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Nuova Umanità XXII (2000/2) 128, 157-186 L’UNIONE CON DIO COME ESPERIENZA SPONSALE La nuova comprensione teologica che la Chiesa ha maturato di se stessa come mistero, Corpo di Cristo, popolo di Dio, comunione, Ecclesia de Trinitate, ha contribuito ad aprire la strada a nuove espe- rienze di vita cristiana ad essa adeguate e a nuovi itinerari spirituali comunitari. La stessa teologia spirituale domanda di essere ripensata a partire dalle nuove categorie ecclesiologiche e dalle istanze ed esperienze ecclesiali di comunioni maturate nel XX secolo 1 . Sono note le indicazioni offerte da Karl Rahner, poco prima della sua morte, riguardo alla spiritualità nella Chiesa del futuro. Addita «la comunione fraterna nello Spirito come elemento pe- culiare ed essenziale della spiritualità di domani». La novità della spiritualità sarà «la comunione fraterna in cui sia possibile fare la stessa basilare esperienza dello Spirito» 2 . 1 È quanto rileva, ad esempio, S. De Fiores guardando alla spiritualità contemporanea. Se la riflessione dei primi Concili si incentrò su Cristo, se il Concilio di Trento ha portato il suo interesse sulla giustificazione dell’uomo pec- catore, il Vaticano II, orientando la sua attenzione sulla Chiesa come Corpo mi- stico di Cristo e popolo adunato nel vincolo di amore della Trinità, «modifica l’impostazione della spiritualità e della pastorale in senso ecclesiale. La salvezza e perfezione della propria anima, su cui hanno tanto insistito predicatori e autori spirituali, è liberata dalla preoccupazione individualistica per essere inserita nel contesto più ampio del piano divino (…). Si sente l’esigenza di sviluppare una spiritualità centrata sulla riconciliazione ecumenica e di vivere intensamente i le- gami di fraternità evangelica fino a formare comunità sul tipo di quella primitiva descritta come ideale dagli Atti degli Apostoli» (Spiritualità contemporanea, in Nuovo dizionario di spiritualità, Paoline, Brescia 1978, p. 1535). 2 Lo deduce dall’esame della prima esperienza dello Spirito, quella di Pen- tecoste. «Se c’è un’esperienza dello Spirito fatta in comune, comunemente ritenu- ta tale, desiderata e vissuta, essa è chiaramente l’esperienza della prima Penteco-

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Nuova UmanitàXXII (2000/2) 128, 157-186

L’UNIONE CON DIOCOME ESPERIENZA SPONSALE

La nuova comprensione teologica che la Chiesa ha maturato dise stessa come mistero, Corpo di Cristo, popolo di Dio, comunione,Ecclesia de Trinitate, ha contribuito ad aprire la strada a nuove espe-rienze di vita cristiana ad essa adeguate e a nuovi itinerari spiritualicomunitari. La stessa teologia spirituale domanda di essere ripensataa partire dalle nuove categorie ecclesiologiche e dalle istanze edesperienze ecclesiali di comunioni maturate nel XX secolo1.

Sono note le indicazioni offerte da Karl Rahner, poco primadella sua morte, riguardo alla spiritualità nella Chiesa del futuro.Addita «la comunione fraterna nello Spirito come elemento pe-culiare ed essenziale della spiritualità di domani». La novità dellaspiritualità sarà «la comunione fraterna in cui sia possibile fare lastessa basilare esperienza dello Spirito» 2.

1 È quanto rileva, ad esempio, S. De Fiores guardando alla spiritualitàcontemporanea. Se la riflessione dei primi Concili si incentrò su Cristo, se ilConcilio di Trento ha portato il suo interesse sulla giustificazione dell’uomo pec-catore, il Vaticano II, orientando la sua attenzione sulla Chiesa come Corpo mi-stico di Cristo e popolo adunato nel vincolo di amore della Trinità, «modifical’impostazione della spiritualità e della pastorale in senso ecclesiale. La salvezza eperfezione della propria anima, su cui hanno tanto insistito predicatori e autorispirituali, è liberata dalla preoccupazione individualistica per essere inserita nelcontesto più ampio del piano divino (…). Si sente l’esigenza di sviluppare unaspiritualità centrata sulla riconciliazione ecumenica e di vivere intensamente i le-gami di fraternità evangelica fino a formare comunità sul tipo di quella primitivadescritta come ideale dagli Atti degli Apostoli» (Spiritualità contemporanea, inNuovo dizionario di spiritualità, Paoline, Brescia 1978, p. 1535).

2 Lo deduce dall’esame della prima esperienza dello Spirito, quella di Pen-tecoste. «Se c’è un’esperienza dello Spirito fatta in comune, comunemente ritenu-ta tale, desiderata e vissuta, essa è chiaramente l’esperienza della prima Penteco-

Uno psicologo e pedagogista della vita religiosa come Ame-deo Cencini, coerente con l’odierna sensibilità ecclesiale, si pro-tende verso l’elaborazione di nuovi paradigmi di santità: «…èbello incontrare un santo, ma è ancor più bello ed edificante in-contrare una comunità di santi, o di fratelli/sorelle che, vivendoassieme, cercano di santificarsi assieme, proponendo così a tuttiun modello comune e imitabile di santità, molto più visibile edefficace, eloquente e coerente, perché in tale modello il contenu-to dell’annuncio, cioè l’amore evangelico, si identifica con lo stiledi vita di chi annuncia» 3.

La mistica stessa postula di essere riletta a partire dall’espe-rienza comunitaria. Si avverte la diffusa domanda di una misticache sia alla portata di tutti e nello stesso tempo frutto di unaesperienza comunitaria. «Siamo troppo abituati al solipsismo mi-stico – scrive un sociologo della spiritualità –, troppo schiavi de-gli schemi di crescita spirituale come grandi ascensioni solitarie,vertiginose avventure per pochi privilegiati. C’è dietro un’eccle-siologia poco sensibile alla dimensione comunitaria dell’esistenzacristiana. Se, come dice il Concilio, la Chiesa è tutta intera “dedi-ta alla contemplazione” (SC 2); e come aggiunge la Venite seor-sum: “una certa forma di contemplazione deve necessariamente

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ste nella Chiesa, un evento – si deve presumere – che non consistette certo nel ca-suale raduno di una somma di mistici individualistici, ma nell’esperienza delloSpirito fatta dalla comunità». Può così concludere: «Io penso che in una spiritua-lità del futuro l’elemento della comunione spirituale fraterna, di una spiritualitàvissuta insieme, possa giocare un ruolo più determinante, e che lentamente madecisamente si debba proseguire lungo questa strada» (Elementi di spiritualitànella Chiesa del futuro, in Problemi e prospettive di spiritualità, a cura di T. Goffi -B. Secondin, Queriniana, Brescia 1983, pp. 440-441). La medesima convinzione èespressa da T. Goffi: «La Chiesa non pneumatizza le singole persone separata-mente, ma in quanto le inserisce nel Cristo integrale, in quanto nel Signore sonorese partecipi del suo mistero pasquale, in quanto nello Spirito di Cristo sono abi-litate a contemplare il volto di Dio. La contemplazione non è mai un’esperienzadi singoli in quanto costituiscono il corpo ecclesiale del Signore. Pretendere, co-me cristiani, di inoltrarci nell’esperienza mistica al di fuori della comunione eccle-siale, equivarrebbe ad appropriarci lo Spirito di Cristo, rinnegando il corpo eccle-siale del Signore» (Contemplazione mistica in dimensione ecclesiale, in AA.VV.,Mistica e misticismo oggi, Edizioni Passionisti, Roma 1979, p. 501).

3 A. Cencini, «…come rugiada dell’Ermon…». La vita fraterna comunionedi santi e peccatori, Paoline, Milano 1998, pp. 35-36.

esistere in qualsiasi forma di vita cristiana” (n. 1), allora bisognaelaborare meglio una interpretazione comunitaria dell’esperienzacontemplativa» 4.

La domanda dell’apertura ad un’esperienza comunitariadella vita spirituale e della stessa mistica tocca anche un tema cheabitualmente viene considerato strettamente personale. Esso ri-guarda quel particolare tipo di unione con Dio che la mistica hasolitamente espresso nel linguaggio del matrimonio spirituale.

Alcuni autori contemporanei denunciano la “privatizzazione”dell’immagine nuziale così come ci è stata consegnata dalla Scrittu-ra. Federico Ruiz Salvador, ad esempio, afferma che si è assistito aduna privatizzazione, nella dinamica spirituale, di immagini origina-riamente comunitarie, quali quella dell’edificio e della piantagione,della crescita dell’uomo nuovo fino alla piena statura di Cristo, del-l’unione sponsale con Cristo. Immagini tutte che nella Scrittura so-no riferite in primo luogo alla Chiesa. In questi casi «il progetto col-lettivo è originario e non può essere analizzato come un amplia-mento delle leggi della crescita individuale. Se deve essere confron-tata, la relazione sarà inversa: il processo individuale copia, con del-le varianti, lo schema della storia della salvezza comunitaria»5.

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4 B. Secondin, Mistici nostri contemporanei, in AA.VV., Vita cristiana edesperienza mistica, Edizioni del Teresianum, Roma 1982, p. 407. «La contempla-zione mistica – argomenta a sua volta Tullo Goffi –, poiché si enuncia comunita-ria nella sua forma beata perfetta, anche al presente necessariamente deve espri-mersi entro una tale dimensione. Pellegrini sulla terra, i mistici debbono appari-re contemplativi in quanto inseriti nel Cristo, in quanto membri del popolo diDio, in quanto affiliati nella medesima comunità ecclesiale» (Contemplazione mi-stica in dimensione ecclesiale, cit., p. 495).

