Ma dove vanno gli italiani?
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EPeriodico italiano
Italianida rifare
Anno 1 I numero 0 I Febbraio 2011
� PRIMO PIANO
Ma dove vannogli italiani?Governo, societàeconomia: chefuturo ha l’Italia?
� ECONOMIA
No lavoro,no famigliaCome l’nstabilitàeconomica cambiala nostra società
� TENDENZE
L’audience dei ‘cazzari’Un sistema mediaticoche premia solo la mediocrità
La politica, l’economia, la società: il nostro Paese è allo sbando.Ma è il sistema a non funzionare o i suoi abitanti?
Italianida rifare
La situazione politica attuale del nostro Paese denota uno scadi-mento qualitativo dal quale qualsiasi passo in avanti sembra
avere carattere solamente degenerativo. Una realtà nella quale sem-bra che tutto venga fatto per relazioni, per amicizia, per rapportiintimi e confidenziali, per raccomandazioni. Un sistema, che PaoloGuzzanti ha definito ferocemente “mignottocrazia”, nel quale anchela formazione di un terzo polo non fa intravedere cambiamentisostanziali, quantomeno nel breve termine, neanche con le elezionianticipate. Per dare un quadro politico diverso a una sinistra‘distratta’, a una maggioranza che è ‘risicata e a un’opposizione cheè l’ex maggioranza, nonché per ridefinire l’arco costituzionale moltoprobabilmente l’Italia dovrà percorrere un viaggio a tappe. Ma nontutto è perduto come ci dimostra, quasi goliardicamente, il Guzzantiscrittore facendoci ripercorrere vent’anni della nostra storia.
OOnnoorreevvoollee GGuuzzzzaannttii,, sseeccoonnddoo lleeii,, iill nnoossttrroo PPaaeessee ssttaa aassssii--sstteennddoo aa uunnaa ddeerriivvaa eesstteettiizzzzaannttee iinn ccuuii aallllaa ddoonnnnaa vviieenneerriicchhiieessttoo eesscclluussiivvaammeennttee uunn ddaattoo ddii aavvvveenneennzzaa ffiissiiccaa??“Innanzitutto, diciamo che ci sono donne con grandi qualità intellet-tuali che sono anche bellissime. Dunque, io non dividerei il mondofemminile in due categorie assolute, le belle e stupide contro le brut-tine e intelligenti: ci sono numerose donne belle e intelligenti, cometante altre brutte e stupide, così come molti uomini. Per esempio, ilministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che conosco da moltianni, cioè sin da quando era presidente dei Giovani industriali, è unadonna in ‘gambissima’, con una mentalità aperta, laica. Ed è anchemolto affascinante. In secondo luogo, io ho scritto un libro con un tito-lo ‘scomodo’ e anche un po' sgradevole, ma questa sgradevolezza nonè dovuta a me, bensì a una situazione che questo titolo rispecchiamolto: una deriva del potere che ormai si fonda su una forma di pro-stituzione. Non si tratta delle solite storie, vere o false, attribuite alpresidente del Consiglio, alle sue personali avventure e svagatezze,o alle sue serate in libertà. Questo, certamente, fa parte di un qua-dro generale, ma ciò a cui mi riferisco io è invece il ‘berlusconismo’ inquanto ‘sistema’. Io conosco molto bene Berlusconi e l’ho sentito teo-rizzare molto intelligentemente certe cose. E ciò rappresenta un datomolto importante: a Berlusconi non capitano degli incidenti, noncommette delle gaffes, bensì sa benissimo che, quando agisce in un
primopiano Intervista a Paolo Guzzantiprimopiano>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
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Ma dove vannogli italiani?
Governo traballante per lepolemiche sul premier checontinuano a monopoliz-zare i palinsesti televisivi ele prime pagine dei quoti-diani. Tutto ciò mentre ildisagio sociale, l’economiadisastrosa e la mancanzadi occupazione hanno rag-giunto livelli molto preoc-cupanti. Dove sta andan-do il nostro Paese e cosaaltro può succedere se nonsi trova una qualche pro-spettiva di svolta?
certo modo, in campo sessuale ma anche in altri, egli acquista popo-larità. Se si vanno a vedere i sondaggi, si nota che, in determinatesituazioni, la sua popolarità sale anziché scendere, come talvoltaqualcuno si augurerebbe, magari per motivi di buon gusto. In prati-ca, Berlusconi, molto più semplicemente, è convinto di poter sostitui-re il personale politico, che generalmente è brutto, maschile, pocoattraente, ma pericolosamente indipendente, o che cerca di pensarecon la propria testa, con una generazione di giovani, prevalentemen-te belle ragazze ma non solo, che si segnalano, fondamentalmente,per il proprio sex appeal. Questo, dunque, esclude eventuali storiesessuali o vicende piccanti che, talvolta, ci sono, ma rappresentano,nel mio libro, un dato secondario”.
