò con sommo onore.

Giovanni Cusson ricevuto libraro nel 1630 passò per i-1 più esperto legatore di libri del suo tempo, fu il primo a stampareil giornale de’ letterati, seguitato da Giovanni Cusson suo1 figlio, che fu primo avvocato e poi ricevuto libraro l’anno 1659 molto in telligente nelle lingue greca, e latina, e capace d i correggere se stesiso le prove de’ libri da lu i stampati.

D ionisio Bechet nepote di Gieronimo Drouart, che haveva stam pato Polybius et Svetonius cum notis Casauboni, Salm asii E xercitationes Pliuianae, Solinum, et altri buoni libri in folio. Fù ricevuto libraro nell’ anno 1632. La sua integrità, e suffi­cienza lo fecero passare per tutte le cariche della sua commu- nità, e per le dignità della città solite conferirsi a cittadini pri­m arii; egli stampò Biblia magna Joannis De la Harpe folio cinque volum i 1641, e poi eiusdem Biblia maxima folio 19 volumi in Compagnia d i Simon Piget, e d’Antonio Bertier.

Questo ultim o nepote de P rost di Lione impresse nella mé- dema compagnia Bibliotecha Patrum Concionatoria CombesiS

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folio otto volumi, l ’H istoire, et memoires de Cardinal de Biche-li en par Auberi folio 3 volumi, Goneti Clypeus Theologiae Tho- m isticae folio cinque volumi. Era libraro della Regina madre, e vendeva m olti libri spagnuoli, che conosceva bene per haver habi- tato m olti anni in Spagna, dove rese m olti servitii al Cardinale di Richelieu, perchè era così buono politico, quanto libraro.

A ntonio Cellier era il più famoso libraro tra gli eretici fulgo­ri otti, e t imprimeva a Charentin tu tti i libri de’ Calvinisti, metUa quale religione egli morì, ma il suo figlio Claudio si convertì doppo la revocatione de 1’ editto d i Nantes dell’ anno 1686, e la sua figlia m oglie di Claudio Hortem els olandese, che faceva un gran traffico di libri di stampa forastiera a Parigi.

N icolò De Laulne fratello di Leone de Laulne fu ricevuto stam patore, e libraro Li 28 febraro 1636. Oltre il suo talento nella libraria, inventò l ’arte di fare globi, e sfere di cartone, e faceva Mappamondi per tu tti i sistem i d’ogni grandezza molto ricercati, de’ quali aveva un gran sm altim ento; lasciò tre figli librari, et em ulatori della virtù del padre P ietro Giovanni, e Francesco e da Pietro sono u sciti Pietro, e Fiorentino pure librari.

¡Simon P iget Parigino ricevuto stampatore, e libraro li 30 giu­gno 1639, divenne uno de’ più celebri librari del suo tempo, tanto per la cognitione d e’ libri, quanto per le corrispondenze, che tratteneva per tutta l ’Europa col suo commercio d i libri de’ quali faiceva un gran traffico. Fece stampare R ituale Graecorum Jacobi Goar folio 1648, Sam uelis P etiti Observationes 4° et eiusdem le- ges atticae fol., e altri. Era della gran com pagnia per l’impres­sione de’ S anti Pad ri e degli usi ecclesiastici riform ati, della B iblia Magna, et Maxima ecc. Haveva comprato i fondi d i libraria de’ Morelli, e d i Giuseppe Cottereau, che stam pò Ivone Ca¡-nó­tense in folio ; il suo fondo di libraria passò doppo la sua morte a l suo figlio Giacomo Piget., e poi a Giovanni de La Caille suo genero, che fece stam pare Petri B lesensis Opera folio, et altri libri, e t è autore d ell’istor ia deH’imprimeria e libraria donde è cavato in parte questo discorso.

E gidio Morel figlio d i Claudio stampatore ordinario del Re impresse 'Saneti! Gregorii N isseni Opera gr.-lat. Isidori Pelusiot, Opera gr.-lat. folio A ristoteli« Opera. Omnia gr.-lat. cum noti»,

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D uvally folio quattro volumi, Magna B iblioteca Sanctorum Pa- trum folio d icissette volumi 1643 ecc. Fu associato con Simon© Piget, e sii fece ricevere consegliero al gran conseglio del1 Re, e cosà passò alla nobiltà.

