Maioliche Del Primo Rinascimento Tra Marche e Romagna (Valori-tattili-govanca)

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    1/247 Maioliche del primo Rinascimento tra Marche e Romagna

     d’arte, di fede, di uso e di potere 

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    VALORI TATTILIFondazione Asset Banca - San Marino per l’Arte

    via Tre Settembre, 210 - 47891 Dogana - Repubblica di San Marino

    tel 0549 943 638 - [email protected]

    VALORI TATTILI © proprietà riservata

    Pubblicazione periodica

    Direttore responsabile: Augusto Mengozzi

    San Marino, 14 ottobre - 22 ottobre 2010

    7. Maioliche del primo Rinascimento tra Marche e Romagna d’arte, di fede, di uso e di potere 

    ESPOSIZIONE TEMPORANEAA cura di Giuliana Gardelli

    Impaginazione e Stampa: Samorani Srl, Forlì

    Fotografie e immagini: Augusto Selvatici e Foto Amedeo

    Contenitori espositivi: il Vecchio e l’Antico di M. Tamagnini, via della Rata, 34 - San Marino città

    Maioliche da collezioni private.

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      Dopo l’impegno profuso in diverse manifestazioni dell’arte (musica, prosa, saggistica, pittura, scultura,ceramica invetriata, ecc.) ora è la volta della maiolica d’uso che a buon diritto entra tra le manifestazioni che AssetBanca, tramite la sua Fondazione “Valori Tattili”, intende dare risalto.  Pare, infatti, che non vi sia nessun altro materiale, nessun’altra tecnica, nessun’altra arte che, come la ceramica,abbia accompagnato la vita dell’uomo sulla terra. Da millenni essa è diffusa in tutto il mondo tanto da poter esseredefinita una materia ecumenica, connaturata con ogni tipo di esperienza umana.  Una caratteristica costante nei secoli che ha permesso di dare forma agli oggetti d’uso comune più correnti e“ordinari”, con cui si è riusciti ad unire l’utilità materiale con gli elementi decorativi e artistici che, quasi sempre, haelevato la produzione della ceramica ad una dimensione estetica.

      Con la mostra “Maioliche del primo Rinascimento tra Marche e Romagna”, la prof.ssa Giuliana Gardelli, nota ceramologa,archeologa e storica dell’arte, alla quale è stata af fidata la realizzazione della mostra, è riuscita a riunire per la loro esposizione, un

    congruo numero di pezzi che ha suddiviso in ceramiche d’arte, di fede, di uso e di potere, tipiche del nostro territorio.

      Un artigianato la cui feconda produzione ci ha lasciato maioliche che hanno raggiunto un elevato grado diperfezione e di qualità artistica, tanto che pochi decenni dopo il Vasari definì quest’arte “nuova, utile e bellissima” cheil tempo non corrompe al punto che ancora oggi questi oggetti si mostrano nella loro bellezza, testimoni delle variefunzioni al servizio delle necessità dell’uomo di un tempo lontano.  Sono oggetti d’uso comune del territorio sammarinese, montefeltrano e riminese venuti alla luce neirinvenimenti archeologici di un’area circoscritta che, tuttavia ha restituito una grande quantità di ceramiche ora, solo inpiccola parte, in mostra nei locali di Asset Banca. Ne risulta un insieme di tipi, forme, decorazioni e colori in grado diraccontare la vita quotidiana.  Un racconto storico che dimostra la continuità rispetto all’alto medioevo, e presenta nel contempo caratteri

    di una produzione di massa quasi preindustriali, quali l’omogeneità del repertorio formale e tecnologico e l’esecuzioneripetitiva. Dimostra altresì che il fabbisogno di ceramiche in questo territorio, aumentava in conseguenza di un trenddemografico in continua ascesa.  Gli oggetti in mostra attestano anche l’appartenenza ad un periodo che vede una produzione decorata cherisponde alle esigenze di abitanti che tendevano verso un miglioramento generale della qualità della vita.Sono testimonianze serene di un mondo lontano che tuttavia ancora ridestano nella memoria dei nostri tecnologicicontemporanei il fascino semplice degli oggetti di uso comune.

     Augusto MengozziPresidente Fondazione “Valori Tattili”

      Giuliana Gardelli, laureata in “Lettere Classiche ed Archeologia” all’Università di Bologna ed abilitatain “Storia dell’arte”, è nota per i numerosi studi e pubblicazioni che hanno sempre portato contributi nuovi edoriginali nel campo della storia dell’arte. E’ membro dell’Accademia dei Filopatridi e dell’Accademia Raffaello,di cui è anche “consulente artistico”. Ha all’attivo oltre 130 pubblicazioni, fra cui fondamentale ITALIKA.   Maiolica Italiana del Rinascimento. Saggi e Studi (Faenza 1999). Nel 1990 ha organizzato e diretto scavinel Castello Brancaleoni di Piobbico, e nell’antica fornace metallurgica di Pietrarubbia (PU) con l’allestimentodel locale Museo. Ha partecipato a Convegni in Italia e all’estero, e ha fatto parte di Comitati Nazionali , di cuil’ultimo per le celebrazioni di “Andrea Bregno”, per il quale nel 2007 ha scritto il libro L’eredità di Michelangeloe la “Pietà” ritrovata di Andrea Bregno (Roma), dove ha presentato una scultura in terracotta, che ha fatto luce sulpercorso artistico che ha portato alla creazione della Pietà Vaticana di Michelangelo.  Recentemente ha inserito una scultura in terracotta proveniente dalla Casa natale di Raffaello in Urbino

    nella vita artistica e culturale di Raffaello, in un rapporto dialettico, assolutamente inedito, con Michelangelo. Haall’attivo anche numerose ricerche negli Archivi italiani.