DDuunnqquuee nneell ssuuoo uullttiimmoo lliibbrroo,, MMiiggnnoottttooccrraazziiaa,, lleeii ddeennuunncciiaassoopprraattttuuttttoo qquueessttaa mmooddaa cchhee hhaa rreessoo pprriioorriittaarriiaa,, iinn ppoolliittii--ccaa,, llaa ccoossiiddddeettttaa ''bbeellllaa pprreesseennzzaa''??“Naturalmente: se l’avvenenza è il primo requisito, si va a penalizza-re fortemente l’intelligenza e le altre qualità intellettuali, perché sesi debbono scegliere 100 belle ragazze e vengono scartate tutte quel-le che non lo sono, questo abbassa notevolmente il livello qualitativodella selezione. Ciò lo si è capito molto bene proprio al momento dellafondazione del Pdl, quando si è svolto il I Congresso. Io già ne erofuori, ma ho seguito l’evento per televisione e lì si è visto che le ‘primefile’, in quell’evento, non erano più occupate dai vecchi politici delPartito, non c’erano Alfredo Biondi, Fabrizio Cicchitto o AntonioMartino, bensì delle persone sconosciute ma graziose, prevalente-mente ragazze, ma anche alcuni ragazzi che avevano come caratte-ristica quello di essere belli e giovani. Nella mentalità di Berlusconiquesta dev’essere la modalità con cui ottenere il ‘ricambio di sangue’della politica, ottenendo, in questo modo, un parlamento di gente che
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“Ho scritto un librocon un titolo ‘scomodo’ eanche un po' sgradevole,ma questa sgradevolezzanon è dovuta a me, bensì auna situazione che questotitolo rispecchia molto:una deriva del potere cheormai si fonda su unaforma di prostituzione”.
poi si comporta in maniera ‘impiegatizia’, perché questi candidativengono addirittura portati in determinate scuole dove vengono sot-toposti a dei veri e propri corsi intensivi di apprendimento di regola-menti e via dicendo”.
ÈÈ ppeerr qquueessttoo mmoottiivvoo cchhee iinn mmoollttii ddiibbaattttiittii tteelleevviissiivvii ssiinnoottaa,, iinn aallccuunnii eessppoonneennttii,, uunn cceerrttoo rriiccoorrssoo aallllaa ‘‘ppaappppaarrddeell--llaa mmnneemmoonniiccaa’’ oo ddii uunn ‘‘iinntteerrccaallaarree’’ ddeell ttiippoo:: ""CCoommee ggiiuussttaa--mmeennttee hhaa ddeettttoo iill pprreessiiddeennttee BBeerrlluussccoonnii……"",, ooppppuurree:: ""CCoommeerriittiieennee aanncchhee iill nnoossttrroo pprreemmiieerr……""??“Sì, esattamente: una formazione da Partito comunista cinese. Io,infatti, cominciai a dire, allorquando iniziai a dar segni d’insofferen-za, che gli incontri o le varie convention del Partito ormai sembrava-no i festeggiamenti di Kim Il-sung, il presidente della Corea delNord, con tutte queste danzatrici, quel ‘trionfo’ grafico di ‘nuvole’, le'mascherine' che ti accompagnano al posto come a teatro. Insomma,tutte cose che non servono a molto, in politica”.