Carlo Savreux ricevuto libraro li venti marzo 1642, stampò A cta iSanctorum Ordinis Sancii Benedicti seculum secundum fo­lio due volumi, Spicilegium Dacheri 4° 13 volumi Paris, e molte altre opere de’ signori de Porto Reali essendo uno de* librari, che ha il più stampato per loro, nel che s’attirò una gran fama, morì a Port Reale de Campo li ventidue settembre 1669, essendosi ro­vesciato la carrozza, che ve lo conduceva, e vi fu sotterrato.

Guglielm o Desprez successe al suo fondo di librario, e fu ancora stam patore del Re, fece spiccare la sua virtà nella p rò fessione, seguitando a stampare l ’opere de? signori di Porto Reale ta li che i signori de Sassi, Floriot, Pascal, Rohault, N icole S. Beuve ecc.

Edmundo Martino ricevuto stampatore e libraro l i 3 ottobre 1642, era il più ©speditivo stampatore del) suo tempo, intendeva le lingue, e lavorò a ll’editione d ’un grandissim o numero di libri d ’ogni sorte di letteratura tanto in suo nome, quanto per conto d i m oiti librari, che gliene confidarono l ’impressione, massime per Sebastiano, e Gabbriello Cramoisi, del quale haveva sposato la ne- pote figlia d i Claudio, e s può dire che l ’opere più riguardevoli, che componevano il fondo, quasi immenso d i quei famosi librari, erano u sciti d i sotto i torchi di quello stampatore, i l cui cata­logo farebbe un volume intiero, anzi gli autori praticavan o con i loro librari, che le loro com positioni si darebbero a stam pare a Martino.

E gl stam pò per su o conto tutte le opere del dottore Launoy in più tom i in quarto et ottavo. Morì li d ieci maggio 1670; Ga­briele M artino suo figlio fu ricevuto libraro nell’ anno 1677, avendo dato saggio della sua pratica nella stampa del Glossario D u Cange, che impresse per Luigi B iliaine, e va seguitando, in ­tanto, che sua madre seguitò il commercio in compagnie del suo altro figlio Stefano Martino, et uno de’ suoi generi chiamato Giovanni Boudot nipote d ’ A ntonio Bertier, et allievo d i Luigi B iliaine. Boudot fu stam patore dell’Aecademia delle scienze et

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arti, e si caricò delia nuova stam parla eretta da’ Padri G esuiti, a Trevoux presso Lione, dove mandò in sua vece (Stefano Ganeau, che vi ha stam pato le D ictionaire Universel in folio tre vol- lum es ecc.

Andrea Pralard 1 ha stampato quantità d i libri de’ signori di Porto Reale, et in oltre la Biblioteca degl’autori ecclesiastici di Monsieur D usln in più di trenta tom i in folio.

Stefano M ichalet stampatore del Re si fece distinguere con i libri d i devotione del Padre Neuen Giesuita, 2 et altri che stam pa più volte, e con i libri m atem atici francesi de’ signori Luttire, M ariotti, Oranum ecc. Baudrand Geographia ordine litterarum disposita folio due volumi. Ma il libro, che l ’arricchì, e g li fece mantenere la carrozza fu les Caractères de Theophrasto traduit du grec av,ec les xnoeurs de ce s ied e per Monsier de La Bruiere in 12° da lu i ristam pato una mano di volte con un concorso in­credibile.

Carlo Robustel doppo haver imparato la professione dalla ve­dova B iliaine, e dalla vedova M artiri ha messo una stamparia da per se non meno inferiore a ll’altre, dove ha già stampato Memoiires pour l ’ H istoire ecclesiastique de Tillemont, quarto sed ici volumi, H ystoire des Empereum du meme quarto cinque volumi, Mabillon Annales Benedictini fo lio cinque volumi, Mont Faucon PaReographia greca de ortu et occasu litterarum Grae- carum folio, Eiusdem Exopie Origenis folio due volumi ecc. e va seguitando.