     PRESENTAZIONE 

     LA CURATRICE 

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      La maiolica è una particolare produzione ceramica, d’antica data. Si cercherà di descriverenel modo più semplice la tecnica usata almeno fin dal IX-X secolo.  La pasta porosa, colorata da giallo chiaro a rosso, modellata a mano, sul tornio o su unostampo, e poi, messa a cuocere a temperatura di 800°/900°, diviene “terracotta”; se riceveràun’ulteriore manipolazione e cottura, il prodotto viene chiamato “biscotto” (da cuocere duevolte). L’oggetto, per divenire “maiolica”, necessita, infatti, di una seconda cottura, a temperaturaleggermente inferiore, per fissare lo smalto, composto di un silicato alcalino chiamato “fritta”, acui si aggiungono ossidi di piombo e di stagno calcinati, vale a dire cotti in appositi forni e ridotti

    in polvere. Ricoperto in tal modo, il biscotto, che diviene di un bianco opaco e poroso, ricevela decorazione, generalmente stesa a pennello, con colori anch’essi derivati da ossidi metallicicalcinati, che hanno subito varianti nel corso dei secoli. Al di sopra, può essere steso un velo di“vetrina” ottenuta da una mistura di piombo e silice, per ottenere un oggetto ancora più lucentenella seconda cottura, la quale fissa nel contempo il bianco di base ed i colori della decorazione. Lascoperta della maiolica è antichissima; già nell’Egitto faraonico si producevano mattonelle smaltatein azzurro intenso ed in verde, ma fu soprattutto con la conquista araba della Mesopotamia e delMagreb che i ritrovati dei ceramisti islamici, i quali già dal IX secolo ottenevano sia il prodottomaiolicato sia una ricca variante dorata (detta a “lustro”), che la nuova tecnica si diffuse nel mondobizantino e nell’area del Mediterraneo. Fu per imitare le splendide porcellane che giungevano dallalontana Cina, che essi inventarono una coperta stannifera in grado di nascondere il colore rossastro

    del biscotto, donando alla superficie dell’oggetto una bianca lucentezza, che potesse in qualchemodo competere con il bianco della vera porcellana. Il passaggio immediatamente successivo fula scoperta della tecnica “a lustro”, vale a dire l’aggiunta con una terza cottura riducente (senzaossigeno) a bassissimo fuoco, di una miscela a base di zolfo, ossidi d’argento e di rame. I metalliprecipitando sulla superficie le donano una scintillante patina, più dorata o più rossastra a secondadella miscela metallica, ma sempre brillante, il “lustro” appunto.

    Che la maiolica sia nata prima in Persia o in Egitto non è per noi di grande importanza. Lasua diffusione in Italia venne da due direttrici, dalla Sicilia araba e dalla Spagna moresca attraversoi traffici commerciali. In Sicilia giungevano le navi cariche di ceramiche provenienti dai porti delsud della Spagna con i prodotti di Murcia, Almeria e Malaga; a Pisa ed a Genova arrivavano lenavi spagnole dopo una sosta a Maiorca, isola delle Baleari, chiamata in antico “Maiorica” maanche “Maiolica”, recando le ceramiche della zona valenzana e soprattutto di Manises, chiamate

    allora “maiorichine”.Dalla tappa nell’isola spagnola prese dunque il nome la classe ceramica certamente più

    costosa ed elitaria del Medioevo e del Rinascimento: la maiolica.In Italia i primi esemplari con vera coperta stannifera determinarono fra XIII e XIV

    secolo la “maiolica arcaica”, un affascinante prodotto dipinto su un bianco un po’ spento conpochi colori, derivati da quegli ossidi metallici che potevano più facilmente essere manipolatie che si trovavano in abbondanza in loco. Sostanzialmente, pur con qualche variante regionale,si usarono pochi colori naturali: si ottenne il verde dal rame (la “ramina”), il giallo cupo dalferro (la “ferraccia”), il bruno violetto dai ciottoli ricchi di manganese raccolti particolarmentelungo i torrenti; furono i soli colori che ebbero a disposizione i ceramisti medievali, che tuttaviaseppero realizzare bellissimi oggetti ceramici decorati. Come prodotto comunque sempre costoso,

    la “maiolica arcaica” è molto spesso legata all’araldica, come mezzo di larga divulgazione del

    Maiolica - Origine e sviluppodi Giuliana Gardelli

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    potere di alcune famiglie dominanti, ma può anche avere carattere civico, a testimonianza delleincessanti lotte fra nobili e popolari nelle città del tempo. La tipologia decorativa, pur con variantida località a località, ebbe larga divulgazione in tutto il territorio nazionale, e nel complesso èfacilmente riconoscibile, specialmente nei grandi centri ceramici centro-settentrionali. Essa eralegata principalmente a modelli che la coeva miniatura offriva, tanto che i ceramisti sembranoavere voluto gareggiare in fantasia con i miniatori.  Già alla fine del Trecento si ebbe una rivoluzione importante. Giunse dall’Oriente attraversoi traffici di Venezia un minerale, il cobalto, usato per la prima volta negli atelier ceramici, dove,una volta trovato il modo di calcinarlo, i maiolicari ottennero un blu chiamato di “zaffera”, dalnome persiano “al safra”, dato al minerale. All’inizio fu un colore molto intenso, di notevolespessore, quasi cremoso, detto appunto “zaffera a rilievo”. Non facilissimo da calibrare, all’iniziofu un prodotto costosissimo, quindi la “zaffera” fu essenzialmente un prodotto d’elite e legataquasi sempre all’araldica. In pochi decenni la decorazione iniziò a liberarsi dal legame troppostretto con la miniatura, per cercare una propria via.

    Si crearono così nuovi stilemi, specifici per questo genere; il più noto e peculiare èl’incorniciatura a scudetto ornato di “goccioloni” o “bacche” fra righe di manganese. Ben prestol’eccessivo costo del minerale e della sua lavorazione spinse a cercare nuove tecniche, per riuscirea diluire il colore, fino ad ottenere un blu brillante che si prestò ad un rinnovamento generale delgusto, seguendo un nuovo percorso artistico. Ai primi decenni del Quattrocento, l’Umanesimo

    era alle porte e nella generale rifioritura della cultura e della vita economico - sociale, si ebberoanche in campo ceramico notevoli progressi. Il colore blu diluito venne mescolato con altrigià in uso, sì da ottenere splendide sfumature cromatiche. Uno dei primissimi esempi è datodalla fascia maiolicata con “rosa” araldica, che orna il malatestiano Castel Sismondo di Rimini,terminato nel 1444, dove non fu probabilmente estraneo il grande genio di Luca della Robbia. Quiil blu, insieme con un nuovo giallo ottenuto dall’antimonio, fu anticipatore di quella rivoluzioneculturale che anche nella maiolica segnò l’avvio del Rinascimento. I colori diventarono vari,festosi, modulati in tante tonalità, in grado di ottenere bellissimi decori, propri dei centri ceramicipiù importanti. Se la “maiolica arcaica”, pur con lievi varianti, aveva avuto una koiné culturalein tutto il territorio italiano, la maiolica rinascimentale si è spezzettata invece in mille tipologie,tanto che oggi gli studi sono in grado di identificare immediatamente il centro di produzione di un

