Maria La Piana tesi
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INDICE
INTRODUZIONE …………………………………………………………..……………………….3
CAPITOLO 1: IL VINO ………..………………………………………………..………………….5
1.1 COMPOSIZIONE CHIMICA DELL’ACINO ………………………..………………………...5
1.2 LA PRODUZIONE DEL VINO …………………………...………………………………..…11
1.3 CLASSIFICAZIONE DEI VINI …………………………………………………..………...…13
1.4 I VITIGNI …………………………………………………………………………………...….14
1.4.1 CROATINA ……………………………………….……………………………………...….15
1.4.2 BARBERA ………………………………………….…………………………………….…17
1.4.3 VINI ROSSI DOC: BARBERA E BONARDA ………...……………………………....... 19
1.5 ASPETTI SENSORIALI-colore,odore,gusto ...…………………………….…………….……20
1.5.1 COLORE ...…………………………………………………………………………………...20
1.5.2 ODORE …………………...………………………………………………………………....21
1.5.3. GUSTO ………………………………………………………………………………………22
1.6 – COSTITUENTI CHIMICI DEL VINO COINVOLTI NELL’ANALISI SENSORIALE…..23
CAPITOLO 2 : I POLIFENOLI .......…………………………………………...…………………..28
2.1. BIOSINTESI ...…………………………………………………………………….………….29
2.2 DEGRADAZIONE ...…………………………………………………………………………..33
2.3 CLASSIFICAZIONE ...………………………………………………………………….......…34
2.4 IMPORTANZA DEI POLIFENOLI NEL VINO ……………………………………………..38
2.4.1 ANTOCIANI …………..………………………………………………………………….….38
2.4.2 FLAVANI ……………………………………………………………………………...……..39
2.4.3 ACIDO GALLICO ………………………………...………………………..………………..40
2.4.4 TANNINI ……………………………………...…………………………………...………...41
2.5 POLIFENOLI E SALUTE …………………………………….………………………………43
2
CAPITOLO 3: LA CROMATOGRAFIA ………………………………………………………….46
3.1 CLASSIFICAZIONE DELLE TECNICHE CROMATOGRAFICHE ………………………..46
3.2 PRINCIPIO FISICO DELLA CROMATOGRAFIA ………………………………………….48
3.3 HPLC …………………………………………………………………………………….…….53
CAPITOLO 4: SCOPO DEL LAVORO …………………………………………………………...55
4.1 MATERIALI E METODI ……………………………………………………………….……..58
4.2 PROCEDURA …………………………………………………………………………….……59
4.2.1 PREPARAZIONE DEL CAMPIONE ………………...………………………………..…...59
4.2.2 ANALISI ………………………………………...…………………………………………...59
4.2.3 LA COLONNA CROMATOGRAFICA ……………...…………………………..……..….60
4.2.4 STANDARD ……………………….………………………………………………..……....62
4.2.5 CURVE DI TARATURA ……………………..……………………………………..……...63
CAPITOLO 5 RISULTATI E CONCLUSIONI …………………………………………………...68
5.1 CROMATOGRAFIA CON DETECTOR A λ=516nm ………………………...…................68
5.2 CROMATOGRAFIA CON DETECTOR A λ=278nm …………………………………….....77
5.3 CONCLUSIONI …………………………………………………………………………….….82
ALLEGATI ………………………………………………………………………………………...84
DISCIPLINARE VINI DOC DELL’OLTREPO’ PAVESE …………………………………….....84
DISCIPLINARE BONARDA DOC DELL’OLTREPO’ PAVESE ………………………………..91
COMPENDIUM OF INTERNATIONAL METHOD OF ANALYSIS-OIV ………………….….95
BIBLIOGRAFIA ………………………………………………………………………..………...105
3
INTRODUZIONE
La scienza del vino coinvolge tre aspetti principali: la crescita della vite, la produzione del vino e
l’analisi sensoriale del vino. La natura botanica delle materie prime (fisiologia e genetica della vite)
e la trasformazione biochimica dell’uva in vino attuata da batteri e lieviti, sono fondamentali per
comprendere le caratteristiche del prodotto finito. Inoltre è importante precisare che la variabilità
del risultato ultimo che caratterizza il mercato e le qualità di ogni vino, dipende non solo dalle
diversità territoriali, climatiche e ambientali a cui è esposta la materia prima, ma anche dalle
numerose differenti modalità operative che si trovano alla base dei processi che contribuiscono al
passaggio dell’uva in vino. Infine la conoscenza della psicofisiologia sensoriale umana aiuta a
comprendere tutti gli aspetti olfattivi,visivi e gustativi che determinano la valutazione finale del
prodotto da parte del consumatore. In modo particolare, degli studi hanno dimostrato come il colore
influenzi l’odore (Brochet F. and Dubourdieu D., 2001) e come entrambi influenzino il gusto
percepito dall’uomo. Il giudizio sulla qualità di un cibo o di una bevanda è quindi correlato
inizialmente con questi tre aspetti.
Ovviamente alla base di tutto ciò è importante studiare la composizione chimica del prodotto perché
è questa che determina tutte le sue proprietà. Lo studio della composizione chimica dell’uva e del
vino riveste pertanto un ruolo importante per la caratterizzazione del prodotto, per il miglioramento
della qualità e per stimare il potenziale enologico che dall’uva può essere trasferito al vino.
In questo studio abbiamo deciso di focalizzare la nostra attenzione sui polifenoli ossia delle
molecole che sono naturalmente presenti nell’uva e che vengono trasferite al vino; alcune di esse,
inoltre, si originano nel vino in seguito ai processi di vinificazione che vengono eseguiti. Lo studio
dei composti fenolici dell’uva e del vino si presenta alquanto complesso e articolato per l’ampia
diversità di molecole che fanno parte di questa grande famiglia e per il diverso contributo sensoriale
apportato. La composizione quantitativa delle uve, in riferimento a questi composti, è estremamente
variabile; la presenza di polifenoli nell’acino, infatti, è influenzata da diversi fattori: le condizioni di
maturazione del grappolo, le tecniche colturali, l’esposizione al sole, la posizione geografica e il
tipo di terreno. Un altro aspetto da considerare è la cosiddetta estraibilità dei costituenti fenolici
dalle parti solide, che avviene durante la macerazione e la fermentazione. I polifenoli sono substrati
di un gran numero di reazioni chimiche, subiscono diverse variazioni di struttura nel corso
dell’affinamento e dell’invecchiamento del vino modificandone le caratteristiche organolettiche e
influenzandone inoltre il colore. E' possibile quindi, attraverso l'analisi del profilo polifenolico di un
vino nei suoi vari componenti, stabilire a grandi linee la provenienza del vitigno, costruendone una
sorta di carta di identità del vino.
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I polifenoli sono anche noti per le loro caratteristiche salutari: sono potenti antiossidanti,
antitumorali, riducono l’aggregazione piastrinica, forniscono protezione contro la fragilità capillare
e svolgono un’attività antibatterica.
Il vino rosso è una significativa fonte naturale di polifenoli e un moderato consumo giornaliero
contribuisce all’apporto di circa un grammo di polifenoli .
Gli studi e i metodi di analisi per la qualificazione e quantificazione dei polifenoli sono numerosi.
Alcuni approcci utilizzano la valutazione di classi di composti mediante l’utilizzo di tecniche
spettrofotometriche, mentre altri prevedono analisi più dettagliate come la cromatografia ad alta
pressione (HPLC e UPLC), la gascromatografia (GC), la spettrometria di massa (SM). Nella ricerca
da noi effettuata le analisi sui polifenoli sono state eseguite in HPLC seguendo il metodo
contemplato nel COMPENDIUM OF INTERNATIONAL METHODS OF ANALYSIS-OIV
(Method OIV-MA-AS315-11 -Type II method) che ha permesso di rilevare i picchi relativi
corrispondenti alle maggiori antocianine presenti nei vini rossi analizzati, Bonarda e Barbera.
Attuando quest’ultimo metodo, abbiamo anche rilevato i picchi relativi corrispondenti all’acido
gallico e catechina, eseguendo una lettura alla lunghezza d’onda di 278nm.
In questo modo è stato possibile rilevare alcune caratteristiche peculiari delle due tipologie di vino
analizzate.
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CAPITOLO 1: IL VINO
Fin da tempi molto antichi il vino è stata una bevanda che ha suscitato interesse e ha rappresentato
un punto di riferimento per la cultura di molte popolazioni. Basti pensare alla mitologia greca o
egiziana per avere un’idea di come il vino fosse conosciuto già nei secoli a.C. e venisse utilizzato
non soltanto come bevanda, ma anche a scopi rituali. L’importanza attribuitagli, sia per le sue
qualità organolettiche che per le sue proprietà salutari, non ha mai subìto un processo d’arresto ma è
stata sempre in notevole aumento, tanto che oggi ci sono degli studi specifici che sono volti a
migliorare le conoscenze in questo campo.
Il vino, secondo la vigente legislazione, è il “prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione
totale e parziale di uve fresche, pigiate e non, o di mosti d’uva”. (Reg. CE 479/08, legge quadro
sull’OCM, attuata dai Reg. CE 606/09 e 607/09).
1.1 COMPOSIZIONE CHIMICA DELL’ACINO
La bacca d’uva deriva dalla fecondazione dell’ovario o da uno sviluppo per via partenocarpica. La
parete dell'ovaio si sviluppa nella parete del frutto o pericarpo ossia un insieme di tessuti che
circonda i vinaccioli (Ribérerau-Gayon et al., 2003). Il pericarpo è a sua volta suddiviso in:
esocarpo esterno, chiamato anche buccia, costituito da un sottile strato di cellule appiattite a
forma di disco, con bordi ondulati e irregolari; è membranoso e possiede una cuticola con
pochi stomi o priva di stomi. Sulla cuticola si può formare, maggiormente in alcune varietà
rispetto ad altre, uno strato di natura cerosa detto pruina, che ha una notevole importanza
nel trattenimento dei lieviti;
mesocarpo centrale, formato da una serie di strati di grosse cellule piene di succo; la
divisione cellulare avviene rapidamente, circa una settimana dopo la fecondazione, per poi
rallentare e arrestarsi entro tre settimane. La divisione cellulare cessa dapprima nella parte
vicino i vinaccioli e man mano si riduce fino alla buccia;
endocarpo interno, non distinguibile dal resto della polpa, che contiene i semi, chiamati
vinaccioli. Mesocarpo ed endocarpo formano la polpa, o sarcocarpo.
Nella buccia, oltre l’acido tartarico e citrico, sono contenute parecchie molecole di prodotti
secondari tra cui: composti fenolici (antociani, flavanoli e flavoni), tannini, aromi (linalolo,
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geraniolo, nerolo, etc.) ed enzimi che si accumulano in essa durante la maturazione (Ribérerau-
Gayon et al., 2003).
Nella polpa sono contenute molecole diverse rispetto alla buccia tra cui: zuccheri (glucosio e
fruttosio principalmente), acido tartarico, malico, citrico ed altri acidi in tracce, pectine, sostanze
colloidali varie, composti azotati, sostanze minerali, etc.
Figura 1.1 : Rappresentazione di un acino di uva
Le varietà che forniscono vini di qualità superiore, solitamente, hanno bacche più piccole
(Stevenson T., 2005), perchè hanno un rapporto buccia/polpa a favore della buccia, ciò è molto
importante perchè durante la fase di macerazione, permette l’estrazione di un maggior numero di
sostanze nobili. Quest’ultime determinano il colore e il carattere aromatico a cui associamo
l’identità varietale di ogni vino (Stevenson T., 2005).
Il vinacciolo è formato da un corpo rigonfio e da una parte sottile detta becco. Possiede un
tegumento esterno (testa), con epidermide spessa e un tegumento interno (tegmen) che racchiude la
parte più interna del seme, la mandorla. Quest’ultima rappresenta l’endosperma secondario
provvisto delle sostanze di riserva (oli, granuli di aleurone) che serviranno ad alimentare l’embrione
(Fregoni et al., 2006).
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In seguito alla fecondazione e alla recezione dei relativi stimoli ormonali, l'ovario inizia la sua
crescita e sviluppo nella bacca. Tipicamente, si osserva una curva di crescita leggermente doppia
sigmoide. Nella fase I, chiamata anche “fase erbacea”, il grappolo riceve acidi organici dalle radici
e dalle foglie, aminoacidi dalle foglie, sali minerali dalle radici e zuccheri provenienti dalle parti
legnose e dalle foglie (Peynaud, 1985). La bacca è caratterizzata da una rapida divisione cellulare,
seguita da allargamento delle cellule e sviluppo dell'endosperma. Gli stimoli ormonali di questa fase
sono a carico principalmente delle auxine e delle gibberelline, ma intervengono anche le
citochinine. Il contenuto ormonale è strettamente correlato alla presenza di vinaccioli nelle bacche.
Alla fine della fase erbacea l’acino raggiunge buona parte dello sviluppo definitivo, perde una certa
quantità di acqua ed eleva leggermente il tenore zuccherino (soprattutto glucosio), che raggiunge il
2%, ma in alcune cultivar può essere più elevato; si accumula clorofilla nella buccia (Fregoni et al.,
2006), inoltre aumenta l’acidità fino ad arrivare al 30% (Peynaud, 1985), quest’ultima è dovuta
soprattutto alla presenza di acido tartarico e malico. La fase iniziale dello sviluppo dell’acino dura
tipicamente da sei settimane a due mesi.
La fase II o “fase traslucida e invaiatura” è un periodo di transizione in cui la crescita rallenta,
l'embrione si sviluppa e il seme s‘indurisce. Questa fase è più variabile di durata (1-6 settimane) ed
è la più influente nello stabilire se la cultivar è in anticipo o in ritardo nella maturazione. In seguito
avviene la diminuzione della clorofilla e la bacca assume un aspetto traslucido; le bacche assumono
progressivamente la colorazione tipica della cultivar, cioè dal verde si passa al giallo nelle uve
bianche e al rosso più o meno intenso in quelle nere. Questa fase corrisponde ad un esaurimento
della sintesi delle sostanze di crescita e ad un aumento dei livelli di acido abscissico. Inoltre inizia la
sintesi degli aromi, dei polifenoli e di altri componenti strettamente correlati alle caratteristiche
genetiche della cultivar, che raggiungeranno il loro apice di intensità durante la fase di maturazione.
Il tutto termina con l’invaiatura. Si arresta inoltre la crescita dimensionale della bacca (Fregoni et
al., 2006). Questo punto di svolta, chiamato “vèraison”, è l'inizio del turno fisiologico fondamentale
che culmina in maturazione della bacca.
La fase III o “fase di maturazione”, dura 5-8 settimane prevede l'ampliamento e la maturazione
definitiva della bacca. La maturazione è associata con diversi parametri: la modificazione della
consistenza meccanica che da rigida e fragile, diventa morbida e plastica, in seguito a cambiamenti
della struttura delle pareti cellulari e alla riduzione del turgore cellulare; una diminuzione
dell'acidità e aumento dei livelli di pH del succo come conseguenza dell’ossidazione dell’acido
malico, della diluizione e della salificazione dell’acido malico e dell’acido tartarico( la salificazione
è soprattutto dovuta all’accumulo di potassio nella bacca stessa); l'accumulo di zuccheri semplici
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quali fruttosio e glucosio grazie alla migrazione delle sostanze elaborate dalle foglie e assorbite
dalle radici verso l’acino; l'acquisizione di composti aromatici; la degradazione della clorofilla più o
meno completa e la comparsa della colorazione di fondo giallastra tipica dei carotenoidi presenti
nella varietà a bacca bianca, o della colorazione che va da grigio-rosa a blu intenso, dovuta
all’accumulo di antociani nella buccia; accumulo di amminoacidi (prolina e arginina soprattutto) e
di proteine a basso peso molecolare; parziale “inattivazione” delle molecole tanniche che si
complessano con oligosaccaridi e proteine (Jackson R.S., 2000). Durante la maturazione, le varie
componenti presenti all’interno dell’acino d’uva non aumentano di peso nelle stesse proporzioni. La
polpa cresce in modo maggiore della buccia, mentre il peso dei vinaccioli varia poco dall’invaiatura
alla vendemmia (Fregoni et al., 2006). La successiva sovra-maturazione del frutto, che si verifica se
la raccolta è in ritardo, è chiamato stadio IV.
Figura 1.2: Relazione tra stadi di crescita I, II, III e accumulo di solidi solubili totali.
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L’uva, a seconda di diversi parametri, raggiunge il suo grado di maturità in diversi tempi:
Si parla di maturità fisiologica quando cessa l’interazione tra pianta e frutto e quest’ultimo
non richiama più linfa elaborata dalla pianta. In questo periodo, se l’uva non viene raccolta,
inizia la fase IV, nella quale si ha una concentrazione dei componenti dell’acino dovuta ad
una graduale perdita di acqua da parte del frutto. Nel corso della sovramaturazione si ha
comunque un certo progresso delle attività metaboliche, anche se in quantità molto minori
rispetto alle fasi precedenti, che porta ad alcune modificazioni della bacca quali un’ulteriore
riduzione dell’acido malico e l’evoluzione delle sostanze aromatiche e polifenoliche. La
sovramaturazione può anche avvenire dopo la vendemmia lasciando i grappoli esposti al
sole o in appositi locali a temperature e umidità controllata. Quando la perdita di acqua
supera il 15-20% si parla di appassimento.
La maturità tecnologica è invece raggiunta quando nell’uva si ha un particolare rapporto tra
zuccheri e acidità totale. L’aumento degli zuccheri totali nell’acino, procede con un aumento
costante dall’invaiatura in poi, mentre il contenuto in acidità totale decresce all’incirca dallo
stesso momento. Il valore ottenuto dal rapporto tra zuccheri e acidità totale, definito “indice
di maturazione”, ci permette di determinare il periodo ottimale di raccolta considerando che
il valore di questo rapporto tende a stabilizzarsi, dopo una fase crescente, in prossimità della
corretta maturazione tecnologica; superata la corretta maturazione si verifica un arresto di
essa e un successivo appassimento delle uve. La maturità tecnologica pertanto può precedere
o seguire quella fisiologica .
Nei vitigni a bacca colorata si definisce anche una maturità fenolica, che determina uno stato
fisiologico dell’uva caratterizzato da un particolare tenore e da una particolare struttura dei
composti fenolici della buccia e dei semi, da cui dipende la loro diffusione nel mosto nel
corso della vinificazione (Ribérerau-Gayon et al., 2003). Lo stadio di maturazione incide
profondamente sulla composizione polifenolica della bacca e perciò influenza in modo
significativo anche la successiva qualità del vino. Durante questo tipo di maturazione
avviene un aumento della componente fenolica e una diminuzione di quella antocianica che
rende il colore del vino pieno e compatto.