BBeerrlluussccoonnii ssttaa ccoommmmeetttteennddoo qquueessttii eerrrroorrii ppeerrcchhéé ssccaammbbiiaacceerrttii ccrriitteerrii ccoommee ddeeii rriissvvoollttii ddii mmooddeerrnniittàà??“Berlusconi persegue un suo fine. Secondo me, tutto questo è un erro-re, ma dal suo punto di vista è una cosa astutissima: egli punta a‘disossare’, in un certo senso, la democrazia dalle sue regole ‘incardi-nate’. Come dice egli stesso, lui è l’uomo del fare e non gli importadell’esistenza di quelli che chiama “lacci e lacciuoli”, che poi sono laCamera, il Senato, le commissioni, gli emendamenti, le votazioni, ilpresidente della Repubblica, la Costituzione, insomma tutto ciò chelo ostacola, ignorando - o meglio, non lo ignora affatto, anzi lo sabenissimo - che la democrazia occidentale, che non è quella di Chavezo di Putin, si fonda su due elementi, quello delle elezioni, in cui si vaa votare, un Partito perde, un altro vince, il primo va all'opposizionee il secondo governa: questo è l’aspetto competitivo della politica, mapoi c’è anche quello delle regole, delle procedure, dei pesi e contrap-pesi, dei ‘check and balance’, che servono espressamente a ostacola-re proprio chi governa o chi ha vinto le elezioni. Quando Obama havinto le presidenziali negli Stati Uniti, poi si è trovato contro ilCongresso e il Senato e, infine, ha perso le elezioni di medio termine.E così è accaduto anche in Francia. Ciò perché la democrazia deveavere le elezioni, con chi vince e chi perde, ma anche il momento incui chi governa deve trovare ostacoli, cercare compromessi, fare pattianche col ‘nemico’, se necessario. Questo secondo aspetto, perBerlusconi è solo fumo negli occhi…".
IIll pprreemmiieerr ddeessiiddeerraa ppootteerrii iinnttrriinnsseeccaammeennttee ssoovvrraannii ,,sseeccoonnddoo lleeii??“Sì. Egli si comporta – e non so se ne è consapevole – come Luigi XIVquando inventò Versailles: la reggia di Versailles venne infatti idea-ta dal ‘Re sole’ per togliersi dalle ‘scatole’ il ceto nobiliare, che gli davafastidio e non pagava le tasse. E così fece creare questa città virtua-le, li ficcò tutti là dentro, furono spesi fiumi di soldi per stabilire qualera la moda dell’anno e come ci si dovesse vestire e poi feste, ricevi-
primopiano “È un momento di grande prostituzione di massa”primopiano>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
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Ma perché Berlusconi piace?
Onorevole Guzzanti, gli italiani, riguardo a
Berlusconi, pensano che spesso un uomo
che parte da presupposti generalmente
considerati ‘sbagliati’ possa più facilmente
ottenere delle realizzazioni giuste, corret-
te, efficaci: è ancora valido, secondo lei,
questo ragionamento, oppure ritiene che,
a 17 anni di distanza dal ‘mitico’ 1994, sia
giunto il momento di spiegare al Paese che
nemmeno l'attuale premier possieda la
‘bacchetta magica’?
"È una domanda francamente ottimista. Gli
italiani da Berlusconi non vogliono riforme
istituzionali o realizzazioni concrete: gli ita-
liani votano Berlusconi perché gli piace, poi-
ché è un uomo che fa esattamente ciò che
molti vorrebbero fare e non possono, ha un
sacco di soldi, gli piacciono le belle donne,
insomma ci rispecchia fedelmente. Ma la
cosa più preoccupante e che quando Berlu-
sconi finisce al centro di vicende piccanti, in
cui l’immagine della donna viene messa in
discussione e, forse, anche umiliata, pur-
troppo i sondaggi ci dicono che la popolari-
tà di Berlusconi proprio presso le donne ita-
liane cresce. E questo è un fatto molto indi-
cativo, nella sua negatività. Io ho sentito
dire, soprattutto a Roma, in cui si parla un
linguaggio talvolta ‘greve’, frasi del tipo:
“Embè? A lui je piacciono le donne: sempre
mejo de quelli che vanno coi ‘froci’…”, dimo-
strando ancora l’esistenza di determinati cli-
ché, di una certa omofobia, pregiudizi che
però mantengono una loro grande ‘presa’
popolare, purtroppo…”.
menti, festini, nidi d’amore e così via. Se si va a Versailles si percepi-sce chiaramente l’importanza della sessualità alla corte di Luigi XIV.E le ville di Berlusconi, quella di Arcore, Palazzo Grazioli, villaCertosa e le altre, sono perciò i luoghi in cui Berlusconi ha creatol’antipolitica, dove gli ammessi vengono introdotti in questo mondoriempito di belle ragazze mentre, sull’altro versante, quello popolare,specialmente al sud, le ragazze vengono spinte dalle madri a farsi il‘book’, un bel reportage fotografico personale da far circolare affinchéarrivi a Emilio Fede o ad altri che forse lo porteranno ‘a palazzo’. Cosìfu, per esempio, per Noemi Letizia, la quale lo raccontò in manieramolto efficace in un’intervista: “Squilla il cellulare: chi sarà? E unavoce risponde: “Sono il presidente del Consiglio…”.