    oggetto ceramico. Si può così disquisire di maiolica quattrocentesca faentina, toscana, veneziana,palermitana ecc., ma per tutte in comune è la ricchezza di tecnica, di pittura, di decorazione. Giànegli ultimi decenni del secolo decimoquinto l’artigiano era in grado di cimentarsi anche in operedi carattere plastico, nella cosiddetta ceramica “de relevo” (in rilievo) di cui uno straordinarioesempio è dato dalla “Madonna e Bambino”, qui esposta. Legata alla cultura adriatica, la statuariamaiolicata, in tecnologia ormai decisamente rinascimentale, attraverso una straordinaria capacitàscultorea, rinnova profondamente la visione raffinata del gotico internazionale, presente in tanteespressioni artistiche del tardo Medioevo e primo Rinascimento, dall’architettura all’oreficeria,dalla tappezzeria al gioco dei tarocchi, dalla scultura alla pittura.

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    2 d’arte - Bottega di Almerico di Ventura? 

    (Pesaro ? - 1506)

     Madonna seduta col Bambino

      Splendido d’arte in un clima raf finatissimo, il territorio al tempo dei Malatesti e degli Sforza nelle città

    fra Marche e Romagna, da Rimini a Fano, ha scandito un tempo artistico di grande rilievo ponendosi a buon

    diritto, e non ultimo, all’interno di quella straordinaria cultura adriatica che seppe unificare in un esaltante clima

    tutte le città costiere, al di qua ed al di là del mare, da Venezia fino alla Puglia. Non fu di meno rilievo, accanto

    alla pittura, alla scultura, all’architettura, l’attenzione che si venne dedicando alla maiolica, che conobbe periodi

    di vero splendore. Una accorta politica di alleanza matrimoniali fra i vari signori italiani, seppe allargare a vasto

    raggio la propria influenza. Gli Este, i Gonzaga, gli Sforza, per citare le famiglie più note, ebbero fra loro intricatealleanze familiari, senza dimenticare il contatto fra la corte pesarese degli Sforza e quella napoletana degli

    Aragonesi, tramite il matrimonio, celebrato in maniera veramente eclatante nel 1475, tra Camilla d’Aragona e

    Costanzo Sforza (1). Riteniamo pertanto che le botteghe del territorio in esame nel ‘400 dovettero essere una

    scuola importante per molti giovani che qui venivano ad apprendere forme e stilemi, da divulgare poi in altre

    sedi. Del resto anche le maestranze stesse si spostavano ad aprire filiali ed industrie in altre città, nelle quali

    portavano tutto il proprio bagaglio tecnico e culturale. A Rimini, i maiolicari pesaresi costituirono una vera

    colonia, con atelier tanto importanti nell’economia locale da indurre nel 1480 perfino i faentini Carlo ed Astorre

    Manfredi, qui esiliati ed ospiti di Roberto Malatesti, ad investire presso di loro il proprio denaroi (2), portando

    al massimo grado quella koinè artistica che connota ancor oggi la maiolica dei vari centri della Romagna.

    E’ stato attraverso la ricca documentazione notarile e lo studio dei reperti, che generosamente il

    sottosuolo rimanda alla luce, che si è potuto evidenziare la qualità e bellezza della ceramica quattrocentescariminese e pesarese, inserita in un clima culturale -artistico di grande livello.

    (1) - Il matrimonio fu ricco di sorprese, con scene in costume mitologico, appar ati ed apparecchiature veramente genia li per i tempi. Imitato in seguito anche a Firenze, fu

    raccontato in un manoscritto riportato alla luce da Giulio Perticari, Delle nozze di Costanzo Sforza con Camilla d’Aragona celebrate in Pesaro l’anno 1475, Pesaro 1843.

    (2) - Cfr. Oreste Delucca, Ceramist i e Vetrai a Rimini in Età Malatestiana. Rassegna di fonti archivistiche, Rimini 1998, p.100.

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      Oltre alla ceramica d’uso, religiosa ed araldica in grande varietà di forme (coppe, piatti, ciotole, boccali,

    albarelli, catini), i migliori maiolicari si cimentarono, già nel sesto-settimo decennio del secolo quindicesimo,

    nella realizzazione di gruppi statuari plasmati a mano, in sapiente manipolazione della creta, cotta e poi dipinta

    con la copertura di maiolica. L’avvio può essere derivato dalla conoscenza e dall’arrivo nel territorio di opere

    statuarie di grande respiro, modellate a Firenze nella bottega dei Della Robbia, come la lunetta con Madonna e

    Santi di Luca in Urbino, visibile nel portale della Chiesa di San Domenico fin dal 1451. Conosciamo una serie

    non ricca, ma molto bella e suggestiva di opere plastiche, raf figuranti scene religiose, dalle semplici Madonna

    col Figlio, una delle quali, ora a Rotterdam, nel Boymans Museum, porta la data 1477 (3), a questa, che ci

    accingiamo a proporre per la prima volta agli studi, fino ai più complessi Compianti, di cui ricordiamo quello

    oggi al Metropolitan di New York, datato al 1487. Per molti aspetti la figura della “Madre divina” trova il

    prototipo nei rilievi in stucco di Michele da Firenze, artista che per altro pare essere stato attivo anche a Pesaro

    (4). In questo settore ceramico non mancano splendidi calamai di varia foggia (5), la cui produzione si allunga

    fino ai primi decenni del ‘500.

    La località produttiva di questa straordinaria produzione ceramica fra tardo Quattrocento ed i primi

    decenni del Cinquecento, assegnata in passato quasi sempre a Faenza, negli studi più recenti, estetici ed anche

    archivistici, si può meglio puntualizzare; essa infatti coinvolse vari atelier sia nel territorio tra Marche e Romagna,

    sia in altri centri toscani, oltre a Firenze.

