Magazine Un'Altra Storia n°2

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La voce di chi crede che un’altra Sicilia è possibile!!! SEDE NAZIONALE UN'ALTRA STORIA via Mariano Stabile 250 Palermo tel. 0918888496 fax. 0918888538 www.unaltrastoria.org

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in questo numero

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4L’INTERVENTOVi racconto mio fratellodi Carla Rostagno

12 La mia fuga da Misurata, di Daniele Coffaro

14 Le rivolte del mondo arabo, di Adel Jabbar

20 Buone pratiche

26 Infrastrutture culturali

30 Rilanciare l’agricoltura

32 Energie rinnovabili

36 Beni confiscati

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L’INTERVENTO

Lampedusa, politicae affari dietrol’emergenza indottadi Rita Borsellino

EDITORIALELa rivoluzione democraticadi Alfio Foti

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DOSSIER

SiciliaBeneComune

Direttore responsabileAngelo Meli

Coordinamento editorialeGiovanni FerroRedazione Dario Prestigiacomo, Carmen Vella

Contributi diAlfio Foti, Daniele Coffaro, Adel Jabbar, FaridAdly, Sandro Tranchina, Maria Tomarchio, Carmela Cappa, Antonio Bufalino, Ilenia Franchina, Nicola Cipolla, Teodoro Lamonica,Calogero Parisi, Angelo Meli, Viviana La Rosa,Carla Rostagno

Grafica e copertinaCiccio Falco

Redazionevia Mariano Stabile, 250 - 90141 Palermotel. 0918888496 - fax [email protected]

Supplemento al numero 12 (4 aprile, anno 5) del settimanale ASud’Europa del Centro di Studi e iniziative culturali

“Pio La Torre” - Onlus / Registrazione presso il tribunale di Palermo 2615/021

Il magazine è scaricabile presso il sito www.unaltrastoria.org / La riproduzione dei testi è possibile solo se viene citata la fonte

10MONDOIo, libico che guardo alla guerradi Farid Adly

Sommario

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di ALFIO FOTI

icilia bene comune ha dato forti e nuovi stimoli su molte tematiche e su di-versi ambiti d’intervento, a partire dalla Partecipazione.Voglio porre alcune domande le cui risposte sono talmente scontate da ap-

parire quasi provocatorie: quanti sono in Sicilia i Consigli comunali che funzionano,cioè che dedicano un tempo sufficiente ad affrontare i problemi reali delle comunitàche dovrebbero rappresentare? Quanti di essi sono coerentemente legati ai bisogni,alle istanze di cittadine e cittadini e, contemporaneamente, sono estranei a logiche dipotere, ricatti, complotti, e ad atteggiamenti quali cambi strumentali di casacca? El’Assemblea regionale siciliana? Cosa si può dire di un Parlamento che di fronte alla crisi drammatica dellaSicilia riesce a promulgare solo qualche legge di tanto in tanto, dimostrando ogni giorno di non avere un’idea, un minimo cenno di progettualità su presente e futuro di questa nostra terra? E, ancora, perché unaminoranza di vigliacchi che si chiama ”mafia” riesce a condizionare, se non ad opprimere, milioni di sici-liane/i, costringendo l’isola a condizioni di sottosviluppo, mentre tutti sappiamo che senza questa presenzacriminale il livello di vita sarebbe molto più alto? E perché il sistema clientelare, che va a braccetto conquello mafioso, continua a percorrere le vie di questa nostra democrazia sempre più debole e fasulla? E si potrebbe continuare a lungo, e allora basta, finalmente, veramente basta!Le nostre lamentele, le nostre lagnanze, il nostro malessere si devono trasformare in AZIONE LIBERATRICE.Dobbiamo ricordarci dei Vespri, dei Fasci, dei movimenti per la conquista della terra, di quanti hanno datola vita per la libertà di tutte/i. Occorre un nuovo protagonismo, una “rivoluzione democratica”, pacifica, non-violenta, che dia a tutti i soggetti disponibili a costruire il BENE COMUNE, la concreta possibilità del cam-biamento del vivere il presente e progettare il futuro, avendo come riferimenti LA DIGNITA’, L’EQUITA’, LAGIUSTIZIA.La Partecipazione in Sicilia non significa soltanto il pur arricchimento della democrazia, è lo strumento perscardinare un sistema opprimente, ostacolo violento alla crescita qualitativa di territori e comunità. E’ laconcreta possibilità per incidere su logiche e dinamiche discriminatorie, favoritismi, ingiustizie, produttricidi vuoti progettuali e di senso di smarrimento e rassegnazione ed è anche il modo attraverso cui le espe-rienze significative del territorio, le sensibilità , le idee, le progettualità, si possono esprimere e diventarereale forza di governo. Dobbiamo pensare, essere convinti sino in fondo che questo è possibile, che lastrada obbligatoria per non cadere negli inutili e dannosi compromessi di quella politica che sempre più faperdere senso e significato all’esistenza stessa.A Pollina la partecipazione è stata oggetto di una riflessione di un’Agorà specifica. La gestione partecipatadel territorio, l’accesso comunitario alla gestione dei beni comuni, l’estensione stessa del concetto di benecomune all’ambiente ed il territorio, sono stati punti centrali di tale riflessione e base di scelte precise darecuperare in una proposta di legge di iniziativa popolare che riconosca la democrazia diretta basata sullaPartecipazione come elemento fondamentale della democrazia, strumento di emancipazione, da assumerecome metodo di governo a tutti i livelli dai Comuni, alle Provincie, alla Regione.E’ una strada difficile ma affascinante e necessaria perché ognuna/o di noi sia ancora capace di coniugareil verbo ESSERE.

Editoriale

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La rivoluzione democraticadi Sicilia Bene Comune

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di CARLA ROSTAGNO

auro nasce a Torino il 6Marzo 1942 da una famigliadella media borghesia tori-

nese (la famiglia operaia, versionedi origine sessantottina, fu una"forzatura" in linea con i tempi),frequenta la scuola cattolica delRosmini alle elementari e quelladei Salesiani fino alla licenza li-ceale.La formazione cattolica, forte-mente voluta da nostra madre, el'ambiente famigliare segnato daaccese discussioni su temi socialie civili, sviluppano in Mauro unprofondo bisogno di verità e giusti-zia con una particolare sensibilitàverso il mondo dei più deboli.Dopo un periodo di circa due anniin cui frequenta a Milano la Fa-coltà di Lingue che lo rende in-quieto e insoddisfatto, decide,dopo un forte scontro con nostropadre, di trasferirsi a Trento periscriversi alla neonata Facoltà diSociologia.Trento è una città chiusa ed ostileai cambiamenti, che si trova im-provvisamente sommersada una gioventù avventurosa, uto-pista e irrequieta, e che sembradarsi appuntamento proprio lì. Incattedra siedono tra gli altri Benia-mino Andreatta, Giorgio Galli,Chiara Saraceno e per un certoperiodo anche Norberto Bobbio eFrancesco Alberoni.Gli studenti sono impegnati ed im-pegnativi: reclamano più corsi, piùtesti da leggere e più spazi per leloro riunioni. Mauro diventa benpresto il leader carismatico del

Movimento Studentesco Trentino,infiamma le discussioni e gli animima è anche scanzonato e diver-tente; inventa e scrive slogan suimuri dell'Università di cui il più fa-moso è: "Non vogliamo un postoin questa società, ma vogliamocreare una società dove valga lapena trovare un posto". Sarà pro-prio la Facoltà di Sociologia ad an-ticipare la liberalizzazionedell'accesso all'Univer¬sità a se-guito delle pressanti richieste deglistudenti, fu l'ultima Università diélite e la prima Università dimassa.Nonostante le provocazioni e gliscontri verbali Mauro stringe unrapporto di stima ed affetto con ilProfessore Francesco Alberoni

che durerà ben oltre il periodotrentino.Nonostante avesse terminato gliesami già nel '68 con una se-quenza di 30 e lode decide soloun anno dopo di presentare e di-scutere la tesi: decisione contro-corrente, pesantemente attaccatadai compagni che contestavanoquel "pezzetto di carta" simbolodel sistema che criticavano. In re-altà per Mauro la laurea è l'ultimoregalo a nostra madre, ormai con-dannata da un male incurabile.La Commissione era formata daBeniamino Andreatta, NorbertoBobbio e Francesco Alberoni, chedecise per un 110 e lode ed enco-mio solenne.Di quegli anni disse: "Fu un inna-

“Vi racconto mio fratelloMauro, l’ultimo scapigliato”

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moramento collettivo e un modosplendido di vivere la giovinezza".Chiusa la fase trentina Maurotorna a Milano dove collabora algiornale di Lotta Continua e parte-cipa a varie iniziative e manifesta-zioni; nel '72 viene mandato aPalermo per coordinare e dirigereil movimento di Lotta Continua inSicilia. Ci va con Chicca che è di-ventata nel frattempo la sua com-pagna di vita e con la quale avràuna figlia, Maddalena. Uno degliepisodi emblematici di quel pe-riodo è l'occupazione da parte deisenza tetto della Cattedrale di Pa-lermo, durante la quale il Cardi-nale Pappalardo intervenne asorpresa con un'omelia toccanteche Mauro ricorderà ancora neisuoi ultimi anni.Insegnò anche per un breve pe-riodo all'Università di Palermo: isuoi corsi sono seguitissimi mal'esperienza si conclude per l'op-posizione dell'Ateneo che non ap-prova i suoi metodi diinsegnamento, scapigliati e con-trocorrente. Nel '76, a Rimini, dopoun violento attacco delle femmini-ste, L.C. si scioglie e Mauro tornaa Milano dove con Chicca e altriamici apre un locale, "Macondo",primo luogo alternativo "luogo ma-gico in cui si può stare, comuni-care, incontrarsi … un gigantescoporto di mare" dove finalmentesembra che la "fantasia sia andataal potere".E' un successo di pubblico straor-dinario prima, uno scandalo con lachiusura del locale poi,e l'arresto dei tredici soci fondatori,tra cui Mauro, con l'accusa infa-mante di spaccio di sostanze stu-

pefacenti. Nonostante una campa-gna giornalistica denigratoria, ilprocesso per direttissima che nesegue fa luce su tutti gli equivoci, itredici furono assolti e venne lororiconosciuto di aver agito"per mo-tivi di particolare valore morale esociale".Un altro capitolo della sua vita sichiude e Mauro ne esce provato,deluso e amareggiato tanto da de-cidere di mettere l'oceano dimezzo e di andarsene in India conChicca e Maddalena, per ritrovarese stesso o come dice nell'elencodi dediche del suo bellissimo libro"Crack, si è rotto qualcosa" (chescrisse di getto e pubblicò subitodopo l'esperienza di Macondo):"A me che spero di conoscere un

giorno".Dopo circa due anni rientra in Ita-lia e nell'80 si stabilisce a Trapani,con Chicca eFrancesco Cardella fonda laSaman (parola sanscrita che si-gnifica canzone, la canzone cheporta ordine al caos) una Comu-nità terapeutica per tossicodipen-denti in cui vengono coniugatemetodologie orientali ed occiden-tali per il recupero delle personeche hanno "difficoltà a vivere", Peranni Mauro si dedica esclusiva-mente al lavoro in Comunità fino algiorno in cui accetta di collaborareprima, e di lavorare a tempo pienopoi, in RTC (RadioTeleCine), unatelevisione privata trapanese:Mauro porta con sé, per un reinse-

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rimento lavorativo, alcuni ragazzidella Comunità in fase ultimata direcupero.Inizia così, quasi per caso, l'ultimaavventura, l'ultima delle tante vitedi Mauro.Inizia con una scommessa daparte dell'editore su di lui, sullasua intelligenza, sulla sua capa-cità di comunicare, di avere se-guito, di conquistare simpatie eattenzione e per la sua grandesensibi¬lità ai problemi dei singolicittadini e della città.Mauro, grazie alla serietà e all'im-pegno profuso nel suo lavoro, re-sterà nella memoria collettiva dellaTrapani onesta come l'artefice diuna vera e propria "primavera tra-panese", di un sogno possibile darealizzare.Una speranza soffocata nel san-gue la sera del 26 Settembre 1988dai sei colpi che per chiudergli labocca gli stroncarono la vita.Sono molti i ricordi belli che ho di

mio fratello ma quando penso a luiricordo soprattutto la sua dolcezza.Un episodio mi colpì particolar-mente: la storia di Veronica, unaragazzina autistica che per unbreve periodo frequentò Saman.Era un caso difficile e Mauro si in-namorava sempre dei casi difficili:nonostante l'impegno televisivocercava di stare con lei il più pos-sibile, sfruttando anche i momentidei pasti. Cercò in ogni modo dicomunicare con lei e, non socome, ci riuscì attraverso la mu-sica e le canzoni.La notte in cui Mauro venne uc-ciso, raccontarono i genitori, sep-pero la notizia dal telegiornale eVeronica corse a chiudersi in ca-mera, prese la sua chitarra ecantò il suo dolore con una can-zone che diceva: "Signore è statauna svista, abbi un occhio di ri-guardo per il mio chitarrista".Non mi sono resa conto del peri-colo che correva, né lui mi riferì

mai di preoccupazioni o minacce.Solo nelle ultime telefonate lo sen-tii più triste o irritato, cosa insolitaper lui e gli chiesi cos'era che nonandava e lui sdrammatizzò le ra-gioni del suo malumore per met-tere fine alle mie domande.Pochi giorni prima della sua morteho avuto come un presentimento,ho avuto paura per lui. Monica, lamaggiore delle sue figlie, avutadopo un breve matrimonio giova-nile concluso con un divorzio, midisse che aveva parlato al telefonocon Mauro che aveva giustificatoun mancato viaggio a Torino per-ché la situazione a Trapani sistava facendo pesante e i mortiammazzati erano aumentati inmodo preoccupante.Quel maledetto lunedì la miapaura si è concretizzata conl'unica notizia che non avrei maivoluto sentire. Ho avuto bisogno diun lungo periodo per mettere afuoco e accettare l'idea che Mauro

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non c'era più, solo un anno dopoho sentito il bisogno di sapere ecapire chi e perché aveva volutoucciderlo. Ho sempre pensato edetto che questo per me era undelitto politico-mafioso; nel corso diquesti 22 anni ci sono periodi di in-dagini scadenti e pasticciate, depi-staggi ben orchestrati reperti"smarriti", registrazioni smagnetiz-zate, brogliacci distrutti.Grandi fatiche fisiche e psicologi-che e ansie incontrollabili mihanno procurato le battaglie con-dotte in solitudine, per oppormi ef-ficacemente alle molteplicirichieste di archiviazione via viasuccedutesi negli anni: volevo riu-scire ad evitare una chiusura tom-bale delle indagini, ingiusta eoffensiva per la memoria di miofratello, per il suo impegno e per ilsuo sacrificio. Più che abbando-nata non mi sono sentita soste-nuta, è stata una battaglia lunga esolitaria con molti ostacoli e inde-biti attacchi: sono stati momenti didolore e sconforto. Spero che ilprocesso che si sta celebrando aTrapani faccia emergere quelle"zone d'ombra" che finora, perpaura o per interesse, non sonostate dissipate. Come ha detto unavolta lo stesso procuratore AntonioIngroia, “fu mafia ma non solomafia”. Dunque c'è ancora della strada dafare, e molto dipenderà oltre chedalle testimonianze che sperodiano risposte esaustive, anchedagli avvocati che dovranno riu-scire, nel corso degli interrogatori,a far emergere nuovi dettagli ocontraddizioni illuminanti.