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Figura 1.3 - Maturità tecnologica a confronto. Fonte: Lanati et al., 2002
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1.2 LA PRODUZIONE DEL VINO
Non appena l’uva ha raggiunto la cosiddetta maturità tecnologica , che viene determinata eseguendo
delle curve di maturazione nelle quali viene seguito l’andamento zuccherino, acidità, ph e contenuto
di polifenoli, è pronta per la vendemmia. Durante la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio dell’uva, è
necessario ridurre al massimo le alterazioni fisiche e meccaniche del prodotto per evitare lo
sviluppo di malattie negli acini che potrebbero alterare la qualità del prodotto finale; bisogna porre
una particolare attenzione al fatto di evitare l’inizio di fermentazioni indesiderate da parte dei lieviti
presenti sulle bucce. Dopo esser stata raccolta, l’uva viene portata in cantina dove si procede con la
diraspatura che consiste nella separazione dei raspi dai grappoli, questa operazione permette di
avere un prodotto meno astringente e con un valore di acidità fissa e un grado alcolico maggiore in
quanto non ci sarà assorbimento di alcol e cessione di acqua da parte dei raspi. A questo punto,
l’uva verrà pigiata in modo delicato per estrarne il succo. Successivamente si procede con la
vinificazione. Questa è l’operazione più delicata e si esegue in modo diverso per la vinificazione
delle uve bianche o rosse. E’ in questo stadio che le sostanze caratteristiche dell’uva si trasformano
in qualità per il futuro vino. Durante questa fase, attraverso un processo di macerazione, la vinaccia
è tenuta a contatto con il mosto in modo da favorire l’estrazione delle sostanze coloranti contenute
nella buccia dell’uva. La macerazione porta essenzialmente all’estrazione di composti fenolici
(antociani e tannini), sostanze aromatiche, sostanze azotate e polisaccaridi. Il cuore di questo
processo di trasformazione dell’uva in vino, è la fermentazione. Gli zuccheri infatti sono trasformati
in alcol etilico, anidride carbonica e altri composti secondari da parte dei lieviti. La fermentazione
può essere regolata, attivandola o rallentandola, con opportuni interventi quali le follature e gli
arieggiamenti. Quando la fermentazione tumultuosa diminuisce d’intensità, si effettua la svinatura
ossia la separazione del vino dalle vinacce e dalle fecce. Dopo aver svinato, il prodotto è pronto per
una seconda fermentazione detta “fermentazione lenta”. L’operazione finale è il travaso, che
consiste nella decantazione del vino limpido separandole dalle proprie fecce. Questa operazione è di
fondamentale importanza in quanto la permanenza del vino a contatto con le fecce non ha un effetto
positivo sulle caratteristiche organolettiche del vino. In funzione della composizione e delle
caratteristiche organolettiche del vino, si esegue il travaso con due metodi diversi :
Travaso aperto o all’aria; il vino fuoriesce dal foro della spina e si raccoglie in un recipiente
pulito. Questo metodo viene eseguito per i vini giovani che devono rifinirsi, per i vini non
destinati all’invecchiamento o per quelli che hanno odori sgradevoli.
Travaso chiuso o fuori dal contatto con l’aria; viene fatto collegando un tubo al foro di
uscita della spina in modo che il vino non entri a contatto con l’aria prima di essere stoccato
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in recipienti puliti. Questa pratica è messa in atto per i vini destinati all’invecchiamento o
per i vini che hanno la tendenza ad ossidarsi.
L’ultima fase è la conservazione e l’imbottigliamento che viene eseguita, previa filtrazione, per
eliminare eventuali residui.
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1.3 CLASSIFICAZIONE DEI VINI
I processi descritti in precedenza sono le operazioni standard che generalmente si eseguono per
trasformare l’uva in vino. Ovviamente, a seconda delle modifiche specifiche che ogni procedimento
subisce, il prodotto finito avrà caratteristiche diverse. Ciò comporta che ci sia una classificazione
dei vini non solo per far conoscere al consumatore le caratteristiche del prodotto ma anche per
regolamentare dal punto di vista normativo la produzione di un determinato vino. Per questa
ragione, a livello europeo, esiste una normativa (Reg. CE 479/08, legge quadro sull’OCM, attuata
dai Reg. CE 606/09 e 607/09), che chiarisce l’importanza relativa delle varie denominazioni.
Figura 1.4: Classificazione dei vini
Ogni denominazione d’origine possiede dei regolamenti dettagliati detti disciplinari, che tutti i vini
appartenenti alla categoria devono rispettare. In allegato sono riportati come esempio il disciplinare
dei vini dell’Oltrepò Pavese e del vino Bonarda che è stato utilizzato, insieme al Barbera
dell’Oltrepò pavese, durante le analisi svolte in laboratorio e su cui si basa il lavoro di ricerca
trattato.
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1.4 I VITIGNI
In 7-8 mila anni di viticoltura sono state selezionate nel mondo circa 20.000 varietà di specie, molte
delle quali esistenti ancora oggi, ma solo il 10-15% può essere considerato coltivato. La nostra
penisola è un territorio che, per le sue caratteristiche territoriali e climatiche, ben si presta alla
coltivazione di diverse cultivar. Le stime ipotizzano che in Italia esistono circa 2000 varietà di vite,
molte più di quelle che sono coltivate in Francia. La ragione di ciò può derivare dal fatto che la
nostra nazione si trova in una posizione geografica “privilegiata”, da sempre è stata una zona di
passaggio di diverse popolazioni che hanno occupato e lasciato traccia nel nostro paese della loro
cultura e tradizione (Antonaros A.,2000).
L’uva è prodotta da piante appartenenti al genere Vitis. Sistematicamente la famiglia delle Vitacee
appartiene al regno delle Plantae, Philum Magnoliophita, Classe Magnoliopsida, Ordine
Rhamnales. Il genere Vitis è distinto in due sottogeneri: Euvitis le cui viti hanno un corredo
cromosomico 2n=38 e Muscandinia con un corredo cromosomico 2n=40. Mentre il sottogenere
Euvitis è stato trovato nei depositi del Terziario sia in Asia che nel Nord America, Muscandinia
emerge soltanto tra i materiali fossili del nord America, il che suggerisce che questa divisione si sia
verificata prima del Quaternario cioè circa due milioni di anni fa. Pare che la famiglia delle Vitacee
sia comparsa sulla terra circa140 milioni di anni fa, ma in seguito alle glaciazioni molte specie di
viti si estinsero. Si salvò Vitis vinifera nell’area pontica ( posta nel Caucaso tra il Mar Caspio e il
Mar Nero) e oggi è coltivata in tutto il mondo. A sua volta essa si distingue in 2 sottospecie una
coltivata chiamata Vitis sativa e una selvatica chiamata Vitis sylvestris. Il genoma di Vitis vinifera
presenta un corredo cromosomico 2n=38 per un totale di 487 Mb equivalenti a circa 30.000 geni
(Jaillon O. et al., 2007).
Lo sviluppo negli ultimi decenni della scienza e tecnologia del DNA, affiancata all’ ampelografia,
ha permesso di identificare con maggior precisione le diverse specie di viti. I marcatori che
permettono di individuare il profilo genetico per ogni varietà sono i microsatelliti o SSR (Simple
Sequence Repeats) (Sefe K.M. et al., 2001) , di cui 6 loci sono stati adottati dalla comunità
scientifica internazionale.
Questo ha permesso di tracciare geneticamente i vitigni e identificarli, in modo da sopprimere
eventuali truffe nel mercato del vino.
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1.4.1 CROATINA
Alla base del vino Bonarda vi è il vitigno Croatina. Questo vitigno è coltivato nell’Oltrepò Pavese
da parecchi secoli anche se i primi scritti riguardanti la Croatina risalgono alla seconda metà
dell’Ottocento. Nelle ampelografie del secolo scorso, la si trova con il nome di Crovattina o
Bonarda di Rovescala. Ne parlano noti ampelografi, come Demaria e Leardi nel 1875, Giuseppe
Dei Conti di Rovasenda in un saggio del 1877 e Molon nel 1906. La sua etimologia deriverebbe da
“croatta” – “cravatta” e starebbe a indicare che il vino ottenuto da Croatina si beveva nei giorni di
festa, quando appunto veniva indossata la cravatta, è pur vero che il passaparola generazionale
locale identifica questo vitigno come simbolo viticolo dell'Oltrepò Pavese. Il vitigno Croatina è a
tutti gli effetti il vessillo della produzione vitivinicola dell'Oltrepò Pavese, diffuso in modo
abbastanza omogeneo in tutto il territorio. Ben presente da tempo in molte colline oltrepadane, il
vino ottenuto viene chiamato Bonarda fin dall'800. Alla fine del XIX secolo, dopo l'avvento della
filossera, molti produttori preferiscono puntare nei reimpianti post-filosserici, sul vitigno Barbera,
più costante e produttivo rispetto alla Croatina. Bisogna aspettare la fine del 1960 perché i
produttori locali capiscano l'enorme potenzialità di questo vitigno, aiutati anche dalla ricerca e dalla
sperimentazione che hanno individuato cloni di Croatina più consoni alle esigenze dei produttori.
La sua notevole resistenza all'oidio favorì la diffusione in tutto l'Oltrepò e nel Novarese. Oggi la
Croatina, che in passato veniva unita a Barbera e Freisa, ha acquisito, con l’evoluzione di metodi di
coltivazione e delle tecniche di vinificazione, una maggiore importanza fino a diventare uno dei
simboli indiscussi dell’enologia dell’Oltrepò Pavese.
Figura 1.5: Grappolo di Croatina
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La Croatina è un vitigno a bacca nera, dalla foglia media o medio-piccola, allungata e pentagonale,
quinquelobata o trilobata; il grappolo è grande, conico allungato, alato, di media compattezza;
l’acino è medio, di forma sferoidale regolare, con buccia di colore turchino, spessa e coriacea,
abbondantemente ricoperta di pruina. Ha una produzione abbastanza elevata ma altalenante,
predilige terreni piuttosto profondi, franco-argillosi limosi o argillosi, calcarei (Somma G.,2008).
Appartiene alla specie Vitis Vinifera Linneè e considerando i sei loci degli SSR-marker allelici che
caratterizzano la cultivar a livello genetico, il profilo della Bonarda ricavato dal confronto con le 33
cultivar di riferimento codificati, è il seguente:
SSR-marker VVS2 VVMD5 VVMD7 VVMD27 VrZAG62 VrZAG79
Alleli A1 A2 A1 A2 A1 A2 A1 A2 A1 A2 A1 A2
Bonarda 139 151 238 238 247 249 190 195 186 196 245 245
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1.4.2 BARBERA
E' il nome di un vitigno piemontese coltivato per la maggior parte nella zona tra Asti e Casale
Monferrato, ma anche largamente coltivato in molte zone lombarde con eguale successo. Il Barbera
è identificato da Giuseppe Aldo di Ricaldone, studioso di antichi documenti del Monferrato, con un
certo vitigno denominato “Berbexinis” citato in un atto del 1249, nel quale viene narrato che la
Chiesa di Sant’Evasio di Casale affittò un terreno a tale Guglielmo Crova con l’obbligo di
impiantarvi “bonis vitibus berbexinis”. Secondo altri studiosi, il nome Barbera deriva dalla
trasformazione del lombardo “albéra” e del latino “albuelis” con accostamento al nome di luogo
Barberi, frazione di Villafranca Sabauda in provincia di Torino. Il Barbera vanta citazione anche
nei catasti di Chieri risalenti al 1500 (Cellino A., 2001), il vitigno è diventato nei tempi simbolo
della viticoltura locale e ad oggi è uno dei vitigni più coltivati.
Figura 1.6 : Grappolo di Barbera
La varietà Barbera è caratterizzata da un vitigno di medio vigore che si esprime con produzioni
abbondanti e vigorose. Il germoglio è ad apice espanso, verde chiaro quasi biancastro, parzialmente
carminato, aracnoideo sugli orli, con foglioline apicali spiegate, poco tomentose sulla pagina
superiore, con peli striscianti molto fitti su quella inferiore. La foglia adulta è media, pentagonale,
quinquelobata, con seno peziolare a lira, per lo più chiuso, a volte con bordi sovrapposti. La pagina
superiore è glabra, quella inferiore è tomentosa. Il grappolo è medio, molto spesso piramidale, più
raramente cilindrico, compatto. L’acino è medio, ellissoidale, con buccia pruinosa, sottile, di colore
18
blu intenso. La polpa succosa, dolce e acidula ma con un moderato contenuto di tannini..Anche
questo vitigno predilige aree argillose e limi di pianalti terrazzati, nonchè quelle contraddistinte da
marne argillose e sabbiose con la presenza minima di inclusi lapidei calcarei (Maffi Luciano,
2010).
Appartiene alla specie Vitis Vinifera Linneè e considerando i sei loci degli SSR-marker allelici che
caratterizzano la cultivar a livello genetico, il profilo della Barbera ricavato dal confronto con le 33
cultivar di riferimento codificati, è il seguente:
SSR-marker VVS2 VVMD5 VVMD7 VVMD27 VrZAG62 VrZAG79
Alleli A1 A2 A1 A2 A1 A2 A1 A2 A1 A2 A1 A2
Barbera 133 135 228 228 249 253 186 190 192 200 243 259
19
1.4.3 VINI ROSSI DOC: BARBERA E BONARDA
Il disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Bonarda dell’Oltrepò
Pavese, approvato con DPR 06/08/1970 pubblicato nella G.U. del 27/10/1970 e modificato con DM
del 03/11/2011 (Allegato 2), impone che questo vino sia ottenuto da uve prodotte da vigneti aventi
la seguente composizione ampelografica:
- Croatina: dall’85% al 100%
- Barbera, Ughetta (Vespolina), Uva rara: congiuntamente o disgiuntamente fino ad un
massimo del 15%
Le cui caratteristiche siano:
- Colore: rosso rubino
- Profumo: intenso e gradevole
- Sapore: asciutto o abboccato o amabile, leggermente tannico a volte lievemente vivace
- Titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00%
- Acidità totale minima: 4,50 g/l
- Estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l
Il disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Barbera dell’Oltrepò
Pavese, approvato con DPR 06/08/1970 pubblicato nella G.U. del 27/10/1970 e modificato con DM
del 03/11/2011 (Allegato 1), impone che questo vino sia ottenuto da uve prodotte da vigneti aventi
la seguente composizione ampelografica:
- Barbera: dall’85% al 100%
-Altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, idonei alla coltivazione nella Regione Lombardia:
congiuntamente o disgiuntamente fino ad un massimo del 15%
Le cui caratteristiche siano:
- Colore: rosso rubino intenso, limpido, brillante
- Profumo: vinoso, dopo invecchiamento, profumo caratteristico
- Sapore: sapido, di corpo, leggermente tannico
- Titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00 %
- Acidità totale minima: 4,50 g/l
- Estratto non riduttore minimo: 20,00 g/l
20
1.5 ASPETTI SENSORIALI - colore, odore, gusto
La valutazione sensoriale esiste da quando l’uomo ha cominciato ad utilizzare i propri sensi per
determinare la qualità e la sicurezza dei cibi e delle bevande. La percezione della qualità di un
prodotto è influenzata da molti fattori materiali e immateriali quali colore, odore, gusto, origine,
materia prima, prestigio del produttore, prezzo, sicurezza, disponibilità. Essi determinano il profilo
percepito dall’utilizzatore finale. Sono stati condotti studi dove viene dimostrato come l’impatto
sensoriale abbia un ruolo rilevante nella scelta del prodotto da parte del consumatore. Questi tre
aspetti, ovviamente, dipendono dalle interazioni chimico-fisiche che avvengono nel prodotto.
1.5.1 COLORE
La visione cromatica di un oggetto dipende dalla sua composizione chimica, da come esso è in
grado di assorbire e riflettere le diverse lunghezze d’onda della luce e dall’interpretazione da parte
del cervello degli stimoli che riceve a partire dall’occhio. L’occhio umano è in grado di percepire le
lunghezze d’onda che vanno da 380nm a 740nm (spettro del visibile). L’occhio umano infatti è
caratterizzato da due tipi di fotorecettori: coni e bastoncelli contenuti nella tonaca nervosa o retina
distinta in 2 strati, quello più esterno è lo strato pigmentato e quello interno e lo strato nervoso. Il
primo ha il compito di assorbire la luce e interagire con i fotorecettori; il secondo elabora e integra
le informazioni visive.
I bastoncelli non permettono la discriminazione dei colori ma, sono soltanto sensibili alla luce e
rendono possibile la visione in ambienti poco illuminati.
I coni si differenziano in 3 tipi e la loro stimolazione in varie combinazioni permette la
discriminazione dei diversi colori (Martini F.H. et al.,2010).
Grazie agli enormi sviluppi nel campo della scienza e tecnologia, oggi è possibile valutare il colore
in diversi modelli che rendono l’analisi del colore più oggettiva possibile. Ad esempio, il colore di
un vino può essere valutato mediante uno spettrofotometro, sfruttando diversi valori di assorbanza;
ciò permette di descrivere due parametri: la densità del colore del vino (WCD) e la sua tonalità
(WCH). Tuttavia ci sono metodi più precisi che valutano il colore in una gamma spettrale più vasta,
uno di questi è il CIElab che effettua una scansione da 400nm a 700nm. I valori dati da questo
metodo permettono di discriminare le caratteristiche distintive di ogni varietà di vino, derivanti
dalle pratiche di viticulture e fermentazione (Pèrez-Magarino S.et al.,2006)( Hermosìn Gutièrrez I.
et al.,2005).
21
1.5.2 ODORE
Il senso dell’olfatto è fornito da organi olfattivi localizzati nelle cavità nasali. Questi sono costituiti
da un neuroepitelio specializzato (contenente i recettori olfattivi bipolari,cellule basali e di
sostegno) e da una lamina propria contenente le ghiandole olfattive. Il sistema olfattivo è molto
sensibile. Bastano infatti 4 molecole di una sostanza odorosa per attivare un recettore olfattivo.
L’attivazione di una fibra afferente non garantisce però la percezione cosciente dello stimolo.
Lungo le vie olfattive si verifica una notevole convergenza di fibre nervose afferenti e l’inibizione
di alcune sinapsi coinvolte può impedire che gli stimoli raggiungano la corteccia cerebrale.
La sensibilità olfattiva rappresenta l’unico tipo di impulso che raggiunge la corteccia cerebrale
senza interruzioni sinaptiche nel talamo. Le numerosissime connessioni con l’ipotalamo e il sistema
limbico rendono ragione della profonda componente emozionale e di particolari risposte
comportamentali conseguenti alla percezione di determinati odori (Martini F.H. et al.,2010).
La percezione degli odori avviene sulla sommità delle cavità nasali durante la fase di inspirazione
oppure quando il vino viene gustato e introdotto all’interno della cavità orale, così l’odore risale
nella cavità nasale (sensazioni retro nasali). Gli aromi e i profumi sono dovuti a composti chimici
presenti a basse concentrazioni nel vino che, a temperatura ambiente, passano in fase di vapore e
vengono percepiti. Uno stesso composto, in base alla concentrazione, può dare sensazioni diverse;
per esempio a basse concentrazioni può suscitare sensazioni gradevoli e ad alte concentrazioni può
dare sensazioni sgradevoli all’olfatto.
Si parla di aroma primario quando l’origine degli odori deriva dall’uva. A questa categoria
appartengono gli odori di frutta e fiori. Gli aromi dell’uva sono contenuti nelle foglie, polpa e
buccia e in base al grado di maturazione dell’uva possono cambiare. Appartengono a questa
categoria i terpeni e i derivati chetonici e aldeidici; essi reagiscono facilmente con l’ossigeno
presente nell’aria e si convertono in composti meno odorosi.
Si parla di aroma secondario quando l’odore si forma in seguito a processi fermentativi. Dipendono
molto dal tipo di lievito utilizzato, dalla modalità fermentativa e dalla composizione del mosto. Essi
derivano da sostanze proteiche presenti nell’uva e durante la fase di fermentazione si scindono in
amminoacidi e successivamente in ammoniaca e alcoli. Inoltre, se la fermentazione è tumultuosa,
l’anidride carbonica tende a fuoriuscire portando con sé le sostanze odorose facilmente volatili.
Infine, nel caso in cui l’odore si forma durante la fase di invecchiamento del vino, si parla di aroma
terziario o bouquet. In questo senso sono tipici gli odori della botte: vaniglia, legno, tostatura;
derivano da processi di ossidazione, acetalizzazione, esterificazione e resinificazione.
In fase di degustazione i vini si identificano secondo diversi parametri: finezza, intensità, armonia,
durata, franchezza.
22
1.5.3 GUSTO
Il gusto fornisce informazioni riguardo le sostanze liquide e solide che vengono ingerite. I recettori
gustativi, chiamati “calici” sono distribuiti sulla superficie dorsale della lingua e su porzioni
adiacenti di faringe e laringe. I calici si trovano lungo i lati di estroflessioni mucose definite papille.
Ogni cellula gustativa mostra sottili microvilli che sporgono nei liquidi circostanti attraverso
un’apertura detta “poro gustativo”. Il meccanismo di percezione è analogo a quello dell’olfatto,
ovvero le sostanze chimiche disciolte a contatto con i peli gustativi producono uno stimolo che
determina variazioni del potenziale transmembrana delle cellule gustative, che stimolate inducono
potenziali d’azione nelle fibre afferenti. Le sensazioni gustative primarie sono: dolce, salato, amaro
e aspro (Martini F.H. et al.,2010).