    Riteniamo che la realizzazione di questa particolarissima maiolica si sia avviata in Pesaro intorno

    al 1460-70, in una produzione elitaria di eccelsa qualità, come già facemmo conoscere nella splendida lastra

    “Madonna col Figlio” della collezione Italika, in cui convivono in una esaltante simbiosi i delicati stilemipittorici della italo-moresca, la complessità dell’oreficeria gotica marchigiana, la struttura architettonica dei

    portali d’epoca malatestiana ancora in situ, ed infine l’attenzione per la preziosa tessitura delle vesti (6).

    Prima di addentrarci nella esegesi della Madonna col Bambino in mostra, occorre considerare ancora

    un’altra direttrice culturale, che venne ad innestarsi su quella fiorentina, e forse in maniera anche più diretta:

    quella che da Venezia coinvolse in varia misura i territori costieri da entrambe le parti del mare Adriatico. Fu

    un rapporto reciproco di scambi culturali, considerato il carattere internazionale che aveva Venezia, in grado di

    accogliere ed integrare in uguale modo persone provenienti sia da altre parti di Italia che da altre nazioni. Per

    restare nel campo della ceramica, anche se in certi periodi la città lagunare, sulla scia di tante altre, come Rimini,

    Pesaro, Urbino ecc., salvaguardava i propri prodotti con privative, è però altrettanto vero che colonie di artigiani

    provenienti da altre regioni vi si insediarono con notevole profitto, sia proprio, sia di tutta la comunità. Così fu

    possibile, per tutti coloro che rispettavano le severissime leggi nei riguardi dell’Arte, vivere e prosperare in unacittà dalle mille suggestioni, e godere in cambio dei benefici che il Senato sapeva concedere ai propri cittadini,

    regolarmente iscritti ad una Scuola, vale a dire ad una corporazione.

    Venezia seppe essere nei suoi organi direttivi il maggiore promotore culturale, veicolo e nello stesso

    tempo referente, in un ritmo costante che vide impegnate fianco a fianco tutte le Arti, dalle “maggiori” alle

    “minori”, sì che fu possibile a tutti un continuo aggiornamento artistico.

    Un rapporto fra la grande pittura, dagli affreschi alla tela, e la ceramica ha sempre avuto una importante valenza.

    Giungevano nella bottega del vasaio con varia influenza le linee generali dei movimenti pittorici nel loro

    svolgersi, talora lento, talora velocissimo, e non solo per quanto riguarda l’aspetto decorativo.

      Gli stessi artigiani della terracotta guardavano con molta attenzione le opere dei grandi e famosi artisti.

    A Rimini era giunto per commissione malatestiana intorno al 1464-70 un quadretto piccolo, con una splendida

    Pietà, richiesto ad un giovane allora non ancora pienamente affermato, di Venezia, ma con addentellati nellavicina Pesaro, stante la madre da quella città, Giovanni Bellini. Il giovane, per quanto illegittimo, era pur sempre

    cognato del famoso Andrea Mantenga, saldamente stabilito in Mantova presso la ricca e più fortunata corte dei

    Gonzaga. Nel 1499 la tavola fu legata al Tempio malatestiano per lascito testamentario dal giureconsulto Rainero

    Migliorati. La Pietà del Giambellino proposto alla devozione dei contemporanei già parlava un linguaggio ben

    definito, dove forma e contenuto si fondono per ottenere un pathos soffuso e malinconico che avrà grande presa

    in Romagna per tutto il secolo seguente.(7)

    (3) - Il prototipo per questa lastra in terracotta a rilevo maiolicata viene indicato in Michele da Firenze da M.Cecchetti, Targhe devozionali dell’Emilia Romagna, MICF I , Cinisello Balsamo (Milano) 1984, pp.54-55,

    (4) - Il riferimento è accet tato dubitativamente da P. Berardi, La ceramica pesarese del Quattrocento, in AA.VV., Pesaro tra Medioevo e Rinascimento, Venezia 1989, p. 368, nota 41; poco si

    conosce sulla vita di Michele, se non la sua mobilità fra le piccole corti dell’Italia centro-settentrionale.

    (5) - Cfr.G. Gardelli, Problematiche di un “virtuoso” calamaio del Quattrocento, “CeramicAnti ca” a.1 n.1- gennaio 1991, pp.43-51.

    (6) - Cfr. G. Gardelli, ITALIKA. Maiolica Italiana del Rinascimento. Saggi e Studi, Faenza 1999, n.86.

    (7) - Il quadro ha vasta bibliogra fia; citiamo fra le ultime esegesi, A. Tempestini, Bellini e Belliniani in Romagna, Firenze 1998, pp.34 e 35 (nel testo si approfondisce l’in  fl uenza di Bellini sugli

    artisti romagnoli). Nel 2006 è stata esposta alla mostra Antonello da Messina, Roma, Scuderie del Quirinale, cat. a c. di M. Lucco, Antonello da Messina. L’opera completa, Cinisello Balsamo(MI)

    2006, pp. 302- 304 e nel 2008 nella mostra Giovanni Bellini, Roma, cat. a c. di M. Lucco-G.C.F.Villa, Giovanni Bellini, Cinisello Balsamo (MI), pp. 178 -179. Per la genesi artistica della “Pietà”,cfr. G. Gardelli, L’eredità di Michelangelo e la “Pietà” ritrovata di Andrea Bregno, Roma 2006.

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      A Pesaro era arrivata intorno agli anni ’70 del ‘400 una meravigliosa tavola per la Chiesa di San

    Francesco (ora in gran parte nel locale Museo), con L’incoronazione della Vergine e Santi di Giovanni Bellini,

    che ancor oggi costituisce uno degli esiti migliori del pittore (8). Il Bellini tuttavia era famoso soprattutto per

    le dolci Madonne col Figlio assai richieste per devozione pubblica e privata. Proprio una di queste, chiamata la

    Madonna degli alberetti, dal 1838 nella veneziana Galleria dell’Accademia, è la prima opera firmata dall’autore

    con la data “1487”. Non sappiamo quale sia stato il committente dell’opera, ma certo essa, come altre del maestro,

    non passò inosservata agli artisti del tempo. Riteniamo che proprio a Pesaro, in un atelier ceramico, dove un

    ottimo plasticatore eseguiva, per conventi, confraternite e famiglie nobiliari, statuette maiolicate devozionali,

    abbia riportato nell’opera qui esposta, l’idea rivoluzionaria belliniana dell’incrocio dei piedini di Gesù Bambino

    in braccio alla Madre, unico esempio in tutto il suo catalogo, che si ammira nella citata tela dell’Accademia (9).