BBeerrlluussccoonnii èè ppeerriiccoolloossoo ppeerr llaa ddeemmooccrraazziiaa??“Vi risponderò come Carlo De Benedetti, su cui ho scritto un librocredendolo un ‘antiberlusconi’, mentre poi ho scoperto che nutreverso l’attuale presidente del Consiglio una grande simpatia umana.De Benedetti mi disse, una volta, una cosa che io trovo molto giustae intelligente: “Quando un uomo di successo viene dagli affari o dalmondo delle aziende, inevitabilmente è un dittatore”. Le aziende disuccesso, infatti, si governano col ‘pugno di ferro’, con sistemi che nonsono quelli della democrazia: si tratta di concezioni gerarchiche, pocoflessibili, dirigiste, dove il ‘capo’ è tale per tutti, anche quando offrelo champagne e corteggia le impiegate, manda mazzi di fiori e cosìvia. C’è tutto un galateo, nel mondo delle aziende. “Se fossi entratoin politica”, mi disse De Benedetti, “e avessi concorso a fare il primoministro, io stesso sarei stato un pericolo per la democrazia”.Insomma, Berlusconi, di per sé, non è una persona malvagia o condelle idee assurde: più semplicemente, è uno di quelli che pensanoche si possa governare un Paese così come si guida un’azienda. E ciòè profondamente sbagliato, soprattutto se il sistema di governo èquello di una democrazia occidentale”.
OOllttrree aall ttiittoolloo,, iinn ccooppeerrttiinnaa cc''èè aanncchhee uunn ssoommmmaarriioo cchheeaappppaarree ppiiuuttttoossttoo aalllluussiivvoo:: ““LLaa sseerraa aannddaavvaammoo aa mmiinniissttrree””..CCoossaa ssiiggnniiffiiccaa?? PPuuòò ssppiieeggaarrcceelloo??“Si tratta di un’allusione a un sistema intrinsecamente ‘prostitu-torio’: allorquando si ammette che la bellezza e il sex appeal sonogli strumenti principali da utilizzare per avere successo e non lalaurea o gli anni di esperienza passati in un’amministrazione pub-blica, ma viceversa le tue misure o il tuo aspetto fisico, inevitabil-mente si crea un’osmosi tra il comportamento pubblico-politico equello privato. Una tendenza che ormai vediamo ovunque, poichéstiamo vivendo in un momento di grande prostituzione di massa:lo sanno bene coloro che studiano il fenomeno, per esempio, delleragazzine che si prostituiscono per farsi ricaricare il telefonino. Sea ciò aggiungiamo tutta una serie di ‘scandaletti’ o ‘scandaloni’che, a torto o a ragione, sono stati attribuiti ad alcune vicende per-sonali del premier, emerge una cultura che proviene dalla televi-sione, in cui c’è tutto questo mondo di ‘vallette’, ‘veline’, ‘meteori-ne’, ‘letterine’ e via dicendo, tutte ragazze con un bel cubetto, belle
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Oggi più di ieri
Nell’era giolittiana, Giovanni Amendola
denunciava severamente: “L’Italia come
oggi è non ci piace”. Da allora il nostro
Paese di strada ne ha percorsa molta e,
purtroppo, non sempre in avanti. Una
direzione di marcia che ha perso la bus-
sola e che ripone scarse e incerte speran-
ze sul futuro. In una contemporaneità
senza memoria, come afferma Umberto
Eco, nella quale i nostri giovani sembra
che fondino la propria capacità critica e
l’intellettualità su riferimenti culturali
‘altri’ è molto difficile anche solo ipotiz-
zare una qualche evoluzione del nostro
sistema Paese. Un divorzio dal passato
che nella propria amnesia cancella anche
quegli errori che hanno condotto la storia
verso i suoi vicoli più oscuri. Forse è pro-
prio in questo che i giovani possono con-
siderarsi una ‘generazione tradita’. Tradita
dall’ignoranza e dalla non consapevolez-
za; con un’idea dei diritti che spesso non
contempla i doveri; con una cultura ‘tra-
smessa’che si esplica in un’Università che
non forma, in un populismo che affascina
e confonde al fine di perpetuare all’infini-
to i nepotismi, la cialtroneria e il malgo-
verno. Ecco perché anche per noi “L’Italia
come oggi è non ci piace”.