Nel vino tutte queste sensazioni sono determinate da specifici composti chimici in grado di reagire
con le proteine della saliva.
Le sostanze responsabili della sensazione del dolce sono in primo luogo gli zuccheri e quindi gli
alcoli. La seconda sensazione sapida è l' acidità. E’ necessario che un vino abbia una certa intensità
di sapore acido, poiché essa da' la freschezza al vino. La terza sensazione gustativa è la sensazione
di amaro. Le sostanze responsabili della sensazione di amaro nei vini normali, potrebbero essere i
chinoni, cioè i prodotti dell'ossidazione delle sostanze fenoliche, ovvero i tannini e le materie
coloranti. Come per l'acido, solo i sali producono la sensazione di salato, ma non tutti i sali la
provocano. Esistono dei sali che danno la sensazione di dolce o di amaro. Nel vino, i sali non sono
percepiti in quanto tali: la sensazione di salato è totalmente mascherata dall' alcol e da altre sostanze
volatili.
23
1.6 – COSTITUENTI CHIMICI DEL VINO COINVOLTI NELL’ANALISI SENSORIALE
Dal punto di vista chimico, il vino è una soluzione idroalcolica e acida complessa in cui sono
presenti molte molecole di varia natura. La nostra conoscenza sulla natura chimica dell’uva e del
vino ha avuto un notevole incremento a partire dalla fine degli anni ’60 ed è migliorata grazie
all’avvento di nuove tecniche come la gascromatografia (GC),la spettrometria di massa (SM), la
cromatografia su strato sottile (TLC), la cromatografia ad alta pressione (HPLC) che hanno
permesso una migliore caratterizzazione non solo per quanto riguarda l’aspetto chimico ma anche
per quanto riguarda l’aspetto sensoriale. Tuttavia è spesso difficile comprendere quali effetti avrà la
composizione chimica su quest’ultimo aspetto, poiché i composti possono interagire tra di loro in
svariati modi, influenzando diversamente la percezione sensoriale. Infatti solo raramente un
particolare aroma del vino può essere ascritto a uno o pochi composti volatili.
La concentrazione di alcuni di questi composti varia da 10-4
a 10-9
g/l e quindi è sotto la soglia
umana di percezione sensoriale. Pertanto singolarmente non hanno alcun ruolo sensoriale ma in
combinazione con altri possono conferire al vino delle caratteristiche tipiche di ciascuna varietà
(Jackson R.S.,2000). Alcune di queste sostanze preesistono nel mosto, altre invece si originano dal
processo fermentativo.
Etanolo e alcoli superiori, acidi volatili (essenzialmente acido acetico), acidi (lattico, succinico,
ecc..), aldeidi e CO2 sono presenti nel vino in seguito al processo di fermentazione attuato dal
lievito.
Tra le sostanze preesistenti troviamo: H2O, acidi fissi (tartarico, malico e citrico), polifenoli
(tannini, antociani, ecc…), sostanze azotate (proteine, enzimi e nitrati), glucidi (esosi e pentosi),
polisaccaridi (pectine), sostanze minerali (Sciancalepore V.,1998).
Alcuni costituenti chimici dell’uva e del vino apportano un grande contributo all’aspetto sensoriale:
Zuccheri: sono caratterizzati dalla presenza di numerosi gruppi idrossilici, aldeidi e chetoni.
Gli zuccheri semplici possono legarsi tra di loro per formare polimeri quali pectine, gomme,
amidi, emicellulose e cellulosa, o con altri metaboliti secondari come lattoni e antociani, per
formare glicosidi. Glucosio e fruttosio sono naturalmente presenti nell’uva e sono i
principali zuccheri contenuti nel vino; essi vengono utilizzati dal lievito, durante il processo
di fermentazione, con produzione di alcol. Gli zuccheri non fermentabili come arabinosio,
ramnosio e xilosio,vengono chiamati “zuccheri residui”. Altri zuccheri come il riboso sono
prodotti e rilasciati dalle cellule di lievito.
24
Gli zuccheri sono responsabili della dolcezza dei vini; concentrazioni superiori a 0,2% sono
generalmente richieste per generare una percepibile sensazione di dolcezza. Poiché la
maggior parte dei vini da tavola ha un tenore di zucchero residuo inferiore a quello
precedentemente indicato, essi generalmente tendono ad essere secchi. Quando la dolcezza
si rileva nei vini secchi, di solito proviene dalla presenza di composti aromatici, in
combinazione con il lieve sapore dolce dell’ etanolo e del glicerolo. A concentrazioni
superiori allo 0,2%, gli zuccheri cominciano a mostrare un gusto dolce e contribuire sempre
più alla sensazione di corpo.
Alcoli: sono composti organici contenenti uno o più gruppi idrossilici (-OH). Gli alcoli
semplici contengono un solo gruppo –OH, i dioli e i polioli hanno rispettivamente due o più
gruppi –OH. I fenoli hanno una struttura ad anello con sei atomi di carbonio contenenti uno
o più gruppi idrossilici, ma la loro struttura chimica è così complessa da costituire un
capitolo a parte. Dal punto di vista sensoriale, l’etanolo è il più importante alcol presente nel
vino poiché in maggior quantità rispetto agli altri alcol. Esso è prodotto in piccole quantità
nelle cellule dell’uva durante il processo di macerazione, invece la sua presenza nel vino è
dovuta alla fermentazione attuata dal lievito. Nelle condizioni standard di fermentazione,
esso può accumularsi fino al 15%. Più alti livelli di etanolo sono riscontrati quando si
effettua un’aggiunta di zucchero durante la fermentazione. Oltre ai suoi notevoli effetti
fisiologici e psicologici sull'uomo, l'etanolo è cruciale per la stabilità, l'invecchiamento, e le
proprietà organolettiche del vino.
Durante la fermentazione, l’incremento del contenuto di alcol limita la crescita di
microrganismi. L’insensibilità del lievito agli alcoli, seppur sempre relativa, assicura che sia
esso a dominare nel processo di fermentazione. Microrganismi che potrebbero produrre
sgradevoli odori sono generalmente soppressi. Inoltre l'azione inibitoria dell’etanolo verso
alcuni contaminanti del vino, combinata con l'acidità, permette alla bevanda di rimanere
stabile per anni in assenza di aria. L’etanolo è anche importante perché agisce come solvente
per l'estrazione di pigmenti e tannini durante vinificazione in rosso, influenzando i tipi e le
quantità di composti aromatici prodotti. L'etanolo ha molteplici effetti sul gusto: esalta
direttamente la dolcezza attraverso il proprio gusto dolce e modifica indirettamente la
percezione di acidità. Ad alte concentrazioni, superiori al 14%, produce una sensazione di
bruciore e può contribuire alla caratteristica di peso o corpo del vino; in particolare nei vini
secchi può aumentare l'intensità di amarezza dovuta alla presenza di taluni polifenoli mentre
diminuisce la sensazione di astringenza legata alla presenza di tannini.
25
Viceversa, a basse concentrazioni (0.5-0.75%) esso aumenta il rilascio di alcuni composti
aromatici. Insieme ad altri alcol reagisce con acidi organici per produrre esteri; può anche
reagire con aldeidi e produrre acetali (Jackson R.S., 2000).
Alcoli superiori : rappresentano il 50% dei costituenti aromatici del vino, escludendo
l’etanolo. Fanno parte di questo gruppo tutti gli alcol che hanno più di 2 atomi di carbonio.
Alcuni di essi , come etil-1-esanolo, alcool benzilico, 2-feniletanolo, 3-ottanolo, e 1-octen3-
olo, provengono dall’uva; altri invece derivano dal processo di fermentazione attuato dal
lievito. La loro sintesi è strettamente parallela alla produzione di etanolo. Quantitativamente
i più importanti alcol superiori sono: 1-propanolo, 2-metil-1- propanolo (alcol isobutilico),
2-metil-1-butanolo e 3-metil-1-butanolo. Il 2-Feniletanolo è il più importante fenol-derivato
degli alcoli superiori. Tutti questi apportano, in combinazione, una diversa caratteristica al
vino e influenzano la sensazione di corpo. Gli alcoli superiori più comunemente presenti nel
vino hanno un forte odore pungente. A basse concentrazioni (~0,3 g / l o meno), aggiungono
complessità al bouquet. A concentrazioni più elevate, essi dominano sempre più il profumo
(Jackson R.S., 2002).
Dioli e polioli: tra questi composti ritroviamo il 2,3-butilen-glicol che si forma dalla
condensazione di due molecole di piruvato con la liberazione di due molecole di CO2, il
quale non ha un forte odore ed è caratterizzato da un sapore lievemente dolce; per questi
motivi non ha un significato sensoriale rilevante.
Il glicerolo invece è il composto più presente dopo l’acqua e l’etanolo, ciò è rilevante dal
punto di vista sensoriale. Il suo sapore è leggermente dolce ed è poco avvertito nei vini
dolci, ma potrebbe giocare un ruolo più importante nei vini secchi, nei quali la sua
concentrazione supera la soglia sensoriale di dolcezza.
Alditolo, arabitolo, eritritolo, mannitolo e sorbitolo sono dei polialcol presenti nel vino a
basse concentrazioni. Infezioni fungine o batteriche possono far aumentare la quantità di
questi composti nel vino. Essi possono essere ossidati in aldeidi da alcune specie di batteri
acetici; ciò può contribuire a dare un leggero effetto di corpo al vino (Jackson R.S.,2000).
Acidi: sono sostanze in grado di ionizzarsi e rilasciare ioni H+
in acqua. Prendendo in
considerazione composti organici questa proprietà è associata ai gruppi carbossilici. Nel
vino, il grado di ionizzazione dipende dal contenuto cationico, dal pH e dalle caratteristiche
di ionizzazione dell’acido.
Acido carbonico e acido solforico sono i principali acidi inorganici contenuti nel vino. Si
parla di acidità volatile, in riferimento agli acidi che possono essere rimossi tramite
distillazione del prodotto; negli altri casi si parla di acidità fissa. In combinazione esse
26
costituiscono l’acidità totale del vino; quest’ultima può essere espressa in termini di acido
tartarico, malico, citrico, lattico, solforico o acetico.
L’acido acetico è un sottoprodotto del metabolismo del lievito ma si forma anche durante il
processo di invecchiamento del vino nelle botti di rovere quando avviene l’idrolisi chimica
dell’emicellulosa.
Acido tartarico e malico sono presenti nell’uva in misura del 90% come acidità fissa e
definiscono l’acidità nel vino. Il tipo di fermentazione che avviene nel vino ha degli effetti
minimi sull’acidità totale, ma influenza molto il tipo di acidi che saranno presenti nel
prodotto; ad esempio, se nel vino avviene la fermentazione malolattica, una parte di acido
malico verrà trasformato in acido lattico.
Altri acidi organici come l’acido citrico, isocitrico, fumarico, α cheto-glutarico, si possono
trovare in piccolissime quantità nel vino e non hanno un valore rilevante per quanto riguarda
l’aspetto sensoriale. La presenza di acido gluconico, glucuronico e galatturonico può invece
essere associata ad un’infezione batterica dell’uva ma non ha nessun effetto sul sapore o
l’odore; tuttavia possono avere un effetto sul colore e portare ad un imbrunimento del vino
( Jayaraman and Van Buren, 1972).
Durante la fermentazione e l’invecchiamento, gli acidi sono coinvolti in reazioni che
portano alla formazione di esteri, ciò spesso conferisce un profumo fresco-fruttato ai vini.
Gli acidi fenolici sono sintetizzati nell’uva o dalle cellule del lievito attraverso la via
dell’acido shikimico; essi danno un sapore leggermente amaro al vino.
Figura 1.7: acido shikimico
Più in generale gli acidi risultano dare un gusto fresco al palato, che diventa aspro se sono
in eccesso, e riduce quella sensazione di dolcezza percepita.
Oltre ad avere un ruolo nel mantenimento di un basso valore dei livelli di pH, gli acidi
influenzano il colore soprattutto nei vini rossi. Infatti in queste condizioni gli antociani
subiscono dei cambiamenti che portano il viraggio del colore alla lunghezza d’onda del blu.
L’acidità determina la ionizzazione di composti fenolici. La forma ionizzata dei fenoli può
essere più facilmente ossidata. Di conseguenza, i vini con un pH tra 3-4 sono molto sensibili
alla ossidazione e ciò comporta la perdita del loro aroma fresco e di un vivace colore
(Singleton, 1987). Gli acidi inoltre permettono la precipitazione di proteine e pectine che
27
altrimenti potrebbero offuscare il vino; tuttavia un effetto di opacità potrebbe esser dato
dalla solubilizzazione di ioni ferro e rame.
Bassi valori di pH migliorano anche le proprietà antimicrobiche degli acidi grassi, i quali
sono più tossici nella loro forma indissociata.
Pectine, gomme e relativi polisaccaridi: sono lunghe catene ramificate di polimeri che si
trovano all’interno delle cellule vegetali in cui svolgono un’azione strutturale. Queste
sostanze sono estratte durante le operazioni di pigiatura e pressatura dell’uva. I polisaccaridi,
in presenza di alcoli, formano colloidi complessi e tendono a precipitare. Essi ostacolano la
chiarificazione del vino poichè inibiscono la precipitazione di altri materiali colloidali, come
tannini e proteine; la loro incidenza sulle proprietà sensoriali del vino non è stata
adeguatamente studiata, ma è comunemente ritenuto essere trascurabile.
Sostanze minerali: sono sostanze che danno generalmente un’impronta salata e acida al
vino. Variano da 2 a 4 g/l e sono sali degli acidi minerali e di qualche acido organico; per
esempio il bitartrato di potassio ha insieme un sapore acido e salato.
28
CAPITOLO 2 : I POLIFENOLI
I composti polifenolici sono responsabili di importanti caratteristiche sensoriali del vino quali il
colore, l’astringenza e l’amaro. Essi vengono estratti dalle diverse parti dell’acino d’uva durante la
vinificazione e, poiché sono substrati di un gran numero di reazioni chimiche, subiscono diverse
variazioni di struttura nel corso dell’affinamento e dell’invecchiamento del vino, modificandone le
caratteristiche organolettiche. Pertanto la stima della quantità e della qualità dei polifenoli dell’uva,
che possono essere estratti durante la vinificazione, ed anche la conoscenza della ripartizione di
questi composti tra bucce e vinaccioli possono aiutare l’enologo ad impostare in maniera ottimale la
vinificazione in rosso. Nelle uve rosse le ricerche condotte sui componenti del colore hanno
evidenziano i seguenti fatti:
- nei vini giovani partecipano al colore gli antociani e i tannini;
- gli antociani che possiedono gruppi ossidrilici (OH) in posizione orto e para hanno un’azione
antiossidante naturale trasformandosi in ortochinoni.
Per questo i vini rossi sono in parte protetti dalle ossidazioni, poiché gli antociani reagiscono con
l'ossigeno rallentando l'ossidazione degli altri composti. Nel corso della conservazione e
dell'invecchiamento gli antociani tendono a scomparire per idrolisi degli eterosidi e/o in seguito a
combinazioni con tannini con i quali formano dei copolimeri stabili, che provocano il viraggio del
colore verso una tinta arancio mattone ,caratteristica del vino invecchiato.
Il termine fenoli o polifenoli si riferisce ad una famiglia di composti organici, della quale fanno
parte circa 5000 molecole, che presentano un anello benzenico sostituito da uno o più gruppi
idrossilici (-OH ). Come indica il nome, essi sono caratterizzati dalla presenza di molteplici gruppi
fenolici associati in strutture più o meno complesse. Il fenolo è il più semplice composto esistente
della propria classe, quella dei composti aromatici derivati dal benzene che recano un gruppo
ossidrile (-OH) direttamente legato all’anello aromatico (Paronetto, 1979).
Figura 2.1: Fenolo
La loro reattività è dovuta all’acidità caratteristica della funzione fenolica ed alla nucleofilicità
dell’anello benzenico.
29
I fenoli sono particolarmente importanti nei prodotti ortofrutticoli dove ne determinano colore e
sapore. In particolare viene associato agli acidi fenolici il sapore acidulo, ai tannini l’astringenza,
mentre il sapore amaro è spesso associato ad alcuni flavonoidi quali naringenina e neoesperidina, il
colore, infine, viene determinato dalla presenza degli antociani e dalle loro caratteristiche reazioni
di copigmentazione. Il contenuto dei composti fenolici nei tessuti vegetali varia in funzione della
specie, della varietà, dell’organo considerato, dello stadio fisiologico e delle condizioni
pedoclimatiche. I composti fenolici si accumulano, in genere, in tutti gli organi della pianta (radici,
steli, foglie, fiori e frutti), tale accumulo si realizza in maniera specifica nei vari tessuti a seconda
dei vari generi di pianta, con la maggior parte dei fenoli presenti negli strati epidermici e
subepidermici
dei vari tessuti. In generale, si può affermare che, ad eccezione della lignina, i composti fenolici si
accumulano preferenzialmente negli organi aerei della pianta (steli, foglie, fiori e frutti) piuttosto
che nelle radici. Questa localizzazione preferenziale viene messa in relazione con l’effetto induttore
della luce sul metabolismo fenolico, nonchè con il ruolo protettivo esercitato dai composti fenolici
nei confronti delle radiazioni ultraviolette.
2.1 BIOSINTESI
Nelle specie di Vitis vinifera, i fenoli sono sintetizzati a partire dalla via biosintetica dei fenil-
propanoidi (L. Federico Casassa et al.), pertanto sono derivati da tirosina o fenilalanina. La struttura,
come viene evidenziato dal nome, è caratterizzata da un'unità fenilica (C6) legata a un'unità
proprionica (C3) (Hahlbrock K. et al,1989).
Il metabolismo dei fenilpropanoidi, derivati dall’acido shikimico, prevede una serie di reazioni che
portano alla formazione di derivati dell’acido cinnamico (principalmente acidi idrossicinnamici e
cumarine). Gli enzimi coinvolti in questo pathway biosintetico sono: la fenilalanina ammonio liasi
(PAL) e la tirosina ammonio liasi (TAL); il primo deamina la L-fenilalanina e forma così quantità
equimolari di acido trans-cinnamico e ione ammonio. Quest’ultimo verrà incorporato dalla
glutammina sintasi (GS) nella glutammina e successivamente in glutammato via glutammina2-
ossiglutarato ammidotrasferasi (GOGAT); il secondo enzima provvede, analogamente al primo, alla
deaminazione della tirosina con formazione dell’acido trans-p-cumarico. Il glutammato così
formato funge da donatore di azoto nella biosintesi degli amminoacidi aromatici, fenilalanina e
tirosina. Dopo la deaminazione dell’amminoacido, si susseguono una serie di sostituzioni
sull’anello aromatico, idrossilazioni e metossilazioni, che portano alla formazione dei vari derivati
dell’acido 4-idrossicinnamico (acido p-cumarico). L’acido p-cumarico, a sua volta, viene convertito
nel suo corrispondente derivato attivato, il p-cumaroil-coenzima A tioestere, ad opera di una
30
idrossicinnamato: CoA-ligasi (4CL). Il derivato attivato dell’acido p-cumarico, oltre che da
prodotto finale del metabolismo fenilpropanoidico, funge da precursore nella biosintesi di altri
composti fenolici (vedi fig 2.2)
Figura 2.2: Metabolismo fenilpropanoidico e principali strutture derivate dagli acidi cinnamici
La struttura di base di tutti i flavonoidi è C6-C3-C6, composta da una unità C6 (anello A) a da una
unità C6-C3 (anello B ed atomi di carbonio 2, 3 e 4). Il primo anello è il risultato della
condensazione testa-coda di 3 unità acetato; l’anello B, con gli atomi di carbonio 2, 3, e 4, viene
fornito da un derivato dell’acido cinnamico. A partire da malonil-CoA e p-cumaroil-CoA (derivato
attivato dell’acido p-cumarico), un enzima catalizza la formazione dello scheletro C15 dei
flavonoidi. In una reazione catalizzata da acetil-CoA carbossilasi (ACC) a partire da acetil-CoA e
CO2 si forma maloni-CoA; il p-cumaroil-CoA e gli analoghi esteri idrossicinnamici del CoA
vengono forniti invece dal metabolismo fenilpropanoidico. La calcone sintasi (CHS) è l’enzima
chiave nella biosintesi dei flavonoidi poiché catalizza la condensazione in più stadi di tre unità
acetato, derivanti da malonil-CoA, con un opportuno derivato attivato dell’acido cinnamico,
normalmente il p-cumaroil-CoA, con conseguente formazione di un calcone, 4,2’,4’,6’-
tetraidrossicalcone, dal quale si originano tutte le strutture dei flavonoidi; mentre la CHI catalizza la
ciclizzazione del calcone in maniera stereospecifica con conseguente formazione del flavanone (Li
Fey al, 2006). Negli stadi successivi della biosintesi calconi, flavanoni, diidroflavonoli e flavan-3,4-
31
dioli fungono da precursori nella biosintesi degli antociani, mentre i pathways che portano alla
formazione di flavoni e flavonoli rappresentano delle ramificazioni degli stadi iniziali della
biosintesi dei flavonoidi. Successivamente una reazione catalizzata dall’enzima calcone isomerasi
(CHI) porterà ad una conversione stereospecifica del calcone a 2S-flavanone (naringenina,
liquiritigetina) determinando la struttura tipica dei flavonoidi. La biosintesi degli isoflavoni, flavoni,
diidroflavonoli e flavan-4-oli sfrutta come intermedio la naringenina (un 5-idrossiflavanone); la
liquiritigenina (un 5-deossiflavanone) funge invece da precursore nel pathway degli isoflavoni. A
partire da questi flavanoni, e in seguito a varie reazioni in cui intervengono diversi enzimi, si ha la
formazione di altri composti:
Flavonoidi, derivati da una reazione catalizzata dalla flavone sintasi I che richiede come
cofattori il 2-ossiglutarato, Fe++
ed ascorbato e dalla flavone sintasi II che richiede NADPH
ed ossigeno molecolare. Grazie all’azione di questi due enzimi si ha la formazione di un
doppio legame tra il C2 e il C3.