Ci sono voluti quasi 23 anni per arrivare al dibattimento. E solo lo scorso 2febbraio è iniziato davanti la Corte d’Assise di Trapani presieduta da AngeloPellino, il processo per il delitto di Mauro Rostagno, il sociologo egiornalista, fondatore di Lotta Continua, e che a Trapani arrivò guidando lacomunità di recupero per tossicodipendenti Saman. All’attività di terapeutaaffiancò quella di cronista, divenendo capo redattore della tv privata Rtc. Isuoi editoriali secondo le conclusione di una indagine andata avanti traarchiviazioni e clamorose svolte, hanno armato la mano dei mafiosi che avevanofastidio dei suoi interventi giornalistici. Era il 26 settembre del 1988 quandoRostagno fu ucciso, proprio a poca distanza dal cancello della Saman, nellecampagne di Trapani. Omicidio quanto mai misterioso visto che, come ha anchetestimoniato la figlia della vittima, Maddalena lo scorso 9 marzo, i nemici diRostagno erano numerosi: criminalità organizzata locale, i ‘compagni’ dellacomunità Saman, i servizi deviati che forse volevano vendicare l’assassinio delcommissario Calabresi, e anche gli stessi ex compagni di Lotta Continua, cheforse volevano cucirgli la bocca per sempre. Certo che Mauro Rostagno perquanto riguarda i nemici non si era certo risparmiato. Già alle prime battutedel processo è venuto fuori il forte contrasto tra Polizia e Carabinieri sullepiste da seguire e gli stessi pm della Dda Antonio Ingroia e Gaetano Pacihanno parlato di depistaggi nelle indagini. Nel 1988 la Polizia con l’alloracapo della Squadra Mobile, Rino Germanà, firmò un rapporto dove indicava lamatrice mafiosa del delitto. Nello stesso periodo i carabinieri seguivano lapista interna alla Saman, il generale Nazareno Montanti sentito in aula dopoGermanà ha sostenuto che per loro non c’erano elementi investigativi chepotevano fare ricondurre alla matrice mafiosa, posizione che il pm Paci hastigmatizzato in modo emblematico. Imputati sono il capo mafia di TrapaniVincenzo Virga e il killer Vito Mazzara, già condannati all’ergastolo per altrireati. Secondo la ricostruzione dell’accusa il delitto Rostagno è maturato n uncontesto dove Cosa nostra aveva paura che Rostagno in tv denunciasse leconnessioni che andavano maturando nel tempo e che oggi hanno portato a quellacosiddetta mafia sommersa che non vive più di racket e tangenti, ma gestisceimprese e appalti pubblici. Tra gli atti del nuovo processo, ci saranno anche i 3 minuti delle prime immagini girate nel luogo dell'omicidio, riprese dall'operatore di Telescirocco, Agostino Occhipinti e mai acquisite nelle precedenti inchieste. E questo grazie all’indicazione di Carla Rostagno, sorella del giornalista assassinato. Molti depistaggi e troppe omissioni hanno impedito finora di far luce su questo delitto, uno dei tanti delitti impuniti in questa Italia dei misteri.

Depistaggi, misteri e omissioniUn processo lungo 23 anni

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Il punto

di RITA BORSELLINO

barconi affondano e il Medi-terraneo è tornato ad essereil cimitero dei disperati. Un ci-

mitero che l’Italia e l’Europa guar-dano a braccia conserte,impegnate come sono a distri-carsi nel risiko della guerra inLibia. Mentre l’Africa e il MedioOriente si infiammano. E dimenti-cando che oltre agli assetti geo-politici, c’è un fronte umanitario dicui bisognerebbe prendersi ca-rico. Questo per tratteggiare in breve ilquadro della tragedia (o delle tra-gedie) cui stiamo assistendo. Cisono responsabilità che da Bru-xelles arrivano a Roma, fino aLampedusa. Ed è da qui, da que-sto avamposto “occidentale” deimigranti africani, che bisogna par-tire per ricostruire, nel caos gene-rale, la logica fredda, egoistica esubumana che sta governando gliavvenimenti dell’area mediterra-nea.Pochi giorni fa, una claque forseinteressata , la stessa che fino apoco prima si univa ai cori di disa-gio e frustrazione della gran partedei lampedusani, ha omaggiato il“discorso del re”, di quel presi-dente del Consiglio, onorevole Sil-vio Berlusconi, che buon sensovorrebbe principale responsabiledel caos umanitario in cui da unmese versa l’isola. Lo ha omag-giato forse senza ascoltare, per-ché rileggendo le frasi dette dalpremier il 30 marzo scorso, ancheil più fedele dei tifosi dovrebbeavere un sussulto d’orgoglio. “Il

vostro premier – ha detto rag-giante - ha il vezzo e l’abitudine dirisolvere i problemi. Fino a ierinon avevo la soluzione al pro-blema chiara e quindi non mi ave-vate ancora visto. Poi ho messo apunto un piano, già scattato dallamezzanotte di ieri. Con Tremontiabbiamo trovato i mezzi per la so-luzione del problema. Ed oggi ec-comi qui raccontarvelo”.Ma come? C’è voluto un meseper scoprire che l’Italia, uno deipaesi più ricchi del mondo, mem-bro permanente del G8, ha imezzi economici per far fronteagli sbarchi? Il ministro Maroni,più di un mese fa, prendendoselacon l’ignavia dell’Unione europea,aveva detto che ci sarebbe statoun esodo biblico dall’Africa, concifre che variavano, a secondo delmedia interlocutore, da 50 mila a150 mila migranti in arrivo. Dall’Uesono arrivati 80 milioni euro, dal-l’Africa meno di 30 mila migranti.Eppure, nonostante l’allarme delsuo ministro, al premier Berlu-

sconi ci sono voluti più di 30giorni per accorgersi della situa-zione e provare a farvi fronte. Sa-rebbe questo il governo del fare? Ciò che fa rabbia, in tutto questo,al di là del danno irreparabile ar-recato all’economia di Lampe-dusa, è soprattutto il trattamentosubumano che è stato riservato aimigliaia di uomini, donne e bam-bini ammassati in quel porcile so-prannominato la “Collina dellavergogna”. La verità è che se,come sarebbe avvenuto in qual-siasi grande Paese dell’Occi-dente, il piano d’emergenza fossestato varato un mese fa, non cisarebbe stata nessuna “Collinadella vergogna”. Trasformare Lampedusa in unavalvola di sfogo della dispera-zione è servito a un progetto poli-tico ben preciso. E’ servito,innanzitutto, a tenere a bada le ri-mostranze politiche della LegaNord e delle amministrazioni ami-che, soprattutto del Settentrione,dove il successo berlusconiano

Lampedusa, politica e affaridietro l’emergenza indotta

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Il punto

deve tanto alla formula “Tolle-ranza zero con gli immigrati”. E’servito, poi, a trasformare gli sbar-chi in un’emergenza a uso e con-sumo di determinati business:quello del villaggio di Mineo, peresempio, complesso residenzialeche sarebbe deserto (e improdut-tivo) senza i migranti. O il busi-ness del casinò promesso ailampedusani: un tema, quello deicasinò, caro a diversi potentati im-prenditoriali e politici (il ministroBrambilla e il governatore Lom-bardo, per esempio). Ma i poten-tati hanno finora risolto poco,visto che persistono diversi dubbicirca l’opportunità di aprire dellesale da gioco in una Regione chefa ancora i conti con la mafia. Ta-ormina è stata più volte stoppataper questa ragione. Costruire uncasinò a Lampedusa, con lascusa di un “risarcimento” socioe-conomico agli imprenditori locali“vessati” dagli sbarchi, mette-rebbe a tacere i dubbi e potrebbeaiutare a sbloccare l’affare Taor-mina (“Lì sì e qui no?”).Ma tornando alle ragioni stretta-mente politiche che sottendono aquella che ho fin dall’inizio definitoun’“emergenza indotta”, non si puòcerto dimenticare il tentativo dicoprire con il “caos organizzato” ilfallimento delle politiche sull’immi-grazione del governo. Ministri edeputati del centrodestra, infatti,continuano a ripetere la litania delrispetto del “reato di clandestinità”.Ossia, visto che dei ventimila epassa migranti la stragrandemaggioranza viene dalla Tunisia,ossia un paese che non è più inguerra, bisogna considerarli for-

malmente “clandestini” e quindinon possono essere accolti. Fac-ciamolo, allora, rispettiamo lalegge: mettiamo in carcere questiventimila “delinquenti”, come pre-scrivono le nuove lungimirantinorme volute dal governo, e pro-cessiamoli. Come tutti i rei, hannodiritto pure loro a un processo ono? L’altra strada da percorreresarebbe quella dei rimpatri. Mavenuta meno la sponda dellaLibia, l’unico modo per farlo sa-rebbe quello di rispedirli in Tuni-sia, stringendo un accordo colnuovo governo subentrato all’exdittatore Ben Ali. E qui cascal’asino: il giorno dopo il suo di-scorso a Lampedusa, Berlusconiha dichiarato: “La Tunisia non ri-spetta accordi”. Ah, bene. E oracome la mettiamo con i rimpatri?In tutto questo, poi, ci sono dueaspetti che vengono ignorati. In-nanzitutto, i rimpatri, pur facen-doli, non possono essere dimassa (lo vietano le leggi interna-zionali) ma individuali. Ossia, oc-corre che vengano fatte le dovuteprocedure di riconoscimento. Pro-cedure che richiedono tempo. Insecondo luogo, in Tunisia c’èstata una guerra civile che hamesso contro oppositori e soste-nitori di Ben Ali. E’ chiaro che afuggire dalla Tunisia, oggi, cisiano anche gli sconfitti dellaguerra civile, che temono riper-cussioni da parte del nuovo go-verno. A prescindere dal giudiziosu Ben Ali, come ci poniamo di-nanzi a essi? Hanno diritto omeno alla protezione (che è cosadiversa dall’asilo politico e che èprevisto dal nostro ordinamento)?

Insomma, le questioni sono tantee complesse. Affrontarle tutte in-sieme in un momento così deli-cato è cosa faticosamente inutile.La verità è che tutto andava fattofuorché creare un’emergenza. Bi-sognava predisporre da subito unpiano di contenimento dei flussicon centri di identificazione e ac-coglienza (anche le tante ca-serme vuote sparse nel territorio)dislocati nelle varie regioni e con imezzi adatti (che oggi si sono tro-vati) per velocizzare i trasferi-menti. Bastavano 60 ore, comeha detto con un mese di ritardo ilpremier.Avviata questa macchina di realesolidarietà, il governo avrebbeavuto e avrebbe tuttora il tempo diconcentrarsi a dovere sugli aspettigeopolitici: la guerra in Libia, gliaccordi di cooperazione con laTunisia, il braccio di ferro conl’Europa. Già, l’Europa. L’atteggia-mento della Francia, che con laforza, dalle parti di Ventimiglia,sta bloccando i migranti tunisiniche bussano alle sue porte, èl’emblema dell’atteggiamentoegoistico e miope tenuto in questigiorni da molte frange politichedell’Unione. L’Italia ha ragionequando dice che Bruxelles e glialtri paesi europei stanno facendotroppo poco. Nessuno vuole i mi-granti in casa propria. In pratica, l’Europa sta facendoall’Italia quello che le regioni delNord stanno facendo a Lampe-dusa. E quello che noi tutti stiamofacendo al vento di democraziache soffia tra i giovani arabi al dilà del Mediterraneo.

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Mondo

di FARID ADLYdirettore “Anbamed, Notizie dalMediterraneo”, collaboratore di Corriere della Sera e Radio Popolare Network

ivo questi momenti con ango-scia. Sono convinto antimili-tarista, pacifista e

nonviolento. Vivo la guerra libicacome una sconfitta personale. Lamia generazione di libici è fallita.Non abbiamo fatto abbastanza persconfiggere politicamente la ditta-tura gheddafiana. L'opposizioneera frantumata in mille rivoli, daimonarchici fino ai socialisti, matutti regolarmente all'estero e unocontro l'altro. Perché all'interno delpaese c'erano soltanto Abu Selim(eccidio di 1200 detenuti politici,nelle loro celle, il 26 Giugno 1996)oppure le esecuzioni in pubbliconegli stadi. Non abbiamo avutosufficiente voce per farci sentire e,forse, anche il mondo non ci avevadato ascolto, perché le orecchiedei grandi erano tappate da cerottidi petrolio e dalla carta monetadelle commesse di armamenti.Perché considero giusta la richie-sta della No Fly Zone, da parte delConsiglio Nazionale Transitorio Li-bico (CNTL)? Perché era l'unicastrada per la salvezza dei giovanilibici che hanno dato avvio a que-sta rivoluzione, a questa resi-stenza. Il CNTL non ha chiesto, elo ha ribadito anche nella giornatadi ieri (lunedì 21), bombardamentisulla residenza di Gheddafi a BabAzizie per ucciderlo. “DestituireGheddafi è un compito nostro e lofaremo mobilitando il nostro po-

polo in questa resistenza formida-bile che unisce tutto il paese”, hadetto l'avvocato Abdel HafeezGhouga. E' un diritto sacrosantoalla sopravvivenza!E', parimenti, diritto dei miei com-pagni pacifisti italiani dichiararsicontrari all'intervento delle potenzeoccidentali, ma non mettano incampo ragioni che riguardano lanostra ricchezza petrolifera o ilconcetto di sovranità nazionale.Non ho dubbi che USA, Francia eGB non sono lì a difendere il miopopolo. Non ci sono guerre umani-tarie. Lo so che sono lì per il pe-trolio e per le commesse future. Laridicola polemica tra Francia e Ita-lia sul commando della missionedimostra ampiamente questo oc-chio rivolto al petrolio e rischia diallungare la vita al dittatore. Vi ri-cordo però che il petrolio ce l'ave-vano sotto il loro controllo ancheprima. Non hanno organizzato lorola rivolta in Libia. Per loro sarebbe

stato meglio se fosse rimasto tuttocome prima, quando ballavano coilupi.Un discorso a parte per il miliarda-rio ridens. Ha fatto ridere i polli eha trascinato l'Italia in una situa-zione ridicola. Un giorno dicevauna cosa e l'altro sosteneva il con-trario. Ha superato se stessoquando la mattina ha detto cheGheddafi è tornato in sella e poi lasera, dopo che ha capito le inten-zioni dell'ONU, ha cambiato ideaper dire: “Gheddafi non è più cre-dibile”. A Torino poi, dopo l'avviodella campagna militare alla qualepartecipa l'Italia, ha cambiato an-cora bandiera, dando credito alcolonnello.I compagni di ARCI e Tavola dellaPace hanno ragione a chiedereche l'Italia non abbia un ruolo at-tivo nei bombardamenti. C'è unadoppia ragione che consiglia ciò.La posizione altalenante di Berlu-sconi e Frattini è un dato che con-

“Io, libico che guardo alla guerracome a una sconfitta personale”

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siglia prudenza, ma la ragione piùforte è un'altra: l'Italia è stata unapotenza coloniale in Libia, que-st'anno ricorre il centenario del-l'aggressione italiana al suololibico (avete visto qualche cerimo-nia per ricordarlo?) e questo tra-scorso militare (i primibombardamenti aerei nella storiamilitare sono avvenuti a Kofra daparte di un aviatore italiano), con-siglia di astenersi completamentedal bombardare il territorio libicoda parte dell'aviazione militare ita-liana. L'Italia, se intende rimettere irapporti con il popolo libico sul bi-nario giusto, dedichi qualchepiazza a Omar Mukhtar, eroi dellaresistenza libica, proposta cheavevo avanzato sulle pagine delManifesto, oltre 10 anni fa, ma ca-duta nel dimenticatoio anche da

parte del compagno (?) Veltroni,allora sindaco di Roma.Se il governo italiano ha fatto unabrutta figura, peggio hanno fattocerti opinionisti, attaccati a con-cetti ideologici, dimenticando la re-sistenza italiana contro il regimefascista e contro la repubblichinadi Salò. Ecco, Gheddafi per noi li-bici rappresenta quello e i nostriragazzi sono i nuovo partigiani. Inquesti momenti, i democratici diTripoli vivono lo stesso sentimentodi quei partigiani di Milano che lot-tavano per la liberazione in unacittà sotto le bombe degli alleati.Noi vogliamo la libertà e metterefinire alla tirannia, scrivere una co-stituzione e scegliere, in elezionilibere, chi governerà la Libia. Que-sto processo è guidato da magi-strati, avvocati, medici, ingegneri e

cosa sento e leggo? Che la Libia èabitata da beduini. Si sono dimen-ticati che la Libia, nel 1804, ha sfi-dato e sconfitto gli Stati Uniti,freschi freschi di indipendenza(Professore. Giuseppe Restifo,“Quando gli americani scelsero laLibia come nemico” - Armando Si-ciliano Editore). Non so se questodice qualcosa a certi "signoroni"opinionisti italiani. Alcuni arrivanoa ripetere cliché retaggio del colo-nialismo culturale, dimostrandoignoranza della realtà libica. Noi oggi siamo protagonisti e vo-gliamo chiudere con il dittatore.Ben vengano tutte le proposte dimediazione internazionale, comequella del presidente Morales, perarrivare, per via pacifica, alla cac-ciata del sanguinario despota.