Da quanto è stato riferito di sopra si conosce facilm ente quante commodità l ’inventione della stampa ha recato alla so­c ietà civile, perchè ha comm unicato a tu tti i modi di scacciare l ’ignoranza, e di diventare dotti, e letterati a poca spesa. Avanti che si trovasse un’arte così utile i libri m anoscritti erano cari al supremo grado, e le genti, e com m unità più ricche potevano a pena comprare g li autori classici. Se ne riferiscono molti

1 Nel margine del ras. « Pralart ».2 Nel ms. < Giesuiti ».

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esempi, che lo fanno conoscere, tra g li a ltr i Jacopo Piccolom ini Cardinale di Pavia, havendo pregato Donato A cciaioli d i com­prarli un m anoscritto di Gioseffo Istorico, eg li si scusò d i farlo, perchè era troppo caro, « Josephus, de quo scribi®, cariusculus meo judicio est, hoc praesertim anno, quo non multum abundo ». Ma quello che A cciaiuoli g li rescrisse p o i circa il gran prezzo d ’a k u n i a ltr i libri, e m olto più riguardevoli « De tribus volu* minibus Plutarchi, a it, in quibus Parallela XXIV : continentur titu los 'sumpsit, u t mones, praetium m inus 80 aureos esse non potesti, ex traetatibus Senecae iam Epistola* invenimus, prò quibus 16, vel saltem 15 petuntur aurei ». Anzi i Ee medemi non sdegnarono d ’im piegarsi al commercio de’ libri, il prezzo delle case appena eguagliava quello de’ libri m anoscritti, come s i vede in questa epistola d’Antonio B eccatelli sopra nominato Panor- m ita 1 ad A lfonso Re d i Napoli e d i S icilia : « Significasti mihi nuper ex F lorentia ex tare T iti Li vii Opera venalia libri® pul- cherrimis, libro praetium esse CXX aureos; quare m aiestatem tuam oro, u t Livium, quem Regem librorum appellare consuevi- mus em i meo nomine, ac deferri ad nos facias; interim ego pecu- niam procurabo, quam prò libri practio tradarn. Sed illud a prU- dentia tua scire desidero, uter ego an 2 Pogius m elius fecerit, is ut villani F lorentiae emeret Livium vendidit, quem sua manu pulcherrime scripserat ; ego u t Livium emani fundum prose ripsi. Haec, ut fam iliariter a te peterem suasit humanitas, et m odestia tua. Vale, e t triumpha ». E per dimostrare, che questa carestia non era solam ente in Ita lia , ecco il frammento d’una lettera di Roberto Gaguino circa, un libro, che egli cercava a Parigi per Uno de’ suoi amici, che glielo domandava da Roma. « Concordan- tia's in hanc diem nullas omnino inveni, m isi quod Paschasius Bibliopola nobis praetiosissim as unas scire venales dixit, sed Dominum abesse, easque liceri aureis centum » ; et a questo pro­posito osserva piacevolmente Paolo Giovio che il dottore Gia­sone Maino, 3 studiando la legge a Pavia, cadde in ta le m iseria

1 Nel ms. : « Panorma », evidentemente per l ’errore del La Calile che ha « Pamorme » (op. cit., p. 3).

* Nel n s . « cain », errore strano dell’ainamTiense. s Nel ms. « Maiale ».

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per le sue dissolutezze, che fu obbligato d ’impegnare un libro di legge scritto sopra la carta pecora, e che baveva comprato caro : « Juris Codicem in membranis scriptum magno emptum praetio foeneratori tradere coactus est ». Riferire quasi il medemo Pe­trarca di Tusco suo maestro di grammatica e di rettorica, il quale impegnò per il medemo motivo due piccoli tomi d i Cice­rone. (Scrive in oltre Brassicano, che l ’im peratore Friderico Terzo non seppe m eglio gratificare Giovanni Capnion detto Reu- chlino inviato del Duca di V uirtem berga,1 che col regalarlo d’una vecchia Bibbia ebraica. E pure i libri s i lasciavano per testam ento, come una grand’eredità, e si vendevano per isf ru­menti, come s i farebbe ora 2 un podere, et un feudo.

Ma vi fu una g ian m utatione ne’ prezzi de’ libri subito doppo l ’inventione della stam peria: basta di leggere l'epistola lim inaria della prim a editiome dell’ epistole d i San Gieronimo stam pate in Roma l ’anno 1468. È Giovanni Andrea vescovo d’Aleria, che parla al Papa Favolo Secondo in nome de’ due prim i stam patori venuti a Roma : Gonrado Sweynheim, et Arnoldo P an artz .3 « Tuis certe temporibus ad reliquais Dei Gratias hoc etiam feli- cita tis orbi Christiano accessit munus, ut pauperrimi quippe parva pecunia B ibliotechas possunt redimere. An Parva tuae San ctitatis gloria, ut quae volumina vix centum aureis em i po- terant a liis temporibus, v ig inti hodie ac m inoris bene exarata, et non mendosissime scripta redimuntur, quae vix viginti aureis lectori mercabantur, quatuor, et v ilius nunc emantur ».