Diidroflavonoli, derivati da una reazione catalizzata dalla flavanone-3-idrossilasi (FHT),
anch’essa è una diossigenasi 2-ossiglutarato-dipendente, che determina l’idrossilazione del
flavanone sul C3.
Flavonoli e Flavan-3, 4-dioli (leucoantocianidine), sintetizzati a partire da diidroflavonoli,
che fungono da substrati diretti in una reazione catalizzata da una flavonolo sintasi (FLS),
ancora una diossigenasi 2-ossiglutaratodipendente. Le leucoantocianidine sono formate , in
seguito all’intervanto di una diidroflavonolo-4-riduttasi (DFR) che utilizza NADPH come
cofattore e determina una riduzione stereospecifica in posizione 4 dei diidroflavonoli. La
flavanone-4-riduttasi (FNR) catalizza la riduzione NADPH-dipendente del gruppo
carbonilico in posizione 4 del flavanone con conseguente formazione dei flavan-4-oli, un
tipo di leucoantocianidine, che costituiscono i precursori immediati di apigeninidina e
luteolinidina, delle 3-deossiantocianidine rispettivamente di colore giallo-arancio e arancio-
rosso.
Catechine (flavan-3-oli),proantocianidine (dimeri ed oligomeri di flavan-3-oli), derivati
delle leucoantocianidine e prodotte in seguito ad una reazione di riduzione in posizione 4
della leucoantocianidina catalizzata da una leucoantocianidina-4-riduttasi (LAR).
Antocianidine, anch’esse derivate dalle leucoantocianidine per azione di una diossigenasi
che introduce un doppio legame tra il C2 ed il C3 della leucoantocianidina. Il composto
risultante, il 2-flaven-3,4-cis-diolo può isomerizzare a formare un composto
termodinamicamente più stabile, il 3-flaven-2,3-diolo, che probabilmente si disidrata
32
spontaneamente formando l’antocianidina. Segue una glicosilazione in posizione 3
dell’antocianidina che rende più stabile la molecola.
Figura 2.3 - Schema della biosintesi dei polifenoli.
33
2.2 DEGRADAZIONE
La quantità e la qualità dei composti fenolici che si trovano nelle cellule vegetali subisce delle
variazioni durante il ciclo di crescita della pianta. Questo dipende non soltanto da fenomeni di tipo
catabolico, ma anche dalle relative velocità dei processi di sintesi e turnover. Pertanto, il
metabolismo fenolico all’interno della pianta deve essere visto come un sistema dinamico che
coinvolge delle concentrazioni di equilibrio dei prodotti finali dei vari step metabolici. Il turnover
dei composti fenolici viene determinato da quattro tipi di reazioni:
reazioni di interconversione coinvolte nei processi di biosintesi nel corso dei quali un
particolare composto, che apparentemente sembra accumularsi in quantità
apprezzabili, funge da intermedio biosintetico.
reazioni di coniugazione imporanti in quanto alterano le proprietà chimico-fisiche
(solubilità, valori di pK) e fisiologiche (attività biologica, trasporto attraverso cellule
e membrane) delle molecole.
reazioni cataboliche atte a degradare i composti fenolici attraverso una serie di
reazioni che vanno dall’ossidrilazione, alla O- ed N-dealchilazione, allarottura dei
legami C-C, all’idrolisi ed alla fissione dell’anello aromatico.
reazioni ossidative che portano alla formazione di polimeri insolubili ad elevato peso
molecolare
34
2.3 CLASSIFICAZIONE
In base alla loro struttura, i polifenoli sono classificati in due gruppi:
1. NON FLAVONOIDI
2. FLAVONOIDI
Del primo gruppo fanno parte l’acido benzoico,l’acido cinnamico e i loro derivati (tabella 1). Essi
sono esterificati con zuccheri, alcoli vari, o acidi organici. Esteri di questi acidi possono migliorare
il colore del vino rosso formando copigmenti insieme alle antocianine.
Acido o-idrossibenzoico
Composti derivati R1 R2
Acido pirocatechico Acido gallico Acido vanillico Acido siringico
H OH H OCH3
OH OH OCH3
OCH3 Acido cinnamico
Acido p-cumarico Acido caffeico Acido ferulico
OH OH OH
H OH OCH3
Tabella 1 : Alcuni composti derivati dall’acido o-idrossibenzoico e dell’acido cinnamico.
L’acido gallico e l’acido vanillico sono i composti idrossibenzoici maggiormente presenti e studiati
per la loro distribuzione nel mondo vegetale. L’ acido gallico è, insieme all’acido ellagico, il
monomero base per la formazione dei tannini idrolizzabili.
Gli acidi idrossicinnamici sono fenilpropanoidi derivanti dall’acido p-cumarico (o p-
idrossicinnamico). Sono comuni in natura quattro varianti della loro formula di base C6-C3: l’acido
caffeico, cumarico, ferulico e sinapico. Si trovano nel regno vegetale legati chimicamente ad altri
composti. Gli acidi idrossicinnamici svolgono, nelle piante, azione antibiotica e varie funzioni
biologiche connesse all’inibizione della crescita e della germinazione.
Il secondo gruppo, quello dei flavonoidi, include generalmente dei composti la cui struttura comune
è data da uno scheletro chimico, detto scheletro flavonico, che è costituito da un anello
benzopiranico, unito a due anelli aromatici fenilici ( Figura 2.4 ).
35
Figura 2.4: Struttura generica di un flavonoide
Essi possono trovarsi in forma libera o possono legarsi ad altri flavonoidi, zuccheri o non
flavonoidi. I diversi sostituenti ossidrilici o chetossilici nelle diverse posizioni degli anelli fenilici,
come detto in precedenza, danno luogo a svariati flavonoidi, i quali possono avere funzioni diverse
anche se differiscono della posizione di un solo sostituente chimico o di un tipo di legame.
Figura 2.5 : Strutture di diversi flavonoidi
Le specie di flavonoidi che si ritrovano maggiormente nel vino, e che sono quindi importanti per
reazioni e proprietà sensoriali, sono le antocianine, i flavanoli ed i flavonoli; in minore quantità
sono invece presenti altri composti appartenenti alla stessa famiglia, i flavanonoli e i flavoni.
36
Sulla base del peso molecolare, le sostanze fenoliche si possono distinguere in composti a basso
peso molecolare, a peso intermedio e ad alto peso molecolare (Tabella 2).
Peso molecolare Struttura Classe fenolica
Basso
Es. PM acido gallico: 170,92
C6-C1
C6-C3
Acidi idrossibenzoici
Acidi idrossicinnamici
Intermedio C6-C3-C6
Flavonoidi
Alto
PM da 600 a 3500
(C6-C1)n
(C6-C3-C6)n
Tannini idrolizzabili
Tannini condensati
Tabella 2: Classificazione dei composti fenolici in base al peso molecolare.
Le sostanze polifenoliche sono localizzate principalmente nelle parti solide del grappolo cioè nelle
bucce, nei vinaccioli e nei raspi solo una minor parte è localizzata nella polpa. Tuttavia non
provengono solamente dal frutto, poiché molti fenoli e relativi derivati sono anche prodotti in
seguito al metabolismo del lievito; ad esempio la produzione di Tirosolo contribuisce ad avere un
gusto amaro nel vino. Questo è particolarmente evidente nei vini spumanti poiché il livello di
tirosolo aumenta considerevolmente durante la seconda fermentazione in bottiglia, caratteristica
della maggior parte dei vini spumanti (Jackson R.S., 2002).
I polifenoli sono responsabili del colore, del gusto e dell’aroma del vino. Durante il periodo di
maturazione dell’uva, in particolare nelle varietà a bacca rossa, è possibile osservare un
cambiamento della colorazione dovuto alla perdita di clorofilla e ad un accumulo di fenoli. La
quantità totale di polifenoli nell’uva dipende dal vitigno, dalle condizioni climatiche e da fattori
ambientali (Di Stefano, 1996a e 1996b). Il contenuto medio di polifenoli negli acini è 4 g/Kg nei
vitigni bianchi e 5,5 g/Kg nei vitigni rossi; di cui il 65% situato nel vinaccioli, il 30% nelle bucce e
il restante 5% nella polpa (Y.Margalit, 2005).
La loro presenza nel vino invece dipende dalla vinificazione, cioè il processo di trasformazione
biochimica durante il quale si ha la trasformazione dell’uva in vino; ma è soprattutto la fase della
37
macerazione a contribuire alla presenza dei polifenoli nel vino. Durante questa fase, in cui le bucce
sono mantenute a contatto con il mosto per un periodo di tempo variabile, i composti fenolici
vengono trasferiti al vino conferendo ad esso un particolare colore e sapore..
Il contenuto di polifenoli nei vini rossi (di cui l'80-90% sono flavonoidi) è in media 1500 mg/l,
variando tra i limiti di 1 e 2 g/l come GAE (equivalenti di acido gallico, che è la molecola
polifenolica con la maggiore concentrazione nel vino). I vini rosati possono contenerne 400-800
mg/l, dei quali il 40-60% sono flavonoidi; infine nei vini bianchi si trovano dai 100 ai 400 mg/l .
Figura 2.6: Contenuti fenolici in uve bianche e nere.
La solubilità della componente fenolica dipende dalla durata della fermentazione, aumenta
progressivamente nel corso di questo processo, poiché favorita dalla presenza di alcol (soprattutto di
etanolo), dall’acidità del mosto, dall’innalzamento della temperatura, dalla presenza di SO2 e CO2
(la quale aumenta la permeabilità delle cellule della buccia). Di conseguenza, non vi è alcun mezzo
semplice di predeterminare il livello di fenoli estratti durante la fermentazione (Jackson R.S.,2000).
Il risultato finale dell’estrazione fenolica è quindi uno dei parametri più variabili che si hanno se
prendiamo in considerazione tutti i costituenti del vino e anche durante il processo di
invecchiamento tende a subire delle notevoli variazioni difficili da prevedere.
38
2.4 IMPORTANZA DEI POLIFENOLI NEL VINO
La diversa composizione polifenolica di ogni vino, ci permette di caratterizzarli e assegnare loro
delle particolari qualità.
Analizzare tutte le componenti che interagiscono nel vino e che definiscono le sue proprietà
organolettiche, gustative, olfattive e visive richiede degli studi approfonditi. Ancora oggi sono in
atto delle ricerche che mirano a caratterizzare qualitativamente una tipologia di vino in base alle
reazioni che avvengono tra le componenti durante i processi di produzione e stoccaggio. Il controllo
delle qualità organolettiche del vino richiede lo studio delle interazioni tra sostanze volatili e
polifenoli (Dufour C. and Bayonove C. L., 1999).
E’ stato già detto in precedenza che i polifenoli apportano un contributo di primaria importanza in
questo campo. In riferimento a questo, svariate classi di polifenoli possono esser citate .
2.4.1 ANTOCIANI
Sono pigmenti idrosolubili che si trovano nelle foglie, fiori e frutti, che ne determinano la loro
colorazione. Gli antociani esistono in natura sotto la forma di antocianina (glucoside), in quanto le
antocianidine (aglicone) sono sempre esterificate da una o più molecole di zucchero; ciò conferisce
loro stabilità contro l’ossidazione enzimatica e consente una maggiore solubilità in acqua,
facilitando così l’estrazione durante il processo di macerazione (Alcalde-Eon C. et al.,2007). Le
antocianine sono costituite da due anelli benzenici uniti mediante un anello eterociclico e
presentanti a seconda dell’antociano, varianti ai vertici degli anelli benzenici o dell’anello
eterociclico. I gruppi sostituenti sono -OH in posizione 3, 5, 7. Gli agliconi presentano ai vari
vertici, dei gruppi ossidrilici (OH) e talvolta anche gruppi metossilici (-OCH3) ed in base alla loro
posizione deriva l’esistenza, di sei agliconi: cianidina, delfinidina e pelargonidina presentanti solo
gruppi ossidrilici; malvidina, petunidina e peonina presentanti anche gruppi metossilici.
Figura2.7: Strutture di varie
antocianidine
39
I vini rossi prodotti con uve provenienti da Vitis vinifera L., sono composti per la maggior parte da
antocianine monomeriche 3-O-monoglucoside. L’idrossolazione dell’anello B delle antocianine può
avere un effetto diretto sulla stabilità del colore, determinata dall’effetto della delocalizzazione
degli elettroni all’interno della struttura della molecola. Per esempio, le antocianine con più
sostituenti idrossilici sull’anello B possono contribuire allo sviluppo del colore blu, mentre una
maggior metossilazione dell’anello B favorisce il prevalere del colore rosso (Tseng K.C. et al.,2005)
Il colore delle antocianine può variare in base al ph del mezzo in cui si trovano, alla temperatura,
alla quantità di anidride solforosa libera all’interno del vino e al legame con diversi ioni metallici.
In condizioni acide prevale la forma cationica flavilio, mentre se il pH aumenta, si incrementa
anche la porzione delle antocianine in forma chinoidale di colore blu-violetto (Cheynier V. et al.,
2006)
2.4.2 FLAVANI
Hanno formula C6-C3-C6 con l’eterociclo ossigenato dal pirano. Si distinguono in flavan-3-oli o
catechine e flavan-3,4-dioli o leucoantocianidine. A differenza degli antociani, le catechine non
sono legate a molecole glucidiche e non hanno gruppi metossili come sostituenti dell’anello B. I
flavan-3-oli costituiscono il gruppo di flavonoidi più diffusi nel mondo vegetale. Si trovano nella
parte solida dell’uva (buccia, semi e steli) in forma monomerica o polimerica. Le unità
fondamentali di tali composti sono quattro monomeri: catechina, epicatechina, gallocatechina ed
epigallocatechina. Poiché gli atomi di carbonio in posizione 2 e 3 sono asimmetrici, presentano 4
forme otticamente attive e 2 forme racemiche (Fig. 2.8).
Figura 2.8: Strutture catechina,gallocatechina ed epicatechina
40
Queste molecole, in soluzione acquosa, sono insapore e incolore; si ossidano facilmente e nel vino
portano ad un imbrunimento del colore e conferiscono un sapore astringente.
Nei leucoantociani, l’idrossile in posizione 4 conferisce a questi delle proprietà molto diverse dalle
catechine: mentre le catechine, riscaldate in ambiente acido subiscono condensazione e danno luogo
a flobafeni di colore rosso bruno insolubile, i leucoantociani attraverso la stessa reazione producono
antociani.
2.4.3 ACIDO GALLICO
L'acido Gallico o acido triidrossibenzoico è un acido organico, solubile in acqua, contenuto in
molti prodotti di origine vegetale. E’ presente nelle foglie e nelle bucce di molti frutti tra cui l’uva.
È comune nelle specie vegetali legnose, presente in forma solubile come estere dell'acido chinico o
legato a glucosio nei gallotannini. Esteri di acido gallico, come i tannini, catechine gallati e gallati
alifatici sono potenti antiossidanti in vitro. L'acido gallico infatti sembra avere attività antiossidanti,
antitumorali e attività antiangiogenica in vitro .
I semi d'uva e le bucce sono buone fonti di sostanze fitochimiche come acido gallico, catechina e
l'epicatechina e sono materie prime adatte per la produzione di integratori alimentari antiossidanti
(Yilmaz Y et al., 2004).
Figura 2.9 : Struttura acido gallico
41
2.4.4 TANNINI
I tannini comunemente riscontrati nel vino sono di due tipi:
Tannini idrolizzabili che vengono distinti in gallotannini, la cui idrolisi acida o alcalina
libera acido gallico, ed elagitannini la cui idrolisi acida libera acido ellagico.
Tannini condensati a cui appartengono anche i tannini dell’uva , detti anche tannini
proantocianidici, la cui idrolisi acida libera un’antocianina.
I tannini idrolizzabili possiedono numerosi gruppi –OH suscettibili ad essere ossidati e quindi
hanno un forte potere antiossidante nei confronti di altre molecole presenti nel mezzo.
I tannini condensati sono costituiti da catene di flavan-3-olo originate dal legame C4-C6 o C4-
C8,oppure per la formazione di un ponte etile derivante dall’ossidazione dell’alcol etilico in aldeide
acetica. In seguito all’ossidazione del gruppo fenolico si ha la trasformazione di funzioni alcoliche
in funzioni chetoniche, ciò comporta la diminuzione dell’elettronegatività della molecola, quindi la
diminuzione della reattività dei tannini con le proteine e l’abbassamento della sensazione di
astringenza. Questo accade, ad esempio, nella maturazione ossidativa del vino in barrique o durante
la maturazione in presenza di microssigenazione. Per quanto riguarda le reazioni dei tannini con le
proteine è stato appurato che la carica elettronegativa globale di un tannino proantocianidico è più
alta nel caso di un pentamero piuttosto che di un dimero. I tannini a basso peso molecolare sono più
acidi e meno astringenti al gusto, mentre i pentameri avranno un carattere più astringente. I tannini
ellagici solitamente sono meno astringenti di quelli gallici e raramente giocano un ruolo
significativo nella qualità sensoriale del vino (Pocock et al., 1998).
Più grandi sono i polimeri tannici, minore sarà la capacità di reagire in modo efficace con i
recettori del gusto o le proteine della saliva. I tannini infatti hanno la capacità di sottrarre liquido
alla bocca facendola rimanere asciutta poiché si legano con le glicoproteine della saliva, ad esempio
la mucina, facendole precipitare e dando origine ad una formazione flocculare che fa perdere il
potere lubrificante della saliva. Questi polimeri insapore si formano lentamente durante
l'invecchiamento, ciò spiega la progressiva riduzione della rugosità di vini rossi. Infatti se essi
precipitano, il sedimento generato può essere percepito in bocca solo quando è risospeso in seguito
ad agitazione. Di solito la presenza nel vino di gallotannini ed elagitannini deriva dal legno delle
botti in cui viene riposto il vino. I tannini condensati invece provengono da vinacce, vinaccioli e
bucce (Pastor del Rio et al., 2006) e si estraggono mediante macerazione; questi sono maggiormente
presenti nei vini rossi giovani .
42
Dalla polimerizzazione di catechina e leucocianidina si forma una classe di polimeri chiamati
procianidine. Sebbene le procianidine siano presenti nell’uva sottoforma di monomeri, esse nel vino
tendono a polimerizzare e assumere la forma di tannini responsabili della sensazione di astringenza
del vino. Dal punto di vista chimico e sensoriale , antociani e proantocianidine giocano un ruolo
fondamentale nel definire la qualità del vino e contribuiscono alle caratteristiche sensoriali
soprattutto sulla stabilità del colore.