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di DANIELE COFFARORicercatore Università di Palermo

ono arrivato in Libia per lavoroe sono andato via da lì perguerra civile. È successo tutto

in poco tempo. Parto dall'Italia il 13dicembre per arrivare a Tripoli alleprime ore del 14 e da lì, durante lanotte, giungere a destinazione: Mi-surata. Mi accingevo a prepararmiad un mondo a me lontano, quello

arabo. È pur vero che il sangue sici-liano fa scorrere nelle vene testimo-nianze di storia araba nella miaterra, ma è passato circa un millen-nio da quando fummo colonizzati.Oggi, nel 2011 vado da europeo. Ilprimo approccio ufficiale con la Libiaè stato all'Ambasciata a Roma. Lìprovvedono ad apporre nel passa-porto il visto (di soli trenta giorni afronte di un incarico lavorativo chesarebbe durato un anno). In quellaoccasione scopro che la Libia è unaJamahirya che, se propriamente èun regime delle masse, concettual-

mente è una sorta di unione di po-poli, repubblica delle masse. Al mo-mento non mi era chiara la cosa.Poi, arrivato a Misurata, terza cittàdella Libia, mi sono andato chia-rendo le idee. Gheddafi non è un dit-tatore ma un capo rivoluzionario; icartelloni del colonello, che campeg-giano in ogniddove, ricordano che lanuova era è arrivata al quarantune-simo anno (cioè che il suo poteredura dal '69); scopro anche, dialo-gando con il mio collega arabista,che il socialismo è alla base del suopensiero. Le foto del leader libico siscorgono non solo nelle areeesterne, vie di accesso alle città,piazze, palazzi di particolare inte-resse, ma anche nelle stanze degliuffici e dei negozi.Sono andato in Libia perchè dopoaver risposto ad un avviso della Fa-coltà di Lettere e Filosofia di Pa-lermo ed essere stato selezionato,ero interessato ad una esperienzalavorativa di rilievo: da italianistaavere un incarico di docenza univer-sitaria annuale e rinnovabile non èipotizzabile né a Palermo né tanto-meno in Italia, sebbene in un si-stema universitario sano il miocurriculum dovrebbe naturalmentesfociare nell'insegnamento accade-mico strutturato. La realtà ammini-strativa locale non è duttile. Nonposso contare gli incontri con il per-sonale dell'Ateneo "7 ottobre" per-ché sono stati tanti, tantissimi. Sipuò dire che la mia attività si svol-geva tra la facoltà e le stanze del-l'Amministrazione universitaria.Chiarimenti, rinvii, attese, precisa-zioni e tutto quello che fa prendertempo avveniva con regolare scienti-

ficità. Nel frattempo però il mio vistoscadeva, l'amministrazione nonprovvedeva al rilascio del permessodi soggiorno e insorgeva la guerracivile. È stato tutto veloce, molto ve-loce. La giornata della collera eragià fissata per il 17 febbraio. Glieventi avevano già lasciato le loroindelibili tracce in Tunisia e in Egitto.Eppure, almeno all'apparenza, a Mi-surata non sembrava esserci alcunapreoccupazione. Ricordo che inter-rogato il mio Direttore di Diparti-mento sull'avvicinarsi della giornatadi protesta egli rispondeva incredulo,non capiva il motivo di lamentarsiper uno stato che in fin dei conti per-metteva alla stragrande maggio-ranza della gente di avere unamacchina, segno di prosperità. Magià giorno 16 vi era gente, soprat-tutto mamme e bambini, che manife-stava a favore del colonnelloportando in processione la sua im-magine; qualcosa di preventivo sistava muovendo. Anche nei giornisuccessivi non mancarono manife-stazioni pro Gheddafi. Ma c'eraanche tanta gente che è arrivata aprotestare apertamente contro. Tra il17 e il 19 febbraio, a Misurata, e nonsolo, la situazione è degenerata ca-dendo nella guerra civile, con tuttociò che essa comporta. Fortunata-mente ne posso scrivere. Sono statelunghe giornate e nottate di scontri.All'inizio la situazione appariva piùconfusa che mai. Sono stato preso asassate da un gruppo di ragazziniaizzati da un adulto mentre attraver-savo la città in bicicletta. Io straniero,bersaglio di chi? Piccoli gheddafianiche in quei giorni provavano il po-tere di lasciarsi andare, di manife-

“La mia fuga da Misuratamentre scoppiava la guerra”

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stare all'esterno la rottura di rigideregole sociali. Altri gruppi scorazza-vano per le strade sfoggiando capa-cità di guida da rallisti e portandotrionfalmente la foto di Gheddafi datenere in bella esposizione verso gliastanti. Anche in loro c'è un anelitoalla rottura di limiti. Il 19 in facoltàtrovo un manipolo di ragazzi esterniche portavano la fascia verde albraccio o al collo e che inneggia-vano (e costringevano a far inneg-giare) al colonnello. Nonostante ciò,però, la grande ribellione si manife-stava apertamente e cruentemente.In quei giorni, a detta dei ribelli,hanno lasciato la vita ben 1000 libiciribelli, di cui 100 soltanto a Misurata.Misurata è una città dove le tribùhanno un ruolo ancora molto forte. Icosidetti rivoluzionari (termine a mioavviso del tutto inadeguato) o ribelli(anch'esso non rispondente corret-tamente a delineare questi cittadinidella Libia) sono stati, con me e conchi era con me all'atto finale dellafuga, garbati e gentili. I locali hannoavuto un ruolo del tutto imprenscin-dibile. Se non fosse stato per loronon avremmo potuto raggiungere ilporto per imbarcarci. Avevamo giàtentato di lasciare la Libia via aria.Ma è andata male. Ancora la confu-sione regnava sovrana e non siamoriusciti neanche ad oltrepassare icancelli presi d'assalto dell'aereo-porto, ma sarebbe anche stato inu-tile perchè la pista era già statarovinata per evitare che le forze go-vernative potessero utilizzarla.Quello è stato un momento psicolo-gico nero. Eravamo tutti convinti cheavremmo lasciato davvero il paese.Avremmo dovuto attendere ancoraparecchi giorni prima di riprovarci.

Ricordo che la sera prima della par-tenza sentimmo alla televisione sa-tellitare il Ministro della difesaitaliana che parlava di operazioni direcupero di connazionali a Misurata:finalmente qualcuno si ricordava dinoi! Si sorrideva e alla tensione ac-cumulata da tanti giorni si dava unapossibilità di scaricarsi positiva-mente. Ormai ogni giorno, daquando ero arrivato al campo dellaImpregilo (straordinariamente orga-nizzata) si stava con le valigiepronte, portate al centro di raccolta,nella speranza che quella fosse lagiornata giusta. In più il tempo eradavvero inclemente e pioggia e raffi-che di vento imperversavano. Ognigiorno, ad ogni evenienza, ci si te-neva pronti già dalle prime ore dellamattina. Quando è arrivato il giornodella partenza la tensione era allestelle. Uscendo dal campo abbiamoattraversato parecchi posti di bloccodei ribelli. La città non aveva stradasenza un presidio. Inizialmente pro-cedevamo lungo la strada che correparallela al lungomare. Passati iprimi cinque o sei posti di blocco alsegno della vittoria, dietro sorrisi, -spesso dovuti alle parole d'intesache i locali che erano con noi scam-biavano con gli interlocutori checontrollavano i passaggi dei mezzidi trasporto per le strade di Misurata

– l‘autista del pullman nel quale mitrovavo frena. Rimane un minutofermo e fa marcia indietro. Ci ammu-tolimmo. Un altro italiano spintodalla comprensibile alterazioneemotiva continuava a ripetere"Niente, stiamo ritornando. Niente,stiamo ritornando..." Fortunata-mente si trattava soltanto di un osta-colo fisico, la strada era attraversatada una barricata di sabbia. Mentrel'autista tornava indietro infatti, dopoalcune centinaia di metri svoltavaverso la città: imboccava la stradapiù lunga ed esposta alla presenzadi eventuali cecchini, quella peròche ci avrebbe finalmente portatialla zona portuale. Una volta lì misono sentito più rassicurato e poiancora di più sulla chiatta e ancoradi più sulla S. Giorgio, la nave dellaMarina, ma mai definitivamentecome quando ho messo piede in Si-cilia dopo ben più di trenta ore di na-vigazione con mare grosso. Voglioqui ricordare il gesto di un ribelle di-sarmato. Quando dentro il portosiamo risaliti sul pullman egli ha ri-petutamente dichiarato la sua co-scienza civica invitandoci a far salireprima anziani e bambini. Una circo-stanza che non richiedeva tanta cor-tesia sia per le condizioni di urgenzae anormalità che per la confusioneche si era creata davanti l'entratadel mezzo. Eppure lo ha fatto. Hadetto più volte quella frase, simbolodi una maturità personale e della vo-lontà che questa diventi coscienzasociale. Un rappresentante dei ribellici ha invitato a portare il messaggioche loro non sono né drogati néhanno nulla a che fare con BinLaden.

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di ADEL JABBARSociologo e saggista

uello che sta succedendo nelmondo arabo e in particolarein Tunisia e in Egitto, come in

gran parte dell’area araba , sta adimostrare che è terminato un pe-riodo nel quale quasi tutti i paesiarabi hanno convissuto con lapaura. Hanno convissuto con larepressione, spesso feroce, consistemi assolutamente autoritari,dittatoriali, dispotici, con una com-ponente di corruzione molto evi-dente, con dei regimi che hannoescluso per anni buona partedella popolazione dalla partecipa-zione alla vita pubblica e politica,non solo impaurendo ma ancheimpoverendo. In conseguenza ditutto questo le manifestazioni dioggi sono caratterizzate da dueelementi: da una parte la rivendi-cazione della libertà e dall'altraparte la richiesta di giustizia so-ciale e soprattutto la richiesta di di-gnità. Dopo la caduta del muro di Berlinonell''89 il mondo arabo è rimastofuori da qualsiasi dialettica di cam-biamento, le manifestazioni di oggidimostrano che il clima di paura edi terrore è terminato e siamo difronte all'avvio di un nuovo pro-cesso. Quali saranno le fasi, i tra-guardi, le interpretazioni della vitapubblica è tutto da vedere, ma in-tanto queste manifestazioni dannoun segnale molto preciso: le popo-lazioni dei paesi arabi non sonopiù disposte a sopportare né lecondizioni economiche né le con-dizioni politiche in cui vivevano da

anni.Gli avvenimenti che stanno scuo-tendo le società arabe e travol-gendo i vari vassalli e satrapidimostrano: 1) che le popolazionehanno superato la paura che li haparalizzati per decenni e, di fattohanno trovato la forza di sconfig-gere la cultura dell’intimidazione edel terrore che i tiranni hannousato e usano come unico modoper governare; 2) che le élite,spesso secolari, non sono altroche combriccole familistiche distampo mafioso; 3) che i poteridell’occidente democratico hannosostenuto regimi corrotti e violentimettendo in primo piano i propriinteressi materiali dimenticandodel tutto la cultura dei diritti umani,della quale fanno uso, non di rado,in termini meramente strumentali;4) una maturità e una consape-volezza politica delle fasce giova-nili smarcata da riferimentiideologici novecenteschi; 5) chelarghi settori assumono la nonvio-lenza e la disobbedienza civilecome prassi per rivendicare i pro-pri diritti e la propria dignità,quindi smentendo e confutando illuogo comune che vuole le societàarabe imbevute di violenza e difanatismo religioso, appiattendol’immagine degli arabi sulla figura

di Bin Laden e di al-Qa‘aida; 6)l’assenza di retorica anti occiden-tale – non sono stati presi di mirané interessi né persone né simbolioccidentali – e il sapere parlare unlinguaggio transculturale in gradodi comunicare in un mondo di dif-ferenze e di molteplicità attraversoparole d’ordine quali dignità, li-bertà e giustizia.

Quali scenari?In molti si chiedono quali sarannole conseguenze di queste solleva-zioni. Si può tentare sommaria-mente di indicare due plausibilicambiamenti, uno di natura in-terna e l’altro di natura esterna.Relativamente alla realtà interna,si potrebbe avviare un corso poli-tico caratterizzato dal riconosci-mento di soggetti politici diversiche tenderanno a posizionarsi inun primo momento nel nuovo sce-nario creatosi e in un secondo mo-mento competeranno perl’acquisizione del consenso popo-lare tramite le urne. In questo pa-norama le varie e variegate visionidi stampo islamico giocherannocertamente un ruolo significativo,tuttavia non si tratterebbe di unruolo totalizzante e egemonico, adifferenza di quello che sosten-gono alcuni analisti. Anche sequalche formazione islamica occu-perà una posizione determinantenei nuovi assetti sarà comunquemolto vicina all’esperienza dell’at-tuale compagine turca democra-tico-islamica e quindi avrà dellesimilitudini con alcune delle espe-rienze democratiche cristiane inEuropa. Riguardo al secondo

Le rivolte nel mondo araboe la voglia di cambiamento

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aspetto, cioè quello esterno, icambiamenti che avverranno sa-ranno più lenti e si svilupperannocon una certa cautela. Uno deicambiamenti prevedibili riguarderàun ripensamento delle relazioni in-terarabe in funzione di una mag-giore collaborazione al fine diripristinare un qualche ruolo sullascena mondiale e acquisire unpeso politico rispetto alcuni temicaldi e sensibili, come per esem-pio la questione del popolo pale-stinese, la situazione dellaSomalia e i rapporti con l’Iran. Inoltre si cercherà di smarcarsi daalcune decisioni della politica sta-tunitense e di trovare una voce au-tonoma, senza doversi appiattiresulle scelte di Washington com’èavvenuto negli ultimi decenni (peresempio la partecipazione allaguerra contro l’Iraq, l’appoggio allaguerra contro l’Afghanistan e l’ade-sione ad un eventuale attaccocontro l’Iran).

Il caso LibiaI fatti libici e gli sviluppi sul terreno,fin’ora, dimostrano alcune diffe-renze rispetto ai due paesi vicinil’Egitto e la Tunisia. In questa sedeci preme sottolineare due aspettiche sembrano centrali: le risorsepetrolifere e la composizione dellapopolazione. Il petrolio suscita l’interesse di di-versi paesi, in primis gli USA, laFrancia, il Regno Unito e non solo,che stanno creando tutte le condi-zioni per legittimare un eventualeintervento militare. La presenza dinavi da guerra anche canadesi eperfino dalla Corea del sud sta adimostrare le mire di accaparrarsi

una fetta del petrolio nell’era post-Gheddafi. Presenza militare, pres-sioni diplomatiche, sanzioni econgelamenti dei beni all’esterosono provvedimenti che non sisono visti in precedenza ne nelcaso egiziano ne in quello tuni-sino e non si vedono neanche nelcaso dello Yemen.Riguardo all’aspetto della compo-sizione sociale in Libia persisteancora un forte sentire comunitari-sta, localista e particolaristico chenon di rado tende a sostituirsi aduna visione politica inclusiva. Aciò, forse, andrebbe attribuito ilmancato coinvolgimento di diversisettori e fasce della popolazionenelle proteste a differenza diquanto avvenuto nei due paesicontigui. Proprio in questi giorniseguendo le varie dichiarazioni ediversi pronunciamenti fatti da al-cuni esponenti dell’opposizione li-bica si nota un notevole divariorispetto alle voci dei movimentiegiziani e tunisini. Questi ultimihanno fatto percepire con moltochiarezza la presenza di una so-cietà civile dinamica e vivace, unasocietà in grado di elaborare unavisione unitaria malgrado le diffe-renze esistenti. Tali aspetti rischiano di rendere ilcammino della rivolta libica moltopiù tortuoso e cruente, il che po-trebbero aprire il paese a scenaridrammatici che lo avvicinerebberoalla traumatica esperienza ira-chena o alla tragedia somala. Sa-rebbe auspicabile quindi che illeader libico seguisse la via intra-presa da Ben Ali e Mubarak affin-ché la Libia trovi un propriopercorso di cambiamento.