5 Caminos del Espiritu. Compendio de teología espiritual, Madrid 19782, p.420. Armido Rizzi conferma la «distanza che separa spiritualità tradizionale espiritualità biblica», ed indica proprio nella mistica nuziale, soprattutto nell’i-dentità della Sposa, «la differenza più vistosa, e immediatamente percepibile».«Nell’Antico Testamento – scrive al riguardo – la Sposa è Israele; nella tradizio-ne spirituale è l’anima [e in nota aggiunge: “Nel Nuovo testamento la Sposa è laChiesa, lo Sposo Cristo”]. Questo mutamento comporta due passaggi: dal collet-tivo all’individuale e dall’oggettività sociale all’interiorità». L’Autore ritiene chesi tratti di una «mutazione sostanziosa» che va corretta, al punto da dover «con-vertire la spiritualità» in modo da riportarla all’originaria impostazione biblica(cf. Dio in cerca dell’uomo. Rifare la spiritualità, Paoline, Cinisello Balsamo 1987,pp. 32-43. Da notare il significativo sottotitolo del libro: «Rifare la spiritualità»).

La sensibilità comunitaria contemporanea postula quindiuna rivisitazione anche di questo particolare tipo di esperienza –la mistica nuziale –, che costituisce uno degli apici del camminospirituale.

Come ho già avuto modo di fare a proposito del valore dellaParola di Dio e del nulla nella vita spirituale 6, in queste pagine mipropongo di offrire delle linee di risposta alle esigenze della spiri-tualità odierna, a partire dall’esperienza e dall’insegnamento diChiara Lubich che, coerentemente con la sua spiritualità del-l’unità, si rivelano particolarmente fecondi anche per una riletturain chiave comunitaria ed ecclesiale delle mistiche nozze dell’animacon il Verbo 7.

Per cogliere meglio la portata del tema può essere utile unabreve premessa biblica e storica sull’impiego dell’immaginesponsale per esprimere il rapporto con Dio.

Il dato biblico

Nell’Antico Testamento il tema sponsale risale sostanzial-mente alla riflessione profetica. Soprattutto a partire dal periododell’esilio, l’idea di JHWH, “Sposo” del popolo d’Israele, è im-piegata per descrivere l’opera di salvezza che egli compie in favo-re del suo popolo e la sua fedeltà all’alleanza. I profeti, prenden-

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6 Rimando ai precedenti articoli apparsi su «Nuova Umanità», XVIII(1996/5) 107, pp. 517-533; XVIII (1996/6) 108, pp. 645-659; XIX (1997/1) 109,pp. 31-51; XIX (1997/3-4), 111/112, pp. 387-407; XX (1998/2) 116, pp. 233-251.

7 Lo Spirito, che chiama la Chiesa ad una nuova spiritualità comunitaria,è lo stesso che suscita esperienze nuove, capaci di rispondere adeguatamente alleattese da lui stesse suscitate. Nell’esperienza di Chiara Lubich e del suo Movi-mento ci è dato di intravedere una di queste risposte. Come bene evidenzia Tul-lo Goffi, «se la mistica contemplativa è esperienza compartecipata nella Chiesa,non significa che essa debba esprimersi secondo uno schema comunitario indif-ferenziato. La Chiesa non è massa o popolo amorfo. Lo Spirito, nell’atto stessoche tutto unifica nell’unico Cristo integrale, offre ai singoli doni carismatici se-condo il compito di ognuno. “A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo lamisura del dono di Cristo”. Anche il dono carismatico contemplativo comunita-rio può essere offerto con modalità propria non solo ai singoli ma anche ai grup-pi, in armonia alla vocazione che sono chiamati a svolgere nella Chiesa» (Con-templazione mistica in dimensione ecclesiale, cit., p. 503).

do come punto di riferimento l’amore coniugale, sottolineanoche il Signore, nella sua sovrana e misteriosa libertà, ha scelto tratutti il popolo ebraico per stabilire con esso un legame indissolu-bile e che, per questo, il popolo gli deve riconoscenza, sottomis-sione, obbedienza e fedeltà (cf. Dt 7).

In un primo tempo la relazione tra Dio e il suo popolo veni-va descritta prevalentemente in termini di alleanza politico-milita-re tra due potenze che si coalizzano per la comune difesa. Israelesi sente un popolo piccolo e debole che ha avuto la sorte di esserestato scelto dal Dio degli dèi; riconosce che può sopravvivere ecrescere soltanto perché è sotto la costante protezione del Signoredella storia. Quando narra la propria storia, e quindi afferma lapropria identità, Israele lo fa in chiave di cammino storico-geogra-fico, caratterizzato dalla fedele protezione del suo Dio: lui lo chia-ma da Ur dei Caldei, lo guida verso la terra promessa, lo liberadalla schiavitù dell’Egitto, lo rende forte contro tutti i popoli cheincontra sul suo cammino. Quando è infedele all’alleanza Dio loabbandona in mano dei nemici, lo disperde tra le genti, per poiintervenire nuovamente per liberarlo e radunarlo…

Osea fa progredire questa immagine trasformandola inun’autentica relazione d’amore tra due fidanzati o tra due sposi,così da mettere in luce i conseguenti aspetti di intimità, comunio-ne e spontaneità. Per la prima volta (siamo nella seconda metàdell’VIII sec. a.C.) Dio viene celebrato come lo Sposo del suopopolo. L’alleanza di Dio con Israele è letta come matrimoniod’amore. Il prezzo che Dio paga per unire a sé Israele come Spo-sa non è più solo «giustizia e diritto», ma anche «benevolenza,amore e fedeltà» (cf. 2, 21-22). L’amore umano diventa il para-digma dell’amore di Dio per il suo popolo e della risposta del po-polo al suo Dio che si manifesta come amore; ma in ultima analisiè la misura e la qualità dell’amore di Dio che diventa paradigmaper l’amore sponsale umano, che viene così purificato e riportatoalla sua stessa fonte.

Dopo Osea, Isaia Geremia Ezechiele approfondiranno que-sta nuova ermeneutica dell’alleanza, mettendo in evidenza semprenuovi aspetti. È Dio ad esempio, in questo rapporto di amore, cheama per primo: «Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima

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e io ti amo» (Is 43, 4). L’amore di Israele viene dopo, come rispo-sta. Inoltre l’amore è dialogico e dinamico, ha una sua storia. Iprofeti narrano in altro modo la storia del popolo. La chiave in-terpretativa non è più soltanto quella della supremazia sugli altripopoli e della conquista della terra grazie all’aiuto del Dio deglieserciti. Ora la storia è letta in chiave di rapporto sponsale. Si nar-rano il fidanzamento e le alterne vicende del rapporto d’amore,fatto di tradimenti, di ritorni, di momenti di intimità… Punto fer-mo di questa drammatica storia rimane l’amore eterno e fedele diDio, che non si lascia scoraggiare dalle infedeltà del popolo Spo-sa: «Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora lamia fedeltà amorosa» (Ger 31, 3; cf. Ez 18 e 23).

L’interpretazione sponsale del legame Dio-Israele raggiungeil vertice nel Cantico dei Cantici, dove viene cantato l’amoreumano inteso come simbolo dell’amore di Dio per il suo popolo.

Nei Vangeli l’immagine sponsale è ripresa in maniera velatada Gesù. Lo Sposo è il Messia (cf. Gv 3, 29) o il figlio del re (cf.Mt 22, 1-4), Gesù stesso (cf. Mc 2, 18-20). La Sposa invece nonviene espressamente indicata.

L’immagine sponsale trova un più largo impiego e rilevanzanell’epistolario paolino. Con essa, a varie riprese, è descritta larelazione tra Cristo Sposo e la Chiesa, comunità dei credenti,Sposa. Paolo ha fidanzato a Cristo la comunità di Corinto, e sisente impegnato a custodirla e a preservarla dalla seduzione del-le false dottrine così da poterla presentare allo Sposo come ver-gine pura (cf. 2 Cor 11, 2). Per questo i fedeli appartengono or-mai a Cristo: «Voi siete di Cristo» (1 Cor 3, 2), al punto che «ivostri corpi sono membra di Cristo» (1 Cor 6, 15). Anche in Gal5, 24 i cristiani vengono designati come «quelli che sono di Cri-sto Gesù». L’allegoria sponsale mette inoltre in luce la reciproci-tà dell’appartenenza: non solo la promessa Sposa appartiene aCristo e a lui solo («Vi ho fidanzati a un solo uomo»), ma anchequesti è della Chiesa di Corinto e le appartiene, come Sposopromesso.

Nelle lettere tardo-paoline, la Sposa è la Chiesa. Cristo l’haamata e per lei si è offerto al fine di santificarla e di averla accan-

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to a sé gloriosa, senza macchia o ruga, santa e irreprensibile (cf.Ef 5, 25-27). L’effetto dell’unione sponsale è tale che i battezzatidiventano «membra del corpo di Cristo» (Ef 5, 30). Viene cosìindicato il legame salvifico e la solidarietà di destino che unisceCristo e la Chiesa. L’unione dell’uomo e della donna diventa pro-fezia del mystérion, del progetto di alleanza definitiva con l’uma-nità intera che Dio ha inaugurato nel mistero pasquale.

Anche per l’Apocalisse l’immagine sponsale sta ad indicarela realizzazione del progetto di unità tra Dio e l’umanità, che avràil suo compimento nella fase terminale della storia della salvezza.La Sposa viene individuata nei cristiani che vivono insieme, nellareciprocità dell’amore che li costituisce Chiesa. Quando essi, ri-uniti nell’assemblea liturgica, si rivolgono a Cristo lo indicano co-me «Colui che ci sta amando» (1, 5). L’aspetto comunitario vieneaccentuato nella sezione conclusiva del libro, mediante un sim-bolismo ardito: la fidanzata che si prepara a diventare Sposa, èuna città, la Gerusalemme nuova. «Si può dire che i cristiani vi-vono insieme la loro avventura di “fidanzata” di Cristo che siprepara a diventare “Sposa”» 8. Alla fine dei tempi, quando la fi-danzata diventa Sposa, esprime la realtà di una convivenza: unavera città nella quale tutti saranno con Dio fra loro che si comu-nica senza riserve; vi sarà Cristo-Agnello; vi sarà la pienezza dellavita, partecipata ad ognuno e condivisa tra tutti, senza limiti.