Durante la conservazione e l'invecchiamento del vino rosso, proantocianidine e antociani
reagiscono con altri costituenti; ciò porta alla formazione di pigmenti più stabili che sono
responsabili di variazioni nel gusto e di cambiamenti nel colore. Infatti il colore del vino rosso,
durante il suo invecchiamento, vira dalla tonalità viola-rosso tipico dei vini giovani a quella di un
rosso mattone caratteristico dei vini più vecchi (Jackson R.S., 2000) .
43
2.5 POLIFENOLI E SALUTE
Molte piante sintetizzano questi composti per soddisfare varie necessità fisiologiche: la propria
difesa contro parassiti, agenti tossici, condizioni ambientali, raggi ultravioletti; l'attrazione degli
impollinatori (gli antociani e i flavonoidi); il supporto strutturale (tannini); la regolazione mediante
fitormoni (flavonoidi ed altre sostanze fenoliche semplici).
Queste funzioni avvengono a spese del metabolismo primario delle piante (accrescimento e
riproduzione) in quanto parte degli assimilati sono destinati allo svolgimento delle suddette attività
(metabolismo secondario). Una funzione particolarmente importante del metabolismo secondario è
la protezione da stress ossidativi e le piante che hanno uno spiccato metabolismo secondario sono
tendenzialmente più ricche in sostanze antiossidanti. I fenoli sono i più noti tra gli antiossidanti
idrofili.
Il vino rosso è una significativa fonte naturale di polifenoli e un moderato consumo giornaliero
contribuisce all’apporto di circa un grammo di polifenoli (Soleas G. J. et al., 1997).
I polifenoli possiedono innumerevoli attività biologiche: svolgono un’attività antibatterica e di
protezione contro la fragilità capillare, diminuiscono l'incidenza di malattia coronarica, riducono
l’aggregazione piastrinica (Burns J. et al, 2000), forniscono una protezione anti-cancerogena
(Frankel E.N. et al.,1998), hanno capacità antiossidante in vivo (Wang J. et al, 2006) e in vitro
(Fernández-Pachón M.S. et al., 2004) ( Cimino F. et al., 2007).
Diversi studi sulle componenti fenoliche dei vini rossi hanno dimostrato che esse possono prevenire
l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) (Frankel, E.N. et al.,1993) contrastando le
reazioni chimiche provocate da diverse molecole, fra cui l’ossigeno che è responsabile della
formazione dei radicali liberi ovvero di sottoprodotti derivati dal metabolismo aerobico cellulare.
Questi ultimi sono sostanze chimiche altamente instabili molto dannose per l’organismo in quanto
possono accelerare i processi di invecchiamento cellulare, attivare processi infiammatori , avere
effetti cancerogeni e favorire l’aterosclerosi (Taverne Y.J. et al., 2013).
L’associazione degli antiossidanti del vino rosso con particelle di LDL potrebbe influenzare la loro
resistenza alla modificazione ossidativa.
È stato ipotizzato che gli effetti protettivi avvengono a diversi livelli; infatti i fenoli sono
antiossidanti a funzioni multiple:
possono chelare metalli di transizione o ioni, quali ferro e rame, diminuendo la loro
partecipazione nella generazione di radicali liberi ( Brown et al.,1998).
44
possono agire come agenti riducenti, antiossidanti donatori di idrogeno, quenchers di
ossigeno.
L’attività antiossidante dei composti fenolici è dovuta alla presenza di gruppi idrossilici legati alle
strutture aromatiche ed alla geometria della molecola.
La delocalizzazione rende molto più acido l'idrogeno fenolico di uno alcolico (pKa 9, 9 contro 16-
18), e rende le posizioni orto e para più reattive alla sostituzione elettrofila.
Le condizioni fondamentali affinché sia esplicata l’attività antiossidante sono: la presenza degli
antiossidanti in basse concentrazioni, rispetto al substrato di ossidazione, per ritardare o prevenire
l’autossidazione o l’ossidazione mediata da radicali (Halliwell e Gutteridge, 1990) e la formazione
di radicali fenolici stabili attraverso la delocalizzazione elettronica sulle strutture aromatiche ed
alifatiche.
La configurazione idrossilica dell’anello B è significativamente determinante per l’azione
scavenging nei confronti dei ROS e degli RNS (specie reattive dell’azoto). Gli idrossili di tale
anello cedono idrogeno, o un elettrone, ai radicali idrossilici, perossilici e perossinitriti
stabilizzandoli, e trasformandosi a loro volta in un radicale flavonoide relativamente stabile.
Gli ossidrili presenti sull’anello A hanno un’attività antiossidante decisamente più blanda rispetto a
quelli dell’anello.
Anche l’eterociclo contribuisce all’attività antiossidante per la presenza di un -OH libero in
posizione 3, e perché permette la coniugazione tra i due anelli aromatici A e B. Non è essenziale, ai
fini dell’attività antiossidante, la presenza dell’eterociclo chiuso, dato che i calconi (appartenenti
alla famiglia dei flavanoni) mostrano comunque una spiccata attività antiossidante.
L’angolo di torsione dell’anello B, rispetto al resto della molecola, condiziona le proprietà di “free
radical scavenger”. La planarità permette una migliore delocalizzazione elettronica e, di
conseguenza, una maggior stabilità del radicale fenossilico dei flavonoidi. La differente attività
antiossidante, tra flavonoidi poliidrossilati e polimetossilati, è da attribuirsi fondamentalmente alle
differenze di planarità e di idrofobicità delle molecole stesse. Ad esempio, la quercetina è uno dei
più efficienti scavenger di radicali perossilici, ma le sue forme metilate e glicosilate sono molto
meno potenti (Ioku et al.,1995).
Gli agliconi sono degli antiossidanti più potenti dei loro corrispettivi glucosidi; infatti, come la
metossilazione, la glicosilazione interferisce con la planarità della molecola e la capacità di
delocalizzazione degli elettroni.
45
Un altro fattore che influenza l’attività antiossidante è il grado di polimerizzazione della molecola.
Tuttavia,alcuni studi hanno dimostrato che anche se le procianidine tetramere sono più potenti dei
trimeri, dimeri e monomeri nei confronti dello ione perossinitrito e superossido, solo le procianidine
dimere e trimere sono molto resistenti all’idrolisi acida dello stomaco e, quindi, assorbibili
dall’organismo umano nella loro forma originale.
Anche le proprietà chelanti dei flavonoidi e dei tannini contribuiscono al loro potere antiossidante. I
punti di attacco degli ioni metallici sono l’o-diidrossi nell’anello B nelle posizioni 3’ e 4’, e la
struttura carbonilica in posizione 4 con l’-OH in posizione 3. I flavonoidi inibiscono il danno
ossidativo rimuovendo e neutralizzando gli ioni ferro. La chelazione dello ione bivalente non
necessariamente neutralizza il flavonoide che può mantenere la propria attività scavenger nei
confronti dei ROS.
Riassumendo si può dire che i fenoli sono donatori effettivi di idrogeno; in particolare, sono molto
attivi, in questo senso, i flavonoli come la quercetina (Rice-Evans et al., 1995), i flavanoli come gli
esteri dei catechin-gallati (Salah et al., 1995), le antocianine del vino (Frankel et al., 1993).
46
CAPITOLO 3 : LA CROMATOGRAFIA
La cromatografia è una tecnica analitica che, mediante un metodo fisico di separazione, permette di
frazionare una miscela nei suoi componenti sfruttando la differente distribuzione fra le due diverse
fasi messe a contatto, una fase fissa o stazionaria e una fase mobile. Nel 1903 divenne
un'importante tecnica d’analisi grazie ai lavori svolti un botanico italo-russo, Semenovich Tswett
(1872-1919). Egli riuscì a separare la clorofilla da un estratto vegetale (Gruenwedel D.W. e
Whitaker, 1987) con il metodo di adsorbimento su colonne. Una colonna di vetro venne riempita
con particelle di carbonato di calcio in polvere e alla sua sommità pose una piccola quantità di
estratto di foglie verdi. Fece poi colare, attraverso la colonna, dell’etere di petrolio. Quest’ultimo,
scorrendo nella colonna, permetteva la separazione del campione in bande di diverso colore.
Ognuna procedeva verso il fondo della colonna con diversa velocità, separando così le diverse
molecole. Con questo esperimento egli creò le basi della moderna cromatografia. Da allora questa
tecnica è stata profondamente modificata e si è dimostrata non solo un valido strumento di analisi
qualitativa, e talora quantitativa, nel caso di miscele di composti tra loro chimicamente molto simili,
ma anche un mezzo per purificare determinati composti o per isolare molecole.
3.1 CLASSIFICAZIONE DELLE TECNICHE CROMATOGRAFICHE
Le numerose varianti di cromatografia possono essere classificate seguendo vari criteri.
In base allo stato di aggregazione della fase mobile distinguiamo:
La cromatografia in fase gassosa, detta anche gascromatografia (GS) , in cui la fase
stazionaria può essere solida (cromatografia gas-solido) o liquida (cromatografia gas-
liquido).
La cromatografia in fase liquida (LC),che a seconda dello stato della fase stazionaria si
differenzia in cromatografia liquido-solido e cromatografia liquido-liquido; la fase mobile
quindi è sempre un liquido.
La cromatografia in fase supercritica in cui la fase mobile è un fluido supercritico e le fasi
stazionarie sono le stesse usate in GC e HPLC.
La cromatografia di ripartizione è di gran lunga la tecnica più impiegata in HPLC. In questo tipo di
cromatografia la fase stazionaria (considerata liquida, ma legata covalentemente ad una matrice di
silice tramite i gruppi Si-OH del supporto) e quella mobile hanno differente polarità ed i composti
vengono più o meno trattenuti in funzione dei loro diversi coefficienti di distribuzione nelle due
47
fasi. Esistono due tipi principali di cromatografia di ripartizione, che si differenziano per la relativa
polarità della fase stazionaria e della fase mobile; a seconda che si operi con fase stazionaria polare
e fase mobile non polare o viceversa, distinguiamo:
Cromatografia a fase normale; la fase stazionaria è polare mentre la fase mobile è apolare. i
diversi componenti di una miscela vengono quindi eluiti in ordine di polarità crescente.
Cromatografia a fase inversa; essa è costituita da una fase mobile polare solitamente miscele
di acqua o tamponi con solventi polari come metanolo,aceto nitrile o tetraidrofurano. La fase
stazionaria invece è non polare ed è costituita ad esempio da idrocarburi a catena lunga
legati ad un supporto di silice. I primi composti ad essere eluiti saranno quelli più polari e
successivamente quelli meno polari.
48
3.2 PRINCIPIO FISICO DELLA CROMATOGRAFIA
I differenti componenti di una miscela migrano in una fase stazionaria sotto l’influenza di una fase
mobile, la quale ha il compito di trascinarli. In base alla loro diversa affinità per la fase mobile o per
quella stazionaria, i vari componenti della miscela si spostano lungo la colonna con velocità diverse,
determinate dagli equilibri cui prendono parte le specie: ciò fa sì che essi siano eluiti dalla colonna
in tempi diversi e risultino così separati. La velocità di migrazione di ciascun soluto è determinata
dal rapporto tra i tempi che esso trascorre nelle due fasi e quindi dal suo rapporto di distribuzione.
La distribuzione per ciascun componente X lungo la colonna può essere espressa dal seguente
equilibrio:
Ogni componente della miscela si ripartisce tra le due fasi con un diverso coefficiente di
ripartizione (Kd), e i diversi componenti si separano mediante migrazione differenziale. Il
coefficiente di ripartizione è dato dal rapporto tra la concentrazione che una certa molecola ha nella
fase A e la concentrazione che essa ha nella fase B:
Kd = CA\CB
Il componente che si associa più fortemente con la fase stazionaria è quello che si muove più
lentamente nella direzione del flusso della fase mobile. Le forze che sono alla base di questi
fenomeni sono le stesse che danno luogo a interazioni attrattive tra le molecole: interazioni
elettrostatiche, ione-dipolo e dipolo-dipolo, legami idrogeno, forze di van der Waals.
Il tempo impiegato da ciascuna sostanza per uscire dalla colonna è chiamato tempo di ritenzione
(TR); è tanto maggiore quanto più elevata è l’affinità della sostanza per la fase stazionaria e può
essere sfruttato per identificare un componente della miscela. Il tempo morto (tM) è invece il tempo
che impiega la fase mobile per passare attraverso la colonna ovvero il tempo di ritenzione di un
composto che non è trattenuto e che passa attraverso la colonna alla stessa velocità con cui fluisce la
fase mobile. La relazione tra la costante e i parametri del picco è espressa dall’equazione
fondamentale della cromatografia:
VR= VM+ KdVS
dove
49
VR= volume di ritenzione di una data sostanza
VM= volume morto (o volume della fase mobile)
VS = volume della fase stazionaria
Quest’ultima variabile, a differenza di VR e VM , non è misurabile facilmente per cui rende difficile
il calcolo di Kd a partire dal cromatogramma. Si preferisce quindi fare riferimento al fattore di
ritenzione (K) espresso come rapporto delle moli di analita presenti nella fase stazionaria (nS) e
quelle presenti nella fase mobile (nM), ovvero:
k = nS/nM
Si può dimostrare che questo parametro è determinabile da valori del cromatogramma secondo la
relazione:
K= tR-tM / tM
Con opportune sostituzioni si arriva alla formula seguente:
K = t’R / tM
L'equazione in questa forma risulta molto più semplice da applicare in quanto la differenza tra
tempo di ritenzione e tempo morto, ed il tempo morto stesso sono direttamente ricavabili dal
cromatogramma. Anch’esso dipende dalla temperatura e dalla coppia delle fasi in uso ma anche
50
dalle caratteristiche dell’impaccamento e dallo spessore della fase stazionaria.
Figura 3.1: Efficacia della separazione su colonna cromatografica tra una coppia di composti
Buone separazioni si hanno se la prima sostanza eluita ha K superiore a 1.Quando esso è minore di
1, l’eluizione è così veloce che la determinazione accurata del tempo di ritenzione è molto difficile.
Invece elevati fattori di ritenzione (maggiore di 20), fanno sì che l'eluizione richieda un tempo
molto lungo e si potrebbe verificare un’eccessiva dispersione (picchi troppo appiattiti).
Perché un cromatogramma possa essere ritenuto accettabile, deve avere una buona risoluzione. Per
risoluzione si intende un parametro che mette in relazione l'efficienza, la selettività ed il fattore di
ritenzione.
Selettività (α): indica la capacità di un sistema cromatografico di eluire specie chimiche
diverse con velocità tali che escano separate dalla colonna. Per avere una buona selettività i
picchi del cromatogramma devono quindi essere il più distanti possibili, ovvero sostanze di
specie diversa devono avere tempi di ritenzione diversi. Da un punto di vista matematico, la
51
selettività è definita come il rapporto tra i fattori di ritenzione di due diverse sostanze (A e B)
dello stesso cromatogramma, con kA < kB.
La selettività verso due sostanze di un sistema cromatografico viene espressa quindi dal cosiddetto
fattore di separazione :
α= KB\KA = tRB-tM\tRA-tM
La selettività dipende dal meccanismo della separazione cromatografica ma non dalle caratteristiche
costruttive e deve essere maggiore di 1,2. È possibile migliorare la selettività diminuendo la
temperatura di lavoro.
Avere una buona selettività non basta. Infatti, anche se i picchi sono ben distanziati, è possibile che
siano talmente larghi che si sovrappongano fra loro. Per questo è necessario che particelle di una
stessa specie vengano eluite con la stessa velocità, in modo che la banda all'interno della colonna
cromatografica sia più stretta possibile. La capacità di formare picchi molto stretti è data dall’ efficienza della colonna. La larghezza alla
base del picco (wb), che in genere è diversa per ogni specie chimica in un dato sistema
cromatografico, dipende proprio da questo fattore.
L'efficienza di un sistema cromatografico e in particolare di una colonna, si quantifica con il
cosiddetto numero di piatti teorici (N). Un piatto teorico è la più piccola zona adiacente all'interno
della colonna in cui il soluto raggiunge un equilibrio tra fase mobile e stazionaria; sostanzialmente
un piatto teorico è la più piccola “fetta” della colonna in cui due molecole dotate di
diverso coefficiente di ripartizione hanno la possibilità di dimostrare diverse velocità di migrazione.
L’efficienza di una separazione dipende quindi da quanti piatti teorici sono presenti nella colonna:
tanto maggiore è N, tanto più compatta è la banda in uscita e quindi tanto più è stretto il picco sul
cromatogramma. Il numero dei piatti teorici di una colonna cromatografica è ricavabile da:
N = 16 (tR/wb)2
mentre facendo riferimento al tempo di ritenzione corretto, si definisce il numero dei piatti
effettivi :
Neff = 16 (t’R/wb)2
E’ importante precisare che N non è un parametro caratteristico per una data colonna, poiché
dipende anche dalla sostanza eluita.
52
A parità di lunghezza una colonna sarà più efficiente se l’altezza equivalente al piatto teorico è
minore e quindi aumenta il numero dei piatti teorici:
Heff = L/Neff
dove L è la lunghezza della colonna.
53
3.3 HPLC
L’HPLC (High Performance Liquid Chromatography) cromatografia liquida ad alta prestazione
o cromatografia liquida ad alta pressione (High Pressure Liquid Chromatography), è uno
strumento analitico derivato dalla cromatografia classica e si basa sugli stessi principi.
Figura 3.2: Schema di un HPLC
Il campione da analizzare è iniettato, utilizzando una siringa, attraverso un apposito iniettore detto
“loop”; nella fase di iniezione, la valvola viene girata, piazzando il loop carico all’interno del
circuito dove passa l’eluente, cosicché il campione raggiunge rapidamente la testa della colonna
dove è "spinto" nella fase stazionaria dalla fase mobile. Può essere presente anche una pre-colonna
che permette di eseguire una filtrazione per evitare di danneggiare la fase stazionaria della colonna.
La pre-colonna più piccola è posta in serie, contiene lo stesso tipo di fase stazionaria della colonna
ma con una dimensione delle particelle più grande, allo scopo di eliminare le impurezze grossolane
e le particelle insolubili contenute nel campione da analizzare.
La colonna, la cui lunghezza varia solitamente da 10 a 30 cm e il diametro interno da 4 a 10 mm,
contiene la fase stazionaria all’interno della quale scorre la fase mobile rappresentata dall’eluente.
54
La forza che permette all’eluente di scorrere nella colonna è data dalla pressione, molto alta
(dell’ordine di centinaia di atm), che è applicata da una pompa in testa alla colonna e forza la fase
mobile a scorrere all’interno della fase stazionaria. La separazione dei componenti avviene tramite
interazioni che si creano fra i costituenti della miscela e le due fasi. Nel caso in cui si opera in
isocratica, ossia usando un eluente la cui composizione non vari durante l'analisi, é sufficiente una
sola pompa, mentre nel caso in cui si opera a gradiente, è necessario usare due pompe per mescolare
i solventi ed inviarli alla colonna ad un valore controllato di pressione. Le condizioni operative, in
questo caso, verranno programmate in anticipo mediante il software dello strumento. Dopo la
pompa è posto un flussometro che permette di regolare la quantità di eluente che, nelle condizioni
d’esercizio scelte, sarà immesso nella colonna. L’intero sistema opera a pressioni molto elevate e i
materiali sono tali da sopportare senza problemi le condizioni di utilizzo.
Alla fine della colonna è applicato un rilevatore e un calcolatore che permettono una analisi del
materiale in uscita dalla colonna. I rilevatori possono essere di diverso tipo a seconda delle proprietà
chimiche che si intendono sfruttare nell’analisi. L’utilizzo di un rilevatore rispetto ad un altro, può
facilitare l’isolamento e il dosaggio di un prodotto chimico. Quando il rivelatore registra il
passaggio di una sostanza eluita, elabora i dati registrando i risultati su un cromatogramma che
presenterà un picco più o meno alto a seconda della concentrazione della sostanza. Oltre che
considerazioni quantitative, dal cromatogramma si possono trarre anche considerazioni qualitative
in base ai diversi RT in cui compaiono i picchi, poiché ogni molecola ha un tempo di ritenzione
differente.