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di ANGELO MELI

Se in Italia vogliamo un fede-ralismo vero, equo e solidaledobbiamo partire dalla Re-

gione siciliana, la prima regionefederale”. Nell’anno in cui si cele-brano i 150 anni dell’Unità d’Italia,tocca allo storico FrancescoRenda ricordare la primogenituradella Sicilia su molti istituti cheancora caratterizzano la Repub-blica Italiana. A cominciare dallaCostituzione: “La prima Costitu-zione liberale in Italia venne ap-provata nel 1812 dal ParlamentoSiciliano - ricorda - poi arrivò loStatuto Albertino”. Certo, la Costi-tuzione del Regno delle due Sici-lie era stata pensata da un’elitenobiliare e soffriva di grandi pre-giudizi, ma divenne un modello inEuropa. «E senza la Costituzionedel 1812 non si sarebbe fatta l’Ita-lia», sottolinea ancora Renda ri-cordando la successiva relazionepresentata dal Consiglio straordi-nario di Stato, convocato in Siciliacon decreto dittatoriale del 19 ot-tobre 1960, in cui viene nominataper la prima volta l’Isola comeuna regione e si chiede esplicita-mente un trattamento federale (*). «Rileggendo quella relazione -racconta Renda - ho scoperto chegli uomini politici siciliani e lette-rati che ne facevano parte critica-vano fortemente il modo in cui sistava formando lo Stato italiano elanciavano l’ipotesi regionalecome l’unico progetto che potesseconiugare la centralità statale conle esigenze autonomiste delle re-gioni come la Sicilia, ma anche la

Lombardia, la Toscana, l’Emilia». Isiciliani unitari lanciarono cosìl’ipotesi di creare alcune divisioniterritoriali, di due o tre milioni diabitanti ciascuna, dotate di Parla-mento e governo autonomo coor-dinati con il potere centrale diRoma. «La mia tesi è che l’Italiafederalista deve ripartire dalla Si-cilia - spiega Francesco Renda -creare cinque macroregioni che sirapportino con il parlamento cen-trale di Roma capitale e la ban-diera italiana tricolore». Unafederazione di regioni, insomma,così come la propose il Consigliosiciliano del 1860: Nord, Centro,Sud, Sicilia e Sardegna. Una pro-posta rilanciata nel suo ultimolibro pubblicato per i tipi dell’edi-tore Rubbettino in occasione dellecelebrazioni per l’Unità d’Italia.«Parlo di un federalismo che nonsi rifà a quello della Lega Nord-sottolinea - ma che partendo dallaSicilia coinvolga tutti gli italianicon un forte spirito unitario». Unaproposta politica, forse, ancoraprematura poiché occorre unaforte partecipazione popolare e alSud e in Sicilia la gente ha altro acui pensare, al momento. Il gover-natore regionale Raffaele Lom-bardo, leader del movimentoautonomista Mpa, potrebbe far-sene promotore, suggerisceRenda, ma da solo non ce la fa.Se vuole spingere per una veraItalia federalista che parta dalSud, deve coinvolgere le altreforze politiche e, soprattutto, i sici-liani. Certo, c’è molto da cambiare. So-prattutto il comportamento delle

persone che al Sud, e in Sicilia inparticolare, tendono a una certaindolenza. «Parliamo abbastanzae non facciamo a sufficienza»,chiosa Francesco Renda, «laprima vera riforma da fare è la ri-forma del comportamento, pas-sare dalle parole ai fatti». Unarivoluzione difficile da attuare, «bi-sogna cominciare da quanti cichiedono tutto senza dare niente».La principale critica rivolta al Sude alla Sicilia, spiega, è quella diavere un comportamento che aifatti sostituisce le parole. «Se vo-gliamo che Palermo o Catania di-ventino come Milano o Firenze,non basta il supporto economico -spiega - il primo problema da ri-solvere è il comportamento dellepersone». Ognuno faccia la suaparte, senza delegare l’impegno aterzi, e un primo importantepasso sarà compiuto. Il discorso è rivolto alle persone dibuona volontà. Renda è stato unodei fautori dell’Autonomia sicilianache ora considera largamentescreditata. «Pur avendo creato ot-timi istituti - continua - la Regionenon ha saputo realizzarne l’effi-cienza». Anzi, negli anni i vari am-ministratori che si sono succedutihanno screditato queste preroga-tive sino a renderle penalizzantiper l’Isola. «Oggi siamo simbolodi spreco e lassismo», dice,«mentre potremmo essere un mo-dello di sviluppo». La Sicilia godedi uno Statuto Speciale innova-tivo, che ha il rango di legge costi-tuzionale e la pone quasi al livellodello Stato. «Molto più di una Re-gione e poco meno di uno Stato»,

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“L’Italia federalista riparta dalla Sicilia”Il modello equo e solidale di Renda

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sottolinea. Ci sono i presuppostidi un riformismo in chiave fede-rale, mancano gli uomini. Anzi, laclasse dirigente e gli uomini poli-tici sono stati sospettosi e diffi-denti verso questa autonomia,spesso l’hanno osteggiata. Non èstata solo questione di soldi, sonole istituzioni a non aver funzio-nato, lasciando l’Isola nel sottosvi-luppo e nell’arretratezza. «Eppure, non ci può essere fede-ralismo in Italia senza la parteci-pazione decisiva della Sicilia -conclude - . parlo di un federali-smo che non è quello della Lega,beninteso». La proposta è quellaavanzata dal Consiglio straordina-rio di Stato del 1860, ancora vali-dissima. Conteneva pure unaproposta che quasi cento anni

dopo sarebbe diventato l’articolo38 dello Statuto siciliano, quelloche ha imposto per tanto tempoallo Stato di sborsare un contri-buto di solidarietà alla Sicilia, perintenderci.

(*) Il Consiglio straordinario di Statovenne convocato a Palermo dalprodittatore Antonio Mordini su in-carico del re Vittorio Emanuele per«studiare ed esporre al governoquali sarebbero, nella costituzionedella gran famiglia italiana, gli or-dini e le istituzioni su cui convengaportare attenzione, perché riman-gano conciliati i bisogni peculiaridella Sicilia con quelli generali del-l'unità e prosperità della NazioneItaliana», si legge all’articolo 1. Nefacevano parte Gregorio Ugdulena(presidente), Mariano Stabile ed

Emerico Amari (vicepresidenti), An-drea Guarneri e Isidorolo La Lumia(segretari) e i consiglieri: MicheleAmari, Giacinto Agnello, GiacintoCarini, Stanislao Cannizzaro, Gio-vanni Costantini, Pietro Calì, Gae-tano Daita, Francesco Di Giovanni,Giovanni D'Ondes, Barone VitoD'Ondes, Francesco Ferrara, ErcoleFileti, Giuseppe Fiorenza, GaetanoLa Loggia, Marchese Lungarini,Paolo Morello, Federico Napoli,Giuseppe Natoli, Casimiro Pisani,Domenico Peranni, Domenico Pi-raino, Francesco Paolo Perez, Mat-teo Raeli, Marchese Roccaforte,Giovanni Raffaele, Filippo Santoca-nale, Nicola Sommatino, PietroScrofani, Vincenzo Torrearsa, NicolòTurrisi, Giulio Verdura, SalvatoreVigo.

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Buone pratiche

di CALOGERO PARISI

a Cooperativa Sociale Lavoroe Non Solo gestisce dal 2000un’azienda agricola sui ter-

reni confiscati alla mafia nei terri-tori di Corleone, Monreale eCanicattì. Costituita a Canicattì,nel ‘98, dalla collaborazione tral’Arci e il Dipartimento di SaluteMentale, si inseriva nel percorsodi rinnovamento con cui l’Arci Sici-lia intendeva porsi come soggettopolitico di un cambiamento possi-bile, anche dando vita a impresesociali capaci di dare lavoro ecreare sviluppo, fondate sui prin-cipi etici e di inclusione sociale aiquali l’associazione è legata dasempre.Nel ’99 Pippo Cipriani, allora Sin-daco di Corleone, affida i primiterreni alla cooperativa e adessoha lì la sua sede, in un immobileconfiscato alla famiglia Grizzaffi(nipoti di Totò Riina), intitolata alGiudice Antonino Caponnetto.La cooperativa collabora fin dal-l’inizio con il Dipartimento di Sa-lute Mentale di Corleone per leattività di inserimento lavorativodei soci e lavoratori con svantag-gio. Le sue modalità di interventosono legate alla scelta precisa direnderli partecipi e protagonistidel proprio percorso di integra-zione nel tessuto sociale, a par-tire dal riconoscimento senzaambiguità dei diritti di cittadi-nanza: l’abitare e il lavorare. Que-sti diritti sono pilastri portantidell’autonomia di ognuno e quindifondamentali per l’ intervento ria-bilitativo ed integrativo. Ogni indi-

Prodotti biologici e campi di studioL’avventura di Lavoro e Non Solo

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Buone pratiche

viduo, per superare la solitudine el’isolamento causati dalla condi-zione di fragilità psichica, è alla ri-cerca di appartenenze, di legamisignificativi e la cooperativa con lesue attività permette di sperimen-tare risposte a questo bisognoprimario, puntando sulle reali pos-sibilità di cambiamento della per-sona singola quando entra a farparte di un contesto di gruppo,cercando di provvedere alla sicu-rezza emotiva ed economica. Ipiccoli e grandi risultati raggiunti,ma anche gli errori commessi nelquotidiano, hanno funzionato dastimolo per raggiungere maggiorecoesione e anche se si sono vis-suti alcuni momenti difficili questonon ha influenzato negativamentesul percorso perché sono stati cir-coscritti e gestiti dall’intero gruppo

come occasione di crescita indivi-duale e collettiva.La cooperativa ha scelto fin dal-l’inizio il biologico, come altrosegno di rinascita di quei territori,perché insieme al riscatto dei di-ritti sociali riviva anche il rispettodell’ambiente e del terreno. Attual-mente la cooperativa coltiva 150ettari di terreni confiscati sparsiper il territorio e produce, trasfor-mando i frutti della terra, vino, se-mola di grano duro, passata dipomodoro, ceci, lenticchie, capo-nate, marmellata di fichidindia …che vengono commercializzati intutta Italia attraverso le botteghedel mondo, i gas, le associazionie la grande distribuzione Coop.Ogni estate, nel periodo delle rac-colte, la cooperativa organizzacampi di studio e lavoro nell’am-

bito del progetto “Liberarci dalleSpine”. Durante i campi, della du-rata ciascuno di due settimane, sisvolge alla mattina il lavoro incampagna, per le raccolte estivedi grano, pomodori, melanzane,mandorle, uva.. mentre al pome-riggio i volontari e le volontariepartecipano a incontri, seminari ediscussioni con esponenti delmondo dell’antimafia, delle istitu-zioni locali, associazioni, magi-strati, forze dell’ordine etestimoni di avvenimenti storiciche hanno segnato questi territori.I campi hanno un valore moltogrande per l’ Arci e la cooperativaLavoro e non solo, come mezzoper entrare in contatto con le gio-vani generazioni, creare parteci-pazione e relazione; inoltremettono in contatto realtà locali di-verse, creando occasioni di scam-bio e vera conoscenza reciprocae sono una pratica concreta dipromozione di una cultura fondatasulla giustizia sociale, sulla lega-lità democratica, sulla partecipa-zione, sui diritti che devonoefficacemente contrapporsi allacultura del privilegio, del ricatto edella delega. Sono un concretoaiuto al lavoro della cooperativa ealla sua presenza sul territorio.La cooperativa Lavoro e NonSolo, questa la sua storia, l’av-ventura che vive giorno pergiorno, sapendo che la strada èancora lunga e non facile, ma chemettendosi in relazione vera esperimentandosi sempre connuovo entusiasmo si trova il mododi andare avanti.

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Buone pratiche

di MARIA TOMARCHIOe VIVIANA LA ROSA

l coordinamento regionaleOrti di pace in Sicilia, natonel contesto delle attività

della cattedra di Modelli di proget-tazione pedagogica e politicheeducative della Facoltà di Scienzedella Formazione dell’Universitàdi Catania su proposta del gruppodi ricerca che fa capo a Maria To-marchio, si propone di mettere inrete e valorizzare appieno le nu-merose, variamente articolate,esperienze educative, didattiche,rieducative, riabilitative e di soste-gno alla persona condotte me-diante pratiche di coltura di piantee alberi, nella consapevolezzache la cura della terra è, sempre,esperienza per tutti e di tutti. Col-locandosi all’interno di un idealeorizzonte di sistema formativo in-tegrato, obiettivo della rete Orti dipace in Sicilia è dare vita ad unproduttivo e sistematico scambio

di esperienze dal quale potertrarre non soltanto importanti sol-lecitazioni in direzione di un sem-pre più evoluto e mirato itinerarioformativo su rete diffusa, maanche accordi e strategie finaliz-zati ad interventi condivisi e pro-grammati ad ampio raggio,valorizzando ogni specificità pro-pria del territorio siciliano. Guardando soprattutto, ma nonsoltanto, al mondo della scuola,l’orto diviene luogo di cura educa-tiva, terreno di incontro tra naturae cultura, spazio di dialogo traculture diverse, esperienza privi-legiata di educazione intercultu-rale. Coltivare un orto a scuola èesperienza educativa sia perchécostituisce un campo cui attingereper promuovere naturalmentel’acquisizione di conoscenzenell’ambito delle materie currico-lari, sia perché si “mettono afrutto” abilità a più ampio raggio,si impara a rispettare i tempi del-l'attesa, a mettere in gioco capa-

cità previsionali. L’orto, e il giar-dino in senso lato, quindi, costitui-scono il luogo ideale perintrecciare tutta una serie discambi con la natura, l’ambientee la comunità, per rispondere asempre più inderogabili istanze dirinnovamento educativo-didatticoin ambito scolastico. E’ così possibile volgere versopratiche educative che siano cen-trate non solo sulla cura dellaterra, ma anche, soprattutto, attra-verso la terra, interpretata qualeluogo di importanti esperienzed’apprendimento/apprendistatodelle più significative regole chesovrintendono alla vita, luogo dicrescita, di risoluzione di conflittied esercizio della speranza, di ar-monico sviluppo delle potenzialitàdell’essere umano nel contesto diquel sinergico, diversificato, si-stema di forze che è la natura. E’ un cambiamento di prospettivache si propone di valorizzarel’orizzonte, non di rado ristretto, di

Gli orti nelle scuoleper coltivare la pace

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alcune esperienze di educazioneambientale, spostando il vettoreverso l’assunzione di un’eticadella responsabilità che possaoperare una riconversione del-l’uomo da fruitore a produttore,generando, di converso, unaormai imprescindibile assunzionedi consapevolezza rispetto ai tantiquotidiani comportamenti di con-sumo.Importante diviene altresì recupe-rare memoria “operante” di espe-rienze educative di coltura dellaterra che hanno caratterizzatoaltre stagioni storico-educative,valorizzando un approccio chemuova tra “storia e nuova proget-tualità pedagogica”. Già in passatoinfatti, dai giardini d’infanzia diFroebel alle sperimentazioni av-viate nel contesto della vivacestagione di rinnovamento educa-tivo del primo Novecento (tra que-ste, l’esperienzadell’Educatorio-Ricreatorio Gari-baldi promossa in Sicilia già 1912da Michele Crimi), si era com-presa la straordinaria valenzaeducativa del lavoro e della curadella terra, intese come attivitànon declinabili soltanto nei terminidi una educazione al lavoro,quanto in quelli di educazione at-traverso il lavoro. Va peraltro se-gnalato come l’espressione “Ortidi pace” non sia di recente formu-lazione, ma vada ascritta al bio-logo marino ed educatore venetoDavid Levi Morenos (1863-1933)che nel 1919 fonda proprio gli Ortidi Pace, luoghi in cui orfani ebambini indigenti possono trovarerifugio e, nello stesso tempo, vi-vere l’esperienza dell’orto, impa-

rare nozioni di agraria e acquisirecompetenze professionali. Il pieno recupero di una identitàstorica, culturale, pedagogica rap-presenta dunque il sostrato delcoordinamento regionale Orti dipace in Sicilia, che orienta il pro-prio raggio di intervento tra me-moria operante, nuovaprogettualità pedagogica e svi-luppo del territorio. Oltre al conte-sto scolastico, la rete infattipromuove incontri di formazione evalorizza esperienze di impresasociale legate al cooperativismo eall'associazionismo, forme diespressione di quel privato-so-ciale che ha trovato nella coltiva-zione della terra secondo i canonidella così detta “agricoltura biolo-gica” uno spazio di azione orien-tato di volta in volta all'educazioneall'ambiente, alla promozionedella legalità, al recupero e all'in-clusione sociale di soggetti svan-taggiati. Il coordinamento regionale è at-tualmente impegnato anche nelcensimento delle diverse espe-rienze educative condotte me-diante pratiche di coltura di piantee alberi al fine di connettere e va-lorizzare in direzione di nuoveconfigurazioni di senso le nume-rose esperienze che, spesso conpoca visibilità, operano in dire-zione di cura della terra. Culturadi pace, istanze pedagogiche, di-dattiche, sociali, eco-ambientali-ste si spera possano così trovareconfluenza in un unico progettopedagogico.Per maggiori info:http://www.facebook.com/group.php?gid=130604416987688