    La statua in maiolica presenta la Madonna seduta su un seggio formato da due grandi arcate a mezzo fra

    Gotico e Rinascimento, dipinto con un acceso e luminoso giallo ocra, illeggiadrito da fiori tripetali azzurri. Ella

    tiene in braccio Gesù Bambino tutto nudo, con le gambine incrociate, che tiene in mano un uccellino, secondo

    un’iconografia cara ai ceramisti, legata alla leggenda apocrifa che voleva il bambino intento a plasmare in creta

    gli uccellini, a cui poi donava la vita. La madre, dal volto sereno in atteggiamento di offrire allo sguardo del

    fedele il Figlio divino, ha una veste verde su cui un bellissimo mantello azzurro, che copre anche il capo, scende

    nella schiena a formare onde luminose. I capelli del bimbo a ricci riprendono l’acceso e brillante giallo ocra,

    mentre i tratti somatici di entrambi sono resi con semplici linee blu.Questa statua alta cm. 49 non è sola nel panorama della maiolica italiana; essa rientra in un gruppo non ampio

    ma di grande qualità in passato automaticamente attribuito a Faenza, di cui l’esemplare più famoso è il Compiantoal Metropolitan Museum di New York, datato 1487, a cui si aggiungono alcune Madonne ora in vari Musei. Per

    l’attribuzione ci sembra importante rilevare come almeno due di queste sono sicuramente provenienti da Pesaro: la

    Madonna seduta del Museo di Berlino, e quella nel Museo di Pesaro, proveniente dalla locale Congregazione di Carità

    (10). Il lasso di tempo in cui operava questo artista si situa fra il 1487 e il 1499, data questa apposta in un’altra Madonna

    già in Collezione D’Azeglio a Torino, dove un tempo si trovava anche un pavimento proveniente da Fano (11).

    Se l’accesa cromia basata su un azzurro intenso, appena uscito dalla “zaffera” , ma ancora pieno di tessuto

    cromatico, la brillantezza dell’ocra ed i tocchi di verde possono sembrare volgere l’attribuzione ad opere faentine,

    è perché una koinè culturale accompagna tutta la produzione ceramica per così dire “malatestiana”, vale a dire di

    quel territorio della Romagna e delle Marche settentrionali, in cui il dominio e l’influenza dei Malatesti diretta o

    indiretta per via di alleanze politiche e matrimoniali ha connotato tutta la maiolica artistica del Quattrocento (12).

    Non dimentichiamo inoltre che proprio nella Rimini dei Malatesti aprirono intorno alla metà del ‘400 una importantebottega, in centro città, alcuni artisti della maiolica facenti capo al maestro Ventura di Simone, attivo anche a Pesaro,

    bottega che tramite il figlio di Ventura, Almerico, artista poliedrico, pittore ed “ingegniere di Giovanni Sforza” signore

    di Pesaro,(13) continuò a produrre maiolica fino ai primi del ‘500. Anche se non abbiamo testimonianze dirette, è

    presumibile che proprio Almerico di Ventura, i cui estremi documentari fino ad ora noti, si situano fra il 1478 e il

    1506, anno della sua morte, sia stato l’artista in grado di produrre opere statuarie maiolicate di questa qualità. Per il

    momento è solo una ipotesi, ma che si attanaglia alle date apposte in alcune ceramiche del gruppo, che vanno dal 1487

    al 1499, come si è detto. Quanto alla statua in esame, essa certamente è posteriore al 1487, stante la sua derivazione

    iconografica dalla Madonna degli alberetti di Giovanni Bellini, datata appunto “1487”. Molte sono le coincidenze

    che suffragano l’ attribuzione ad una artista assai stimato, come Almerico di Ventura, con varie botteghe a Pesaro ed

    a Rimini, in grado di soddisfare commissioni importanti sia in ambito ecclesiatico, sia in quello politico.

      Riteniamo, in base all’esegesi suesposta, che la statua con Madonna seduta col Figlio sia stata prodottain maiolica policroma a Pesaro o a Rimini, forse in una bottega di Almerico di Ventura fra il 1487 e la fine del

    secolo. Suffraga questa ipotesi l’esame alla Termoluminescenza che ha datato la ceramica al 1475±15 d. C,

    periodo che rientra nell’attività nota di Almerico di Ventura.

    Provenienza: Asta Semenzato Venezia, 1982 novembre , n.139.Bibliografia: Ceramiche Maioliche Porcellane. Prezzi e mercato, a cura di “Il mercato dell’arte”, SUGARCo SeEdizioni, Padova 1984, n.10.

    (8) - Lucco- Villa, Giovanni Bellini, cit., n.17.

    (9) - Ibidem, n.33.

    (10) - Cfr. P. Berardi, L’antica maiolica di Pesaro, Firenze1984, Fig. 93.

    (11) - Il pavimento acquistato nel 1885 dal marchese D’Azeglio per Casa Gavassa a Saluzzo si trovava nella chiesa dei Piattelletti di Fano; attribuito già nel Settecento dal Passeri a Pesaro, ma

     poi dai critici del ‘900 a Faenza o alla Liguria, è stata da noi de finitivamente legata a Pesaro  fin dal 1993, ed ora l’attribuzione accolta da tutta la critica successiva; cfr. G. Gardelli, Maiolica

     per L’architettura. Pavimenti e rivestimenti rinascimentali di Urbino e del suo territorio, Accademia Raffaello Urbino, Urbino 1993, Cap. XIII-XIV.

    (12) - Il passaggio del domino su Pesaro dai Malatesti ad Alessandro Sforza avvenne nel 1445 con acquisto della città per 20.000 fiorini, ma fu poi legittimato come eredità, avendo Alessandro

    sposato Costanza da Varano, nipote di Galeazzo, ultimo dei Malatesti, signore di Pesaro.

    (13) - Per la  figura di questo artista attivo in vari campi dell’arte, cfr. G.M.Albarelli, Ceramisti pesaresi nei documenti notarili dell’archivio di Stato di Pesaro. Sec. XV – XVII, Bologna 1986,

     pp.555 – 558; Delucca, Ceramisti…, cit, pp. 134 – 138

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    3.1 di fede - Amore divino

      Nel Medioevo il fervore religioso, che pervadeva la popolazione, si evidenziava nell’arteattraverso immagini, talora astratte, talora crude nella loro verismo, ma sempre vivacissime, e soprattuttoriconoscibili da tutti nel loro valore storico.  Il sacro pervadeva non solo i luoghi deputati alla religione, come le pareti di conventi e chiese,ma raggiungeva ogni momento della vita quotidiana.