55
CAPITOLO 4: SCOPO DEL LAVORO
Lo studio è stato effettuato nel periodo di tirocinio svolto presso il laboratorio Riccalab di
Riccagioia S.C.P.A., Centro di Ricerca Formazione e Servizi della Vite e del Vino. Questo
laboratorio lavora da molti anni nel settore enologico ed è accreditato alla norma UNI CEI EN
ISO/IEC 17025:2005; è autorizzato dal ministero delle politiche agricole ad emettere certificati
chimici sui vini destinati alla DOC e all’esportazione.
La maggior parte dei vini analizzati e avviati alla DOC dal 1992 ad oggi provengono dall’Oltrepò
Pavese. Le analisi condotte sui parametri di base dei vini: Titolo alcolometrico, Glucosio, Fruttosio,
Estratto secco non riduttore, Acidità totale e volatile, Anidride solforosa totale, hanno dimostrato
che durante questi anni ci sono state evoluzioni delle caratteristiche chimiche dei due vini oggetto
del presente studio, Bonarda e Barbera. Tuttavia si può notare che, nel periodo compreso tra il 1992
e il 2004, i due vini hanno avuto un andamento analogo a dimostrazione di quanto i due vini siano
sovrapponibili a livello commerciale. Da sempre infatti questi due vini si sono collocati nella stessa
fascia di mercato. A titolo di esempio è mostrato un grafico dell’andamento del titolo alcolometrico
presente nei vini analizzati in questo intervallo di tempo.
Figura 4.1: grafico dei Vini Bonarda analizzati dal 1992 al 2004. Sull’asse delle ascisse è
rappresentato il grado alcolometrico e sull’asse delle ordinate la percentuale dei campioni
analizzati.
56
Figura 4.2: grafico dei Vini Barbera analizzati dal 1992 al 2004. Sull’asse delle ascisse è
rappresentato il grado alcolometrico e sull’asse delle ordinate la percentuale dei campioni
analizzati.
L’osservazione diretta delle centinaia di vini analizzati in laboratorio, ha permesso di evidenziare
che il parametro sensoriale del colore mostra differenze in quanto il Bonarda ha una colorazione
tendente al rosso porpora, il Barbera mostra una colorazione tendente al rosso rubino intenso,
limpido e brillante. Questo è indice di differenze nella composizione chimica, probabilmente nella
composizione di polifenoli e antociani. L’analisi delle differenze in questo campo è stata condotta
nel lavoro di tesi “ Vini rossi DOC dell’Oltrepò pavese: studio del colore” di Vincenzo Zaccaria,
dove si affronta un’analisi statistica multivariata sui parametri chimici di base per le analisi Doc,
sull’analisi colorimetriche e sull’analisi di alcuni metalli.
Per avere ulteriori informazioni riguardo questo argomento e cercare di perfezionare le valutazioni
date in precedenza, nel presente lavoro abbiamo effettuato analisi più dettagliate in HPLC dei due
vini (Method OIV-MA-AS315-11 -Type II method) con lo scopo di individuare tra polifenoli e
antociani possibili analogie o differenze.
Inizialmente il confronto è stato effettuato tra vini Bonarda e Barbera commerciali, successivamente
questi sono stati confrontati con dei vini Bonarda ottenuti in cantine sperimentali solamente
57
utilizzando uva Croatina e con i Barbera in purezza ottenuti da sola uva Barbera. Ciò ha permesso
di escludere contributi non quantificabili provenienti da altre tipologie di uva ammesse in quote
minori.
58
4.1 MATERIALI E METODI
In questo studio sono stati analizzati in totale 108 campioni di vino Bonarda e Barbera DOC
provenienti da diverse zone dell’Oltrepò Pavese. Lo studio è stato compiuto eseguendo un’analisi
cromatografica condotta impiegando un sistema HPLC MERK HITACHI serie L, modulare, con
pompa L-600 e detector UV-VISIBILE L-4200, fornita di integratore D-2500. La separazione
cromatografica è stata condotta su colonna Purospher Star RP-18 encapped 5µm, mediante
eluizione in gradiente, come riportato in tabella 1, e utilizzando una fase mobile binaria costituita da
acido formico al 10% e da aceto nitrile in soluzioni acquose.
Tutti i campioni presi in esame nella sperimentazione sono stati eluiti nelle stesse condizioni di
temperatura e pressione, utilizzando la stessa fase eluente e un detector UV-VISIBILE impostato a
278nm per l’analisi dei principali polifenoli e a 516nm per l’analisi dei principali antociani.
Sono stati analizzati:
- N° 7 campioni di Bonarda in purezza analizzati a una lunghezza d’onda di 516 nm e 278nm;
- N° 1 campione di Barbera in purezza analizzato a una lunghezza d’onda di 516 nm e
278nm;
- N° 28 campioni di Bonarda DOC dell’Oltrepò Pavese analizzati ad una lunghezza d’onda di
516nm e 278nm;
- N° 30 campioni di Barbera DOC dell’Oltrepò Pavese analizza ad una lunghezza d’onda di
278nm di cui solo 16 analizzati anche a 516nm;
Il metodo d’analisi che si è scelto di seguire è quello contemplato nel COMPENDIUM OF
INTERNATIONAL METHODS OF ANALYSIS-OIV dedicato all’analisi delle principali
antocianine presenti nei vini rossi (Method OIV-MA-AS315-11 -Type II method). Tale metodo
prevede l’analisi a 516nm delle antocianine, ma utilizzando le stesse condizioni operative è stata
ripetuta la cromatografia a una lunghezza d’onda di 278nm per evidenziare l’eventuale presenza di
polifenoli, rilevabili e separabili con la colonna Purospher Star RP-18 encapped 5µm .
59
4.2 PROCEDURA
4.2.1 PREPARAZIONE DEL CAMPIONE
I vini sono stati filtrati, utilizzando un filtro di carta, e iniettati nell’iniettore dello strumento.
4.2.2 ANALISI
Le analisi in HPLC sono state effettuate nelle seguenti condizioni:
Loop di iniezione a volume fisso: 20 µl
Flusso: 0,8 ml\minuto
Temperatura: ambiente
Run time: 45 minuti
Post time: 5 minuti
Detection: mediante detector UV-VISIBILE a 516nm e 278nm
tempo (minuti) Solvente A % Solvente B %
0 94 6
15 70 30
30 50 50
35 40 60
41 94 6
Tabella 1 : programma di eluizione in gradiente
Soluzione A : miscela di acqua, acido formico e aceto nitrile in proporzione 87:10:3 (v\v)
Soluzione B : miscela di acqua, acido formico e aceto nitrile in proporzione 40:10:50 (v\v)
60
4.2.3 LA COLONNA CROMATOGRAFICA
La colonna utilizzata per le analisi è una Purospher Star RP-18 encapped 5µm.
Le colonne HPLC sono realizzate in modo da resistere alle pressioni molto alte a cui sono
sottoposte e inoltre devono permettere un’eluizione accettabile nel tempo. Di seguito è riportata la
scheda illustrativa della colonna che è stata utilizzata per le analisi.
Specification of Purospher® STAR RP-18 endcapped
Sorbent characteristics High purity silica with polymeric C18 modification and endcapping
Metal content Na, Ca, Mg, Al: 1 ppm; Fe: 3 ppm
Particle shape Spherical
Particle size 2 µm, 3 μm and 5 μm
Pore size 120 Å (12 nm)
Pore volume 1.1 mL/g
Spec. surface area 330 m²/g
Carbon load 17 % C
Coverage of the surface 3 μmol/m²
pH range pH 1.5 - 10.5
Efficiency 5 μm: > 90.000 N/m; 3 μm: > 130.000 N/m, 2 µm > 180.000 N/m
Shipping eluent Acetonitrile/Water
Fig 4.3: Scheda illustrativa della colonna fornita da Merkmillipore
61
Le piccole dimensioni delle particelle consentono un equilibrio più rapido dei soluti tra fase
stazionaria e fase mobile, abbassando l’altezza del piatto teorico e quindi aumentando la
risoluzione. La rigidità delle particelle è invece essenziale per resistere alle alte pressioni utilizzate.
62
4.2.4 STANDARD
Ove disponibili, sono stati utilizzati standard per l’analisi dei composti chimici da riconoscere.
Per la rilevazione di Acido Gallico e Catechina sono stati utilizzati standard già presenti in
laboratorio. E’ stato possibile eseguire delle curve di taratura, sia per Acido Gallico che per la
Catechina, e i picchi presenti sul cromatogramma sono stati identificati registrando i tempi di
ritenzione degli standard e dei relativi prodotti.
La curva di taratura ricavata con uno standard interno ha permesso di determinare la concentrazione
di Acido Gallico nei vini. Nelle prove effettuate non è stato possibile identificare e dosare i picchi
relativi alla Catechina poiché erano presenti in pochi campioni e in concentrazioni minime.
Per la rilevazione di Malvidina, Peonidina e Cianidina, non avendo la possibilità di utilizzare degli
standard, sono state utilizzati i dati sperimentali riportati nella tesi: ”Vino spumante cruasè DOCG:
studio dei fenomeni di adsorbimento degli antociani da parte dei lieviti vinari” di Alessandra Baldi,
effettuando un confronto per il riconoscimento dei picchi corrispondenti agli antociani citati e
osservando i tempi di ritenzione riportati nel lavoro di tesi, dal momento che si sono utilizzate la
stessa procedura analitica e le stesse condizioni strumentali nei due elaborati e che i lavori
sperimentali si sono svolti entrambi in un periodo di tempo di pochi mesi.
63
4.2.5 CURVE DI TARATURA
Le curve di taratura di Malvidina, Peonidina e Cianidina calcolate in un precedente lavoro di tesi
svolto nelle stesse condizioni operative ed utilizzate come riferimento nel presente lavoro sono le
seguenti:
Malvidina
Figura 4.4: Curva di taratura della Malvidina. Sull’asse delle ascisse è rappresentata la
concentrazione dello standard in mg/l; sull’asse delle ordinate sono rappresentate le aree dei
picchi.
Il grafico sopra riportato evidenzia una retta di equazione y=43015x+64837 e coefficiente di
correlazione R2 = 0,9819.
E’ stata ottenuta utilizzando una soluzione Standard alle seguenti concentrazioni:
- 5 mg/l
- 10 mg/l
- 25 mg/l
- 50 mg/l
y = 43015x + 64837 R² = 0,9819
0
500000
1000000
1500000
2000000
2500000
0 10 20 30 40 50 60
Serie1
Lineare (Serie1)
64
Peonidina
Figura 4.5: Curva di taratura della Peonidina. Sull’asse delle ascisse è rappresentata la
concentrazione dello standard in mg/l; sull’asse delle ordinate sono rappresentate le aree dei
picchi.
Il grafico riporta una retta di equazione y=54558x-1630 e coefficiente di correlazione R2=0,9998.
E’ stata ottenuta utilizzando una soluzione Standard alle seguenti concentrazioni:
- 25 mg/l
- 2,5 mg/l
- 1,67 mg/l
- 0,25 mg/l
R² = 0,9998 y = 54558x - 1630
-200000
0
200000
400000
600000
800000
1000000
1200000
1400000
1600000
0 5 10 15 20 25 30
Serie1
Lineare (Serie1)
65
Cianidina
Figura 4.6: Curva di taratura della Cianidina. Sull’asse delle ascisse è rappresentata la
concentrazione dello standard in mg/l; sull’asse delle ordinate sono rappresentate le aree dei
picchi.
La curva di taratura della Cianidina è determinata dall’equazione y=5685x+ 3447,2 e coefficiente di
correlazione R2 = 0,9998.
E’ stata ottenuta utilizzando una soluzione Standard alle seguenti concentrazioni:
- 10 mg/l
- 2 mg/l
- 1 mg/l
- 0,1 mg/l
y = 56852x + 3447,2 R² = 0,9956
0
100000
200000
300000
400000
500000
600000
700000
0 2 4 6 8 10 12
Serie1
Lineare (Serie1)
66
Acido Gallico
E’ stata effettuata una curva di taratura utilizzando uno standard di Acido Gallico in tre
concentazioni note differenti:
- 10 mg/l
- 20mg/l
- 100mg/l
L’equazione della curva di taratura è : y=38822x-15400 e mostra un coefficiente di correlazione
R2
=1
Figura 4.7: Curva di taratura dello standard di Acido Gallico. Sull’asse delle ascisse è
rappresentata la concentrazione e sull’asse delle ordinate le aree dei picchi.
y = 388322x - 15400 R² = 1
0
500000
1000000
1500000
2000000
2500000
3000000
3500000
4000000
4500000
0 5 10 15
standard acido gallico
standard acido gallico
Lineare (standard acido gallico)
67
Catechina
Per la curva di taratura della Catechina sono state utilizzate delle concentrazioni note crescenti dello
standard:
- 10mg/l
- 20mg/l
- 50mg/l
L’equazione della retta è: y=86925+3346 e il coefficiente di correlazione R2 = 1
Figura 4.8: curva di taratura dello standard di Catechina. Sull’asse delle ascisse è rappresentata
la concentrazione e sull’asse delle ordinate le aree dei picchi.
y = 86925x + 3346 R² = 1
0
500000
1000000
1500000
2000000
2500000
3000000
3500000
4000000
4500000
5000000
0 20 40 60
standard catechina
standard catechina
Lineare (standard catechina)
68
CAPITOLO 5: RISULTATI E CONCLUSIONE
5.1 CROMATOGRAFIA CON DETECTOR A λ=516nm
Per le analisi cromatografiche è stato applicato il metodo ufficiale per quanto riguarda le
impostazioni strumentali, adattando i tempi di ritenzione degli antociani a quelli effettivi, misurati
sulla colonna utilizzata nel corso della sperimentazione, mediante confronto con standard di
Cianidina, Peonidina e Malvidina, già utilizzate nella tesi: ”Vino spumante cruasè DOCG: studio
dei fenomeni di adsorbimento degli antociani da parte dei lieviti vinari” di Alessandra Baldi.
Dal confronto dei tempi di ritenzione relativi allo standard della Cianidina, è stato possibile
identificare sul cromatogramma di ogni vino preso in esame, il picco corrispondente al suddetto
composto. Inoltre, utilizzando l’equazione della curva di taratura ottenuta analizzando lo standard in
concentrazioni differenti, è stato possibile calcolare la concentrazione di Cianidina presente in ogni
campione analizzato.
npr Area
Cianidina
(mAU/min)
Bonarda
commerciali
Conc.
(mg/l)
Cianidina
Bonarda
commerciali
Area
Cianidina
(mAU/min)
Barbera
commerciali
Conc. (mg/l)
Cianidina
Barbera
commerciali
Area
Cianidina
(mAU/mim)
Bonarda
puro
Conc.
(mg/l)
Cianidina
Bonarda
puro
Area
Cianidina
(mAU/min)
Barbera
Puro
Conc.
(mg/l)
Cianidina
Barbera
Puro
1 78246 1,37 688811 12,05 30893 0,53 9776 0,11 2 2326 0,03 126343 2,16 37696 0,65 3 3650 0,05 242737 4,20 24214 0,41 4 470356 8,26 5956 0,04 73127 1,28 5 147418 2,58 25193 0,38 72585 1,27 6 160036 2,80 12123 0,15 25455 0,44 7 168126 2,95 26162 0,39 8 173708 3,04 6091 0,04 9 1892 0,02 8729 0,09
10 1510 0,02 7116 0,06 11 35297 0,61 17311 0,24 12 11501 0,19 5373 0,03 13 6022 0,09 22219 0,33 14 9910 0,16 14514 0,19 15 22390 0,38 34016 0,53 16 170963 3,00 17 8964 0,15 18 3282 0,05 19 2003 0,02
Tabella 1: Aree dei picchi corrispondenti alla Cianidina e relative concentrazioni in mg/l presenti nei
campioni di Barbera Doc e Bonarda Doc analizzati.
69
Nel seguente Istogramma di frequenza sono stati rappresentati sull’asse delle ascisse gli intervalli di
concentrazione di Cianidina e sull’asse delle ordinate le percentuali riscontrate nei vini analizzati.
Figura 5.1: Concentrazione Cianidina nei campioni analizzati.
Come si evince dal grafico, il 63% dei vini Bonarda Doc commerciali, l’80% dei vini Barbera Doc
commerciali e il 67% dei vini Bonarda in purezza presentano delle concentrazioni inferiori a 1mg/l
di Cianidina. Purtroppo non è stato possibile calcolare la concentrazione di questo composto in tutti
i campioni analizzati in quanto assente o presente in tracce trascurabili.
0
50
100
da 0 a 1 da 1 a 2
da 2 a 3 da 3 a 4
da 4 a 5 > 5
% c
amp
ion
i an
aliz
zati
concentrazione cianidina (mg/l)
cianidina
% bonarda commerciale
% barbera commerciale
% bonarda puro
70
La seguente Tabella mostra le aree dei picchi, presenti nel cromatogramma, corrispondenti alla
Peonidina e le relative concentrazioni che è stato possibile calcolare nei vini analizzati.
npr Area
Peonidina
(mAU/min)
Bonarda
commerciali
Conc. (mg/l)
Peonidina
Bonarda
commerciali
Area
Peonidina
(mAU/min)
Barbera
commerciali
Conc. (mg/l)
Peonidina
Barbera
commerciali
Area
Peonidina
(mAU/min)
Bonarda
puro
Conc.
(mg/l)
Peonidina
Bonarda
puro
Area
Peonidina
(mAU/min)
Barbera
Puro
Conc.
(mg/l)
Peonidina
Barbera
Puro
1 1213 0,05 51402 0,97 102462 1,90 92010 1,71 2 138529 2,56 6260 0,14 68148 1,27 3 2637 0,07 242445 4,47 221805 4,09 4 4328 0,10 39712 0,75 129505 2,40 5 10944 0,23 18728 0,37 233994 4,31 6 6906 0,15 99321 1,85 259285 4,78 7 6352 0,14 79286 1,48 8 5940 0,13 494021 9,08 9 9051 0,19 269640 4,97
10 232466 4,29 191053 3,53 11 65636 1,23 10982 0,23 12 2285472 41,92 13 1896364 34,78 14 24213 0,47 15 262442 4,84 16 290244 5,34 17 119683 2,22
Tabella 2: Aree dei picchi corrispondenti alla Peonidina e relative concentrazioni in mg/l presenti nei
campioni di Barbera Doc e Bonarda Doc analizzati
71
Nella figura 5.3 è possibile notare invece che per quanto riguarda la concentrazione di Peonidina il
27 % dei vini Bonarda in purezza presentano delle concentrazioni di Peonidina comprese tra 4-5
mg/l e solo il 18% dei Barbera commerciali e l’11% dei Bonarda commerciali hanno
concentrazione di Peonidina comprese nell’intervallo suddetto. Concentrazioni inferiori a 1mg/l si
trovano invece nelle due tipologie di vini commerciali analizzati, in particolare nel 52% di Bonarda
e nel 45% di Barbera.
Figura 5.3: Concentrazione Peonidina nei campioni analizzati
Anche nel caso della Peonidina non è stato possibile riscontrare in tutti i vini analizzati la sua
presenza.
0
20
40
60
da 0 a 1 da 1 a 2
da 2 a 3 da 3 a 4
da 4 a 5 > 5
% c
amp
ion
i an
aliz
zati
concentrazione peonidina (mg\l)
peonidina
% bonarda commerciale
% barbera commerciale
% bonarda puro
72
La seguente Tabella mostra le aree dei picchi, presenti nel cromatogramma derivato dall’analisi dei
vini, corrispondenti alla Malvidina e le relative concentrazioni che è stato possibile calcolare nei
vini analizzati.