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Buone pratiche

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di GIOVANNI FERROResponsabile Comunicazionedi Un’altra Storia

conclusione dell’iniziativasvoltasi a Pollina il 27 feb-braio e promossa da Un’altra

Storia, Rita Borsellino dichiarava:“Il nostro manifesto rappresentaun atto di responsabilità nei con-fronti della nostra Sicilia “.Effettivamente una simile inizia-tiva rappresentava una scom-messa per tutti noi. Il contesto cheviviamo attualmente non rendesemplice la costruzione di una ini-ziativa che possa rappresentare,al meglio, la Sicilia del fare.Quella Sicilia che produce, pro-getta,vive nei territori della nostraisola e che troppo spesso vieneignorata dalla politica.Quella politica di Palazzo che,sempre più è rintanata dentro leistituzioni. Una politica che è inca-pace di progettare, di pensare alfuturo e che agisce solo in fun-zione della occupazione dellestanze del potere. Una politica ,oggi, in Sicilia, rappresentata inuna alleanza anomala che sem-bra allontanare qualsiasi prospet-tiva di alternativa e che, con il suoimmobilismo sta ulteriormentedanneggiando le condizioni dellanostra terra.In questo contesto così difficilenon era facile, quindi, mettere in-sieme realtà diverse, singoli citta-dini che già operano e sonoimpegnati nei territori e che, nelcorso di una giornata, si sonoconfrontati su svariati temi nonsolo per evidenziare quel tanto

che non va, ma con lo scopo , vi-ceversa, di costruire un manifestocondiviso di proposte concrete daconfrontare con quanti pensano,ancora oggi, che il cambiamentoè possibile davvero.Dalle tematiche riferite alle politi-che energetiche ed ambientali,alla necessità di dotare la nostraregione di strumenti amministra-

tivi adeguati in grado di renderefruibile il nostro preziosissimo pa-trimonio culturale ,alla necessità,ancora, di nuove norme per favo-rire la diffusione della cultura nellanostra isola garantendo pari op-portunità ai tanti operatori culturalispesso costretti a fuggire da unterra in cui, viceversa, la centralitàdella istruzione del sapere edella diffusione della conoscenzadovrebbero assumere caratterestrategico per una buona praticadella politica, per il bene comune.Su questo e su molto altro ci si èconfrontati - come troverete inaltra parte della rivista – cer-cando, da un lato, di fare emer-

gere le criticità che impedisconoun positivo sviluppo della nostraterra e individuando, dall’altro,quelle soluzioni effettivamente ingrado di farci compiere, insieme,un salto di qualità.A Pollina erano presenti realtà or-ganizzate e singoli cittadini che sisono messi al servizio di un pro-getto di radicale cambiamentodella nostra terra che hanno co-struito un percorso di condivisioneperché credono che cambiare èpossibile.Alla cultura del lamento, chespesso costituisce un alibi perquanti vogliono mantenere lo sta-tus quo, si sta tentando di con-trapporre la cultura delcambiamento. E’ dunque il mo-mento della responsabilità!E’ una sfida alla politica e ai suoiopinionisti. E’ un progetto per darevoce e costruire una nuova sog-gettività politica che si faccia rap-presentanza in una terra in cui ildeficit di partecipazione ha pro-dotto un rapporto di sudditanzatra cittadini e politica come dimo-strano tutti i dati forniti dagli os-servatori più attenti.E’ una sfida alla politica arroccatanei palazzi e ai suoi giochi per lasalvaguardia del potere. Questo,io credo, il senso di una iniziativaunica alla quale dobbiamo ,tutti,dare continuità. E’ una missionche non può iniziare e finire den-tro Un’altra Storia, ma che devecontaminare le energie miglioriche in Sicilia esistono ed ope-rano.E’ un atto di responsabilità. E’ ilmomento della responsabilità.

“Sicilia Bene Comuneun atto di responsabilità”

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di MARIA TOMARCHIO

icorre nel 2011 il centenariodi un Congresso di rilevanteportata, sia per numero di

partecipanti, pari a diverse mi-gliaia, che per tema in oggetto: LaSicilia contro l’analfabetismo e ladelinquenza. Ha avuto luogo nelmaggio del 1911 in provincia diGirgenti, proprio là dove qualchegiorno prima, nel paese di SantoStefano di Quisquinia, veniva bar-baramente ucciso in pieno giornoil maestro Panepinto, reo di averelevato il livello di consapevolezzadei contadini del luogo. Tra i temiall’o.d.g.: L’istruzione popolare inSicilia, Rapporti tra delinquenza eanalfabetismo, I fattori economicie morali della prevenzione delladelinquenza in Sicilia. All’evento ha preso parte un nu-trito gruppo di magistrati, i rettoridelle università siciliane, maestri,studenti universitari, i rappresen-tanti di 125 comuni dell’isola, de-putati regionali e ministri, unelevato numero di Leghe e di la-voratori, tanti tra contadini e zolfa-tari, l’Unione Femminile Catanese(al tempo unica organizzazionefemminile laica della Sicilia), corri-spondenti e redattori di periodiciprovenienti da ogni paese dellaSicilia. Quale interesse poteva es-sere a tal punto fortemente condi-viso da tenere assieme un cosìvasto e soprattutto variegato in-sieme di persone, di istituzioni, diaggregazioni? Si trattava dell’im-pegno per la difesa di un benecomune da promuovere e tute-lare, giudicato talmente prezioso

da essere posto al di sopra diogni logica d’appartenenza, diqualsivoglia ideologia. La chiaraconsapevolezza che senza fari liscoli non si sarebbe potuto nean-che pensare al futuro, di ciascunoe di tutti al tempo stesso, la vo-lontà decisa di investire nella bat-taglia per la promozione di unsempre più diffuso ed elevato li-vello di cognizione. Certo agli inizidel Novecento ci si era appena la-sciati alle spalle l’età in cui era lacalligrafia che “apriva la portadegli impieghi”, e dunque apparivapiù diretto il rapporto tra crescitain termini di formazione/istruzionee innalzamento del livello dellaqualità della vita, tuttavia era unatra le più nobili pagine di cittadi-nanza attiva quella che si scrivevain quei giorni in Sicilia. A distanzadi cento anni è ben mutato l’oriz-zonte delle pratiche cosiddette“culturali”, vorremmo almeno poterdire che non abbiamo più, comeagli inizi del Novecento il pro-

blema di un sufficiente numero diinsegnanti e dell’edilizia scola-stica ma, per quanto possa appa-rire paradossale, sappiamo beneche non è così. Oggi parliamo di saperi (diamo ri-lievo al plurale), di società dellaconoscenza, di competenze, di si-stema formativo; e ognuna di que-ste nozioni ha alle spalle unavasta letteratura di riferimento chetestimonia la complessità delcampo e la centralità ormai rico-nosciuta, di fatto, all’apprendi-mento e alla conoscenza comeinvestimento forte di una societàautenticamente democratica. Unriconoscimento, una centralitàche però, troppo spesso, conoscesoltanto un livello astratto di atten-zione e di consapevolezza, i ter-mini “ingessati” di una generica,poco impegnativa, assunzione diprincipio. È giunto il momento difar in modo che di tanta forza diconvinzione, di tanto sentire si av-verta il peso, e anche la storia(un’altra storia per l’appunto), cheessa trasmuti in precise propostee scelte istituzionali volte a valo-rizzare nel migliore dei modiquella virtuosa circolarità di rap-porto che di fatto dovrebbe, pro-grammaticamente, attestarsi trauniverso della conoscenza e dellaformazione e mondo delle profes-sioni. L’impresa appare ardua, sepensiamo a certi contesti addirit-tura utopica, ma l’utopia ha moltoa che fare con la dimensione delprogetto, ha il pregio di restituirechiari i vincoli lasciando semprespalancata la porta alle possibi-lità.

Una società democraticainveste nella conoscenza

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di CARMELA CAPPA

a legge regionale n. 19 del 16dicembre 2008, resa attua-tiva dal D.D.R. n. 1513 del

12/07/2011, promulgata con l’in-tento di organizzare il territorio si-ciliano per ambiti territorialisecondo il sistema storico delladivisione in Valli (Val Demone, Valdi Noto e Val di Mazara), se resaattuativa, potrebbe favorire la retedi giacimenti culturali e la valoriz-zazione dei territori i cui confininon saranno condizionati dai li-miti territoriali imposti dalle So-printendenze provinciali. Di fatto ilnuovo assetto a carattere sovraterritoriale ha solo innescatonuove problematiche e conflitti dicompetenze tra le strutture inter-medie periferiche (Soprinten-denze, Parchi Musei) e Serviziterritoriali sovra-provinciali.Ai problemi inerenti la riorganizza-zione della complessa macchinaamministrativa dei Beni Culturalisi associano quelli derivanti dal-l’attuazione dell’articolo 19 dellalegge n. 42 del 2009 sul federali-smo demaniale che attribuisce, atitolo non oneroso, a Comuni, Pro-vince, Città metropolitane e Re-gioni parte del demanio pubblico,con deroghe per la Sicilia trattan-dosi di una Regione a Statutospeciale. Discutere di federalismoin Sicilia e di gestione dei benidemaniali, in particolare quelli af-ferenti alle risorse idriche ed alpaesaggio ha determinato tra icomponenti dell’agorà la consa-pevolezza che la riqualificazionedel patrimonio storico artistico, ar-

cheologico, architettonico e delpaesaggio percettivo siciliano puòanche compiersi mediante la ge-stione responsabile del patrimo-nio collettivo unico ed inalienabiledemandata agli enti locali con ilcontrollo vigile della comunità deicittadini.A Pollina sentirsi membri di Un’Al-tra Storia per costruire una Siciliain comune ha permesso a cia-scuno di noi l’elaborazione di undialogo partecipato fondato sureali proposte, sul riconoscimentodel ruolo fondamentale che la no-stra associazione di concerto edin rete con istituzioni ed associa-zioni può esercitare in difesa delpatrimonio culturale sicilianocome bene comune, valore cultu-rale, ed etico, in quanto la legalitàè insita nel rispetto e nella tuteladei BB.CC, La valorizzazione puòassurgere a grande volano di svi-luppo economico in contrasto conlo slogan provocatorio del MinistroTremonti, con la cultura non simangia. Non eludere i problemi, denun-ciarli, prenderli in esame è la pre-messa per costruire progetti darendere operativi mediante glistrumenti della democrazia parte-cipata, in primo luogo i cantierimunicipali di Un’Altra Storia, che,insieme ai cantieri territoriali e te-matici possono davvero monito-rare il territorio, valutarne iproblemi, discuterli nell’ambitodella rete delle associazioni, de-nunciarli agli enti preposti alla tu-tela, ai comuni.Il progetto fondante che ci siamoproposti è quello di trasmettere

nel territorio in cui ciascuno di noiopera e vive l’amore nei confrontidel patrimonio artistico e paesag-gistico ed il recupero del concettodi identità come appartenenza. Lamafia si combatte educando allalegalità al rispetto dell’identità,credendo nel principio che la cul-tura ed il patrimonio artistico di unterritorio siano beni preziosi edunici da salvaguardare. Saperlipubblicizzare significa raccon-tarne la storia, viverli e mantenerlinella loro integrità, offrirli come undono agli altri, saperli tutelare perle generazioni future. Non è lecitofarsi schermo del patrimonio edoffrirlo come antidoto ad ogniforma di illegalità senza valoriz-zarlo, né tutelarlo. E’ indispensabile l’integrazione trasistemi culturali, scuole, cittadini,associazioni volta a promuoverenel territorio azioni educative, for-mative e d’intervento partecipato.Per amare occorre anche cono-scere; Un’Altra Storia, in collabo-razione con altre associazioni econ esperti deve promuovere edorganizzare, nell’ambito dei can-tieri municipali, corsi per la cono-

Dalla burocrazia alle infrastruttureLe proposte per i beni culturali

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scenza del patrimonio artistico epaesaggistico aperti a tutti i citta-dini, agli immigrati che vivono elavorano nel territorio, alle scuole,alle comunità locali, alle associa-zioni, anche in collaborazione congli enti locali. Alla conoscenzadeve affiancarsi l’azione d’inter-vento partecipato, i cantieri muni-cipali e territoriali di Un’altraStoria, dovranno farsi promotori dilaboratori permanenti di studio, incui elaborare progetti mirati al re-cupero dell’identità siciliana fruttodi una commistione culturale sin-cretica tra Nord e Sud dell’Eu-ropa. La Sicilia deve ridisegnarsicome Luogo d’incontro tra il Norded il Sud del Mondo. La valorizza-zione degli archivi, luoghi dellamemoria, come base e linfa deigiacimenti culturali, deve esserelo strumento per il riconoscimentodell’identità dei territori e quindidei popoli, in termini didare/avere, di identità e di con-fronto.Un’altra Storia deve garantire aicittadini, mediante l’intervento diesperti nel settore dei beni cultu-rali, una formazione che consentadi acquisire gli strumenti per co-struire progetti di qualità che pos-sano offrire ricadute in terminioccupazionali e di fruizione cultu-rale adeguati alle diverse esi-genze, alle età, alle abilità, alleattitudini. Una formazione seriapuò garantire ai cittadini il con-trollo e la gestione del bene co-mune. Formare per educare, perideare in maniera condivisa la ri-qualificazione del territorio di ap-partenenza, per promuoverel’identità comuni di paesi vicini

mediante programmi di sviluppo eprogetti unitari evitando quelliavulsi dalla storia e dall’identitàdei luoghi. Formazione che impli-chi la consapevolezza che i centriurbani, i paesi, i territori hannodegli elementi peculiari che liqualificano, una loro estetica cheva compresa, una storia, un’iden-tità. Partire dall’amore e dalla co-noscenza può favorire lavalorizzazione dei centri storici daparte degli abitanti, è forse questolo strumento più efficace contro ildegrado, l’abusivismo, gli atti van-dalici perpetrati nei confronti delpatrimonio storico-artitstico.Una formazione seria dei cittadinipuò garantire il controllo delle ri-sorse e l’utilizzo ottimale dei fondieuropei ed inoltre può fornire glistrumenti per il controllo e per ladenuncia. Bisogna formare i citta-dini in grado di gestire il patrimo-nio storico artistico confiscato allamafia. E’ indispensabile istituireuna commissione di controllonell’ambito di ciascun cantiere ter-ritoriale che monitori e denunciquegli interventi edilizi in grado ditrasformare e devastare il pae-

saggio urbano e naturalistico, dadenunciare alle autorità compe-tenti. La commissione deve es-sere composta da esperti delsettore e da persone della societàcivile sensibili ad un uso intelli-gente del territorio. Alla commis-sione spetterà il compito dicontrollare l’attuazione del PianoPaesaggistico Regionale, ancorain fase di redazione, e l’attiva-zione di misure di controllo permantenere integri gli spazi urbanied extraurbani . Il paesaggio per-cettivo siciliano nella sua totalità èsottoposto da decenni ad unoscempio incontrollato favorito dauna totale mancanza di rispettodelle normative di tutela in una re-gione ad altissimo rischio sismico,vulcanico e soggetta al dissestoidrogeologico. Deve assumere ilsignificato di impegno etico per imembri di Un’altra Storia recupe-rare quello che ancora nel territo-rio siciliano è immutato, cogliere ilfascino che sa emanare la naturainsieme alle rovine del passato edil paesaggio nella sua unità, ga-rantire l’identità dei centri storicimediante gli strumenti della piani-ficazione urbanistica. Sulla basedi tali principi Un’Altra Storia in-tende il valore dell’Identità sici-liana. Occorre favorire,collaborando e vigilando, me-diante gli strumenti della demo-crazia partecipata, il recupero e lavalorizzazione dei piccoli centri edei centri storici secondo un si-stema di gestione integrato chepreveda il controllo dei flussi turi-stici in tutta l’isola mediante la col-laborazione degli Assessorati alTurismo ed ai BB.CC., le Soprin-