Il dettato biblico, nella progressione della rivelazione, assu-me l’immagine sponsale per esprimere la comunione tra Dio e ilsuo popolo. Dio Sposo, Cristo Sposo, si costituisce la sua Sposa,a partire dall’Israele che risponde alla domanda d’amore; e poi,per dilatazione e risposta, è la Chiesa nella sua espressione localecome in quella universale; e l’umanità intera, della cui unionesponsale con Dio la Chiesa è segno e sacramento 9.

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8 U. Vanni, Lo «Sposo e la Sposa» (Ap 22, 17), «Parola Spirito e Vita», n.13, p. 202.

9 Riguardo all’assunzione dell’immagine sponsale nella Scrittura, Pattaronota: è Dio stesso che «ha scelto la figura dell’amore per dichiararsi e farsi cono-scere dall’uomo e quella della comunione unificante con lui, quale fine del suodonarsi amando. Egli l’ha resa palese e manifesta con la scelta dell’amore spon-sale dell’uomo elevato a parabola vivente del suo amore. (…) La sponsalità ha

Il dato tradizionale

I primi scrittori cristiani riprendono l’immagine sponsale perindicare il particolare tipo di legame che unisce Cristo alla Chiesae per esprimere l’esigenza di una reale comunione con Dio 10. Giàin Erma e in Ireneo vi è una prima tematizzazione, che verrà poisviluppata da Tertulliano, Origene, Gregorio di Nissa, GiovanniCrisostomo, Agostino, Teodoreto di Cirro. L’identificazione dellaSposa con la comunità cristiana continua ad essere fortementepresente.

Nello stesso tempo, dalla Chiesa-Sposa si passa ad indivi-duare la “Sposa” anche con i singoli membri della comunità ec-clesiale. La svolta decisiva è dovuta ad Origene, grazie alla suaesegesi tipologico-ecclesiale e psicologica. Nella prima Omeliasul Cantico dei Cantici applica innanzitutto il tema nuziale alrapporto tra Cristo e la Chiesa: «Intendi che Cristo è lo Sposo, ela Sposa è la Chiesa senza macchia né ruga» 11. Quindi nel primolibro del Commento al Cantico dei Cantici, passando dalla Chie-sa alla singola anima, scrive: «L’interpretazione spirituale (…) haper oggetto la Chiesa che va a Cristo sotto le figure della Sposa edello Sposo, e l’anima che si unisce al Verbo di Dio» 12. La Sposa,d’ora in poi, si identifica sia con il singolo che con l’intera comu-nità dei cristiani.

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una valenza pre-concettuale e trans-concettuale. È dunque simbolo originale, nelsenso che rende conto delle origini. Resta simbolo e non diviene analogia o me-tafora, perché queste simbolizzano i concetti». Inoltre Pattaro ricorda che nellamistica la nuzialità, a partire dal Cantito dei Cantici, è sempre letta all’internodel mistero storico-esistenziale dell’alleanza di Dio con l’umanità e mai per sestessa. «Il che vuol dire che, come la realtà dell’alleanza desacralizza la sessualitàe la rende finalmente umana, altrettanto la sponsalità mistica la assume per ren-derla espressiva, appunto, non dell’erôs dell’uomo, ma dell’agapê di Dio» (G.Pattaro, Il linguaggio mistico, in La mistica, fenomenologia e riflessione teologica,a cura di E. Ancilli e M. Paparozzi, Città Nuova, Roma 1984, I, pp. 499.501).

10 Cf. J. Castellano Cervera, La Chiesa Sposa di Cristo, in AA.VV., LaChiesa nel suo mistero, Città Nuova, Roma 1983, pp. 148-163.

11 Omelie sul Cantico dei Cantici, a cura di M. Simonetti, Valla-Mondado-ri, 1998, p. 23.

12 Commento al Cantico dei Cantici, a cura di M. Simonetti, Città Nuova,Roma 1976, p. 73.

L’identificazione della Sposa con il singolo credente si fatuttavia sempre più evidente. La dimensione ecclesiale della Spo-sa rimarrà sempre viva nella tradizione spirituale cristiana. Sol-tanto all’interno di essa la dimensione individuale ha ragioned’essere. Ne è testimone il più grande interprete medievale, Ber-nardo di Chiaravalle, quando scrive: «Anche se nessuno di noipuò tanto pretendere di chiamare la sua anima Sposa del Signo-re, tuttavia, poiché apparteniamo alla Chiesa, la quale si gloria dichiamarsi ed essere veramente tale, non senza ragione ci attri-buiamo una partecipazione a questo onore. Siamo infatti singo-larmente partecipi, senza dubbio, di ciò che tutti insieme piena-mente e integralmente possediamo» 13.

Già a partire dall’età patristica l’identificazione della Sposacon il singolo credente passa attraverso molteplici prospettive:sacramentale, escatologica, verginale, mistica.

Prospettiva sacramentale. Il mistero della Chiesa Sposa sicompie in ogni cristiano mediante i sacramenti della fede. Nelbattesimo si celebra l’unione sponsale del credente con Dio. «Cri-sto è chiamato Sposo dell’anima – scrive Origene –, così come l’a-nima è chiamata Sposa quando viene alla fede» 14. Anche alla co-munione eucaristica viene attribuito un simbolismo sponsale:«Mangiando le carni dello Sposo e bevendo il suo sangue – scriveTeodoreto di Cirro –, noi attuiamo con lui un’unione nuziale» 15.

Prospettiva escatologica. Il matrimonio spirituale del cristia-no, iniziato con il battesimo, trova la sua consumazione nellamorte, che conduce alle nozze eterne (la morte come incontrocon lo Sposo). In proposito, viene spesso richiamata la parabola

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13 Sermoni sul Cantico dei Cantici, a cura di D. Turco, Vivere In, Roma1982, XII, 11, pp. 116-117.

14 In Genesim, 10, 4.15 In Canticum, II, 3. Cf. J. Castellano Cervera, La mistica dei sacramenti

dell’iniziazione, in La mistica. Fenomenologia e riflessione teologica, a cura di E.Ancilli e M. Paparozzi, Città Nuova, Roma 1984, pp. 90-94; 104-106.

evangelica delle dieci vergini. In questa prospettiva si comprendela descrizione del martirio in termini sponsali. Dei martiri di Lio-ne si dice, ad esempio, che andavano al supplizio come andasseroa Sposarsi.

Prospettiva verginale. L’applicazione dell’immagine dellaSposa alle vergini cristiane appare fin dai primi scritti cristiani.La ritroviamo in Metodio di Olimpo, in Cipriano, Ambrogio,Agostino, Giovanni Crisostomo… Tertulliano sembra essere sta-to il primo ad usare la nozione di sponsa Christi per designare levergini cristiane: «Non menti – dice loro – se ti dichiari Sposata,perché hai Sposato Cristo, a lui hai consegnato la tua carne» 16.

Prospettiva mistica. Secondo un’altra tradizione l’idea delmatrimonio viene applicata alla fase più alta della vita spirituale.Origene, Gregorio di Nissa, Bernardo sono soltanto i principalipilastri di tutta una tradizione che legge il rapporto unitivo dellasingola anima con Dio sulla falsariga del Cantico dei Cantici equindi in termini di unione sponsale.

La spiritualità cristiana ha sviluppato soprattutto quest’ulti-ma prospettiva, segnando così con maggiore decisione il passag-gio dalla Chiesa Sposa all’anima Sposa. Nei ricorrenti commential Cantico dei Cantici – dove l’allegoria sponsale è il tema centra-le –, essa ha cercato di cogliere la natura e la modalità del rappor-to tra la singola anima e Dio, anche se la dimensione individualedel rapporto sponsale con Dio, almeno per i Padri e i grandi auto-ri del Medioevo, non è mai disgiunta da quella ecclesiale. «L’ani-ma individuale – scrive uno dei massimi studiosi in materia – ap-pare sempre all’interno della Chiesa e la sua unione con il Verbo èsempre indicata come la conseguenza dell’unione di Cristo con laChiesa» 17.

A partire dalla fine del medioevo si verificano molte espe-rienze di “matrimonio spirituale”. Le più note – solo per fare dei

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16 De virginibus velandis, 16, 4; cf. E. Bellini, Sponsa Christi, in Dizionariodegli Istituti di perfezione, Ed. Paoline, Roma 1997, c. 81.

17 H. De Lubac, Exégèse médiéval, parte 1, vol. 1, Paris 1959, pp. 202-203.

riferimenti – sono quelle di Geltrude di Helfta, Ildegarda di Bin-gen, Hadewic, Caterina da Siena, Caterina de’ Ricci, Maria Mad-dalena de’ Pazzi, Teresa d’Avila, Maria dell’Incarnazione, Veroni-ca Giuliani... Non si tratta di un fenomeno esclusivamente fem-minile, si hanno testimonianze anche maschili, come quella diRuysbroeck 18. Al di là della differente fenomenologia di taliesperienze mistiche (la descrizione del matrimonio spirituale è ingenere molto complessa, ricca di visioni, di simboli...), il sensodell’unione sponsale, colta nella sua prospettiva mistica, indicageneralmente il più alto grado dell’unione dell’anima con Dio.Teresa d’Avila, narrando la sua esperienza, al riguardo scrive:«Soltanto questo si può dire: che l’anima, o meglio il suo spirito,diviene una cosa sola con Dio» 19.

Il matrimonio spirituale «designa la trasformazione dell’ani-ma mediante l’unione profonda e stabile con Dio nella pienezzadella carità», scrive Pierre Adnés al termine di un suo studio sultema. «Esso appare come la manifestazione dell’unione trasfor-mante. Esso sarebbe questa unione in quanto percepita speri-mentalmente mediante un insieme di grazie contemplative che nederivano e insieme la manifestano» 20.

Dal versante mistico il tema sponsale tornerà in questo no-stro secolo su quello ecclesiologico. J. Scheeben è uno dei pionie-ri di questa riacquisizione teologica, seguito da A. Vonier, O. Ca-sel e poi da H.U. von Balthasar, H. De Lubac, L. Bouyer 21.