‘tettine’, un bel visino e gambe lunghe che aspirano, naturalmen-te, a fare carriera, che vogliono andare al ‘Grande Fratello’, oppu-re vogliono fare l’assessore in qualche amministrazione regionaleo addirittura andare in parlamento. E, ovviamente, si crea unasorta di ‘scalata’ a conoscere, a entrare nelle ‘grazie’ di quello cheVeronica Lario ha definito “l’imperatore”, cioè il presidente delConsiglio. Poi, certamente, il premier sarà anche la persona piùcasta di questo mondo, come certe volte egli stesso sostiene, maquesto non è importante: quel che conta, alla fine, è il ‘movimen-to’, il fenomeno che si viene a creare, che uccide la dignità delladonna. Tutto quello che si era costruito non dico col femminismo,ma con tutta una mentalità che, negli anni ‘70 del secolo scorso,aveva creato una nuova donna, una nuova società e tutte questebelle cose, rischiano di essere polverizzate con i cingoli dei ‘carriarmati’: ci troviamo ormai di fronte a un popolo di giovani italianeche non sanno cosa sia la politica, che non parlano correttamentein italiano, che non leggono un libro nemmeno con una pistolapuntata alla tempia e che, tuttavia, sanno che se si comporteran-no ‘bene’ in ‘quel senso’, faranno carriera. Questo non è ammissi-bile, anche perché c’è la tendenza a far passare tutta questa ‘roba’come un segno dei tempi, perché adesso siamo nell’epoca di inter-net, dei social network, insomma: come un risvolto di modernità.Un po’ tutto questo è vero, perché avviene anche da altre parti, maciò accade in particolar modo in Italia, perché talvolta noi italianinel ‘peggio’ primeggiamo”.
FRANCESCA BUFFO
primopiano “purtroppo noi italiani nel peggio primeggiamo”primopiano>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
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DA LEGGERE / per capire come cambia la comunicazione e la politica in Italia
Un libro feroce, che non risparmianiente a nessuno. Ma niente affattocinico. Dalla promessa di un mondonuovo e diverso di un padre alla figlianeonata, a ciò che invece è diventatoun sistema basato sulla corruzionemorale.Mignottocrazia, Paolo GuzzantiAliberti Editore, pagg.174, euro 16,00
Un'analisi del linguaggio totalitario delfascismo. Scritti e discorsi infarciti didemagogia che hanno mirato ad assog-gettare i pensieri di milioni di conna-zionali. Un invito a diffidare di chi anco-ra oggi conduce la lotta politica mani-polando linguaggi e coscienze.Parole di Duce, Enzo GolinoBur Saggi, pagg.132, euro 9,00
Gli autori di questo libro rappresentanola nuova generazione della critica inItalia. Professionisti attivi nel tenerealta l’attenzione sulle nuove implica-zioni culturali e civili del lavoro dell’in-tellettuale inaugurando un nuovo mododi ripensare il lavoro critico.Dove siamo?, Autori variDuePunti Edizioni, pagg.128, euro 15,00
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Tornando a riflettere intorno ai prossimi
festeggiamenti per i 150 anni della nostra
unificazione nazionale, uno dei problemi cultu-
rali maggiori è quello rappresentato dal tema
linguistico. I molteplici processi omologativi
imposti nel nostro paese attraverso la televisio-
ne hanno infatti generato un ‘parlato medio’tri-
stemente omogeneo, che si è sovrapposto al
vecchio ‘italiano popolare’ – il quale si innesta-
va su una serie di varietà lessicali, fonetiche e
sintattiche - mediante una semplificazione
della grammatica, un restringimento del voca-
bolario, una fioritura di neologismi, un forte
ingresso di ‘moduli’ comunicativi mutuati da
linguaggi estremamente ‘settoriali’. In questo
lento, ma inesorabile, processo, particolare rile-
vanza hanno assunto i cosiddetti ‘costrutti non
unitari’, che ben si adeguano alla scarsa compe-
tenza dei parlanti, riflettendo altresì una stan-
dardizzazione di stampo fortemente ‘massifica-
torio’. Mi riferisco, in particolar modo, alla sosti-
tuzione del congiuntivo con l’indicativo presen-
te in dipendenza del verso ‘putandi’ (“credo che
sei guarito”); alla scomparsa del passato remo-
to a vantaggio di quello prossimo (“vent’anni fa
ho fatto l’appendicite”); al ricorso all’imperfet-
to indicativo con valore di condizionale presen-
te (“cercavo Pietro”); all’uso dell’indicativo pre-
sente al posto del futuro, parente stretto del