Tabella 3: Aree dei picchi corrispondenti alla Malvidina e relative concentrazioni in mg/l presenti nei
campioni di Barbera Doc e Bonarda Doc analizzati
npr Area
Malvidina
(mAU/min)
Bonarda
commerciali
Conc. (mg/l)
Malvidina
Bonarda
commerciali
Area
Malvidina
(mAU/min)
Barbera
commerciali
Conc. (mg/l)
Malvidina
Barbera
commerciali
Area
Malvidina
(mAU/min)
Bonarda
puro
Conc.(mg/l)
Malvidina
Bonarda
puro
Area
Malvidina
(mAU/min)
Barbera
Puro
Conc.
(mg/l)
Malvidina
Barbera
Puro
1 474666 9,53 2675933 60,70 163765 2,30 86177 0,49
2 247032 4,24 2106266 47,46 191988 2,96
3 3256340 74,20 152189 2,03 287046 5,17
4 986334 21,42 130681 1,53 669692 14,06
5 1200196 26,39 76828 0,28 233994 3,93
6 1122202 24,58 152037 2,03 282244 5,05
7 1240671 27,34 102644 0,88
8 469241 9,40 146215 1,89
9 79389 0,34 140059 1,75
10 574051 11,84 147777 1,93
11 473710 9,51 144390 1,85
12 117927 1,23 573300 11,82
13 78419 0,32
14 154141 2,08
15 106481 0,97
16 139032 1,72
17 138111 1,70
18 3306621 75,36
19 448671 8,92
20 421302 8,29
21 430951 8,51
22 248431 4,27
23 373450 7,17
24 119261 1,27
73
Per quanto riguarda la concentrazione di Malvidina in figura 5.4 è possibile notare invece che :
il 50% dei vini Bonarda in purezza presentano delle concentrazioni di Malvidina maggiori di 5 mg/l
e solo il 25% dei Barbera commerciali e il 58% dei Bonarda commerciali hanno concentrazione di
Malvidina comprese nell’intervallo suddetto.
Concentrazioni comprese nell’intervallo 3-4 mg/l sono riscontrabili solo nel 16% dei Bonarda in
purezza analizzati.
Concentrazioni inferiori a 3 mg/l si riscontrano maggiormente nei vini commerciali, in modo
particolare il 41% dei vini Barbera hanno concentrazioni di Malvidina comprese tra 1-2 mg/l.
Fig. 5.4: Concentrazione Malvidina nei campioni analizzati
0
20
40
60
da 0 a 1 da 1 a 2
da 2 a 3 da 3 a 4
da 4 a 5 > 5
% c
amp
ion
i an
aliz
zati
concentrazione malvidina (mg/l)
malvidina
% bonarda commerciale
% barbera commerciale
% bonarda puro
74
Nelle figure seguenti sono riportati i cromatogrammi ottenuti dall’analisi a 516nm di Barbera e
Bonarda commerciali e di Bonarda in purezza.
Figura 5.5: Cromatogramma di un vino Barbera commerciale
Minuti
m
A
U
75
Figura 5.6: Cromatogramma di un vino Bonarda commerciale
Minuti
m
A
U
76
Figura 5.7: Cromatogramma di un vino Bonarda in purezza
Minuti
m
A
U
77
5.2 CROMATOGRAFIA CON DETECTOR A λ=278nm
Gli stessi vini già analizzati per cromatografia liquida, con detector UV-VISIBILE a 516nm sono
stati analizzati utilizzando una lunghezza d’onda di 278nm, sfruttando così le capacità di
separazione della colonna e l’effetto selettivo di una lunghezza d’onda ultravioletta, alla quale gli
antociani, colorati, non mostrano assorbimento. I cromatogrammi ottenuti con λ = 278 nm hanno
mostrato molti meno picchi rispetto agli omologhi ottenuti con λ = 516 nm. Per la maggior parte
non è stato possibile identificare la struttura del composto, ma è stato chiaramente identificato
l’acido gallico, presente in tutti i vini analizzati.
Dal confronto dei tempi di ritenzione relativi allo standard dell’acido gallico, è stato possibile
identificare sul cromatogramma di ogni vino preso in esame, il picco corrispondente al suddetto
composto. Inoltre, utilizzando l’equazione della curva di taratura ottenuta analizzando lo standard in
concentrazioni differenti, è stato possibile calcolare la concentrazione di acido gallico presente in
ogni campione analizzato.
npr Area
Ac. Gallico
(mAU/min)
Bonarda
commerciali
Conc. (mg/l)
Ac.Gallico
Bonarda
commerciali
Area
Ac. Gallico
(mAU/min)
Barbera
commerciali
Conc. (mg/l)
Ac. Gallico
Barbera
commerciali
Area
Ac.Gallico
(mAU/min)
Bonarda
puro
Conc.(mg/l)
Ac.Gallico
(mAU/min)
Bonarda
puro
Area
Ac.Gallico
(mAU/min)
Barbera
Puro
Conc.(mg/l)
Ac.Gallico
Barbera
Puro
1 2869925 7,43 5314289 13,72 3919284 10,13 1806962 4,692915 2 2341589 6,07 2967784 7,68 2075789 5,39
3 2651513 6,87 2227838 5,77 2599904 6,73
4 6023913 15,55 1732725 4,50 2197464 5,70
5 1557423 4,05 4901814 12,66 3222886 8,34
6 2172128 5,63 2923636 7,56 11412472 29,43
7 2465825 6,39 3895249 10,07 4067829 10,52
8 2822008 7,31 2920509 7,56
9 2717888 7,04 3104018 8,03
10 2846850 7,37 1202210 3,13
11 2663168 6,90 2779540 7,19
12 3598093 9,31 1923889 4,99
13 1977145 5,13 3279145 8,48
14 3767306 9,74 3224071 8,34
15 2306522 5,98 13854781 35,71
16 10389093 26,79 4769101 12,32
17 2830478 7,33 2989797 7,73
18 2150983 5,58 3386837 8,76
19 2893000 7,49 3303375 8,54
20 3135410 8,11 3308442 8,55
21 3837523 9,92 2960489 7,66
22 3188920 8,25 2924869 7,57
23 5982869 15,44 3103376 8,03
24 2440865 6,32 3409105 8,81
25 3576723 9,25 2460678 6,37
26 4241124 10,96 2753381 7,13
27 2960009 7,66 4037440 10,43
28 3830619 9,90 2760563 7,14
29
3071606 7,94
30
4508906 11,65
Tabella 4: Aree dei picchi corrispondenti all’acido gallico e relative concentrazioni in mg/l presenti nei
campioni di Barbera Doc e Bonarda Doc analizzati
78
Nel seguente Istogramma di frequenza sono stati rappresentati sull’asse delle ascisse gli intervalli di
concentrazione di acido gallico e sull’asse delle ordinate le percentuali riscontrate nei vini
analizzati.
Figura 5.8: Concentrazione Acido Gallico nei campioni analizzati
Come si evince dal grafico, solo il 14% dei vini Bonarda Doc in purezza presentano delle
concentrazioni superiori a 25 mg\l di Acido Gallico differenziandosi così dai vini Bonarda e
Barbera commerciali. Il 76% dei vini Barbera e il 53% dei vini Bonarda commerciali analizzati
presenta invece una concentrazione di Acido Gallico che varia nell’intervallo da 7 a 12 mg\l.
E’ stato quindi effettuato il calcolo del t-test per campioni indipendenti che permette di discriminare
le tipologie di vino per quanto riguarda i valori di concentrazione di Acido Gallico nei campioni
analizzati. L’unico test risultato statisticamente significativo, nel quale è stato riscontrato un valore
di p value < 0,05, è quello tra Bonarda in purezza e Bonarda commerciale.
Per quanto riguarda la Catechina, non è stato possibile fare un riscontro grafico né calcolare la
concentrazione, in quanto solo una piccolissima percentuale dei vini analizzati presentavano nel
cromatogramma il picco corrispondente a quello dello standard utilizzato.
0
20
40
60
80
da 0 a 6 da 7 a 12
da 13 a 18
da 19 a 24
da 25 a 30 da 30 a
36
% c
amp
ion
i an
aliz
zati
concentrazione ac. gallico (mg/l)
Acido gallico
% Bonarda puro
% Bonarda commerciale
% Barbera commerciale
79
Nelle figure seguenti sono riportati, a titolo di esempio, tre cromatogrammi ottenuti dall’analisi del
detector impostato a 278nm dei vini Barbera commerciali, Bonarda commerciali e Bonarda in
purezza.
Figura 5.9: Cromatogramma di un vino Barbera commerciale
m
A
U
Minuti
80
Figura 5.10: Cromatogramma di un vino Bonarda commerciale
Minuti
m
A
U
81
Figura 5.11: Cromatogramma di un vino Bonarda in purezza
m
A
U
Minuti
82
5.3 CONCLUSIONI
I risultati ottenuti da questa tesi sono stati significativi e hanno confermato, relativamente al settore
oggetto di studio, i dati precedentemente ottenuti dall’analisi comparata di vini bonarda e barbera: il
vino Bonarda ha caratteristiche particolari rispetto al Barbera, ma il prodotto commerciale,
probabilmente per esigenze di mercato, viene proposto in un modo molto uniformato, privando cioè
i due prodotti della tipicità che è invece un valore aggiunto. A tali conclusioni si può giungere
mediante tutte e tre le vie proposte per l’analisi del prodotto.
I risultati ottenuti saranno quindi presi in esame separatamente per ciascuna tipologia di prove.
A. Analisi in HPLC secondo “Method OIV-MA-AS315-11 -Type II method”, con λ=516 per la
determinazione semiquantitativa degli antociani di Bonarda e Barbera. Sono stati analizzati tre
antociani: Cianidina, Peonidina e Malvidina. I risultati riportati nelle tabelle al capitolo 5, hanno
messo in evidenza un comportamento differente per questi antociani e consentono di affermare che :
a. nel caso della Cianidina, il vino Bonarda ottenuto da Croatina in purezza, presenta valori
bassi di concentrazione (fino a 2 mg/l) nella maggior parte dei campioni, mentre per i vini
Bonarda commerciali e Barbera commerciali le concentrazioni hanno un andamento quasi
parallelo, con due picchi di concentrazione per cui la maggior parte dei vino o raggiunge
valori bassi di Cianidina o si attesta su valori intorno a 4 mg/l;
b. nel caso della Peonidina, si nota un’analogia nelle concentrazioni di questo composto nei
vini Bonarda commerciali e Barbera commerciali che presentano di preferenza basse
concentrazioni di Peonidina, al contrario di quanto si osserva nei vini vinificati da Croatina
in purezza che tendono a presentare alte concentrazioni. Una cospicua fascia di Bonarda
commerciali tuttavia sembra più ricca di quello che ci si potrebbe attendere ammettendo la
teoria della analogia ormai accettata tra il Barbera e il Bonarda. Questo aspetto può tuttavia
essere riconducibile a differenti operazioni di cantina (macerazione sulle bucce del mosto
durante la prima fase delle fermentazione) e introduce perciò una variabile in più nella
valutazione delle caratteristiche dei due vini.
c. Anche nel caso della malvidina, si notano parziali analogie tra i vini commerciali e ancora
una volta, il vino Bonarda ottenuto da vinificazione di uva Croatina in purezza presenta una
curva di concentrazione particolare, che per i valori di concentrazione più elevati si avvicina
a quella dell’omologo commerciale, mentre per i valori bassi di concentrazione sembra che
ci siano analogie tra i prodotti commerciali.
83
Trarre conclusioni da queste analisi e dalle loro elaborazioni è difficile, anche perché non è
valutabile il contributo in antociani che deriva dalle operazioni di macerazione, ma sicuramente si
può affermare che il vino Bonarda ha caratteristiche particolari che al più compaiono in maniera più
sfumata nel suo omologo commerciale.
B. Analisi in HPLC secondo “Method OIV-MA-AS315-11 -Type II method”, con λ=278 per la
determinazione semiquantitativa degli antociani di Bonarda e Barbera.
L’analisi delle curve di concentrazione dell’Acido Gallico, costruite per i tre vini, mostra
ancora forti analogie tra i prodotti appartenenti al circuito commerciale. In particolare il 76%
dei vini Barbera e il 53% dei vini Bonarda commerciali analizzati presenta una
concentrazione di Acido Gallico che varia nell’intervallo da 7 a 12 mg\l.
E’ interessante osservare invece che solo il 14% dei vini Bonarda Doc in purezza presentano
delle concentrazioni superiori a 25 mg\l di Acido Gallico differenziandosi così dai vini
Bonarda e Barbera commerciali.
Questa ricerca, quindi si conclude con la certezza che la chimica analitica dispone degli strumenti
necessari per definire e valorizzare i vini Barbera e Bonarda; ciò porterà risvolti positivi alla
conoscenza del prodotto e una valorizzazione del suo mercato. Sono già in atto delle collaborazioni
con la Ditta Perkin Elmer, che si occupa di strumenti e tecnologie di ultima generazione, per cercare
di approfondire meglio questo lavoro di ricerca.
84
Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali DIPARTIMENTO DELLE POLITICHE COMPETITIVE DEL MONDO RURALE E
DELLA QUALITÀ
DIREZIONE GENERALE DELLO SVILUPPO AGROALIMENTARE E DELLAQUALITÀ
SAQ IX
Decreto 3 agosto 2010 concernente la modifica del disciplinare di produzione della
Denominazione di Origine Controllata dei vini “Oltrepò Pavese”.
… omissis …
Disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata “OLTREPÒ
PAVESE”
Articolo 1.
La Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” é riservata ai vini che rispondono alle
condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
1) Rosso;
2) Rosso riserva;
3) Rosato;
4) Rosato frizzante;
5) Bianco;
6) Barbera;
7) Barbera frizzante;
8) Barbera riserva;
[…]
Articolo 2. Base ampelografia
I vini di cui all’art. 1 devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito
aziendale, la seguente composizione ampelografica:
1) Rosso;
2) Rosso riserva;
3) Rosato;
4) Rosato frizzante:
- Barbera: dal 25% al 65%;
- Croatina: dal 25% al 65%;
- Uva rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot nero: fino a un massimo del 45%;
- altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, idonei alla coltivazione per la provincia di Pavia:
congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%.
5) Bianco:
- Riesling e/o Riesling italico: minimo 60%;
- Pinot nero o altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione per la
provincia di Pavia: massimo 40%.
6) Barbera;
85
7) Barbera frizzante;
8) Barbera riserva:
- Barbera: dall’85% al 100%;
- altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, idonei alla coltivazione per la provincia di Pavia:
congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%.
Articolo 3. Zona di produzione delle uve
La zona di produzione delle uve destinate alla produzione dei vini “Oltrepò Pavese” di cui all’art. 1
comprende la fascia vitivinicola collinare dell’“Oltrepò Pavese” per gli interi territori dei seguenti
comuni in provincia di Pavia: Borgo Priolo, Borgoratto Mormorolo, Bosnasco, Calvignano,
Canevino, Canneto Pavese, Castana, Cecima, Godiasco, Golferenzo, Lirio, Montalto Pavese,
Montecalvo Versiggia, Montescano, Montù Beccaria, Mornico Losana, Oliva Gessi, Pietra de’
Giorgi, Rocca de’ Giorgi, Rocca Susella, Rovescala, Ruino, San Damiano al Colle, Santa Maria
della Versa, Torrazza Coste, Volpara, Zenevredo e per parte dei territori di questi altri comuni:
Broni, Casteggio, Cigognola, Codevilla, Corvino San Quirico, Fortunago, Montebello della
Battaglia, Montesegale, Ponte Nizza, Redavalle, Retorbido, Rivanazzano, Santa Giuletta, Stradella,
Torricella Verzate. Tale zona è così delimitata:parte dai km 136+150 della strada statale n. 10, la
linea di delimitazione scende verso sud seguendo la strada provinciale Bressana-Salice Terme, sino
al bivio di Rivanazzano. Qui si devia verso ovest lungo la strada che da Rivanazzano porta alla
Cascina Spagnola, per piegare a quota 139 verso sud e raggiungere il confine provinciale e
regionale Pavia-Alessandria, che segue fino a Serra del Monte. Da questo punto la linea di
delimitazione raggiunge Casa Carlucci e prosegue in direzione sud, lungo il confine che divide i
comuni di Ponte Nizza e Bagnaria fino al torrente Staffora, includendo San Ponzo Semola. Di qui
la linea di delimitazione segue la statale Voghera-Varzi-Penice fino all’abitato di Ponte Nizza, indi
devia a est-nord-est seguendo la provinciale di fondo valle per Val di Nizza. Prosegue quindi in
direzione nord lungo il confine comunale tra ponte Nizza, Val di Nizza e Montesegale sino al Rio
Albaredo e con esso raggiunge il torrente Ardivestra, con il quale si identifica risalendo verso est a
raggiungere la Cascina della Signora. Da questo punto la linea di delimitazione prosegue in
direzione nord seguendo la strada provinciale Godiasco-Borgoratto Mormorolo, a incontrare il
confine dei comuni Fortunago e Ruino. Prosegue sul confine comunale meridionale di Ruino a
raggiungere il confine provinciale tra Pavia-Piacenza. La delimitazione orientale del comprensorio
é costituita dal confine provinciale Pavia-Piacenza sino al suo incontro con la strada statale n. 10,
per raggiungere la strada provinciale Bressana-Salice Terme che incrocia al km 136+150 del
comprensorio, punto di partenza della delimitazione.
Articolo 4. Norme per la viticoltura
4.1) Condizioni naturali dell’ambiente
Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a
Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” devono essere quelle tradizionali della
zona di produzione e, comunque, atte a conferire alle uve e ai vini le specifiche tradizionali
caratteristiche di qualità.I vigneti devono essere posti su terreni di natura calcarea o calcareo-
argillosa e su pendici collinari ben soleggiate escludendo comunque i fondovalle e i terreni di
pianura.I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli
generalmente usati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino.
4.2) Densità di impianto
Per i nuovi impianti ed i reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 4.000,
per la cultivar Croatina la densità di ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.200.
86
4.3) Sesti d’impianto e forme d’allevamento
I sesti d’impianto e le forme di allevamento (controspalliera) e i sistemi di potatura devono essere
quelli di tipo tradizionale e, comunque, i vigneti devono essere governati in modo da non
modificare le caratteristiche dell’uva, del mosto e del vino. Per i vigneti esistenti alla data di
pubblicazione del presente disciplinare sono consentite le forme di allevamento già usate nella
zona, con esclusione delle forme di allevamento espanse.
4.4) Irrigazione
É consentita l’irrigazione di soccorso.
4.5) Rese ad ettaro e gradazione minima naturale
Le produzioni massime di uva per ettaro in coltura specializzata dei vigneti destinati alla
produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” ed i titoli
alcolometrici volumici naturali minimi devono essere i seguenti:
Tipologia Resa massima(t/ha) Titolo alc. vol. nat. min.(%vol)
1) Rosso 11,00 11,00
2) Rosso riserva 11,00 12,00
3) Rosato 11,00 10,00
4) Rosato frizzante 11,00 10,00
5) Bianco 12,00 10,50
6) Barbera 12,00 11,00
7) Barbera frizzante 12,00 11,00
8) Barbera riserva 12,00 12,00
[…]
Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa uva ad ettaro dovrà essere riportata nei limiti
di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, ferma restando la
resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi. Oltre detto limite del 20% decade il diritto alla
Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” per tutta la partita.
La Regione Lombardia, sentito il parere del Consorzio di Tutela, annualmente, con proprio
decreto, tenuto conto delle condizioni ambientali di coltivazione, può fissare produzioni massime
per ettaro inferiori a quelle stabilite dal presente disciplinare di produzione, o limitare, per talune
zone geografiche, l’utilizzo delle menzioni aggiuntive di cui all’art. 1, dandone immediata
comunicazione al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali - Comitato nazionale per
la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche
dei vini.
Articolo 5. Norme per la vinificazione
5.1) Zona di vinificazione
Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nella zona di produzione delimitata dall’art.
3. Tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione é consentito che tali operazioni siano
effettuate nell’intero territorio della provincia di Pavia, nonché nelle frazioni di Vicobarone e Casa
Bella nel comune di Ziano Piacentino in provincia di Piacenza.