Potremmo domandarci se lo sviluppo teologico ha avuto ri-percussioni sul campo della mistica. Se cioè la riacquisizione del-la socialità nell’immagine della Sposa viene oggi effettivamente

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18 Cf. E. A. Mattei, Il matrimonio mistico, in Donne, fede, santità e vita re-ligiosa in Italia, a cura di L. Scaraffia e G. Zarri, Laterza, Bari 1994, pp. 43-60.

19 VII mansioni, 2, 3.20 L’Autore continua dicendo che non necessariamente questo tipo di

unione con Dio viene sperimentato nel modo sensibile, così come è avvenuto adeterminati mistici, tuttavia «non si vede come possa esservi la virtù eroica e lasantità consumata senza unione trasformante nel senso ontologico del termine»(Mariage spirituel, Dictionnaire de Spiritualité, Tome X, Beauchesne, Paris 1980,cc. 407-408).

21 Cf. C. Militello, Per una ecclesiologia sponsale, «Ricerche Teologiche»,1 (1990), pp. 121-141.

sperimentata nel campo della vita spirituale e della mistica. È inquesta direzione che volgiamo l’attenzione all’esperienza e all’in-segnamento di Chiara Lubich.

L’esperienza mistica in Chiara Lubich

In continuità con l’insegnamento biblico e con la grande tra-dizione spirituale della Chiesa, anche per Chiara Lubich l’immagi-ne sponsale acquista una particolare rilevanza nella descrizionedell’unione mistica con Dio. Nei suoi scritti e nel suo insegnamen-to l’impiego dell’immagine è tuttavia molto sobrio, essenziale, dicarattere più teologico che descrittivo. Piuttosto che alla fenome-nologia dell’evento sponsale – così riccamente narrato da tantaletteratura mistica –, ella appare interessata al senso dell’evento ealle sue implicanze per la vita spirituale. Ne scaturiscono un fede-le ritorno alle indicazioni bibliche e, nello stesso tempo, nuove ac-centuazioni riguardo al cammino della spiritualità 22.

Tra le molteplici piste che consentono di evidenziare la tipi-cità e l’originalità della sua esperienza e dottrina, sottolineo l’aspetto ecclesiale, unitivo, illuminativo delle “mistiche nozze”.

Le “mistiche nozze” come evento ecclesiale

Una prima connotazione dell’evento delle “mistiche nozze”riguarda la figura della Sposa. Chiara Lubich la designa abitual-mente come l’Anima, con l’a maiuscola, ad indicare che il Verbo,in prima istanza, non Sposa la singola anima, ma un “gruppo d’a-nime” fatte Chiesa. Coerente con la propria spiritualità comuni-taria, rilegge anche questo tipo di esperienza mistica in chiave co-munitaria. Se lungo la storia si sono sperimentate grazie mistiche

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22 In questo mio testo mi avvalgo soprattutto dell’insegnamento orale diChiara Lubich e di brevi note inedite, che lasciano intravedere una reale espe-rienza mistica. Di qui la mancanza di referenze per tanti testi che cito tra virgo-lette. Le sue espressioni le sono state sottoposte direttamente.

individuali, ora può essere dato di sperimentare una mistica co-munitaria. È un gruppo di persone, fuse in unità dal patto dell’a-more reciproco e da Gesù Eucaristia, a sperimentare che il Ver-bo, con un unico atto, le unisce a sé in tale intensità che quell’at-to viene percepito come sponsalità.

Se una comunità di credenti vive la realtà della Chiesa alpunto da diventare un cuore solo e un’anima sola (cf. At 4, 32),Cristo può unirla a sé come un’unica “Anima”, un’unica misticapersona, così come fa con la Chiesa intera 23.

Una comunità viva, indipendentemente dal numero dellepersone che la compongono, è infatti espressione di tutta laChiesa: è l’intera Chiesa. La Parola, il Sacramento e l’azione delloSpirito sono finalizzati a fare della comunità il luogo permanentedella presenza di Cristo, e quindi a rendere Chiesa ogni gruppodi fedeli 24. La nuova presa di coscienza della dimensione eccle-

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23 J. Castellano, in La Chiesa Sposa di Cristo, cit., p. 158, ricorda che fra laChiesa universale e l’anima singola vi è pure un’altra espressione della ChiesaSposa, ed è la Chiesa particolare, realtà che può essere estesa anche a qualsiasigruppo ecclesiale che vive nella comunione della fede e dell’amore la sua espe-rienza ecclesiale. Dionigi il Certosino scrive al riguardo: «La Sposa di Cristo ètriplice, ossia: la Chiesa universale, che si chiama Sposa generica; ogni singolaanima fedele e amante, detta Sposa particolare; la beatissima Vergine Maria, Ma-dre di Cristo e sua Sposa singolare; (…) e infine ogni chiesa particolare, che èanche essa Sposa di Cristo, e, per distinguerla dall’anima, si può dire Sposa co-mune» (Sermo XII, 11: PL 183, 833).

24 L’approfondimento della realtà della Chiesa locale e della Chiesa comemistero di comunione hanno messo in rilievo la presenza del Signore risorto tra ifedeli che sono riuniti nel suo nome, secondo la promessa di Gesù: «Dove sonodue o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20). È la risco-perta di Cristo presente nella Chiesa locale, espressione concreta della Chiesauniversale. Più concretamente ancora è la riscoperta di Cristo presente non soloin ogni singola Chiesa locale, nel senso di diocesi o parrocchia, ma in ogni cellu-la di cristianesimo. Perché Cristo è presente anche solo dove sono «due o tre»:anche nella più piccola espressione di comunione vi è la Chiesa. Non è che, scri-veva già O. Casel, «l’unica Ecclesia si frantumi in una pluralità di singole comu-nità, né che la molteplicità delle singole comunità unite insieme formi l’unica Ec-clesia. L’Ecclesia è soltanto una, dovunque essa appare, è tutta intera e divina,anche là dove soltanto due o tre sono adunati nel nome di Cristo» (Il misterodell’Ecclesia, Città Nuova, Roma 1966, p. 159). «In piccolo – annota un esegetadi Matteo –, la Chiesa è dappertutto, là dove due o tre sono radunati nel nomedel Signore. È una comunità intorno a Cristo e in Cristo. La Chiesa è universal-mente là dove c’è la comunità di tutti i fedeli attorno a Cristo» (C. Gutzwiller,Cristo nel Vangelo di Matteo, Città Nuova, Roma 1969, p. 228).

siale della vita cristiana, venuta così fortemente in rilievo in que-sto nostro secolo, ha suscitato anche a livello esistenziale unaesperienza di unità così profonda da creare le premesse per un’e-sperienza di mistica unione sponsale con Cristo vissuta comeesperienza di gruppo in quanto Chiesa. Conseguentemente il“gruppo di anime” che sperimenta la mistica unione sponsalecon il Verbo seguirà la dinamica sponsale della Chiesa intera. Ilprocesso del gruppo “copia”, per riprendere le parole di RuizSalvador, «lo schema della storia della salvezza comunitaria».

Essa appare innanzitutto come un dono gratuito di Cristonello Spirito, frutto di un suo intervento diretto. Un gruppo dicristiani uniti dall’amore reciproco e dalla grazia sacramentaleeucaristica, è condotto ad essere, nella Chiesa, “Chiesa” nellapienezza della significazione. È l’amore di Cristo – insegna Pao-lo – che la fa Chiesa in modo che essa possa amarlo a sua volta:«Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per ren-derla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua ac-compagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la suaChiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga… ma santa e imma-colata» (Ef 5, 25-27). Lo stesso processo, suggerisce Chiara Lu-bich, avviene con un “gruppo di anime” diventate, per l’azionedella grazia, un’anima sola, l’Anima. L’Anima è «fatta Chiesa perpoterLo amare». Allora soltanto il Verbo può unirla a sé. L’Ani-ma viene Sposata dal Verbo proprio «in veste di Chiesa», inquanto Chiesa.

L’azione con cui il Verbo opera l’unione a sé sotto il simbo-lismo di “mistiche nozze” è quindi strettamente legata all’azionecon cui egli “crea” l’Anima. La Chiesa può infatti Sposare Cristosoltanto a condizione di essere, per così dire, allo stesso livello diCristo. L’immagine biblica dell’alleanza, intesa nella sua valenzapolitico-militare, implicava una forte disparità tra i due contraen-ti: un piccolo vassallo si avvaleva del favore di un re grande e po-tente. Era questa, in effetti, l’esperienza del popolo di Israele.L’immagine dell’alleanza in chiave sponsale indica invece la pari-tà tra i due partner. Rimane sempre l’infinita distanza tra Dio e ilsuo popolo, ma Dio si “abbassa” per amore a livello del suo po-polo e lo eleva a sé, al suo livello. Nell’evento pasquale, quanto

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era prefigurato nell’Antico Testamento si attualizza in pienezza:Cristo costituisce il suo corpo, la Chiesa, come altro sé, per unirsia lei in un rapporto di autentico e reciproco amore. In questo at-to la Chiesa, Corpo di Cristo, non è soltanto misticamente identi-ficata con Cristo, ma Cristo le conferisce anche una sua persona-lità propria, distinta da lui, tale che le permette di stare comeSposa dinanzi a lui e di rispondere al suo amore. «In quanto Cor-po di Cristo la Chiesa è misticamente il Cristo; in quanto Sposadi Cristo, la Chiesa è misticamente un altro Cristo» 25. Cristo lacrea soggetto capace di amare e di unirsi a lui 26.

Occorre quindi essere veramente Gesù – come si esprimeChiara Lubich –, altro lui, per Sposare Gesù. Nello stesso tempoella insegna – ed è un altro capitolo della sua dottrina –, che peressere Gesù occorre che egli sia presente tra quanti sono uniti nelsuo nome: occorre essere Chiesa. Non si è veramente Gesù senon si vive l’unità, portando cioè a compimento la vita di fede ela realtà sacramentale. Solo chi vive l’unità è pienamente Chiesa,può stare davanti a Gesù ed avere un autentico rapporto con lui.Per questo Chiara Lubich afferma che l’anima è fatta Gesù daGesù, e soltanto come Chiesa Sposa il Figlio: «Gesù non puòSposare che Gesù. Ché Gesù non è Uno che con Se stesso».