    Il simbolismo, riconducibile al sacro, si ritrova infatti non solo in oggetti necessari ai riti liturgici,ma in conventi, chiese e parrocchie, e perfino nelle case più abbienti, anche attraverso la umile ceramica,sapeva trasmettere la cultura e la storia, quasi una materica Biblia in cui il cristiano riconosceva la

    propria identità.La Passio Christi viene vissuta attraverso un racconto visivo, quasi un fumetto più o menocomplesso, con croce, corona di spine, martello, chiodi, nelle ciotoline, dal profilo carenato di tradizioneromana, fin dal tardo Duecento (nn.1-2), e nel boccale straordinario in “maiolica arcaica” (n.4) conforte valenza drammatica; più pacato è il messaggio che viene dalla ciotolina con l’Agnus Dei, vivace egrazioso agnellino portacroce dal vello a improbabili riccioli, dolce signum cristologico (n.3).  Nel 1399 passò per Rimini una lunga processione di persone vestite di cappe bianche cheandavano di città in città, cantando salmi e recitando lo Stabat Mater; il fervore colse anche la classepolitica e Carlo Malatesti, con la consorte Isabella Gonzaga si unì al corteo fino a Fano. Le umiliceramiche con immagini relative alla Passio Christi ricevettero senz’altro un notevole impulso.

    Questa sacra rappresentazione perse d’importanza quando San Bernardino propose, a metà del

    ‘400, un semplice, ma perfetto simbolo cristologico, che, pur con varianti, è giuntofi

    no ai nostri giorni.Santi e Sante si trovano dipinte, specie nel Rinascimento in stoviglie da tavola, ma qui proponiamo unastraordinaria ciotola con l’immagine della Madre divina come “Sedes Sapientiae”, colei che legge nellibro la “Storia” (n.5).

    1,2- Coppia di ciotoline carenate ed ansate. “Maiolica arcaica” dipinta a ramina e manganese; all’interno “Passio Christi”, resa con i simbolidella “Crocifissione”; all’esterno fasce a righe. Ø cm. 12 e 14. Condizioni: buone. Bibliografia: G.Gardelli, La ceramica. D’uso d’arte di

    politica di fede al tempo dei Malatesti. Parte 1a- Duecento e Trecento, “Vita di Club” 2008/2009, N. 3, Lyons Club Rimini - Malatesta, p. 30,figura 7. Rimini. Sec.XIII-XIV.

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     3- Ciotolina carenata ed ansata. “Maiolica arcaica” dipinta a raminae manganese; all’interno “Agnus Dei”; all’esterno fascia a righe. Øcm. 10. Condizioni:buone. Bibliografia: G.Gardelli, La ceramica.D’uso d’arte di politica di fede al tempo dei Malatesti. Parte 1a-Duecento e Trecento, “Vita di Club” 2008/2009, N. 3, Lyons ClubRimini - Malatesta, p. 30, figura 8. Rimini. Sec.XIII-XIV.

     4- Boccale ad alta carenatura. “Maiolica arcaica” a ramina e manganese con “Passio Cristi”: al centro “Croce e corona di spine”, al lato destro“Flagello e colonna”, al lato sinistro “Lancia e canna con la spugna”. H. cm.24. Condizioni buone. Bibliografia: inedito. Rimini, sec. XIV.

     5- Ciotola a parete carenata con due piccoli manici. Maiolica dipinta in policromia: parete interna spartita in blu e giallo con tondi suddipintia rameggi e motivi grafici; al centro “Figura femminile” eretta con aureola, che tiene in mano un libro iscritto; veste con ampie manicheottenuta con tocchi di giallolino su bianco di maiolica. Ai lati le lettere “S” e “M”, da sciogliere “ Santa Maria” riferite alla “Madonna con il

    libro” (Sedes sapientiae). Parete esterna: “a monticelli” e a “calza”. Ø cm.11,5; h. cm.4,5. Condizioni: ottime. Bibliogra fia: inedita. Romagna(Faenza), sec. XV, terzo quarto.

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    3.2 di fede - Amore terreno

      Intorno al quarto decennio del Quattrocento, la cultura fiorentina del circolo mediceo, avevatrovato in Marsilio Ficino l’espressione più matura e consona ai tempi nella rivisitazione intellettuale delneoplatonismo medievale, imperniato sulla filosofia dell’amore fra l’uomo e Dio. Essa invase talmentela vita nei suoi aspetti anche più umili, che si insinuò perfino nel più modesto vasellame maiolicatodel tardo Quattrocento, visualizzandosi nei cosiddetti gamelii (piatti e coppe nuziali) tramite simbolisuggestivi. L’amore terreno viene sublimato attraverso la congiunzione con l’amore divino, dando lasacralità della Fede al gesto di unione. Le mani si congiungono nel giuramento d’amore, così comevediamo nelle ciotole che si donavano in occasione difidanzamenti o promesse matrimoniali (nn.6,7). I

    decori ormai si sono allontanati dal retaggio della miniatura per trovare nuove vie, proprie della maiolicarinascimentale.

    7- Ciotola Maiolica dipinta in giallo e blu di due toni: larga e bassa parete “a palmetta persiana”; in cavetto entro fascia gotica e su tappeto“Simbolo d’amore”: al centro mani che si stringono, in basso monticelli e in alto due occhi. Parete esterna: a “calza”. Ø cm.16; h. cm.4.

    Condizioni: ottime. Bibliografia: “Maioliche rinascimentali italiane” Asta Semenzato Milano 1986, lotto 24 . Romagna (Faenza o Rimini), sec.XV, ultimo quarto.

    6- Ciotola Maiolica dipinta in tricromia: larga e bassa parete “a geometrizzazioni” in blu scuro, giallo e verde; in cavetto entro perlinatura“Simbolo d’amore”, mani che si stringono e sopra la scritta “FIDES”. Parete esterna: a “calza”. Ø cm.15,5; h. cm.4,5. Condizioni: buone.Bibliografia: inedita. Romagna, sec. XV, metà e terzo quarto.