È consentito, inoltre, che si effettuino nell’intero territorio della Lombardia e del Piemonte le
operazioni di vinificazione ai fini della spumantizzazione per la produzione dell’ “Oltrepò Pavese”
87
delle seguenti tipologie: Moscato, Malvasia, Riesling, Pinot nero, Cortese, Chardonnay, Sauvignon
e per la produzione di “Oltrepò Pavese” Moscato liquoroso. Sono altresì ammesse per l’intero
territorio delle Regioni Lombardia e Piemonte le operazioni atte all’elaborazione delle tipologie di
vini frizzanti previste dal presente disciplinare.
5.2) Resa massima uva/vino
Le rese massime dell’uva in vino devono essere le seguenti:
Tipologia Resa uva/vino
1) Rosso 70%
2) Rosso riserva 70%
3) Rosato 70%
4) Rosato frizzante 70%
5) Bianco 70%
6) Barbera 70%
7) Barbera frizzante 70%
8) Barbera riserva 70%
[…]
Qualora la resa uva/vino superi i limiti sopra riportati, ma non oltre il 5%, l’eccedenza non avrà
diritto alla denominazione di origine controllata; oltre tale limite decade il diritto alla
denominazione di origine per tutta la partita.
Le uve destinate alla produzione delle tipologie spumante: Cortese, Riesling, Moscato, Malvasia,
Chardonnay e Pinot nero dovranno essere indicate all’atto della denuncia annuale delle medesime.
5.3) Modalità di vinificazione e di elaborazione
Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche corrispondenti agli usi locali,
leali e costanti, atte a conferire ai vini le loro rispettive caratteristiche. In particolare é ammessa la
vinificazione congiunta o disgiunta delle uve che concorrono alla denominazione “Oltrepò
Pavese”. Nel caso della vinificazione disgiunta il coacervo dei vini, facenti parte della medesima
partita, deve avvenire nella cantina del vinificatore entro il periodo di completo affinamento e
comunque prima della richiesta della certificazione della relativa partita prevista dalla vigente
normativa o prima della eventuale commercializzazione, all’interno della zona contemplata
dall’art. 5.1, come vino atto a “Oltrepò Pavese”.
Nella preparazione dei vini spumanti “Oltrepò Pavese”, Riesling, Cortese, Chardonnay, Moscato,
Malvasia, Sauvignon, Pinot nero (vinificato in bianco) e Pinot nero (vinificato in rosato) deve
essere usata la tradizionale tecnica di rifermentazione in autoclave (metodo charmat detto
localmente metodo Martinotti).
5.4) Invecchiamento
La denominazione “Oltrepò Pavese” Rosso riserva, Barbera riserva e Riesling riserva é riservata ai
vini sottoposti a un periodo di invecchiamento di almeno ventiquattro mesi a partire dal 1°
novembre dell’anno di produzione delle uve.
5.5) Immissione al consumo
Il vino “Oltrepò Pavese” Moscato passito non può essere immesso al consumo prima del 1° giugno
dell’anno successivo alla vendemmia
5.6) Vini passiti e liquorosi
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Il vino “Oltrepò Pavese” Moscato liquoroso, nei due tipi dolce e secco o dry, deve essere prodotto
partendo da mosto o da vino Moscato, di cui al presente disciplinare. Per il raggiungimento del
titolo alcolometrico volumico previsto al consumo, al Moscato liquoroso é ammessa l’aggiunta,
prima, durante e dopo la fermentazione, di alcol di origine vinica, acquavite di vino, mosto
concentrato.
È consentita la produzione di “Oltrepò Pavese” Moscato passito partendo dalle uve Moscato di cui
all’art. 2, dopo essere state sottoposte ad un periodo di appassimento che può protrarsi fino al 30
marzo dell’anno successivo a quello della vendemmia e la vinificazione non deve essere anteriore
al 15 ottobre dell’anno di produzione delle uve.
Tale procedimento deve assicurare, al termine del periodo di appassimento, un contenuto
zuccherino non inferiore al 23%.
Articolo 6. Caratteristiche dei vini al consumo
I vini a Denominazione di Origine Controllata di “Oltrepò Pavese” devono rispondere, all’atto
dell’immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche:
1) “Oltrepò Pavese” Rosso:
- colore: rosso rubino intenso;
- odore: vinoso intenso;
- sapore: pieno, leggermente tannico, di corpo;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol;
-acidità totale minima: 4,5 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
2) “Oltrepò Pavese” Rosso riserva:
- colore: rosso rubino con riflessi aranciati;
- odore: profumo intenso, etereo;
- sapore: asciutto, corposo, armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol;
- acidità totale minima: 4,5 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l.
3) “Oltrepò Pavese” Rosato:
- colore: rosato, tendente al cerasuolo tenue;
- odore: leggermente vinoso, caratteristico;
- sapore: asciutto, armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol;
- acidità totale minima: 4,5 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 17,0 g/l.
4) “Oltrepò Pavese” Rosato frizzante:
- colore: rosato, tendente al cerasuolo tenue;
- odore: leggermente vinoso, caratteristico;
- sapore: vivace, asciutto, armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol, di cui almeno 10,00% effettivo;
- acidità totale minima: 4,5 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 17,0 g/l.
5) “Oltrepò Pavese” Bianco:
- colore: giallo paglierino, più o meno intenso;
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- odore: intenso,caratteristico;
- sapore: asciutto, gradevole, di gusto fresco e armonico;
- titolo alcolometrico volumico complessivo minimo: 12,00% vol;
- acidità totale minima: 4,5g/l;
- estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l.
6) “Oltrepò Pavese” Barbera:
- colore: rosso rubino intenso, limpido, brillante;
- odore: vinoso, dopo invecchiamento, profumo caratteristico;
- sapore: sapido, di corpo, leggermente tannico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol;
- acidità totale minima: 4,5 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
7) “Oltrepò Pavese” Barbera frizzante:
- colore: rosso rubino intenso, limpido, brillante;
- odore: vinoso, profumo caratteristico;
- sapore: sapido, di corpo;
- spuma: vivace, evanescente;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol, di cui almeno 10,50% effettivo;
- acidità totale minima: 4,5 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
8) “Oltrepò Pavese” Barbera riserva:
- colore: rosso rubino intenso, con riflessi granati;
- odore: vinoso, profumo caratteristico;
- sapore: sapido, di corpo;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol;
- acidità totale minima: 4,5 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 24,0 g/l.
[…]
Articolo 7. Qualificazione, etichettatura, designazione e presentazione
7.1) Qualificazioni
Alla Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” è vietata l’aggiunta di qualsiasi
menzione diversa da quelle previste dal presente disciplinare ivi compresi gli aggettivi superiore,
extra, fine, scelto, selezionato, vecchio, e similari.
È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi
privati, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno il
consumatore.
7.2) Etichettatura
Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti vini “Oltrepò Pavese” deve essere riportata l’indicazione
dell’annata di vendemmia da cui il vino deriva. Tale indicazione è facoltativa per le tipologie
spumate, frizzante e liquoroso.
7.3) Caratteri e posizioni in etichetta
Le menzioni facoltative, escluse i marchi e i nomi aziendali, possono essere riportate
nell’etichettatura soltanto in caratteri tipografici non più grandi o evidenti di quelli utilizzati per la
denominazione di origine del vino, salvo le norme generali più restrittive.
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Nella tipologia “Oltrepò Pavese” Pinot nero spumante è consentito per la tipologia rosato l’uso in
etichetta del termine rosé.
Nella designazione dei vini di cui all’art. 1, la menzione specifica tradizionale “Denominazione di
Origine Controllata” deve essere riportata immediatamente al di sotto della denominazione
“Oltrepò Pavese”.
Il nome di vitigno e le menzioni tradizionali o di colore previste dal presente disciplinare, per le
relative tipologie, devono essere indicate nella designazione al di sotto della menzione specifica
tradizionale “denominazione di origine controllata”.
7.4) Marchio collettivo
La Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” è contraddistinta obbligatoriamente dal
un marchio collettivo espresso nella forma grafica e letterale allegata al presente disciplinare, in
abbinamento inscindibile con la denominazione. L’utilizzo del marchio collettivo è curato
direttamente dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese che deve distribuirlo anche ai non associati,
alle medesime condizioni di utilizzo riservate ai propri associati.
Articolo 8. Confezionamento
I vini a Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” di cui all’art. 1 possono essere
immessi al consumo in contenitori di qualunque capacità previsti dalla legge, ad esclusione delle
tipologie Bianco, Rosso, Rosso riserva, Barbera Riserva e Riesling riserva, che devono essere
immessi al consumo soltanto in bottiglie di vetro di forma tradizionale e di capacità non superiore a
litri 5.Per la tappatura dei vini spumanti é obbligatorio il tappo di sughero a fungo munito del
tradizionale ancoraggio a gabbietta, ad eccezione dei recipienti di volume nominale uguale o
inferiore a ml 200 per i quali sono consentite le chiusure ammesse dalla vigente normativa in
materia.Inoltre per i vini spumanti a richiesta delle ditte interessate o del Consorzio di Tutela può
essere consentito con specifica autorizzazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e
forestali l’utilizzo dei contenitori di capacità di litri 6-9 e superiori.
91
Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali DIPARTIMENTO DELLE POLITICHE COMPETITIVE DEL MONDO RURALE E
DELLA QUALITÀ
DIREZIONE GENERALE DELLO SVILUPPO AGROALIMENTARE E DELLAQUALITÀ
SAQ IX
Decreto 3 agosto 2010 concernente il riconoscimento del disciplinare di produzione della
Denominazione di Origine Controllata dei vini “Bonarda dell’Oltrepò Pavese”.
… omissis …
Disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata “BONARDA
DELL’OLTREPÒ PAVESE”
Articolo 1.
La Denominazione di Origine Controllata “Bonarda dell’Oltrepò Pavese” è riservata ai vini, anche
nella tipologia “frizzante”, che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente
disciplinare di produzione.
Articolo 2. Base ampelografica
I vini di cui all’art. 1 devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito
aziendale, la seguente composizione ampelografia:
- Croatina: dall’85% al 100%;
- Barbera, Ughetta (Vespolina), Uva rara: congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo
del 15%.
Articolo 3. Zona di produzione delle uve
La zona di produzione delle uve destinate alla produzione dei vini “Bonarda dell’Oltrepò Pavese"
comprende la fascia vitivinicola collinare dell’“Oltrepò Pavese” per gli interi territori dei seguenti
comuni in provincia di Pavia: Borgo Priolo, Borgoratto Mormorolo, Bosnasco, Calvignano,
Canevino, Canneto Pavese, Castana, Cecima, Godiasco, Golferenzo, Lirio, Montalto Pavese,
Montecalvo Versiggia, Montescano, Montù Beccaria, Mornico Losana, Oliva Gessi, Pietra de’
Giorgi, Rocca de’ Giorgi, Rocca Susella, Rovescala, Ruino, San Damiano al Colle, Santa Maria
della Versa, Torrazza Coste, Volpara, Zenevredo e per parte dei territori di questi altri comuni:
Broni, Casteggio, Cigognola, Codevilla, Corvino San Quirico, Fortunago, Montebello della
Battaglia, Montesegale, Ponte Nizza, Redavalle, Retorbido, Rivanazzano, Santa Giuletta, Stradella,
Torricella Verzate. Tale zona è così delimitata: parte dai km 136+150 della strada statale n. 10, la
linea di delimitazione scende verso sud seguendo la strada provinciale Bressana-Salice Terme, sino
al bivio di Rivanazzano. Qui si devia verso ovest lungo la strada che da Rivanazzano porta alla
Cascina Spagnola, per piegare a quota 139 verso sud e raggiungere il confine provinciale e
regionale Pavia-Alessandria, che segue fino a Serra del Monte. Da questo punto la linea di
delimitazione raggiunge Casa Carlucci e prosegue in direzione sud, lungo il confine che divide i
comuni di Ponte Nizza e Bagnaria fino al torrente Staffora, includendo San Ponzo Semola. Di qui la
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linea di delimitazione segue la statale Voghera-Varzi-Penice fino all’abitato di Ponte Nizza, indi
devia a est-nord-est seguendo la provinciale di fondo valle per Val di Nizza. Prosegue quindi in
direzione nord lungo il confine comunale tra ponte Nizza, Val di Nizza e Montesegale sino al Rio
Albaredo e con esso raggiunge il torrente Ardivestra, con il quale si identifica risalendo verso est a
raggiungere la Cascina della Signora. Da questo punto la linea di delimitazione prosegue in
direzione nord seguendo la strada provinciale Godiasco-Borgoratto Mormorolo, a incontrare il
confine dei comuni Fortunago e Ruino. Prosegue sul confine comunale meridionale di Ruino a
raggiungere il confine provinciale tra Pavia-Piacenza.
La delimitazione orientale del comprensorio é costituita dal confine provinciale Pavia-Piacenza sino
al suo incontro con la strada statale n. 10, per raggiungere la strada provinciale Bressana-Salice
Terme che incrocia al km 136+150 del comprensorio, punto di partenza della delimitazione.
Articolo 4. Norme per la viticoltura
4.1) Condizioni naturali dell’ambiente
Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a
Denominazione di Origine Controllata “Bonarda dell’Oltrepò Pavese” devono essere quelle
tradizionali della zona di produzione e, comunque, atte a conferire alle uve e ai vini le specifiche
tradizionali caratteristiche di qualità.
I vigneti devono essere posti su terreni di natura calcarea o calcareo-argillosa e su pendici collinari
ben soleggiate escludendo comunque i fondovalle e i terreni di pianura.
I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli
generalmente usati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino.
4.2) Densità di impianto
Per i nuovi impianti ed i reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.200.
4.3) Sesti d’impianto e forme d’allevamento
I sesti d’impianto, le forme di allevamento (controspalliera) e i sistemi di potatura devono essere
quelli di tipo tradizionale e, comunque, i vigneti devono essere governati in modo da non
modificare le caratteristiche dell’uva, del mosto e del vino. Per i vigneti esistenti alla data di
pubblicazione del presente disciplinare sono consentite le forme di allevamento già usate nella
zona, con esclusione delle forme di allevamento espanse.
4.4) Irrigazione
É consentita l’irrigazione di soccorso.
4.5) Rese ad ettaro e gradazione minima naturale
Le produzioni massime di uva per ettaro in coltura specializzata dei vigneti destinati alla
produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Bonarda dell’Oltrepò Pavese” ed i
titoli alcolometrici volumici naturali minimi devono essere i seguenti:
Tipologia Produzione massima (t/ha) Titolo alc. vol. nat. min.(%Vol.)
1. Bonarda 12,50 10,50
2. Bonarda frizzante 12,50 10,50
Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa uva ad ettaro dovrà essere riportata nei limiti
di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, ferma restando la
resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi. Oltre detto limite del 20% decade il diritto alla
Denominazione di Origine Controllata “Bonarda dell’Oltrepò Pavese” per tutta la partita.
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La Regione Lombardia, sentito il parere del Consorzio di Tutela annualmente, con proprio decreto,
tenuto conto delle condizioni ambientali di coltivazione, può fissare produzioni massime per ettaro
inferiori a quelle stabilite dal presente disciplinare di produzione, o limitare, per talune zone
geografiche, l’utilizzo delle menzioni aggiuntive, dandone immediata comunicazione al Ministero
delle politiche agricole alimentari e forestali - Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione
delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini.
Articolo 5. Norme per la vinificazione
5.1) Zona di vinificazione
Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nella zona di produzione delimitata dall’art.
3. Tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione é consentito che tali operazioni siano
effettuate nell’intero territorio della provincia di Pavia, nonché nelle frazioni di Vicobarone e Casa
Bella nel comune di Ziano Piacentino in provincia di Piacenza.
Sono altresì ammesse per l’intero territorio delle Regioni Lombardia e Piemonte le operazioni atte
all’elaborazione delle tipologie di vini frizzanti previste dal presente disciplinare.
5.2) Resa massima uva/vino
Le rese massime dell’uva in vino devono essere le seguenti:
Tipologia Resa uva/vino
1. Bonarda 70%
2. Bonarda frizzante 70%
Qualora la resa uva/vino superi i limiti sopra riportati, ma non oltre il 5%, l’eccedenza non avrà
diritto alla denominazione di origine controllata; oltre tale limite decade il diritto alla
denominazione di origine per tutta la partita.
5.3) Modalità di vinificazione e di elaborazione
Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche corrispondenti agli usi locali,
leali e costanti, atte a conferire ai vini le loro rispettive caratteristiche.
In particolare é ammessa la vinificazione congiunta o disgiunta delle uve che concorrono alla
denominazione “Bonarda dell’Oltrepò Pavese”.
Nel caso della vinificazione disgiunta, il coacervo dei vini, facenti parte della medesima partita,
deve avvenire nella cantina del vinificatore entro il periodo di completo affinamento e comunque
prima della richiesta della certificazione della relativa partita prevista dalla vigente normativa o
prima della eventuale commercializzazione, all’ interno della zona contemplata dall’art. 5.1, come
vino atto a “Bonarda dell’Oltrepò Pavese”.
Articolo 6. Caratteristiche dei vini al consumo
I vini a Denominazione di Origine Controllata “Bonarda dell’Oltrepò Pavese” devono rispondere,
all’atto dell’immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche:
1) “Bonarda dell’Oltrepò Pavese”:
- colore: rosso rubino intenso;
- odore: profumo intenso e gradevole;
- sapore: secco, abboccato, amabile talvolta vivace, leggermente tannico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol;
- acidità totale minima: 4,5 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
2) “Bonarda dell’Oltrepò Pavese” frizzante:
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- colore: rosso rubino intenso;
- odore: profumo intenso e gradevole;
- sapore: secco o abboccato o amabile, leggermente tannico, fresco;
- spuma: vivace, evanescente;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol, di cui almeno 9,00% effettivo;
- acidità totale minima: 4,5 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
In relazione all’eventuale conservazione in recipienti di legno, il sapore dei vini può rilevare lieve
sentore di legno.
E’ facoltà del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con proprio decreto,
modificare per i vini di cui sopra i limiti indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore.
Articolo 7. Qualificazione, etichettatura, designazione e presentazione
7.1) Qualificazioni
Alla Denominazione di Origine Controllata “Bonarda dell’Oltrepò Pavese”, anche nella tipologia
frizzante, è vietata l’aggiunta di qualsiasi menzione diversa da quelle previste dal presente
disciplinare ivi compresi gli aggettivi superiore, extra, fine, scelto, selezionato, vecchio, riserva e
similari. E’ tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni
sociali o marchi privati, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in
inganno il consumatore.
7.2) Etichettatura
Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti “Bonarda dell’Oltrepò Pavese” deve essere riportata
l’indicazione dell’annata di vendemmia da cui il vino deriva. Tale indicazione è facoltativa per la
tipologia frizzante.
7.3) Caratteri e posizioni in etichetta
La denominazione “Bonarda dell’Oltrepò Pavese” deve essere indicata nella designazione del
prodotto in maniera consecutiva, anche su più righe, seguita immediatamente al di sotto dalla
menzione specifica tradizionale “denominazione di origine controllata”.
Le menzioni facoltative, escluse i marchi e i nomi aziendali, possono essere riportate
nell’etichettatura soltanto in caratteri tipografici non più grandi o evidenti di quelli utilizzati per la
denominazione di origine del vino, salvo le norme generali più restrittive.
E’ altresì consentito l’uso della menzione tradizionale “vivace” per i vini che si presentano
effervescenti a causa dell’anidride carbonica in essi contenuta, risultato di un processo di
fermentazione esclusivo e naturale, secondo quanto previsto dalla vigente normativa comunitaria.
7.4) Marchio collettivo
La Denominazione di Origine Controllata “Bonarda Oltrepò Pavese” è contraddistinta
obbligatoriamente dal un marchio collettivo espresso nella forma grafica e letterale allegata al
presente disciplinare, in abbinamento inscindibile con la denominazione. L’utilizzo del marchio
collettivo è curato direttamente dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese che deve distribuirlo
anche ai non associati, alle medesime condizioni di utilizzo riservate ai propri associati.
Articolo 8. Confezionamento
I vini a Denominazione di Origine Controllata “Bonarda dell’Oltrepò Pavese” di cui all’art. 1
devono essere immessi al consumo in bottiglie di vetro di capacità non superiore a litri 1,5.
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