L’unità annunciata dalla Scrittura attraverso il simbolismonuziale è pienamente realizzata in un atto di natura collettiva.Cristo non Sposa il singolo ma la Chiesa. Il rapporto sponsalecon Cristo è proprietà dell’umanità nuova espressa nella Chiesain quanto “una”. Ove è dato di sperimentare comunitariamentequesta dinamica sponsale, la comunità di persone (l’Anima) trovala pienezza della relazione con il Verbo. Lì, per il fatto che è vis-suta da un gruppo di anime unite a formare l’Anima, l’unità sa-cramentale si esprime nella pienezza della sua realizzazione e

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25 Ch. Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée de Brouwer, Paris1962, pp. 132-133.

26 Scrive Odo Casel: «Poiché la Sposa era infinitamente più giù di lui, eglidiscese verso di lei, indossò le sue vesti. Anzi, poiché essa era caduta nel peccatoEgli prese addirittura la veste di peccato (…). Per amore di lei divenne Sposo disangue (cf. Es 4, 25). Con la sua morte rimosse l’impedimento che si opponevaalle nozze» (Il mistero della Chiesa, cit., p. 93).

produce tutti i suoi effetti. Lì l’unità escatologica tra Dio e la suaChiesa è anticipata e vissuta in modo profetico.

In questa esperienza comunitaria possiamo individuare unpasso in avanti rispetto ad altre esperienze di mistica sponsaleapparse lungo la storia della spiritualità. Anche quando l’espe-rienza dell’unione sponsale veniva percepita in un contesto eccle-siale, rimaneva pur sempre un atto individuale.

La grande tradizione spirituale ha presente che il partnerdello Sposo è la Chiesa nel suo insieme. «Dio – scrive ad esempiosan Bernardo – ha fatto e patito tante cose non per un’anima so-la, ma per raccoglierne molte in una sola Chiesa, per formarneun’unica Sposa» 27. Lungo la storia della spiritualità l’azione conla quale il Verbo Sposa le anime in mistiche nozze è tuttavia coltacome rivolta costantemente ad una singola persona, anche se co-me partecipazione della sponsalità ecclesiale. La dimensione ec-clesiale rimane un enunciato di principio, una indispensabilepiattaforma che consente l’esperienza personale, ma abitualmen-te non se ne enuclea una spiritualità ecclesiale. San Bernardo,lungo tutto il suo commento al Cantico dei Cantici, continua aproporre una sponsalità individuale e un itinerario verso l’inte-riorità. La sua attenzione è concentrata sulla singola anima e sulsuo personale itinerario spirituale. Dopo aver affermato la realtàdell’unica Sposa, da identificare con la Chiesa, l’insegnamen-to tradizionale passa immediatamente all’individualizzazione del-l’esperienza e della proposta spirituale e pedagogica.

Per Chiara Lubich, l’esperienza unitiva riguarda piuttostoun “gruppo di anime” fuse dalla grazia, direi da un carisma, inunità, alle quali è dato di compiere la medesima esperienza, dipercorrere il medesimo itinerario, di ricevere le medesime ispira-zioni e comprensione dei misteri. La Sposa non è la singola ani-ma che ha il respiro ecclesiale, come lo era, ad esempio l’ “animaecclesiastica” di Origene, ma è un insieme di anime fatte autenti-camente Chiesa e che vive l’unità sponsale con Cristo in quantoChiesa.

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27 Sermoni sul Cantico dei Cantici, cit., LXVIII, 4, p. 635.

In questo processo comunitario la vita d’unità tra le personeche costituiscono l’Anima, acquista una forte rilevanza. È nella re-ciprocità dell’amore fraterno, quale sintesi dell’insegnamentoevangelico e frutto della grazia sacramentale, che la comunità at-tua la sua identità profonda di Persona-Chiesa e quindi come sog-getto che può stare con Cristo nel rapporto di unità e di distinzio-ne. L’unità con Cristo Sposo, per essere autentico, esige l’unità trai membri che compongono la Chiesa Sposa. Solo quando le animedell’Anima «si sono, per Gesù tra loro, Sposate tra loro e sonoChiesa (…) possono dire (…) di essere spose di Cristo» 28.

Possiamo ora riprendere le indicazioni offerte da Ruiz, ri-cordate all’inizio del presente articolo: «Il progetto collettivo èoriginario e non può essere analizzato come un ampliamento del-le leggi della crescita individuale. Se deve essere confrontata, larelazione sarà inversa: il processo individuale copia, con delle va-rianti, lo schema della storia della salvezza comunitaria» 29. Nelcaso dell’esperienza dell’unione sponsale il punto di partenza èl’esperienza collettiva e conseguentemente quella personale. Poi-ché l’unica Anima (le singole “anima” fuse in unità tra di loro) èSposa, le singole anime che formano l’Anima possono dirsi, an-che personalmente, spose. La dimensione ecclesiale precedequella personale e fa scaturire la seconda dalla prima: «Perché siè uno – scrive Chiara Lubich richiamando l’archetipo della Trini-tà – si può essere trini». La distinzione procede dall’unità e comeespressione di essa. Soltanto le anime che sono uno tra di loro, inquanto Chiesa, «possono dire, sia in unità con le altre, sia indivi-dualmente (...), di essere spose di Cristo. Infatti Gesù non puòSposare che Gesù» 30.

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28 «La Chiesa – scrive Durrwell – è stabilita al vertice permanente dellacarità: là essa è se stessa, il Corpo di Cristo. Decadere da questo vertice signifi-cherebbe cadere fuori della salvezza e cessare di esistere. Poiché essa esiste intanto in quanto è il corpo di Cristo, in quanto è Sposa, nell’atteggiamentod’amore che li unisce l’uno all’altro in un solo Corpo» (Nel Cristo Redentore,Paoline, Roma 1992, p. 177).

29 Op. cit., p. 420.30 Il passaggio dalla dimensione ecclesiale a quella individuale appare le-

gittimo perché, come scrive sempre Pierre Adnés, «ciò che è vero della collettivi-tà, lo è anche, per inclusione, di ogni individuo» (Mariage spirituel, cit., c. 390).

Quindi ognuno, se unito nell’Anima, partecipa della realtàdell’Anima-Chiesa, e può dunque vivere nella relazione pienacon Cristo che soltanto la Chiesa possiede 31. Nell’unità, essendoChiesa, ogni membro ha parte alle proprietà della Chiesa, in par-ticolare partecipa della piena e feconda relazione con lo Sposo.

È il ritorno all’idea biblica di Dio che Sposa il suo popolo,di Cristo che Sposa la Chiesa.

Le “mistiche nozze” come evento unitivo

I contenuti e le profondità delle “mistiche nozze” si dedu-cono anche dai frutti che esse producono. Sempre seguendo l’in-segnamento di Chiara Lubich ne indico due, quello unitivo equello illuminativo.

Un primo frutto delle “mistiche nozze” è l’unità tra il Verboe l’Anima. Più che un effetto l’unione mistica è l’elemento costi-tutivo dell’atto sponsale 32. Nello stesso tempo, come evidenzia

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San Bernardo scrive: «La divinità dello Sposo, per la sua natura semplicissima,può guardare molte anime come fossero una sola, e una sola come fossero mol-te» (Sermoni sul Cantico dei Cantici, cit., p. 640). Potremmo ricordare il Liberqui dicitur: Dominus vobiscum di san Pier Damiani: «Ogni persona è Cristo inpienezza (…). La Chiesa può significarsi tutta in una persona sola e, in conse-guenza, dovendo dirsi vergine, la Chiesa è in tutti e tutta in ciascuno: semplicenei molti per l’unità della fede e complessa in ognuno per il vincolo della carità ei carismi diversi; poiché tutti dall’uno» (citato in H. De Lubac, Meditazioni sullaChiesa, Milano 1955, p. 253). Anche per Bonaventura la Sposa è l’unica Chiesa,e solo in essa e con essa lo sono le singole anime (cf. H.U. von Balthasar, Gloria,II, Jaca Book, Milano 1985, p. 322).

31 Congar scrive: «Tutte [le persone cristiane] sono spose, ma esse sonoviste e volute tali da Dio in quanto membra della Sposa che è la Chiesa» (La per-sonne «Eglise», «Revue Thomiste» 4 [1971], p. 639).

32 L’analogia sponsale mostra al riguardo tutta la sua forza e insieme la suadebolezza. Essa serve ad indicare innanzitutto la profondità dell’unione perchérimanda all’una caro della Genesi così posta in rilievo dai Padri della Chiesa (cf.L. Bouyer, La pietà dei Padri Greci verso la Chiesa, in J. Daniélou - H. Vorgrim-ler, Sentire Ecclesiam, Paoline, Roma 1964, I, pp. 175-180). Santa Teresa d’Avila,nelle Settime mansioni, per spiegare l’indissolubile e profonda unione con Diorealizzata con la mediazione dello Spirito Santo, impiega una serie di immaginicare alla tradizione mistica: la spugna imbevuta di acqua, la fusione di due can-dele, il ruscello che affluisce al mare perdendosi nella immensità di esso.

ad esempio Nicola Cabasilas, l’unione sponsale tra Cristo e laChiesa trascende quella tra lo Sposo e la Sposa nel matrimonioumano, poiché questo non permette che lo Sposo viva nella Spo-sa come invece avviene nella compenetrazione spirituale tra Cri-sto e la Chiesa 33.

Le mistiche nozze appaiono come un’azione con la quale ilVerbo unisce a sé nella maniera più alta possibile l’Anima, al pun-to tale che ciò che è del Verbo è dell’Anima e ciò che è dell’Animaè del Verbo. Lo Sposo è, nei confronti della Sposa, «quasi Sé tra-sferito in lei, uno con lei». Potremmo parlare quasi di una commu-nicatio idiomatum tra lo Sposo e la Sposa. L’unità è tale che essereGesù ed essere la sua Sposa appaiono sinonimi. L’Anima, scriveChiara Lubich, può dire «sono Gesù, sono la Sposa sua affidataad un tale Sposo». Tra i due vi è piena identificazione.