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    4 di uso

      Nel Trecento e più ancora nel Quattrocento le forme della ceramica divennero varie, adattandosiai più svariati usi. Una particolare classe fu quella dedicata all’aromateria, vale a dire alla farmacia deltempo, per contenere unguenti e prodotti per medicamenti. Nacque dunque l’albarello, così chiamatoperchè derivato dall’uso di portare in Occidente dall’Oriente le spezie per la produzione medicale intronchi di canne di bambù, dall’aspetto appunto quasi cilindrico (n.8).

    Continua l’uso del boccale per i liquidi, agli inizi con l’aggiunta di un blu corposo della “zaffera”(n.9), e solo nel Quattrocento compare il piatto, come oggi lo conosciamo Esso offriva al pittore ceramicoun’ampia superficie per dipingere secondo nuovi canoni rinascimentali; infatti, diluita la zaffera in un

    bellissimo blu, vennero a crearsi decorazioni festose in colori vivaci ed allegri che pervadono anchecatini, tazze e boccali (nn. 10-16).

     

    8-Albarello cilindrico.  Maiolica dipinta in verde e manganese; nelsott’orlo catenella; nel corpo tappeto avvolgente a “foglie di quercia”

    entro archi, su due registri con riempitivi miniaturistici. H. cm. 22; Ø

    bocca: cm. 17. Condizioni: incollaggi. Bibliografia: R.Colapinto, P.Casati

    Migliorini, R.Magnani, Vasi da farmacia del Rinascimento italiano (dacollezioni private), Ferrara 2002, n. 8, p. 68-69. Romagna, sec. XIV.

     9-Boccale Maiolica “a zaffera in rilievo”; nel corpo entro riquadro “Uccello” di fantasia, nella tipologia propria dei “Bestiari” medievali; nel

    collo fascia a “goccioloni” entro righe geometrizzanti. H. cm.19. Condizioni:restauri. Bibliografia: G.Gardelli, 5 Secoli di maiolica a Rimini,Ferrara 1982, F.46, p. 41. Rimini, sec. XV, primi decenni.

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    10- Piatto a stretta tesa, ed ampio cavetto. Maiolica dipinta in blucon tocchi di verde e di manganese; tesa a “tralcio corrente alternato”;parete con “perlinatura”; cavetto con “Fiore” stilizzato su rameggi.Verso:maiolica bianca. Ø cm.26. Condizioni: buone. Bibliografia:

    inedito. Rimini, sec. XV, prima metà.

    11-Piatto a larga tesa ed ampio cavetto. Recto: maiolica dipinta intricromia: tesa a “ventagli” intervallati da segno grafico (lettera?) ;in cavetto “Fiore quadripetalo”. Verso:maiolica bianca. Ø cm.22,5.Condizioni: incollaggi. Bibliografia: inedito. Rimini, sec. XV, metà.

    12- Catino a stretta tesa, parete baccellata convergente, piccolo cavetto. Maiolica dipinta blu di due toni e giallo; tesa a “crocette”; paretespartita in blu e giallo suddipinta a rameggi; cavetto con “Fiore” a corolla azzurra e centro giallo. Verso: maiolica dipinta in blu a tondi e righe.Ø cm.22. Condizioni: incollaggi. Bibliografia: inedito. Rimini, sec. XV, metà.

    13- Tazza. Maiolica dipinta in blu e giallo: alta parete “a ventaglicorrenti” intervallati da segno grafico; in cavetto “Frullone amonticelli” . Verso:maiolica bianca. Ø cm.16; h. cm.7. Condizioni:ottime Bibliografia: inedita. Rimini, sec. XV, metà.

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    14-Boccale a pancia globulare, collo svasato. Maiolica dipinta in policromia: al centro entro tondo a scaletta “Tralcio fogliato cuoriforme”;nel colloreticolo; ai lati registri verticali con “ventagli correnti” e “reticolo”. H. cm.19,5. Condizioni ottime. Bibliografia: inedito. Rimini, sec. XV, metà.

    15-Boccaletto a corpo ovoide. Maiolica avorio dipinta in bicromia blu-arancio con “Frullone a monticelli” alternati a nuvolette entro tondo ascaletta. H. cm.15. Condizioni: restauri. Bibliografia: inedito. Cesena, sec. XV, metà.

    16-Tazza Maiolica dipinta in blu e arancio, con fasce nel sott’orlo; in parete “ventagli correnti” intervallati da nuvolette; nel cavetto entro fasciaarancio “Fiore aperto” su stelo. Condizioni: restauri. Ø cm. 13,5; h. cm. 6. Bibliografia: inedita. Faenza, sec. XV, metà

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    5 di potere

      Nel Medioevo e nel Rinascimento in una città racchiusa da solide mura, la vita si svolgeva inun microcosmo politico dal dif ficile equilibrio, dove le fazioni, imperniate su consorterie famigliari,erano sempre in bilico fra pace e guerra; era dunque d’importanza fondamentale affermare il propriopotere con ogni mezzo, tramite il supporto di simboli facilmente riconoscibili, capaci di incutere timorealla sola vista. Fu il Mille che segnò l’inizio dell’araldica, intesa prima come insegna personale perconcessione feudale, poi estesa a tutti i membri della famiglia ed in seguito a tutti quei nuclei chesi riconoscevano uniti da un’unica origine e che formarono le consorterie. Nei secoli successivi lefamiglie di potere spesso si attribuirono origini antichissime, del tutto fantastiche, appoggiate da certi

    cortigiani per pura piaggeria. Talora è dif ficile districare nel cumulo delle notizie tramandate, quellevere che poggiano su documenti inconfutabili. All’inizio negli stendardi furono utilizzate immaginimolto semplici, visibili per i loro colori da lontano, specie durante le battaglie, e divennero poi stemmidelle famiglie, codificati intorno al Trecento. Profusi ovunque in città, segnarono per secoli il poteredominante. Anche la ceramica si adeguò a questo compito, fossero pure i boccali per le tavole deiricchi, come quelli per le modeste osterie. Così è facilmente riconoscibile ancor oggi l’araldica deiMalatesti (n.18), genericamente riferito a tutta la famiglia. Fu verso al fine del Trecento, che i membripiù importanti imposero un loro signum inconfondibile. Fu il caso di Carlo Malatesti (1368 – 1429),che, destreggiandosi nel dif ficile equilibrio delle potenze italiane ed europee, estese la sua importanzapolitica a tutta l’Europa, attraverso atti diplomatici, specie nel risolvere la dif ficile questione delloScisma d’Occidente. La “K” , iniziale del suo nome latino Karolus, invase tutta la città in ogni suo