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tendenze, le Curie, le Associa-zioni che operano nel settore deibeni culturali e del turismo ed EntiLocali. Ad una politica mirata alladistribuzione del turismo solo sualcuni Musei, su pochi siti archeo-logici e città d’arte deve sostituirsiuna gestione integrata che riquali-fichi, con una mirata gestione deifondi, i piccoli centri dell’isola incui sono fruibili splendidi gioiellid’arte e paesaggio. In molti centriurbani sono stati realizzati, confondi Europei e Regionali, Museiall’avanguardia per tecniche di al-lestimento, ma che rimangono ta-gliati fuori dalle rotte turistiche. Aidone deve essere preparata adaccogliere la Venere di Morgan-tina, è inaccettabile che per rag-giungere la cittadina ennese, ameno di cinquanta chilometridall’aeroporto di Catania, occor-rano ben due ore, per mancanzadi infrastrutture. La gestione inte-grata dei flussi turistici e la valo-rizzazione del patrimonioartistico, architettonico etno-antro-pologico deve essere rivoltaanche a valorizzare i Parchi natu-ralistici e marini. I parchi archeo-logici non devono essereincompatibili con le esigenzedegli agricoltori e di quelle im-prese che operano nei territori li-mitrofi. Possono essere favoriti daparte di Un’altra Storia progetti si-nergici che prevedano l’istituzioneall’interno dei parchi di zone at-trezzate per la degustazione e lavendita ai turisti dei prodotti del-l’agricoltura e dei manufatti diqualità.A Pollina si è parlato di risorse dipremialità ai comuni virtuosi che

realizzino progetti intesi alla tutelae valorizzazione del paesaggio edel centro urbano con conse-guente ricaduta sui privati e suicittadini virtuosi, a cui spettanogiuste incentivazioni, che si fannopromotori nell’edilizia privata di in-terventi di riqualificazione. Un’altra Storia deve fornire ai cit-tadini ed alle istituzione che nefanno richiesta in formazione eformazione per l’accesso alle fontidi finanziamento. L’Osservatorioper lo sviluppo economico, pro-mosso dall’associazione in retecon molti comuni siciliani può farsipromotore di una proposta dilegge per la defiscalizzazione del100% per gli investimenti in pro-getti culturaliAll’Osservatorio spetterà il com-pito di controllare i Fondi PoFSR2007-2013 affinché sia reso attua-tivo il piano regionale per lo svi-luppo integrato, con piani miratialla valorizzazione dei Beni Cultu-rali che coinvolgano integralmentetutta la regione, per rendere attua-tivi i progetti finalizzati allo svi-

luppo del patrimonio artistico edel paesaggio e tali da offrire realisbocchi occupazionali ai giovani,non fondi milionari per nuovi inutilimusei, tranne quei pochi indi-spensabili per qualificare cultural-mente alcuni centri. Occorrepertanto istituire: laboratori di ri-cerca per le arti visive, laboratoripermanenti di restauro con parti-colare attenzione all’arte contem-poranea, centri di ricerca esperimentazione, progetti volti allosviluppo ed alla valorizzazionedei piccoli centri d’arte ed al patri-monio paesaggistico e naturali-stico, progetti finalizzati almiglioramento del web per la retedi conoscenze e la fruizione deibeni culturali in Sicilia, potenzia-mento dalla banda larga.La cultura, intesa come produ-zione di spettacoli di qualità, ne-cessita di incentivi e risorse,ridotte o abolite, e di una legge-quadro sullo spettacolo, che con-senta pari opportunità di accessoe operatività a tutte le intelligenze.L’identità nasce dal recupero dellamemoria che trasmettono il teatrodei pupi, la musica, le feste, il ci-nema, il teatro. A conclusione dell’agorà, in unagiornata vissuta intensamente,conclusa ammirando quell’infinitadimensione dello spazio tra mare,cielo e terra siamo andati via daPollina un po’ meno soli. Il con-fronto ci ha aiutato a trovare in noistessi e nella condivisione di ideela certezza che credere ed inve-stire risorse, competenze, cono-scenze nei beni culturali è unasfida da continuare per il futuro.

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Defiscalizzare la spesa in cultura Ministro, le può interessare?

di SANDRO TRANCHINA

La metà degli scritti sulla condizione dei beni culturali si apre con la notizia che posse-diamo (qualcuno scrive ospitiamo) il 46% del patrimonio culturale del mondo; l’altra metàcita sfilze di dati che provano l’assottigliarsi progressivo degl’investimenti pubblici nel com-parto cultura. E io stesso ho scovato un dato – in un rapporto annuale di Federculture - chenon resisto alla tentazione di citarvi: nella nostra Sicilia gl’investimenti in cultura sono di-minuiti da un anno all’altro del 204,23% (la media italiana è meno 39,28%). Come direche non siamo secondi a nessuno. Ora, questo dato sarebbe di per sé conclusivo: cosaaltro aggiungere infatti per dimostrare la totale insipienza di chi ci governa senza capirequale ricchezza stiamo sprecando, continuando a ignorare il nostro patrimonio? Trala-sciando le riflessioni sui valori, la memoria e le nuove generazioni, altrove in Europa e nelmondo investono e sfruttano, a scopo turistico, beni culturali di gran lunga meno importanti.Ma personalmente non considero la diminuzione d’investimenti il tema centrale, sebbenesi potrebbero riempire troppe pagine elencando gli sprechi e le occasioni mancate cherappresentano i fondi europei mai – o male – utilizzati.Credo invece che in Sicilia due problemi siano di più urgente risoluzione, o meglio dueassenze: assenza di un progetto complessivo e assenza di meccanismi premianti per iprivati che investono in cultura.Dei due sicuramente il tema più impellente è l’assenza di un progetto. Il nostro governo re-gionale – in perfetta continuità con quelli precedenti – è incapace di esprimerne uno, ignoratroppi dati, non censisce le centinaia di piccoli musei, teatri, bellezze naturali, smonta il si-stema delle soprintendenze col pretesto di ridargli efficienza ma non è capace di riorga-nizzarlo. Ma senza annoiarvi con lunghe riflessioni ed esempi, faccio il mio personalissimoe breve elenco di suggerimenti: 1) aprirsi alla collaborazione con FAI, Italia Nostra, WWF e Federculture, per censire ra-pidamente, in economia e con obiettività tutto il patrimonio da mettere a sistema, non solobeni archeologici ma anche teatri, biblioteche, piccoli musei; 2) delegare, sulla base della mappatura, la gestione di contributi e verifica dei risultati aglienti locali, obbligandoli al risarcimento del danno in caso di sprechi (il male siciliano è lasempiterna assenza di colpevoli); 3) costringere le maxi-agenzie di comunicazione a cui periodicamente appaltiamo il bud-get (e sono parecchi milioni di Euro) a confrontarsi con un progetto - non, come attual-mente accade, con un elenco di servizi – e con l’obbligo di riportare dei risultati in terminidi “aumento delle vendite”, come fa qualunque azienda che investe in pubblicità; 4) obbligare in un coordinamento unico gli assessorati ai beni culturali, al turismo e al-l’ambiente.Tutto questo però porta con sé il rischio che la politica sia di nuovo predominante e par-toris ca rapidamente dei meccanismi di clientela. Allora a più lungo termine bisogna in-centivare la partecipazione dei privati alla gestione. E al riguardo il governo regionaleavrebbe il dovere d’intervenire con la principale delle sue prerogative: legiferare. Il gover-natore Lombardo, l’astuto Miccichè, più in generale tutti gli attori della scena politica sici-liana si riempiono la bocca con tutte le accezioni del concetto di autonomia, federalismoe compagnia cantando, io butto lì una proposta “federalista” e lo faccio in forma discorsiva:caro Governatore, perché non si avvale delle sue facoltà per defiscalizzare del 100%, dadomani mattina, gli investimenti in cultura? Basterebbe inserire un articolo nella prossimalegge finanziaria regionale, non abbiamo bisogno di aspettare il federalismo bossiano. Ilgettito fiscale scenderebbe massimo del 2%, i suoi dirigenti e consulenti glielo possono di-mostrare: mi sembra un piccolissimo prezzo per consentire alla Sicilia di cambiare il pro-prio destino e diventare un esempio per l’intera nazione. Le può interessare?

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di ANTONIO BUFALINO

’agricoltura sta attraversandoun cambiamento epocale. Gliscenari competitivi se da un

lato offrono nuove opportunità,mostrano di contro le carenzestrutturali e organizzative di unabase produttiva incerta governatada un sistema di regole eteroge-nee che propongono il supera-mento delle vecchie garanzie dimercato e il passaggio a nuoveforme più finalizzate e selettive diintervento.Le poche imprese che riesconocon difficoltà a stare sul mercatohanno azzerato gli investimenti, li-cenziano un numero crescente dibraccianti ed operai, e si avvianoverso una condizione di suddi-tanza nei confronti degli operatoripiù grossi e del sistema bancario.Ciò significa un diffuso abban-dono delle aree coltivabili, soprat-tutto nelle aree marginali einterne, con conseguenze sulfronte dell’assetto idrogeologico,naturalistico, ambientale e coltu-rale, che rischiano di travolgereinteri ambiti di territorio e tagliarefuori dal circuito relazionale, po-polazioni, saperi, tradizioni pro-duttive e culture.In questa grave contingenza dicrisi, un qualificato programma disviluppo deve mirare alla valoriz-zazione ambientale, colturale eculturale dei territori e delle comu-nità, attuando cantieri per il risa-namento ambientale e per lamessa in sicurezza del territorio,evitando politiche di trasferimentie di sostegno al reddito che, men-

tre aiutano nell’immediato, inqui-nano il mercato del lavoro e depo-tenziano di risorse lo sviluppo delfuturo. L’eccessiva polverizzazione pro-duttiva, l'impreparazione al con-fronto con i mercati aperti,l’assenza di un disegno strategicodella Regione per l’agroalimen-tare, l’incapacità di spesa e,spesso le vessatorie, nonché inu-tili e ripetitive bardature burocrati-che, delle istituzioni regionalinelle politiche di supporto e di so-stegno fin qui adottate, anche enonostante le ingenti risorse di-sponibili con i fondi strutturali(POR e PSR), stanno contri-buendo a determinare l’inevitabiledisastro del sistema produttivoagroalimentare isolano.II ritardi nella spesa dei fondi2007-2013, il susseguirsi delle ro-

tazioni ai vertici dell’Amministra-zione dell’Agricoltura hanno deter-minato una “matassa” difficile dadipanare, ove ruoli e competenzesi muovono in un percorso labirin-tico senza uscita. La partecipa-zione ai bandi è un’impresa chepochi riescono a compiere: non èpiù sostenibile una programma-zione calata dall’alto in assenzadi un confronto con i territori e isuoi attori.Tutto ciò impone una immediatapiena assunzione di responsabi-lità e l’avvio di efficaci iniziativeche restituiscano al settore il ruoloe il peso economico che storica-mente ha avuto valorizzando leeccellenze e la qualità produttivaisolana.La spesa agricola va organizzatae non essere, con una distribu-zione a pioggia, occasione per

Una ristrutturazione di qualitàPer rilanciare l’agricoltura

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politiche clientelari oltretutto ineffi-caci. Bisogna individuare un nu-mero limitato di ambiti territorialiall’interno dei quali devono con-fluire tutti gli attori del territorio(Province,Comuni, Organizzazionidi Produttori, imprese, Istituti diCredito, etc.) per meglio finaliz-zare le risorse pubbliche verso unsistema di filiera e rintracciabilitàche porti ad una qualificazione estandardizzazione delle produ-zioni in funzione delle esigenzedel mercato. I Distretti Produttivi riconosciutisono ad oggi delle scatole vuote:manca una concertazione tra gliassessorati di competenza chedefinisca i ruoli, le risorse e lemodalità operative.Una riflessione va fatta per i con-sorzi di tutela e promozione deiprodotti (Dop, IGP, etc) che sten-tano a svolgere la loro funzione:gli stessi, purtroppo non possonoal momento essere abbandonati ase stessi. Se è vero che la qualitàè una risorsa per il territorio e perl'intera regione, la totalità degliattori pubblici e privati devono in-teragire al fine del conseguimentodegli obiettivi. Occorre che tutta lapolitica agricola e di sviluppo ru-rale converga e si coordini contutte le altre politiche territorialiche investono le aree rurali (tra-sporti, servizi sociali, ambiente,infrastrutture, montagna, turismo,industria, parchi ecc.).C’è certamente un problema diformazione e di ricerca, il cui so-stegno va meglio indirizzato evi-tando, con una acriticadistribuzione dei finanziamenti astrutture di ogni tipo, lo sperpero,

il clientelismo, l’inefficienza. Oc-corre una riqualificazione com-plessiva dell’assistenza tecnica,della sua filosofia di base, se-condo modelli nuovi, più calatinella complessa realtà in cui gliimprenditori si trovano ad ope-rare, sulla base di piani strategicidei servizi all’agricoltura, all’agro-alimentare e allo sviluppo rurale,che vedano il coinvolgimento di-retto delle imprese beneficiarie.Il superamento della crisi e lo svi-luppo di uno dei settori crucialiper l’economia siciliana non puòessere fatto con i soliti interventitampone che ad oggi hanno ulte-riormente indebitato le aziendeoltre il loro reale valore di mer-cato.

Occorre una ristrutturazione diqualità, un salto di livello che portialla creazione di imprese forti e diforti organizzazioni di produttoriche concentrino l’offerta e con-trattino direttamente col mercato,in modo da recuperare una partedella forbice tra il prezzo alla pro-duzione ed il prezzo alla venditain termini di valore aggiunto.È necessario creare sinergie terri-toriali in modo da non isolare si-stemi produttivi vitali per le areemarginali, che rischiano di scom-parire, facendone punti di forza inuna valorizzazione della culturasiciliana attraverso le “colture” pre-giate che il nostro territorio è ingrado di produrre.