Nello stesso tempo l’immagine sponsale consente di mantene-re l’alterità tra Cristo Sposo e la Chiesa Sposa. L’atto unitivo nonelimina la distinzione, anzi la rafforza. È proprio della categoriasponsale il senso della reciprocità, dell’intimità e dell’alterità. LaSposa è parte dello Sposo e nello stesso tempo altra da lui 34. Cristoforma la Chiesa perché gli stia davanti come un “tu”, come un sog-getto capace di un rapporto d’amore. «La Sposa – ha scritto H.U.von Balthasar – (…) è contemporaneamente l’uno (con Cristo) el’altro (di fronte a lui), in una dipendenza e libertà che non può tro-

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33 La vita in Cristo, UTET, Torino 1971, pp. 69-70 e 215-216.34 L’immagine biblica della Chiesa Sposa va accostata a quella di Corpo

di Cristo in modo da cogliere insieme l’unità e la distinzione tra Cristo e la Chie-sa. «Nella Lettera agli Efesini viene sottolineata, oltre l’unità, la distanza tra Cri-sto e Chiesa. Questa distinzione comporta implicazioni teologiche: la Chiesa èCristo, ma è anche un “tu” che sta dinanzi a lui. Nonostante tutta la reciprocaintimità c’è un “faccia a faccia” dello Sposo e della Sposa che non può esserecancellato. La Chiesa è il corpo di Cristo, gli appartiene e lo esprime, ma a suavolta la Chiesa possiede una specie di personalità propria, che le permette di sta-re davanti al suo Signore e rispondere al suo amore. Non è possibile pensare allaChiesa come a un soggetto passivo. Deve essere messa in luce la risposta dellaChiesa, la sua personale risposta, quella che realizza il rapporto con Cristo comeautentica relazione di reciproco amore in cui distinzione e unità si intrecciano»(F. Barbiero, La Chiesa Sposa: carismi e ministeri in una Chiesa di comunione, inVerginità e matrimonio. Due parabole dell’Unico Amore, a cura di R. Monetti,Ancora, Milano 1998, p. 42).

vare nessuna analogia semplicemente creata, ma soltanto quella Tri-nitaria» 35. L’amore di Cristo, espresso nel mistero pasquale, crea laChiesa, causa in essa la capacità di riamarlo, le imprime lo stessomovimento d’amore in risposta al suo amore, e quindi la pone incondizione di essere il suo “tu”. Di conseguenza tutta la vita dell’A-nima «deve essere soltanto un rapporto d’amore con lo Sposo».

In questo rapporto unitivo, Chiara Lubich indica nella pie-na accoglienza della Parola una via concreta perché la Sposa ri-sponda all’amore dello Sposo. Vivere la Parola è adeguarsi all’o-pera con cui lo Sposo crea la Sposa e quindi ridonargli il “pro-getto” realizzato. Il rapporto dialogico d’amore è tra la Paroladonata (lo Sposo) e la Parola vissuta (la Sposa) 36.

«Lo Sposo è la Parola di vita», scrive con immediatezza 37. Esubito aggiunge che c’è un modo sicuro per essere Sposa del Ver-bo ed attrarlo a sé: «Vivendo la Parola l’avrei amato come Sposae Lui sarebbe stato me... Vivendo ogni attimo la Parola». Nelrapporto d’amore dell’unione sponsale vivere la Parola è comedare un bacio allo Sposo – spiega ancora richiamandosi al primoversetto del Cantico dei Cantici –, perché «da Bocca a bocca pas-sa la Parola; Egli comunica Sé (che è Parola) all’Anima mia. Edio sono una con Lui! E nasce Cristo in me». Allora «ogni attimoche vivo la Parola è un bacio sulla Bocca di Gesù, quella Boccache disse soltanto Parole di vita» 38.

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35 Sponsa Verbi, Morcelliana, Brescia 1972, pp. 20.26.36 Girolamo spiegava alla vergine Eustochio: «Nella lectio lo Sposo ti par-

la; nell’oratio lo Sposo ti ascolta» (Lettera 22, 25, in Le lettere, Città Nuova, Ro-ma 1960, vol. I, p. 202).

37 Il rapporto vitale con la Parola lungo la storia della Chiesa è stato speri-mentato dai mistici con tale intensità che per esprimerlo non hanno trovato riferi-mento più adatto che quello dell’amore e dell’unione sponsali. «La Chiesa con tut-to il suo ardore cerca nelle Scritture Colui che ama» (Onorio di Autun, In Cant.:PL 172, 447D). Ed ancora: «Quando si apre la Scrittura, Egli ci ammette nella suaintimità» (Otlone di Sant’Emmerano, De cursu spir. c. 20: PL 146, 213A).

38 Per Bonaventura il movimento di amore tra Dio e l’uomo si incontranel bacio nuziale della croce. L’origine di questo bacio è nella Parola incarnata,«in cui si compie l’unione del supremo amore e del reciproco abbraccio delledue nature, unione in cui Dio ci bacia e noi baciamo Dio» (Comm. in Luc. 15,34,citato in H.U. von Balthasar, Gloria, II, Jaca Book, Milano 1985, p. 322).

La Parola non dice soltanto ciò che bisogna credere o fare.Essa crea un rapporto personale con il Verbo presente in essa.Vivere la Parola è dunque aprirsi alla comunione con Cristo chesi dà all’uomo. È la fonte permanente della mistica cristiana 39.«Per vivere la realtà dello Sposalizio della mia Anima col Verbo:“Amore”... devo esser solo Parola di Dio». La Parola di vita di-venta «la veste, l’abito nuziale della nostra anima Sposa di Cri-sto». Per amare lo Sposo occorre quindi essere la Parola, abbrac-ciare la Parola.

Un ulteriore aspetto della risposta d’amore nel dialogo tralo Sposo e la Sposa è l’amore reciproco tra le anime che costitui-scono l’Anima. L’Anima deve stare davanti allo Sposo in quantoAnima, ossia comunione d’anime, Chiesa. Cristo ha formato laChiesa mediante la comunicazione dell’agape divina da lui vissutaall’estremo. La Chiesa di conseguenza è per sua natura agape.Amare lo Sposo vorrà dire donarsi a lui per quello che la Sposa è.Essa – comunione d’anime, agape – deve quindi vivere la dinami-ca dell’amore ricevuto, che è amore trinitario, attuando l’amorefraterno in rapporto trinitario tra le anime dell’Anima. L’amorereciproco e la vita di unità tra i membri della comunità diventafattore essenziale per una esperienza di mistica sponsale che siaautenticamente ecclesiale.

Spero che adesso sia più comprensibile, letto per intero, unappunto di Chiara Lubich a cui mi sono più volte riferito nel cor-so di queste pagine:

«Quando qualche anima perché vergine dice d’esser Sposa diCristo mente se quell’anima non è Chiesa. Solo ora, dopo che le no-stre anime si sono, per Gesù fra loro, Sposate fra loro e sono Chiesa(perché sono Cristo: un Cristo e tre Cristo o tanti Cristo quanteanime siamo così unite, una Chiesa e tante Chiese), possono dire,sia in unità con le altre, sia individualmente (perché hanno il valo-re del tutto cioè di Gesù fra loro), di essere spose di Cristo. Infatti

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39 Cf. G. Rossé, La novità della Parola di Vita, «Unità e Carismi», 5 (1995)n. 5, p. 13.

Gesù non può Sposare che Gesù. Ché Gesù non è Uno che con Sestesso. Quante poche dunque sono le anime spose di Cristo!» 40.

Un ulteriore aspetto della dimensione unitiva delle mistichenozze messo in evidenza da Chiara Lubich è la reciprocità deldono tra Sposo e Sposa. In una sua nota si legge:

«L’anima fatta Gesù, che entra nel Padre e Sposa (come Chie-sa) il Figlio, porta in sé tutta la creazione e questa è la sua dote!Senza questa dote Gesù non la Sposa. Allora Gesù dona a lei tuttoil Paradiso. E questa è la dote di Lui! (…) “Chiedimi e ti darò pertua eredità tutte le genti, per tuoi possessi fino agli ultimi confinidella terra…” (cf. Sal 2, 8). (…) [Egli] ci diede tutto da portar aLui ed Egli ci darà il Cielo: noi il creato, Egli l’Increato».

L’esperienza mistica, nella lettura proposta da Chiara Lu-bich, lungi dal presentarsi come un fenomeno intimistico o unagrazia specifica riservata ad una singola anima, ha l’ampiezza del-lo stesso piano salvifico: significa, anticipa e realizza l’unità traIncreato e creato, tra Cielo e Terra, tra Dio e l’opera sua. Sposan-do l’Anima il Verbo attualizza la sua opera di salvezza, aperta al-l’intero genere umano. «Unica è la Sposa di Cristo, e questa è laChiesa: eppure l’amore dello Sposo divino ha tale ampiezza che,senza escludere alcuno, nella sua Sposa abbraccia tutto il genereumano» 41. La dote sua, per rimanere nell’immagine sponsale, è ilParadiso, il Cielo, l’Increato. La volontà di Dio di invitare ed am-

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40 Mentre pone in rilievo il valore dell’unità in ordine alla sponsalità conCristo, ricorda che l’azione di Cristo non è condizionata dalla qualità del vissutoumano: «EssendoSi Gesù fatto peccato (cf. 2 Cor 5, 21) e perciò disunità, indivi-dualità, Egli come Abbandonato può esser Sposo anche dell’ultimo peccatore delmondo, anche diviso da tutti, perché Egli – come peccato – si vede in tutti i pec-catori e tutti i peccatori possono vedersi in Lui. Allora ogni anima che non siaAnima potrà dirsi “Sposa” di Gesù ma crocifisso o Sposa di Gesù Abbandona-to». È il tema della redenzione della Sposa, il tema patristico della Casta Meretrix.Nella sua ammirevole azione Cristo ha voluto fare di una donna straniera e pecca-trice la Chiesa santa e immacolata (cf. H.U. von Balthasar, Casta Meretrix, inSponsa Verbi. Saggi teologici, Morcelliana, Brescia 1969, pp. 189-283).