‘presente continuo’ di contaminazione anglo-
sassone (“domani vado a sciare”); alla caduta
dell’articolo determinativo davanti agli aggetti-
vi possessivi (“mio zio”); al passaggio da ‘egli’ a
‘lui’ come pronome personale soggetto; alla
generalizzazione del ‘che’ polivalente (“ho affit-
tato una casa che si vede il mare”); al frequente
uso degli anacoluti (“Io il latte non lo digeri-
sco”); all’assuefazione all’ellissi e alla prolessi
(“mi sono preso ‘un’ mal di schiena”, “questo mi
conforta, che sei sempre in buona fede”). Le
terminologie e le locuzioni specialistiche della
scienza, della politica, del giornalismo e della
pubblicità hanno poi contribuito a ‘scardinare’
definitivamente il vero impianto normativo
della nostra lingua, esaltando la funzione
‘nominalistica’ a scapito di quella ‘verbale’. Ciò
ha finito col generare una lunga serie di prefis-
sazioni e di suffissazioni, semplici o cumulative
(cogestione, riconversione, ipertensione, biode-
gradabile, anticoncezionale, fotomontaggio,
subcontinente, autocritica, neoplasia, micro-
struttura e così via…) le quali, assorbite dal
normale linguaggio colloquiale, si traducono in
fattori di corrompimento sia del pensiero, sia
dell’interscambio dialettico. E non tanto perché
danno luogo a buffe ‘ridondanze’ (“ho fatto
l’elettocardiogramma al cuore”, “ho acquistato
la pillola anticoncezionale in farmacia”) quanto
perché producono metafore ‘esornative’ (esor-
nativo è un aggettivo che non aggiunge nulla di
sostanziale al sostantivo cui si accompagna,
limitandosi a evidenziarne un carattere ordina-
rio) che costellano i più ambigui e ciarlatane-
schi messaggi retorici. Analogamente, le assi-
milazioni di pleonasmi di origine burocratica
hanno finito col generare una sorta di ‘antilin-
gua’, la quale ci ha obbligato ad assistere a una
vera e propria fuga dalle passioni, all’abolizione
di ogni fattore esperienziale, a una ricerca
disperata di una ‘impassibilità espressiva’ tesa a
celare il forte timore psicologico nei confronti di
ogni genere di responsabilità sociale. È il caso,
per esempio, di chi dice “preadolescente” anzi-
ché “ragazzo”, “in data odierna” anziché “oggi”,
“ho effettuato” anziché “ho fatto”. Un simile
modo di comunicare non rispecchia solamente
l’aridità, l’avarizia morale e la dissimulazione
tipica degli italiani, né l’inevitabile povertà di
una ‘koinè’ che, per essere effettivamente tale,
per forza di cose tende ad arrestarsi sui livelli
più bassi, bensì obbedisce a determinati istinti
psicologici di difesa contro interlocutori ritenuti
culturalmente più esperti. Di tutto questo, ne
ho avuto prova diretta sin nei primi anni della
mia personale esperienza giornalistica, allor-
quando venivo inviato da televisioni o emitten-
ti radiofoniche con tanto di ‘troupe’ al seguito al
fine di registrare i pareri di cittadini o di perso-
naggi televisivi anche assai affermati: messi di
fronte a un microfono o a una telecamera, quasi
tutti gli intervistati ricorrevano, nel rispondere,
a ‘paradigmi di derivazione’ intersecati a una
infinità di pause, esitazioni e sequenze ‘fàtiche’
(“ecco”, “in effetti”, “capito, no?”, “vero?”, “per così
dire”) che nascondevano veri e propri comples-
si di inferiorità e che servivano disperatamente
a mantenere in ‘asse’ costruzioni semantiche e
sintattiche decisamente deboli. Ciò evidenzia
brutalmente un amalgama linguistico che non
è stato governato in alcun modo, durante i lun-
ghi decenni di dominio democristiano della
Pubblica istruzione. Il mondo della scuola,
infatti, si è ritrovato letteralmente preso in ‘con-
tropiede’ da un’italianizzazione lutulenta, che
ha portato intere ‘schiere’ di insegnanti a tolle-
rare i ‘dialettismi’più grevi confondendo il ‘bilin-
guismo’ con la ‘diglossia’ o, viceversa, ad asser-
ragliarsi dietro a un ‘purismo’ anacronistico il
quale, paradossalmente, ha finito col respinge-
re proprio l’apporto delle culture più autentiche
e tradizionali del nostro Paese. Ciò è ben
descritto nelle pagine di ‘Calcinaccio’ di
Svolgendo un ruolo di tramite fondamentale fra l’uso colto e let-terario della lingua italiana e quello del cosiddetto ‘linguaggioparlato’, anche il nostro giornalismo ha le sue gravi responsabi-lità nel non riuscire a fornire una risposta culturale decente allanostre storiche crisi di identità.