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di NICOLA CIPOLLA

n queste ultime settimane sulfronte energetico si sono ve-rificati avvenimenti impor-

tanti. A livello internazionale latragica vicenda delle centrali ato-miche colpite dallo tsunami inGiappone sta obbligando tutti ipaesi, che a differenza dell'Italiahanno realizzato centrali atomi-che, a chiudere le più vecchie, ri-vedere tutte quelle esistenti e tuttii sistemi di protezione (il che por-terà ad un aumento dei costi del-l'energia) e soprattutto ariconsiderare i piani di investi-mento futuri dagli USA alla Cina,dalla Germania alla Francia. Sul piano nazionale si è elevata laprotesta contro il decreto Berlu-sconi che blocca di fatto un impor-tante processo di rinnovamento,non solo energetico ma anche

economico e sociale, costituitodall'afflusso per decine di migliaiadi MW di installazioni da fonti rin-novabili, soprattutto eolico e so-lare fotovoltaico, al di là di ogniprevisione. In questa occasione siè tentato di scambiare il limite mi-nimo di rinnovabili previsto dallaUE per il 2020 in un limite mas-simo invalicabile. E, infine, sulpiano siciliano, la grottesca vi-cenda dell'arresto del deputato Vi-trano in flagranza di reato per unatangente di 10 mila euro, per “faci-litare” una pratica fotovoltaica.Come al solito Lombardo ha mo-strato in questa occasione un atti-vismo frenetico tendente ascaricare le sue responsabilitàper la fallimentare gestione dellerinnovabili in Sicilia e per tentaredi inserirsi nell'ondata contro il nu-cleare e contro il decreto Berlu-sconi che si sviluppa

impetuosamente nel paese. Lom-bardo ha anche annunziato un re-golamento di interpretazione di unPiano Energetico (che tra l'altronon è stato mai sottoposto all'ap-provazione formale dell'ARS). Laprima considerazione riguarda ilmodo con cui, prima con Cuffaroe poi con Lombardo, è stato rego-lato l'accoglimento delle istanze dirinnovabili che si sono affastellatesenza alcun ordine di prece-denza. Invece, nazionalmente ein Europa è previsto secondo ladata di presentazione. Si è for-mata così una montagna di oltre1.400 pratiche da cui estrarre,volta a volta, quelle destinate al-l'autorizzazione che naturalmentesono state quelle sostenute dallacorruzione e dalla mafia. L'asses-sore Marino, di fronte allo scan-dalo, Vitrano, ha vietato l'ingressoai deputati e ad altre persone nei

Quel caos organizzatoche blocca le energie rinnovabili

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suoi uffici. Ma gli eventuali funzio-nari corrotti possono incontrarequando vogliono fuori dall'asses-sorato i corruttori. Il problema è,invece, quello della trasparenzanel processo burocratico che sipuò facilmente ottenere con lapubblicazione nel sito della Re-gione e sulla stampa dell'elencodelle domande con la data di pre-sentazione. Da aggiornare perio-dicamente dando notizia dellepratiche accolte o respinte nelleconferenze dei servizi.In secondo luogo solo in Siciliaesiste una circolare interna cheprevede il passaggio di ogni pra-tica da 29 tavoli amministrativi di-versi. Basterebbe invece che alrecepimento della domanda ve-nissero inviate agli assessoraticompetenti copia delle istanze in-dicando già la data della sessionedella conferenza dei servizi in cuisaranno esaminate. In terzo luogo, le norme comuni-tarie e nazionali prevedono un li-mite di 180 giorni perchè ipresentatori delle domande, giàcorredate da una serie di docu-menti: progetto, disponibilità fi-nanziarie, e del terreno, checostano migliaia di euro, possanoavere entro questo termine una ri-posta positiva o negativa da partedella Regione in modo da poter,eventualmente, ricorrere pressole autorità di giustizia amministra-tiva. Dovrebbe, a mio avviso, es-sere inclusa anche una clausoladi “silenzio/assenso” per cui de-corsi i 180 giorni l'istanza do-vrebbe essere ritenuta accolta. Ildanno inferto in violazione di que-sto termine è stato valutato, nei

confronti della società NewEnergy di Modica, per un im-pianto di biomasse (domandapresentata nel 2005) in 20 milionidi euro, prima dal TAR (settembre2009) e poi successivamente dalConsiglio di giustizia amministra-tiva (ottobre 2010). Se questagiurisprudenza si consolida tuttele imprese potrebbero chiedere idanni alla Regione per miliardidieuro e procedere a sequestrareanche i tavoli dell'assessore a ga-ranzia del loro credito.Quarto. Lombardo ha dichiaratotestualmente: “Ho fatto la sceltadi puntare sul piccolo fotovoltaicoe di tagliare con l'eolico e con …..il grande fotovoltaico”. Questascelta è esattamente quella deldecreto Berlusconi contro cui luifinge di scagliarsi. Solo che que-sto è stato portato davanti alleCamere e successivamente allafirma del Capo dello Stato. Men-tre la scelta di bloccare l'eolico eil grande fotovoltaico è stata as-sunta, già da due anni, soltantoad iniziativa di un governo chenon ha una maggioranza parla-

mentare, per cui l'ARS non è ingrado di legiferare su nessunamateria a causa di una improv-vida, aggiungo io, riforma delloStatuto della Regione che ha in-trodotto un sistema presidenzialeibrido e confuso al posto del si-stema parlamentare preesistente. Il governo Lombardo può aggiun-gere a favore del piccolo fotovol-taico nuove agevolazioni, nonpuò opporsi alle imprese siciliane,italiane ed europee che voglionooperare in Sicilia in base allenorme comunitarie e nazionali. Quinto. Nel regolamento di attua-zione del PEAR sono previste mi-sure per bloccare quei “facilitatori”che operano attraverso la costitu-zione di società anonime improv-visate le cui azioni dimaggioranza vengono vendutepoi ai veri utilizzatori finali. Lamadre di queste società “facilita-trici” è stata una improvvisata so-cietà, con 100 mila euro dicapitale, che ha ottenuto, primadal governo Cuffaro l'autorizza-zione a costruire il rigassificatoredi Porto Empedocle (un investi-menti di circa 1 miliardo) e poi dalgoverno Lombardo l'autorizza-zione a vendere la maggioranzadi questa società all'Enel, con re-lativo progetto approvato, percirca 29 milioni di euro “ufficiali”.Questo ultimo provvedimento èstato impugnato dal comune diAgrigento presso il TAR del Lazioche lo ha accolto. In questo mo-mento l'Enel non ha più in manouno strumento valido. Approfit-tando di questa situazione giuri-dica la Regione, invece dipromuovere ricorsi contro la sen-

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tenza del TAR, dovrebbe appli-care ad una nuova istanza di con-cessione, promossa dall'Enel, lestesse clausole che sono previstenel regolamento del Piano Ener-getico pubblicato su Il Sole 24Ore del 16 marzo u.s. L'onorevoleCracolici, capogruppo all'ARS hachiesto che il PD si costituiscaparte civile nel processo controVitrano. Molto bene. Ma farebbemeglio se contemporaneamentechiedesse al governo Lombardodi annullare la vecchia autorizza-zione di Porto Empedocle e diaprire un nuovo iter con la stessaseverità con cui sta operando perla richiesta del rigassificatore diPriolo. Infine all'articolo 2 di que-sto regolamento è motivata lapreferenza per il mini fotovoltaicocon l'esigenza di ridurre le perditederivanti dal trasporto dell'ener-gia. Il che rivela una delle causefondamentali del blocco allo svi-luppo delle rinnovabili sia suscala nazionale e siciliana: l'ina-deguatezza della rete di distribu-zione, di TERNA e dell'ENEL(che produce le bollette pagatedai consumatori) a veicolarel'energia prodotta dalle rinnova-bili. Queste reti, infatti, furono pro-gettate per trasmettere da pochicomplessi a carbone, gas e oliocombustibile, e non sono in gradodi accogliere l'energia prodotta damiriadi di piccoli e medi produttoridi rinnovabili. Ci vorrebbero inve-stimenti di miliardi per rendere larete capace di gestire, con glistrumenti elettronici oggi disponi-bili, l'energia rinnovabile in colle-gamento con quella idroelettricaper equilibrare l'apporto variabile

(tra giorno e notte, tra stagione estagione) delle energie ricavatedal sole e dal vento. Proprio i mi-liardi che il governo Berlusconivorrebbe destinare alla costru-zione di centrali atomiche che, setutto va bene, nel 2030 potrannoprodurre il 5% dell'energia neces-saria al paese! L'altro grande ostacolo è costi-tuito dagli interessi delle societàproduttrici di energia fossile. L'Ita-lia dipende per il 90% dei suoiconsumi da energia importata.Ogni punto percentuale di rinno-vabili diminuisce le importazioni ipetrolio, gas e carbone, viene col-pita, così, una rete formidabile diinteressi nazionali e internazionaliche condizionano l'operato delgoverno Berlusconi (e non solo).Questo disegno è oggi improponi-bile. Di fronte alla crisi atomicanipponica c'è perfino una marciaindietro di Berlusconi che, cercadi ottenere una semplice pausa(calati juncu ca passa la china).Tutti i sondaggi danno per vin-centi i referendum sul nucleare esull'acqua e ci possono esseremanovre bipartisan per arrivaread uno svuotamento dei referen-dum.Ma il 12 giugno il voto dei cittadiniper confermare il precedente votoantinuclearista di 24 anni fa e perdire NO alla privatizzazione del-l'acqua (e quindi delle centraliidroelettriche) costituirà un mo-mento essenziale per far parteci-pare l'Italia ad un movimentomondiale inarrestabile di sostitu-zione delle energie fossili con leenergie rinnovabili portatrici di unnuovo modello di sviluppo non

solo economico e dell'occupa-zione ma anche sociale e politico.Come è stato auspicato recente-mente dalla CGIL nella prima ini-ziativa pubblica dell'AssociazioneBruno Trentin, presieduta da Gu-glielmo Epifani, alla presenza ditutta la segreteria nazionale.In Sicilia occorre anche una mobi-litazione particolare per l'approva-zione da parte dell'ARS deldisegno di legge di iniziativa po-polare per la pubblicizzazionedell'acqua bene comune e pro-muovere altresì una proposta diiniziativa popolare per stabilire inSicilia misure certe a favore dellerinnovabili e combattere i ritardi ele speculazioni che la burocraziaregionale e governi che operanoper decreto hanno fin qui impostoalla Sicilia.E' una battaglia difficile e lungaanaloga a quella condotta daicontadini e da tutto il popolo sici-liano negli anni '40 e '50 per elimi-nare i residui feudali nellecampagne e il governo di centro-destra di Restivo all'ARS. Sitratta, per dirla con una frase delpresidente Chinnici, di “una lottacontro la nuova feudalità” chevuole impedire al popolo sicilianodi utilizzare appieno i beni comuniche il sole del Mediterraneo ci ga-rantisce.

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Lavoro, opportunità e sinergieParola d’ordine: “Fare rete”

di ILENIA FRANCHINA

Quando si affronta un tema molto complesso come quello del lavoro, e lo si fa con riferi-mento alla Sicilia, è più facile individuare le tante criticità che lo caratterizzano piuttosto chele possibili azioni da intraprendere. E’ una difficoltà riscontrata anche all’interno dell’agoràtematica lavoro. Ciò non ha impedito che dal confronto venissero fuori una serie di propo-ste. L’illegalità è l’elemento di contesto più volte evidenziato, tanto da essere considerato comequel fattore principale da cui deriva il malfunzionamento del più ampio sistema del lavoroin Sicilia. Le proposte avanzate, infatti, ruotano attorno a due presupposti: il rispetto delleregole esistenti e il corretto utilizzo delle risorse disponibili.Inevitabilmente è il lavoro nel settore pubblico ad essere considerato la “pecora nera” delmercato del lavoro siciliano a causa di continui sprechi e sacche di inefficienza. In questosenso sono stati suggeriti percorsi di razionalizzazione e riqualificazione del personale,oltre che maggiori controlli finalizzati a garantire l’efficienza, l’efficacia e l’economicità nellagestione. Per maggiore controllo non si intende la consueta attività di ingerenza da partedella politica, la quale, invece di preoccuparsi di razionalizzare la spesa, considera la pub-blica amministrazione come “merce di scambio” ai fini del consenso e continua ad im-mettere dosi massicce di precariato. Il controllo deve essere finalizzato a garantire unamaggiore allocazione delle risorse e a costruire processi meritocratici. In uno scenario dove anche i tassi di disoccupazione continuano a registrare livelli allar-manti, il settore privato non può che essere invocato con maggiore forza e come alterna-tiva al pubblico grazie alle grandi opportunità che esso potrebbe offrire con la costruzionedi nuovi percorsi di inserimento lavorativo. Si sta a poco a poco affermando, soprattutto trai giovani, anche un timido desiderio di fare impresa. Tale orientamento, ancora poco diffusosicuramente a causa di una cultura troppo incancrenita dal mito del “posto fisso”, può es-sere sviluppato attraverso intelligenti politiche di sostegno all’iniziativa imprenditoriale. Letante risorse che il nostro territorio possiede possono essere sfruttate se esiste una realecapacità di lettura dei bisogni del territorio. Sostenere la nascita di nuove imprese e raf-forzare quelle esistenti è una condizione fondamentale per la creazione di posti di lavoroe quindi per lo sviluppo economico di questa terra. Innanzitutto dobbiamo cercare di far so-pravvivere tutto ciò che abbiamo di buono. E’ opportuno sviluppare sia azioni finalizzate alpotenziamento dei distretti e delle aree economiche omogenee, sia quelle finalizzate allariconversione dei poli industriali. Anche un’azione congiunta tra settore pubblico e mondo bancario potrebbe favorire lo svi-luppo del tessuto imprenditoriale. In questo senso si potrebbero promuovere strumenticome il microcredito o supportare organismi come i CONFIDI per facilitare l’accesso alcredito alle PMI. Oltre al “capitale finanziario” bisogna puntare soprattutto alla costruzione di “capitaleumano” attraverso una buona formazione professionale che non sia quella fornita dagliinutili e molteplici corsi di formazione, e attraverso buone politiche attive del lavoro. Tuttisono chiamati a dare il proprio contribuito per lo sviluppo economico e sociale di questaterra. Ciò che potrebbe rappresentare davvero un punto di svolta per il fragile mercato dellavoro siciliano è la “cooperazione”, ovvero la condivisione di principi comuni. Una rete co-struita coinvolgendo diversi attori (ad es. banche, enti locali, università, imprese, sinda-cati, centri per l’impiego, ecc.) può favorire l’individuazione di tutti quegli strumentinecessari alla realizzazione di un buon mercato del lavoro. Fare rete significa anche edificare un muro contro la criminalità organizzata, il primo fat-tore critico individuato dal gruppo. Nuove sinergie per creare nuove opportunità di lavoro.E’ questo il nuovo percorso che la Sicilia dovrebbe imboccare.

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di CARMEN VELLA

n appartamento di 250 metriquadri al primo piano di viaTricomi a Palermo diventa un

alloggio per i parenti dei pazientipediatrici o trapiantati del Civico,Ismett e Ospedale dei bambini chenon vivono in città. E’ l’ultima strut-tura assegnata dall’Agenzia nazio-nale per l'amministrazione e ladestinazione dei beni sequestratie confiscati alla criminalità orga-nizzata assegnata alla Regioneper il suo riutilizzo a fini sociali. Laconsegna da parte del direttoredell’Agenzia, il prefetto Mario Mor-cone è avvenuta poco meno di unmese fa “è la testimonianza evi-dente del filo diretto che esiste trauso istituzionale e uso sociale deibeni confiscati alla criminalità or-ganizzata e restituiti al territorio”.L’appartamento di via Tricomi dicirca 100 metri quadri, era di pro-

prietà del boss mafioso FrancescoMulè, confiscato nel 2007 e gestitofinora dall'Agenzia nazionale per ibeni sequestrati e confiscati allacriminalità organizzata, è il terzobene confiscato alla criminalità or-ganizzata e assegnato dal 2010 adoggi alla Regione per fini sociali.Gli altri due immobili assegnatidall’Agenzia al patrimonio della re-gione sono un immobile di PetraliaSoprana assegnato lo scorso no-vembre (quattro appartamenti inlocalità Bivio Madonnuzza che fu-rono di proprietà di Angelo Siinodove oggi risiedono gli uffici dellacondotta agraria) e un terreno inprovincia di Trapani. Tre immobilinell’arco di poco più di un anno,forse un po’ poco se pensiamoche su 11mila beni confiscati allacriminalità in Italia il 45 per centosi trova in Sicilia, seguita da Cam-pania, Calabria e Lombardia. Fraquesti beni anche circa cento

aziende attive che producono edanno occupazione e un migliaioinvece in fase di liquidazione. Maguardiamo la cosa dal lato posi-tivo, finalmente un patrimoniostrappato alle mani della mafiaviene restituito ai siciliani e peruno scopo nobile, come nel casodell’appartamento di via Tricomi,servirà per alleviare le sofferenzee i disagi dei parenti dei pazientiricoverati negli ospedali. Natural-mente per funzionare bene servi-ranno controlli e su questol’assessore alla sanità sicilianaMassimo Russo è stato chiaro, “Ilgoverno regionale è costante-mente impegnato nella correttagestione dei beni confiscati allamafia. L’ufficio speciale per la lega-lità della Regione ora monitoreràla gestione di questo come di altribeni”. Dichiarazioni rassicuranti sì, ep-pure i nodi da sciogliere e i punti

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Il riuso dei beni confiscati tra successi e criticità