41 Mystici Corporis, AAS, 35 (1943), pp. 239-240.

mettere gli uomini alla comunione con sé (cf. DV 2) raggiunge ilsuo compimento. Resa partecipe dell’eredità dello Sposo, la Spo-sa, dopo le mistiche nozze, può dire: «I tuoi possessi sono miei».L’anima, in quanto Chiesa, è «partecipe di tutta la dote delloSposo, dello Sposo stesso: di Dio» 42. Tutto ciò che è del Verbo èdell’Anima e siccome ciò che il Verbo ha è lui stesso nel misterotrinitario (Paradiso), l’Anima è fatta Verbo, Trinità.

A sua volta il tipo di dote che l’Anima è chiamata a portarenelle mistiche nozze mette bene in risalto la valenza collettivadella Sposa e il respiro cosmico della sua esperienza. La sua doteè infatti non qualcosa di individuale o intimistico (le facoltà dellesingola anima, la sua santità...), ma l’intera creazione. Solo unsoggetto collettivo può portare in dote (= essere espressione di)tutta la creazione.

Una tale mistica ha una indubbia incidenza anche sull’asce-si. Abitualmente l’ascesa verso Dio implicava il progressivo dis-tacco da tutto. La realtà umana e la creazione apparivano un“impaccio spirituale”, come direbbe Teilhard de Chardin nellasua critica ad una spiritualità disincarnata 43.

La mistica sponsale proposta da Chiara Lubich si muove inun’altra direzione. Non si può Sposare il Verbo se non si è assun-

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42 San Giovanni della Croce, in un momento di alta unione con Dio, escla-ma: «Miei sono i cieli e mia la terra, miei sono gli uomini, i giusti sono miei e mieii peccatori. Gli Angeli sono miei e la Madre di Dio, tutte le cose sono mie. Lostesso Dio è mio e per me, poiché Cristo è mio e tutto per me. Che cosa chiedidunque e che cosa cerchi, anima mia? Tutto ciò è tuo e tutto per te» (Orazionedell’anima innamorata, in Opere, Postulazione generale dei Carmelitani Scalzi,Roma 1979, p. 1087). Anche per Teresa d’Avila il frutto delle mistiche nozze è lafruizione della comunione con le tre divine Persone. L’anima ha una esperienzapropriamente mistica e praticamente continua della presenza di Cristo, percepitanella sua umanità e divinità (cf. VI mansioni, 7, 9), «all’interno della propria ani-ma» (VIII mansioni, 2, 2), e in relazione molto intima con le altre due Personedella Trinità, in modo che l’anima «comprenda – si può dire, visualmente (“pode-mos decir por vista”) – la verità delle parole con le quali Nostro Signore dice nelsanto Vangelo che egli stesso verrà con il Padre e lo Spirito Santo ad abitare nel-l’anima che lo ama e che osserva i suoi comandamenti» (VII mansioni, 1, 6).

43 Per una breve sintesi sul disagio odierno di fronte a certi aspetti del-l’ascesi tradizionale cf. S. De Fiores, La «nuova» spiritualità, Studium, Roma1995, pp. 16-19.

ta l’intera creazione, così come l’ha assunta il Verbo nella sua in-carnazione. Non si può andare a lui da soli, ma nella solidarietàcon l’intera umanità e con tutta la creazione. Di qui la rivaluta-zione della “pasta” di cui il “lievito” evangelico ha bisogno peragire secondo natura. Il “sale” non serve a niente se non sala. Ec-co allora l’amore e la passione verso l’umanità in tutte le sue di-mensioni sociali. L’attività umana, con il suo impegno politico,economico, culturale, rientra nel progetto della mistica. Lavorarenel campo sociale come in quello ecologico non è più una attività“profana”, ma la preparazione della “dote” per le mistiche nozzetra l’Anima e il Verbo, tra il creato e l’Increato; non è più un im-pegno opzionale, ma la condizione per una mistica autentica:«Senza questa dote Gesù non la Sposa».

Con questa prospettiva la mistica può uscire dai monasteried entrare nel mondo. Non è più appannaggio esclusivo di per-sone consacrate alla contemplazione, ma di ogni cristiano impe-gnato nella realtà terrestre: «Ecco la grande attrattiva del tempomoderno: penetrare nella più alta contemplazione e rimaneremescolati fra tutti, uomo accanto a uomo» 44.

Le “mistiche nozze” come evento illuminativo

Vorrei accennare ad un ulteriore frutto delle “mistiche noz-ze”, legato all’unità che esse stabiliscono tra il Verbo e l’Anima: l’e-lemento illuminativo. L’unione sponsale comporta infatti una nuovae più profonda conoscenza di Dio e delle realtà del Paradiso.

La teologia medievale, sia quella cosiddetta monastica siaquella scolastica, si è soffermata a lungo sul rapporto tra cono-scenza e amore. Gregorio Magno sintetizza il pensiero antico conle parole: «L’amore stesso è conoscenza» 45, e Tommaso d’Aquinoafferma la reciproca inclusione di conoscenza e amore. Parlandopiù propriamente della conoscenza di Dio la teologia mistica è

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44 C. Lubich, L’attrattiva del tempo moderno, in Scritti Spirituali /1, CittàNuova, Roma 19974, p. 27.

45 Hom. 27, 4 in Evang.: PL 76, 1207: «Amor ipse notitia est».

concorde nel ritenere che essa non è frutto di una attività razio-nale, ma piuttosto della presenza nell’anima dello Spirito di Dio,Spirito di sapienza e di amore, che fa aderire alla stessa realtà di-vina. La conoscenza mistica avviene non più attraverso un pro-cesso discorsivo, ma per connaturalità 46.

La conoscenza sperimentata dei mistici è legata spesso al-l’unione sponsale. Grazie alla reciproca immanenza tra lo Spo-so e la Sposa, si opera quella trasformazione dell’Anima che leconsente di vedere, per così dire, con gli occhi stessi dello Spo-so 47.

La Sposa, scrive Chiara Lubich richiamando il matrimonioumano, «ama, vede, desidera ciò che ama, vede, desidera lo Spo-so». Questa similitudine diventa realtà ed ha un altro spessoreper quanto riguarda la visione che segue le nozze mistiche. LaSposa, scrive ancora al riguardo, realmente ama, vede, desideraciò che ama, vede, desidera lo Sposo, perché è nello Sposo e loSposo è in lei: è identificata a lui e quindi vede con gli occhi

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46 È un concetto che risale alla tradizione platonica. Basterà ricordare l’a-dagio platonico: «Il simile si percepisce attraverso il simile», così commentato daPlotino: «Che prenda dunque la forma di Dio e che diventi bello, l’uomo deside-roso di contemplare ciò che è Buono e Bello» (Enneadi I, 6, 9). Giovanni di SanTommaso parla di un di più della conoscenza mistica rispetto alla conoscenzadella fede: «Benché, in quanto propone l’oggetto, la fede regoli l’amore e l’unio-ne con Dio, tuttavia, in virtù di quell’unione per la quale l’amore aderisce imme-diatamente a Dio, l’intelligenza è innalzata mediante una certa esperienza affetti-va a giudicare delle cose divine secondo un modo più elevato di quello che diper sé comporta l’oscurità della fede, perché penetra e conosce che, nascostonelle cose della fede, vi è più di quanto la fede stessa non manifesti, trovandovipiù da amare e da gustare nell’amore; e a causa di questo più di cui l’amore la fapercepire che si trova nascosto lì, l’intelligenza giudica in modo più elevato dellecose divine, in virtù di un istinto speciale dello Spirito Santo» (I doni dello Spiri-to Santo, citato da Ch.-A. Bernard, Conoscenza e amore nella vita mistica, in Lamistica. Fenomenologia e riflessione teologica, cit., II, pp. 275-276). Sulla cono-scenza per connaturalità in san Tommaso, si può attingere all’opera La conoscen-za per connaturalità in san Tommaso d’Aquino di M. D’Avenia, ed. Studio Dome-nicano, Bologna 1992.

47 San Giovanni della Croce parla di un «abisso di grazia, che è quellatrasformazione divina dell’anima in Dio, mediante la quale l’occhio del senso ri-mane così illuminato e gradito a Dio da consentirci di dire che la luce di Dio equella dell’anima sono un’unica luce, per il fatto che la luce naturale dell’anima èunita a quella soprannaturale di Dio e che questa luce soprannaturale ormai ri-splende sola» (Fiamma B 3, p. 71).

stessi dello Sposo dal di dentro, con la sua stessa luce, perchéfatta Verbo 48.

Prima dell’unione sponsale l’Anima, in quanto e nella misu-ra in cui possiede già un’esperienza mistica, avverte la presenza diDio, ne coglie la “luce”, ma non è ancora capace di penetrare di-stintamente i misteri di Dio e le realtà del Cielo. Vive nel seno delPadre, ha coscienza di essere penetrata nel Paradiso, ma attendedi «abituare l’occhio suo a scorgere tutti quanti vi abitano».

È soltanto dopo che il Verbo Sposa l’Anima che essa può “ve-dere”, ossia raggiungere una conoscenza sperimentale, conseguenzadi un’azione del Verbo nei suoi confronti. Il Verbo, in quanto Rive-latore, può “mostrare” alla Sposa le realtà del Paradiso.

Nella sua azione rivelativa il Verbo non procede in manieraestrinseca, quasi infondendo nell’Anima una particolare capacitàpercettiva. Piuttosto, grazie all’unione scaturita per le “mistichenozze”, fa la Sposa altra Sé, in modo che essa possa guardare co-me lui vede. È una visione del mistero al di dentro del misterostesso, come partecipazione di esso. La conoscenza mistica, frut-to dell’unione sponsale, può essere compresa come l’azione delVerbo che, in quanto Sposo, mostra i suoi possessi alla Sposa.«Sposo mio dolcissimo – fa dire Chiara Lubich all’Anima –,troppo bello è il Cielo e Tu come un divino Amante, dopo le Mi-stiche Nozze..., mi mostri i tuoi possessi che sono miei». Le real-tà divine vengono sperimentate dal di dentro, come realtà pro-prie. L’Anima pensa al Paradiso nel modo con cui lo Sposo glie-lo mostra. Non si può vedere la Trinità e le realtà del Paradiso,se non con lo sguardo del Verbo, se non fatti Verbo. Le “nozzemistiche” hanno questo risvolto illuminativo: consentono di “ve-dere” il Paradiso.