    aspetto, e lo testimonia proprio la ceramica, sia nei suoi più antichi e splendidi boccali a “zaffera” (n.19), sia nei più recenti, dove compare in forma già rinascimentale la “rosa quadripetala e quadrisepala”,antico emblema malatestiano. Di grande interesse è il boccale n. 20, qui edito per la prima volta, chereca, inserito a lato sotto la bocca, un bollo metallico, probabilmente per unità di misura, ma cheporta, battuto a rilievo, la lettera “K”, unico esemplare a nostra conoscenza, che sta ad indicare siala popolarità del signore sia il suo grande potere. Anche le unioni matrimoniali, sempre con valenzapolitica, furono stigmatizzate nella maiolica. E’ il caso eclatante del boccale “a zaffera” dipinto conscudetto partito nei due stemmi più importanti della Romagna del tempo: Malatesti-Manfredi. Infatti nel1396 la sorella di Carlo, Gentile detta Leta, andò sposa a Gian Galeazzo Manfredi, signore di Faenza,e alla sua morte (1417) subentrò nel governo della città romagnola, fino alla maggiore età del figlioCarlo (1435). Ovviamente quasi tutte le famiglie importanti, specie nel proseguo del tempo, volleromostrare in ceramica il proprio blasone, che divenne sempre più complesso. Qui, per ultima, vogliamo

    segnalare una maiolica diversa per forma a quanto fino ad ora esaminato e che è riferita all’altro grandepersonaggio della Rimini malatestiana: Sigismondo Pandolfo (1417 – 1468). Si tratta di un quadrellocon la “rosa quadripetala e quadrisepala”, la sigismondea per eccellenza, che ammiriamo ancora nellafascia maiolicata in Castel Sismondo, databile alla metà del secolo Quindicesimo (n.23). Essa è dipintasu forma ormai decisamente rinascimentale, il quadrato, e nella Rimini del tempo ornava molte casesia dei Malatesti, sia delle famiglie a loro legate. Essa è ritornata in Italia, dopo un lungo peregrinare incollezioni straniere, i cui passaggi sono testimoniati nel retro da numerose sigle di appartenenza.

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    17- Boccale ad alta carenatura. “Maiolicaarcaica” a ramina e manganese condecorazione di tipologia araldica, “Gigli” (?)stilizzati. H. cm.22. Condizioni molto buone.Bibliografia:inedito. Rimini, sec. XIV.

    18- Boccale a carenatura arrotondata.

    “Maiolica arcaica” a ramina e manganesecon decorazione araldica entro scudetto:“Stemma Malatesti”, signori di Rimini.H. cm.21,5. Condizioni ottime.Bibliografia:inedito. Rimini, sec. XIV.

    19- Boccale a corpo ovoide ed alto collo.

    Maiolica “a zaffera in rilievo”; entroscudetto a formella gotica con “goccioloni”lettera “K” con decori tratti dalla miniatura:sigla di Carlo Malatesti (1368 – 1429). H.cm.26. Condizioni buone. Bibliografia:inedito. Rimini, sec. XIV,fine- XV, inizi.

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     21-Boccale a corpo ovoide ed alto collo.

    Maiolica “a zaffera in rilievo”; entroscudetto stemma partito: “Manfredi-Malatesti”riferito al matrimonio fra Gentile(detta Leta) Malatesti, sorella di Carlo eGian Galeazzo Manfredi, signore di Faenza,avvenuto nel 1397. H. cm.26,50. La partesuperiore fino a metà pancia è originale, lainferiore è di restauro. Bibliografia: inedito.Faenza, sec. XIV, fine- XV, inizi.

     22- Piatto a tesa convergente, bordo

    rialzato, ampio cavetto. Maiolica dipintain blu e giallo: tesa a“ventagli correnti”; incavetto stemma nobiliare partito: “Guidi diBagno-Riario” (?). Verso:maiolica bianca. Øcm.26. Condizioni: incollaggi. Bibliografia:inedito Rimini, sec. XV, metà

     20-Boccale a pancia ovoide, collo svasato.

    Maiolica dipinta in policromia: al centroentro tondo a scaletta “Fiore quadripetaloe quadrisepalo”; nel collo linea spezzata; ailati linee verticali. Sotto alla bocca a lato delmanico è inserito un tondino di piombo conin rilievo la lettera “K”, resa a miniatura, dariferire alla sigla di Carlo Malatesti (1368 – 1429), probabile misura di capacità. H.cm.20. Condizioni ottime. Bibliografia:inedito. Rimini, sec. XV, primi decenni.

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     23-Mattonella quadrata Maiolica dipintain policromia con “Rosa quadripetala equadrisepala”, simbolo dei Malatesti,signoridi Rimini, adottata in particolare daSigismondo Pandolfo (1417 – 1468).Nel retro nudo vari riferimenti ad antichecollezioni: timbri di dif ficile lettura e incartiglio la sigla “B87”. Lato cm.12; h.cm.4. Condizioni buone. Bibliografia:Asta Christie’s, Word Ceramics, Londra,1/11/2005, lotto 24. Rimini, sec. XV.

     24- CiotolaMaiolica dipinta in tricromia: largae bassa parete a “margherite e fior di loto”su fondo miniaturistico; in cavetto “Coronanobiliare”. Verso: a “calza” Ø cm.16,5;h. cm.4. Condizioni: ottime. Bibliografia:inedita. Rimini, sec. XV, metà e terzo quarto.

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    Nello Forti Grazzini

    Andrea Donati e Gianni Papi

    Nello Forti Grazzini

    3. Volti del Rinascimento

     Il Ritratto: un linguaggio realistico ed emotivo

    Giancarlo Gentilini

    5. I Dalla Robbia

     Devozione e temi agresti nella scultura invetriata 

    Augusto Mengozzi

    4. Fantastica San Marino

    Volti, Visioni, Paesaggi, Atmosfere 

    Accademia delle scienze di San Marino

    6. Premio Marconi

     Simposio d’informatica e riconoscimento accademico sammarinese 

     a cura della 

     

     Numeri precedenti 

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    s.p.a.