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critici sono davvero tanti in temadi confisca e riutilizzo dei beniconfiscati alla mafia e sono sem-pre gli stessi: tempi ancora troppolunghi, procedure burocratiche far-raginose, passaggi tecnici dellaconsegna e il difficile rapporto conle banche. Esistono alcuni aspetticritici come appunto il riutilizzodei beni confiscati, i passaggi tec-nici della consegna e i problemiche le associazioni o cooperativeche ricevono il bene spesso incon-trano con le banche che vanno acomplicare ulteriormente le cose. Ibeni confiscati - va detto - chehanno un problema in più a paritàdi condizioni e cioè che chi li oc-cupa e li utilizza non è proprieta-rio, quindi fa fatica ad avererapporti con le banche, a fare unmutuo, ad ottenere un prestito".Carlo Borgomeo, presidente dellaFondazione per il Sud, sul temaha avanzato la proposta di un ta-volo tecnico di confronto. “Biso-

gnerebbe promuovere un tavolosul tema di come si comportano lebanche con questi soggetti. Tral’innovazione dello strumento cheabbiamo individuato, togliere il pa-trimonio alla mafia, e la gestionec'e' un vuoto. Uno scarto tra la po-tenza del segno di lotta alla mafiae la concretizzazione per renderlodefinitivamente vincente". Punti di forza e criticitàEppure, nonostante le criticità e gliostacoli, Sicilia e Campania sonole regioni più virtuose nel riutilizzodei beni confiscati alla criminalitàorganizzata: su 116 casi esaminati- nell’ambito della ricerca "Beniconfiscati alle mafie: il potere deisegni. Viaggio nel Paese reale trariutilizzo sociale, impegno e re-sponsabilità", curata dalla Agenziaper le Onlus (2010) - 31 sonostati realizzati in Sicilia e 27 inCampania. La ricerca rivela, inol-tre, che il 73% dei beni confiscatirisulta affidato al terzo settore, il

40% ad associazioni, il 27% allecooperative e il 18% ad enti edistituzioni. Considerando la tipolo-gia del bene riutilizzato, il 30%sono villa-palazzina, il 17% terrenie solo lo 0,9% aziende. Secondola ricerca, il 57% dei beni confi-scati è stato consegnato in ungrave stato di degrado e abban-dono, il 43% ha avuto forti diffi-coltà economiche. Infine, nel37,7% delle esperienze esami-nate, le attività di uso sociale sonodestinate alla cittadinanza nellasua totalità. Secondo i dati rac-colti, che hanno messo a con-fronto 116 ''buone prassi'' in 12regioni il "valore aggiunto" delleesperienze di riutilizzo è rappre-sentato dalla loro finalità sociale; ibeni vengono riutilizzati per pro-muovere azioni di contrasto al di-sagio sociale (21,7%), dipromozione culturale o aggrega-zione (18,3%) e di pubblica uti-lità(17,4%). I beneficiari sono perlo più i cittadini (37,7%) o personecon disabilità psico/fisiche(21,1%).Ma dalla ricerca emergono anchele ''ombre'' del meccanismo di ri-scatto: tra la confisca e il riutilizzodi un bene passano da un minimodi 12 mesi a un massimo di 23anni con una media 8 anni e 6mesi. La ricerca prende in consi-derazione 116 casi di beni confi-scati in un arco di tempocompreso tra l'85 e il 2006 per es-sere poi effettivamente riutilizzati apartire dal '98, due anni dopo l'ap-provazione della legge 109 sul-l'uso sociale: si tratta di unaselezione di "buone pratiche" chevede ai primi posti Sicilia (26,7%),

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Campania (23,3%) e Lazio(16,4%). Il 57,1% dei beni è stato conse-gnato alle realtà affidatarie ingrave stato di degrado e abban-dono e nel 42,9% dei casi presi adesame le queste hanno avuto fortidifficoltà di tipo economico. I datitestimoniano infine che nel 36,2%dei casi non e' stato segnalatonessun sostegno istituzionale. Laquestione dell'abbandono dei benisi fa problematica nel caso di ter-reni agricoli e di fondi coltivati, lacui produttività dipende da cureche spesso vengono meno nel pe-riodo compreso tra sequestro eriutilizzo ma consistenti sonoanche le difficoltà' burocratiche euna quota importante di occupa-zioni e ostruzionismi attraverso vielegali da parte degli ex proprietari,spoliazioni del bene prima dellaconsegna e danneggiamenti ritor-sivi. Fare rete. È questa la ricetta per fasì che i beni assegnati e i progettiche li finanziano producano ric-chezza, siano duraturi nel tempo enon si perdano strada facendo, inmodo tale che non rimangano solomonumenti della lotta alla crimina-lità organizzata .Ci tiene a sottoli-nearlo Carlo Borgomeo,presidente della Fondazione per ilSud, nata dall'accordo tra fonda-zioni di origine bancarie e ilmondo delle rappresentanze delterzo settore e del volontariato, laFondazione ha finanziato diversiinterventi di "infrastrutturazione"sociale nelle quattro regioni delsud Italia e nelle isole."Ci piacerebbe che arrivasseroprogetti da associazioni di volonta-

riato - dice Borgomeo -, sarebbeancora più bello, che ci fosserodelle imprese sociali, cioè soggettiche producano un po' di ricchezzain questi beni, una ricchezza sanae alternativa a quella del mondocriminale. La Fondazione per ilSud fa degli interventi con la spe-ranza che i progetti sopravvivano.Cercheremo alleanze supplemen-tari, faremo ancora più rete perchénon possiamo permetterci il lussoche questi interventi non abbiamoun seguito e una durata nel tempo.Lotta alle mafie si fa mostrando lapotenza della repressione, la po-tenza di una collettività e di unoStato che è capace di sottrarle ibeni, ma si fa anche con la derivalunga del consenso. Si vede negliocchi della gente che il territorioaspetta come va a finire. Il territo-rio sta in agguato e questo devefarci prudenti anche nell'utilizzarequesti beni in forme totalmente as-sistenziali. Non possiamo darel'immagine che in certe logicheerano beni che producevano ric-chezza e occupazione e in altrelogiche stanno li' come monumentialla guerra alla mafia". Con una

dotazione di circa 20 milioni dieuro l'anno, la Fondazione ha ero-gato finanziamenti per progetti chevanno dalla lotta all'evasione sco-lastica, agli interventi sociosani-tari, fino ai beni comuni. Beni confiscati per ospitare im-migrati. Perché no?Mettere i beni confiscati alla crimi-nalità organizzata a disposizioneper ospitare gli immigrati giuntinegli ultimi giorni in Sicilia dallecoste del Nord Africa. "Non èun'ipotesi assolutamente da scar-tare". Ne sembra convinto il pre-fetto Mario Morcone, direttoredell'Agenzia nazionale per i benisequestrati e confiscati alla mafia.Ma c’è sempre un ma. "Dipendedalla politica che si fa - dice Mor-cone - è chiaro che se si spal-mano su molti comuni di diverseregioni italiane piccoli nuclei fami-gliari, allora anche i beni confiscatipossono dare una mano, met-tendo a disposizione degli appar-tamenti. Se si decide invece, difare grossi aggregati, allora nonabbiamo beni da mettere a dispo-sizione". Eppure potrebbe essereuna strada praticabile tenendoconto anche della cronaca di que-sti ultimi giorni di marzo chehanno visto migliaia decine e de-cine di sbarchi di immigrati a Lam-pedusa. ”Individuare centri perl’accoglienza degli immigrati at-tiene a scelte politiche, se i co-muni, anche i più piccoli, fosserocoinvolti, l’Agenzia per i beni confi-scati potrebbe dare il proprio con-tributo”. Insomma è la politica chedeve muoversi in questa direzione.

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L’economia solidale in rete“RESsicula” a Enna il 2 e 3 aprile

Cinque persone, responsabili di altrettante organizzazioni siciliane, hanno av-viato un percorso verso la costituzione della Rete siciliana di Economia Solidaleperché credono che solo interagendo e cooperando riusciremo ad incidere con-cretamente nella realtà economica di quest'isola, nella cultura dei suoi abitantie nella qualità delle relazioni.Questa ipotesi è ampiamente supportata da numerose esperienze positive sulnostro territorio, dai gruppi d'acquisto solidali ai gruppi d'offerta, a numerose altrereti che stanno agendo, creando occupazione, suscitando speranze tra i giovanie rafforzando il capitale delle relazioniLa RESsicula vuole nascere per mettere a sistema queste esperienze sparse,divulgare buoni modelli replicabili ed essere attrattiva per tutti coloro che sono "inmezzo al guado" e sentono il bisogno di "altro" rispetto al modello di sviluppo do-minante, in tutti i settori della produzione, e del consumo, dei servizi e del socialeLa Rete vuole essere orizzontale e circolare, senza capi immobili, ma con refe-renti e portavoce che si alternino a cadenza molto frequente, con numerosi snodiche si mettano sistematicamente in relazione e comunichino paritariamente traloro. La Rete non si appoggia ad alcun movimento o partito politico, ma sostienele battaglie per il bene comune.Questi gli spunti di discussione dell’incontro dal titolo che si terrà sabato 2 e do-menica 3 aprile nella sala conferenze della O.N.G. Luciano Lama, via Civiltà delLavoro, 17, Enna Bassa.

VERSO LA RESsicula - Enna, 2 e 3 aprile 2011

Sabato 2 aprile 2011ore 9,00/10,00 registrazione partecipanti ed iscrizione ai gruppi di lavoroore 10,00 inizio dei lavori con una breve introduzione di Nino Lo Bello ed un in-tervento di Tonino Pernaore 11,00/13,30 Giuseppe Vergani e Giuseppe De Santis della cooperativaSCRET illustreranno alcune esperienze di Reti di Economia Solidale al centro-nordore 13,30/15,00 pranzoore 15,00/19,00 gruppi di lavoro

Domenica 3 aprile 2011ore 9,00/10,00 restituzione gruppi di lavoro ore 10,00/13,00 dibattito (interventi massimo 5 minuti, possono parlare 40/50persone!)ore 13,00/13,30 chiusura dei lavori

Per informazioni su preiscrizioni e prenotazioni rivolgersi a Emanuele Ferrara,[email protected] . Per offrirsi come volontari per la registrazione dei partecipanti,rivolgersi [email protected]

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di TEODORO LA MONICA

’Assemblea generale delle Na-zioni Unite ha approvato unarisoluzione che riconosce l’ac-

cesso all’acqua come diritto fonda-mentale di ogni persona.Adesso che la Corte Costituzionaleha ammesso due dei tre quesiti sul-l’acqua la campagna referendariaentro nel vivo. Nel mese di giugnosaremo chiamati ad esprimere unascelta importante, a decidere su unbene essenziale. Grazie a milionee quattrocentomila donne e uominiche hanno sottoscritto i referendum,l’intero popolo italiano sarà chia-mato a pronunciarsi su una grandebattaglia di civiltà: decidere se l’ac-qua debba essere un bene co-mune, un diritto umano universalee quindi gestita in forma pubblica epartecipativa o una merce da met-tere a disposizione del mercato edei grandi capitali finanziari ,anchestranieri.Noi pensiamo che i referendumsiano un’espressione sostanzialedella democrazia, attraverso laquale i cittadini esercitano la sovra-nità popolare su scelte essenzialidella politica che riguardano l’esi-stenza collettiva.L’acqua è oggi minacciata dai cam-biamenti climatici, da un modelloeconomico insostenibile, dai pro-cessi industriali aggressivi.Ma soprattutto l’acqua è sotto at-tacco da parte di chi vuole privatiz-zarla, gestendola come una mercequalsiasi per un tornaconto mone-tario.Acqua come fonte di guadagno per

pochi invece che fonte di vita pertutti.L’acqua ci appartiene ma appar-tiene anche alle generazioni future,difenderla significa difendere sestessi, le nostre speranze, il nostrofuturo, la vita stessa.Senza acqua non c’è vita: ciò bastaper escludere le risorse idrichedalla sfera di un commercio senzaregole.Noi abbiamo pensato che fossepossibile risolvere i problemi con lapolitica, che quest’ultima fosse alservizio del bene comune, del benepubblico.Invece la politica ha concepito unanorma inaccettabile, ed ha addirit-tura dimenticato alcune regole fon-damentali del libero mercato e cioèche bisogna essere liberi non solodi vendere, ma anche di comprare.Ma se qualcuno possiede qualcosadi indispensabile per la stessa esi-stenza, allora la liberta di acqui-stare non esiste.L’acqua, l’aria, le sementi, la salute,l’educazione, la fertilità dei suoli, labellezza dei paesaggi, la creatività,non possono essere assimilate allealtre categorie di merci.

Il diritto ha bisogno di nuovi para-digmi per gestire “beni comuni”.Se i beni comuni diventano pro-prietà di qualcuno, tutti gli altri adesclusione di quel “qualcuno” neavranno un danno e la loro vita saràin pericolo. I beni comuni sono “a ti-tolarità diffusa”, appartengono a tuttie a nessuno, nel senso che tutti de-vono poter accedere ad essi e nes-suno può vantare pretese esclusive.Devono essere amministrati muo-vendo dal principio di solidarietà.Incorporano la dimensione del fu-turo, e quindi devono essere gover-nati anche nell’interesse dellegenerazioni che verranno.Adesso siamo a questo punto: esi-ste una norma che rende l’acquaprivatizzabile, con il referendumpossiamo cancellarla. Occorre peròche vadano a votare almeno lametà più uno degli aventi diritto alvoto.Nelle ultime elezioni gli aventi dirittoal voto erano 47 milioni, approssi-mativamente è necessario checirca 25 milioni di cittadini si recanoalle urne per votare.Certo prima di fare questo è impor-tante che siano informati, che sap-

Privatizzazioni e sprechi L’acqua è un bene da difendere

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piano dove informarsi, che capi-scano che questa è una battagliaimportantissima.Occorre iniziare a far da noi.Usciamo insieme da questo pan-tano, creiamo in ogni comune unsoggetto nuovo a cui fare riferi-mento per informare e difendere icittadini sull’importanza dei beni co-muni.Oggi lavoriamo sull’acqua, ma leemergenze non mancano; dallescelte sul nucleare, alle emergenzedelle strade ai paesi pieni di rifiuti,dalla mancanze di materiale nellascuola a cominciare dalla carta igie-nica, dalle polveri sottili nell’aria,ecc.La politica dei partiti non esiste piùe in questa fase non ha le energieculturali necessarie per invertire larotta.Occorre, quindi, che i cittadini si at-trezzino indipendentemente dallebandiere e dalle sigle; non è impor-tante il cappello che portiamo ma leidee che abbiamo, le azioni chesappiamo produrre.Dobbiamo muoverci abbiamo biso-gno di strutture leggere, legati aimunicipi, alle parrocchie, a tutti iluoghi dove si può parlare, trasmet-tere l’importanza della battaglia atutela di un interesse di tutti .Occorre che tutti i territori si mobili-tano, sia i paesi che le grandi cittàperchè solo così potremo portare25 milioni di italiani a votare, 25 mi-lioni di uomini e donne che rende-ranno validi i referendum e se lavittoria sarà del “sì” ciò porterà adinvertire la rotta sulla gestione deiservizi idrici e più in generale su tuttii beni comuni.

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Il Consiglio dei Ministri ha fissato lo svolgimento dei referendum su acqua enucleare per il 12 e il 13 giugno 2011. Gli italiani dunque saranno chiamati alvoto per pronunciarsi sui quesiti referendari per abrogare la legge sullaprivatizzazione dell’acqua pubblica e il nucleare. Con il referendum sipropone l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008,relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Il12 giugno 2011 si voterà anche un referendum per abrogare la possibilità dicostruire nuove centrali nucleari in Italia. In questo quesito ai cittadiniverrà chiesto: “Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n.112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testorisultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recanteDisposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, lacompetitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazionetributaria, limitatamente alle seguenti parti: art. 7, comma 1, lettera d:realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energianucleare”. Già nel 1987, con un referendum, venne votata a grandissimamaggioranza dal popolo italiano, la chiusura delle centrali nucleari italiane.Se il quorum verrà raggiunto (cioè se voterà il 50% +1 degli aventi diritto) ese vinceranno i sì l'acqua tornerà ad essere un bene di tutti e non sarannorealizzate centrali nucleari nel territorio italiano.

Referendum anche sul nucleareSi vota il 12 e il 13 giugno

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L’Antisociale

Le mani sulla cittàArticolato

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SEDE NAZIONALEvia Mariano Stabile 250Palermotel. 0918888496fax. 0918888538www.unaltrastoria.org

REFERENTI LOCALI DI UN’ALTRA STORIA MAGAZINE

Agrigento: TIZIANA LANZA / [email protected] Caltanissetta: FRANCESCA GRASTA / [email protected] Palermo: ANGELA SOLARO / [email protected] Siracusa: RITA PANCARI / [email protected] Catania: GIUSEPPE PILLERA / [email protected] Messina: VERONICA AIRATO / [email protected] Trapani: PIERO DI GIORGI / [email protected] Enna: SALVATORE PASSARELLO / [email protected]