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48 Anche Maria dell’Incarnazione parla della conoscenza delle verità divi-ne come frutto dell’unione con il Verbo: «Appartenendo tali divini misteri al-l’adorabilissimo Verbo incarnato, il minimo pensiero che a loro riguardo colpi-sce lo spirito infiamma l’anima, la quale vede in essi così tante verità, certezze esantità da non aver bisogno di ragioni né di riflessioni per conoscerne di più,perché essendo unita alla sacra Persona del Verbo, è nella fonte che le imprimeogni verità e la fa vivere sotto i suoi influssi» (Relazione del 1654, in Écrits spiri-tuels et historiques, DDB, Paris 1929, II, pp. 411-422).

La maniera con cui lo Sposo fa conoscere le verità della fe-de è quella di fare “essere” quelle verità. Grazie a questa nuovacapacità offerta dallo Sposo si vivono dal di dentro i misteri. L’u-nione mistica porta ad “essere” quegli stessi misteri. Di conse-guenza la conoscenza che scaturisce dalla mistica sponsale è su-periore ad ogni altro tipo di conoscenza. Nella comune esperien-za di fede, ad esempio, si possono sperimentare i frutti della re-denzione e da tale esperienza scaturisce una determinata com-prensione della redenzione. Nella mistica sponsale lo Sposo puòunire a sé l’Anima al punto da farle sperimentare non soltanto ifrutti della redenzione, ma da conformarla al suo stesso essereRedentore. Da tale esperienza nasce una comprensione ancorapiù profonda del mistero della redenzione, in quanto si entra nelmistero originante l’esperienza stessa. La stessa dinamica avviene,ad esempio, per l’esperienza dell’amore paterno di Dio. QuandoDio lo si riconosce come Padre, si gode del suo amore paterno, sipercepisce la propria filiazione e conseguentemente si riconosco-no le creature come sorelle. Nella mistica sponsale lo Sposo in-troduce la Sposa nel Padre al punto da farle “conoscere” la pa-ternità di Dio partendo dal di dentro del Padre. Conseguente-mente le creature sono percepite non solo come sorelle, ma comefiglie. Così per ogni realtà umano-divina nella quale l’Anima è in-trodotta grazie all’unione mistica con lo Sposo. Grazie all’azionedel “divino Amante” che dopo le mistiche nozze “mostra” allaSposa i suoi possessi, divenuti ormai possessi dell’Anima, essapuò conoscere a partire dalla sorgente stessa, da Dio.

La luce è quindi frutto delle mistiche nozze. Esse, grazie al-la trasformazione in Cristo, fanno “vedere”. Diventata Gesù, l’A-nima ha su tutte le cose la visione di Gesù. Essa può dire, in tuttaverità: «Noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1 Cor 2, 16).

Conclusione: l’amore «discendente»

L’unione sponsale sembrerebbe l’ultimo stadio dell’itinerariospirituale. Essa invece prelude ad un’ulteriore fase, abitualmentedesignata come “fecondità”. L’anima, presa ormai nell’unione tra-

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sformante, può operare in maniera nuova per l’intera umanità, acompleto servizio di Dio, così da compiere le sue opere.

Riccardo di San Vittore mi sembra l’autore più adatto ad in-trodurre la fase successiva alle mistiche nozze indicata da ChiaraLubich. Nella sua breve opera, I quattro gradi della violenta cari-tà, traccia un percorso graduale che, dopo il terzo grado del-l’amore – che corrisponde a quello che possiamo chiamare misti-che nozze –, culmina nella caritas deficiens 49. Questo quarto gra-do non è una ulteriore ascesa e penetrazione in Dio, ma piuttostouna “discesa” dell’anima. Se nel terzo grado l’anima, innalzata aDio, trapassa tutta in lui, nel quarto «lascia l’intimità di Dio escende al di sotto di se stessa». Se nel terzo varca le soglie del giu-bilo, «nel quarto esce spinta dalla compassione» 50. L’esperienzadell’amore di Dio ha reso l’anima così ardente che si comportacome il metallo fuso. «Come il metallo fuso scende giù con corsainarrestabile dovunque gli si apre una via, così l’anima si umilia al-la totale obbedienza e con gioia accetta il sacrificio di sé correndoincontro a Dio nel modo che a Lui piace» 51. Ripercorre così lastrada di Cristo che pur essendo di natura divina annientò se stes-so venendo incontro all’uomo fino a dare la vita per lui. A lui «de-ve uniformarsi chi vuole attingere il grado superiore della carità,se è vero che non c’è amore più grande che dare la vita per i pro-pri amici» 52. L’anima, come Paolo, stretta da due desideri – dis-solversi ed essere con Cristo o rimanere nella carne – sceglie di re-stare nel mondo, spinta dall’amore di Cristo verso l’umanità. Lacaritas deficiens consiste nel patire sofferenze e ingiurie per amoredi Cristo, soffrire per Cristo infermità, oltraggi, necessità, perse-

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49 «Nel primo grado l’anima riceve le visite assidue del promesso Sposo,nel secondo è condotta nella sua casa, nel terzo si unisce a lui. Nel quarto diven-ta madre di vita»; «Nel primo grado essa ritorna a sé, nel secondo sale a Dio, nelterzo passa in Dio, nel quarto scende al di sotto di se stessa. Nel primo e nel se-condo grado si eleva, nel terzo e nel quarto si trasfigura. Nel primo grado sale fi-no a sé, nel secondo oltrepassa se stessa, nel terzo si modella nella luce di Dio,nel quarto sull’umiltà di Cristo» (I quattro gradi della violenta carità, traduzionedi A. Sforza, Dehoniane, Roma 1990, XXVI, p. 69; XLVII, p. 99).

50 XXIX, p. 73.51 XLII, p. 91.52 XLIII, p. 92.

cuzioni e angustie. Arrivare al grado supremo della carità significaessere maledetto e separato da Cristo per amore dei fratelli 53.

Chiara Lubich percorre un analogo itinerario. Al terminedell’esperienza mistica che conduce a sperimentare e contempla-re le realtà del Cielo, le è proposto un nuovo ritorno sulla terraper incontrare qui sulla terra lo Sposo che ha unito a sé l’Animain Cielo.

Nasce così una delle pagine più belle e profonde tra gliscritti di Chiara Lubich: «Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù Ab-bandonato: non ho altro Dio fuori di Lui. In Lui è tutto il Para-diso colla Trinità e tutta la terra coll’Umanità. Perciò il suo è mioe null’altro. E Suo è il Dolore universale e quindi mio».

Nell’esperienza mistica l’Anima aveva coscienza di parteci-pare di tutta la dote dello Sposo, dello Sposo stesso: di Dio, delParadiso, al punto da poter dire: «I tuoi possessi sono miei».Ora, al culmine di quella esperienza mistica, l’Anima scopre che ipossessi dello Sposo, il suo, sono altri: quelli che Gesù nel suoabbandono ha fatto propri e che la Sposa si sente chiamata acondividere perché ormai quello che è dello Sposo appartiene al-la Sposa: «Suo è il Dolore universale e quindi mio».

Il cammino dello Sposa è lo stesso che percorre lo Sposo,nella piena identificazione a lui: «Andrò pel mondo cercandoLoin ogni attimo della mia vita. Ciò che mi fa male è mio. Mio il do-lore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime accanto(è quello il mio Gesù)». Lo Sposo si identifica con tutto ciò chenon è pace, gaudio, bello, amabile, sereno… in una parola, in ciòche non è Paradiso. Ed è proprio qui che l’Anima ritrova il Para-

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53 Cf. XLIV-XLV, pp. 93-93. «Chi sale a questo grado di carità attinge unatale virtù d’amore che può dire con assoluta verità: Mi sono fatto tutto a tutti perfare tutti salvi. Persino vorrebbe essere maledetto lui stesso dal Cristo per amoredei fratelli. È pazzia d’amore, che non sa mantenere nella passione la giusta mi-sura. Aberrante follia rigettare la vera vita, contestare la somma sapienza, oppor-ti all’Onnipotente. Perché rigetta la vita chi chiede di essere separato dal Cristoper amore dei fratelli, come colui che dice: Rimetti loro il peccato, altrimenti can-cellami dal libro che hai scritto» (XLVI, pp. 97-98). K. Ruth suggerisce un inte-ressante confronto tra la caritas deficiens di Riccardo e l’«amore declinante» diMatilde di Magdeburgo (Storia della mistica occidentale, vol. I, Vita e Pensiero,Milano 1995, p. 458).

diso: «Perché anch’io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuoredello Sposo mio. Non ne conosco altri». L’Anima non conosceche Cristo e Cristo crocifisso. Qui, sulla terra, lo Sposo ha ormaiil volto di Gesù Abbandonato, riconoscibile in tutto il negativoda lui assunto. Egli si presenta sotto le spoglie dei dolori, delleangosce, delle disperazioni, delle malinconie, dei distacchi, degliesili, degli abbandoni, degli strazi, dei peccati che attanaglianol’umanità.

È questa intima compenetrazione della Sposa con lo Sposoche dà fecondità all’azione del mistico: «Così prosciugherò l’ac-qua della tribolazione in molti cuori vicini e per la comunionecollo Sposo mio onnipotente lontani. Passerò come Fuoco checonsuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la verità» 54.

La Sposa è attivamente all’opera per preparare la sua dote:l’intera creazione, che attende di essere introdotta nell’unità tri-nitaria.

E questa Sposa è l’Anima, la fusione per grazia di anime: è,dunque, una realtà “strutturata” nel tempo e nello spazio, un’ope-ra nella Chiesa, opera che deve custodire ed essere nel “colletti-vo” quella vita divina che le è stata donata nel momento dell’espe-rienza forte, mistica.

FABIO CIARDI

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54 «Non conosco che Cristo e Cristo crocifisso», in Scritti Spirituali/1, cit., p. 45.