Un italiano con più parolee meno chiarezza
La questione della lingua / un italiano senza più regole
primopiano tirannia degli spazi = economia linguisticaprimopiano>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
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Giuseppe Cassieri, un buon libro dei primi anni
’60 in cui un professore di italiano deve sotto-
mettersi alla revisione dei compiti in classe già
corretti da lui da parte del preside e di un segre-
tario ignorante, i quali non accettano “man
mano”, al posto di “a mano a mano”, esigono che
“tratturo” venga sostituito con “sentiero” dimen-
ticando D’Annunzio e il semplice fatto che un
tratturo di campagna non è propriamente un
sentiero. Ma il ‘passo’ più illuminante rimane
quello dell’incidente che capita allorquando il
segretario amministrativo si trova di fronte alla
frase “le pecore si ammirigliano per il caldo e la
stanchezza” ed esclama: “Che significa? Questo
non è più estro, ma lingua ostrogota: facciamo
pure l’Italia dal basso, democraticamente, ma
entro certi limiti, eh”! “Ecco, segretario”, si oppo-
se il professore, “su per le montagne e le colline
dell’Italia centrale, a meno di due ore di macchi-
na da Roma, le potrebbe capitare di assistere alla
scena descritta dal nostro alunno. Ci faccia caso:
centinaia di pecore che, d’un tratto, si fermano,
diventano simili a rocce e si fanno ombra recipro-
camente: corpi contro corpi, corna contro corna,
velli contro velli. Questa operazione spontanea
delle bestie viene chiamata, da chiunque in
quelle zone, pastori o professori, ‘ammiriglia-
mento’. Ammirigliare, segretario, dal latino ‘ad
meridium’, meridiano, meridiana, meriggio,
meriggiare…”. Svolgendo un ruolo di tramite
fondamentale fra l’uso colto e letterario della lin-
gua italiana e quello del cosiddetto ‘linguaggio
parlato’, anche il nostro giornalismo ha le sue
gravi responsabilità nel non riuscire a fornire una
risposta culturale decente alla nostre storiche
crisi di identità. In una società immobile ma mul-
tiforme, il numero di avvenimenti e di notizie
degne di racconto aumenta a dismisura, ma la
cosiddetta ‘tirannia degli spazi’ costringe da
sempre il mondo dell’informazione a una sorta
di ‘economia linguistica’ che va dai prefissoidi
adoperati come sostantivi (neuro, frigo) alle
combinazioni asindetiche (legge-stralcio,
udienza-fiume, notizia-bomba), dalle ellissi
con caduta di preposizione (vertenza-FIAT,
busta-paga, ufficio-immigrazione), alla nomi-
nalizzazione degli aggettivi (i preziosi, l’utilita-
ria, il direttivo, i mondiali), dalla soppressione
del complemento oggetto (il terzino passa al
centro), alla sostituzione della proposizione
relativa con singolari participi-presente (aventi
diritto, facenti funzione). Tali forme di brevità
allusiva riguardano, spesso se non soprattutto,
la titolazione degli articoli, in cui imperversano
i participi irrelati (Ucciso dalla mafia), gli astrat-
tismi deverbalizzati (Consulto a Bruxelles), la
bipartizione in enunciati distinti (Tasse: il solito
rinvio), l’accorciamento da sineddotiche
(Washington rifiuta il dialogo), la caduta del
verbo principale (L’Oscar a Roberto Benigni),
l’infinito gnomico (Salvare Venezia), l’avverbio
interiettivo (No all’autoritarismo), la falsa
apposizione (Ivan Basso vincitore inatteso). La
concisione, dunque, nel nostro stravagante
genere di giornalismo la si ottiene quasi esclu-
sivamente tramite brutali ‘potature’ morfologi-
che. Le esigenze di condizionamento dei testi e
di presentazione in forma dubitativa delle noti-