Dunque non v e dubbio alcuno, che la stam paria ha recato un grand’u tile a lla República letteraria; ma non è stato sempre u tile e vantaggiosa a lli stam patori e librari, e questo vien con­ferm ato da un’infinità d’esempi. È vero, che un buon libro può arricchire un libraro, quando ha un buon smaltimento, ma per un libro, che ha gran spaccio, quanti altri conviene vendere al pizzicarolo !

1 «Vuirtem ba» nel ms.1 Nel ms. « una ».3 Corr. nel ms. in « Parmarts ».

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Quelli, che portarono primi la stamparia a Roma andarono fa llit i: ecco come si prova.

Sotto il Pontefìcato d i Pavolo Secondo circa l ’anno 1466 Con­rado Swenhein, e t Arnoldo Panartz 1 portarono la stam pa a Roma per la prima volta, e li seguitò d’appresso Udalrico Ilann, o Gallo. Giovanni Andrea vescovo d’A leria Bibliotecario del Papa, e Giovanni Antonio Campano vescovo di Teramo hebbero la cura della loro stampa, suggerendoli i libri, che dovevano stampare, e facendo 1’ epistole dedicatorie, e le prefationi ecc., et emendando anche le loro prove.

Ecco la lista de’ libri che furono stam pati nella prima offi­cina in casa Massimi sino a ll’anno 1472 al mese di marzo; vi stamparono adunque:

300 D onati Grammatica latina 825 Lactantius D e Divina Istitu tione 550 Ciceronis Epistolae ad Fam iliares.275 Eiusdem E pistolae ad Atticum .300 Roderici Zamorensis Speculum vitae humanae 825 S. A ugustinus De C ivitate Dei

1100 D ivi Hieronim i Epistolae 550 Cicero De Oratore 550 Eiusdem Philosophia 295 Apuleius 275 A ulus Gellius 275 J u lii Caesaris Commentarla 300 Defensio P latonis a Bessarione 550 Y irgilius 275 T itus Livius 275 Strabonii Geographia 275 Lucanus 275 Q uintilianus 300 P lin ii H istoria naturali«550 D ivi Thomae Catena aurea, tomi due 575 B iblia Sacra

1 « Parma rts » nel ms.

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275 Sancti Cipriani Epistolae 275 S iliu s Italicus 275 Ciceroni» Orationes 550 Ovidius

1100 Glossa ordinaria in Sacra Scriptura N icolai L irani, tom i tre.

Dunque la prima opera che stamparono, non fu la Città di D io di Sant’Agostino, come l’assicura Raffaele Volaterano.

Questi libri erano tu tti in folio , in caratteri Romani tondi e grossi, bene stam pati, et ascendevano a più di dodici m ila vo­lum i; ma non si venderono niente et i stampatori andorono fa l­lit i, o sia che non v i fosse a ll’hora alcuno d ilettante delle belle lettere, o per l ’infelicità del tempo, come guerre, contaggi, overo perchè l ’im pressioni susseguenti erano m igliori, e di minore prezzo; onde non havendo più il necessario per campare, presen­tarono un memoriale al Papa Sisto Quarto com posto dal vescovo d’Aleria in data delli venti marzo 1472, inserito e stam pato nella loro G lossa Ordinaria N icolai Lirani. L’Istoria non dice quale ne fu il successo, m a v ’è apparenza, che non recò loro gran sol­lievo.

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I N D I C E

P r e f a z io n e

Osservazioni fisiche intorno al Lago di Garda Introduzione, di M a r i o L o n g h e n a . . .

Parte prima, con note di M a r i o L o n g h e n a

Parte seconda, con note di A c h i l l e F o r t i

Nota, di A. K é g u i n o t ..........................................

Carta del Lago di G a r d a .........................Mappa idrografica del Ixigo di Garda .20 Tavole approntate dal Marsili a corredo della

Monografia sul Lago di G a r d a .........................sua

P a g .

Relazione dell’ assedio di Vienna, a cura di A l b a n o S o r b b l l i

Lettera-prefazione al Catalogo dei manoscritti orientali, a cura di A l b a n o S o r b e l l i , con un fa cs im ile .....................

Storia naturale de’ Gessi e Solfi delle Miniere di Romagna a cura di T in o L i p p a r i n i , con tre facsim ili. . ’

Compendio di una Storia della Tipografia, a cura di A l b a n o S o r b b l l i ..............................................................................

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