zie richiedono una sintassi ormai quasi total-
mente priva di regole, in cui la coordinazione
per incidentali convive con l’ipotassi multipla, i
costrutti nominali con i verbi fraseologici, i
periodi uniproporzionali con congiuntivi retti
dai “sembra” o dai “si ritiene”. In tutto questo
caos non manca, inoltre, un pesantissimo
afflusso di forestierismi totalmente esogeni
rispetto al contesto della società italiana: i blue-
jeans, il copywryter, il ghost-wryter, il free lance
sono abitudini, cose o professioni importate
dalle società più evolute della nostra, che non
erano previste nella lingua italiana poiché non
esistevano proprio nella realtà. Dunque, possono
essere designate solo con termini stranieri di dif-
ficile comprensione, a parte i casi, a dire il vero
assai poco numerosi, dei ‘prestiti adattati’, come
per esempio le parole: ‘grattacielo’ o ‘editoriale’.
La cronaca, infine, quella composta da omicidi,
incidenti, processi, rapine e gare sportive, in
genere rappresenta eventi che finiscono, alla
fine, tutti col rassomigliarsi e che interessano la
fascia di lettori maggiormente contagiata dalle
attuali metodologie di comunicazione post-
ideologica di massa. Di conseguenza, la via
migliore per rappresentarli diviene quella di
‘colorirli’ con forme di aggettivazione enfatica
(tragica fatalità, imprudenza criminale, barbaro
delitto) e la maniera di stenderne il resoconto
diviene quella di obbedire a uno schema ‘fisso’(il
colpevole, la vittima, il complice, i soccorritori) ad
altissimo grado di fossilizzazione e di ripetitività.
In conclusione, per mezzo dei giornali e della
televisione, la gente parla di più in italiano
rispetto alle vecchie forme dialettali e idiomati-
che di origine, ma lo parla sempre peggio. Com’è
logico succeda a un amalgama linguistico che
non viene governato in nessun modo e che pro-
cede per forme di ‘agglutinazione cellulare’asso-
lutamente spontanee e astratte, sottratte a qual-
siasi forma di controllo culturale.
VITTORIO LUSSANA
la lingua del potereScendere (in politica), Contratto, Amore, Doni, Mantenuti, Italiani, Prima Repubblica,
Assolutamnte, Fare-lavorare-decidere, Le tasche degli italiani, Politicamente corretto: in undici
voci Gustavo Zagrebelsky esamina il lessico essenziale di Silvio Berlusconi (Sulla lingua del
tempo presente, Einaudi). Una teminologia che ricalca il linguaggio dell’Italia di oggi (Lingua
Nostrae Aetatis, la definisce l’autore) e che la dice lunga sulla capacità di comunicazione del
berlusconismo. Parole di una nuova lingua che ha un marchio di fabbrica personale, più azien-
dalistico, che politico. Scendere in politica, Il contratto con gli Italiani sono termini entrati nel
gergo comune che determinano un gioco delle parti nel quale il Protagonista interviene in
nostro favore. Una forma di illuminismo positivista
nel quale tutto quel che si fa è bello e porta un van-
taggio. Ed ecco che lavorare diventa fare squadra, i
piani di studio si trasformano in piani di carriera
(ma se non serve a fare carriera che piano di studio
sarà mai? – si domanda Zagrebelsky). Una comuni-
cazione che analizzata fa emergere un’allarmante
‘anima esecutiva’, che determina un sistema di rela-
zioni tra padrone e servi nel quale vige il comanda-
mento ‘O con me o contro di me’. Dove il ‘con me’
coincide con ‘solo come dico e pretendo io’, senza
concessione alcuna alla libertà di pensiero e alla
dignità personale. F.B.
Articolo estratto dala rivistaPeriodico italiano magazine
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